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Sacerdoti, riscopriamo insieme l'uso degli ABITI LITURGICI e della stessa LITURGIA SACRA

Ultimo Aggiornamento: 15/02/2012 11:18
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14/10/2010 10:31
 
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Le leggi son, ma chi pon mano ad elle (il caso della Messa nuova in latino)

Si diceva in un precedente post che nella Chiesa il diritto, la certezza della legge, il rispetto dei testi è aleatorio ed è una variabile dipendente dalle preferenze 'ideologiche' di chi deve applicare quei documenti. Eccone una dimostrazione, che dà il sempre attento Cantuale Antonianum, inerente la celebrazione in latino del Messale e dell'Officio riformati.
Enrico


C'è il diritto di celebrare in Latino, ma spesso - in certe chiese - è impossibile farlo, perchè nemmeno si trova il Messale in latino! Paolo VI aveva pensato anche al cosiddetto Missale Parvum, un riassuntino minuscolo di messale latino per i sacerdoti in viaggio: agile fascicolo con l'ordinario della Messa e poche celebrazioni proprie adatte ad ogni tempo liturgico o occasione. Risultato? Io non l'ho mai visto se non in libreria e in biblioteca. In sacrestia o tra i libri di un sacerdote è introvabile, nonostante un'istruzione della CEI, che riporta delle precisazioni sui "Principi e Norme" per la celebrazione, ricorda al n, 12 che almeno: "Ogni chiesa abbia a disposizione la forma abbreviata del Messale latino: «Missale parvum»".

Redemptionis Sacramentum 112 approfondisce il canone citato sopra e afferma: "La Messa si celebra o in lingua latina o in altra lingua, purché si faccia ricorso a testi liturgici approvati a norma del diritto. Salvo le celebrazioni della Messa che devono essere svolte nella lingua del popolo secondo gli orari e i tempi stabiliti dall’autorità ecclesiastica, è consentito sempre e ovunque ai Sacerdoti celebrare in latino".

Anzi, il prete che celebra l'Ufficio divino e la santa Messa "sine populo" (e per i religiosi la messa conventuale), secondo il Concilio Vaticano II (e Paolo VI) sarebbe ancor oggi tenuto a celebrare in latino, non in lingua vernacola, non essendoci motivi pastorali per sostituire, in quei casi, la lingua ufficiale con un'altra. Recita infatti il numero 54 della Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium: "Nelle messe celebrate con partecipazione di popolo si possa concedere una congrua parte alla lingua nazionale...". Non dice: "in tutte le messe si sostituisca il latino", ma solo che nelle messe "cum populo" si può - per motivi pastorali - usare la lingua parlata.

La Congregazione per l'educazione cattolica ha sempre ribadito che il sacerdote deve conoscere, almeno in modo generale, la lingua del suo rito. Così recita la disattesa Istruzione In ecclesiasticam futurorum del 1979: n. 19 "È particolarmente utile per gli alunni la dimestichezza con la lingua latina e con il canto gregoriano. Infatti, non solo deve essere conservata per i fedeli questa possibilità — prevista dal Concilio Vaticano II (cf. SC 54) — di pregare e cantare comunitariamente in latino nelle grandi assemblee, ma conviene che i futuri sacerdoti si radichino più profondamente nella tradizione della Chiesa orante, conoscano il senso genuino dei testi e perciò sappiano spiegare le versioni in lingue moderne, confrontandole con il testo originale". I rettori dei seminari pensano: "bubbole, meglio la psicologia e la sociologia della liturgia".

A proposito, poi, dei Messali bilingui. E' risaputo che i bellissimi messali detti "transitori" del 1965 (ma erano davvero transitori?) riportavano in colonne distinte le parti latine e la traduzione italiana, secondo il volere di Papa Paolo. Ma un colpo di mano del Consilium fece sì che l'edizione del Nuovo Messale del 1970 perdesse in un attimo il testo originale. In Italiano è proprio scomparso, in altre lingue - con un po' di fortuna - è finito nascosto in appendice. Scriveva in proposito Paolo Isotta, ricapitolando le tappe del misfatto sulle pagine del Corriere della sera (3/12/2008):

"Il Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia trasmetteva l'ordine: «È desiderio del Santo Padre che i Messali, sia cotidiani che festivi, in edizione integrale o parziale, portino sempre a lato della versione in lingua vernacola il testo latino, su doppia colonna o a pagine rispondenti, e non in fascicoli o libri separati, a tenore dell'Istruzione Inter Oecumenici del 26 settembre 1964 e del Decreto della S. Congregazione dei Riti De editionibus Librorum liturgicorum del 27 gennaio 1966.

Nel 1969 Paolo VI tornava ad ordinarlo anche alla Commissione Liturgica nazionale italiana, a proposito della intraprendenda traduzione, nel momento ove doveva addentrarsi essa «nell'augusto, austero, sacro, venerando, tremendo recinto delle Preci Eucaristiche», che costituiscono il cuore della Messa, il momento della consacrazione del Pane e del Vino. Innanzi alla metastasi inarrestabile delle traduzioni-interpretazioni dovette intervenire nel 1974 la Congregazione per la Dottrina della Fede stabilendo che «il significato da intendersi per esse è, nella mente della Chiesa, quello espresso dall'originale senso latino».

Risultato: l'originale latino disparve, impedendo così a sacerdoti e studiosi d'intendere l'autentico significato del testo tradotto. L'elenco dei fraintendimenti commessi per malizia e, o, ignoranza comprenderebbe molti tomi".

Ma adesso, se i nostri solertissimi Vescovi si degneranno - dopo più di 10 anni - di mettere mano definitivamente alla versione della Terza edizione del Messale di Paolo VI, avremo una nuova possibilità di vedere esauditi i desideri dell'Augusto pontefice riformatore, e chissà, potremo forse tenere tra le mani un tomo comprensivo del testo originale, stampato almeno su una colonnina laterale. Utopia e fantasia, sento dire. Eppure i miracoli accadono.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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