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S.Giovanni della Croce: LA NOTTE OSCURA

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2009 10:09
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24/09/2009 10:55
 
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CAPITOLO 21


Ove si spiega la parola «travestita» e vengono indicati i colori del travestimento dell’anima in questa notte.


1. Dopo aver spiegato il motivo per cui l’anima chiama questa contemplazione scala segreta, non resta che spiegare la terza parola del verso, cioè travestita, e dire anche il motivo per cui l’anima è uscita per la segreta scala, travestita.

2. Per una maggiore comprensione di quanto sto dicendo, occorre ricordare che travestirsi significa dissimularsi, nascondersi sotto un vestito diverso da quello che abitualmente s’indossa, o per mostrare esternamente, con quel vestito, il desiderio di conquistare le grazie e l’affetto della persona amata, o per sottrarsi agli sguardi dei propri rivali e realizzare meglio le proprie imprese. Per questo si scelgono i vestiti e le livree che meglio rivelano i sentimenti del proprio cuore, o quelli con i quali ci si nasconde meglio agli avversari.

3. L’anima, dunque, ferita dall’amore per Cristo suo sposo, desidera entrare nelle sue grazie e conquistarne la volontà. Così essa esce travestita con quel costume che rappresenta al meglio gli affetti del suo cuore e la protegge con maggior sicurezza dai suoi avversari e nemici, cioè il demonio, il mondo e la carne. La livrea che indossa ha tre colori principali; il bianco, il verde e il rosso. Essi simboleggiano le tre virtù teologali: la fede, la speranza e la carità. Forte di esse, l’anima non solo conquisterà la grazia e la volontà del suo Amato, ma sarà anche al sicuro dai suoi tre nemici. La fede, infatti, è una tunica interiore di tale candore da abbagliare la vista di qualsiasi intelletto. Se, allora, l’anima va in giro rivestita di fede, non può essere vista né tanto meno raggiunta dal demonio, perché con questa virtù, più che con tutte le altre, è maggiormente al sicuro dal diavolo, il nemico più temibile e astuto che ci sia.

4. San Pietro non trovò aiuto migliore della fede per liberarsi dal maligno, quando disse: Cui resistite fortes in fide: Resistetegli saldi nella fede (1Pt 5,9). Per ottenere la grazia e l’unione con l’Amato, l’anima non può avere miglior abito interiore di quello del vestito bianco della fede, principio e fondamento degli altri vestiti delle virtù. Infatti senza di essa, come dice la Scrittura, è impossibile piacere a Dio (Eb 11,6), e con essa è impossibile non piacergli. Il Signore stesso conferma questa verità per mezzo del profeta Osea: Desponsabo te mihi in fide (Os 2,22), come a dire: O anima, se vuoi unirti a me e sposarmi, occorre che venga vestita interiormente di fede.

5. L’anima indossava questo vestito bianco della fede quando uscì dalla notte oscura della contemplazione; proprio allora, come si diceva prima, avanzava tra le tenebre e le angosce interiori; il suo intelletto non le dava alcun sollievo con la sua luce né dall’alto, perché il cielo gli sembrava chiuso e Dio nascosto, né dal basso, perché tutti gli insegnamenti non la soddisfacevano. Ciò nonostante, l’anima sofferse con costanza e perseverò, sopportando quelle angosce senza deludere e senza mancare all’appuntamento con l’Amato. Questi, in realtà, voleva provare la fede della sua sposa per mezzo delle sofferenze e delle tribolazioni, in modo che essa potesse poi ripetere in tutta verità ciò che Davide afferma: Seguendo la parola delle tue labbra ho camminato per sentieri difficili (Sal 16,4 Volg.).

6. Sopra questa tunica bianca della fede l’anima indossa un secondo vestito di colore verde. Questo, come ho detto, simboleggia la virtù della speranza, per mezzo della quale l’anima si libera e si difende soprattutto dal mondo, suo secondo nemico. Il verde di questa speranza viva in Dio conferisce all’anima tanta forza, coraggio e slancio verso le cose della vita eterna, che l’universo intero le appare com’è in realtà, cioè arido, vuoto, morto, privo di qualsiasi valore rispetto a quanto spera lassù in cielo. Quaggiù sulla terra si spoglia di tutti i vestiti e le livree del mondo, non riponendo il suo cuore in nulla, né si aspetta niente da quello che c’è o ci sarà sulla terra; vive rivestita solo della speranza della vita eterna. Così, tenendo il cuore assai elevato rispetto al mondo, questo non solo non la può toccare o avvincere, ma neppure sfiorare.

7. Con questo travestimento e la livrea verde della speranza l’anima è al sicuro dal mondo, suo secondo nemico. Difatti san Paolo chiama la speranza elmo della salvezza (1Ts 5,8): l’elmo è l’armatura che difende e copre la testa in modo da lasciare scoperta solo una parte del viso perché si possa vedere. La speranza copre anche tutti i sensi della testa dell’anima, in modo che non si ingolfino in alcuna cosa del mondo e siano protetti dalle frecce di questa vita. Le lascia libera solo la visiera perché l’occhio possa guardare verso l’alto e non altrove. Questo è il compito abituale della speranza nell’anima, che leva gli occhi al cielo per guardare solo Dio, come dice di aver fatto Davide: Oculi mei semper ad Dominum: I miei occhi sono rivolti sempre al Signore (Sal 24,15). Del resto egli non sperava nessun altro bene, come dice altrove: Ecco, come gli occhi della schiava alla mano della sua padrona, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noi (Sal 122,2) che abbiamo sperato in lui.

8. Rivestita di questa livrea verde, l’anima ha sempre lo sguardo rivolto a Dio; perciò distoglie i suoi occhi da qualsiasi altra cosa e si aggrappa solo a Dio. In questo modo si rende così gradita all’Amato da ottenere realmente ciò che da lui spera. Questo è il motivo per cui lo Sposo del Cantico le dice che con un solo suo sguardo gli ha rapito il cuore (Ct 4,9). Senza questa livrea verde della speranza in Dio solo non era opportuno che l’anima uscisse per raggiungere il suo amore, perché non avrebbe ottenuto nulla: ciò che muove Dio e ottiene da lui ogni cosa è la ferma speranza.

9. Travestita con questa livrea di speranza, l’anima avanza in questa segreta e oscura notte di cui ho parlato. Libera da ogni possesso, facendo a meno di ogni appoggio, volge i suoi sguardi e il suo affetto solo a Dio, cacciando nella polvere la bocca, caso mai ci fosse ancora speranza (Lam 3,29), secondo l’espressione di Geremia riportata sopra.

10. Insieme al bianco e al verde, per completare e perfezionare questo travestimento, l’anima indossa il terzo colore che è una splendida toga rossa, simbolo della carità, terza virtù teologale. Questo colore non solo conferisce grazia agli altri due colori, ma eleva senza indugio l’anima tanto da renderla bella e piacevole agli occhi di Dio, ragion per cui ella osa dire: Bruna sono ma bella, o figlie di Gerusalemme! Sono bella e per questo il re mi ha amata e mi ha introdotta nelle sue stanze (Ct 1,5 e 4). Con questa livrea della carità che è quella dell’amore, l’anima suscita maggior diletto nell’Amato. Non solo, ma si difende e si mette al riparo dalla carne, suo terzo nemico (perché dove c’è vero amore di Dio non c’è amore di sé né interesse personale), ma rafforza anche le altre virtù. In breve, la carità conferisce a queste vigore e forza a difesa dell’anima e grazia e leggiadria per piacere all’Amato; senza la carità, infatti, nessuna virtù è bella davanti a Dio. Essa è quella porpora, di cui parla il Cantico (3,10), sulla quale il Signore si adagia quando scende nell’anima. Proprio di questa rossa livrea l’anima è vestita, quando, come ha affermato nella prima strofa, nella notte oscura esce da sé e da tutte le cose create, con ansie, dal mio amor tutta infiammata, attraverso la segreta scala della contemplazione, verso l’unione perfetta dell’amore di Dio, sua amata salvezza.

11. Questo è, dunque, il travestimento che l’anima dice d’indossare nella notte della fede quando sale i gradini della scala segreta. Questi sono, altresì, i suoi tre colori, che costituiscono la migliore disposizione per l’unione dell’anima con Dio nelle sue tre facoltà: intelletto, memoria e volontà. La fede, infatti, ottenebra l’intelletto e lo priva di tutta la sua intelligenza naturale, disponendolo così a unirsi alla Sapienza divina. La speranza fa il vuoto nella memoria e la separa dal possesso di ogni cosa creata, perché, come dice san Paolo, la speranza ha per oggetto le cose non possedute (cfr. Rm 8,24-25). Essa, quindi, distacca la memoria da ciò che può possedere e la colloca in ciò che essa spera. Per questo solo la speranza in Dio dispone la memoria, in maniera pura, all’unione divina. Ugualmente, la carità purifica la volontà dagli affetti e dagli appetiti sregolati relativamente a tutto ciò che non è Dio, per concentrarli su lui solo. In questo modo tale virtù dispone la volontà all’unione d’amore con Dio. In definitiva, poiché queste virtù mirano a staccare l’anima da tutto ciò che è inferiore a Dio, tendono anche a unirla a lui.

12. Se, dunque, non si è davvero rivestiti di queste tre virtù, è impossibile arrivare alla perfezione dell’amore di Dio. Di conseguenza, se l’anima vuole raggiungere il suo scopo, cioè l’unione piena d’amore e di dolcezza con il suo Amato, ha assoluto bisogno di travestirsi con quest’abito. Essere riuscita a rivestirsi e a perseverare con quell’abito fino al raggiungimento della meta tanto desiderata, qual è l’unione d’amore, è stata per lei una grande felicità, e per questo dice: oh, sorte fortunata!

CAPITOLO 22

Ove si spiega il terzo verso della seconda strofa.

1. È fuori dubbio che per l’anima è stata una sorte fortunata riuscire in un’impresa così importante, cioè liberarsi dal demonio, dal mondo e dalla sua stessa sensualità. Per questo motivo ha raggiunto la libertà di spirito preziosa e da tutti desiderata; è salita dalle zone basse verso l’alto, da terrena è diventata celeste e da umana divina, raggiungendo la sua patria che è il cielo (Fil 3,20), come avviene nello stato di perfezione dell’anima, che descriverò più avanti, anche se brevemente.

2. La cosa più importante, infatti, e che mi ero proposto, era quella di spiegare questa notte a molte anime che vi si trovano immerse senza saperlo, come è detto nel Prologo. Tutto questo ormai è abbastanza chiaro e comprensibile, anche se non in tutta la sua realtà. Ho già indicato quali ricchezze l’anima acquista in questo stato e quanto sia fortunata la sorte verso la quale cammina, di modo che, se si spaventa di fronte a sofferenze così terribili, trova il coraggio nella ferma speranza di numerosi e preziosi beni che Dio le concederà di ottenere. Ma oltre a questo l’anima ebbe sorte fortunata ancora per un altro motivo, di cui parla il verso seguente: al buio e ben celata.

CAPITOLO 23

Ove si parla del mirabile nascondiglio in cui si trova l’anima in questa notte e come il demonio non riesca a entrare in esso, sebbene entri in altri più reconditi.

1. Ben celata equivale a dire: di nascosto, al riparo. Quando, dunque, l’anima dice che uscì al buio e ben celata è per far meglio comprendere la completa sicurezza di cui ha parlato nel primo verso di questa strofa e di cui gode lungo il cammino dell’unione d’amore con Dio con il favore dell’oscura contemplazione. Dire, quindi, che l’anima è uscita nel buio e ben celata equivale a dire che, sebbene cammini al buio, procede però riparata e nascosta al demonio, alle sue astuzie e alle sue insidie.

2. Il motivo per cui l’anima procede libera e nascosta alle insidie del demonio nell’oscurità di questa contemplazione è che la contemplazione infusa, che ha raggiunto, viene data passivamente e segretamente all’anima senza il concorso dei sensi e delle potenze interiori o esteriori della parte sensitiva. Ne segue che essa procede non solo di nascosto alle potenze e al riparo dagli ostacoli che potrebbe opporgli la debolezza naturale, ma anche dal demonio che non può scoprire nulla di quanto accade nell’anima se non attraverso le sue facoltà sensitive. Così, quanto più le comunicazioni sono spirituali, interiori e lontane dai sensi, tanto meno il demonio può comprenderle.

3. È, quindi, molto importante per la sicurezza dell’anima che il suo rapporto intimo con Dio sia tale che i sensi della parte inferiore rimangano all’oscuro, lo ignorino e non ne siano a conoscenza. In primo luogo, la debolezza della parte sensitiva non sarà di ostacolo alla libertà di spirito e la comunicazione spirituale potrà essere più abbondante; in secondo luogo, poiché, come sto dicendo, il demonio non può penetrare in una parte così intima, l’anima procede più sicura. Al riguardo possiamo interpretare in senso spirituale quell’affermazione del Signore: Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra (Mt 6,3). È come se dicesse: ciò che accade nella destra, cioè nella parte superiore e spirituale dell’anima, resti sconosciuto alla sinistra, cioè avvenga in modo che la parte inferiore della tua anima, che è quella sensitiva, lo ignori; tale comunicazione resti un segreto tra lo spirito e Dio.

4. È vero che spesso, quando nell’anima ci sono o passano queste comunicazioni spirituali molto interiori e segrete, il demonio, pur non conoscendo quali siano né come avvengano, si rende perfettamente conto che essa sta ricevendo qualche bene, a motivo della grande calma e del profondo silenzio che alcune di esse provocano nei sensi e nelle potenze della parte sensitiva. E allora, vedendo che non può opporsi per il fatto che esse avvengono nel profondo dell’anima, fa quanto gli è possibile per sconvolgere e turbare la parte sensitiva, che può raggiungere facilmente. Suscita in questa dolori, orribili fantasmi, paure, allo scopo di togliere la calma e turbare così la parte superiore e spirituale dell’anima, distogliendola da quei beni che sta ricevendo e godendo. Molte volte, però, quando la comunicazione di questa contemplazione investe di purezza lo spirito e gli immette forza, il demonio non riesce a turbarla, anzi l’anima ne ricava un ulteriore vantaggio e una pace maggiore e più sicura. Difatti, avvertendo la molesta presenza del nemico, l’anima – cosa degna di nota! – senza sapere come avvenga e senza far nulla da parte sua, entra nella parte più intima del suo spirito come in un rifugio sicuro; lì si accorge di essere molto lontana dal nemico e ben protetta, e sente aumentare la pace e la gioia che il nemico voleva rapirle. E allora svaniscono tutte le paure che provenivano dall’esterno; di questo l’anima si accorge con molta lucidità. Così si rallegra di poter godere con tanta sicurezza di quella pace dello Sposo nascosto, piena di dolcezze e di soavità, che il mondo e il demonio non possono dare né togliere. A questo punto conosce per esperienza la verità di quanto la sposa dice nel Cantico a tale proposito: Ecco la lettiga di Salomone, sessanta forti le stanno intorno… contro i pericoli della notte (Ct 3,7-8). Ha coscienza della sua forza e della sua pace, anche se molto spesso sente la sua carne e le sue ossa tormentate dall’esterno.

5. Altre volte, quando la comunicazione non viene infusa esclusivamente nello spirito ma vi partecipano anche i sensi, con più facilità il demonio riesce a turbare e sconvolgere lo spirito, terrorizzandolo, tramite i sensi. Provoca, allora, tormento e pena nello spirito, a volte molto più profondi di quanto sia possibile dire. Poiché il combattimento avviene tra due spiriti, l’orrore che il cattivo provoca nel buono, cioè nell’anima, è intollerabile quando questa viene raggiunta dal turbamento. Ciò è quanto riferisce la sposa del Cantico, la quale ha sperimentato questo tormento quando ha voluto addentrarsi nel raccoglimento interiore per godere di questi beni: Nel giardino dei noci io sono scesa, per vedere il verdeggiare della valle, per vedere se la vite metteva germogli, se fiorivano i melograni; non lo so, il mio desiderio fu turbato per i carri di Amminadib (Ct 6,11-12), cioè dal demonio.

6. Capita, a volte, quando Dio si serve dell’angelo buono, che certi favori accordati all’anima siano noti al demonio. Costui s’accorge, infatti, di alcune di queste grazie, perché Dio abitualmente permette che il maligno venga a conoscenza soprattutto di quelle che egli concede all’anima per mezzo dell’angelo buono. Questo perché il maligno vi si possa opporre con tutte le forze, nei limiti della giustizia, e non abbia motivo d’invocare i propri diritti dicendo che non gli è stato permesso di conquistare l’anima, come avvenne nel caso di Giobbe (1,9; 2,4-8). Questo accadrebbe se Dio non permettesse che nei confronti dell’anima ci fosse una certa parità tra i due avversari, cioè tra l’angelo buono e quello cattivo; così la vittoria di uno dei due sarà più gloriosa, e l’anima che risulterà vittoriosa e fedele nella tentazione avrà un premio più grande.

7. Occorre, dunque, notare che questo è il motivo per cui Dio permette al demonio di agire nei confronti dell’anima, nella stessa misura e modo con cui egli, Dio, la guida o si comporta con essa. Perciò se l’anima, mediante l’angelo buono, è favorita di visioni vere – le quali di solito vengono accordate mediante lui, anche se raffigurano il Cristo, che non appare quasi mai di persona –, Dio permette anche all’angelo cattivo di presentare visioni false, e queste visioni, essendo verosimili, possono facilmente gettare nell’inganno l’anima imprudente, come è già accaduto molte volte. Ne abbiamo una prova nell’Esodo (7,11-12.22; 8,3.14), dove si racconta che tutti i prodigi compiuti da Mosè erano contraffatti dai maghi del faraone. Se egli faceva comparire le rane nel paese d’Egitto, per esempio, anch’essi le facevano comparire; se trasformava l’acqua in sangue, i maghi facevano altrettanto.

8. Ma il demonio non imita solo questo genere di visioni corporali; s’insinua anche nelle comunicazioni spirituali provenienti dall’angelo buono; riesce a vederle, come si è detto. Difatti Giobbe dice del maligno: Omne sublime videt: Vede tutte le cose sublimi (Gb 41,25 Volg.), le imita e vi s’intromette. Tuttavia, poiché queste comunicazioni spirituali (per loro natura) non hanno né forma né figura, egli non può imitarle e dare loro una forma, come invece fa per le altre che si presentano sotto qualche immagine o rassomiglianza materiale. E così, per contrastarle, presenta – allo stesso modo impiegato dall’angelo buono – uno spirito pieno di terrore, onde distruggere uno spirito con un altro spirito. Quando ciò avviene, nel momento in cui l’angelo buono sta per comunicare all’anima la contemplazione spirituale, essa non ha il tempo di ritirarsi nel segreto della contemplazione così da non farsi vedere dal demonio. Questi, con la sua presenza, le ispira paure e turbamenti spirituali, a volte molto penosi. Tuttavia l’anima alcune volte può liberarsene in fretta, senza che lo spirito maligno abbia il tempo d’ingenerarle impressioni di terrore. Ella trova rifugio dentro di sé, favorita validamente e soccorsa spiritualmente dall’angelo buono.

9. Altre volte prevale il demonio, e l’anima viene invasa dal turbamento e dal terrore, che le provocano una pena maggiore di qualsiasi altro tormento in questa vita. Difatti, poiché questo terrore viene comunicato da uno spirito a un altro spirito in modo chiaro e alieno da tutto ciò che è corporeo, è più straziante del dolore dei sensi. Dura alquanto, ma non troppo, perché se la prova si prolungasse, lo spirito si staccherebbe dal corpo, talmente straziante è il tormento comunicato dallo spirito maligno. In seguito resta il ricordo che di per sé basta a rinnovarle la grande pena.

10. Tutto ciò che ho detto avviene nell’anima passivamente, senza che essa possa farvi nulla, né pro né contro. Però è bene ricordare che quando l’angelo buono lascia al demonio il vantaggio di raggiungere l’anima per insinuarle questi sentimenti di terrore spirituale, lo fa per purificarla. In realtà egli intende disporla attraverso questa preparazione spirituale a qualche grande festa o grazia interiore che le vuole accordare. È così che agisce colui che mortifica per dare la vita e umilia solo per esaltare (cfr. 1Re 2,6-7). L’anima non tarda a farne l’esperienza: quanto più la purificazione è stata tenebrosa e terribile, tanto più la contemplazione spirituale di cui ora gode è bellissima e piena di dolcezze; questa grazia a volte è tanto sublime da non potersi descrivere a parole. Il terrore provocato dallo spirito cattivo ha affinato talmente l’anima da disporla a un bene tanto grande. Queste visioni spirituali, infatti, appartengono più all’altra vita che a questa e sono tali che l’una prepara all’altra.

11. Quanto ho esposto si applica al caso in cui Dio visita l’anima per mezzo dell’angelo buono; si riferisce anche ai periodi in cui l’anima non si trova del tutto al buio e ben celata, così da impedire al nemico di attaccarla. Ma quando è Dio in persona a farle visita, allora si realizza pienamente il verso suddetto, perché, immersa completamente al buio e ben celata al nemico, riceve le grazie spirituali da Dio. Il motivo sta nel fatto che sua Maestà dimora sostanzialmente nell’anima, ove né l’angelo né il demonio possono riuscire a comprendere quanto accade o a conoscere le comunicazioni intime e segrete che avvengono tra Dio e l’anima. Poiché è Dio stesso che concede tali comunicazioni, esse sono del tutto divine; sono tocchi sostanziali di unione divina tra l’anima e Dio. Siccome si è di fronte al più alto grado di orazione, basta un solo tocco a comunicare all’anima più beni che tutto il resto.

12. Questi sono i tocchi che la sposa chiede all’inizio del Cantico: Osculetur me osculo oris sui: Oh, mi baciasse col bacio della sua bocca! (Ct 1,1 Volg.), ecc. Poiché si tratta di un’esperienza così intima che avviene tra Dio e l’anima e del bene verso cui l’anima anela arrivare con ansie d’amore, desidera e stima questo tocco divino più di tutte le altre grazie che potrebbe ricevere da Dio. Per questo, insoddisfatta delle molte grazie enumerate nel Cantico, già ricevute, chiede questi tocchi divini nei seguenti termini: Oh, se tu fossi mio fratello, allattato al seno di mia madre! Trovandoti fuori ti potrei baciare e nessuno potrebbe disprezzarmi! (Ct 8,1). Con queste parole l’anima vuol far capire quanto abbia desiderato che la comunicazione fosse per lei sola, come dicevo, al di fuori e all’insaputa di tutte le creature. Questo significano le parole trovandoti fuori, cioè soffocando gli appetiti e gli affetti della parte sensitiva (questo favore si ha quando l’anima, godendo della libertà di spirito, senza che la parte sensitiva o il demonio possano impedirglielo, gusta la soavità e la pace intima procurate da questi beni). Il demonio, allora, non osa attaccarla, perché non potrebbe raggiungerla né riuscirebbe a comprendere questi tocchi divini che fondono l’amorosa sostanza di Dio, piena d’amore, alla sostanza dell’anima.

13. Nessuno giunge a questo bene se non attraverso un intimo spogliamento, la purificazione spirituale e l’abnegazione di ogni cosa creata. Tutto ciò avviene al buio, come ho diffusamente spiegato sopra e come ancora dirà a proposito di questo verso: ben celata, cioè di nascosto. In questo nascondimento, ripeto, l’anima si rafforza nell’unione con Dio nel segno dell’amore. Per questo nel verso canta: al buio e ben celata.

14. Quando l’anima riceve quelle grazie in maniera ben celata, cioè solo nello spirito, di solito, senza sapere come, ritrova la parte superiore di se stessa tanto lontana e separata dalla parte inferiore e sensitiva da ritenerle molto distinte tra loro. Le sembra che non abbiano niente a che vedere l’una con l’altra, tanto esse sono vicendevolmente lontane e distanti. In verità, in un certo senso, è proprio così; difatti l’operazione che si compie, essendo del tutto spirituale, non ha alcun rapporto con la parte sensitiva. Così l’anima diventa a poco a poco tutta spirituale e nel segreto della contemplazione unitiva mette a tacere quasi totalmente le passioni e gli appetiti spirituali. Per questo, parlando della sua parte superiore, l’anima proferisce subito l’ultimo verso: stando la mia casa al sonno abbandonata.

CAPITOLO 24

1. Ciò equivale a dire: quando la parte superiore della mia anima, come quella inferiore, si trovò acquietata nelle sue operazioni e facoltà, uscii verso la divina unione d’amore con Dio.

2. Ricordo che, come per mezzo della guerra della notte oscura l’anima è vagliata e purificata a due livelli – cioè nella parte sensitiva e in quella spirituale, con i loro sensi, potenze e passioni –, allo stesso modo l’anima ora riesce a ottenere pace e sollievo in due modi, cioè nella sua parte sensitiva e in quella spirituale, con tutte le potenze e gli appetiti. Per questo ripete due volte lo stesso verso, nella prima e nella seconda strofa, proprio perché due sono le parti dell’anima, quella spirituale e quella sensitiva; per poter camminare verso l’unione divina d’amore, devono prima essere riformate, ordinate e acquietate entrambe dal punto di vista sensitivo e spirituale, conformemente allo stato originale d’innocenza posseduto da Adamo. Questo verso, quindi, che nella prima strofa si riferisce al riposo della parte inferiore e sensitiva, in questa seconda strofa si riferisce in modo particolare alla parte superiore e spirituale. Per questo motivo è ripetuto due volte.

3. Per quanto è possibile in questa vita, l’anima consegue la quiete e la pace della sua casa spirituale, in maniera abituale e perfetta, mediante l’azione dei tocchi sostanziali dell’unione or ora descritti. Sono tocchi che riceve da Dio al sicuro e ben nascosta dai turbamenti del demonio, dei sensi e delle passioni. In questi tocchi l’anima è stata gradualmente purificata, acquietata, fortificata e resa capace di ricevere stabilmente l’unione di cui sto parlando, cioè lo sposalizio spirituale tra l’anima e il Figlio di Dio. Appena queste due case dell’anima riescono a calmarsi e fortificarsi, insieme con i loro familiari che sono le potenze e gli appetiti, immergendosi nel sonno silenzioso circa ogni bene celeste e terreno, immediatamente la Sapienza divina si unisca all’anima con un nuovo vincolo di possesso d’amore. Si verifica, allora, ciò che dice il libro della Sapienza: Dum quietum silentium tenerent omnia, et nox in suo cursu medium iter haberet, omnipotens sermo tuus, Domine, a regalibus sedibus…: Mentre un quieto silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dai troni regali… (Sap 18,14-15). La stessa cosa fa capire la sposa del Cantico, quando dice che, dopo aver incontrato le guardie notturne che la percossero, la ferirono e le tolsero il mantello (Ct 5,7), trovò l’Amato del suo cuore (Ct 3,4).

4. Non si può pervenire a quest’unione senza una grande purezza, ma questa purezza non si raggiunge senza un totale spogliamento di ogni cosa creata e senza un’intensa mortificazione. Questo è significato dal mantello che viene tolto alla sposa e dalle ferite che riceve nella notte in cui si mette alla ricerca dello Sposo; non poteva infatti indossare il nuovo vestito nuziale che desiderava, senza prima togliersi il vecchio. Chi, dunque, rifiutasse di uscire nella notte suddetta in cerca dell’Amato ed essere spogliato e mortificato nella sua volontà, e volesse cercarlo nella tranquillità del suo letto, come faceva la sposa, non lo troverebbe; quest’anima, invece, dice che l’ha trovato, uscendo in una notte oscura, / con ansie, dal mio amor tutta infiammata.

CAPITOLO 25

Ove viene spiegata brevemente la terza strofa.

Terza strofa

Nella gioiosa notte,

in segreto, senza esser veduta,

senza veder cosa,

né altra luce o guida avea

fuor quella che in cuor mi ardea.

Spiegazione

1. L’anima, mentre continua la metafora e il parallelo tra la notte naturale e quella spirituale, ne enumera ed esalta le eccellenti proprietà. È con il favore della notte di contemplazione che essa le ha scoperte e se n’è impossessata per raggiungere, in breve tempo e con sicurezza, lo scopo desiderato. Enumera tre di queste proprietà.

2. La prima, dice l’anima, consiste nel fatto che in questa notte fortunata Dio la conduce per un cammino di contemplazione così solitario e segreto, così lontano ed estraneo ai sensi, che nulla di quello che le appartiene né creatura alcuna sono in grado d’influenzarla al punto di ostacolarla o frenarla nella via dell’unione d’amore.

3. La seconda proprietà è data dalle tenebre spirituali di questa notte, per cui tutte le potenze della parte superiore dell’anima sono al buio. Perciò l’anima non vede né può vedere nulla, né si ferma in nulla che non sia Dio, ma va diritto a lui. Ormai è libera da tutti gli ostacoli, forme, figure o conoscenze naturali che abitualmente le impediscono l’unione con l’essere eterno di Dio.

4. La terza è questa: l’anima non è più attaccata a qualche particolare luce interiore dell’intelletto né ad alcuna guida esterna per riceverne qualche conforto lungo questo arduo cammino; al contrario, in queste dense tenebre è privata di tutto questo. Solo l’amore, che arde in lei lungo tutto questo tempo, la spinge a offrire il suo cuore all’Amato, la muove, la guida e le consente di spiccare il volo verso il suo Dio attraverso il cammino della solitudine, senza sapere come ciò avvenga.

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