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Interviste e varie di mons. Fellay (un grazie a Messainlatino per le molte traduzioni)

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2011 17:13
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Intervista a mons. Fellay sugl'incipienti colloqui dottrinali.

Dal sito ufficiale della Fraternità San Pio X, DICI, questa intervista a mons. Fellay rilasciata a Roodepoort, Sudafrica, tradotta a nostra cura.
 
- Con la revoca del decreto di scomunica, inizieranno le discussioni dottrinali tra Roma e la Fraternità S. Pio X. Qual è lo scopo di queste discussioni?

L'obiettivo che si cerca di raggiungere con queste discussioni dottrinali è un importante chiarimento nell'insegnamento della Chiesa negli ultimi anni. In effetti, la Fraternità San Pio X, seguendo il suo fondatore Mons. Lefebvre, ha obiezioni serie sul Concilio Vaticano II. E ci auguriamo che le discussioni permetteranno di dissipare gli errori o le gravi ambiguità che da allora sono state diffuse a piene mani nella Chiesa cattolica, come lo stesso Giovanni Paolo II ha riconosciuto.

- Quanto tempo queste discussioni dureranno? Quali saranno i punti principali che saranno trattati e come lo saranno?

Non ho idea del tempo che prenderanno queste discussioni. Questo certamente dipenderà anche dalle aspettative di Roma. Esse possono prendere un tempo alquanto lungo.
E questo, perché i temi sono vasti. Le nostre principali obiezioni sul Concilio, come la libertà religiosa, l’ecumenismo, la collegialità, sono ben noti. Ma altre obiezioni potrebbero essere poste, come l'influenza della filosofia moderna, le novità liturgiche, lo spirito del mondo e la sua influenza sul pensiero moderno che imperversa nella Chiesa.

- Le due crociate del rosario hanno dato i loro frutti. Con riferimento al Motu Proprio del luglio 2007, quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento nei confronti dei sacerdoti che ora celebrano la Messa tradizionale, anche se non esclusivamente perché dicono pur sempre la Messa nuova?

Fondamentalmente, ogni volta che un prete vuole tornare alla Messa di sempre, abbiamo il dovere di avvicinarlo con un atteggiamento positivo; dovremmo gioirne e sperare che la Messa produca da sé i suoi frutti. Si vede già che questo avviene la maggior parte delle volte. Ci sono anche, naturalmente, dei sacerdoti che rimarranno indifferenti al rito antico. Il tempo ci mostrerà chi è serio in questo campo e chi non lo è

- Quali consigli può dare ai fedeli riguardanti questi sacerdoti? Quale dovrebbe essere l'approccio dei laici nei loro confronti?

I fedeli devono restare molto prudenti e non mettersi in situazioni troppo imbarazzanti. Devono consultare i nostri preti prima di rivolgersi a questi sacerdoti. Le circostanze sono così diverse: ogni sacerdote è diverso, e fino a quando non è chiaro che il ravvicinamento del sacerdote verso la Messa è autentico, i fedeli dovrebbero rimanere bendisposti, ma mantenendo un atteggiamento cauto.

- A sua conoscenza, c’è ora un più gran numero di preti che celebrano esclusivamente la Messa di sempre?

È difficile dare una risposta esatta, perché non c'è nessun rapporto ufficiale in proposito e perché molti di coloro che vorrebbero celebrare la Messa antica non osano. C’è in molti paesi una forte pressione dalla gerarchia per evitare questo ritorno. Molti preti devono dirla in segreto a causa di questa paura. Ritengo tuttavia che questo numero crescente rimanga ancora modesto.

-La crisi della Chiesa è una crisi di fede. Ci vorrà tempo perché tutti i sacerdoti dicano esclusivamente ‘l’antica’ Messa. È corretto dire che, se anche se attraverso le discussioni dottrinali Roma tornasse alla pienezza della verità, ci sarebbe sempre una grande opposizione sulla Messa e sul Vaticano II?

Occorre restare realisti. Il ritorno, la restaurazione della Chiesa richiederà tempo. La crisi che colpisce la Chiesa tocca tutti gli aspetti della vita cristiana. Uscire da questa situazione richiederà più di una generazione di impegni costanti nella giusta direzione. Forse un secolo. E questo significa che ci si deve attendere dell'opposizione. Ma speriamo che il peggio sia passato e che i segni di guarigione che si intravvedono oggi siano germi di realtà e non solo un sogno...

- La collegialità è un disastro per la Chiesa. Non si può vedere nonostante tutto una lieve "crepa nel muro della collegialità" con il motu proprio del Papa Benedetto XVI e più recentemente con la revoca del decreto di scomunica?

Infatti, queste decisioni sono davvero sue proprie. C'è un modo vero per comprendere la collegialità; Paolo VI ha aggiunto una "Nota praevia" per il documento sulla Chiesa, Lumen Gentium, in modo che la collegialità fosse capita bene. Il problema è che questa nota è come dimenticata. L'idea generale che si è diffusa e che pretende di ridurre sensibilmente il potere del Sommo Pontefice è un pericolo reale per la Chiesa e renderebbe impossibile il governo. Pertanto, i diversi atti presi "motu proprio" dal Papa sono buoni segnali di una volontà di governare personalmente e non collegialmente la Chiesa.

- Ci sono state molte reazioni - per o contro – le decisioni del Papa, a tal punto che è stato costretto a scrivere una lettera di spiegazione per i Vescovi. E’ un fatto positivo che il Papa si sia trovato come "spalle al muro", per così dire?

In realtà dipende sul punto di vista. L'autorità del Papa è davvero stata scossa dal tumulto di inizio anno. Non può essere considerato come un fatto positivo se non per l’effetto opposto che ciò dovrebbe generare a Roma, e che permette di capire chi ama la Chiesa e lavora per la sua edificazione e chi no.

- Per la prima volta da quarant'anni vediamo l’autorità suprema della Chiesa rendersi conto che ci sono problemi d’ordine teologico, dottrinale. Il Papa non si rende conto che la "Chiesa conciliare" (per citare il cardinale-Benelli) e le sue riforme sono condannate e che è necessario un ritorno alla tradizione?

Non sono ancora sicuro che tutti considerino le discussioni dottrinali in tale modo. Direi che per la maggior parte della gerarchia, queste discussioni sono necessarie, non per la Chiesa, ma per noi e il nostro "ritorno alla piena comunione", in modo che si adottino le novità. In effetti, ho l'impressione che ci troviamo di fronte ad una situazione molto delicata. La realtà della crisi è ammessa, ma non i rimedi. Noi diciamo, e lo si prova con i fatti, che la soluzione della crisi è un ritorno al passato. Benedetto XVI dice la stessa cosa: sottolinea l'importanza di non tagliare con il passato (ermeneutica della continuità), ma intende mantenere le novità del Concilio, considerando che non sono una rottura con il passato. Secondo lui sono nell’errore e nella rottura con il passato solo quelli che vanno oltre il Concilio. Questa è una questione delle più delicate.

- La posizione del Papa sull’ecumenismo non ha l’aria di essere così entusiasta come quella del suo predecessore. Questo è dovuto al fatto che vede l’ecumenismo sotto un aspetto più teologico, opposto all’"ut unum sint" dalle conseguenze così disastrose per la Chiesa?

Non credo che il Papa ritenga l’ecumenismo come un male. Egli ha caro il fatto che la Chiesa continui in questa direzione e ha persino affermato che era irreversibile... ma mi sembra voler far bene la differenza tra le diverse confessioni e favorire quelli più vicini come gli ortodossi anziché i protestanti.

- Quest'anno stiamo celebrando i 25 anni della presenza della Fraternità in Africa e più precisamente al Priorato N.S. dei Dolori a Johannesburg. Quali consigli o incoraggiamenti può dare ai nostri parrocchiani a a tutti i fedeli del distretto d’Africa?

Grazie a Dio per questo giubileo meraviglioso. In questi giorni di crisi, 25 anni è un grande risultato per il quale occorre rendere grazie. Ciò dimostra anche una grande fedeltà da parte dei fedeli. La fedeltà è una vera gloria. Essa implica ad un tempo la preservazione della fede e la fermezza, la perseveranza nella battaglia. Quindi, il migliore augurio che possa indirizzare loro - e a noi tutti anche - sarebbe ch’essi siano più che mai fedeli.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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22/10/2009 19:15
 
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Fellay: credo che la Fraternità sarà una prelatura personale

Intervista rilasciata da mons. Fellay il 18 ottobre al periodico cileno El Mercurio


-Quale eredità ha ricevuto la Sua congregazione da parte della Chiesa cattolica?

Abbiamo ricevuto tutto ciò che è cattolico. E per questo noi vogliamo rimanere fedeli alla Chiesa del nostro battesimo.

-Secondo lei, che cosa più vi unisce alla Chiesa cattolica?

Abbiamo tutto ciò che è necessario per essere membri della Chiesa cattolica. Prima di tutto, la fede, che abbiamo ricevuto dalla Chiesa e vogliamo mantenere fino alla morte, perché senza fede è impossibile esser graditi a Dio. La seconda, la grazia, la preghiera e la liturgia che ci vengono dalla Chiesa, come molto ben espresso dal Papa nel Motu Proprio quando afferma che l'antico rituale della messa non è mai stato abolito. E, infine, anche se potrebbe sembrare contraddittorio, lo stesso Papa e la gerarchia della Chiesa. Il capo della Chiesa, il Vicario di Cristo è l'autorità che riconosciamo.

-Questo significa che tra i tradizionalisti e la Chiesa va tutto bene?

No. Ci sono problemi, ma questi problemi non significano che abbiamo perso tale relazione di sottomissione all'autorità del S. Padre.

-Si può dire che avete vissuto separati dalla Chiesa?

Mai. Ci sono lotte, come un certo rifiuto di una parte della Chiesa, ma ciò non significa separazione. Non vi è mai stato una dichiarazione di scisma della Chiesa verso di noi. Si è parlato per un certo tempo della scomunica dei vescovi, ma mai di una separazione.

-E' necessario questo tipo di separazione?

Il problema non è nostro. Noi, come gruppo, siamo come il sintomo di un problema all'interno della Chiesa. C'è una separazione reale, sebbene non definitiva, tra quelli che noi chiamiamo «progressisti» e i «conservatori». Noi siamo una specie di termometro della situazione, che rivela che esiste un problema serio nella Chiesa. Lo stesso Papa attuale, Benedetto XVI, ha condannato l'opinione che il Concilio Vaticano II e la riforma che ne è seguita costituiscano una rottura con il passato, e che la Chiesa ha dovuto cambiare".

-Molto si è speculato che la fraternità S. Pio X potrebbe essere elevata a prelatura personale come l'Opus dei. Che cosa c'è di certo in tutto questo?

C'è molto di certo. Credo che il Vaticano stia camminando verso tale soluzione canonica.

- Il vescovo Williamson ha escluso alcuni mesi fa, in un'intervista con una tv svedese, la possibilità che sei milioni di ebrei siano morti per mano dei nazisti durante la seconda guerra mondiale e stimato al massimo "tra 200.000 e 300.000 morti nei campi di concentramento, ma nessuno in camere a gas". Che cosa pensa di tutti questo?

Penso che questo è stato un attacco molto ben pianificato, non contro la Fraternità, ma direttamente contro la persona di Papa Benedetto XVI, per offuscare la sua gestione.
Il Papa Benedetto XVI è molto più aperto di alcuni Vescovi della Chiesa cattolica.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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06/02/2010 17:03
 
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Un grazie a Messainlatino per le attente precisazioni...

Fellay: umanamente, gli accordi con Roma sono impossibili; ma la Chiesa non è umana...



Nella festa della Purificazione della Vergine (la Candelora, 2 febbraio scorso) mons. Fellay ha consegnato le tonache ai 13 nuovi seminaristi francesi della FSSPX (per inciso: un numero superiore alle entrate in seminario di una qualunque diocesi francese). Nel corso dell'omelia, che potete ascoltare a questo link, il Superiore generale della Fraternità ha anche toccato l'argomento dei colloqui in corso con Roma. Ecco una parafrasi dei concetti espressi da mons. Fellay.

Quando si guardano le tendenze e i pensieri che circolano e dominano nella Chiesa oggi, si ha l'impressione che la nostra cerimonia odierna non abbia punti in comune. Come è possibile che tante cose siano cambiate. E quando sentiamo, perfino da Roma, che nulla è cambiato, c'è da restar esterrefatti. Anche la Messa: basta aprire gli occhi, per vedere se sia o no sempre la stessa. Si riconosce ancora Gesù come Figlio di Dio? Il terremoto ha scosso la Chiesa fin nelle fondamenta. Ed allora, ci si chiede, si arriverà a un risultato nelle discussioni con Roma, avremo presto un accordo? Francamente, sinceramente, parlando umanamente, non lo vediamo arrivare questo accordo. Cosa vuol dire accordo? Su cosa siamo d'accordo? Sul fatto che solo attraverso la Chiesa abbiamo i mezzi di salvezza?

Se noi discutiamo - non negoziamo, discutiamo - è nella speranza che questa verità, che proclamiamo ai massimi livelli della Chiesa, tocchi i cuori; poiché abbiamo i mezzi di aprire la bocca, abbiamo il dovere di aprirla. Questo non vuol dire svendere la verità per cercare di trovare una via di mezzo, assolutamente no, anzi. Allora, umanamente, non arriveremo mai ad un accordo; sì, umanamente non arriveremo ad un accordo, per come vediamo adesso le cose, umanamente non serve a niente. Ma quando parliamo della Chiesa, non parliamo umanamente, parliamo di una realtà soprannaturale alla quale Nostro Signore ha promesso che essa non verrà meno, contro la quale le porte dell'Inferno non prevarranno. E quindi, anche se siamo di fronte ad una realtà difficile e contraddittoria, noi sappiamo che le cose sono nelle mani di Dio, il Quale ha i mezzi per rimettere le cose in carreggiata. Sarebbe opportuno ricordare che parlare e discutere è necessario, ma non basta: quando si parla di salvare le anime, quando si pensa a come Dio ha fatto uscire la Chiesa dalle altre crisi che ha avuto nel corso dei secoli, vediamo che quello che occorre è la santità, con cui ringiovanisce e guarisce la Chiesa. Senza la Grazia, e restando solo al livello degli uomini, si è perduto in partenza. Tutti, quindi, come cattolici, dobbiamo fare qualcosa, avanzando nella Grazia, nell'amor di Dio, nella carità.

Questo discorso, che alcuni organi di stampa hanno equivocato come un siluro ai colloqui in corso (il che, a parte tutto, sarebbe del tutto incoerente, considerati gli sforzi di parte FSSPX per ottenere questi colloqui), è in realtà un discorso di apertura e fiducia nell'intervento soprannaturale per raggiungere il risultato, irraggiungibile con le sole forze umane. Non c'è bisogno di essere semiologi per sapere che dire: "umanamente è impossibile, ma Dio può rendere la cosa possibile" ha, all'evidenza, un senso esattamente opposto al dire: "Dio può tutto, ma umanamente è impossibile". Ossia, l'enfasi è sempre posta sull'avversativa (pensate alla differenza tra: "E' un pelandrone, ma un bravo ragazzo" e "E' un bravo ragazzo, ma pelandrone").

Associamoci, quindi, alle preghiere per il buon esito di questi colloqui; sapendo in particolare quanto il campo progressista rumoreggi per il loro fallimento.

Degni di menzione anche i concetti che il vescovo lefebvriano ha sviluppato nell'omelia per spiegare il valore di quella tonaca che i 13 seminaristi hanno indossato per la prima volta, e auspicabilmente in aeternum. Questa "tonaca tutta nera" predica, ha detto: ricorda agli uomini che siete discepoli di Gesù Cristo ed è un segno che esiste qualcosa che oltrepassa la realtà degli uomini: la fede, le realtà soprannaturali. Sì, la tonaca parla, e predica: di fronte a lei gli uomini reagiscono, male magari, ma spesso positivamente toccati. La gente vede una tonaca, e vede un prete. Oggi questa immagine non è più nella realtà, salvo tra i tradizionalisti e nella pubblicità (quando si tratta di pubblicizzare una marca di spaghetti, si vedon preti insottanati, mai in clergyman); ma appunto perché i pubblicitari sanno che nell'animo dei cristiani il prete è il prete in tonaca. E quando si pensa al prete, si pensa ad un altro Gesù, ad un uomo che non è come gli altri uomini, che è separato e distaccato dal mondo. Il nero della tonaca è il nero del lutto, della morte al mondo, della rinuncia ad esso. La tonaca è già sacrificio, non per il piacere del sacrificio fine a se stesso, come uno stoico o un masochista, ma per mettersi a disposizione delle anime. E se quella tonaca si comporta bene, è una vera fiamma; se si comporta male, è subito uno scandalo, che fa un immenso male.




Un grazie alla Redazione Messainlatino per le attente precisazioni nei confronti di una informazione pilotata, diabolica(=colui che divide) che ha già seminato allarmismi ed ulteriori incomprensioni...  
 
Mi sono commossa nel leggere le parole sulla "Tonaca" abbiamo davvero bisogno di un aiuto affinchè i Sacerdoti ne comprendano l'importanza; quando vedo un sacerdote in talare, subito LO AMO da lontano, mi basta vedere la tonaca e subito elevo una Preghiera per lui, ringrazio Dio perchè un prete ha attraversato oggi la mia strada, con un cenno gentile lo saluto, ed egli sempre mi risponde delle volte anche un pò meravigliato, chi saluta più un prete al giorno d'oggi per la strada? Se le condizioni lo consentono dico anche: Sia lodato Gesù Cristo....una volta uno mi guardò perplesso e rispose al saluto "sempre sia lodato" con un tono di profonda soddisfazione e con un sorriso celestiale, soddisfatto...e spesso penso ai preti in incognita, senza abito, senza croce, chissà se ne avrò incontrati per la strada, e ne sono addolorata per non aver potuto scambiare con questi il vero saluto della Pace: Sia lodato Gesù Cristo!  
 
Per il resto cosa dire?  
leggiamo il Libro di Osea e comprenderemo le parole di mons. Fellay Wink  
Il rapporto fra la FSSPX e la Chiesa, in questo momento, mi sembra ben descritto NELLE SPERANZE E NELLE PROMESSE INDELEBILI in Osea...a seguito delle parole condivisibili di mons. Fellay quando dice in particolare:  
quando parliamo della Chiesa, non parliamo umanamente, parliamo di una realtà soprannaturale alla quale Nostro Signore ha promesso che essa non verrà meno, contro la quale le porte dell'Inferno non prevarranno. E quindi, anche se siamo di fronte ad una realtà difficile e contraddittoria, noi sappiamo che le cose sono nelle mani di Dio, il Quale ha i mezzi per rimettere le cose in carreggiata.  
 
"SPE SALVI" !  


[Modificato da Caterina63 06/02/2010 17:29]
Fraternamente CaterinaLD

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07/02/2010 12:43
 
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Sorriso se avrò risposta ve lo comunicherò:

Caro padre Giovanni, ho letto qui
http://querculanus.blogspot.com/2010/02/ermeneutica-della-discontinuita.html
 
Io credo che dobbiamo diffidare di certa informazione giornalistica come ci rammenta Benedetto XVI proprio nel discorso l'8 dicembre...e cercare direttamente la fonte e su questa costruire il dialogo, altrimenti rischiamo di fare il gioco di chi vuole presentare la FSSPX come un ostacolo ignorando (a torto o a ragione, questo è dialogabile) il cuore del problema che viviamo...

La Chiesa è spaccata nel suo interno ma non certo a causa della FSSPX al contrario, siamo divisi dentro la Chiesa perchè ognuno fa come vuole, ognuno crede quel che vuole, ognuno difende la forma liturgica che più gli aggrata, i Movimenti sostengono che la Riforma liturgica del Papa NON riguarda loro, i parroci dicono che la Messa come la fa il Papa NON riguarda la pratica parrocchiale che si deve fondare SULLA CREATIVITA' della messa PER I BAMBINI e le diversità dei gruppi....
Nei Movimenti dopo il Concilio si continua a dire che la Messa è UNA CENA, UN BANCHETTO e che il concetto di Sacrificio E' SUPERATO appartiene al passato e chiamano come testimone il Concilio....e potremo continuare...

Ordunque per quanto certe espressioni di mons. Fellay possono essere corrette dai nostri approfondimenti, resta palese che tale rottura resta l'interpretazione del Concilio e non la FSSPX che è solo una delle conseguenze di questa enorme confusione che stiamo vivendo e che determina la crisi NELLA Chiesa...
A me piace leggere nelle parole di mons. Fellay un ricorso all'approfondimento del Libro di Osea ^__^ le lascio il testo più esteso dell'omelia, postato da messainlatino con il link diretto alle parole originali, che si comprende meglio....


 e lei dice giustamente:
 
 E non si rendono conto che, di fatto, essi si trovano sulle stesse posizioni dei progressisti, che sostengono l’“ermeneutica della discontinuità e della rottura”. È proprio vero che gli estremi si toccano: pensano di essere su posizioni opposte, mentre in realtà condividono la stessa visione.

***********

*****
mi perdoni, ma a se la situazione fosse così perchè allora il lato "progressista" della Chiesa, causa di una rottura grave nella Tradizione dottrinale e causa della crisi nella Chiesa, non viene ugualmente trattato come viene trattata la FSSPX ? Se essi "sostengono" l'ermeneutica della discontinuità e della rottura, non si pongono forse CONTRO l'obbedienza al Pontefice seminando perfino la zizzania? Perchè allora  si pretende dalla FSSX (giustamente) uno sforzo ad AIUTARE IL PAPA nel difendere la continuità e non lo si pretende in eguale misura anche dai "progressisti" che continuano ad occupare anche alte cariche nella Chiesa e per la quale autorità noi "piccoli del gregge" restiamo impotenti osservatori e vittime?
Se gli "estremi" questi estremi si toccano, perchè ad uno solo è preclusa la piena comunione e lo si dipinge come la causa della divisione nella Chiesa?
 
^__^


un abbraccio
[Modificato da Caterina63 07/02/2010 13:07]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/05/2010 09:37
 
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Intervista a mons. Fellay: "Il Papa soffrirà molto"


- Brian Mershon:Vostra eccellenza, qual è la vostra reazione al fatto che la richiesta della Fraternità di 12 milioni di rosari ha prodotto un risultato di più di 19 milioni?
Vescovo Fellay: Prima di tutto, sono molto, molto felice di vedere tanto entusiasmo e tale risposta alla nostra richiesta. Sono certo che questo numero non è solo grazie a fedeli della Fraternità; sono sicuro che molti molti altri si sono uniti per i quali non abbiamo le cifre totali. Questa è la prima cosa.
In secondo luogo, mi rallegro con l'entusiasmo nella comprensione dell'importanza della questione. Questo tema è molto, molto importante.

- Brian Mershon: Le altre due Crociate del Rosario hanno provocato risposte piuttosto rapide e storiche-la liberazione della Messa Latina tradizionale a tutti i sacerdoti ovunque nel mondo e la revoca delle scomuniche dei Vescovi della Fraternità, che a sua volta ha portato all'inizio dei colloqui dottrinali con la Santa Sede. Prevede una risposta similmente spettacolare a questa terza crociata del Rosario?
Vescovo Fellay: Lascio la cosa totalmente nelle mani di Dio e della Vergine Maria. Ma, probabilmente, no. Non si sa mai, ma sarei molto sorpreso se il Papa consacrasse la Russia. Sarebbe una grande, grande sorpresa. D'altro canto, siamo già stati sorpresi prima, così non sarei sorpreso se la cosa dovesse accadere così rapidamente. Questa volta ciò che stiamo chiedendo è così grande e così importante, ed è così direttamente coinvolto in tutti gli eventi della storia dei nostri tempi.

- Brian Mershon: Sin da quando è stato eletto Papa Benedetto XVI ed è stato scelto il nuovo Patriarca ortodosso russo, c'è stato un disgelo evidente nelle relazioni e per il meglio, credo. Il Patriarca ortodosso russo ha anche pubblicato un libro di scritti del Papa da diffondere ai suoi fedeli laici! Come avete letto questo? Anche questo è connesso al terzo segreto di Fatima?
Vescovo Fellay: Personalmente credo che ci sia qualcosa in movimento in Russia. Sembra davvero esserci qualcosa in movimento in Russia. C'è qualcosa nell'aria. Quanto profondo e quanto avanzato? Non lo so. Ma ci sono molte cose che mostrano che vi è una ripresa della religione in Russia.

- Brian Mershon: La Fraternità ha già inviato il bouquet di rosari?
Vescovo Fellay: Avverrà [presto].

- Brian Mershon: Qual è l'atteggiamento della Fraternità circa l'attacco dei media di tutto il mondo contro la Chiesa e il Papa?
Vescovo Fellay: Penso che abbiamo una buona dimostrazione che la Chiesa davvero ha ancora nemici. E questi nemici hanno nomi e cognomi. Lo si può vedere attraverso questa campagna in corso. È sintomatico. Da un lato, abbiamo i nemici della vecchia guardia U.S.A. e, dall'altro, abbiamo i progressisti in Europa, entrambi lavorano insieme.

- Brian Mershon:Pensate che questi attacchi sono collegati ai castighi preannunciati da Suor Lucia nel terzo segreto?
Vescovo Fellay:è troppo difficile da dire. Ma se c'è una pertinente citazione da Fatima che vorrei citare — è la seguente: "il Papa soffrirà molto. Il Papa soffrirà molto." E ci siamo.

- Brian Mershon: I colloqui dottrinali in corso con la Santa Sede sono avvenuti fuori dei riflettori dei mezzi di comunicazione, per ovvie ragioni. Che cosa vi aspettate come conseguenza di questi colloqui? Che cosa deve accadere nei colloqui dottrinali affinché la Fraternità accetti una struttura canonica? I colloqui sono correlati a una possibile soluzione canonica?
Vescovo Fellay: E' impossibile dirlo. Assolutamente impossibile. Essa dipende da troppi fattori al momento. Non ho la risposta.

- Brian Mershon: Alcuni critici dicono che il rifiuto della Fraternità di una soluzione pratica o canonica è un segno di ostinazione o cattiva volontà. Come rispondete?
Vescovo Fellay: E' molto semplice. La Santa Sede ha convenuto che i colloqui dottrinali avvenissero, e questo dovrebbe risponde alla domanda senza metterne il peso su di me. Oltre a ciò, è chiaro che qualsiasi soluzione pratica che avvenisse senza un solido fondamento dottrinale porterebbe direttamente al disastro. Non vogliamo quello. Per andare avanti vogliamo e abbiamo bisogno della sicurezza di una soluzione solida a livello della dottrina. Così pretendere che ci sia qualcosa di definitivo prima di impegnarsi nei colloqui dottrinali...
Abbiamo tutti questi esempi precedenti davanti a noi, la Fraternità S. Pietro, l'Istituto di Cristo Re e tutti gli altri sono completamente bloccati sul piano della dottrina perché hanno accettato in primo luogo l'accordo pratico.

- Brian Mershon: Pensa che il Papa personalmente desideri sinceramente una soluzione canonica con la società di San Pio X?
Vescovo Fellay: Sì, io credo di sì. Esatto. Credo che il Papa lo desideri. Egli vuole che la Chiesa sia migliore e vuole completare la missione della consacrazione di Vescovi nella Fraternità.

- Brian Mershon: Lei ha menzionato in precedenti interviste che la Fraternità ha conoscenti o amici favorevoli tra i vescovi, i Cardinali — e anche nella curia romana. Quali consigli danno mentre questi colloqui dottrinali sono in corso?
Vescovo Fellay: Nessuno. Al momento sono molto discreti. Credo che le discussioni che stiamo avendo siano molto buone e si stanno svolgendo con estrema discrezione. I prossimi colloqui si svolgeranno in maggio.

- Brian Mershon: E'a conoscenza di qualsiasi gruppo di sacerdoti, fedeli laici o diocesi nella storia recente della Chiesa, che hanno offerto tali grandi bouquet di rosari al Santo Padre, come la Fraternità ha ora fatto tre volte?
Vescovo Fellay: Non a mia conoscenza. Potrebbe essere accaduto, ma non ho alcun riferimento. Ma è ovvio che una tale una crociata è qualcosa di unico. Credo che Padre Gruner ora stia per fare la stessa cosa.

- Brian Mershon: Qual è il Suo consiglio ai cattolici che hanno desiderio di aprire una cappella nella loro zona? La Fraternità si è imposta una pausa nell'espansione di cappellanie, dovuta ai colloqui dottrinali?
Vescovo Fellay: In primo luogo, i fedeli laici dovrebbero contattarci e poi noi cerchiamo di fare qualcosa per loro. Al momento, abbiamo così tante richieste che difficilmente le possiamo soddisfare. Quest'anno, abbiamo un anno buono per le ordinazioni, ma anche così, ci mancano i sacerdoti [per soddisfare tutte le richieste]. Possiamo a stento rispondere a tutte le richieste. Ma continuiamo la nostra vita normale come prima. Sarebbe del tutto controproducente pensare che avremmo dovuto interrompere qualsiasi sviluppo nella nostra vita a causa dei colloqui con Roma. Dovrebbe essere piuttosto il contrario.

- Brian Mershon: Vostra eccellenza, un pensiero finale?
Vescovo Fellay: Le preghiere alla Vergine devono continuare. Alcuni potrebbero pensare che poiché abbiamo realizzato la nostra crociata del Rosario, ora tutto va bene. No. No. No. Ora è molto chiaro che siamo impegnati in una battaglia con i veri nemici della Chiesa. Così, cattolici, siate pronti! Ottenete la vittoria con il Rosario!


Fonte: The Remnant





- Brian Mershon: Vostra eccellenza, un pensiero finale?  
Vescovo Fellay: Le preghiere alla Vergine devono continuare. Alcuni potrebbero pensare che poiché abbiamo realizzato la nostra crociata del Rosario, ora tutto va bene. No. No. No. Ora è molto chiaro che siamo impegnati in una battaglia con i veri nemici della Chiesa. Così, cattolici, siate pronti! Ottenete la vittoria con il Rosario!  
 
*******************  
 
Stupendi pensieri che ci rammentano quanto dice il Cristo: un CUORE PULITO E SEMPLICE, ecco cosa è gradito a Dio....  
Chiunque ricorre alla Vergine Maria, in modo davvero Cattolico si badi bene....non può che avere tale cuore...  
e mi permetto di segnalare che il Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org  si è attivato già da tempo per un autentico ricorso alla Vergine Maria con la meditazione dei Misteri esclusivamente in chiave magisteriale, usando solo il Magistero di sempre della Chiesa....  
Se la venerazione e la Devozione alla Vergine sarà e tornerà ad essere davvero quella trasmessa dalla sana Tradizione magisteriale, i frutti saranno copiosi perchè Maria non divide, al contrario vediamo come nel falso ecumenismo che tentò di mettere Maria da parte o ridurla al solo evento del parto, non ha fatto altro che mantenere la divisione fra i cristiani e perfino dentro la Chiesa giacchè ognuno usa la Vergine Maria son il sentimentalismo a tal punto che il Clero ha abbandonato perfino il Rosario...  
Il Sacerdote che NON sosta con la corona del Rosario davanti al Tabernacolo, mette in pericolo se stesso e la comunità che gli è stata affidata....  
Anche in questo ci sono stati 40 anni di disfattismo...  
Fatima ci rammenta ancora che non tutto è perduto....  
 
Grazie mons. Fellay, coraggio, e andiamo avanti!




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15/07/2010 23:59
 
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Mons. Fellay: si prevede un aumento di persecuzione contro ogni e qualunque movimento di restaurazione nei prossimi anni

Mons. Fellay, Superiore della Fraternità San Pio X, pochi giorni fa (il 9 luglio) ha tenuto un'interessantissima conferenza a Bahia (Brasile) nella quale ha riferito della situazione attuale nella Chiesa.

Ecco comunque alcuni dei punti salienti della conferenza. Il discorso inizia con un excursus generale sugli ultimi cinquant'anni, sul Concilio, sulla promessa che il card. Tisserant fece a Metz agli ortodossi russi che al Concilio non si sarebbe parlato del comunismo (accordo che fu reso pubblico già all'epoca dal quotidiano comunista francese); parla di Henri De Lubac, condannato negli anni Cinquanta e poi diventato esperto al Concilio e infine cardinale, e così via.

Riferisce quindi della situazione attuale: cita ad esempio quanto dichiarato dal Cancelliere della diocesi di Treviri (Germania): l'80% dei sacerdoti (dei sacerdoti!) non credono alla presenza reale. Cita anche la situazione disperata del clero europeo, che entra in estinzione accelerata: ci sono alcune diocesi in Francia, come quella di Langres, dove ogni prete deve mandare avanti più di 60 parrocchie in media. Quest'anno in Francia il numero di nuovi preti è inferiore al numero di diocesi. È sconcertante, ha aggiunto.

Negli Stati Uniti, il numero di religiosi è diminuito del 90%: dove prima erano in dieci, ne resta uno solo.

Poi mons. Fellay passa ad esaminare la posizione del Papa. Segnaliamo questa sua definizione su Benedetto XVI: "Il Papa è un uomo con la testa progressista, ma col cuore cattolico, amante della tradizione," ha detto.

Con riguardo agli ostacoli nella Santa sede, c'è resistenza del Papa a tirare le conclusioni finali dei risultati del Concilio. Il tentativo di salvarlo a tutti i costi si evidenzia quando lo stesso in qualche modo relativizza documenti come il Sillabo o la Quanta cura, che sarebbe magistero circoscritto al suo periodo – il XIX secolo.

Con tutto ciò, tutti i passi che il Papa compie in direzione della Fede immutabile, della Tradizione e della Messa tradizionale sono realizzati in un contesto di estrema resistenza, a partire da settori vaticani come la Segreteria di Stato.

Ad esempio, i trappisti di Mariawald, benché autorizzati dal Santo Padre per tornare alla disciplina tradizionale e al rito di San Pio V, non lo sapevano e non ottenevano risposta, perché la Segreteria di Stato aveva archiviato l'autorizzazione papale. Fu necessario per sbloccare la situazione che fosse fatta una nuova domanda e fosse consegnata direttamente nelle mani del Santo Padre da un prelato di fiducia, che si è sentito dire dal Papa che aveva già dato da tempo l'autorizzazione.

L'opposizione è forte anche negli episcopati in tutto il mondo, "i vescovi fanno la guerra alla Messa tradizionale", anche se ci sono alcuni vescovi e sacerdoti onesti. La Curia romana è anche popolata da prelati ben disposti e si celebrano più o meno 20 messe tradizionali al giorno nella Basilica di S. Pietro, in generale in momenti discreti, dai segretari e da altri chierici vicini al Papa.

Benedetto XVI (e anche il suo segretario) celebra la Messa tridentina in forma privata in alcune circostanze, ma senza che ciò sia reso in alcun modo pubblico. Questa reticenza si spiega considerando ad esempio che, in una conferenza in Italia con 28 sacerdoti diocesani, uno di loro ha riferito di aver sentito dire dal suo vescovo che, il giorno in cui il Papa celebrasse la Messa tradizionale in pubblico, lascerebbe la Chiesa. Ed era chiaro che quel vescovo non è solo. C'è un ricatto episcopale contro il Papa.

Si prevede anche un aumento di persecuzione contro ogni e qualunque movimento di restaurazione nei prossimi anni e ciò coinciderà con l'uscita degli ultimi Vescovi co-partecipanti al Vaticano II, che tutto faranno per bloccare al massimo l'ondata di restaurazione che sempre più ha invaso la Chiesa.

Alla fine, in uno scenario drammatico, si avvererà la Speranza soprannaturale e la certezza che, attraverso la Santissima Vergine, Dio ricondurrà tutte le cose al loro posto
dal blog missainlatino
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18/10/2010 12:13
 
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Mons. Fellay: "Roma ci presenta un Concilio diverso da quello che abbiamo conosciuto"

Pubblichiamo, da Messainlatino, l'ultima intervista di mons. Fellay, Superiore Generale della Frat. San Pio X, apparsa su Nouvelles de Chrétienté, settembre-ottobre 2010. Il nucleo dirigente lefebvriano è tutt'altro che avaro di interventi pubblici in questi ultimi tempi e la costante che ne traspare è una considerazione positiva nei confronti dei colloqui in corso e dell'attitudine romana in generale. Anche nel testo che segue, è da segnalare in particolare l'apprezzamento nei confronti dell'allocuzione del giugno scorso di mons. Pozzo; apprezzamento certo non privo di riserve e di precisazioni, ma il tono, come vedrete, è singolarmente favorevole. Pozzo ribadiva la tesi benedettiana di un Concilio in sé buono, ma travisato dall'ermeneutica della rottura; Fellay aggiunge che se quell'ermeneutica è stata possibile, e si è anzi imposta quasi unanimemente per quarant'anni, qualche non lieve colpa debbono pur averla i testi stessi, che Roma invece difende (come è costretta a fare, e Fellay lo sa: in una precedente intervista, riconosceva l'impossibilità, anzi l'inopportunità di un'espressa condanna vaticana dei testi conciliari). Secondo il testo di quest'intervista, per mons. Fellay i documenti conciliari sono dunque ambigui, mal formulati e aperti ad interpretazioni (che Roma finalmente osa condannare) francamente eterodosse; ma al tempo stesso potrebbero in qualche modo piegarsi ad intepretazioni conformi alla Tradizione. Dopo tutto, aggiungiamo noi, perfino l'interpretatio abrogans non è che una forma di ermeneutica...
Enrico




- La Fraternità Sacerdotale San Pio X celebra i suoi 40 anni. È la fine della traversata nel deserto, come per gli Ebrei al tempo di Mosè?
Mi sembra che ciò che viviamo somigli piuttosto ad una di quelle escursioni degli esploratori che intravedevano la terra promessa senza che le circostanze ne permettessero l’entrata. Tuttavia, al fine di evitare qualche falsa interpretazione dell’immagine utilizzata, tengo a precisare che noi affermiamo sempre con grande forza che siamo cattolici e che, a Dio piacendo, vogliamo restarlo. Nondimeno, è per l’intera Chiesa che questa crisi somiglia proprio ad una traversata nel deserto, con la differenza che è molto difficile trovare la manna. Vi sono dei segni incoraggianti, soprattutto da parte di Roma, ma sfortunatamente essi sono mescolati ad altri fatti molto spiacevoli. Alcuni fili d’erba nel deserto…

- Malgrado tutto, come si sviluppa la Fraternità Sacerdotale San Pio X attraverso il mondo?
Effettivamente, la Fraternità si sviluppa un po’ dappertutto. Certe regioni conoscono uno slancio più marcato di altre, penso agli Stati Uniti, per esempio, ma il grande impedimento che riscontriamo è la mancanza di sacerdoti. Ci mancano fortemente dei sacerdoti per poter rispondere come si dovrebbe agli appelli di aiuto che ci giungono da tutte le parti. Ad ogni nomina facciamo una scelta che finisce col frustrare uno o più gruppi di fedeli. Per un verso si tratta di un buon segno, poiché questo dimostra un sicuro sviluppo della nostra opera, ma che è anche molto doloroso. Pensi ai paesi di missione, in particolare all’Africa o al Brasile. Se potessimo inviarvi una cinquantina di sacerdoti sarebbe una grande consolazione. Anche l’immensa Asia aspetta…

- Mons. Lefebvre diceva che per le autorità romane le cifre di questa crescita erano più eloquenti degli argomenti teologici. È sempre vero?
Non so se bisogna parlare di «cifre» o di «fatti». In ogni caso le due cose sono sullo stesso piano. Secondo un buon vecchio adagio, contra factum, non fit argumentum, contro i fatti, non ci sono discussioni; questo conserva tutta la sua forza. E l’affermazione di Mons. Lefebvre è proprio vera. Notiamo che non è tanto il numero che impressiona Roma, perché noi costituiamo una quantità trascurabile nell’insieme del Corpo mistico, ma è ciò che rappresentiamo, e in maniera molto vivente, una tradizione vivente, è questo che si impone. Questi magnifici frutti che sono certamente opera dello Spirito Santo, come confessato da uno stesso alto prelato romano, ecco ciò che stimola le autorità romane a gettare uno sguardo dalla nostra parte. Tanto più che si tratta di frutti molto freschi che sorgono in mezzo al deserto.

- In questo mese di settembre, dovranno essere inviati alla Santa Sede i rapporti sull’applicazione del Motu Proprio relativo alla Messa tradizionale. Sono rari i vescovi che hanno applicato generosamente le direttive romane. Come spiega questa reticenza, anzi questa resistenza?
Come la nuova Messa esprime un certo spirito nuovo che è quello del Vaticano II, così la Messa tradizionale esprime lo spirito cattolico. Coloro che tengono mordicus al Vaticano II perché vi vedono un nuovo corso della Chiesa, o coloro che ritengono che col Vaticano II sia stata chiusa definitivamente una pagina della storia della Chiesa, costoro non possono accettare semplicemente la coesistenza di una Messa che ricorda esattamente tutto ciò che pensano di aver abbandonato per sempre. Nelle due Messe si incarnano due spiriti. È un fatto! E i due non vanno d’accordo! Si constata, presso i cattolici moderni, un odio simile per il Rosario, per esempio. E tutto si tiene. In questa questione della Messa noi vediamo una chiarissima illustrazione della complessità della crisi che scuote la Chiesa.

- Vuol dire che nella Chiesa odierna, dietro una facciata univoca, si nasconderebbero delle fratture, non solo tra gli episcopati e la Santa Sede, ma tra opposte tendenze diverse nella stessa Roma? Conosce dei fatti?
Oh! Sì, ci troviamo proprio nei tempi in cui si vedrà cardinale contro cardinale, vescovo contro vescovo. Questo tipo di disputa è generalmente molto discreta e sfugge all’attenzione dei fedeli. Ma ultimamente, in diverse occasioni, la cosa è divenuta aperta e pubblica, come nell’attacco gratuito del cardinale Schönborn contro il cardinale Sodano. Cosa che somiglia molto ad un regolamento di conti. Che delle opposte tendenze si scontrano nella stessa Roma, non è un segreto. Conosciamo diversi fatti, ma non credo che rientri nell’utilità dei fedeli che queste cose siano rivelate.

- Una recente conferenza di Mons. Pozzo, Segretario della Commissione Ecclesia Dei, tenuta nel seminario della Fraternità San Pietro, si sforza di fornire una prova della continuità dottrinale tra il Vaticano II e la Tradizione. Egli cita a proposito la questione del subsistit in e quella dell’ecumenismo. Questi esempi le sembrano convincenti?
Io non dico convincenti, ma sorprendenti. Questa conferenza è l’applicazione molto logica dei principi enunciati nel dicembre del 2005 da Benedetto XVI. Essa ci fornisce una presentazione dell’ecumenismo passabilmente differente da quella che abbiamo ascoltata per quarant’anni… una presentazione mescolata ai principi eterni sull’unicità della Chiesa e sulla sua perfezione unica, sull’esclusività della salvezza. In questo si vede bene un tentativo di salvare l’insegnamento di sempre e contemporaneamente un Concilio rivisitato alla luce tradizionale. Il miscuglio, quantunque interessante, lascia ancora aperte delle questioni di logica sul ruolo che giuocano le altre confessioni cristiane… chiamate, fino a Pio XII incluso, «false religioni». Si oserà usare finalmente questi termini di nuovo?

- Mons. Pozzo, nella sua lunga conclusione, propone un Concilio Vaticano II rivisto – se non corretto – che denuncia il relativismo, un certo «pastoralismo», una forma di «dialoghite» acuta… Pensa che questa presentazione sia suscettibile di mettere tutti d’accordo a Roma e nelle diocesi? Come giudica questa versione rivista del Concilio?
È interessante, nel senso che ci si presenta un nuovo Vaticano II, un Concilio che in effetti non abbiamo mai conosciuto e che si distingue da quello che è stato presentato negli ultimi quarant’anni. Una sorta di nuova pelle! È interessante soprattutto per il fatto che vi si trova condannata con molta forza la tendenza ultra-moderna. Ci si presenta una sorta di Concilio moderato o temperato. Rimane la questione della ricezione di questa nuova formula, certo giudicata troppo tradizionale dai moderni e non abbastanza tradizionale da noi. Diciamo che una buona parte dei nostri attacchi si vede giustificata, una buona parte di ciò che noi condanniamo viene condannata. Ma se la cosa è condannata, resta la grande divergenza sulle cause. Poiché in definitiva se a proposito del Concilio è stato possibile un tale disorientamento degli spiriti, e a un tale livello, e di una tale ampiezza… ci sarà bene una causa proporzionata! Se a proposito dei testi del Concilio si constata una tale divergenza d’interpretazione, bisognerà bene un giorno convenire che le deficienze di questi testi vi svolgono una parte non da poco.

- Certuni in ambito tradizionale pensano che la crisi della Chiesa dovrebbe risolversi istantaneamente, col passaggio subitaneo dalla crisi alla soluzione. Secondo Lei si tratta di un segno di fiducia soprannaturale o di impazienza troppo umana? In una soluzione graduale della crisi, quali sono le tappe positive già registrate? Quali sono quelle che Lei si augura di vedere in avvenire?
La soluzione istantanea della crisi, come l’immaginano certuni, non può avvenire che per un miracolo o una grande violenza. Se non accade così, rimane allora la soluzione graduale. Pur se in assoluto non si può escludere che Dio possa fare un tale miracolo, resta il fatto che in maniera abituale Dio governa in un altro modo la sua Chiesa, con una cooperazione più normale delle sue creature e dei suoi santi. In genere il riassorbimento di una crisi dura un tempo non inferiore a quello della sua messa in atto, e anche di più. Il cammino della ricostruzione è lungo, il lavoro immenso. Ma sarà determinante innanzi tutto la scelta degli uomini. Se la politica delle nomine dei vescovi alla fine cambierà, si potrà sperare. Nella stessa ottica, occorrerà una profonda riforma dell’insegnamento nelle università pontificie, della formazione dei sacerdoti nei seminari. Sono lavori a lungo respiro che per il momento sono ancora dei sogni, ma che nel giro di dieci anni potrebbero prendere forma seriamente. Tutto dipende innanzi tutto dal Papa. Per adesso la cosa positiva è soprattutto il riconoscimento che molte cose vanno male… Si accetta di dire che vi è una malattia, una grave crisi nella Chiesa. Si andrà molto più lontano? Lo vedremo.

- Concretamente, cos’è che la Fraternità Sacerdotale San Pio X può apportare per la soluzione di questa crisi senza precedenti? Quale ruolo possono svolgere i fedeli legati alla Tradizione in quest’opera di restaurazione? Che si aspetta dalla nuova generazione che oggi ha 20 anni e ne avrà 60… tra 40 anni?
Il richiamo che la Chiesa ha un passato che ancora oggi resta del tutto valido. Questa visione, non polverosa, ma limpida sulla Tradizione della Chiesa è un apporto decisivo nella soluzione della crisi. A questo bisogna aggiungere il richiamo alla potenza della Messa tradizionale, alla missione e del ruolo del sacerdote, così come lo vuole Nostro Signore, a sua immagine e secondo il suo spirito. Quando chiediamo ai sacerdoti che si avvicinano alla Fraternità, che cos’è che si aspettano da noi, ci rispondono subito che si aspettano la dottrina. E questo anche prima della Messa. Questo è sorprendente, ma al tempo stesso è un gran buon segno. I fedeli hanno il ruolo importante della testimonianza, dimostrare che la vita cristiana come tale è sempre possibile nel mondo moderno. È la vita cristiana messa in pratica l’esempio concreto di cui ha bisogno l’uomo della strada. Per la generazione di coloro che hanno vent’anni, io vedo che è in attesa, pronta per l’avventura della Tradizione, poiché sentono proprio che ciò che viene loro offerto al di fuori è solo senza valore. Ci troviamo ad un punto cardine per la ricostruzione futura, e benché questo non appaia ancora nettamente, io credo che tutto è possibile.

Fonte:
Dici.org

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21/10/2010 12:00
 
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 INTERESSANTE RISPOSTA di padre Giovanni Scalese dal suo blog "Senzapelisullalingua":

A servizio della Chiesa, sotto la guida di Pietro

Si direbbe che Mons. Bernard Fellay sia diventato particolarmente loquace negli ultimi tempi: non passa mese che non rilasci qualche intervista. Secondo me fa bene: si tratta di una strategia comunicativa efficace per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica. Se non altro, è meglio che parli lui, che per lo meno riesce a mantenere sempre un tono equilibrato, piuttosto che i suoi collaboratori, che ogniqualvolta aprono bocca combinano qualche pasticcio.

Anche nell’ultima intervista, rilasciata a Nouvelles de Chrétienté di settembre-ottobre 2010 (tradizione italiana su DICI), il Superiore generale della FSSPX conferma la sua saggezza e le sue doti diplomatiche. Quando, per esempio, viene interrogato sulle possibili soluzioni all’attuale crisi della Chiesa, risponde che, pur non escludendo una eventuale — “miracolosa” — soluzione istantanea, la via normale non può che essere una soluzione graduale, dimostrando cosí un realismo raro fra i suoi seguaci.

Concordo pienamente con lui, quando indica gli strumenti per il superamento della crisi (nomine episcopali; riforma dell’insegnamento nelle università pontificie; formazione dei sacerdoti nei seminari). Mi permetto di essere, in questo caso, un po’ piú pessimista di lui, che pensa che siano sufficienti dieci anni per raddrizzare la situazione. Non è facile intervenire nei settori da lui indicati. Non è da oggi che si cerca di farlo: Giovanni Paolo II ha impiegato tutto il suo lungo pontificato per dare vita a una nuova generazione di Vescovi. Con quale risultato? Anche ai nostri giorni, tutte le volte che il Papa cerca di toccare certe situazioni, vediamo che cosa succede. Le università pontificie: non sarà facile avviare un nuovo corso, dal momento che le nuove leve vengono formate da quegli stessi professori che si vorrebbe rimpiazzare. Lo stesso dicasi dei seminari, dove i formatori piú tradizionali sono costretti a fare i conti con l’ambiente circostante, per lo piú refrattario a qualsiasi tentativo di “disciplinamento”.

La parte che mi sembra piú interessante nell’intervista è quella centrale, dove si chiede a Mons. Fellay un giudizio sulla conferenza di Mons. Guido Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, del 2 luglio 2010 (potete leggerne sul sito della Fraternità San Pietro, a cui la conferenza era rivolta). Mons. Fellay risponde:

«Questa conferenza è l’applicazione molto logica dei principi enunciati nel dicembre del 2005 da Benedetto XVI. Essa ci fornisce una presentazione dell’ecumenismo passabilmente differente da quella che abbiamo ascoltata per quarant’anni… una presentazione mescolata ai principi eterni sull’unicità della Chiesa e sulla sua perfezione unica, sull’esclusività della salvezza. In questo si vede bene un tentativo di salvare l’insegnamento di sempre e contemporaneamente un Concilio rivisitato alla luce tradizionale». 

Vede Mons. Fellay che è possibile dare un’interpretazione “cattolica” del Vaticano II? Che non è necessario rifiutare il Concilio per continuare a dirsi cattolici? Monsignore dovrà convenire che la strada indicata da Benedetto XVI, nel suo discorso alla Curia Romana del 2005, è l’unica percorribile; non ci sono alternative, se si vuole venir fuori dall’impasse in cui si trova la Chiesa attuale; non è pensabile che la Chiesa possa “abolire” un Concilio. Mons. Fellay trova, se non pienamente condivisibile, per lo meno “interessante” questa “versione rivista” del Concilio:

«È interessante, nel senso che ci si presenta un nuovo Vaticano II, un Concilio che in effetti non abbiamo mai conosciuto e che si distingue da quello che è stato presentato negli ultimi quarant’anni. Una sorta di nuova pelle! È interessante soprattutto per il fatto che vi si trova condannata con molta forza la tendenza ultra-moderna. Ci si presenta una sorta di Concilio moderato o temperato».

Tutto bene, dunque? No, perché i lefebvriani possono accettare questa nuova interpretazione del Concilio solo come primo passo verso un ritorno sic et simpliciter al pre-Concilio. Per esempio, a proposito dell’ecumenismo, Mons. Fellay afferma: 

«Il miscuglio, quantunque interessante, lascia ancora aperte delle questioni di logica sul ruolo che giuocano le altre confessioni cristiane… chiamate, fino a Pio XII incluso, “false religioni”. Si oserà usare finalmente questi termini di nuovo?».

Mi chiedo: che bisogno c’è di tornare a un certo tipo di linguaggio, quando i principi sono chiari? Se c’è una utilità del Concilio, che mi sembra difficile mettere in discussione, è proprio il suo approccio pastorale, tendente, in questo caso specifico, a eliminare certe espressioni di cui non si capisce l’opportunità ai nostri giorni. Possibile che Mons. Fellay non comprenda che possiamo essere autenticamente cattolici, senza dovere necessariamente apostrofare i nostri fratelli acattolici come seguaci di “false religioni” (espressione oltretutto falsa, se applicata a chi appartiene all’unica religione cristiana).

L’altro punto di divergenza sta nella individuazione delle cause dell’attuale crisi della Chiesa:

«Diciamo che una buona parte dei nostri attacchi si vede giustificata, una buona parte di ciò che noi condanniamo viene condannata. Ma se la cosa è condannata, resta la grande divergenza sulle cause. Poiché in definitiva se a proposito del Concilio è stato possibile un tale disorientamento degli spiriti, e a un tale livello, e di una tale ampiezza… ci sarà bene una causa proporzionata! Se a proposito dei testi del Concilio si constata una tale divergenza d’interpretazione, bisognerà bene un giorno convenire che le deficienze di questi testi vi svolgono una parte non da poco».

Certo, prima o poi, un discorso sui testi del Concilio e la loro corretta interpretazione, come chiede Mons. Gherardini, bisognerà pur farlo. Ma mi sembra troppo semplicistica l’analisi di Mons. Fellay: se i testi conciliari hanno prodotto interpretazioni cosí divergenti, significa che quei testi sono in sé stessi deficienti, e vanno perciò corretti. Ragionando in tal modo, si dovrebbe correggere anche il Vangelo, visto che ha dato origine a… tante eresie. Se un testo è passibile di molteplici interpretazioni (e qualsiasi testo lo è), non per questo diventa manchevole; l’importante è darne l’interpretazione corretta. Proprio per questo esiste nella Chiesa un Magistero che ci accompagna in tale sforzo ermeneutico. Che bisogno ce ne sarebbe se tutti i testi su cui si fonda la nostra fede fossero chiari in sé stessi?

Io mi vado sempre piú convincendo che i documenti conciliari sono il “massimo” che il Vaticano II poteva produrre; non possiamo chiedergli di piú. Che cosa voglio dire? Voglio dire che il Concilio Vaticano II va “storicizzato”, va inserito nel contesto storico in cui si è svolto; esso non può essere valutato con i criteri odierni. Spesso affermiamo (mi ci metto dentro io per primo) che il Concilio ha provocato la crisi della Chiesa; ormai sono giunto alla conclusione che il Concilio non è la causa, ma l’effetto della crisi. La crisi, nella Chiesa, già esisteva; essa ha radici assai profonde; bisogna andare indietro nei decenni e forse nei secoli. Per lungo tempo si è cercato di arginarla con vari interventi (si pensi alla condanna del modernismo di cento — diconsi cento! — anni fa); ma a un certo punto ciò non è stato piú possibile. In un momento di relativa (forse meglio sarebbe dire: apparente) tranquillità, un Papa pensò bene di dare voce a questo malessere diffuso nella Chiesa; e ne venne fuori il Vaticano II. Se si fosse lasciata mano libera all’ala progressista, ora non saremmo qui a discutere, dal momento che la Chiesa già oggi sarebbe solo un ricordo del passato. Il Concilio riuscí a mediare fra le diverse posizioni e a raggiungere un punto di equilibrio (di qui l’ambiguità di certi testi: solo cosí potevano essere accettati da tutti). Ovviamente dopo il Concilio, l’ala progressista, che era rimasta delusa dalle conclusioni ufficiali del Concilio, tentò di imporre le sue vedute tirando in ballo lo “spirito del Concilio”. Non si può negare che tale tendenza abbia fatto strada nella Chiesa, conquistando posizioni ragguardevoli (fra i Vescovi, nelle università pontificie e nei seminari, appunto). Per fortuna è rimasta sempre la ferma mano di Pietro a guidare la Chiesa e a interpretare correttamente il Concilio (l’interpretazione “cattolica” del Vaticano II non è una invenzione di Mons. Pozzo o di Benedetto XVI, ma è quella che è stata sempre praticata dai Papi in questi anni). Questo i lefebvriani non lo hanno mai capito: hanno pensato che il Papa fosse passato dall’altra parte; e, invece di aiutarlo, hanno cominciato ad attaccarlo. Ora pensano che la storia stia dando loro ragione; che la Chiesa sia salva grazie a loro. No, cari fratelli, la Chiesa è salva grazie alla roccia di Pietro e a tutti quei semplici fedeli che in questi anni, nel silenzio e nell’obbedienza, non si sono mai staccati da quella roccia.

Alla fine dell’intervista viene chiesto a Mons. Fellay «quale ruolo possono svolgere i fedeli legati alla Tradizione in quest’opera di restaurazione». Se mi è permesso rispondere al suo posto, vorrei dire che essi possono svolgere un ruolo fondamentale. A una condizione: a condizione che smettano di pensare a una Chiesa ideale, che esiste solo nelle loro menti, e pongano le loro energie a servizio della Chiesa reale, cosí com’è, con tutti i problemi che essa vive, sotto la guida di colui al quale, solo, è stato affidato il timone della Chiesa.


*************************************

 breve riflessione mia

caro Padre Giovanni,
sa bene che la seguo con filiale affetto  e la ringrazio anche per l'ultima riflessione postata che condivido in totos.... e preghiamo davvero tanto perchè questa tempesta finisca e torni a splendere il sole nella Chiesa....
 
Le aggiungo qui solo una ulteriore riflessione a quanto lei, meglio di me, dice:
 
L’altro punto di divergenza sta nella individuazione delle cause dell’attuale crisi della Chiesa:

mons. Fellay «Diciamo che una buona parte dei nostri attacchi si vede giustificata, una buona parte di ciò che noi condanniamo viene condannata. Ma se la cosa è condannata, resta la grande divergenza sulle cause. Poiché in definitiva se a proposito del Concilio è stato possibile un tale disorientamento degli spiriti, e a un tale livello, e di una tale ampiezza… ci sarà bene una causa proporzionata! Se a proposito dei testi del Concilio si constata una tale divergenza d’interpretazione, bisognerà bene un giorno convenire che le deficienze di questi testi vi svolgono una parte non da poco».

padre Scalese: Certo, prima o poi, un discorso sui testi del Concilio e la loro corretta interpretazione, come chiede Mons. Gherardini, bisognerà pur farlo. Ma mi sembra troppo semplicistica l’analisi di Mons. Fellay: se i testi conciliari hanno prodotto interpretazioni cosí divergenti, significa che quei testi sono in sé stessi deficienti, e vanno perciò corretti. Ragionando in tal modo, si dovrebbe correggere anche il Vangelo, visto che ha dato origine a… tante eresie. Se un testo è passibile di molteplici interpretazioni (e qualsiasi testo lo è), non per questo diventa manchevole; l’importante è darne l’interpretazione corretta. Proprio per questo esiste nella Chiesa un Magistero che ci accompagna in tale sforzo ermeneutico. Che bisogno ce ne sarebbe se tutti i testi su cui si fonda la nostra fede fossero chiari in sé stessi?
 
**************

Concordo dunque con le sue riflessioni e aggiungo che anche padre Giovanni Cavalcoli O.P. nel suo ottimo libro sugli errori di Karl Rahner "Il Concilio tradito", a pag. 13, spiegando gli errori dottrinali, osserva:
"Ad un attento confronto di entrambe le opere, ci si accorge che il "Corso" di Rakner e il "Catechismo" non sono due modalità semplicemente diverse di esporre la medesima dottrina cattolica, ma sono, per molti aspetti, due modalità contraddittorie, in modo tale che per certe tesi rahneriane, alla luce del Catechismo, appaiono come vere e proprie eresie o errori prossimi all'eresia. Sarà compito di questo libro dimostrare questo grave assunto, proprio confrontando il "Corso" col Catechismo e in generale con la dottrina della Chiesa pre e postconciliare..."
E a tal riguardo, alla Nota (7) dice:
"Data questa situazione, da varie parti si auspica un intervento chiarificatore da parte della Chiesa."
 
Ora, come tristemente sappiamo, l'insegnamento di Karl Rahner è entrato di "diritto" nei Seminari....come uscirne fuori se non si agisce subito alla radice sradicando l'errore in termini ufficiali?
Nel mentre noi discutiamo e approfondiamo e un padre Cavalcoli spiega in un attento esame gli errori, nei Seminari si continua ad insegnare Rahner....le anime si ingannano e l'errore dilaga...
Padre Cavalcoli spiega in questo libro che non è solo un problema di interpretazione, Rahner modificò la dottrina dalle fondamenta e molti vescovi e sacerdoti vi hanno aderito senza comprenderne l'errore...
A pag. 19 spiega:
"Lo so che spesso c'è un problema interpretativo, ma collegando i passi tra loro, un singolo passo preso in sé, dato che Rahner mantiene il linguaggio tradizionale, può sembrare ortodosso e può anche essere preso come tale, il senso viene fuori generalmente chiaro, anche perchè Rahner ha una sua coerenza e una sua logica nel restar fedele AI MEDESIMI ERRORI fondamentali in tutte le sue opere, quale che sia l'argomento che tratta..."
alla Nota 16 aggiunge:
"Alcuni parlano di tomismo trascendentale. Ma il pensiero rahneriano, dopo un primo periodo di falsificazione del pensiero tomistico, nella sua ultima fase non è affatto tomista."
 
Padre Cavalcoli è realista e a pag. 19-20 sottolinea:
"Certamente tali inconvenienti non dipendono solo da Rahner e dalla sua scuola, ma anche da molti altri personaggi di minor calibro. Sembrerebbe allora imporsi sempre più la necessità, non sappiamo a quale scadenza, di un nuovo Concilio, nel caso non si riesca a rimediare a quegli inconvenienti in altro modo.
Questo, come hoo detto, è normale nella stopria della Chiesa.
La speranza per adesso, è quella di una correzione o almeno di una attenuazione del movimento modernistico. Ma se ciò non avvenisse, non vedrei altra soluzione che la convocazione di un nuovo Concilio che facesse virare la navicella della Chiesa nuovamente verso quei valori tradizionali che la scomposta euforia postconciliare - da addebitarsi non al Concilio, ma ai modernisti - ha provocato nella Chiesa.
Comunque il compito per l'oggi sembra essere quello di una chiarificazione definitiva degli errori di Rahner, senza per questo misconoscere i suoi meriti. Le conquiste vanno conservate, ma accorre anche recuperare i valori dimenticati..."
 
Un libro davvero da meditare  Un abbraccio filiale e fraterno


Fraternamente CaterinaLD

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Fellay: "La FSSPX è più vicina al Papa di quanto sembri"

Intervista rilasciata il 27 dicembre dal Superiore generale della Fraternità S. Pio X in Nuova Caledonia, al giornale Nouvelles Caledoniennes.


[..]
- La fraternità S. Pio X si qualifica tradizionalista quando la si accusa di fondamentalismo. Voi vi opponete tuttavia a tutti gli avanzamenti progressisti della Chiesa dal 1962...
La nostra situazione è controversa, ma è anche legata a ciò che accade nella Chiesa Cattolica. La vita della Chiesa è cambiata con il concilio [Vaticano II]. E il bilancio è devastante. È diminuita la quantità di sacerdoti e suore. C'è una perdita di vitalità religiosa diffusa. Si deve fare qualcosa per ripristinare la situazione. La totale libertà demolisce la società. Gli uomini hanno bisogno di un aiuto speciale per conoscere il cammino di Dio e la salvezza delle anime. Del resto, il Papa è tornato a idee tradizionali. Egli vede molto bene che c'è una deviazione che si deve correggere. Siamo forse molto più vicini al Papa di quanto sembri.

- Siete stati sorpresi da Benedetto XVI che ha detto di tollerare l’uso del preservativo, in casi eccezionali, per combattere l'AIDS?
Sono stato un po' deluso dal libro. Ma io sono molto soddisfatto del cambiamento intervenuto dopo: è chiaro che Roma vuole chiarire la questione del preservativo che ha creato confusione. Il preservativo non è il modo per risolvere questo problema di salute. Va contro la natura dell'atto di matrimonio, perché impedisce il normale risultato di tale atto. La famiglia è molto importante. L'atto deve essere fatto nel matrimonio. C'è una disciplina da rispettare che aveva molto valore in passato, e che oggi è disprezzata.
.
- Vi accorgete di essere controcorrente rispetto all'evoluzione della società?
Sì, me ne rendo ben conto. Ma non mi imbarazza. A volte dico persino che ci prendono per dei Marziani. Ma non siamo marziani.

- Lo scopo della vostra comunità è sempre di far parte della Chiesa cattolica?
Sì, abbiamo sempre sostenuto che non vogliamo fare banda a parte. Manteniamo che siamo cattolici e lo restiamo. Ci auguriamo che Roma ci riconosca come veri vescovi. D’altronde, non si usa più la parola ‘scismatici’ contro di noi. Quindi se non siamo scismatici né eretici, significa che siamo chiaramente cattolici. Il Papa ha detto che c'è solo un problema di ordine canonico. Basta un atto di Roma per dire che è finito e che noi rientriamo nella Chiesa. Ci si arriverà. Sono molto ottimista. [molto interessante. Dunque si prefigura un atto unilaterale del Papa per risolvere la situazione canonica, indipendentemente dallo svolgimento dei complessi colloqui dottrinali in corso?]

- Accettereste allora le decisioni del Vaticano II?
No, non in questo modo. Chiediamo che vengano dissipate le grandi ambiguità del Vaticano II.

- Che cos’è che chiamate le grandi ambiguità?
In primo luogo, la libertà religiosa: che cosa significa che ogni uomo ha il diritto di scegliere la sua religione? No, il buon Dio ne ha fondata una sola. Poi, l'ecumenismo: è possibile che un uomo si possa salvare in altre religioni diverse dalla cattolica? No, c'è solo la Chiesa che Salva.

- Tuttavia diverse religioni esistono nel mondo. Quale legittimità avete per negarle?
Vedo che esistono, ma non arrivano a produrre gli effetti della religione cattolica. Per affermarlo, ci si appoggia su quanto dice la Chiesa antica. L'approccio della Chiesa è bene spiegato nel Vaticano I. Ci sono un sacco di segni esteriori che permettono di riconoscere che la religione cattolica è la vera. È una scienza che si impara. L’ideale sarebbe naturalmente di dimostrare l'esistenza di Dio. Ci si avvicina.
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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10/01/2011 18:00
 
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Discorso ieri di mons. Fellay (FSSPX): tutto in nuances


Ieri, domenica, 9 gennaio, a Parigi, mons. Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità San Pio X ha secondo gli usi svolto l’intervento finale del convegno organizzato dall'abbé du Chalard (Courrier de Rome) e dall'Institut Saint-Pie X. Per comprendere la specificità dell'occasione, si deve avere in mente che mons Fellay parla pubblicamente, sapendo che le sue parole saranno riportate e commentato ad extra, ma paradossalmente lo fa parlando ad uso interno, utilizzano un linguaggio molto connotato, in direzione dei suoi sacerdoti.

Rispondeva alle domande dell'abbé Lorans, per punti successivi, certamente molto "fraternitocentrici", ma il cui tono può essere così sintetizzato, se si considerano gli elementi che sono apparsi più salienti agli ascoltatori, talvolta molto sorpresi:

-Sulla fondazione della Fraternità sacerdotale dall'Arcivescovo Lefebvre, mons. Fellay ha insistito sulla volontà primaria del fondatore di "fare dei preti", prima che rispondere in maniera militante alla crisi nella Chiesa.

-A proposito di questa crisi e dei suoi sviluppi attuali, mons. Fellay ha criticato molto violentemente Assisi III, come aveva fatto la mattina nel suo sermone a St Nicolas du Chardonnet. Ma notando tuttavia che Assisi II è stato meno peggio di Assisi I, ha emesso un’ipotesi ideale per Assisi III, alla quale non crede (il Papa potrebbe chiamare gli invitati a convertirsi), e non ne ha tirato alcuna conseguenza ("vedremo cosa ciò darà nelle discussioni").

-A proposito di queste discussioni dottrinali che si svolgono a Roma, ha sottolineato fortemente sul progresso "incredibile" che esse rappresentano per se stesse. Roma mai ha discusso del suo Magistero. È una cosa impossibile. Tuttavia, Roma accetta di discutere del Concilio, perché non è infallibile. Questo è anche il motivo per cui il Superiore generale "mantiene il contratto": un evento di questo tipo richiede pace e serenità. La FSSPX si dispensa dunque "tatticamente" dall’attaccare, come faceva in passato. Ma la guerra contro il modernismo continua e non bisogna assolutamente credere che "tutto è arrivato".

-Su ciò che la FSSPX può portare alla Chiesa: mons. Fellay, evocando un ritiro che egli ha predicato ad Albano per 30 sacerdoti diocesani italiani, ha indirettamente evidenziato l'aspetto positivo del Motu Proprio (richiedendo che non lo si critichi): i sacerdoti che tornano alla liturgia tradizionale ritornano anche alla dottrina tradizionale, ma vi ritornano da lontano. E ha battuto sul punto: ci sono, specie a Roma, persone molto per bene, dei sacerdoti, dei prelati e persino dei cardinali

Il punto saliente di questo discorso di "apertura" è stata la citazione di una conversazione che l’Arcivescovo Ranjith, oggi cardinale, aveva avuto con lui. Mons. Ranjith gli ha detto che ci sarebbero voluti vent'anni affinché la riforma liturgica ceda il posto alla Messa tradizionale. Mons. Fellay ha commentato: ci saranno passaggi intermedi, "graduali", dove non tutto sarà buono, è vero, ma non tutto nemmeno sarà più cattivo.


Sul convegno dei giorni scorsi a Parigi segnaliamo anche questo post di Fides et forma


"IL TESORO DELLA CHIESA DEVE TORNARE AD ESSERE DI TUTTI!" MONS. FELLAY CHIUDE IL CONGRESSO DI PARIGI

                                                                                        

di Francesco Colafemmina (presente al Congresso)

Il congresso della Fraternità San Pio X organizzato a Parigi dal Courrier de Rome si è appena concluso. E le ultime parole pronunciate sono state quelle di Mons. Fellay, superiore generale della Fraternità. E’ proprio da qui che vorrei cominciare per descrivervi cosa è accaduto in questi giorni. Monsignor Fellay è un uomo dotato di una stupefacente abilità oratoria, ma è soprattutto un uomo di fede autentica. Cos’è la Fraternità? Qual è il suo carisma? Sua Eccellenza ha spiegato ricorrendo all’espressione “fides ex auditu” di San Paolo ha spiegato il senso della fede nel Verbo Incarnato trasmessa attraverso la presenza del Verbo Incarnato, la Sua epifania nel mondo. L’uomo attraverso Dio ritorna a Dio. E il carisma della Fraternità consiste nel “restaurare” il Cattolicesimo, scoprire la fede nascosta dalle incrostazioni e dagli errori della modernità al fine di ricondurre le anime a Dio. Dunque un carisma concentrato sulla fede e la salvezza delle anime. Ma questo vuol dire essere cattolici autenticamente!

E qui c’è da rivelare il primo aspetto che mi ha colpito immediatamente durante questa tre giorni parigina: la Fraternità denominata con un tocco di disprezzo “lefebvriana”, non vive della memoria o del culto del fondatore carismatico. Monsignor Lefebvre è ricordato con amore, con passione, ma non come accade in tutti i vari movimenti e organizzazioni cattolici, con quella tipica venerazione ossessiva e ridondante. E nessun culto della persona è naturalmente riservato a Monsignor Fellay. C’è nello spirito dei tantissimi laici e dei numerosi sacerdoti il rispetto filiale che si deve al proprio Vescovo, ma la Fraternità non è nient’altro che una comunità cattolica autentica. Altri aggettivi non servono. Neanche l’aggettivo “tradizionalista”, perché ciò che contraddistingue la Fraternità è l’essere legati alla Chiesa e l’identificarsi con essa e la Chiesa è costitutivamente tradizione.

Il Concilio è un momento della Chiesa, importante di certo, ma discutibile. Ed in nome della discutibilità del Concilio la Fraternità ha voluto preservare, anche a costo del sacrificio più grave, tutto l’insieme di teologia, liturgia, ecclesiologia e morale che costituisce l’essenza del cattolicesimo. In questo senso è interessante aggiungere un particolare emerso nel corso dell’intervento di Mons. Fellay, ossia che un ruolo non di poco conto lo giocò nello spingere Mons. Lefebvre ad ordinare i quattro vescovi nel 1988, l’incontro di Assisi risalente a due anni prima.

E conseguentemente Mons. Fellay non ha potuto trattenere la sua preoccupazione per l’evento Assisi 2011 che Papa Benedetto ha annunciato qualche giorno fa: “Un brivido mi è passato sulla colonna vertebrale. Si cerca poi di negare ciò che è accaduto la prima volta”. Ha quindi proseguito dicendo che la prima volta si sono offerte delle chiese cattoliche per le pratiche di culto di altre religioni, giungendo all’atto sacrilego di porre un Buddha su un tabernacolo! Questa volta pare ci sia intenzione di mettere a disposizione delle sale del Convento, ma eliminando rigorosamente i crocifissi! Ha perciò commentato: “E’ insensato! Si toglie così il mezzo della redenzione dell’uomo”. In particolare Mons. Fellay è rimasto colpito da una parola presente nel discorso di Papa Benedetto XVI dedicato all’annuncio dell’incontro del 2011. Si tratta della parola “fede”. Ma a lasciar perplessi non è la parola in sé, ma naturalmente il suo contesto. Dice infatti nell’Angelus del 1 gennaio 2011 il Papa, che andrà ad Assisi “allo scopo di fare memoria di quel gesto storico voluto dal mio Predecessore e di rinnovare solennemente l’impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace.”

Come si può parlare di altre “fedi religiose”. La fede è infatti una virtù teologale che il cattolico riceve attraverso il battesimo per mezzo della grazia di Dio. Ma può “lo stesso termine essere usato per circostanze diverse”? Solo il cattolico ha la fede. Il non cattolico crede nella propria divinità ma non si può usare il concetto di fede per definire il suo aderire alla propria religione: “si rischia così di mescolare cose diverse”. Assisi per Mons. Fellay rappresenta “un simbolo” e questo simbolo “anche qualora lo si corregga, non lo si elimina”. Permarrebbe dunque la sua forza evocativa. Quando Assisi potrebbe quindi avere un senso cattolico? “Il Vicario di Cristo dovrebbe dire: ‘c’è un solo Dio ed è Gesù Cristo, convertitevi!’ Così Assisi andrebbe bene!”.

Con un sorriso divertito, forse consapevole che ciò non potrà mai accadere, Monsignor Fellay è passato a descrivere ciò che oggi la Fraternità può fare per la Chiesa. E lo ha fatto parlando proprio dell’Italia. Una nazione nella quale non c’è mai stata una forte presenza di “tradizionalisti”, ma oggi interessata notevolmente al risveglio della tradizione. Monsignor Fellay percepisce il rischio di una concentrazione eccessiva sul rito, sulla liturgia antica, che – come io penso – conduce solo ad un vuoto estetismo che ferisce quel “cattolicesimo tradizionale” che non è solo ritualità, ma autentica vita cattolica. Perciò ha voluto raccontare di un incontro con una trentina di preti diocesani italiani che si stanno avvicinando alla Fraternità. Sì trenta sacerdoti diocesani e il numero è già una gran notizia!

Monsignore ha rivolto loro una domanda: cosa vi aspettate dalla Fraternità? E, a parte i pochi che han chiesto di “imparare a celebrare il rito antico”, la maggior parte ha risposto: “ci aspettiamo LA DOTTRINA”. Così si giunge al caso emblematico di un Vicario generale italiano che ha detto ad un esponente della Fraternità: “ho cominciato a leggere il catechismo di San Pio X: ebbene, confesso che a quelle domande non saprei come rispondere… perché non mi hanno mai insegnato a farlo!”. E Monsignor Fellay ha aggiunto che le confessioni dei sacerdoti sono tristi: “non ci hanno insegnato niente!”. E’ come se molti di loro, nonostante le lauree universitarie e gli anni di studio, si fossero riempiti di strumenti dottrinali inutili, di contenitori e non di contenuto cattolico. Perciò tutti, quasi istintivamente, reclamano l’insegnamento di San Tommaso!

E qui Fellay ha aggiunto un commento che ieri mi aveva già riferito personalmente chiacchierando di arte sacra. Dicevo a Sua Eccellenza che i fedeli riconoscono immediatamente ciò che è bello e cattolico e subito lo amano, anche dopo decenni nel corso dei quali sono stati abituati al brutto e all’informe. E lui mi ha detto: “ma questo discende dal battesimo. E’ nel battesimo che il Signore ci dona la fede, diventiamo cattolici e anche a distanza di anni, anche senza aver mai visto la messa antica, anche dopo aver visto opere d’arte brutte, quando ne vediamo di belle, secondo la tradizione quando vi assistiamo subito si accende come una lampadina e la riconosciamo: ecco questo è cattolico.” Così per la messa. I sacerdoti che apprendono a celebrare la messa di sempre vivono un rinnovamento spirituale.

Attraverso il rito iniziano a chiarirsi i dubbi delle loro anime, cominciano “a rimettere in ordine le loro vite e a riordinare le loro relazioni con i fedeli”. Questo Monsignor Fellay lo definisce: “il lavoro della Grazia sul prete attraverso la messa”. Così dalla liturgia si passa alla dottrina e dalla dottrina alla morale, perché “la fede senza opere è morta”. E quindi il sacerdote scopre un modo nuovo e antico di essere fedele al proprio ministero. E lo fa riscoprendo soprattutto “l’obbiettività e il realismo”. Il problema più grave della nostra epoca, il problema anche della crisi della Chiesa è la perdita di realismo, che Fellay identifica con la rivoluzione del pensiero razionalista tedesco a partire da Kant: “è il mondo del pensiero che ha tagliato fuori la realtà”. Così “non c’è più coerenza fra essere e apparire” e “si dà una tale importanza al soggetto che l’oggetto non ha più importanza”. Ma tutto “si rimette a posto grazie all’oggettività”. Dobbiamo quindi “adeguare la nostra intelligenza al reale”.
 
Così il sacerdote che ha recuperato l’oggettività sarà in grado di operare davvero per la salvezza delle anime, non si perderà nel vuoto attivismo, in questo ciclo di eventi, iniziative, elucubrazioni che non lasciano nulla e hanno sempre bisogno di qualcosa di esterno. Il sacerdote ritorna al centro. Ciò accade attraverso il recupero di un cattolicesimo tradizionale, attraverso la messa e la dottrina: “questo è il tesoro della Chiesa e non è importante che sia nostro, ma di tutti!”.

Infine Monsignor Fellay ha parlato dei fedeli. “I fedeli rappresentano non la tradizione viva, ma la tradizione vivibile”. L’errore dello spirito del Concilio è stato quello di cercare di inseguire il mondo: “si sente il mondo che va via e allora facciamo l’aggiornamento”. Ma “il metodo preconizzato dal Concilio è stato troppo umano”. Eppure solo “vivendo i metodi eterni che la Chiesa ha sempre preconizzato i fedeli vedono che la vita cristiana oggi è possibile”. “Il mondo di oggi fa di tutto per farci credere che sia troppo difficile o irraggiungibile” il vivere cattolico. Esso “è invece realizzabile!”. E ciò perché “siete voi fedeli che edificate il Corpo Mistico!”. Con una preghiera alla Madonna di Fatima si è quindi concluso il Decimo Congresso Teologico del Courrier de Rome.

Certo che dopo questo mio articolo sarò bollato a vita come lefebvriano, mi preme inviare a tutti gli indignati, gli accigliati, gli scandalizzati di qualsiasi provenienza (neocon, teocon, progressisti, double-face, etc.) un solenne pernacchio! Se tutti voi vi foste trovati questa mattina nella chiesa di Saint Nicolas du Chardonnay, con quasi mille persone di ogni età avreste visto che la tradizione non è fatta di pizzi e merletti, né di quattro scomunicati esaltati. La tradizione è qualcosa che commuove, che fa piangere, che mette la gioia della speranza e la tristezza della perdita.
 
La tradizione è vita pulsante, sono centinaia di occhi, di cuori, di teste, che si tramandano la propria fede e la vivono senza compromessi, anche a costo dell’emarginazione da parte della Chiesa progressiva e aggiornata. La tradizione sono anche i sorrisi sinceri di Monsignor Fellay, la sua calma, la sua prudenza, il suo amore per la Chiesa. E sono la fratellanza dei sacerdoti, il loro vivere familiarmente il proprio ministero sacerdotale, il loro essere abbracciati dai fedeli che amano e curano come la Chiesa ha sempre insegnato a fare, con coerenza e convinzione.

Perciò, consentitemi di dire: viva la Fraternità San Pio X!
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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04/03/2011 17:13
 
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Intervista a don Davide Pagliarani, Superiore italiano della FSSPX

a cura di Marco BONGI

-1 Don Davide, Lei si trova, dal 2006, alla guida di un distretto strategicamente importantissimo per la FSSPX, non tanto sotto l'aspetto numerico, quanto soprattutto per il fatto che l'Italia è la sede del papato. Ciò che dunque avviene in Italia assume, per forza di cose, una valenza tutta particolare nel mondo cattolico. Anche le vicende dei cosiddetti tradizionalisti italiani rischiano di riflettersi quindi, al di là della loro oggettiva consistenza, a livello internazionale. Lei è un sacerdote relativamente giovane e crediamo che i superiori della Fraternità, se le hanno conferito un incarico così delicato,  ripongano nella sua persona una notevole fiducia. Vorremmo allora rivolgerle alcune domande allo scopo di comprendere meglio la posizione della congregazione fondata da mons. Marcel Lefebvre. Non mancano infatti critiche provenienti da vari ambienti. Ci aiuti, nei limiti del possibile, a dissiparle.
L'annuncio, da parte di Benedetto XVI, della convocazione di un nuovo incontro interreligioso ad Assisi ha suscitato notevoli reazioni nel mondo cattolico tradizionalista. Mentre alcuni hanno evidenziato negativamente le dure parole, pronunciate su questo argomento da mons. Bernard Fellay nell'omelia del 9 gennaio, altri osservano invece un deprecabile, a loro parere, ammorbidimento dei toni rispetto alle aspre parole pronunciate da mons. Lefebvre nel 1986. Qual'è la vera posizione della FSSPX? Quali sono, se ci sono, i motivi che vi inducono ad una maggiore cautela nei toni?

R.
La reiterazione della giornata interreligiosa di Assisi unitamente alla rievocazione di ciò che accadde nel 1986 rappresenta purtroppo la conferma di tutto un percorso ecumenico che ha seminato universalmente l’idea che tutti i culti siano validi e che possano contribuire ad ottenere il bene della pace. E’ questa la dimensione realistica, concreta, mediatica e “pastorale” di Assisi, malgrado i distinguo, le precisazioni e le “precauzioni” che forse non mancheranno. Penso che la Fraternità abbia il dovere di ripetere ciò che ha detto 25 anni fa e che non ha mai smesso di ribadire: "nullam partem". Se non lo facesse, la Fraternità non solo tradirebbe sé stessa ma innanzitutto la Chiesa e lo stesso Papa. Può sembrare paradossale ma il servizio più prezioso che si possa offrire oggi al Santo Padre è proprio quello di dirgli: "non possumus", come San Paolo lo disse a San Pietro ad Antiochia. In realtà è quello che vorrebbero dirgli in tanti, mossi da un amore sincero per la Chiesa, ma che ancora non osano farlo in prima persona: la Fraternità, si vuole far portavoce anche di loro.
Quanto ai toni, se qualcosa è cambiato, ciò non riguarda le questioni di fondo, ma lo scenario concreto; ora la Fraternità discute ufficialmente con i rappresentanti della curia romana. Questo non significa un regresso rispetto alle posizioni precedenti ma piuttosto un progresso nella loro avanzata. Le obiezioni dottrinali alla base delle scelte della Fraternità sono finalmente sul tavolo del Papa in nome della Tradizione e del Magistero perenni. E’ chiaro che i toni attuali in qualche modo tengono conto di questa evoluzione. Questo non significa - lo ripeto - un annacquamento dei contenuti ma al contrario la loro avanzata.
E’ incoraggiante per noi il fatto che la Fraternità sia giunta a questo punto: è una prima conferma che la linea di Mons. Lefebvre era quella da seguire.

Contrariamente a quanto alcuni pensano, nell’ottica della Fraternità, l’obiettivo delle discussioni non è tanto quello di trovare una collocazione canonica per sé stessa ma, ancora una volta, quello di rendere un servizio alla Chiesa e alle anime che attendono il trionfo della Verità.
Questo non significa che la Fraternità salverà la Chiesa - il che appartiene solo a Dio - ma che la Fraternità intende testimoniare la Verità "in medio Ecclesiae", e per il bene di tutta la Chiesa.
Per tornare ad Assisi, è chiaro che il problema dell’ecumenismo, del dialogo interreligioso, dei loro addentellati e delle loro conseguenze, occupa un posto di primissimo piano nella scaletta dei temi che la Fraternità discute con la commissione voluta dal Papa.

–2 Alcuni esponenti della Fraternità, talora anche tra coloro che ricoprono incarichi di responsabilità, non esitano ad esprimersi in modo estremamente critico nei confronti della teologia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Questo atteggiamento  ha suscitato dure reazioni da parte di alcuni commentatori: si è sostenuto che la FSSPX, mentre da una parte partecipa ai colloqui teologici a Roma, dall'altra attacca duramente il S. Padre.  Lei cosa ne pensa?

R.
Penso che la questione vada affrontata restando ai principi di fondo, senza entrare nell’analisi dei singoli casi o delle singole obiezioni.
Innanzitutto i membri della Fraternità non attaccano il Papa ma la sua teologia. E’ una distinzione elementare e facile da compiere, purtroppo non sempre evidenziata dai commentatori. Non vogliamo pensare che questa omissione possa essere strumentale.
Se affrontata con la giusta competenza e con i toni dovuti, penso che l’analisi dei grandi principi teologici che hanno guidato il percorso di Joseph Ratzinger sin dagli anni del Concilio sia un tema di grande interesse; egli infatti ha partecipato al Concilio in qualità di teologo privato del card. Frings, assieme al ben noto Karl Rhaner. E’ ben vero che negli anni successivi Ratzinger si staccò progressivamente da quest’ultimo ed ancor più dall’amico Hans Kung, al quale doveva il suo ingresso all’università di Tubinga. E’ anche vero però che egli considera piuttosto che questi teologi abbiano cambiato idea, non lui; anche da Papa, è ritornato sulla sua famosa tesi di dottorato all’epoca bocciata dal prof Schmaus. Insomma il suo percorso teologico è interessante e può contribuire a capire meglio certe scelte che caratterizzano il suo pontificato.
Peraltro da vero intellettuale è lui stesso ad aver auspicato, in alcune occasioni, che si discuta sulle sue tesi teologiche, anche muovendo obiezioni.
Penso che l’analisi dell’evoluzione del suo pensiero sia un tema di grande interesse, stimolato dal fatto che sempre di più egli privilegi un tipo di comunicazione dove riemerge spesso l’anima dell’ex professore che vuole provocare un dibattito piuttosto che insegnare in modo cattedratico e magisteriale.
 Ad esempio, i suoi recenti libri – a prescindere dai contenuti specifici - rappresentano in sé stessi un modo nuovo e atipico di porsi e di comunicare come papa. A questo proposito dobbiamo cogliere i segni dei tempi: a partire dal Concilio la teologia ha – in una certa misura – sostituito il Magistero: è ben noto il ruolo dei teologi durante il Concilio e nel postconcilio.
Questa influenza è stata tale che gli stessi Papi del postconcilio tendono talora ad esprimersi come “teologi” più che come “maestri” della dottrina: ora il teologo è colui che indaga, discute e cerca nuovi orizzonti, a differenza del maestro che si limita ad insegnare ciò di cui è depositario. Questo nuovo atteggiamento, che già Romano Amerio definiva “dislocazione dell’attività magisteriale” è un dato di fatto e può essere fonte di confusione, a prescindere dagli stessi contenuti.
Inoltre mi sembra che il Papa stesso abbia a cuore un ripensamento teologico su quanto è accaduto nel postconcilio: inevitabilmente questo coinvolge, più o meno direttamente, tutti i grandi nomi di questo periodo.
Quanto al fatto che la Fraternità continui ad essere “critica” sui punti su cui lo è sempre stata malgrado i colloqui teologici in corso, penso semplicemente che questa mancanza di doppiezza le faccia onore: una discussione onesta e leale non sarebbe più tale se fosse costretta a sacrificare qualcosa alla dea diplomazia. Alla fine dei conti la schiettezza è un motivo di credibilità per i nostri interlocutori, per il pubblico e per lo stesso Papa.

-3 Il recente passaggio alla FSSPX di un sacerdote diocesano rappresenta senza dubbio un fatto estremamente significativo. Vi sono tuttavia alcuni "ultras" che ricordano come, di fronte a casi simili, mons. Lefebvre, abbia alcune volte proceduto alla riordinazione precauzionale dei sacerdoti ordinati con il Novus Ordo Missae. E' cambiato qualcosa oggi, sotto questo aspetto, nella prassi della Fraternità?

R.
Anche se non ha mai parlato pubblicamente di questa delicatissima questione, posso confermare che mons. Lefebvre ha proceduto, in alcuni casi, a tali riordinazioni "sub conditione".
Tuttavia su questo problema la Fraternità non ha mai proceduto in modo sistematico, bensì valutando con la massima prudenza caso per caso e procedendo unicamente laddove il dubbio era fondato. Tale dubbio è stato provocato da una serie di elementi oggettivi che hanno indotto ad ipotizzare - in alcuni casi - un reale difetto di intenzione da parte del vescovo.
In questi casi la riordinazione "sub conditione" si è rivelata necessaria anche per tranquillizzare la coscienza del sacerdote, assalito da gravissimi dubbi.
Penso si possa instaurare un parallelo – ovviamente con i dovuti distinguo – tra alcune ordinazioni sacerdotali e certe Messe di cui siamo stati spettatori nel postconcilio: ritengo che ad ogni uomo di buona volontà possa venire un dubbio se vede un sacerdote dire messa sdraiato su un prato o consacrare la birra oppure il latte. Oppure se lascia consacrare il pane unicamente all’assemblea perché popolo sacerdotale.
Esperienze di questo tipo o ad esse analoghe possono provocare, unitamente al dubbio, un vero e proprio trauma e un caso di coscienza: ad esso bisogna fornire, in qualche modo, una risposta per dovere di carità.

-4 In Italia, a fronte del relativamente piccolo numero di fedeli, la FSSPX gode di una certa simpatia in alcuni ambienti culturali e su taluni organi di informazione. Come interpreta questo fatto?

R.
Gli organi di informazione e gli ambienti culturali - per lo meno in linea di principio - sono chiamati a veicolare dei contenuti. In questo senso penso che la Fraternità possa essere oggetto di un interesse particolare in quanto privilegia incondizionatamente una identità ed una battaglia di carattere eminentemente dottrinale. Questa scelta, che vuole essere una risposta proporzionata ed adeguata alla radice della crisi attuale, ha garantito alla Fraternità la possibilità di esprimersi liberamente, senza essere condizionata da altri interessi, magari anche legittimi, ma di altra natura: Verità e Libertà sono due termini strettamente uniti nella prospettiva evangelica.
A lungo termine questa libertà di ricordare i principi tradizionali della dottrina cattolica suscita interesse, a condizione di non uniformarsi ai discorsi pallidi, tiepidi, politicamente corretti e spesso vuoti. A questo proposito mi sembra giusto sottolineare che la Fraternità non ha maturato una sua specifica identità dottrinale: non esiste una verità lefebvriana o una Tradizione interpretata in chiave lefebvriana. Esiste la Chiesa, con la Sua Tradizione bimillenaria e intramontabile: è la sola cosa che ci interessa perché sappiamo che se anche il mondo crollasse, questa non verrà mai meno: "Verbum Domini manet in aeternum".
La Storia della Chiesa ci insegna che questa Tradizione trionfa in modo proporzionale agli ostacoli che incontra.

-5 Il fenomeno INTERNET, visto originariamente con sospetto nel mondo cattolico, si sta rivelando una risorsa importantissima per la Tradizione. Si possono infatti pubblicare articoli ed interventi senza necessariamente dover disporre di ingenti capitali. Come giudica questo mezzo di comunicazione. Quali sono i rischi e gli aspetti positivi?

R.
Penso che internet sia un’arma a doppio taglio. Da una parte è ben vero che permette una pubblicazione rapida e facile di certi testi o commenti. Tuttavia gli inconvenienti non sono pochi.
Innanzitutto il pubblico di internet è un pubblico particolare, oserei dire selezionato, certamente il più informato ma non necessariamente il più preparato: c’è tutta una sfera di persone che non accedono quotidianamente ad internet e che non devono essere dimenticate né escluse dai grandi dibattiti.
Soprattutto penso che internet rischi in qualche modo di banalizzare certi confronti a carattere dottrinale. Davanti ai grandi temi che ci riguardano è necessaria una certa ponderazione e soprattutto una certa distanza dai fatti, dai testi o dai problemi che si vogliono commentare. Internet accorcia questa distanza e stimola moltissimo il desiderio di coniugare rapidità di informazione e di commento in tempo reale, a scapito – talora – della necessaria prudenza e ponderazione che hanno sempre caratterizzato il modo con cui la Chiesa ha insegnato ad affrontare le grandi questioni. Chi è informato per primo o chi reagisce per primo non è necessariamente colui che ha sempre ragione.

-6 Da un po’ di  tempo sembra in procinto di crollare il tabù del Concilio Vaticano II. I libri di Roberto de Mattei e di mons. Brunero Gherardini hanno dimostrato che è possibile discutere anche su punti fino ad oggi considerati intoccabili. Come vive questo fenomeno il superiore del Distretto italiano della FSSPX?

R.
Prima o poi doveva succedere; il fenomeno è evidente e soprattutto è irreversibile per un motivo molto semplice: la Tradizione della Chiesa, in un modo o nell’altro, deve trionfare. Si tratta di una necessità assoluta che trascende la contingenza storica. La Provvidenza si serve di tale pubblicazione o di tale evento o di tale congiuntura per giungere a questo fine necessario e ineludibile: il trionfo della Verità.
Tuttavia ciò che più fa riflettere sono gli ostacoli che questa messa in discussione sta incontrando. Accanto a incoraggianti reazioni, ci si rende conto che la Cristianità è come anestetizzata a 45 anni di distanza dalla chiusura del Concilio.
Pur constatando questo lento movimento di ripensamento sul Concilio, penso che ci vorrà molto più tempo del previsto per coinvolgere un ampio settore della Chiesa, a meno che la Provvidenza non utilizzi qualche mezzo straordinario. La speranza non deve confondersi con il trionfalismo né deve cedere il posto ad un ottimismo sproporzionato.

-7 I progressisti giudicano ormai superato il Concilio Vaticano II ed aspettano Il Concilio Vaticano III. I tradizionalisti discutono l'autorità dottrinale dei documenti conciliari. Rimane solo uno sparuto gruppo di cosiddetti conservatori che continua a difendere, contro ogni evidenza, l'assoluta indefettibilità di ogni virgola contenuta in tali testi. Qual'è, in tal senso, la posizione della Fraternità? 

R.
E’ quella dei cosiddetti“tradizionalisti”.
E’ evidente che il Concilio rappresenta un modo di “porsi”, di “relazionarsi” e di “insegnare” assolutamente nuovo e del tutto unico nella Storia della Chiesa: ha voluto autocertificarsi come “pastorale” quasi a differenziarsi da tutti i concili precedenti, sottolineando una sua originalità propria contestualmente alla volontà di non definire e di non condannare. Però né il Concilio né il postconcilio hanno mai dato spiegazioni chiarificatrici né definizioni di questa specificità anomala del Concilio stesso. Proprio per questo coesiste, in campo liberale, chi lo dogmatizza e chi lo utilizza come punto di partenza per il Vaticano III o IV e per una applicazione evolutiva senza termine finale.
Paradossalmente sono i tradizionalisti a non tradire il Concilio, valutandolo per quello che è, ridandogli la sua vera portata, considerando spassionatamente a quali risultati catastrofici sia approdato, liberi da ogni ideologia e da ogni pregiudizio politicamente corretto.

-8 La decisione di Papa Benedetto XVI di beatificare il suo predecessore non pare essere stata molto gradita negli ambienti tradizionalisti. Fermo restando che nessuno ha il potere di giudicare le intenzioni umane e che anche un beato può aver compiuto scelte sbagliate nella sua vita, , cosa pensa lei di tale decisione?

R.
Non mi sembra il caso di discutere e di esprimermi sulle virtù personali di Giovanni Paolo II.
Penso tuttavia che la decisione affrettata di beatificare Giovanni Paolo II, contro le regole, la prassi e la prudenza abituali della Chiesa, siano indice di una chiara volontà di “canonizzare” in fretta ciò che tale pontefice rappresenta sul piano storico ed ecclesiale: l’applicazione del Concilio.
Ora, dal momento che Benedetto XVI invita all’autocritica sull’interpretazione del Concilio, trovo difficilmente armonizzabile la volontà di aprire un serio dibattito su ciò che il postconcilio rappresenta e ha prodotto con la beatificazione immediata di colui che ne è la grande icona. C’è qualcosa che sfugge e penso che la cosiddetta ermeneutica della continuità rischia di perdere ulteriormente credibilità a causa di questa scelta affrettata.
Forse questa decisione rappresenta – ripeto: nella sua dimensione politica più che personale – un tentativo disperato di santificare un periodo storico in cui la Chiesa, purtroppo, non ha fatto altro che collassare lentamente. In questa prospettiva la fretta di questa beatificazione sarebbe proporzionale alla sensazione di malessere che la Chiesa sta vivendo.

-9 Sappiamo che la FSSPX organizza periodicamente incontri fra sacerdoti diocesani. Cosa vi sentite dire in tali occasioni? Pensa che nel prossimo futuro ci possano essere nuove adesioni alla Fraternità?

R.
Esiste una categoria di sacerdoti che ha bisogno di essere in qualche modo incoraggiata dalla Fraternità: è quello che dicono e che chiedono. Si tratta in generale di sacerdoti stimolati dal motu proprio a scoprire la Messa Tridentina e, attraverso di essa, le ricchezze della Tradizione assieme ad un ideale sacerdotale autentico. Di conseguenza nasce in questi sacerdoti il desiderio spontaneo di appropriarsi integralmente di queste ricchezze e di beneficiarne liberamente: a questo punto incominciano i problemi.
A quanto essi riferiscono, si sentono spesso umiliati dai confratelli, talora dal loro vescovo e soprattutto lamentano il fatto che non esista una autorità realmente capace di sostenerli, di proteggerli e di incoraggiarli nelle loro scelte e nei loro bisogni.
La Fraternità sente il dovere di incoraggiarli, compatibilmente con la limitatezza dei mezzi di cui dispone e delle iniziative che può prendere.
A questo proposito sono stato molto colpito dal fatto che generalmente il sacerdote di oggi lamenta un grave stato di solitudine morale e direi quasi di abbandono: si ha l’impressione che i grandi piani delle diocesi si occupino tantissimo del laicato, dell’applicazione di grandi teorie ecclesiologiche, trascurando il bene particolare e i mezzi di santificazione dei singoli sacerdoti.
La Fraternità considera i sacerdoti di oggi più come delle vittime che come dei responsabili della gravissima crisi che, coinvolgendo la Chiesa, coinvolge in primo piano il sacerdote stesso.

-10 Appaiono, al contrario, quasi sempre più problematici i rapporti fra la FSSPX e le altre congregazioni tradizionaliste cosiddette "Ecclesia Dei". Come interpreta questa freddezza?

R.
La domanda è delicata in quanto riguarda direttamente confratelli di altri istituti: cercherò nei limiti del possibile di rispondere in termini precisi ma allo stesso tempo impersonali.
Onestamente non mi sembra che ci sia un aumento di freddezza nei rapporti con i gruppi “Ecclesia Dei” come tali, ma la diversa relazione che essi possono avere con la Fraternità è determinata da ragioni oggettive. Innanzitutto questi gruppi sono alquanto diversificati tra loro per indole e finalità; penso che in alcuni di questi gruppi, o perlomeno in alcuni membri, ci sia maggior sensibilità all’elemento dottrinale che caratterizza la battaglia della Fraternità: in questo caso essi osservano con interesse le discussioni che abbiamo intrapreso con Roma e vi ravvisano forse la possibilità di un qualche beneficio per la Chiesa.
Purtroppo però i gruppi Ecclesia Dei sono nati spesso - quantunque non esclusivamente - da una divergenza grave con la linea dottrinale o pastorale della Fraternità: penso che questa origine “negativa”, se mi è concesso l’utilizzo di questo termine, al di là delle inevitabili ripercussioni personali che non ci interessano, possa mortificare nel corso degli anni la tensione verso il raggiungimento dell’obiettivo iniziale: la denuncia degli errori del Concilio e questo non tanto per il bene di un gruppo particolare ma per il bene di tutta la Chiesa.
Penso che l’ideale per questi gruppi sarebbe quello di riuscire a definirsi realmente non più in relazione alla Fraternità bensì in relazione ad una finalità ecclesiale più “positiva” che possa corrispondere nei limiti del possibile ad una sana ed integrale restaurazione della Chiesa.
Sul piano personale ognuno può avere qualcosa che ha offeso o da cui è stato offeso, questo dispiace ma come detto non ci riguarda direttamente nelle presenti riflessioni e, probabilmente, non è destinato a cambiare il corso della Storia della Chiesa.

-11 Sappiamo benissimo che i colloqui teologici fra la Fraternità e le autorità romane sono coperti giustamente da un rigoroso segreto. Ci può però almeno descrivere sommariamente il clima in cui si svolgono tali incontri. Cosa le riferiscono, in tal senso, i confratelli che fanno parte della delegazione ufficiale?

R.
I confratelli membri della commissione sono soddisfatti del clima cordiale con cui sono accolti e che permette loro di esprimersi liberamente, in maniera complessiva ed esauriente.
Per loro si tratta innanzitutto di rendere una testimonianza, lasciando alla Provvidenza gestire il futuro della vicenda.

-12 Tra le obiezioni che più spesso vi vengono rivolte vi è quella incontrovertibile di non avere uno statuto canonico ufficiale. Come vive la Fraternità il disagio di non avere uno statuto giuridico regolare ed approvato dalla Chiesa?

R.
Penso che su questo problema non bisogna sbagliarsi di prospettiva: non ha alcun senso valutare la legittimità dell’esistenza e dell’apostolato della Fraternità se non in relazione alla crisi della Chiesa. Trovo un po’ “cartesiano” l’atteggiamento di chi riconosce l’esistenza di una grave crisi nella Chiesa senza relazionarla in nessun modo all’esistenza della Fraternità e giudicando quest’ultima come se la crisi non esistesse.
Se la Chiesa vivesse la sua primavera come il Concilio aveva promesso, primavera di purezza di dottrina, di santità, di vocazioni, di fioritura di vita religiosa, di ottima formazione nei seminari, la Fraternità non potrebbe giustificare in nessun modo la sua azione attuale.
Se la Chiesa vivesse un periodo normale della sua storia, con gli abituali alti e bassi, nel quale però tutti i mezzi di santificazione (sacramenti cattolici, sana dottrina, sicuri insegnamenti morali, buona formazione per i sacerdoti, ecc…) fossero ordinariamente garantiti in tutte le parrocchie e le cattedre del mondo, la Fraternità ugualmente non potrebbe giustificare ciò che fa.
Se invece la Chiesa sta vivendo un periodo di crisi senza precedenti, in cui le fondamenta stesse del Cattolicesimo sono attaccate dall’interno della Chiesa, se veramente il fumo di Satana è penetrato nel Tempio di Dio e se la Chiesa fa veramente acqua da tutte le parti, il servizio più grande che si possa offrirle è quello di preservare la sua Santa Tradizione per la sua stessa rigenerazione, mettendola sin d’ora a disposizione delle anime.
Certo si può discutere in che termini la Chiesa faccia acqua da tutte le parti e in che termini il fumo di Satana sia entrato nel tempio di Dio: però mentre si discute non bisogna dimenticare le anime che respirano questo fumo e che hanno l’acqua alla gola: "suprema lex salus animarum", come recita lo stesso Codice di Diritto Canonico.
Questa espressione, con cui si conclude il Codice, è la sintesi di tutto il Diritto Canonico e dello spirito della Chiesa che lo anima. Questo vuole essere pure lo spirito della Fraternità, che agisce fuori dagli schemi canonici abituali unicamente in virtù dello stato di necessità (contemplato paradossalmente dallo stesso Codice) che si è creato nella Chiesa, anch’esso fuori dagli schemi storici abituali.
In questa prospettiva l’apostolato della Fraternità non solo è legittimo - quantunque resti eccezionale - ma doveroso, e questo non in virtù di un mandato canonico che non ha ma in virtù di un dovere di carità verso le anime: la suprema legge è la salvezza delle anime.

***

Un breve commento. Devo aggiungere di non condividere il giudizio così negativo circa la beatificazione di Giovanni Paolo II, pur non avendo personalmente apprezzato in quella scelta la fretta e le pressioni, più inerenti a ragioni di "politica ecclesiale" che a motivazioni spirituali. Né - pur nel rispetto della sacralità pontificia ed anche ammirando sinceramente l'abnegazione e le qualità morali della persona - ha senso sottacere i coni d'ombra di quel pontificato: in primis l'insensibilità liturgica, foriera delle più disastrose imitazioni in tutto l'orbe cattolico; poi la non piena avvertenza delle avverse conseguenze per la fede dei semplici di certe kermesses o di certi gesti che si pretendevano "ecumenici" o "riparatori"; infine la sostanziale assenza di governo che ha funestato in particolare gli ultimi anni di regno in cui Giovanni Paolo II, anche suo malgrado, non aveva più le forze.

Ma il giudizio di beatificazione, non dimentichiamolo, non è un giudizio storico, sulle capacità di governo o sulla prudenza nelle scelte, bensì sull'integrità morale e sulla vita di fede: ed il calvario personale del futuro beato è un esempio rifulgente. Non solo: i menzionati aspetti negativi, pur indubbi, non devono farci dimenticare le qualità del defunto pontefice anche sul piano dell'agire pubblico: l'aver combattuto, seppure con alterno successo, il progressismo e il modernismo, ricentrando un po' la barca di Pietro (oggi lo dimentichiamo, ma Papa Woityla fu considerato come un retrivo conservatore, specie in relazione al ceto episcopale delirante che ereditò dalla gestione Montini e che cercò di raddrizzare immettendovi elementi, se non eccelsi, almeno un po' migliori); la persecuzione della teologia della liberazione; il ruolo contro il comunismo (mandando in soffitta la conciliante Ostpolitik del card. Casaroli); il rigore nella morale; e, last but not least, la scelta di un valido collaboratore come il card. Ratzinger.

Infine, sul piano dell'opportunità (che conta, eccome!, non facciamo le verginelle) mi sembra che focalizzarsi sugli aspetti negativi di Giovanni Paolo II sia fare un regalo ai modernisti, permettendo loro di appropriarsi di una importante figura (che pur intimamente detestano). Loro in 'campagna acquisti' sono furbissimi: ci provano da anni anche con Padre Pio, che invece è incontestabilmente "dei nostri"; idem per Newman. E visto che il "Santo Subito" è ancora, piaccia o meno, amatissimo dai più, è davvero un autogol consegnare agli avversari un testimonial di peso come quello.

Enrico

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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