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S.Giovanni della Croce: LA NOTTE OSCURA

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2009 10:09
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24/09/2009 10:50
 
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CAPITOLO 15


Seconda strofa


Al buio e più sicura,

per la segreta scala, travestita,

oh, sorte fortunata!,

al buio e ben celata,

stando la mia casa al sonno abbandonata.


Spiegazione


1. In questa strofa l’anima sta ancora cantando alcune proprietà dell’oscurità della notte, ripetendo i preziosi vantaggi che questa le ha procurato. Descrive poi tali proprietà, rispondendo a un’obiezione implicita, affermando che non si deve pensare che, avendo da attraversare questa notte e oscurità fra tanti tormenti, dubbi, timori e orrori, come ho detto, abbia corso maggior pericolo di perdersi; al contrario, in questa notte oscura ha guadagnato se stessa: si è liberata ed è sfuggita abilmente ai suoi nemici quando le sbarravano il cammino. Col favore delle tenebre di questa notte ha cambiato l’abito e si è travestita con livree di tre colori diversi, come si dirà in seguito. Poi è passata per la segreta scala, cioè quella della fede, all’insaputa delle persone di casa, come dirò più avanti; attraverso di essa è uscita nascosta e ben celata, realizzando così al meglio la sua impresa. Non si dava occasione per muoversi più sicura, particolarmente perché si trovava già in questa notte purificatrice, in cui gli appetiti, gli affetti, le passioni, ecc., della sua anima erano addormentati, mortificati e cancellati; se, invece, fossero stati svegli e attivi, non gliel’avrebbero consentito. Si commenta, dunque, il verso che dice: Al buio e più sicura.

CAPITOLO 16

Ove si spiega come l’anima, benché nelle tenebre, avanzi sicura.

1. Ho già detto che l’oscurità, di cui parla qui l’anima, si riferisce agli appetiti e alle potenze sensitive, interiori e spirituali; tutte, infatti, in questa notte rimangono all’oscuro relativamente alla loro luce naturale, così che, purificate da questa, possano essere illuminate dalla luce soprannaturale. Gli appetiti sensitivi e spirituali sono addormentati e mortificati, non possono gustare cose divine né umane; le affezioni dell’anima, oppresse e soffocate, non possono muoversi verso di esse né trovare appiglio in nulla; l’immaginazione è imbrigliata e incapace di formulare un ragionamento appropriato; la memoria è esaurita; l’intelletto, ottenebrato, non comprende nulla; anche la volontà è arida, oppressa; tutte le potenze sono nel vuoto assoluto e rese inutili; ma più di tutto grava sull’anima una spessa e pesante nube che la tiene nell’angoscia e lontana da Dio. Per questo l’anima dice di camminare al buio e più sicura.

2. Il motivo di questa situazione è spiegato con molta chiarezza. Abitualmente, l’anima sbaglia solo quando segue i suoi appetiti o le sue inclinazioni, i suoi ragionamenti, le sue conoscenze, le sue affezioni; in questi casi essa pecca per eccesso o per difetto; indulge a cambiamenti o si lascia andare a spropositi; in breve, inclina verso ciò che non conviene. Risulta quindi chiaro che, una volta sospese tutte queste operazioni e questi movimenti, l’anima è al sicuro dal pericolo di seguirli nei loro errori. Non solo si libera da se stessa, ma altresì dagli altri nemici, che sono il mondo e il demonio, i quali, una volta soffocati gli affetti e le operazioni dell’anima, non le possono fare guerra in nessun altro modo.

3. Per questo, quanto più l’anima si muove, nella notte oscura, libera dalle sue operazioni naturali, tanto più procede sicura. Difatti, come scrive il profeta, la perdizione dell’anima viene da lei medesima – cioè dalle sue operazioni e dagli appetiti interiori e sensitivi – mentre il bene, dice il Signore, solo da me (Os 13,9 Volg.). Così, una volta che l’anima si astiene dalle sue miserie, sarà pronta ad accogliere i beni che l’unione con Dio produrrà nelle sue potenze e facoltà, rendendole divine e celestiali. D’altra parte, fin quando dura il periodo delle tenebre, se l’anima ci bada, sarà in grado di vedere molto chiaramente quanto poco le sue potenze e le sue facoltà si perdano dietro a cose inutili o dannose e quanto essa sia al riparo dalla vanagloria, dalla superbia, dalla presunzione e dalla falsa gioia e da molte altre miserie. Di conseguenza, quando l’anima attraversa questa notte oscura, non solo non si perde, ma ne trae grande profitto perché avanza nelle virtù.

4. A questo punto, però, si presenta una domanda: se le cose soprannaturali per loro natura fanno bene all’anima, la fanno avanzare e le danno sicurezza, perché Dio annebbia le sue potenze e facoltà così che essa non possa godere di quelle cose soprannaturali né servirsene, come per gli altri beni, anzi di meno? La risposta è semplice. È opportuno che, in questo stato, le potenze e le facoltà non siano attive né desiderino le cose spirituali, perché sono impure, imperfette e molto naturali; quindi, anche se fosse loro concesso di assaporare le cose soprannaturali e divine, non potrebbero approfittarne se non in maniera molto imperfetta e naturale, cioè conforme alla loro struttura. Il Filosofo, infatti, afferma: Ognuno riceve una cosa secondo le capacità della propria natura. Questo è il motivo per cui, non avendo le potenze naturali né purezza né forza né capacità per poter ricevere e gustare le cose soprannaturali in conformità alla natura di queste, cioè divinamente, ma solo secondo la propria che è umana e imperfetta, è opportuno che vengano immerse nelle tenebre anche riguardo alle cose divine. Una volta divezzate, purificate, ridotte a nulla, liberate dal loro modo imperfetto e umano di ricevere e agire, tali potenze e facoltà saranno in grado di ricevere, sentire e gustare le realtà divine e soprannaturali in modo elevato e perfetto; ma questo non può accadere se prima non muore l’uomo vecchio (Col 3,9).

5. Da ciò si deduce che ogni dono spirituale, se non viene dall’alto e discende dal Padre della luce (Gc 1,17) sul libero arbitrio e sulla volontà umana, non viene gustato divinamente e spiritualmente, ma umanamente e naturalmente – come del resto tutte le altre cose – dal gusto e dalle potenze. Anche se l’uomo eserciterà il suo gusto e le sue potenze per arrivare fino a Dio, non riuscirà mai a gustarne le dolcezze, perché i beni non vanno dall’uomo a Dio, ma da Dio all’uomo. A tale proposito, se non fosse fuori luogo, potrei spiegare qui come molte persone siano felici di riferire a Dio o ai beni spirituali i gusti, gli affetti e le attività delle loro facoltà, pensando che tutto ciò sia soprannaturale e spirituale, mentre – forse! – non si tratta che di atti e desideri molto naturali e umani. Poiché tali persone nutrono simili disposizioni verso tutte le cose, le nutrono anche verso le cose buone, con quella facilità naturale che hanno nel dirigere le loro potenze e facoltà verso un oggetto qualsiasi.

6. Se in seguito si presenterà l’occasione, ne parlerò. Offrirò, allora, alcuni indizi per conoscere quando i movimenti e gli atti interiori dell’anima nei suoi rapporti con Dio sono soltanto naturali o solo spirituali, oppure spirituali e naturali insieme. Qui basti sapere che, se gli atti e i movimenti interiori dell’anima devono essere mossi da Dio in modo divino, devono prima passare per le tenebre, essere addormentati, placati nella loro sfera naturale fin quando tutte le loro capacità e attività non vengano ridotte a nulla.

7. Anima devota, quando vedrai i tuoi appetiti nelle tenebre, i tuoi affetti nell’aridità e nell’oppressione, le tue facoltà ridotte all’impossibilità di compiere qualsiasi esercizio della vita interiore, non te ne devi addolorare, ma al contrario considera questo stato una sorte fortunata: Dio, infatti, ti sta liberando da te stessa, ti sta togliendo di mani i tuoi averi. Malgrado il buon uso che ne avevi fatto, non potevi agire così bene, perfettamente e sicuramente come ora, a causa della loro impurità e imperfezione. Dio ti ha presa per mano, ti guida come un cieco nell’oscurità dove tu non sai, e per una strada che non conosci, e dove mai riusciresti a camminare con i tuoi occhi e i tuoi piedi.

8. Un altro motivo, per cui l’anima non solo avanza sicura al buio, ma riceve anche grande profitto, sta nel fatto che comunemente il suo progresso e la sua perfezione le vengono da dove meno se l’aspetta, anzi perlopiù di là dove pensa di perdersi. E infatti, non avendo mai sperimentato quella novità che la fa uscire da se stessa, la confonde e sconvolge il suo primo modo di procedere, pensa di perdersi più che di guadagnare meriti, perché vede che nella realtà dei fatti si perde proprio relativamente alle sue conoscenze e ai suoi gusti ed è costretta ad andare dove non conosce e non le piace nulla. Assomiglia a un viaggiatore che si reca in terre nuove, sconosciute, mai esplorate prima, lasciandosi guidare non dalle sue conoscenze, ma avvolto nell’incertezza, dalle informazioni degli altri. Certamente egli non potrà raggiungere questi nuovi paesi né sapere più di quanto sapeva prima, se non affronta strade a lui ignote, dopo aver lasciato quelle note. Allo stesso modo, chi vuole perfezionarsi in un mestiere o in un’arte, si muove sempre a tentoni, sempre superando le sue conoscenze precedenti: se non le oltrepassasse, non progredirebbe nell’apprendimento. Così l’anima più avanza nelle tenebre, senza sapere dove va, più progredisce nella perfezione. Perciò, secondo quanto ho detto, Dio è qui il maestro e la guida di questo cieco che è l’anima. E ora che essa comprende bene questa verità qui riferita, ha di che rallegrarsi e può ben dire: uscii al buio e più sicura.

9. Un altro motivo per cui l’anima ha attraversato sicura queste tenebre è la sofferenza. Ora, la via della sofferenza è più sicura e vantaggiosa di quella della gioia e dell’iniziativa personale; anzitutto perché, quando si soffre, si ricevono ulteriori forze da Dio, mentre quando l’anima agisce o è nella gioia manifesta le sue debolezze e le sue imperfezioni; e poi perché quando si soffre si esercitano e si acquistano le virtù, quindi l’anima si purifica e cresce nella sapienza e nella prudenza.

10. Ma c’è ancora un altro motivo più importante per cui l’anima in questo stato avanza sicura nel buio. Tale motivo va ricercato in quella luce o sapienza oscura di cui ho parlato. Questa notte oscura della contemplazione investe e pervade l’anima al punto tale d’avvicinarla a Dio, porla al suo riparo e liberarla da tutto ciò che non è Dio. In questo stato l’anima è, per così dire, in cura per ricuperare la sua salute, che è Dio stesso. Sua Maestà, allora, la mette a dieta, la tiene nell’astinenza e distrugge in essa il cupido desiderio di tutte le cose create. Accade come al malato che è molto caro ai familiari: lo tengono talmente riparato che non gli lasciano prendere aria né godere della luce, e nemmeno viene disturbato dai passi o rumori di quelli di casa; lo nutrono con un cibo molto raffinato e secondo misura e badano che sia sostanzioso più che saporoso.

11. Tali sono le proprietà prodotte nell’anima dalla contemplazione oscura; mirano tutte alla sua sicurezza e salvaguardia, perché ormai è molto vicina a Dio. Quanto più l’anima si trova vicino a lui, tanto più profonde sono le tenebre e intensa l’oscurità dovute alla sua debolezza. Assomiglia a uno che si avvicina al sole: quel suo grande splendore acceca e fa soffrire l’occhio a causa della sua debolezza e impotenza. Così è della luce spirituale di Dio: è immensa e supera talmente l’intelletto umano che, quando gli si avvicina, lo acceca e lo getta nell’oscurità. Questo è il motivo per cui in un salmo Davide dice che Dio si nascondeva avvolgendosi di tenebre come di velo, acque oscure e dense nubi lo coprivano (Sal 17,12). Quest’acqua tenebrosa, contenuta nelle nubi dell’aria, è l’oscura contemplazione e sapienza divina accordata alle anime. L’anima comincia a rendersi conto di essere vicina a Dio, come tenda dov’egli abita, a mano a mano che egli la unisce a sé. E così, quanto più la luce e la luminosità di Dio sono eccelse, tanto più esse sono tenebre oscure per l’uomo, come dice san Paolo (1Cor 2,14). La stessa cosa dice Davide in un salmo: Davanti al suo fulgore si dissipavano le nubi (Sal 17,13), cioè l’intelletto naturale, la cui luce, come dice Isaia, è spessa tenebra: obtenebrata est in caligine eius, è stata oscurata dalla sua caligine (Is 5,30).

12. Oh, misera condizione umana, ove si corrono tanti pericoli e si arriva tanto faticosamente alla conoscenza della verità, poiché ciò che è più chiaro e vero ci appare più oscuro e incerto, ragion per cui evitiamo ciò che è meglio, e inseguiamo e abbracciamo ciò che brilla più forte e riempie i nostri occhi, mentre è proprio questo ciò che ci conviene meno e ci fa incespicare ad ogni passo! Chi mai potrà dire i pericoli e le paure che sperimenta l’uomo, dal momento che la stessa luce dei suoi occhi, che dovrebbe guidarlo, è invece la prima ad abbagliarlo e a farlo deviare dal cammino verso Dio? Se vuole scorgere la strada da seguire, deve tenere gli occhi chiusi e camminare al buio, onde schivare i nemici di casa sua, cioè i suoi sensi e le sue potenze!

13. L’anima, dunque, sta ben nascosta e al riparo nelle nube tenebrosa che circonda Dio. Come questa serve a Dio da tenda e da abitazione, così servirà anche all’anima da rifugio sicuro e perfetto. Anche se è nelle tenebre, l’anima è ben nascosta e protetta da se stessa e da tutti i pericoli provenienti dalle creature, come ho detto. Proprio di queste anime Davide parla ancora in un altro salmo: Tu li nascondi al riparo del tuo volto, lontano dagli intrighi degli uomini; li metti al sicuro nella tua tenda, lontano dalla rissa delle lingue (Sal 30,21): espressione con cui si lascia intendere ogni genere di protezione. Infatti, essere al riparo del volto di Dio, lontano dagli intrighi degli uomini, significa essere fortificati in quest’oscura contemplazione contro tutti gli attacchi che possono venire da parte degli uomini. Ed essere al sicuro nella sua tenda, lontano dalla rissa delle lingue, per l’anima significa essere immersa in questa nube tenebrosa, che Davide chiama la tenda di Dio. Poiché l’anima tiene sotto controllo tutti i suoi appetiti, i suoi affetti e le sue potenze nelle tenebre, è libera da tutte le imperfezioni opposte al suo spirito, come pure dalla sua carne e da ogni cosa creata. Per questo può a buon diritto dire di camminare al buio e più sicura.

14. C’è ancora un altro motivo non meno efficace del precedente, per comprendere in modo più chiaro perché l’anima cammina sicura al buio. È la forza che questa nube oscura, dolorosa e tenebrosa di Dio trasmette immediatamente all’anima. Anche se tenebrosa, infatti, è pur sempre umida, pregna d’acqua, quindi capace di ristorare e fortificare l’anima in ciò di cui ha più bisogno, sebbene questo avvenga nell’oscurità e non senza sofferenza. Subito, infatti, l’anima sente in sé una determinazione vera ed efficace di non fare nulla che possa offendere Dio, né tralasciare nulla che possa rendergli gloria. Quell’amore oscuro la riempie di zelo e sollecitudine per fare oppure non fare le cose per piacere a Dio; esamina e scruta mille volte se stessa per vedere se l’ha offeso. In breve, agisce con molta più attenzione e sollecitudine di prima, quando era ansiosa d’amore, come si è detto sopra. In questo stato, infatti, tutte le potenze, le forze e le facoltà dell’anima sono distolte dalle altre cose create, e tutti i suoi sforzi e la sua tensione mirano solo al servizio di Dio. In questo modo l’anima esce da se stessa e da tutte le cose create per avviarsi alla dolce e piacevole unione d’amore con Dio, al buio e più sicura.

CAPITOLO 17

Ove si spiega come questa contemplazione oscura sia segreta.

Per la segreta scala, travestita.

1. È opportuno spiegare tre vocaboli del nostro verso. Due, cioè segreta e scala, riguardano la notte oscura di contemplazione di cui sto parlando; il terzo, cioè travestita, si riferisce all’anima e riguarda il suo modo di comportarsi in questa notte. Quanto ai primi due termini, occorre ricordare che l’anima chiama segreta scala questa contemplazione oscura, attraverso cui perviene all’unione d’amore, a motivo di due caratteristiche che essa presenta, cioè quella di essere segreta e di essere scala. Parlerò di ciascuna di esse separatamente.

2. Anzitutto, chiama segreta questa contemplazione tenebrosa perché, come ho detto sopra, qui si tratta di teologia mistica, che i teologi chiamano sapienza segreta e che, secondo san Tommaso, viene comunicata e infusa nell’anima per mezzo dell’amore. Questa operazione avviene segretamente, all’insaputa dell’attività dell’intelletto e delle altre potenze. Si chiama, dunque, segreta proprio perché le suddette potenze non possono conseguirla, ma è lo Spirito Santo che la infonde nell’anima, come dice la sposa del Cantico (2,4), senza che essa lo sappia né comprenda come avvenga. In realtà non è solo l’anima a non capire tutto questo, ma nessuno, nemmeno il demonio. È il Maestro divino che insegna all’anima: ciò avviene nella sostanza del suo essere, laddove non possono penetrare né il demonio né i sensi naturali né l’intelletto.

3. Non soltanto per questo può essere chiamata segreta, ma anche per gli effetti che produce nell’anima. Infatti questa sapienza d’amore è segreta quando l’anima passa attraverso le tenebre e le sofferenze della purificazione e quando tale sapienza purifica l’anima, tanto che questa non sa che cosa dirne. Non solo allora è segreta, ma anche in seguito, cioè quando l’anima viene illuminata e questa sapienza si comunica in modo più chiaro all’anima; anche in questo caso resta segreta al punto che l’anima non può discernerla né trovare termini adatti per esprimerla; anzi, oltre a non aver alcuna voglia di parlarne, non sa trovare espressioni o immagini adatte a manifestare una conoscenza tanto sublime e un sentimento spirituale tanto delicato. Perciò, anche se avesse un grande desiderio di esprimerla e ricorresse a tutte le spiegazioni possibili, tale contemplazione rimarrebbe sempre un segreto e qualcosa d’ineffabile. Poiché questa sapienza interiore è tanto semplice, generale e spirituale, non è entrata nell’intelletto avvolta o rivestita di alcuna forma o immagine accessibile ai sensi. Ora, poiché i sensi e l’immaginazione non sono serviti da mediazione attraverso cui essa penetrasse nell’anima, non ne conoscono l’aspetto e il colore, non sanno quindi spiegarla né immaginarla per poterne dire qualcosa; ciò nonostante, l’anima intende e gusta questa saporosa e misteriosa sapienza. Assomiglia a colui che vede per la prima volta una cosa senza aver mai conosciuto in precedenza altro di simile; anche se ne comprende la natura e ne gode, malgrado i suoi sforzi non saprebbe darle un nome né descriverla a parole. Se questo si verifica per cose percepite dai sensi, quanto più avviene per ciò che non è passato attraverso di essi! Questa, infatti, è la caratteristica del linguaggio di Dio: essendo moto intimo all’anima e spirituale, al di sopra di tutti i sensi, arresta immediatamente e riduce al silenzio tutta l’armonia e l’abilità dei sensi esterni e interni.

4. Nella sacra Scrittura si possono riscontrare diversi esempi e affermazioni a tale riguardo. Geremia dimostra l’impotenza di manifestarlo e di parlarne esteriormente, quando, dopo che Dio si fu rivolto a lui, seppe soltanto dire: Ah, ah, ah (Ger 1,6 Volg.). Mosè manifesta questa incapacità interiore, cioè dell’immaginazione, e insieme quella esteriore, o del linguaggio, quando si trova davanti a Dio che si è rivelato nel roveto ardente (Es 4,10). Non solo dice a Dio, con il quale si era intrattenuto, che non riesce più a parlare, ma addirittura, come si osserva negli Atti degli Apostoli (7,32), non osa nemmeno guardarlo; gli sembrava che la sua immaginazione fosse molto lontana e incapace di rappresentarsi qualcosa di ciò che poteva comprendere di Dio, come anche di farsene un’idea. Poiché la sapienza di questa contemplazione è il linguaggio di Dio all’anima, da puro spirito a spirito puro, tutto ciò che è inferiore allo spirito, come i sensi, non possono percepirlo; resta quindi un segreto per essi, che, in quanto sensi, non lo conoscono né possono esprimerlo; del resto non ne hanno alcun desiderio, perché non lo vedono.

5. Da ciò si può comprendere il motivo che induce alcune persone, pie ma timide, che percorrono questo cammino, a dar conto al loro direttore spirituale di ciò che sperimentano, ma non sanno esprimerlo, né lo possono. Non sapendo e non potendo farlo, provano grande ripugnanza a raccontare la loro esperienza, soprattutto quando la contemplazione è più semplice e la stessa anima l’avverte appena. Sanno dire soltanto di essere soddisfatte, tranquille e contente, oppure che sentono la presenza di Dio e che, a loro parere, sono sulla buona strada. Non riescono a esprimere ciò che l’anima sperimenta se non con termini generici, simili a quelli di cui ho parlato. La situazione è diversa quando si tratta di grazie particolari, come visioni, sentimenti, ecc. Poiché abitualmente questi favori si manifestano sotto qualche forma sensibile, se ne può parlare solo ricorrendo a questa forma sensibile o a qualcosa di simile. Ma proprio perché se ne può parlare, non si tratta di contemplazione pura, perché, come ho detto, essa è ineffabile e per questo si chiama segreta.

6. E non solo per questo si chiama ed è segreta, ma anche perché questa sapienza mistica ha la proprietà di nascondere l’anima in sé. Infatti, oltre agli effetti ordinari, a volte assorbe talmente l’anima e l’immerge nel suo abisso segreto, che l’anima si vede chiaramente molto lontana e separata da ogni creatura. Le sembra, allora, di trovarsi in una profonda e vasta solitudine, dove non ha accesso alcuna creatura umana; le sembra di essere come un immenso deserto che non ha confini, tanto più gustoso, piacevole e amabile, quanto più profondo, vasto e solitario. Ivi l’anima si sente tanto più segreta quanto più si vede elevata sopra ogni altra creatura umana. In quest’abisso di sapienza l’anima si eleva e cresce, dissetandosi alle acque della scienza d’amore. Ivi scopre non solo la bassezza della condizione umana rispetto alla conoscenza e alla scienza di Dio, ma vede altresì quanto imperfetti, insufficienti e impropri siano tutti i termini o le espressioni con cui in questa vita si parla delle cose divine. Comprende parimenti come sia impossibile, con l’aiuto dei mezzi e degli sforzi naturali, anche se utili ed elevati, conoscere e sentire le cose divine così come sono, senza la luce della mistica teologia. L’anima, illuminata da essa, vede questa verità, che non saprebbe raggiungere e meno ancora spiegare con termini volgari e umani; per questi motivi la chiama giustamente segreta.

7. La divina contemplazione ha la proprietà di essere segreta e al di sopra di ogni capacità umana, non solo perché è una realtà soprannaturale, ma anche in quanto è via che conduce l’anima alle perfezioni dell’unione con Dio. Ora, proprio perché queste sono realtà non conosciute umanamente, occorre incamminarsi verso di esse non sapendo nulla umanamente e ignorando tutto divinamente. Parlando infatti misticamente, come sto facendo, le cose e le perfezioni divine non si conoscono né si comprendono come sono, quando vengono cercate e sperimentate, ma solamente quando vengono possedute e sperimentate. Di questa sapienza divina il profeta Baruc dice: Nessuno conosce la sua via, nessuno pensa al suo sentiero (Bar 3,31). Anche il profeta reale, parlando con Dio del cammino dell’anima, si esprime in questi termini: I tuoi fulmini rischiararono il mondo, la terra tremò e fu scossa. Sul mare passava la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili (Sal 76,19.20).

8. Tutto questo, parlando spiritualmente, si può applicare a ciò che sto dicendo. Rischiara il mondo, infatti, la luce che questa contemplazione divina diffonde nelle potenze dell’anima; la terra che trema ed è scossa è la purificazione dolorosa che avviene in essa; e dire che la via e i sentieri di Dio, che l’anima percorre, passano sul mare e rimangono invisibili, significa che questa via per andare a Dio è talmente segreta e nascosta per i sensi dell’anima quanto lo è per quelli del corpo la scia sul mare, che è in conoscibile. È proprio di Dio restare sconosciuto nelle vie che imbocca, quando vuole attirare le anime a sé e condurle alla perfezione unendole alla sua sapienza. Per questo, volendo il libro di Giobbe esaltare l’azione di Dio, afferma: Conosci tu come la nube si libri in aria e i prodigi di colui che tutto sa? (Gb 37,16). Con tale espressione s’intendono le vie e i sentieri lungo i quali Dio eleva e perfeziona nella sua sapienza le anime, qui simboleggiate dalle nubi. È dimostrato, quindi, che questa contemplazione, che conduce l’anima a Dio, è sapienza segreta.

CAPITOLO 18

Ove si spiega come questa sapienza segreta sia anche scala.

1. Ci resta ora da vedere il secondo termine, cioè come questa sapienza segreta sia anche scala. Al riguardo dobbiamo sapere che per molte ragioni possiamo chiamare scala questa contemplazione segreta. Anzitutto perché, come mediante la scala si sale fino a raggiungere la sommità d’una fortezza, per impossessarsi dei beni, dei tesori e di tutte le ricchezze in essa nascoste, così attraverso questa contemplazione segreta, senza sapere come, l’anima prende a salire fino alla conoscenza e al possesso dei beni e dei tesori del cielo. Questo è quanto ci fa comprendere molto bene il profeta reale quando dice: Beato l’uomo che trova in te la sua forza: ha disposto nel suo cuore le ascensioni, dalla valle delle lacrime, nel luogo eletto. Siccome darà la benedizione il Legislatore, andranno di virtù in virtù, e in Sion si rivelerà il Dio degli dei (Sal 83,6-8 Volg.); il Signore è il tesoro della fortezza di Sion, egli è la beatitudine eterna.

2. In secondo luogo, possiamo chiamare scala questa contemplazione segreta perché, come i gradini della scala servono a salire e a scendere, così anche questa segreta contemplazione si serve di queste stesse comunicazioni per elevare l’anima a Dio e per umiliarla in se stessa. Difatti le vere comunicazioni, quelle che provengono da Dio, hanno la proprietà di elevare e nello stesso tempo di umiliare l’anima. In questo cammino spirituale discendere è salire e salire è discendere, perché chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato (Lc 14,11). Oltre al fatto che la virtù dell’umiltà è una grandezza per l’anima che vi si esercita, di solito Dio la fa salire per questa scala perché la discenda, e la fa scendere perché la risalga, affinché si compia ciò che dice il Saggio: Prima della caduta il cuore dell’uomo si esalta, ma l’umiltà viene prima della gloria (Pro 18,12).

3. Sposto ora il discorso sul piano naturale, perché quello spirituale non può essere indagato. Se l’anima vorrà riflettere su questo cammino, vedrà bene a quanti alti e bassi va soggetta e che, dopo il godimento di un periodo di prosperità, subentra subito quello della tempesta o della prova; vedrà, altresì, che le è stata concessa la bonaccia per prepararla e rafforzarla in vista delle tribolazioni successive; in breve, l’anima deve convincersi che alla miseria e alla tormenta fa seguito l’abbondanza e la pace: per questo motivo deve passare la vigilia nella prova, se vuole godere le gioie della festa. Questa è la norma ordinaria dello stato di contemplazione fino a quando l’anima non raggiunge lo stato di quiete; per dirla in una parola, l’anima non è mai nello stesso stato, non fa altro che salire e scendere.

4. Il motivo di questa norma sta nel fatto che lo stato di perfezione esige il perfetto amore di Dio e il disprezzo di sé, il che non può verificarsi senza conoscere Dio e se stessi. Perciò l’anima deve necessariamente esercitarsi prima in una, poi nell’altra conoscenza. Dapprima Dio le fa gustare il suo amore e la esalta, poi le consente di conoscere se stessa e la umilia, finché, acquistate le abitudini perfette, l’anima smette di salire e di scendere. Arrivata alla sommità di questa scala mistica, l’anima si unisce a Dio, a lui si aggrappa e in lui trova il suo riposo. Questa scala di contemplazione che, come ho detto, discende da Dio, è raffigurata dalla scala che Giacobbe vide in sogno e per la quale salivano e scendevano gli angeli da Dio verso l’uomo e dall’uomo verso Dio, che stava all’estremità di detta scala (Gn 28,12). La Scrittura dice che questo sogno avvenne di notte, mentre Giacobbe dormiva, per farci comprendere quanto segreta e diversa da ciò che l’uomo può immaginare sia questa via o ascesa che conduce a Dio. Prova ne è il fatto che ordinariamente si ritiene la peggiore delle sfortune ciò che è di grande profitto per l’uomo, come perdere o annientare se stesso; al contrario, si ritiene buona fortuna ciò che vale di meno, come le gioie e le consolazioni, ove generalmente ci si perde anziché guadagnare.

5. Ma ora voglio parlare un po’ dettagliatamente di questa scala mistica della contemplazione segreta. Il motivo principale per cui tale contemplazione viene qui chiamata scala sta nel fatto che essa è scienza d’amore, cioè conoscenza piena d’amore, infusa da Dio, che nello stesso tempo illumina e fa innamorare l’anima, fino a elevarla di gradino in gradino a Dio, suo creatore, dal momento che solo l’amore unisce definitivamente l’anima a Dio. Per maggior chiarezza indicherò qui i gradini di questa scala divina, accennando brevemente ai segni e agli effetti d’ognuno di essi, in modo che l’anima possa conoscere a quale grado è pervenuta. Li distinguerò in base ai loro effetti, come fanno san Bernardo e san Tommaso, perché non ci è possibile conoscerli in se stessi attraverso i mezzi naturali. Questa scala d’amore, come ho detto, è talmente segreta che solo Dio può conoscere il peso e la misura di questo amore.

CAPITOLO 19

Ove vengono esposti i primi cinque gradini della scala d’amore.

1. Dico subito che i gradini della scala d’amore, attraverso i quali l’anima sale progressivamente verso Dio, sono dieci. Il primo fa sì che l’anima si ammali, ma a suo vantaggio. Di questo grado d’amore parla la sposa quando dice: Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate il mio Diletto che cosa gli racconterete? Che sono malata d’amore! (Ct 5,8). Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio (Gv 11,4), in quanto l’anima, per amore di Dio, muore al peccato e a tutto ciò che non è Dio, come afferma Davide: L’anima mia viene meno nell’attesa della tua salvezza (Sal 118,81). Come il malato perde l’appetito, non prova più gusto per i cibi e perde il suo colorito naturale, così l’anima in questo grado d’amore perde il gusto e il desiderio di tutte le cose; innamorata di Dio, non si lascia più prendere dalle allettanti abitudini della vita passata. L’anima cade in questa infermità soltanto se dall’alto le viene comunicato un fuoco d’amore, come ci fa capire Davide quando dice: Pluviam voluntariam segregabis, Deus, haereditati tuae, et infirmata est, ecc.: Una pioggia generosa mettesti a parte, o Dio, per la tua eredità; questa era indebolita, ma tu l’hai ristorata (Sal 67,10 Volg.). questa infermità e questo venir meno davanti a tutte le cose create è il punto di partenza, il primo gradino per andare a Dio. L’ho già spiegato sopra quando ho parlato dell’annientamento in cui si trova l’anima allorché comincia a salire questa scala di purificazione quale si ha nella contemplazione; proprio allora l’anima non riesce a trovare gusto, sostegno, conforto o appoggio in nessuna cosa. Così essa abbandona subito il primo gradino per passare al secondo.

CAPITOLO 20

Ove vengono esposti gli altri cinque gradini.

1. Il sesto gradino fa sì che l’anima corra leggera verso Dio e abbia frequenti contatti con lui. Animata dalla speranza e fortificata dall’amore, senza stancarsi mai, l’anima vola con leggerezza verso Dio. Di questo grado dice Isaia: I santi che sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, procedono senza stancarsi (Is 40,31), come accadeva nel quinto grado. A questo sesto grado si riferisce anche il Salmo 41,2: Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. Il cervo assetato, infatti, corre leggero verso l’acqua. Il motivo di questa leggerezza d’amore posseduta dall’anima in questo sesto grado è dovuta al fatto che l’amore in lei è molto cresciuto, e anche perché è quasi del tutto purificata, come dicono il Salmo 58,5 (Volg.): Sine iniquitate cucurri: Io corsi e regolai i miei passi senza iniquità, e l’altro Salmo 118,32: Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore. Da questo sesto gradino si passa, quindi, immediatamente al settimo, che è il seguente.

2. Il settimo gradino di questa scala rende l’anima molto audace. A questo punto l’amore non si avvale del ragionamento per sperare, né del consiglio per desistere, né si lascia bloccare dal rispetto umano, perché i favori che Dio ha concesso all’anima la rendono oltremodo ardita. L’Apostolo, infatti, conferma questa verità con le parole seguenti: La carità tutto crede, tutto spera, tutto può (1Cor 13,7). Di questo settimo grado parlava Mosè quando chiedeva a Dio di perdonare il peccato del popolo… se no, cancellami dal libro della vita che hai scritto (Es 32,31-32). A questo livello le anime ottengono da Dio ciò che a loro piace chiedergli. Per questo Davide dice: Cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore (Sal 36,4). Una volta pervenuta a questo grado la sposa osò dire: Osculetur me osculo oris sui!: Oh, mi baciasse col bacio della sua bocca! (Ct 1,1 Volg.). A ogni modo qui non è consentito all’anima essere così ardita se non sente il favore interiore dello scettro del re rivolto verso di lei (Est 5,2 Volg.), affinché non le capiti di cadere dagli altri gradini saliti fino a quel momento, nei quali deve mantenersi sempre umile. Al settimo gradino, ove Dio concede audacia e aiuto all’anima perché si rivolga a lui con tutta la veemenza dell’amore, segue l’ottavo. Qui l’anima è afferrata dall’Amato e a lui unita, come viene detto qui sotto.

3. L’ottavo gradino d’amore fa sì che l’anima afferri e si stringa all’Amato senza mai più lasciarlo, come dice di sé la sposa: Quando trovai l’Amato del mio cuore, lo strinsi fortemente, e non lo lascerò (Ct 3,4). In questo grado d’unione l’anima soddisfa il suo desiderio, anche se non in maniera continua, perché alcuni arrivano a porvi il piede, ma poi lo ritirano. Se l’abbraccio con Dio perdurasse, l’anima godrebbe di una certa gloria già in questa vita, perciò quest’unione già in questa vita, perciò quest’unione con Dio dura brevi momenti. Al profeta Daniele, uomo di grandi desideri, il Signore ordinò di restare in questo grado con le seguenti parole: Daniele, uomo dei desideri, resta in questo grado d’amore dove sei (cfr. Dn 10,1 Volg.). A questo gradino segue il nono, quello dei perfetti, come si vedrà subito.

4. Il nono gradino fa sì che l’anima arda di tenero amore per Dio. È la condizione dei perfetti, che già bruciano d’amore soave per Dio. È lo Spirito Santo che, in virtù della loro unione con Dio, comunica loro quest’amore pieno di soavità e di delizie. San Gregorio Magno dice che quando lo Spirito Santo scese visibilmente sugli apostoli, questi arsero interiormente d’amore soave. È impossibile descrivere i doni e le ricchezze divine che l’anima gode in questa condizione; anche se si scrivessero molti libri su questo argomento, resterebbe ancora molto da esporre. Per questo motivo ora non dico nulla, anche perché dirò qualcosa più avanti. Qui dico solo che a questo gradino segue il decimo e ultimo gradino della scala d’amore, il quale, però, non appartiene più alla vita presente.

5. Il decimo e ultimo gradino della scala segreta d’amore fa sì che l’anima venga assimilata totalmente a Dio, perché lo contempla com’egli è e lo possiede immediatamente. Una volta pervenuta in questa vita al nono grado, l’anima non ha che da lasciare il corpo. Sono poche le anime che pervengono a queste altezze. Radicalmente purificate dall’amore, non passano neanche per il purgatorio. Per questo motivo san Matteo afferma: Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt, ecc.: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,8). Ora, come dicevo, questa visione è la causa della totale somiglianza tra l’anima e Dio, secondo quanto afferma san Giovanni: Sappiamo che noi saremo simili a lui (1Gv 3,2). Tale espressione non va intesa nel senso che l’anima sarà potente quanto Dio, ciò che è impossibile, ma nel senso che diventerà in tutto simile a Dio; così si chiamerà e sarà Dio per partecipazione.

6. Questa è la segreta scala di cui parla l’anima nella seconda strofa. In verità, in questi ultimi gradini, la scala non è più segreta per l’anima, perché l’amore produce in lei effetti tanto grandi da rivelare meraviglie divine. Una volta raggiunto l’ultimo gradino, quello della chiara visione di Dio, l’ultimo della scala ove è Dio, come ho già detto, non vi è nulla di nascosto per l’anima, perché ormai è totalmente assimilata a Dio. Per questo il Signore afferma: In quel giorno non mi domanderete più nulla… (Gv 16,23). Ma fino a quel giorno, per quanto elevata possa essere l’anima, le rimane nascosto qualcosa, esattamente in proporzione a quanto le manca per essere perfettamente simile alla divina Essenza. In tal modo, per mezzo della teologia mistica e di quest’amore segreto, l’anima si eleva al di sopra di tutte le cose create e di se stessa e ascende a Dio. L’amore infatti è come il fuoco, tende sempre verso l’alto, desideroso di raggiungere il centro della sua sfera.

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