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Interviste e varie di mons. Fellay (un grazie a Messainlatino per le molte traduzioni)

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2011 17:13
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10/01/2011 18:00
 
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Discorso ieri di mons. Fellay (FSSPX): tutto in nuances


Ieri, domenica, 9 gennaio, a Parigi, mons. Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità San Pio X ha secondo gli usi svolto l’intervento finale del convegno organizzato dall'abbé du Chalard (Courrier de Rome) e dall'Institut Saint-Pie X. Per comprendere la specificità dell'occasione, si deve avere in mente che mons Fellay parla pubblicamente, sapendo che le sue parole saranno riportate e commentato ad extra, ma paradossalmente lo fa parlando ad uso interno, utilizzano un linguaggio molto connotato, in direzione dei suoi sacerdoti.

Rispondeva alle domande dell'abbé Lorans, per punti successivi, certamente molto "fraternitocentrici", ma il cui tono può essere così sintetizzato, se si considerano gli elementi che sono apparsi più salienti agli ascoltatori, talvolta molto sorpresi:

-Sulla fondazione della Fraternità sacerdotale dall'Arcivescovo Lefebvre, mons. Fellay ha insistito sulla volontà primaria del fondatore di "fare dei preti", prima che rispondere in maniera militante alla crisi nella Chiesa.

-A proposito di questa crisi e dei suoi sviluppi attuali, mons. Fellay ha criticato molto violentemente Assisi III, come aveva fatto la mattina nel suo sermone a St Nicolas du Chardonnet. Ma notando tuttavia che Assisi II è stato meno peggio di Assisi I, ha emesso un’ipotesi ideale per Assisi III, alla quale non crede (il Papa potrebbe chiamare gli invitati a convertirsi), e non ne ha tirato alcuna conseguenza ("vedremo cosa ciò darà nelle discussioni").

-A proposito di queste discussioni dottrinali che si svolgono a Roma, ha sottolineato fortemente sul progresso "incredibile" che esse rappresentano per se stesse. Roma mai ha discusso del suo Magistero. È una cosa impossibile. Tuttavia, Roma accetta di discutere del Concilio, perché non è infallibile. Questo è anche il motivo per cui il Superiore generale "mantiene il contratto": un evento di questo tipo richiede pace e serenità. La FSSPX si dispensa dunque "tatticamente" dall’attaccare, come faceva in passato. Ma la guerra contro il modernismo continua e non bisogna assolutamente credere che "tutto è arrivato".

-Su ciò che la FSSPX può portare alla Chiesa: mons. Fellay, evocando un ritiro che egli ha predicato ad Albano per 30 sacerdoti diocesani italiani, ha indirettamente evidenziato l'aspetto positivo del Motu Proprio (richiedendo che non lo si critichi): i sacerdoti che tornano alla liturgia tradizionale ritornano anche alla dottrina tradizionale, ma vi ritornano da lontano. E ha battuto sul punto: ci sono, specie a Roma, persone molto per bene, dei sacerdoti, dei prelati e persino dei cardinali

Il punto saliente di questo discorso di "apertura" è stata la citazione di una conversazione che l’Arcivescovo Ranjith, oggi cardinale, aveva avuto con lui. Mons. Ranjith gli ha detto che ci sarebbero voluti vent'anni affinché la riforma liturgica ceda il posto alla Messa tradizionale. Mons. Fellay ha commentato: ci saranno passaggi intermedi, "graduali", dove non tutto sarà buono, è vero, ma non tutto nemmeno sarà più cattivo.


Sul convegno dei giorni scorsi a Parigi segnaliamo anche questo post di Fides et forma


"IL TESORO DELLA CHIESA DEVE TORNARE AD ESSERE DI TUTTI!" MONS. FELLAY CHIUDE IL CONGRESSO DI PARIGI

                                                                                        

di Francesco Colafemmina (presente al Congresso)

Il congresso della Fraternità San Pio X organizzato a Parigi dal Courrier de Rome si è appena concluso. E le ultime parole pronunciate sono state quelle di Mons. Fellay, superiore generale della Fraternità. E’ proprio da qui che vorrei cominciare per descrivervi cosa è accaduto in questi giorni. Monsignor Fellay è un uomo dotato di una stupefacente abilità oratoria, ma è soprattutto un uomo di fede autentica. Cos’è la Fraternità? Qual è il suo carisma? Sua Eccellenza ha spiegato ricorrendo all’espressione “fides ex auditu” di San Paolo ha spiegato il senso della fede nel Verbo Incarnato trasmessa attraverso la presenza del Verbo Incarnato, la Sua epifania nel mondo. L’uomo attraverso Dio ritorna a Dio. E il carisma della Fraternità consiste nel “restaurare” il Cattolicesimo, scoprire la fede nascosta dalle incrostazioni e dagli errori della modernità al fine di ricondurre le anime a Dio. Dunque un carisma concentrato sulla fede e la salvezza delle anime. Ma questo vuol dire essere cattolici autenticamente!

E qui c’è da rivelare il primo aspetto che mi ha colpito immediatamente durante questa tre giorni parigina: la Fraternità denominata con un tocco di disprezzo “lefebvriana”, non vive della memoria o del culto del fondatore carismatico. Monsignor Lefebvre è ricordato con amore, con passione, ma non come accade in tutti i vari movimenti e organizzazioni cattolici, con quella tipica venerazione ossessiva e ridondante. E nessun culto della persona è naturalmente riservato a Monsignor Fellay. C’è nello spirito dei tantissimi laici e dei numerosi sacerdoti il rispetto filiale che si deve al proprio Vescovo, ma la Fraternità non è nient’altro che una comunità cattolica autentica. Altri aggettivi non servono. Neanche l’aggettivo “tradizionalista”, perché ciò che contraddistingue la Fraternità è l’essere legati alla Chiesa e l’identificarsi con essa e la Chiesa è costitutivamente tradizione.

Il Concilio è un momento della Chiesa, importante di certo, ma discutibile. Ed in nome della discutibilità del Concilio la Fraternità ha voluto preservare, anche a costo del sacrificio più grave, tutto l’insieme di teologia, liturgia, ecclesiologia e morale che costituisce l’essenza del cattolicesimo. In questo senso è interessante aggiungere un particolare emerso nel corso dell’intervento di Mons. Fellay, ossia che un ruolo non di poco conto lo giocò nello spingere Mons. Lefebvre ad ordinare i quattro vescovi nel 1988, l’incontro di Assisi risalente a due anni prima.

E conseguentemente Mons. Fellay non ha potuto trattenere la sua preoccupazione per l’evento Assisi 2011 che Papa Benedetto ha annunciato qualche giorno fa: “Un brivido mi è passato sulla colonna vertebrale. Si cerca poi di negare ciò che è accaduto la prima volta”. Ha quindi proseguito dicendo che la prima volta si sono offerte delle chiese cattoliche per le pratiche di culto di altre religioni, giungendo all’atto sacrilego di porre un Buddha su un tabernacolo! Questa volta pare ci sia intenzione di mettere a disposizione delle sale del Convento, ma eliminando rigorosamente i crocifissi! Ha perciò commentato: “E’ insensato! Si toglie così il mezzo della redenzione dell’uomo”. In particolare Mons. Fellay è rimasto colpito da una parola presente nel discorso di Papa Benedetto XVI dedicato all’annuncio dell’incontro del 2011. Si tratta della parola “fede”. Ma a lasciar perplessi non è la parola in sé, ma naturalmente il suo contesto. Dice infatti nell’Angelus del 1 gennaio 2011 il Papa, che andrà ad Assisi “allo scopo di fare memoria di quel gesto storico voluto dal mio Predecessore e di rinnovare solennemente l’impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace.”

Come si può parlare di altre “fedi religiose”. La fede è infatti una virtù teologale che il cattolico riceve attraverso il battesimo per mezzo della grazia di Dio. Ma può “lo stesso termine essere usato per circostanze diverse”? Solo il cattolico ha la fede. Il non cattolico crede nella propria divinità ma non si può usare il concetto di fede per definire il suo aderire alla propria religione: “si rischia così di mescolare cose diverse”. Assisi per Mons. Fellay rappresenta “un simbolo” e questo simbolo “anche qualora lo si corregga, non lo si elimina”. Permarrebbe dunque la sua forza evocativa. Quando Assisi potrebbe quindi avere un senso cattolico? “Il Vicario di Cristo dovrebbe dire: ‘c’è un solo Dio ed è Gesù Cristo, convertitevi!’ Così Assisi andrebbe bene!”.

Con un sorriso divertito, forse consapevole che ciò non potrà mai accadere, Monsignor Fellay è passato a descrivere ciò che oggi la Fraternità può fare per la Chiesa. E lo ha fatto parlando proprio dell’Italia. Una nazione nella quale non c’è mai stata una forte presenza di “tradizionalisti”, ma oggi interessata notevolmente al risveglio della tradizione. Monsignor Fellay percepisce il rischio di una concentrazione eccessiva sul rito, sulla liturgia antica, che – come io penso – conduce solo ad un vuoto estetismo che ferisce quel “cattolicesimo tradizionale” che non è solo ritualità, ma autentica vita cattolica. Perciò ha voluto raccontare di un incontro con una trentina di preti diocesani italiani che si stanno avvicinando alla Fraternità. Sì trenta sacerdoti diocesani e il numero è già una gran notizia!

Monsignore ha rivolto loro una domanda: cosa vi aspettate dalla Fraternità? E, a parte i pochi che han chiesto di “imparare a celebrare il rito antico”, la maggior parte ha risposto: “ci aspettiamo LA DOTTRINA”. Così si giunge al caso emblematico di un Vicario generale italiano che ha detto ad un esponente della Fraternità: “ho cominciato a leggere il catechismo di San Pio X: ebbene, confesso che a quelle domande non saprei come rispondere… perché non mi hanno mai insegnato a farlo!”. E Monsignor Fellay ha aggiunto che le confessioni dei sacerdoti sono tristi: “non ci hanno insegnato niente!”. E’ come se molti di loro, nonostante le lauree universitarie e gli anni di studio, si fossero riempiti di strumenti dottrinali inutili, di contenitori e non di contenuto cattolico. Perciò tutti, quasi istintivamente, reclamano l’insegnamento di San Tommaso!

E qui Fellay ha aggiunto un commento che ieri mi aveva già riferito personalmente chiacchierando di arte sacra. Dicevo a Sua Eccellenza che i fedeli riconoscono immediatamente ciò che è bello e cattolico e subito lo amano, anche dopo decenni nel corso dei quali sono stati abituati al brutto e all’informe. E lui mi ha detto: “ma questo discende dal battesimo. E’ nel battesimo che il Signore ci dona la fede, diventiamo cattolici e anche a distanza di anni, anche senza aver mai visto la messa antica, anche dopo aver visto opere d’arte brutte, quando ne vediamo di belle, secondo la tradizione quando vi assistiamo subito si accende come una lampadina e la riconosciamo: ecco questo è cattolico.” Così per la messa. I sacerdoti che apprendono a celebrare la messa di sempre vivono un rinnovamento spirituale.

Attraverso il rito iniziano a chiarirsi i dubbi delle loro anime, cominciano “a rimettere in ordine le loro vite e a riordinare le loro relazioni con i fedeli”. Questo Monsignor Fellay lo definisce: “il lavoro della Grazia sul prete attraverso la messa”. Così dalla liturgia si passa alla dottrina e dalla dottrina alla morale, perché “la fede senza opere è morta”. E quindi il sacerdote scopre un modo nuovo e antico di essere fedele al proprio ministero. E lo fa riscoprendo soprattutto “l’obbiettività e il realismo”. Il problema più grave della nostra epoca, il problema anche della crisi della Chiesa è la perdita di realismo, che Fellay identifica con la rivoluzione del pensiero razionalista tedesco a partire da Kant: “è il mondo del pensiero che ha tagliato fuori la realtà”. Così “non c’è più coerenza fra essere e apparire” e “si dà una tale importanza al soggetto che l’oggetto non ha più importanza”. Ma tutto “si rimette a posto grazie all’oggettività”. Dobbiamo quindi “adeguare la nostra intelligenza al reale”.
 
Così il sacerdote che ha recuperato l’oggettività sarà in grado di operare davvero per la salvezza delle anime, non si perderà nel vuoto attivismo, in questo ciclo di eventi, iniziative, elucubrazioni che non lasciano nulla e hanno sempre bisogno di qualcosa di esterno. Il sacerdote ritorna al centro. Ciò accade attraverso il recupero di un cattolicesimo tradizionale, attraverso la messa e la dottrina: “questo è il tesoro della Chiesa e non è importante che sia nostro, ma di tutti!”.

Infine Monsignor Fellay ha parlato dei fedeli. “I fedeli rappresentano non la tradizione viva, ma la tradizione vivibile”. L’errore dello spirito del Concilio è stato quello di cercare di inseguire il mondo: “si sente il mondo che va via e allora facciamo l’aggiornamento”. Ma “il metodo preconizzato dal Concilio è stato troppo umano”. Eppure solo “vivendo i metodi eterni che la Chiesa ha sempre preconizzato i fedeli vedono che la vita cristiana oggi è possibile”. “Il mondo di oggi fa di tutto per farci credere che sia troppo difficile o irraggiungibile” il vivere cattolico. Esso “è invece realizzabile!”. E ciò perché “siete voi fedeli che edificate il Corpo Mistico!”. Con una preghiera alla Madonna di Fatima si è quindi concluso il Decimo Congresso Teologico del Courrier de Rome.

Certo che dopo questo mio articolo sarò bollato a vita come lefebvriano, mi preme inviare a tutti gli indignati, gli accigliati, gli scandalizzati di qualsiasi provenienza (neocon, teocon, progressisti, double-face, etc.) un solenne pernacchio! Se tutti voi vi foste trovati questa mattina nella chiesa di Saint Nicolas du Chardonnay, con quasi mille persone di ogni età avreste visto che la tradizione non è fatta di pizzi e merletti, né di quattro scomunicati esaltati. La tradizione è qualcosa che commuove, che fa piangere, che mette la gioia della speranza e la tristezza della perdita.
 
La tradizione è vita pulsante, sono centinaia di occhi, di cuori, di teste, che si tramandano la propria fede e la vivono senza compromessi, anche a costo dell’emarginazione da parte della Chiesa progressiva e aggiornata. La tradizione sono anche i sorrisi sinceri di Monsignor Fellay, la sua calma, la sua prudenza, il suo amore per la Chiesa. E sono la fratellanza dei sacerdoti, il loro vivere familiarmente il proprio ministero sacerdotale, il loro essere abbracciati dai fedeli che amano e curano come la Chiesa ha sempre insegnato a fare, con coerenza e convinzione.

Perciò, consentitemi di dire: viva la Fraternità San Pio X!
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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