A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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La coscienza morale e il senso della misericordia nella vita e nelle azioni dell'Uomo

Ultimo Aggiornamento: 21/06/2016 16:12
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02/10/2009 00:08
 
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Ricordando a tutti questo capolavoro del card. Ratzinger:
ELOGIO DELLA COSCIENZA:
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...

proponiamo ora alla vostra attenzione un approfondimento maggiore...

CHE COSA SI INTENDE PER COSCIENZA MORALE ATTRAVERSO IL CONTESTO DELLA MISERICORDIA

Le seguenti riflessioni nascono da una serie di interventi di Giovanni Paolo II e dell’allora card. Ratzinger oggi Benedetto XVI, relativi al discernimento di come deve essere educata la coscienza verso se stessi e il bene comune anche in relazione dell’uso della misericordia autentica da parte di ogni uomo, in particolare dei Battezzati e di quanti vogliono definirsi Cattolici.
Vengono qui proposti ampi brani delle due Encicliche di Benedetto XVI: la Deus Caritas est e la Spe Salvi.

Nessun copyright, nessuna censura alle parole del Pontefice, si distribuisca il tutto gratuitamente, se gradito, al solo gesto di coscienza di citarne la provenienza e la fonte, evitando di estrapolarne i contenuti rischiando di far dire al contenuto stesso ciò che non ho detto, specialmente se si dovesse interpretare qualche passo contro il Magistero della Chiesa. Si consideri per tanto che tutta la sostanza del testo non deve essere dissociata dal Magistero della Chiesa, dal quale dipende la corretta interpretazione.

[SM=g1740733] Grazie!

P.S.
il lavoro è stato ricorretto da me togliendo le sottolineature e il neretto per rendere più omogenea l'intera lettura, evitando di accogliere un solo aspetto della lettura, ma bensì accogliendola nell'insieme e nel contesto...




La Misericordia non è ostacolo al dovere dell’Evangelizzazione, tanto meno un indebolimento del dovere del cristiano di dire al mondo la Verità di Dio e sull’Uomo.

Così spiegò, l’urgenza della Misericordia nell’Evangelizzazione, l’allora card. Ratzinger poco prima di diventare il Successore di Pietro:

“Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni.

Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna” (1 Cor 13, 1)”.
(card. J. Ratzinger Patriarcale Basilica di San Pietro Lunedì 18 aprile 2005)


Il dibattito in corso sulla vita umana, sta mettendo in rilievo sempre più un confronto fra la morale cristiana, più precisamente quella cattolica, e morale laica. C’è tendenza a chiudere il significato di “morale” esclusivamente dentro la sfera sessuale, non ragionando sul fatto che all’atto sessuale (morale o immorale che sia), ci si arriva “dopo” una errata concezione della morale in quanto tale la quale abbraccia ogni stile di vita e coinvolge ogni Persona all’interno della propria cultura, razza e Nazione.

Per comprendere che cosa insegna la Chiesa occorre porsi alcune domande:

1) Quale è la vera identità della morale cattolica?
2) Quale è la vera identità che si vuole dare alla morale detta “laica”?
3) In quale modo l’attuale evangelizzazione può svolgere la sua azione nel mondo, e in quale modo essa può coinvolgere le persone?

Iniziamo con il dire che fra morale “cattolica e laica” in verità non vi è alcuna differenza poiché la Chiesa non detiene affatto il monopolio della morale giacchè non è stata una sua invenzione…è un grave errore infatti identificare questa morale come una espressione diversa fra il mondo cattolico (che qui intendono religioso) e laico… pochi sanno che tale morale discende da un medesimo nucleo di verità di riferimento, entrambi, ad un antichissimo contesto di “comuni principi” ed entrambi si connettono alla ragione!

E’ importante definire che questa morale, in quanto tale, nasce nel contesto di una coscienza religiosa mentre, credere in una sfera della morale autonoma, dissociata dalla coscienza ossia, diversa dalla morale in quanto tale è una ERESIA nel senso più vero del termine (infatti eresia vuol dire separazione); una morale allora, separata, dissociata, ossia autonoma conduce ad una eresia, cioè ad una netta separazione dal suo originale significato e di conseguenza dal suo vero scopo, tale separazione da quel principio comune che è la “coscienza religiosa”, genera alla fine quell’inganno, quel trarre nell’errore di cui parlava il card. Ratzinger nel testo riportato in apertura.

Perché parliamo di “coscienza religiosa” ?

Perché senza la dimensione spirituale, senza la ricerca di Dio non esisterebbe nessuna morale e si sfocerebbe nel moralismo! In tal senso il termine “religioso” non deve essere associato esclusivamente all’ambiente monastico o del clero, al contrario, essa è una dimensione che è comune a tutti gli uomini di ogni lingua, cultura, popolo, razza e Nazione e di conseguenza tale morale, è comune ai laici siano essi credenti in Dio quanto non credenti. Non può esistere una doppia morale, sarebbe l’alienazione della morale stessa....

Questa realtà della morale è dunque la realtà di una coscienza che coinvolge l’uomo in quanto tale e non perché l’uomo venga diviso attraverso una morale cattolica o non cattolica!

Diceva così il card. J. Ratzinger:

“È vero che oggi esiste un nuovo moralismo le cui parole-chiave sono giustizia, pace, conservazione del creato, parole che richiamano dei valori morali essenziali di cui abbiamo davvero bisogno. Ma questo moralismo rimane vago e scivola così, quasi inevitabilmente, nella sfera politico-partitica. Esso è anzitutto una pretesa rivolta agli altri, e troppo poco un dovere personale della nostra vita quotidiana. Infatti, cosa significa giustizia? Chi lo definisce? Che cosa serve alla pace? Negli ultimi decenni abbiamo visto ampiamente nelle nostre strade e sulle nostre piazze come il pacifismo possa deviare verso un anarchismo distruttivo e verso il terrorismo. Il moralismo politico degli anni Settanta, le cui radici non sono affatto morte, fu un moralismo che riuscì ad affascinare anche dei giovani pieni di ideali. Ma era un moralismo con indirizzo sbagliato in quanto privo di serena razionalità, e perché, in ultima analisi, metteva l'utopia politica al di sopra della dignità del singolo uomo, mostrando persino di poter arrivare, in nome di grandi obbiettivi, a disprezzare l'uomo. Il moralismo politico, come l'abbiamo vissuto e come lo viviamo ancora, non solo non apre la strada a una rigenerazione, ma la blocca. Lo stesso vale, di conseguenza, anche per un cristianesimo e per una teologia che riducono il nocciolo del messaggio di Gesù, il "Regno di Dio", ai "valori del Regno", identificando questi valori con le grandi parole d'ordine del moralismo politico, e proclamandole, nello stesso tempo, come sintesi delle religioni. Dimenticandosi però, così, di Dio, nonostante sia proprio Lui il soggetto e la causa del Regno di Dio. Al suo posto rimangono grandi parole (e valori) che si prestano a qualsiasi tipo di abuso”.
(card. J. Ratzinger “Conferenza su – l’Europa nella crisi delle culture – per la consegna del premio “ S. Benedetto” Subiaco 1-4-2005)

Come possiamo dedurre dalle parole appena lette, la così detta morale “politica” porta ad una scissione, separazione(=eresia) di quell’unica morale che da sempre anima la coscienza dell’uomo di ogni tempo, spingendola verso la Causa Prima (=Creatore) e mai il contrario. Nel momento in cui accadesse il contrario ossia, che la morale conducesse l’uomo lontano da Dio ecco che avremo il moralismo e l’illusione di una morale favorevole all’uomo e dunque alla società, in verità sarebbe ed è la sua alienazione e la sua stessa distruzione.


Un esempio concreto di questa alienazione e distruzione derivante da una doppia morale alimentata dalle ideologie politiche, l’abbiamo nell’assordante rivendicazione di Pace dei Movimenti pacifisti… ciò che non può rendere credibili i loro sforzi è quell’ostinato sostegno, per esempio, all’aborto!
Infatti mentre gli stessi Movimenti si spingono nelle piazze con manifestazioni pubbliche per rivendicare il ricorso alla Pace e la cessazione (giustissima) di ogni guerra, dall’altra parte gli stessi partecipanti sono nella maggior parte sostenitori di una guerra silenziosa e devastante che si sta consumando da anni dentro il grembo delle donne attraverso IL MASSACRO di milioni di vite umane inermi…

A ragione chiede Ratzinger:
“ Che cosa significa giustizia? Chi lo definisce? Che cosa serve alla Pace? “


La stessa Beata Madre Teresa di Calcutta che non era certo una “moralista”, bensì una persona esperta della vita umana, sosteneva che “non può esistere una vera Pace se questa non inizia dal grembo materno…”.

Nel fare questi discorsi ecco che si viene accusati o di moralismo o appunto di “morale cattolica”, ed è qui che si consuma lo sbaglio poiché la vita umana non può diventare appannaggio di un gruppo di persone inserite nella società, tanto meno può essere relegata all’interno di un discorso “religioso”…si tratta di chiarire i termini di una vera e corretta Evangelizzazione che trova nella Misericordia di Dio il ricorso a farsi promotori di una coscienza morale UNIVERSALE(=cattolica) che dica all’uomo quanto preziosa sia la SUA vita e quella degli altri….Se la giustizia che l’uomo stesso va cercando non conducesse, quale primo atto, alla difesa della vita umana in quanto tale dal suo concepimento e fino alla sua morte naturale, l’uomo non avrà mai la giustizia, di conseguenza non avrà mai la Pace che cerca!

Lo stesso dicasi però, parafrasando le parole di Ratzinger lette sopra, di come non potrà mai essere credibile neppure una Evangelizzazione che si arrestasse davanti alle parole "quale pura e semplice predicazione del “Regno di Dio” o ai “valori del Regno” conducendo il tutto ad una sorta di “sintesi delle religioni” dimenticandosi di Dio quale SOGGETTO E CAUSA del Regno….

Infatti, così operando al posto di Dio regnerebbero solo LE PAROLE che però “saranno facile preda di ogni falsa interpretazione e soggette ad ogni abuso!" Indubbiamente potremo chiederci se stiamo parlando, a questo punto, di morale o quanto il discorso si riferisca ad una “morale religiosa” in generale e, addirittura, si ci si riferisca ad una morale prettamente cattolica dissociata da quella detta “laica”…
Va detto che il “cattolico” non nasce cattolico, bensì laico.

Il Battesimo che è un Sacramento-Dono fatto di PROMESSE impegnative, fa diventare il laico un cristiano impegnato nel mondo che vive, dentro la propria realtà, con un suo specifico ruolo nel mondo e a vantaggio della Società….Tuttavia va detto e specificato che anche coloro che non hanno ricevuto ancora il Battesimo vivono nel mondo attraverso le medesime responsabilità di un cattolico per il miglioramento della Società in cui vivono… Ogni uomo possiede infatti dentro di sé la “scintilla del Creatore” attraverso la quale l’uomo stesso non può non chiedersi “perché nasco; perché vivo; dove sono diretto, qual è il mio ruolo, perché esiste il dolore, perché la morte, cosa c’è dopo la morte?”

Domande che non partono affatto esclusivamente dall’uomo “di fede” al contrario e generalmente queste domande nascono in ogni uomo, in ogni tempo, in ogni condizione sociale e culturale; domande dalle quali scaturisce quell’unica morale dei “comuni principi”. “Verità” è un termine chiave. Per lo spirito profano evoca una formula, una teoria, una cosa dello spirito, insomma, e, soprattutto, qualche cosa che si possiede.

Cristo rovescia questa concezione della “verità”, rifiutandola in quanto superficiale, in quanto relativista o fine a se stessa attraverso una ideologia politica…. Egli non dice: “Io ho la verità”, ma dice: “Io sono”: “Io sono la verità”....


La verità è una Persona, non una proposizione, non una idea, non un aspetto delle cose, non una imposizione giacchè Cristo non si impone ma si offre…. Tutto il mondo cerca la verità, ogni uomo cerca la verità, ma spesso nei posti sbagliati, accontentandosi di qualche “ismo” o di qualche ideologia moralista. Tutti gli “ismi”, però, passano presto di moda, come un temporale d’estate lasciando tuttavia dietro di se anche enormi devastazioni quando questi temporali assumono la forza dei tifoni e degli uragani….


Cercando la verità, noi cerchiamo “lo stare Bene”, noi cerchiamo la Persona vera, cerchiamo il Padre(=Bene) e il Cristo che ne è la manifestazione concreta. Non si tratta di verità del Padre che il Figlio deve imparare per poi trasmettere. Cristo è la verità in se stesso, per questo Egli solo può garantire ad ogni Uomo che non mente….Ciò andava al di là anche dell’intelligenza degli apostoli. Filippo esprime la loro inquietudine con una richiesta precisa: “Signore, mostraci il Padre e basta”. Gli apostoli non riescono ad afferrare l’identità del Figlio e del Padre. Hanno appena saputo che stanno per lasciare Cristo e non sanno che andare presso il Padre significa restare con Gesù e rimanere sempre presso di lui nella terra promessa (cfr Gv. 14, 7-14)

L’applicazione dunque della morale significa “stare BENE” e stare Bene non significa altro che stare “con Dio” il quale è il Sommo Bene!

Non è possibile così che l’uomo cerchi per se stesso il Male, l’uomo di per se cerca il meglio, cerca di stare “bene” ma nel momento in cui questa ricerca si affida alle ideologie del momento le quali offrono una verità parziale legata sostanzialmente ed esclusivamente ai beni materiali, ecco che l’uomo finisce per perdere la propria identità e con essa naufraga nelle illusioni, nell’errore allontanandosi dal vero “Bene”.E’ infatti IMMORALE che l’uomo finisca per arrendersi davanti alla ricerca del suo stare “bene”, è innaturale, è illogico, è da suicidio!

Scrive così Giovanni Paolo II: << Un'esigenza di non minore importanza, in questi tempi critici e non facili, mi spinge a scoprire nello stesso Cristo ancora una volta il volto del Padre, che è «misericordioso e Dio di ogni consolazione» (2Cor.1,3). Si legge infatti nella costituzione Gaudium et spes: «Cristo, che è il nuovo Adamo... svela... pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»: egli lo fa «proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore».
Le parole citate attestano chiaramente che la manifestazione dell'uomo, nella piena dignità della sua natura, non può aver luogo senza il riferimento--non soltanto concettuale, ma integralmente esistenziale a Dio. L'uomo e la sua vocazione suprema si svelano in Cristo mediante la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore.
È per questo che conviene ora volgerci a quel mistero: lo suggeriscono molteplici esperienze della Chiesa e dell'uomo contemporaneo; lo esigono anche le invocazioni di tanti cuori umani, le loro sofferenze e speranze, le loro angosce ed attese. Se è vero che ogni uomo, in un certo senso, è la via della Chiesa, come ho affermato nell'enciclica Redemptor hominis, al tempo stesso il Vangelo e tutta la tradizione ci indicano costantemente che dobbiamo percorrere questa via con ogni uomo cosi come Cristo l'ha tracciata, rivelando in se stesso il Padre e il suo amore. In Gesù Cristo ogni cammino verso l'uomo, quale è stato una volta per sempre assegnato alla Chiesa nel mutevole contesto dei tempi, è simultaneamente un andare incontro al Padre e al suo amore. Il Concilio Vaticano II ha confermato questa verità a misura dei nostri tempi.Quanto più la missione svolta dalla Chiesa si incentra sull'uomo, quanto più è, per cosi dire, antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientarsi in Gesù Cristo verso il Padre. Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda. E questo è anche uno dei principi fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell'ultimo Concilio.
( Enciclica Ioannes Paulus PP. II Dives in misericordia sulla misericordia divina 1980.11.30 )

Al pari potremmo citare di Giovanni Paolo II la Christifideles Laici nella quale viene chiarito il ruolo dei Laici:

Chi sono i Laici?“ Sono tutti i fedeli, a esclusione dei membri dell’Ordine Sacro e dello stato religioso, che sono stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio” (cfr. n.9) Certo questa Esortazione Apostolica è rivolta principalmente ai “laici cattolici”, tuttavia l’invito è rivolto ad ogni persona di buona volontà che non vede nel laico cattolico un “nemico” al contrario una persona capace di aiutarlo nella ricerca della Verità e di quello “stare Bene” sopra spiegato!

Va da se allora che tutti quei “fedeli laici” che finiscono per disattendere a questo compito assunto mediante il Battesimo, diventano a loro volta MISTIFICATORI della Verità, offuscando la Verità, finiscono per offuscare Gesù Cristo e di conseguenza non contribuiscono più alla ricerca del BENE per se stessi e gli altri, al contrario, finiscono per sostenere ciò che è il Male adagiandosi ai vari moralismi ideologici fini a se stessi.

Ecco così l’importanza della così detta “Nuova Evangelizzazione” la quale non è affatto “nuova” nella dottrina, ma nuova per una riscoperta della dottrina e per un suo approfondimento alla luce della cultura moralista ed ideologica di oggi… Vi è dunque una errata concezione del Laico quasi che il “fedele laico” non debba prendersi cura del pensiero laico in quanto tale, solo perché è un “fedele a Cristo”, alla Chiesa, una sorta di laico di serie “b”….

In verità TUTTI gli uomini (certamente specialmente se battezzati), dice infatti ancora Giovanni Paolo II:«sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a rendere visibile Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro vita e con il fulgore della fede, della speranza e della carità»(37). Così l'essere e l'agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed ecclesiale. Nella loro situazione intramondana, infatti, Dio manifesta il suo disegno e comunica la particolare vocazione di «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (Crhistifideles Laici, n.15)

“Non ci può essere una doppia vita, non possiamo essere come degli scizzofrenici, se vogliamo essere veramente cristiani”, così esortava e predicava san J. M. Escrivà (Colloqui, cit. n. 114), ma cosa rispondere a chi ci dicesse che non è interessato a diventare cristiano?

La risposta la dona ancora una volta Giovanni Paolo II: Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta «spirituale», con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall'altra, la vita cosiddetta «secolare», ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura. Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell'attività e dell'esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il «luogo storico» del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto _ come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l'amore e la dedizione nella famiglia e nell'educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell'ambito della cultura _ sono occasioni provvidenziali per un «continuo esercizio della fede, della speranza e della carità» (…) il Concilio Vaticano II ha invitato tutti i fedeli laici denunciando con forza la gravità della frattura tra fede e vita, tra Vangelo e cultura: «Il Concilio esorta i cristiani, che sono cittadini dell'una e dell'altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo.
Sbagliano coloro che, sapendo che qui non abbiamo una cittadinanza stabile ma cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno (...). Il distacco, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo»(212). Perciò ho affermato che una fede che non diventa cultura è una fede «non pienamente accolta, non interamente pensata non fedelmente vissuta»(CFL n. 59)

“Instaurare omnia in Christo”....
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Non a caso con queste parole san Pio X iniziava il suo Pontificato all'inizio del '900....
quale significato hanno per noi oggi? ce lo dice Giovanni Paolo II quando nel 1993 andò a visitare la Parrocchia a dedicata a san Pio X a Roma....e nei tre incontri avuti sia con i bambini, che con i giovani che con il Consiglio Pastorale......ebbe a portare a tutti quale esempio san Pio X sottolineando l'importanza di avere non semplicemente una parrocchia, ma bensì di averla intitolata a “Qualcuno” che fosse per noi oggi di grande esempio e testimone della retta coscienza....

diceva Giovanni Paolo II:

San Pio X ha trovato queste parole: “Instaurare omnia in Christo”. “Instaurare”, innovare, cercare in Lui sempre il recupero, l’instaurazione, la restaurazione di quello che è giusto, che è umano, che è pacifico, che è bello, che è sano e che è santo.

“Instaurare omnia” e “omnia” vuol dire la vita personale, la vita
delle famiglie…
(Visita alla parrocchia di San Pio X, 31 gennaio 1993)

**********

INSTAURARE OMNIA IN CHRISTO è così quell’annuncio per altro caro alla Tradizione della Chiesa che è il Cristo Re, un Re al quale ricapitolare tutte le cose ma principalmente i nostri cuori e quelli del nostro prossimo, esso fu anche il motto tanto caro a don Orione....tanto da ottenere una indulgenza a chi lo recitasse...

Don Orione chiese una particolare indulgenza legata alle "parole "Instaurare omnia in Christo" dell'apostolo Paolo; si pronuncino esse da una sola o più persone con frase tutta unita, o si pronuncino staccate e da più individui, (come si suole nelle Case della Congregazione, dicendo: Instaurare omnia e rispondendosi: in Christo!), avendole come una aspirazione e un voto delle anime nostre che Cristo risusciti in tutti i cuori, e rinnovi in sé tutto l'uomo e tutti gli uomini".


CONTINUA.....
[Modificato da Caterina63 09/07/2011 15:32]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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02/10/2009 00:45
 
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Ecco che alla pressante domanda se esistano due morali una prettamente del fedele laico ed un'altra del laico non credente, possiamo dire serenamente di “no”!
Quand’anche ci fosse nel laico in generale un rifiuto all’adesione al Cristo, la morale che dovrà seguire resterà sempre la medesima: nel momento in cui il laico non credente intendesse rinunciare a questa unica morale, finirebbe per inseguire una morale innaturale, ideologica, illusoria, devastante per se stesso e per gli altri.
Infatti o la morale esiste ed è unica e che deve applicarsi nelle diverse vocazioni dell’uomo e della sua propria vita, o questa morale “non esiste” e di conseguenza se non esistesse occorrerebbe inventarla….

Tuttavia è l’intelligenza stessa dell’uomo e della sua ragione che fa comprendere come la norma sul piano teorico deve essere la stessa di quell’unica morale che conduce l’uomo verso il “suo Bene” giacchè la teoria e la pratica di questa è definibile nella comune razionalità fra credenti e non credenti!
La questione si complica, infatti, quando le norme che compongono la morale vengono dissociate dal fine ultimo dell’Uomo nella sua dignità umana (la quale inizia dal suo concepimento e termina con la sua morte naturale) e quando vengono colte esclusivamente nell’esperienza personale escludendo, di fatto, la comunità sociale in cui si vive….è l’esempio iniziale che abbiamo fatto sull’aborto!

A questo punto possiamo parlare ora della COSCIENZA….

Come per la morale abbiamo visto che non può esistere una doppia morale, tanto meno una doppia vita parallela, idem quando parliamo della coscienza; essa non può dividersi in “coscienza del cattolico-coscienza laica”

Innanzi tutto si faccia attenzione alla differenza ideologica che è stata creata tra il termine “laico” e il “laicismo”…. Tutti gli “ismi” sono sbagliati, passano presto di moda, come un temporale d’estate lasciando tuttavia dietro di se anche enormi devastazioni quando questi temporali assumono la forza dei tifoni e degli uragani….

Ma qual è questa differenza?

In sostanza, il “laico laicista” pone la “sua” morale personale al centro della propria realtà interiore, privandola tuttavia del suo “principio motorio” che è Dio=Bene, quel Bene che in fin dei conti egli ricerca nel modo sbagliato e nei posti sbagliati non trovandolo, ma spesse volte illudendosi di averlo trovato!

Il “fedele laico” invece, ponendo anch’egli la morale all’interno della sua sfera personale e nell’esperienza della propria vita, finisce necessariamente per confrontarsi e configurarsi a questo “principio motorio” trovando il vero Bene.

Nel primo caso, il laico laicista, finisce per assumere così una coscienza INDIVIDUALISTA ED EGOISTA dove l’appagamento supremo rimane quell’illusoria soddisfazione di ogni istinto…pur affermando di non avere alcun interesse verso Dio, di fatto se lo crea uno nel materialismo, nel danaro, nell'ideologia e, come abbiamo visto sopra, anche il pacifismo (che è ideologia) sfocia in un appagamento moralistico, in tal modo si ha una coscienza non morale ma moralista con tutto il danno che comporta a se stessi ma anche alla società....

Nel secondo caso invece, del fedele laico (se coerente fino in fondo naturalmente), egli assumerà un atteggiamento altruista non dettato dalle proprie voglie, non fine a se stesso, ma sempre proiettato verso un BENE più grande e a vantaggio del vero Bene di ogni suo Prossimo.

Nel primo caso si perde la propria identità, nel secondo caso si assume una identità che alla fine di tutto non è una ideologia, questa identità assunta è una Persona: Gesù Cristo, il Dio con noi il quale per altro, vive anche in molti che inconsciamente sono ignari di questa realtà e che per questo è necessaria l'evangelizzazione, ossia, informare il Prossimo della BUONA NOVELLA, il Vangelo!

Dice san Tommaso d’Aquino che solo Dio è giudice della Coscienza e la coscienza non è isolata nella drammaticità delle sue scelte, ma sempre è connessa al suo fondamento!
Una coscienza, per esempio, consapevole della condizione umana segnata dall’eredità di Adamo (la quale può essere rifiutata, ma non per questo diventa una nozione falsa!), ma redenta da Cristo, non lascia mai nella solitudine etica la coscienza del credente e finisce sempre per rendere inquieta la coscienza del non credente.
A ragione diceva sant’Agostino: e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in Te, mio Signore!

L’umiltà, il riconoscimento dei propri limiti, l’abbandono all’esigenza di un Amore Misericordioso, la stessa ricerca e fiducia nel per-dono stemperano il dramma di certe scelte morali, o quando le interpretazioni si fanno conflittuali è qui che il fedele si configura nettamente e il cattolico sa quanto sia saggio fare ricorso alla coscienza e al dovere di seguirla nonostante questo (attraverso anche scelte che vanno contro la mentalità del mondo) potrà costargli l’amicizia di qualcuno, l’affetto dei propri cari, o l’impopolarità…fino anche a subire dure persecuzioni!

Al contrario, la coscienza del laicista, vive paradossalmente una libertà illusoria giacchè la sua scelta elimina dalla coscienza ogni riferimento all’etica ed alla morale, di fatto questa scelta è più…sbrigativa… indubbiamente all’inizio più facile e più comoda come scelta e tuttavia devastante nel tempo per se stesso e per gli altri quando appunto inizieranno a maturare i suoi frutti….Esso infatti non vive alcun dramma nelle sue scelte e non ha così la necessità di confrontarsi con gli altri, soprattutto se questi “altri” pongono Dio al centro di ogni confronto e non l’uomo (o una idea di vita) quale “sostituto” di Dio.

E’ per questo infatti che da sempre, una morale rigorosamente laicista, finisce per sostituire il “senso sacro dell’esistenza” con i MITI, con le ideologie, con i surrogati….

Ecco alcuni esempi:
- ricerca esclusiva, priorità del proprio benessere a discapito del prossimo;
- calcolare la propria vita in funzione delle personali necessità e passioni a prescindere dalle regole sociali che le animano;
- allontanare costantemente ogni valore che si fonde sulla
sofferenza dell’uomo, sulla malattia, sulla morte….
- primato della propria autonomia sulla solidarietà la quale diventa appannaggio ideologico e partitico anziché essere ciò che realmente è: Misericordia di Dio!

Per comprendere meglio quest’ultimo aspetto possiamo analizzarlo così:quando un fedele laico compie un atto di solidarietà, non assimila a sé stesso l’atto compiuto, ma lo svolge in nome di Gesù Cristo è così il Cristo stesso che attraverso il fedele è l’Autore di quell’atto che definiamo “provvidenza-provvidenziale”….Il laico laicista al contrario, rivendica a sé stesso (o al partito) l’atto di solidarietà negando una Provvidenza Divina che si attiva per mezzo della collaborazione fra l’uomo e Dio.

Ora se è pur vero che ogni atto compiuto in favore di un soggetto debole è sempre frutto dell’Amore di Dio verso il quale il non credente che lo compie non conoscendo la provenienza non ha colpe….è palese che la Carità esercitata nel primo caso, in nome di Cristo, diventa un mezzo efficace e più completo che porta al debole soccorso non soltanto un bene materiale, ma soprattutto un BENE più grande che è l’Amore di Dio verso di lui….ossia si evangelizza questa Misericordia che fa conoscere all’altro che egli è Amato per ciò che è!
Ricordava il Beato Giovanni XXIII come l’amore degli uomini per il Prossimo senza il Cristo diventasse un amore “disumano” giacchè Lui, Gesù Cristo, è la perfezione della nostra vera umanità….

scrive il Papa Benedetto XVI nella Enciclica Spe Salvi:

”La fede conferisce alla vita una nuova base, un nuovo fondamento sul quale l'uomo può poggiare e con ciò il fondamento abituale, l'affidabilità del reddito materiale, appunto, si relativizza. Si crea una nuova libertà di fronte a questo fondamento della vita che solo apparentemente è in grado di sostentare, anche se il suo significato normale non è con ciò certamente negato. Questa nuova libertà, la consapevolezza della nuova « sostanza » che ci è stata donata, si è rivelata non solo nel martirio, in cui le persone si sono opposte allo strapotere dell'ideologia e dei suoi organi politici, e, mediante la loro morte, hanno rinnovato il mondo.
Essa si è mostrata soprattutto nelle grandi rinunce a partire dai monaci dell'antichità fino a Francesco d'Assisi e alle persone del nostro tempo che, nei moderni Istituti e Movimenti religiosi, per amore di Cristo hanno lasciato tutto per portare agli uomini la fede e l'amore di Cristo, per aiutare le persone sofferenti nel corpo e nell'anima. Lì la nuova « sostanza » si è comprovata realmente come « sostanza », dalla speranza di queste persone toccate da Cristo è scaturita speranza per altri che vivevano nel buio e senza speranza.
Lì si è dimostrato che questa nuova vita possiede veramente « sostanza » ed è una « sostanza » che suscita vita per gli altri. Per noi che guardiamo queste figure, questo loro agire e vivere è di fatto una « prova » che le cose future, la promessa di Cristo non è soltanto una realtà attesa, ma una vera presenza: Egli è veramente il « filosofo » e il « pastore » che ci indica che cosa è e dove sta la vita”.

***************

La libertà dell'Uomo e la Speranza, verso la quale PER NATURA TENDE, ci suggerisce il Papa, è il nucleo centrale per cui l'uomo vive...
Un uomo senza Speranza è una Persona che NON vive, e la speranza è quella realtà che rende l'Uomo LIBERO NELLA RICERCA.....ricerca interiore ed esteriore a dare risposta alle domande che lo animano.....

Diventa dunque deleterio imporre una carità privata del suo fondamento che è Cristo, diventa pietismo…

A ragione scrive così Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus Caritas est:

“ La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti — un realismo inaudito.(…)

15. È a partire da questo principio che devono essere comprese anche le grandi parabole di Gesù. Il ricco epulone (cfr Lc 16, 19-31) implora dal luogo della dannazione che i suoi fratelli vengano informati su ciò che succede a colui che ha disinvoltamente ignorato il povero in necessità. Gesù raccoglie per così dire tale grido di aiuto e se ne fa eco per metterci in guardia, per riportarci sulla retta via. La parabola del buon Samaritano (cfr Lc 10, 25-37) conduce soprattutto a due importanti chiarificazioni. Mentre il concetto di « prossimo » era riferito, fino ad allora, essenzialmente ai connazionali e agli stranieri che si erano stanziati nella terra d'Israele e quindi alla comunità solidale di un paese e di un popolo, adesso questo limite viene abolito. Chiunque ha bisogno di me e io posso aiutarlo, è il mio prossimo. Il concetto di prossimo viene universalizzato e rimane tuttavia concreto. Nonostante la sua estensione a tutti gli uomini, non si riduce all'espressione di un amore generico ed astratto, in se stesso poco impegnativo, ma richiede il mio impegno pratico qui ed ora. Rimane compito della Chiesa interpretare sempre di nuovo questo collegamento tra lontananza e vicinanza in vista della vita pratica dei suoi membri.

Infine, occorre qui rammentare, in modo particolare, la grande parabola del Giudizio finale (cfr Mt 25, 31-46), in cui l'amore diviene il criterio per la decisione definitiva sul valore o il disvalore di una vita umana. Gesù si identifica con i bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati. « Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me » (Mt 25, 40). Amore di Dio e amore del prossimo si fondono insieme: nel più piccolo incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio.(…)La preghiera come mezzo per attingere sempre di nuovo forza da Cristo, diventa qui un'urgenza del tutto concreta.

Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell'emergenza e sembra spingere unicamente all'azione. La pietà non indebolisce la lotta contro la povertà o addirittura contro la miseria del prossimo. La beata Teresa di Calcutta è un esempio molto evidente del fatto che il tempo dedicato a Dio nella preghiera non solo non nuoce all'efficacia ed all'operosità dell'amore verso il prossimo, ma ne è in realtà l'inesauribile sorgente. Nella sua lettera per la Quaresima del 1996 la beata scriveva ai suoi collaboratori laici: « Noi abbiamo bisogno di questo intimo legame con Dio nella nostra vita quotidiana. E come possiamo ottenerlo? Attraverso la preghiera ».

37. È venuto il momento di riaffermare l'importanza della preghiera di fronte all'attivismo e all'incombente secolarismo di molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo. Ovviamente, il cristiano che prega non pretende di cambiare i piani di Dio o di correggere quanto Dio ha previsto. Egli cerca piuttosto l'incontro con il Padre di Gesù Cristo, chiedendo che Egli sia presente con il conforto del suo Spirito in lui e nella sua opera. La familiarità col Dio personale e l'abbandono alla sua volontà impediscono il degrado dell'uomo, lo salvano dalla prigionia di dottrine fanatiche e terroristiche. Un atteggiamento autenticamente religioso evita che l'uomo si eriga a giudice di Dio, accusandolo di permettere la miseria senza provar compassione per le sue creature. Ma chi pretende di lottare contro Dio facendo leva sull'interesse dell'uomo, su chi potrà contare quando l'azione umana si dimostrerà impotente? “

*************

E questa cosiddetta "Caritas" non è una pura organizzazione, come altre organizzazioni filantropiche, ma necessaria espressione dell'atto più profondo dell'amore personale con cui Dio ci ha creati, suscitando nel nostro cuore la spinta verso l'amore, riflesso del Dio Amore che ci rende sua immagine.
(Benedetto XVI Udienza del 18.1.2006)

Ecco allora che l’uso “profano-pagano” della vita finisce inesorabilmente per coincidere con una logica che esclude Dio dal percorso dell’Uomo, disumanizzando l’uomo stesso che invece è immagine di Dio a prescindere questo da chi vuole o non vuole credere in Dio….Tale e devastante realtà conduce così la vita dell’uomo verso il relativismo funzionale escludendo per mezzo di una imposizione inaccettabile il “senso del sacro” che è invece una profonda necessità per l’uomo di ogni tempo e il fine ultimo della vita di ogni uomo.


“Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc.8,36)

Questa domanda non interpella esclusivamente i fedeli laici, ma tutti gli uomini, nessuno è escluso! La coscienza del laicista infatti stravolge questa domanda in questo modo:“ Che mi giova vivere una vita di sacrifici e di sofferenza, di umiltà e di valori morali, se tanto io non credo in Dio? Se questo Dio esiste comprenderà allora anche le mie scelte compiute da una coscienza onesta che non ha mai fatto danno al prossimo, che ha compiuto la carità, ma se non esistesse allora avrò avuto il coraggio di fare delle scelte che ritenevo giuste!”
Come possiamo leggere a muovere questa coscienza laicista è un individualismo egoista che ha come principio motorio solo il suo “io e le sue voglie”, nessun bene potrà derivare da una coscienza che agisce per se stesso.

La dignità umana infatti non può essere privata della sua “uguaglianza con Dio” se non attraverso appunto un atto IMPOSITORE da parte di qualcuno.
L’uomo è chiamato così nel tempo che vive per scoprire questa UNICA verità che poi indubbiamente potrà rifiutare o accogliere nel pieno esercizio del proprio libero arbitrio…per questo ogni violazione verso la dignità umana comincia proprio dal suo concepimento e fino alla sua morte naturale e quando il diritto alla vita viene rimosso per mezzo di leggi omicide come è quella sull’aborto, subentra non solo l’offesa all’uomo al quale viene impedito di nascere, ma è una offesa grave al Creatore, a Dio il Sommo Bene (cfr. Christifideles Laici n.37)

Diceva l’allora card. Ratzinger:
Meno visibili, ma non per questo meno inquietanti, sono le possibilità di automanipolazione che l'uomo ha acquisito. Egli ha scandagliato i recessi dell'essere, ha decifrato le componenti dell'essere umano, e ora è in grado, per così dire, di "costruire" da sé l'uomo, che così non viene più al mondo come dono del Creatore, ma come prodotto del nostro agire, prodotto che, pertanto, può anche essere selezionato secondo le esigenze da noi stessi fissate.
Così, su quest'uomo non brilla più lo splendore del suo essere immagine di Dio, che è ciò che gli conferisce la sua dignità e la sua inviolabilità, ma soltanto il potere delle capacità umane. Egli non è più altro che immagine dell'uomo – ma, di quale uomo?
(crad. J. Ratzinger “Conferenza su – l’Europa nella crisi delle culture – per la consegna del premio “ S. Benedetto” Subiaco 1-4-2005)


Egli non è più altro che immagine dell'uomo – ma, di quale uomo?

Se la coscienza laicista spinge l’uomo a creare sé stesso secondo le personali scelte e prerogative umane, viene messa in pericolo l’identità dell’Uomo, questa sua immagine di Dio che vediamo nelle molteplici DIVERSITA’ anche allora nell’ammalato, nel sofferente, nel carcerato, nell’indigente, nelle persone “normali” che vivono dignitosamente e si sono costruiti dignitosamente un posto nella società…Di conseguenza la coscienza laicista è eretica ossia, applica una netta separazione dal vero significato di che cosa è la coscienza e la morale che da essa proviene, comune a tutti gli uomini!

Sempre nella Crhistifideles Laici Giovanni Paolo II traccia comunque anche quei pericoli che coinvolgono oggi i fedeli laici, la sua denuncia è forte, dice:

“ Le difficoltà riguardano due tentazioni alle quali il LAICATO non ha saputo sottrarsi dopo il Concilio:
1) la tentazione di impegnarsi nei servizi e nei compiti ecclesiali a tal punto da aver preteso di sostituirsi al sacerdote, al vescovo, al papa…. Disimpegnandosi però nelle sue specifiche realtà nel mondo professionale, coniugale, politico, culturale…;
2) e la tentazione di legittimare l’indebita separazione tra la fede e la vita, tra la fede e la ragione….”


Indubbiamente queste parole ci rimandano al contesto che stiamo vivendo dei così detti “cattolici adulti” quei cattolici che indebitamente credono di poter far a meno della Chiesa ma che alla fine per mandare avanti una loro coscienza fatta di disobbedienze, finiscono per vivere una vita laicista: divorziano, abortiscono, compiono atti illeciti, sul posto di lavoro non adoperano l’etica e la morale cristiana, sostengono ideologie avverse al cristianesimo, infondono nel mondo l’oscurità escludendo Cristo e la Chiesa dai loro DOVERI, alimentano continuamente la confusione, e spesso diffondono le proprio opinioni suicide spacciandole per interpretazioni dottrinali, spesso sono causa essi stessi di astio e collera dei non cattolici verso la Chiesa, verso i Comandamenti perchè quando si offusca la Verità, si alimenta immediatamente la menzogna la quale reca inimicizia….


E’ necessario infatti non dimenticare che l’uomo ha innanzi tutto dei DOVERI da applicare per se stesso e per la Società, prima ancora di pretendere i diritti!

Viviamo in un mondo in cui il concetto DEL DOVERE è stato superato dalla cultura del DIRITTO, ribaltando la situazione si è andato rafforzando quel relativismo che porta l’uomo AD ESIGERE OGNI DIRITTO a discapito di ogni legge naturale, di ogni etica e di ogni morale che formano quei doveri senza i quali nessuna società può esistere….

La stessa coscienza così viene nutrita dall’egoismo e dall’individualismo fino a pretendere di uccidere i concepiti se solo si sospetta in essi il germe della malattia, anzi, li si selezionano nei laboratori per pretendere una razza pura….il concetto dell’essere più forte, sano e BELLO sta superando e sostituisce la realtà dei limiti dell’uomo dati dalla sofferenza, dalla malattia, dalla Croce….in questo modo un soggetto malato diventa “socialmente inutile” e per tanto deve essere eliminato! E' anche per questo che si insiste molto sulla piaga dell'aborto dal quale derivano la gran parte dei problemi etici del nostro tempo, come infatti diceva Madre Teresa di Calcutta:

“non può esistere una vera Pace se questa non inizia dal grembo materno…”.

Dice a ragione Benedetto XVI nella Spe Salvi cap. 3

44. La protesta contro Dio in nome della giustizia non serve. Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza (cfr Ef 2,12). Solo Dio può creare giustizia. E la fede ci dà la certezza: Egli lo fa. L'immagine del Giudizio finale è in primo luogo non un'immagine terrificante, ma un'immagine di speranza; per noi forse addirittura l'immagine decisiva della speranza. Ma non è forse anche un'immagine di spavento?
Io direi: è un'immagine che chiama in causa la responsabilità. Un'immagine, quindi, di quello spavento di cui sant'Ilario dice che ogni nostra paura ha la sua collocazione nell'amore [35]. Dio è giustizia e crea giustizia. È questa la nostra consolazione e la nostra speranza. Ma nella sua giustizia è insieme anche grazia. Questo lo sappiamo volgendo lo sguardo sul Cristo crocifisso e risorto. Ambedue – giustizia e grazia – devono essere viste nel loro giusto collegamento interiore.
La grazia non esclude la giustizia. Non cambia il torto in diritto.
Non è una spugna che cancella tutto così che quanto s'è fatto sulla terra finisca per avere sempre lo stesso valore.
Contro un tale tipo di cielo e di grazia ha protestato a ragione, per esempio, Dostoëvskij nel suo romanzo « I fratelli Karamazov ». I malvagi alla fine, nel banchetto eterno, non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime, come se nulla fosse stato.
(…)
Gesù, nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19-31), ha presentato a nostro ammonimento l'immagine di una tale anima devastata dalla spavalderia e dall'opulenza, che ha creato essa stessa una fossa invalicabile tra sé e il povero: la fossa della chiusura entro i piaceri materiali, la fossa della dimenticanza dell'altro, dell'incapacità di amare, che si trasforma ora in una sete ardente e ormai irrimediabile. Dobbiamo qui rilevare che Gesù in questa parabola non parla del destino definitivo dopo il Giudizio universale, ma riprende una concezione che si trova, fra altre, nel giudaismo antico, quella cioè di una condizione intermedia tra morte e risurrezione, uno stato in cui la sentenza ultima manca ancora”.

***

In definitiva non abbiamo altra scelta:
- o seguiamo la ragione e con essa la ricerca del VERO BENE seguendo una coscienza retta e privata delle ideologie del mondo;
- o seguiamo l’irragionevolezza e con essa dunque andiamo alla deriva della nostra identità imponendo sempre di più il suicidio dell’uomo e calpestando la sua dignità….
non esiste la via di mezzo!





Nessun copyright, nessuna censura alle parole del Pontefice, si distribuisca il tutto gratuitamente, se gradito, al solo gesto di coscienza di citarne la provenienza e la fonte, evitando di estrapolarne i contenuti rischiando di far dire al contenuto stesso ciò che non ho detto, specialmente se si dovesse interpretare qualche passo contro il Magistero della Chiesa. Si consideri per tanto che tutta la sostanza del testo non deve essere dissociata dal Magistero della Chiesa, dal quale dipende la corretta interpretazione.

[SM=g1740733] Grazie!

P.S.
il lavoro è stato ricorretto da me togliendo le sottolineature e il neretto per rendere più omogenea l'intera lettura, evitando di accogliere un solo aspetto della lettura, ma bensì accogliendola nell'insieme e nel contesto...


CONTINUA........

[Modificato da Caterina63 02/10/2009 11:02]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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02/10/2009 10:38
 
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Mi piace concludere questo lavoro che offro alla Divina Provvidenza, attraverso un quadro ancora tratto dalle due prime Encicliche di Benedetto XVI Deus Caritas est e dalla Spe Salvi, senza dimenticare la terza la Caritas in Veritate nella quale riprende spesso i medesimi concetti sviluppandoli anche all’interno del contesto della grave crisi economica che il mondo sta vivendo.

Possiamo dire che Benedetto XVI ha ripreso, con le tre Encicliche, le famose e purtroppo dimenticate “Tre virtù teologali”:


[SM=g1740717]


la Fede, la Speranza e la Carità, entrambe inscindibili l’una dall’altra, entrambe fondamentali per una retta coscienza, Esse - ci ricorda Benedetto XVI - devono tuttavia essere tradotti abitualmente nella vita quotidiana dei cristiani per rendere credibile il vangelo davanti a una umanità alla ricerca di senso.

- La Deus Caritas est inizia con le parole che sintetizzano la coscienza dell’agire di ogni uomo che scopre di essere amato e che si sente davvero amato: « Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui » (1 Gv 4, 16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino.

- La Spe salvi inizia sottolineando e approfondendo i concetti di fede e di speranza nei fondamenti biblici dei capitoli 10 e 11 della Lettera agli Ebrei (cfr n. 7). Da qui l'espressione "la fede è speranza".

- Con la Caritas in Veritate, il Pontefice pone l’accento sul concetto di verità che racchiude entrambe: la fede, la speranza e la carità, e dice: “Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità. Questa, infatti, « si compiace della verità » (1 Cor 13,6). Tutti gli uomini avvertono l'interiore impulso ad amare in modo autentico: amore e verità non li abbandonano mai completamente, perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo.”

Questi alcuni dei punti fondamentali toccati dalle Encicliche:


La Chiesa non deve imporre la fede (Essa è nel mondo, ma non è del mondo, essa non è un tribunale giacchè Cristo non è venuto per giudicare – verrà per farlo alla fine dei tempi – ma per salvare anche se, per farlo, sono necessari per l’Uomo i Comandamenti, è necessaria una presa di coscienza ragionevole educata alla speranza altrimenti diventa impossibile non solo comprendere i Comandamenti ma soprattutto applicarli attribuendo – irragionevolmente ed ideologicamente – così alla Chiesa, imposizioni che non ha mai fatto.)

Per la Chiesa, l'azione caritativa "non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L'amore - spiega il Pontefice - è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l'amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare". "In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell'odio e della violenza, questo - sottolinea Benedetto XVI - è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto. Per questo nella mia prima Enciclica desidero parlare dell'amore, del quale Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato agli altri". Secondo il Papa, "il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l'amore. Egli sa che il vilipendio dell'amore è vilipendio di Dio e dell'uomo".
(Deus Caritas est)


Lo Stato non provveda a tutto (A Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio non è un contrapporsi, ma un COLLABORARE, lavorare insieme)

"Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto". Per il Papa, "lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un'istanza burocratica che non può assicurare l'essenziale di cui l'uomo sofferente ha bisogno: l'amorevole dedizione personale".
Nell'Enciclica Benedetto XVI esalta poi il ruolo del volontariato. "Un fenomeno importante del nostro tempo - scrive - è il sorgere e il diffondersi di diverse forme di volontariato, che si fanno carico di una molteplicità di servizi. Vorrei qui indirizzare una particolare parola di apprezzamento e di ringraziamento a tutti coloro che partecipano in vario modo a queste attività".
(Deus Caritas est)

La Chiesa non faccia politica (così come lo Stato non può occuparsi delle anime, per questo deve garantire la libertà di Culto e deve saper ascoltare – è un suo dovere – ciò che il credente ha da dire e da proporre)

Benedetto XVI ribadisce nella sua Enciclica che fede e politica sono "due sfere distinte, ma sempre in relazione reciproca" e che dunque "il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica". Alla visione propria del cristianesimo appartiene infatti "la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio, cioè la distinzione tra Stato e Chiesa o, come dice il Concilio Vaticano II, l'autonomia delle realtà temporali". "La formazione di strutture giuste - spiega il Papa - non è immediatamente compito della Chiesa, ma appartiene alla sfera della politica, cioé all'ambito della ragione autoresponsabile. In questo, il compito della Chiesa è mediato, in quanto le spetta di contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali, senza le quali non vengono costruite strutture giuste, né queste possono essere operative a lungo". "La Chiesa - continua Benedetto XVI - non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia".
(Desu Caritas est)


Modello per la Chiesa non è Marx ma Madre Teresa

Benedetto XVI invita i fedeli, schiacciati dal peso del male e delle ingiustizie, a non lasciarsi tentare dall'ideologia marxista e a trovare la forza di resistere ad essa e alla tentazione opposta di abbandonare ogni impegno sociale con la forza della preghiera. Come faceva Madre Teresa di Calcutta. "L'esperienza della smisuratezza del bisogno può - confida nell'enciclica - spingerci nell'ideologia che pretende di fare ora quello che il governo del mondo da parte di Dio, a quanto pare, non consegue: la soluzione universale di ogni problema. Dall'altro lato, essa può diventare tentazione all'inerzia sulla base dell'impressione che, comunque, nulla possa essere realizzato". Per il Papa, "chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell'emergenza e sembra spingere unicamente all'azione". "La pietà - scrive ancora Benedetto XVI - non indebolisce la lotta contro la povertà o addirittura contro la miseria del prossimo. La beata Teresa di Calcutta è un esempio molto evidente del fatto che il tempo dedicato a Dio nella preghiera non solo non nuoce all'efficacia ed all'operosità dell'amore verso il prossimo, ma ne è in realtà l'inesauribile sorgente".
(Deus Caritas Est)

Il Marxismo ha lasciato il posto alla globalizzazione

Benedetto XVI considera sia il comunismo che il capitalismo (che oggi ispira la globalizzazione in atto) forme di materialismo che impoveriscono a livello sociale i valori della persona. "Il marxismo - spiega nell'enciclica - aveva indicato nella rivoluzione mondiale e nella sua preparazione la panacea per la problematica sociale". Secondo Papa Ratzinger, "attraverso la rivoluzione e la conseguente collettivizzazione dei mezzi di produzione doveva improvvisamente andare tutto in modo diverso e migliore, ma questo sogno è svanito". E nella "situazione difficile" che il mondo sta attraversando "anche a causa della globalizzazione dell'economia", la dottrina sociale della Chiesa "è diventata un'indicazione fondamentale, che propone orientamenti validi ben al di la' dei confini di essa: questi orientamenti, di fronte al progredire dello sviluppo, devono essere affrontati nel dialogo con tutti coloro che si preoccupano seriamente dell'uomo e del suo mondo".
(Deus Caritas est)

E ancora dice il Pontefice nella Spe Salvi:

22. Così ci troviamo nuovamente davanti alla domanda: che cosa possiamo sperare? È necessaria un'autocritica dell'età moderna in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza. In un tale dialogo anche i cristiani, nel contesto delle loro conoscenze e delle loro esperienze, devono imparare nuovamente in che cosa consista veramente la loro speranza, che cosa abbiano da offrire al mondo e che cosa invece non possano offrire. Bisogna che nell'autocritica dell'età moderna confluisca anche un'autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso a partire dalle proprie radici. Su questo si possono qui tentare solo alcuni accenni. Innanzitutto c'è da chiedersi: che cosa significa veramente « progresso »; che cosa promette e che cosa non promette?

Maria riassume tutte le virtù cristiane (vero modello per ogni Donna ma anche modello per i non credenti che ben si inserisce in ogni generazione e in ogni tempo a vantaggio della Società)

Per Benedetto XVI, Maria, "Madre del Signore e specchio di ogni santità", riassume in se stessa tutte le virtù cristiane, cioé la fede, la speranza e la carità. "Maria - spiega il Pontefice nel documento - è grande proprio perché non vuole rendere grande se stessa, ma Dio. E' una donna di speranza: solo perché crede alle promesse di Dio e attende la salvezza di Israele, l'angelo può venire da lei e chiamarla al servizio decisivo di queste promesse. E' una donna di fede che parla e pensa con la Parola di Dio e in quanto tale non può essere che una donna che ama".
(Deus Caritas Est)


E dice il Pontefice nella Spe Salvi:

Maria, Stella della speranza

L'enciclica Spe salvi (salvati nella speranza, Rom 8,24) termina con due lunghi paragrafi dedicati a Maria (nn. 49-50).
«Con un inno dell’VIII/IX secolo, quindi da più di mille anni, la Chiesa saluta Maria, la Madre di Dio, come stella del mare :
Ave maris stella. La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente.
Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza lei che con il suo sì aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo; lei che diventò la vivente Arca dell’Alleanza, in cui Dio si fece carne, divenne uno di noi, piantò la sua tenda in mezzo a noi (cf Gv 1,14)?
(nn. 49-50)

Quello tra uomo e donna è l'unico matrimonio

"All'immagine del Dio monoteistico - spiega il Papa - corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l'icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell'amore umano. Questo stretto nesso tra eros e matrimonio nella Bibbia quasi non trova paralleli nella letteratura al di fuori di essa". Per il Pontefice, "l'amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all'essere umano si schiude una promessa di felicita' che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono". A questo proposito, il documento ripercorre "il vasto campo semantico della parola amore: si parla di amor di patria, di amore per la professione, di amore tra amici, di amore per il lavoro, di amore tra genitori e figli, tra fratelli e familiari, dell'amore per il prossimo e dell'amore per Dio". Ma afferma che proprio il matrimonio uomo-donna e' l'unico vero modello di tutti gli altri, in quanto è il riflesso più completo dell'amore di Dio.


8 agosto 2007, Festa di san Domenico di Guzman

Dorotea L. (Caterina Laica Domenicana)

[SM=g1740750]



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[SM=g1740733] Grazie!

P.S.
il lavoro è stato ricorretto da me togliendo le sottolineature e il neretto per rendere più omogenea l'intera lettura, evitando di accogliere un solo aspetto della lettura, ma bensì accogliendola nell'insieme e nel contesto...


[Modificato da Caterina63 02/10/2009 11:02]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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ATTO DI FEDE

Mio Dio, perchè sei verità infallibile, credo fermamente tutto quello che hai rivelato e la santa Chiesa ci propone a credere. Ed espressamente credo in te, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte, Padre, Figlio e Spirito Santo. E credo in Gesù Cristo, figlio di Dio, incarnato, morto e risorto per noi il quale darà a ciascuno, secondo i meriti, il premio o la pena eterna. Conforme a questa fede voglio sempre vivere. Signore, accresci la mia fede.


ATTO DI SPERANZA

Mio Dio, spero dalla tua bontà, per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere, che io , debbo e voglio fare. Signore, che io possa goderti in eterno.


ATTO DI CARITÀ

Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perche sei bene infinito e nostra eterna felicità; e per amor tuo amo il prossimo come me stesso, e perdono le offese ricevute. Signore, che io ti ami sempre più.

AVE O MARIA
 Invioláta, integra, et casta es Maria:
Quae es effécta fulgida caeli porta.
O Mater alma Christi carissima:
Suscipe pia laudum praeconia.
Te nunc flágitant devota corda et ora:
Nostra ut pura péctora sint et corpora.
Tua per precata dulcisona:
Nobis concédas véniam per saecula.
O benigna!
O Regina!
O Maria!
Quae sola inviolata permansisti.
Amen!


[Modificato da Caterina63 02/10/2009 10:50]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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l cardinale patriarca di Venezia al congresso delle famiglie cattoliche in Svezia

Differenza sessuale, dono di sé
e fecondità nel matrimonio


Si conclude domenica 16 a Jönköping, in Svezia, il congresso delle famiglie cattoliche dal titolo "Amore e vita" promosso dalla Conferenza episcopale della Scandinavia. Il cardinale patriarca di Venezia ha tenuto venerdì 14 la relazione introduttiva sul tema "Il disegno di Dio per l'uomo e la donna nel sacramento del matrimonio. Il mistero nuziale e la cultura contemporanea". Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento.

di Angelo Scola

L'uomo di oggi - il cosiddetto uomo post-moderno - è, nello stesso tempo, confuso ed assetato. Per questo ha bisogno di incontrare uomini e donne capaci di testimoniare l'entusiasmo che sgorga dalla singolare bellezza del sacramento del matrimonio. Ovviamente la secolarizzazione non è la stessa in tutti i Paesi. Mi pare tuttavia che un nucleo comune alla secolarizzazione di tutte le società euro-atlantiche risieda nel concetto sintetizzato dal filosofo canadese Charles Taylor. Essa consiste nel considerare la fede in Dio come un'opzione tra le altre. Si è passati cioè da società in cui era "virtualmente impossibile non credere in Dio, a una in cui anche per il credente più devoto questa è solo una possibilità umana tra le altre".

Il secondo tratto della post-modernità, non staccato dal precedente, è che l'uomo odierno rischia di enfatizzare a tal punto la libertà di scelta individuale da considerarla tutta la libertà. Essa risulta in tal modo svincolata da qualsiasi bene oggettivo.

Il terzo dato è lo straordinario connubio che si è realizzato negli ultimi due secoli tra la scienza e la tecnica, in modo particolare nell'ambito della biologia e oggi sempre più in quello delle neuroscienze. Esso ha comportato un profondo cambiamento nella visione della realtà. Il vero non è più dato dalla corrispondenza tra l'intelletto e la "cosa" (adaequatio rei et intellectus). Il vero è ridotto a ciò che è tecnicamente fattibile. Ciò finisce per stabilire una pericolosa equazione:  "si può, quindi si deve" (imperativo tecnologico).
 
L'intreccio di questi fattori ha inoltre radicalmente modificato il modo con cui l'uomo concepisce se stesso, dando origine a trasformazioni e a situazioni inedite anche nell'ambito dell'amore e della famiglia. Il divorzio, le coppie di fatto, le unioni dello stesso sesso, la realtà dei single, la contraccezione, l'aborto, la procreazione medicalmente assistita, la possibilità di effettuare diagnosi prenatali o pre-impianto, la clonazione, l'omosessualità, hanno prodotto nella sfera dell'amore, del matrimonio e della famiglia una serie di separazioni:  tra la coppia e l'essere genitori, tra l'essere genitori e il procreare, tra la coppia-famiglia e la differenza sessuale.

Queste mutazioni non si arrestano alla sfera privata, ma investono la stessa vita civile. Il legislatore infatti, anche qui in grado diverso secondo i diversi Paesi dell'area euro-atlantica, appare sempre più disponibile a garantire norma di legge a ogni "desiderio" del soggetto, per giunta ampliato dalle indefinite possibilità offerte dalla tecno-scienza.

Da un simile contesto scaturiscono per noi una serie di domande:  la differenza sessuale, l'amore e la fecondità devono essere considerati fatti contingenti oggi superabili - e forse già superati - o possiedono un valore assoluto? Questi tre fattori, presi in unità, sono realmente essenziali per l'esperienza del matrimonio e della famiglia? La loro unità merita di essere mantenuta e consapevolmente perseguita come qualcosa che chiede alla libertà di ogni persona di scegliere ciò che è buono in vista del suo proprio bene? La famiglia fondata sull'unione matrimoniale fedele, pubblica e aperta alla vita di un uomo e di una donna è veramente la strada adeguata allo sviluppo integrale della persona? Venendo ai vostri Paesi e considerando la pluralità di mondovisioni di cui sono portatori i soggetti che li abitano, a partire dalla differenza tra credenti e non credenti, passando per le diverse appartenenze ecclesiali e religiose che danno origine ad un numero elevato di matrimoni misti ed interreligiosi, come far convivere positivamente tale pluralità all'interno della famiglia stessa?

Il modo più adeguato per trattare le problematiche fin qui descritte è quello di leggerle attraverso la lente del mistero nuziale nelle sue tre indisgiungibili dimensioni:  differenza sessuale, dono di sé, fecondità. L'espressione mistero nuziale infatti svela il carattere profondo dell'amore perché, nel manifestare la sua capacità di mettere in campo l'"io", l'"altro" e l'"unità dei due", conduce al cuore dell'esperienza umana elementare, cioè comune a ogni persona di ogni tempo e luogo. Il fatto che sia un mistero non si riferisce a una sua assoluta inconoscibilità. Suggerisce soltanto che essendo una delle dimensioni con cui la libertà personale d'ogni uomo entra in relazione con l'infinito, non può essere catturata una volta per tutte in una definizione. A questo proposito scrive Pavel Evdokimov:  "Nessuno tra i poeti e i pensatori ha trovato la risposta della domanda:  "Che cosa è l'amore?" (...) Volete imprigionare la luce? Vi sfuggirà di tra le dita".

Il tema della differenza sessuale, prima dimensione del mistero nuziale, è stato sviluppato dal magistero di Giovanni Paolo ii per approfondire la forza profetica dell'Humanae vitae a partire dalle sue catechesi sull'amore umano e ripreso recentemente da Benedetto XVI nella Deus caritas est. Il rapporto tra maschile e femminile chiede di essere pensato simultaneamente attraverso le categorie dell'identità e della differenza. Mentre la prima è abbastanza facilmente riconducibile alla natura personale dell'essere umano e alla conseguente uguale dignità tra l'uomo e la donna, la seconda non è priva di problematicità, come attesta il travaglio della cultura contemporanea nella sua radicale difficoltà a pensare la differenza sessuale.
 
La differenza sessuale, integralmente intesa, si rivela come la modalità primaria con cui il singolo, uno di anima e corpo, entra in contatto con il reale. La consapevolezza del proprio essere sempre situato nella differenza sessuale realizza una costante apertura all'altro e indica un cammino di conoscenza di sé. Da qui si capisce che la differenza non può mai essere abolita. È infatti una insuperabile dimensione dell'io personale.

È proprio nella differenza sessuale adeguatamente vissuta che l'apertura all'altro può prendere la forma del dono di sé. Muovendo da questo dato si comprende meglio il nesso tra mistero nuziale e sacramento del matrimonio, la cui giustificazione ultima prende le mosse dal linguaggio nuziale della Bibbia. La tradizione teologica ci propone una via di riflessione nella cornice del testo di Efesini, 5, 21-33. In questo testo l'esperienza umana dell'amore fra gli sposi, basata sulla differenza sessuale, viene illuminata dall'analogia con l'amore sponsale di Gesù Cristo per la Chiesa, del quale proprio in virtù del sacramento del matrimonio partecipano gli sposi cristiani.

Sia chiaro:  il sacramento non è un'aggiunta al dato naturale, ma è ciò che lo spiega in profondità. Di qui l'invito di san Paolo agli sposi perché sappiano partecipare di un amore che deve essere totale, personale, redentore e fecondo. Ed è un dato che vale anche per gli sposi battezzati appartenenti a tradizioni cristiane diverse, dal momento che, "in forza del loro battesimo, sono realmente già inseriti nell'Alleanza sponsale di Cristo, con la Chiesa e, per la loro retta intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimonio" (Familiaris consortio, 68).

Radicata nella differenza sessuale, per essere all'altezza della sua vocazione l'unione tra l'uomo e la donna deve essere fedele e aperta alla vita. Ce lo indica il Catechismo della Chiesa cattolica quando parla dei beni-esigenze del matrimonio. In proposito è di decisiva importanza superare un grave equivoco. Queste non sono proprietà che si aggiungono all'amore tra l'uomo e la donna. Esse fanno parte dell'essenza dell'amore.
 
Là dove non c'è fedeltà e fecondità non c'è mai stato propriamente parlando amore. Non si tratta di precetti aggiunti dalla Chiesa quasi per frenare la libera espressione dell'amore. Sono i beni che emergono dalla natura profonda dell'amore umano. In quanto essenziali all'amore, essi, benché messi radicalmente in discussione da buona parte dei costumi e della cultura contemporanei, sono sempre in grado di mostrare la loro attualità.

Non esiste amore che non implichi il desiderio del "per sempre". Ce lo dice il fenomeno dell'innamoramento, quando è ascoltato in tutta la sua serietà. Fa parte dell'esperienza di chi ama voler consegnare tutto se stesso senza limiti temporali. Ed è proprio dell'esperienza di chi è amato desiderare che l'amore che lo abbraccia non abbia mai fine. Nel mio compito pastorale mi rivolgo sempre ai giovani in questo modo:  "Vi sfido se siete autenticamente innamorati, a dire "ti amo" senza aggiungere "per sempre"".
 
Il "per sempre" fa parte essenzialmente dell'amore. Il genio di Shakespeare lo ha messo in evidenza nel versetto fulminante di un sonetto:  "Amore non è amore / se muta quando nell'altro scorge mutamenti / o se tende a recedere quando l'altro si allontana". Se questo è vero per ogni esperienza di sincero innamoramento, tanto più il "per sempre" dovrà essere presente nell'amore dei coniugi e dei coniugi cristiani. Da quanto detto si capisce meglio cosa intende la Chiesa quando ripropone l'ingiunzione del Signore "quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi" (Matteo, 19, 6).
 
Il versetto ricorda che la decisione umana per l'amore realizza la volontà di continuare l'opera di Dio che ci ha creati maschio e femmina. Al contrario di quanto parte della cultura contemporanea sembra suggerire, l'unione "per sempre" non è un peso inflitto alla nostra libertà, ma una condizione per poterla mettere in atto. L'indissolubilità rappresenta infatti la possibilità che la libertà si compia, che il desiderio di essere amato e di amare trovi soddisfazione fino a rendere trasparente il disegno originario del Padre sul matrimonio. Tutto questo non è il risultato d'una capacità etica superiore degli sposi. Tale pienezza è possibile solo se marito e moglie vivono quotidianamente il proprio rapporto come sacramento, come forma concreta del loro essere Chiesa domestica. A questo livello si capisce quanto sia importante nella vita dei coniugi un'intensa vita sacramentale e una continua ripresa della consapevolezza del proprio battesimo e della propria appartenenza a Cristo. E intorno a questo centro, è offerta la grande possibilità della dedizione vicendevole mediante l'esperienza del perdono.

Per scoprire dove conduce l'amore preso nella sua integralità occorre tornare alla sua origine. Per capire cioè il terzo fattore del mistero nuziale, la fecondità - che è l'esito a cui tende il dono di sé - dobbiamo ripartire dal primo fattore:  la differenza sessuale. Ricordiamo che questa dice che l'io è strutturalmente riferito al tu. L'apertura all'altro è costitutiva dell'identità della persona. Lo sposo e la sposa che, in virtù della differenza sessuale, si donano reciprocamente, diventano "una carne sola" e si spalancano alla procreazione del figlio. Proprio perché fin dentro l'unione coniugale i due non si fondono in un'unità che ingloba entrambi, ma esprimono una piena comunione pur restando persone differenti, essi fanno posto al "terzo".

A questo proposito il grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar ha potuto genialmente affermare che "l'atto dell'unione di due persone nell'unica carne e il frutto di questa unione dovrebbero essere considerati insieme saltando la distanza nel tempo". Questa affermazione rende ragione della forza profetica dell'Humanae vitae. La procreazione del figlio, che implica l'affascinante avventura educativa, esprime il significato pieno del matrimonio. Mi preme aggiungere, per inciso, che anche nei matrimoni misti e in quelli interreligiosi se gli sposi sono resi consapevoli delle difficoltà e rispettano fino in fondo quanto stabilito a livello canonico è possibile una profonda esperienza dell'amore coniugale.



(©L'Osservatore Romano - 16 maggio 2010)

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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07/02/2013 15:31
 
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CONDIZIONE E CULTURA GIOVANILE PUNTI DI RIFERIMENTO INELUDIBILI AZIONE PASTORALE CHIESA

Città del Vaticano, 7 febbraio 2013 (VIS). Questa mattina il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto i partecipanti all'Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura dedicata al tema: "culture giovanili emergenti". Il Papa ha auspicato che i lavori dell'Assemblea siano proficui e offrano "un utile contributo per l’azione che la Chiesa svolge nei confronti della realtà giovanile; una realtà, (...), complessa e articolata, che non può più essere compresa all’interno di un universo culturale omogeneo, bensì in un orizzonte che può definirsi 'multiverso', determinato cioè da una pluralità di visioni, di prospettive, di strategie".

Benedetto XVI ha parlato successivamente del "clima diffuso di instabilità che tocca l’ambito culturale, come quello politico ed economico segnato anche dalle difficoltà dei giovani a trovare un lavoro - per incidere soprattutto a livello psicologico e relazionale. L’incertezza e la fragilità che connotano tanti giovani, non di rado li spingono alla marginalità, li rendono quasi invisibili e assenti nei processi storici e culturali delle società. (...) La sfera affettiva ed emotiva, l’ambito dei sentimenti (...) sono fortemente interessati da questo clima e dalla temperie culturale che ne consegue, espressa, ad esempio, da fenomeni apparentemente contraddittori, come la spettacolarizzazione della vita intima e personale e la chiusura individualistica e narcisistica sui propri bisogni ed interessi. Anche la dimensione religiosa, l’esperienza di fede e l’appartenenza alla Chiesa sono spesso vissute in una prospettiva privatistica ed emotiva".

"Non mancano, però, fenomeni decisamente positivi" come il volontariato ,"le esperienze di fede sincera e profonda (...); gli sforzi compiuti per costruire, in tante parti del mondo, società capaci di rispettare la libertà e la dignità di tutti, cominciando dai più piccoli e deboli. Tutto questo - ha sottolineato il Papa - ci conforta e ci aiuta a tracciare un quadro più preciso ed obiettivo delle culture giovanili. Non ci si può, dunque, accontentare di leggere i fenomeni culturali giovanili secondo paradigmi consolidati, ma divenuti ormai dei luoghi comuni, o di analizzarli con metodi non più utili, partendo da categorie culturali superate e non adeguate. Ci troviamo, in definitiva, di fronte ad una realtà quanto mai complessa ma anche affascinante, che va compresa in maniera approfondita e amata con grande spirito di empatia, una realtà di cui bisogna saper cogliere con attenzione le linee di fondo e gli sviluppi".

Nel riferirsi ai giovani di tanti Paesi del 'Terzo mondo', il Papa ha detto: "ci rendiamo conto che essi rappresentano, con le loro culture e con i loro bisogni, una sfida alla società del consumismo globalizzato, alla cultura dei privilegi consolidati, di cui beneficia una ristretta cerchia della popolazione del mondo occidentale. Le culture giovanili, di conseguenza, diventano 'emergenti' anche nel senso che manifestano un bisogno profondo, una richiesta di aiuto o addirittura una 'provocazione', che non può essere ignorata o trascurata, sia dalla società civile sia dalla Comunità ecclesiale".

Benedetto XVI ha ripetuto la sua preoccupazione per la cosiddetta '“emergenza educativa', a cui vanno sicuramente affiancate altre 'emergenze', che toccano le diverse dimensioni della persona e le sue relazioni fondamentali (...). Penso, ad esempio, alla crescente difficoltà nel campo del lavoro o alla fatica di essere fedeli nel tempo alle responsabilità assunte. Ne deriverebbe, per il futuro del mondo e di tutta l’umanità, un impoverimento non solo economico e sociale ma soprattutto umano e spirituale: se i giovani non sperassero e non progredissero più, se non inserissero nelle dinamiche storiche la loro energia, la loro vitalità, la loro capacità di anticipare il futuro, ci ritroveremmo un’umanità ripiegata su se stessa, priva di fiducia e di uno sguardo positivo verso il domani".

"Pur consapevoli delle tante situazioni problematiche, che toccano anche l’ambito della fede e dell’appartenenza alla Chiesa, vogliamo rinnovare la nostra fiducia nei giovani, riaffermare che la Chiesa guarda alla loro condizione, alle loro culture, come ad un punto di riferimento essenziale ed ineludibile per la sua azione pastorale. (...) La Chiesa ha fiducia nei giovani, spera in essi e nelle loro energie, ha bisogno di loro e della loro vitalità, per continuare a vivere con rinnovato slancio la missione affidatale da Cristo. Auspico vivamente, dunque, che l’'Anno della fede' sia, anche per le giovani generazioni, un’occasione preziosa per ritrovare e rafforzare l’amicizia con Cristo, da cui far scaturire la gioia e l’entusiasmo per trasformare profondamente le culture e le società".






DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA

Sala Clementina
Giovedì
, 7 febbraio 2013

    

Cari Amici,

sono veramente lieto di incontrarvi all’apertura dei lavori dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, in cui sarete impegnati a comprendere e approfondire– come ha detto il Presidente –, da diverse prospettive, le “culture giovanili emergenti”. Saluto cordialmente il Presidente, Cardinale Gianfranco Ravasi, e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi. Saluto i Membri, i Consultori e tutti i Collaboratori del Dicastero, augurando un proficuo lavoro, che offrirà un utile contributo per l’azione che la Chiesa svolge nei confronti della realtà giovanile; una realtà, come è stato detto, complessa e articolata, che non può più essere compresa all’interno di un universo culturale omogeneo, bensì in un orizzonte che può definirsi “multiverso”, determinato cioè da una pluralità di visioni, di prospettive, di strategie. Per questo è opportuno parlare di “culture giovanili”, atteso che gli elementi che distinguono e differenziano i fenomeni e gli ambiti culturali prevalgono su quelli, pur presenti, che invece li accomunano. Numerosi fattori concorrono, infatti, a disegnare un panorama culturale sempre più frammentato e in continua, velocissima evoluzione, a cui non sono certo estranei i social media, i nuovi strumenti di comunicazione che favoriscono e, talvolta, provocano essi stessi continui e rapidi cambiamenti di mentalità, di costume, di comportamento.

Si riscontra, così, un clima diffuso di instabilità che tocca l’ambito culturale, come quello politico ed economico – quest’ultimo segnato anche dalle difficoltà dei giovani a trovare un lavoro - per incidere soprattutto a livello psicologico e relazionale. L’incertezza e la fragilità che connotano tanti giovani, non di rado li spingono alla marginalità, li rendono quasi invisibili e assenti nei processi storici e culturali delle società. E sempre più frequentemente fragilità e marginalità sfociano in fenomeni di dipendenza dalle droghe, di devianza, di violenza. La sfera affettiva ed emotiva, l’ambito dei sentimenti, come quello della corporeità, sono fortemente interessati da questo clima e dalla temperie culturale che ne consegue, espressa, ad esempio, da fenomeni apparentemente contraddittori, come la spettacolarizzazione della vita intima e personale e la chiusura individualistica e narcisistica sui propri bisogni ed interessi. Anche la dimensione religiosa, l’esperienza di fede e l’appartenenza alla Chiesa sono spesso vissute in una prospettiva privatistica ed emotiva.

Non mancano, però, fenomeni decisamente positivi. Gli slanci generosi e coraggiosi di tanti giovani volontari che dedicano ai fratelli più bisognosi le loro migliori energie; le esperienze di fede sincera e profonda di tanti ragazzi e ragazze che con gioia testimoniano la loro appartenenza alla Chiesa; gli sforzi compiuti per costruire, in tante parti del mondo, società capaci di rispettare la libertà e la dignità di tutti, cominciando dai più piccoli e deboli. Tutto questo ci conforta e ci aiuta a tracciare un quadro più preciso ed obiettivo delle culture giovanili. Non ci si può, dunque, accontentare di leggere i fenomeni culturali giovanili secondo paradigmi consolidati, ma divenuti ormai dei luoghi comuni, o di analizzarli con metodi non più utili, partendo da categorie culturali superate e non adeguate.

Ci troviamo, in definitiva, di fronte ad una realtà quanto mai complessa ma anche affascinante, che va compresa in maniera approfondita e amata con grande spirito di empatia, una realtà di cui bisogna saper cogliere con attenzione le linee di fondo e gli sviluppi. Guardando, ad esempio, i giovani di tanti Paesi del cosiddetto “Terzo mondo”, ci rendiamo conto che essi rappresentano, con le loro culture e con i loro bisogni, una sfida alla società del consumismo globalizzato, alla cultura dei privilegi consolidati, di cui beneficia una ristretta cerchia della popolazione del mondo occidentale. Le culture giovanili, di conseguenza, diventano “emergenti” anche nel senso che manifestano un bisogno profondo, una richiesta di aiuto o addirittura una “provocazione”, che non può essere ignorata o trascurata, sia dalla società civile sia dalla Comunità ecclesiale. Più volte ho manifestato, ad esempio, la preoccupazione mia e di tutta la Chiesa per la cosiddetta “emergenza educativa”, a cui vanno sicuramente affiancate altre “emergenze”, che toccano le diverse dimensioni della persona e le sue relazioni fondamentali e a cui non si può rispondere in modo evasivo e banale. Penso, ad esempio, alla crescente difficoltà nel campo del lavoro o alla fatica di essere fedeli nel tempo alle responsabilità assunte. Ne deriverebbe, per il futuro del mondo e di tutta l’umanità, un impoverimento non solo economico e sociale ma soprattutto umano e spirituale: se i giovani non sperassero e non progredissero più, se non inserissero nelle dinamiche storiche la loro energia, la loro vitalità, la loro capacità di anticipare il futuro, ci ritroveremmo un’umanità ripiegata su se stessa, priva di fiducia e di uno sguardo positivo verso il domani.

Pur consapevoli delle tante situazioni problematiche, che toccano anche l’ambito della fede e dell’appartenenza alla Chiesa, vogliamo rinnovare la nostra fiducia nei giovani, riaffermare che la Chiesa guarda alla loro condizione, alle loro culture, come ad un punto di riferimento essenziale ed ineludibile per la sua azione pastorale. Per questo vorrei riprendere nuovamente alcuni significativi passaggi del Messaggio che il Concilio Vaticano II rivolse ai giovani, affinché sia motivo di riflessione e di stimolo per le nuove generazioni. Anzitutto, in questo Messaggio si affermava: «La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore… Essa possiede ciò che fa la forza o la bellezza dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste». Quindi il Venerabile Paolo VI rivolgeva questo appello ai giovani del mondo: «È a nome di questo Dio e del suo Figlio Gesù che noi vi esortiamo ad ampliare i vostri cuori secondo le dimensioni del mondo, ad intendere l’appello dei vostri fratelli, ed a mettere arditamente le vostre giovani energie al loro servizio. Lottate contro ogni egoismo. Rifiutate di dar libero corso agli istinti della violenza e dell’odio, che generano le guerre e il loro triste corteo di miserie. Siate generosi, puri, rispettosi, sinceri. E costruite nell’entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!».

Anch’io voglio ribadirlo con forza: la Chiesa ha fiducia nei giovani, spera in essi e nelle loro energie, ha bisogno di loro e della loro vitalità, per continuare a vivere con rinnovato slancio la missione affidatale da Cristo. Auspico vivamente, dunque, che l’Anno della fede sia, anche per le giovani generazioni, un’occasione preziosa per ritrovare e rafforzare l’amicizia con Cristo, da cui far scaturire la gioia e l’entusiasmo per trasformare profondamente le culture e le società.

Cari amici, ringraziando per l’impegno che con generosità ponete a servizio della Chiesa, e per la particolare attenzione che rivolgete ai giovani, di cuore vi imparto la mia Apostolica Benedizione. Grazie.

[SM=g1740771]





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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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21/10/2015 17:24
 
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EDITORIALE
Giovanni Paolo II
 

La coscienza non può essere opposta alla legge morale. La maternità della Chiesa esige l'annuncio della verità. Non ci sono vari gradi di verità a seconda delle circostanze. Alla vigilia della sua memoria liturgica ricordiamo l'insegnamento sempre valido di san Giovanni Paolo II, che molti padri sinodali oggi vorrebbero rovesciare.

San Giovanni Paolo II


Molti dei temi caldi toccati nel Sinodo ed oggetto di dibattito dai media erano stati affrontati e chiariti in modo magistrale da san Giovanni Paolo II, di cui domani 22 ottobre si fa memoria liturgica. Spigoliamo allora tra i suoi scritti per rintracciare alcune riflessioni del Papa santo su argomenti oggi messi in discussione come il ruolo della coscienza, il rapporto tra dottrina, pastorale e misericordia e il tema della legge della gradualità, riflessioni la cui validità rimane immutata. Essi peraltro dimostrano che certe deviazioni sono tutt'altro che nuove.

La coscienza.
«Alcuni hanno proposto una sorta di duplice statuto della verità morale. Oltre al livello dottrinale e astratto, occorrerebbe riconoscere l'originalità di una certa considerazione esistenziale più concreta. Questa, tenendo conto delle circostanze e della situazione, potrebbe legittimamente fondare delle eccezioni alla regola generale e permettere così di compiere praticamente, con buona coscienza, ciò che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale. In tal modo si instaura in alcuni casi una separazione, o anche un'opposizione, tra la dottrina del precetto valido in generale e la norma della singola coscienza, che deciderebbe di fatto, in ultima istanza, del bene e del male. Su questa base si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette «pastorali» contrarie agli insegnamenti del Magistero e di giustificare un'ermeneutica «creatrice», secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto negativo particolare. […] Mentre però la legge naturale mette in luce le esigenze oggettive e universali del bene morale, la coscienza è l'applicazione della legge al caso particolare, la quale diventa così per l'uomo un interiore dettame, una chiamata a compiere nella concretezza della situazione il bene. La coscienza formula così l'obbligo morale alla luce dalla legge naturale: è l'obbligo di fare ciò che l'uomo, mediante l'atto della sua coscienza, conosce come un bene che gli è assegnato qui e ora. Il carattere universale della legge e dell'obbligazione non è cancellato, ma piuttosto riconosciuto, quando la ragione ne determina le applicazioni nell'attualità concreta. Il giudizio della coscienza afferma «ultimamente» la conformità di un certo comportamento concreto rispetto alla legge; esso formula la norma prossima della moralità di un atto volontario, realizzando «l'applicazione della legge oggettiva a un caso particolare». […] Nei giudizi della nostra coscienza si annida sempre la possibilità dell'errore. Essa non è un giudice infallibile: può errare». 
(Veritatis splendor, nn. 56, 59, 62). 

«Persa l’idea di una verità universale sul bene, conoscibile dalla ragione umana, è inevitabilmente cambiata anche la concezione della coscienza: questa non è più considerata nella sua realtà originaria, ossia un atto dell’intelligenza della persona, cui spetta di applicare la conoscenza universale del bene in una determinata situazione e di esprimere così un giudizio sulla condotta giusta da scegliere qui e ora; ci si è orientati a concedere alla coscienza dell’individuo il privilegio di fissare, in modo autonomo, i criteri del bene e del male e agire di conseguenza». 
(Fides et ratio, n. 98)

Rapporto tra dottrina, pastorale e misericordia. 
«Questo essenziale legame di Verità-Bene-Libertà è stato smarrito in larga parte dalla cultura contemporanea e, pertanto, ricondurre l’uomo a riscoprirlo è oggi una delle esigenze proprie della missione della Chiesa, per la salvezza del mondo».
(Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale di teologia morale, 10 aprile 1986, n. 2). “

«La dottrina della Chiesa e in particolare la sua fermezza nel difendere la validità universale e permanente dei precetti che proibiscono gli atti intrinsecamente cattivi è giudicata non poche volte come il segno di un'intransigenza intollerabile, soprattutto nelle situazioni enormemente complesse e conflittuali della vita morale dell'uomo e della società d'oggi: un'intransigenza che contrasterebbe col senso materno della Chiesa. Questa, si dice, manca di comprensione e di compassione. Ma, in realtà, la maternità della Chiesa non può mai essere separata dalla sua missione di insegnamento, che essa deve compiere sempre come Sposa fedele di Cristo, la Verità in persona. […] In realtà, la vera comprensione e la genuina compassione devono significare amore alla persona, al suo vero bene, alla sua libertà autentica. E questo non avviene, certo, nascondendo o indebolendo la verità morale, bensì proponendola nel suo intimo significato di irradiazione della Sapienza eterna di Dio, giunta a noi in Cristo, e di servizio all'uomo, alla crescita della sua libertà e al perseguimento della sua felicità. Nello stesso tempo la presentazione limpida e vigorosa della verità morale non può mai prescindere da un profondo e sincero rispetto, animato da amore paziente e fiducioso, di cui ha sempre bisogno l'uomo nel suo cammino morale, spesso reso faticoso da difficoltà, debolezze e situazioni dolorose. La Chiesa che non può mai rinunciare al «principio della verità e della coerenza, per cui non accetta di chiamare bene il male e male il bene», deve essere sempre attenta a non spezzare la canna incrinata e a non spegnere il lucignolo che fumiga ancora (cf Is 42,3). […] La fermezza della Chiesa, nel difendere le norme morali universali e immutabili, non ha nulla di mortificante. È solo al servizio della vera libertà dell'uomo: dal momento che non c'è libertà al di fuori o contro la verità, la difesa categorica, ossia senza cedimenti e compromessi, delle esigenze assolutamente irrinunciabili della dignità personale dell'uomo, deve dirsi via e condizione per l'esistere stesso della libertà. […] La dottrina morale cristiana deve costituire, oggi soprattutto, uno degli ambiti privilegiati della nostra vigilanza pastorale, dell'esercizio del nostro munus regale. È la prima volta, infatti, che il Magistero della Chiesa espone con una certa ampiezza gli elementi fondamentali di tale dottrina, e presenta le ragioni del discernimento pastorale necessario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta critiche».
(Veritatis splendor, nn. 95-96, 114-115)

«Lo stesso Concilio ha invitato i teologi, "nel rispetto dei metodi e delle esigenze proprie della scienza teologica, a ricercare modi sempre più adatti di comunicare la dottrina agli uomini della loro epoca, perché altro è il deposito o le verità della fede, altro è il modo con cui vengono enunciate, rimanendo pur sempre lo stesso il significato e il senso profondo"» 

(Ibidem, n. 29 in cui si cita Gaudium et spes, n. 62)

Legge della gradualità contro gradualità della legge. 
«È richiesta una conversione continua, permanente, che, pur esigendo l'interiore distacco da ogni male e l'adesione al bene nella sua pienezza, si attua però concretamente in passi che conducono sempre oltre. Si sviluppa così un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell'intera vita personale e sociale dell'uomo. È perciò necessario un cammino pedagogico di crescita affinché i singoli fedeli, le famiglie ed i popoli, anzi la stessa civiltà, da ciò che hanno già accolto del Mistero di Cristo siano pazientemente condotti oltre, giungendo ad una conoscenza più ricca e ad una integrazione più piena di questo Mistero nella loro vita» 
(Familiaris consortio, n. 9)

«La cosiddetta ‘legge della gradualità’, o cammino graduale, non può identificarsi con la ‘gradualità della legge’, come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse» 
(Omelia per la conclusione del VI Sinodo dei Vescovi, 25 Ottobre 1980, n. 8)

«Rientra nella pedagogia della Chiesa che i coniugi anzitutto riconoscano chiaramente la dottrina della «Humanae Vitae» come normativa per l'esercizio della loro sessualità, e sinceramente si impegnino a porre le condizioni necessarie per osservare questa norma».
(Familiaris consortio, n. 34).

   






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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/06/2016 17:41
 
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RIFLESSIONE

Sinodo

 

Il Sinodo sulla famiglia ha messo in evidenza il ritorno dei "casuisti", che già ebbero un loro momento nel XVII secolo: si preoccupano di sistemare le situazioni particolari in modo da non dispiacere nessuno, ignorando i princìpi fondamentali della morale. Sono i veri eredi di scribi e farisei: non si accontentano di addolcire la qualificazione morale degli atti; vogliono trasformare la legge morale stessa.

di Michel Schooyans

Pubblichiamo in esclusiva per l'Italia un breve saggio di monsignor Michel Schooyans ("Dalla casuistica alla misericordia - Verso una nuova arte di piacere?"), dedicato all'eclissi della morale cattolica perseguita da teologi e pastori della Chiesa. Monsignor Schooyans è professore emerito dell'Università di Louvain-la-Neuve (Belgio), membro della Pontificia Accademia di Scienze Sociali e consulente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. È autore di numerosi libri e saggi su bioetica, demografia, politiche globali dell'ONU. Su richiesta personale di Giovanni Paolo II, che lo volle come collaboratore della Santa Sede, ha scritto anche una Via Crucis per le famiglie (2001). Data la lunghezza del saggio lo pubblicheremo in tre parti.  

Si potrebbe pensare che la casuistica sia morta e sepolta. Le controversie del XVII secolo definitivamente superate. Pochi sono quelli che leggono ancora le Lettere Provinciali e gli autori che Pascal (1623-1662) critica. 

Questi autori sono i casuisti, vale a dire i moralisti che si adoperano a risolvere i casi di coscienza senza cedere al rigorismo. Rileggendo le celebri Lettere, siamo rimasti colpiti dalla vistosa somiglianza tra uno scritto di controversia del XVII secolo e le posizioni difese oggi dai pastori e dai teologi che aspirano a cambiamenti radicali della pastorale e della dottrina della Chiesa. Il recente Sinodo sulla famiglia (ottobre 2014 – ottobre 2015) ha messo in evidenza una combattività riformatrice che le Lettere provinciali consentono oggi di comprendere meglio. Ecco che Pascal comincia a essere conosciuto in una luce inaspettata! Le pagine che seguono vogliono semplicemente suscitare la curiosità del lettore e aiutarlo a scoprire una nuova arte di piacere.

IL TESORO DELLA CHIESA

Il Sinodo sulla famiglia ha messo in evidenza - se ce ne fosse stato bisogno – un profondo malessere della Chiesa. Senza dubbio crisi di crescita, ma anche dibattiti ricorrenti sulla questione dei divorziati «risposati», i «modelli» di famiglia, il ruolo della donna, il controllo delle nascite, la gestazione per altri, l’omosessualità, l’eutanasia. Inutile chiudere gli occhi: la Chiesa è sfidata sui fondamenti. Questi si trovano nell’insieme della Sacra Scrittura, nell'insegnamento di Gesù, nella effusione dello Spirito Santo, nell’annuncio del Vangelo da parte degli Apostoli, nella comprensione vieppiù affinata della Rivelazione, nell’assenso di fede della comunità credente. La Chiesa s’è vista affidare da Gesù la missione di accogliere queste verità, di mettere in luce la loro coerenza, di farne memoria. La Chiesa non ha ricevuto dal Signore né la missione di modificare queste verità né la missione di riscrivere il Credo; è la custode del tesoro; deve studiare queste verità, spiegarle, approfondire la loro comprensione e invitare tutti ad aderirvi per fede. 

A partire dagli Atti degli Apostoli, la Chiesa riconosce e proclama di essere una, santa, cattolica e apostolica. Queste sono le sue «note» distintive. La Chiesa è una, perché ha un solo cuore, quello di Gesù. E' Santa, ossia invita alla conversione al Signore, alla preghiera, alla contemplazione del Signore. L'uomo non ha alcun potere di santificare se stesso, ma tutti sono chiamati a rispondere alla chiamata universale alla santità. È cattolica, cioè ha ricevuto dallo Spirito Santo il dono delle lingue: è universale. Comprensione delle lingue significa unità nella diversità, frutto dello Spirito Santo. La Chiesa è anche apostolica, vale a dire fondata sugli apostoli ed i profeti. La successione apostolica significa che un nesso ininterrotto ci collega alla sorgente stessa della dottrina degli apostoli. 

Per offrire al mondo la Buona Novella che è venuto a portare, il Signore ha voluto associare alla sua opera uomini che ha scelto perché rimanessero con lui e andassero a insegnare a tutte le genti (cfr Mc 3, 13-19). Questi uomini recano testimonianza delle parole che hanno raccolto dalla bocca stessa di Gesù e dei segni che egli ha operato. Questi testimoni sono stati chiamati dal Signore per garantire, di generazione in generazione, la fedeltà alla dottrina che egli stesso ha impartito. A loro compete il dovere di approfondire la comprensione delle testimonianze che lo riguardano e di autenticarne la tradizione.

L'insegnamento del Signore comporta una dimensione morale esigente. Questo insegnamento invita certamente a una adesione di ragione alla regola d'oro, che i grandi saggi dell'umanità hanno meditato lungo i secoli. Gesù porta questa regola alla perfezione. Ma la tradizione della Chiesa comporta precetti di condotta propri, in cima ai quali figura l'amore a Dio e al prossimo. «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa è la Legge ed i Profeti » (Mt 7, 12). Questo doppio comando è il riferimento di base per l'agire del cristiano. Costui è chiamato ad aprirsi all’illuminazione dello Spirito, che è amore, e a corrispondere a questa illuminazione con la fede che opera per mezzo dell’amore (cfr Gal 5, 6).

Tra questo - l'amore - e quella - la fede - il legame è indissolubile. Se – è l'insegnamento della Chiesa - questo legame è rotto, la morale cristiana sprofonda in diverse forme di relativismo o scetticismo. Si arriva ad accontentarsi di opinioni soggettive e fluttuanti. Si stabilisce una frattura tra verità e azione. Non c’è più riferimento alla verità, né all’autorità che la garantisce. La morale cristiana non è più donata da Dio agli uomini.
L’uomo – si arriva a pensare -  non ha nemmeno bisogno di amare Dio per salvarsi, né di credere nel suo amore.
Spezzata da una cesura fatale, la morale vede spalancarsi, grande, la porta del legalismo, dell'agnosticismo e del secolarismo. Le regole di vita insegnate dai Profeti, dal Signore, dai Padri della Chiesa vengono a poco a poco disattivate. Quelle che prevalgono allora sono le prescrizioni dei nuovi specialisti della legge, eredi degli scribi e dei farisei. La morale diventa così una forma di positivismo gnostico riservato agli iniziati. Questo sapere non trova «legittimità» se non nelle decisioni puramente discrezionali di coloro che si concedono il privilegio di enunciare una nuova morale, mutilata del riferimento fondante alla verità rivelata.

Nel suo insegnamento, San Paolo ci invita a evitare le insidie di una morale privata di radicamento nella rivelazione. Ecco come esorta i cristiani:

«Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12, 2)

«E perciò prego che la vostra carità si arricchisca ancora e sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio» (Fil 1, 9s; cfr 1 Tim 5,19-22)

 

IL RITORNO DELLA CASUISTICA

E' qui che si può percepire il ritorno della casuistica. Ciò dovrebbe consentire ai moralisti di esaminare e di risolvere i casi di coscienza. Alcuni moralisti si impegnano a fornire soluzioni che aggradano a persone che ricorrono ai loro lumi. In questi casuisti di ieri e di oggi, i principi fondamentali della morale sono eclissati dai giudizi spesso divergenti emessi da questi gravi consulenti spirituali. Il disinteresse da cui è afflitta la morale fondamentale lascia campo libero all’instaurazione di un diritto positivo che dei codici di comportamento mette al bando ciò che insiste a riferirsi alle regole fondamentali della morale. Il casuista, o neocasuista, è diventato legislatore e giudice. Coltiva l'arte di disorientare i fedeli. La sollecitudine per la verità rivelata e accessibile alla ragione perde il suo interesse. Al limite, ci s’interesserà solo alle posizioni "probabili". Grazie al probabilismo, una tesi potrà dar luogo ad interpretazioni contraddittorie. 

Il probabilismo permetterà di suggerire ora il caldo ora il freddo, il pro e il contro. Si dimentica l'insegnamento di Gesù: «Quando parlate, dite “sì” o “no”, tutto il resto viene dal Maligno» (Mt 5, 37; Gc 5: 12; cfr 2 Cor 1, 20). Nondimeno, ciascun neocasuista si muoverà secondo la propria interpretazione. La tendenza è alla confusione delle tesi, alla doppiezza, alla doppia o tripla verità, a una valanga di interpretazioni. Il casuista ha un cuore diviso, ma intende restare un amico del mondo (cfr Gc 4, 4-8).

A poco a poco appassiranno le regole di condotta fissate dalla volontà del Signore e trasmesse dal magistero della Chiesa. La qualificazione morale degli atti può dunque essere modificata. I casuisti non si accontentano di addolcire questa qualificazione; vogliono trasformare la legge morale stessa. Questo sarà il compito dei casuisti, dei confessori, dei direttori spirituali, a volte di alcuni vescovi. Tutti dovranno avere la preoccupazione di piacere.  Di conseguenza, dovranno ricorrere al compromesso, adattare il loro discorso alla soddisfazione delle passioni umane: non bisogna respingere nessuno 

La qualificazione morale di un atto non dipende più dalla sua conformità alla volontà di Dio quale la rivelazione ci fa conoscere. Dipende dall’intenzione dell’agente morale e quest’intenzione può essere modulata e modellata dal direttore di coscienza che «accompagna» i suoi assistiti. Allo scopo di piacere, il direttore dovrà allentare il rigore della dottrina trasmessa dalla tradizione. Il pastore dovrà adattare le sue parole alla natura dell’uomo, che le passioni portano naturalmente a peccare. Da qui l’accantonamento progressivo dei riferimenti al peccato originale e alla grazia. L'influenza di Pelagio (monaco d’origine bretone, V secolo) è evidente: l'uomo deve salvare se stesso e prendere tra le mani il proprio destino. Dire la verità non fa più parte del ruolo del casuista. Questi deve accattivare, presentare un discorso affascinante, fare il piacione, rendere la salvezza facile, incantare coloro che aspirano a «farsi solleticare le orecchie» (cfr 2 Tm 4, 3). 

In breve, l'eclissi del contributo decisivo della rivelazione alla morale apre la strada per l'inaugurazione della casuistica e crea lo spazio favorevole per l'instaurazione di un governo delle coscienze.
Si restringe lo spazio per la libertà religiosa, quale la Scrittura propone ai piccoli figli di Dio, cioè inseparabile dall’adesione di fede nel Signore. Dobbiamo quindi esaminare alcuni esempi di settori in cui l’operato dei neocasuisti d’oggi appare chiaramente. (1. continua)






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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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17/06/2016 11:35
 
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Divorzio, aborto ed eutanasia presto saranno accettati in nome della compassione


 


La nuova morale perseguita dentro e fuori la Chiesa dai “neo casuisti”, cioè coloro che stravolgono la dottrina adattandola ai casi particolari, porta a conseguenze paradossali e drammatiche. I sacramenti vengono stravolti e resi inutili, così come l’indissolubilità del  matrimonio. In nome della compassione. Non solo, con la stessa strategia (la “tecnica del salame”: una fetta alla volta)  si rendono accettabili l’omicidio, l’aborto e l’eutanasia.

Seconda parte della pungente analisi del teologo Michel Schooyans. 

di Michel Schooyans

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Divorzio, aborto ed eutanasia saranno accettati anche dalla Chiesa. Per “amore”

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La nuova morale perseguita dentro e fuori la Chiesa dai “neo casuisti”, cioè coloro che stravolgono la dottrina adattandola ai casi particolari, porta a conseguenze paradossali e drammatiche. I sacramenti vengono stravolti e resi inutili, così come l’indissolubilità del matrimonio. In nome della compassione. Non solo, con la stessa strategia (la “tecnica del salame”: una fetta alla volta) si rendono accettabili l’omicidio, l’aborto e l’eutanasia. Seconda parte della pungente analisi del teologo mons. Michel Schooyans.

 

Mons. Schooyans
Mons. Schooyans

Pubblichiamo in esclusiva per l’Italia la seconda parte di un breve saggio di monsignor Michel Schooyans(“Dalla casuistica alla misericordia – Verso una nuova arte di piacere?”), dedicato all’eclissi della morale cattolica perseguita da teologi e pastori della Chiesa. Monsignor Schooyans è professore emerito dell’Università di Louvain-la-Neuve (Belgio), membro della Pontificia Accademia di Scienze Sociali e consulente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. È autore di numerosi libri e saggi su bioetica, demografia, politiche globali dell’Onu. Su richiesta personale di Giovanni Paolo II, che lo volle come collaboratore della Santa Sede, ha scritto anche una Via Crucis per le famiglie (2001).

di Michel Schooyans (17-06-2016)

Il governo della “coscienze”

Con l’arrivo, nella Chiesa, dei governatori delle coscienze, possiamo percepire la prossimità esistente tra la concezione casuistica del governo della Città e la concezione che si trova, per esempio, in Machiavellli, in La Boëtie o in Hobbes. Senza dirlo, o senza rendersene conto, i neocasuisti sono in tutto e per tutto gli eredi di questi maestri dell’arte di governare i servi, arte che si trova nei tre autori citati.

Dio mortale, il Leviatano stabilisce ciò che è giusto e ciò che è buono; egli decide di ciò che gli uomini devono pensare e volere. ? lui, il Leviatano, che signoreggia la coscienza, il pensiero e l’agire di tutti i suoi sudditi. Non deve render conto ad alcuno. Deve dominare le coscienze dei suoi sudditi e stabilire il “bene” che si deve perseguire il “male” che si deve evitare. Tutta l’autorità politica ha in definitiva la sua sorgente in questo dio mortale che è il governatore delle coscienze. Insieme con i tre autori citati, ecco che i neocasuisti sono arruolati tra i teorici della tirannide e del totalitarismo. L’abc del potere totalitario non consiste, anzitutto, nel soggiogare le coscienze, nell’alienarle? In questo modo, i casuisti offrono un salvacondotto a tutti quelli che vogliono instaurare una religione civile unica e facilmente controllabile, cosicché le leggi discriminano i cittadini.

Adattare i sacramenti?

Per accontentare tutti, bisogna “adattare” i sacramenti. Prendiamo il caso del sacramento della penitenza. Il disinteresse di cui il sacramento è ora oggetto si comprende dal “rigorismo” di cui i confessori davano prova nei tempi andati. Questo, almeno, è ciò che assicurano i casuisti. Oggi, il confessore deve imparare a fare di questo sacramento un sacramento che piace ai penitenti. Ma edulcorando la severità attribuita a questo sacramento, il casuista discosta il suo penitente dalla grazia che Dio porge. La neocasuistica d’oggidì allontana il peccatore dalla fonte divina della misericordia. Perciò è a quella che bisogna ritornare.

Le conseguenze provenienti da questa deliberata deviazione sono paradossali e drammatiche. La nuova morale conduce il cristiano a rendere inutile il sacramento della penitenza e, quindi, la Croce di Cristo e la sua risurrezione (cfr 1 Cor 1, 17). Se questo sacramento non è più accolto come una delle manifestazioni maggiori dell’amore misericordioso di Dio per noi, se non è più percepito come necessario alla salvezza, presto non occorrerà più ordinare vescovi o preti per proporre ai peccatori l’assoluzione sacramentale. La scarsità e l’eventuale scomparsa dell’offerta sacramentale del perdono tramite il prete condurrà, e di fatto ha già condotto, ad altri allontanamenti, tra cui quello dal sacerdozio ordinato e dall’Eucaristia. E così via per i sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo e confermazione), per l’unzione degli infermi, per non parlare della liturgia in generale…

Ad ogni modo, per i neocasuisti di fatto non c’è più rivelazione da accogliere né tradizione da trasmettere. Come si è già fatto rimarcare, «il vero è il nuovo!». Il nuovo è il nuovo contrassegno di verità. Questa nuova casuistica conduce i cristiani a fare tabula rasa del passato. Infine, l’ossessione di compiacere spinge i nuovi casuisti a ritornare alla natura, quella antecedente il peccato originale.

La questione del “risposarsi”

L’insegnamento dei neocasuisti ci fa ricordare la condiscendenza di cui hanno dato prova niente male i vescovi inglesi nei confronti di Enrico VIII. La questione si ripropone oggi, anche se variano le modalità di condiscendenza. Chi sono questi chierici di ogni ordine che cercano di compiacere i potenti di questo mondo? Leali o ribelli? Quanti sono i pastori di ogni rango che vogliono stringere alleanza con i potenti di questo mondo, anche se ciò oggi avviene in modo felpato e senza dover giurare pubblicamente fedeltà ai “valori” del mondo odierno? Spingendo per facilitare il “risposarsi” i neocasuisti forniscono il loro lasciapassare a tutti gli attori politici che minano il rispetto della vita e della famiglia. Con loro, le dichiarazioni di nullità saranno facili come lo saranno i “matrimoni” a ripetizione o a geometria variabile.

I neocasuisti attribuiscono grande interesse ai casi dei divorziati “risposati”. Come per altri casi, le tappe del loro modo di procedere offrono una bella esemplificazione della tattica del salame (Matyas Rákosi, 1947). Secondo questa tattica, si accorda fetta dopo fetta ciò che non si concederebbe mai in blocco. Osserviamo dunque il procedimento. Prima fetta: al punto di partenza si trovano, beninteso, dei richiami all’insegnamento delle Scritture sul matrimonio e la dottrina della Chiesa sulla questione. Seconda fetta: si insiste sulla difficoltà ad “accogliere” questo insegnamento. Terza tappa, sotto forma di interrogativo: i divorziati “risposati” sono in stato di peccato grave?

La quarta fetta vede l’entrata in scena del direttore di coscienza, che aiuterà i divorziati “risposati” a “discernere”, cioè a scegliere ciò che conviene loro nella loro situazione. Questo direttore di coscienza dovrà mostrarsi comprensivo e indulgente. Dovrà dar prova di compassione, ma di quale compassione? Per il casuista, infatti, quando si procede alla qualificazione morale di un atto, la sollecitudine per la compassione deve avere la meglio sulle azioni oggettivamente cattive: dovrà essere clemente, adattarsi alle circostanze. Alla quinta fetta di salame, ognuno potrà discernere, personalmente e in tutta libertà di pensiero, ciò che meglio gli conviene. In effetti, durante il cammino, la parola discernimento è diventata equivoca, ambigua. Non è da prendersi nel senso paolino richiamato nei passi delle Scritture di cui sopra. Non si tratta più di cercare la volontà di Dio, ma di discernere la scelta più conveniente, quella che massimizzerà il «solletico delle orecchie» evocato da San Paolo (2 Tim 4, 3).

L’omicidio

L’omicidio presenta un altro caso che merita la nostra attenzione. Ci soffermeremo qui su un caso di deviazione dell’intenzione. Già nella casuistica classica del XVII secolo, l’omicidio potrebbe procedere dal desiderio di vendetta, che è un crimine. Per evitare questa qualificazione criminale, bisognava deviare questa intenzione criminale (l’intenzione di vendicarsi) e assegnare all’omicidio un’altra intenzione moralmente ammissibile. Invece di invocare la vendetta come motivazione, si invocava, per esempio, il desiderio di difendere il proprio onore, il che è stato considerato come moralmente ammissibile.

Vediamo come questa deviazione di intenzione si applica ad un altro caso, contemporaneo. Si argomenta nel modo segue: l’aborto è un crimine. La signora X vuole abortire il figlio che aspettava; questo bambino è indesiderato. Ma l’aborto è un crimine moralmente inammissibile. Si devia allora l’intenzione in modo che l’intenzione iniziale sia cancellata. Non ha l’intenzione di liberarsi di un bambino ingombrante! In luogo e in vece di questa intenzione iniziale, si argomenterà che in tale caso l’aborto è moralmente ammissibile perché ha per esempio lo scopo di salvare la vita dei soggetti malati, procurandosi medicine con parti anatomiche in buono stato e a tariffa. L’intenzione determina la qualità morale del dono. Così che si può piacere a un ventaglio allargato di beneficiari di cui i casuisti non mancano di decantare la “generosità” e la “libertà di spirito”.

Ciò che insegna la Chiesa sull’aborto è ben noto. Dal momento che si constata la presenza dell’essere umano, la Chiesa insegna che la vita e la dignità di questo essere devono essere rispettate, fino alla morte naturale. La dottrina della Chiesa su questo tema è costante ed è attestata lungo tutta la tradizione. Questa situazione infastidisce alcuni neocasuisti. Essi hanno quindi coniato un nuovo termine: l’umanizzazione dell’embrione. Non vi è – dicono – umanizzazione dell’embrione se non là dove una comunità vuole ben accogliere questo embrione. È la società che umanizza l’embrione. Se la società rifiuta questa umanizzazione, potrà legalizzare l’eliminazione dell’embrione. In assenza di questa umanizzazione da parte della società, l’embrione è qualcosa per cui nessun diritto potrà essere invocato, e nemmeno dunque alcuna protezione giuridica. Se la società si rifiuta di umanizzare l’embrione, non ci può essere un omicidio, dal momento che la realtà umana di questo embrione non viene riconosciuta. Perché ci sia omicidio sarebbe necessario che la concessione di umanizzazione fosse resa possibile da una legge positiva. Senza la quale non c’è né morte né omicidio!

Negli esempi che qui citiamo, la tattica del salame viene in aiuto dei neocasuisti. In un primo tempo, l’aborto è illegale, poi è presentato come eccezionale, poi diventa raro, poi facilitato, poi legalizzato, poi si integra nei costumi. Coloro che si oppongono a questi aborti sono denigrati, minacciati, ostracizzati, condannati. Questo è il modo in cui si districano le istituzioni politiche e il diritto. Si noti che, grazie ai casuisti, l’aborto è facilitato prima nella Chiesa e poi nello Stato! Il diritto positivo assume il ruolo della nuova morale! È ciò che si è potuto osservare, in Francia, all’epoca il dibattito sulla legalizzazione dell’aborto. Questo è uno scenario che potrebbe diffondersi in tutto il mondo. Grazie all’impulso dei neocasuisti, l’aborto potrebbe essere dichiarato un nuovo “diritto dell’uomo” su scala universale.

L’eutanasia

Anche la questione dell’eutanasia merita d’essere evocata. Questa pratica si estende sempre più nei Paesi occidentali, tradizionalmente cristiani. I demografi regolarmente mettono in evidenza l’invecchiamento della popolazione di queste regioni del mondo. L’aspettativa di vita alla nascita è aumentata quasi ovunque. In linea di principio, l’invecchiamento è di per sé una buona notizia. Nel corso dei secoli, in tutto il mondo, gli uomini hanno lottato contro la morte precoce. Nei primi anni del XIX secolo, l’aspettativa di vita alla nascita era spesso dell’ordine dei trent’anni. Oggi, la stessa aspettativa di vita è dell’ordine degli ottant’anni.

Questa situazione, tuttavia, genera problemi di ogni sorta. Menzioniamone uno: chi pagherà le pensioni? Eutanasizzare i vecchi ingombranti e costosi permetterebbe certamente di ottenere risparmi significativi. Si dirà quindi che dobbiamo aiutare il vecchio costoso a «morire con dignità». Dal momento che è politicamente difficile ritardare l’età in cui si raggiunge il pensionamento, si abbasserà l’aspettativa di vita. Il processo è già in atto in alcune parti d’Europa. Donde risparmi significativi: riduzione dei costi sanitari, dei prodotti farmaceutici e soprattutto riduzione della massa delle pensioni da corrispondere. Siccome ai benpensanti politicamente corretti ripugnerà un piano così austero, è necessario modificare l’intenzione per giungere a far passare una legge che legalizzi l’eutanasia.

Come si procede? Sviluppando un discorso pietoso sulla compassione. Si deve risultare graditi a tutte le categorie di persone interessate da questo programma. Queste persone, bisogna condurle ad aderire a un programma avente per oggetto di donare la morte «in buone condizioni» e «con dignità». La morte donata con dignità sarà l’apice della qualità della vita! Invece di auspicare trattamenti palliativi e di circondare d’affetto il malato, si abuserà della sua fragilità, lo si ingannerà sul trattamento mortale che si va a infliggergli. I neocasuisti vigilanti rimarranno lì per verificare la conformità dell’atto omicida alla legge positiva che «autorizza» il dono della morte. La collaborazione di cappellani particolarmente gioviali sarà notevolmente apprezzata per autenticare la compassione significata dalla morte data in regalo.

(2. continua)

Traduzione di Alessandro Martinetti

FONTE: lanuovabq.it



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  Il partito che vuol smantellare la morale in nome del pietismo
di Michel Schooyans19-06-2016

Sinodo

Pubblichiamo in esclusiva per l'Italia la terza e ultima parte di un breve saggio di monsignor Michel Schooyans (Dalla casuistica alla misericordia - Verso una nuova arte di piacere?), dedicato all'eclissi della morale cattolica perseguita da teologi e pastori della Chiesa. Monsignor Schooyans è professore emerito dell'Università di Louvain-la-Neuve (Belgio), membro della Pontificia Accademia di Scienze Sociali e consulente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. È autore di numerosi libri e saggi su bioetica, demografia, politiche globali dell'Onu. Su richiesta personale di Giovanni Paolo II, che lo volle come collaboratore della Santa Sede, ha scritto anche una Via Crucis per le famiglie (2001). 

Le discussioni occorse in occasione del Sinodo sulla famiglia hanno messo in evidenza la determinazione con cui un gruppo di pastori e teologi non esitano a minare la coesione dottrinale della Chiesa. Questo gruppo funziona alla stregua di un partito potente, internazionale, ricco, organizzato e disciplinato. I membri attivi del partito hanno facile accesso ai media; spesso intervengono a viso aperto. Operano con l'appoggio di alcune delle più alte autorità della Chiesa. L'obiettivo principale di questi attivisti è la morale cristiana, alla quale è rimproverata una severità incompatibile con i «valori» del nostro tempo.

Bisogna trovare percorsi che conducano la Chiesa a piacere, riconciliando il suo insegnamento morale con le passioni umane. La soluzione proposta dai neocasuisti inizia con la messa in discussione della morale fondamentale, poi con l’oscuramento dei lumi naturali della ragione. I riferimenti alla morale cristiana rivelata nella Scrittura e negli insegnamenti di Gesù sono deviati dal loro significato originario. I precetti della ragione sono considerati come indefinitamente discutibili: il probabilismo comporta obblighi. Primato deve essere riconosciuto alla volontà di coloro che sono abbastanza potenti per imporre la loro volontà. Non si esiterà a farsi aggiogare con gli increduli (cfr 2 Cor 6, 14). 

Questa morale volontarista sarà abbastanza larga per mettersi al servizio del potere politico, dello Stato, ma anche del mercato, dell’alta finanza, del diritto ecc. Concretamente, bisognerà piacere ai leader politici corrotti, ai campioni dell’evasione fiscale e dell'usura, ai medici abortisti, ai mercanti industriali di pillole, agli avvocati disposti a difendere i casi meno difendibili, agli agronomi arricchiti dai prodotti transgenici ecc. La nuova morale si estenderà dunque insidiosamente nei media, nelle famiglie, nelle scuole, nelle università, negli ospedali, nei tribunali.

Così si è formato un corpo sociale che rifiuta il primo posto alla ricerca della verità, ma molto attivo ovunque ci sono delle coscienze da governare, degli assassini da rassicurare, dei mascalzoni da liberare, dei cittadini ricchi da compiacere. Grazie a questa rete, i neocasuisti potranno esercitare il loro controllo sugli ingranaggi della Chiesa, influenzare la scelta dei candidati per le alte cariche, tessere alleanze che mettono a repentaglio l'esistenza stessa della Chiesa.

VERSO UNA RELIGIONE DEL PIETISMO?

1. Quello che c’è di più preoccupante nei casuisti è il disinteresse per la verità. In loro troviamo un relativismo, o anche uno scetticismo il quale fa sì che nella morale si debba agire secondo la norma più probabile. Dobbiamo scegliere la norma che, in quelle circostanze, è considerata piacere di più a quella persona, a quel direttore spirituale, a quel pubblico. Ciò vale per la Città come per gli uomini. Tutti devono fare la loro scelta, non in funzione della verità, ma in funzione delle circostanze. Le migliori leggi sono quelle che piacciono di più e piacciono al maggior numero. Stiamo assistendo così all'espansione di una religione del pietismo, o anche a un utilitarismo individualista, poiché la preoccupazione di piacere agli altri non spegne più la preoccupazione di piacere a sé stessi.

2. Allo scopo di piacere, i casuisti devono essere alla moda, essere attenti alle novità. I Padri della Chiesa delle generazioni precedenti e i grandi teologi del passato, anche recente, sono presentati come inadatti alla situazione attuale della Chiesa; sarebbero sorpassati. Per questi casuisti, la tradizione della Chiesa deve essere per così dire filtrata e sottoposta a una rimessa in questione radicale. Noi – assicurano con gravità i neocasuisti – noi sappiamo quello che deve fare la Chiesa di oggi per piacere a tutto il mondo (cfr Gv 9). Il desiderio di piacere ha di mira particolarmente i vincenti. La nuova moralità sociale e politica deve aver cura di queste persone. Costoro hanno un tenore di vita da proteggere o anche da migliorare; devono mantenere il loro rango. E tanto peggio per i poveri che non hanno gli stessi oneri mondani! Bisognerà certo piacere anche ai poveri, ma è d’obbligo riconoscere che essi sono meno «interessanti» delle persone influenti. Non può essere vincente tutto il mondo! 
La morale dei casuisti rassomiglia in fin dei conti ad una gnosi distillata in circoli selezionati, a un sapere per così dire esoterico che si rivolge a una minoranza di persone che non avvertono per nulla il bisogno di essere salvati dalla Croce di Gesù. Il pelagianesimo è stato raramente così florido.

3. La morale tradizionale della Chiesa ha sempre riconosciuto che ci sono atti oggettivamente cattivi.Questa stessa teologia morale riconosce anche, e da lungo tempo, l'importanza delle circostanze. Ciò significa che per la qualificazione di un atto si deve tener conto delle circostanze in cui l'atto è stato compiuto e dei gradi di responsabilità; questo è ciò che i moralisti chiamano l’imputabilità. I casuisti d’oggi procedono alla stregua dei loro antesignani: minimizzano l'importanza della morale tradizionale e amplificano a dismisura il ruolo delle circostanze. Subito appresso, la coscienza è spinta a ingannarsi perché si lascia sviare dal desiderio di piacere.
Come si può constatare nei media, i casuisti sono spesso affascinati da un mondo destinato a scomparire. Hanno troppo spesso dimenticato che con Gesù, un mondo nuovo è già cominciato. Ricordiamo il punto centrale della storia umana: «Le cose vecchie sono passate, ecco c'è una realtà nuova» (Ap 21, 5). Ascoltiamo ancora San Paolo: «Dovete rinnovarvi per mezzo della trasformazione spirituale della vostra mente e rivestire l'uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santità che provengono dalla verità» (Ef 4, 22-23 s).

4. L'azione dei casuisti d’oggi non colpisce solo l'insegnamento morale della Chiesa. Questa azione colpisce ugualmente tutta la teologia dogmatica e in particolare la questione del magistero. Questo punto è spesso troppo poco sottolineato. 
L'unità della Chiesa è in pericolo là dove si suggeriscono progetti mirati, a volte demagogici, di decentramento, largamente ispirati alla Riforma luterana. Dipendere piuttosto dai prìncipi di questo mondo che rafforzare l'unità intorno al Buon Pastore! 
La santità della Chiesa è in pericolo là dove i casuisti sfruttano la debolezza degli uomini e predicano una devozione facile e dimentica della Croce. 
La cattolicità è in pericolo là dove la Chiesa s’avventura sulla via di Babele e sottovaluta l'effusione dello Spirito Santo, il dono delle lingue. Non è più lui, lo Spirito, che raduna la diversità di coloro che unisce la medesima fede in Gesù Figlio di Dio? 
L'apostolicità della Chiesa è in pericolo là dove, in nome di una malintesa esenzione, una comunità, un «partito» sono affrancati dalla giurisdizione del vescovo e sono considerati dipendere direttamente dal Papa. Molti neocasuisti sono esentati. Come dubitare che questa esenzione indebolisce l'intero collegio episcopale?

(3-FINE)

Già pubblicati:

1- I CASI DI COSCIENZA CONTRO LA VERITA' RIVELATA

2- COSI' ABORTO E DIVORZIO SARANNO ACCETTATI

 

Referenze bibliografiche:

CARIOU, Pierre, Pascal et la casuistique, opera imprescindibile, Paris, PUF, Collection Questions, 1993.

GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Veritatis Splendor, Città del Vaticano, 1993.

Nouveau Testament, TOB [traduzione ecumenica della Bibbia], numerose edizioni.

PASCAL, Les Provinciales, testo stabilito da Jacques Chevalier, Paris, La Pléiade, 1954.

PASCAL, Les Provinciales, testo stabilito da Jean Steinmann, Paris, Armand Colin, 1962.

PASCAL, Les Provinciales, Prefazione di Robert Kanters, Losanna, Éd. Rencontre,1967.

WIKIPEDIA: dossiers molto buoni su Pascal, Casuistica, Provinciali

(traduzione di Alessandro Martinetti) 

 




[Modificato da Caterina63 21/06/2016 16:12]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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