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Sacerdoti, riscopriamo insieme l'uso degli ABITI LITURGICI e della stessa LITURGIA SACRA

Ultimo Aggiornamento: 15/02/2012 11:18
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07/10/2010 19:04
 
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La formazione liturgica dei sacerdoti

Per una celebrazione
degna e decorosa


La  missione  del  prete  nella  missione della  Chiesa  (a  cura  di  Markus Graulich e Jesu Pudumai Doss, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 284, euro 18) è il titolo di un volume, con prefazione del cardinale Cláudio Hummes, uscito a conclusione dell'Anno sacerdotale. Pubblichiamo ampi stralci del capitolo ix, dedicato alla formazione liturgica dei presbiteri, a firma del presidente della Pontificia Accademia di Teologia.

di Manlio Sodi

Sull'onda del movimento liturgico, il xx secolo è passato alla storia come il secolo dell'Eucaristia, nel senso che la progressiva riscoperta della partecipazione ai santi misteri ha fatto sì che la loro celebrazione fosse approfondita sotto vari aspetti. La confluenza di questo fiume di idee e di eventi ha dato vita alla riforma più profonda e radicale che la storia della liturgia abbia mai conosciuto, quella voluta dal concilio Vaticano ii. Dalla Sacrosanctum concilium in poi possiamo affermare che con la riforma liturgica è stata scritta la pagina senza dubbio più ampia ed eloquente circa l'Eucaristia.

I successivi interventi non hanno fatto altro che proporre approfondimenti, precisazioni, richiami su punti specifici di teologia, di disciplina, di orientamento pastorale.

In occasione del Giovedì santo 2003 (17 aprile) Giovanni Paolo II ha pubblicato la lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia con uno scopo ben preciso:  cogliere il rapporto tra Eucaristia e Chiesa per trarre alcune conclusioni in modo che proprio dalla celebrazione dell'Eucaristia emerga più chiaro ed eloquente il volto della Chiesa. Tra i vari aspetti trattati, il capitolo v si sofferma sul "decoro della celebrazione eucaristica". Perché questa attenzione attorno a ciò che di più prezioso la Chiesa ha "nel suo cammino nella storia" (n. 9)?

Il n. 47 dell'enciclica introduce la riflessione sul decoro della celebrazione rifacendosi a quanto avvenuto negli ultimi giorni immediatamente precedenti la passione e morte del Cristo Signore. I riferimenti all'unzione di Betania e all'impegno di preparare accuratamente una grande sala necessaria per consumare la cena pasquale danno l'avvio alla comprensione - ma prima ancora al fondamento - di quel criterio che è stato e sta alla base dello stile della Chiesa la quale "si è sentita spinta lungo i secoli e nell'avvicendarsi delle culture a celebrare l'Eucaristia in un "contesto" degno di così grande Mistero" (n. 48) perché "l'Eucaristia è un dono troppo grande per sopportare ambiguità e diminuzioni" (n. 10).

E lo ha sempre fatto lasciandosi guidare da una mens che l'enciclica precisa subito dopo. Se la logica del "convito" ispira familiarità, la Chiesa non ha mai ceduto alla tentazione di banalizzare questa "dimestichezza" col suo Sposo dimenticando che Egli è anche il suo Signore e che il "convito" resta pur sempre un convito sacrificale, segnato dal sangue versato sul Golgota.

La celebrazione è un evento in cui, nella logica del memoriale e per la potenza dello Spirito Santo, è reso attualmente presente - "una specialissima presenza" (n. 15) - il sacrificio unico di Cristo redentore.

Preparazione e formazione danno vita ad un atteggiamento:  quello tipico di colui che accosta il libro liturgico come strumento per la celebrazione e per la vita, in modo che la celebrazione sia un'esperienza sempre più piena della vita del Risorto.

È decorosa e degna una celebrazione quando i riti di initio rispecchiano il loro compito di "introdurre" e non si prolungano in modo eccessivo, tale da togliere equilibrio e proporzione agli altri momenti. L'animazione ha un ruolo determinante perché tutto possa essere concentrato sull'elemento più importante costituito dalla orazione "colletta".

È decorosa e degna una celebrazione quando i vari elementi della Liturgia della Parola sono vissuti in modo da rispecchiare - e rispettare - quel movimento dialogico entro cui si muove il rapporto tra Dio e il suo popolo. Tutti questi elementi, dalla prima lettura alla preghiera dei fedeli, hanno una logica finalizzata ad un'esperienza personale e comunitaria della Parola di Dio che trova nella liturgia eucaristica la sua piena attuazione.

È decorosa e degna una celebrazione quando l'insieme della Liturgia eucaristica rispecchia in modo armonico quanto i vangeli hanno sintetizzato attraverso il "prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede..." e la liturgia eucaristica attualizza, dalla preparazione dei segni sacramentali alla partecipazione alla mensa del Corpo e Sangue di Cristo.

È decorosa e degna una celebrazione quando i riti di conclusione - pur nella loro tipica brevità - rilanciano l'esperienza del mistero celebrato perché si attualizzi nella vita, sull'esempio di Maria "donna "eucaristica"".

Gli effetti di una celebrazione decorosa e degna si tratteggiano nella vita quando:  il messaggio dell'omelia permea la formazione della coscienza e si traduce in scelte di vita; il tempo da dedicare al culto eucaristico è ricercato come spazio per una più intensa preghiera personale e come prolungamento della celebrazione; l'attenzione agli ammalati fa sì che questi non siano privi della comunione "sacramentale" attraverso il servizio dei ministri straordinari dell'Eucaristia; si aiuta il fedele a sperimentare nella Liturgia delle Ore quell'atteggiamento di rendimento di grazie e di supplica che ha il suo culmen et fons nella stessa celebrazione dell'Eucaristia; la mistica cristiana procede dall'esperienza dei santi misteri per proiettarsi e riflettersi nelle tante scelte del vivere sociale, politico, ecc.

In conclusione, la serie di queste attenzioni può essere assunta come emblematica di tanti aspetti che nel loro insieme ricordano le variegate implicanze di un celebrare con dignità e decoro. Ai richiami dell'Ecclesia de Eucharistia si uniscono le tante attese dei fedeli che si pongono dinanzi alla duplice mensa eucaristica per poter offrire la propria vita "in Spirito e verità".

Celebrare con dignità e decoro è dunque collocarsi in un atteggiamento ecclesiale che permetta di partecipare al Mistero, favorendo così una vera esperienza mistica. A questo traguardo è possibile giungere qualora si faciliti la conoscenza e la valorizzazione di tutti quei linguaggi - sono più variegati e completi che l'esperienza cristiana possa offrire - che sono "propri" della celebrazione, e che sono volti a "evocare e sottolineare la grandezza dell'evento celebrato".

Educare alla logica e ai contenuti di tali linguaggi è la sfida che interpella la formazione a diversi livelli di competenza:  dalla formazione liturgica dei futuri presbiteri a quella dei vari animatori della comunità, come frutto anche di un metodo teologico qual è quello delineato in Optatam totius 16. Quel dettato conciliare, che attende ancora di essere assimilato e attuato, racchiude e rilancia una proposta di sintesi che quando comincerà ad essere patrimonio della cultura teologica e della formazione pastorale e catechetica si rivelerà come autentica carta vincente in ordine a una vita eucaristica.

Il risultato non sarà tanto da intravedere in una celebrazione ancora più decorosa e degna, ma in un'azione liturgica che mentre sintetizza con il suo linguaggio simbolico la vita del fedele orientata alla Pasqua di Gesù Cristo, dà adito a un linguaggio teologico che crea sintesi tra lex credendi e lex vivendi attraverso e nel contesto della lex orandi. E in questa logica che l'Ecclesia continuerà a svilupparsi nel tempo perché paschali nascitur de mysterio e de Eucharistia vivit!

Quale lectio, dunque, per l'oggi e per il domani? I documenti del Vaticano ii, a partire dalla Sacrosanctum concilium e dalla Lumen gentium, hanno richiamato in più occasioni gli elementi che denotano l'identità del presbitero. Documenti successivi, sia a livello di Chiesa universale che di Chiese locali, hanno contribuito a mettere a fuoco tale identità.

In questo contesto anche nel nostro tempo si percepisce l'urgenza di una ecclesiologia del ministero ordinato, che aiuti a cogliere l'essenza di una missione che risulta essenzialmente radicata sul rapporto tra Cristo e il suo popolo attraverso la mediazione del presbitero.

La differenza tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale richiede di essere frequentemente sottolineata perché è nell'equilibrio delle due identità che si coglie la distinzione e insieme la reciprocità. Non confusione di ruoli dunque, ma fusione di intenti per lo sviluppo della comunità. Anche a questo riguardo la lezione proviene soprattutto dall'orizzonte della Lumen gentium accostata in parallelo con quanto racchiude il Pontificale Romanum nel De ordinatione Episcopi, Presbyterorum et Diaconorum (29 giugno 1989).

Né psicologo né manager del sacro, ma "mezzo" per l'azione salvifica del Cristo. Può essere un titolo per attirare l'attenzione; di fatto è una sintesi che invita a considerare l'essenza della missione del presbitero. Da dove trae la linfa la spiritualità del presbitero? Da ciò che egli "celebra":  è dall'esperienza vitale delle singole celebrazioni che il presbitero trae quell'alimento che gli permette di vivere costantemente nel "clima" spirituale costituito dal fatto che è lo Spirito il principale "attore" di ogni azione liturgica. Modello è il Cristo; la conformazione alla Sua immagine è dono dello Spirito perché sia resa gloria e onore al Padre. E il segreto per essere maestri di vita spirituale a partire da una "presidenza" liturgica compiuta con diligenza, dignità e decoro.


(©L'Osservatore Romano - 8 ottobre 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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