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LA SINDONE fra storia e devozione

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2012 18:55
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10/04/2010 18:38
 
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Apertura dell'Ostensione della Sindone: intervista con padre Lombardi
da Radio Vaticana

Inizia oggi, nel Duomo di Torino, l’evento tanto atteso dell’Ostensione della Sindone. Sono attesi fino al 23 maggio prossimo, giorno della chiusura, circa 2 milioni di pellegrini. Nel pomeriggio, l’apertura ufficiale dopo la Messa presieduta dal cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino e custode pontificio della Sindone. Il Papa compirà per questa occasione una visita nel capoluogo piemontese il 2 maggio. A Torino è presente il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Sergio Centofanti gli ha chiesto di descriverci il clima di queste ore:


R. – Oggi è una bellissima giornata e direi che tutta la vita della città gira attorno all’apertura di questa Ostensione. Io mi trovo in questo momento qui vicino al Duomo e c’è un grande fermento, ma anche un grande raccoglimento. Sono presenti tantissime persone. E’ stata fatta già una prima visita per le autorità e per coloro che hanno collaborato all’organizzazione dell’Ostensione, guidata dal cardinale Poletto. Poi c’è stata la visita dei giornalisti: ce ne sono 1500 accreditati per la Sindone. Passano davanti alla Sindone, potendo fare le loro fotografie e i loro servizi televisivi.

Dopo di loro, migliaia di volontari, che sono veramente una delle chiavi della buona riuscita di questa ostensione, perché sono migliaia le persone che si sono messe a disposizione: ci sono gli alpini, ci sono i membri delle associazioni cattoliche e anche tante singole persone. Sono loro che accolgono i visitatori, li accompagnano lungo l’itinerario e garantiscono quindi un clima di grande serenità e di ordine a questo grande evento. Le persone che seguono il percorso – ed io l’ho già potuto fare assieme ai giornalisti – hanno prima un tratto nei giardini reali, attraverso cui entrano gradualmente nella contemplazione della figura di Cristo, perché ci sono tante riproduzioni artistiche della grande mostra, che è stata allestita a Venaria, su Gesù Cristo, il suo corpo e la sua vita, per entrare in familiarità con la figura di Gesù Cristo. Poi si passa attraverso un lungo corridoio nei sotterranei del Palazzo Reale, che è accompagnato da canti in gregoriano e, quindi, si aiuta la concentrazione spirituale.

E poi si passa alle due sale della prelettura, in cui vengono presentati dei brevi documentari di cinque minuti in alta definizione, che aiutano a leggere tutti i particolari della Sindone, in modo tale che quando poi si passa davanti al telo originale si sa bene quali sono tutti gli elementi essenziali da andare a riconoscere e a vedere. E poi si entra nel Duomo e ci si avvicina sempre in grande silenzio, in grande raccoglimento. Il Duomo è nella penombra e si può passare davanti alla Sindone ostensa, che è in posizione orizzontale. E’ un grande telo e si possono avere alcuni minuti di contemplazione. Naturalmente, tutta la preparazione aiuta molto a vivere in profondità l’esperienza della contemplazione di questa immagine straordinaria della Passione del Signore.

D. – Qual è la particolarità di questa Ostensione?

R. – Il titolo che è stato dato dal cardinale Poletto è “Passio hominis, Passio Christi”. Questa è una bella definizione per la meditazione che dobbiamo svolgere, perché c’è appunto Gesù Cristo che prende in sé tutta la sofferenza dell’umanità. E questa è la potenza straordinaria di questa immagine, che fa entrare in profondità in tutti gli elementi, in tutti gli aspetti della Passione di Gesù Cristo e aiuta a vedere tutti gli aspetti della passione, delle sofferenze dell’uomo, in questa luce cristiana.

D. – Qual è il messaggio della Sindone per noi oggi?

R. – E’ proprio ricordare, tenere presente, la sofferenza di Cristo per noi. Quindi, è una reliquia che ci rende presente le pagine più impressionanti del Vangelo e ci aiuta a rifare questa esperienza spirituale di Cristo, che soffre e muore per noi e ne comprendiamo intimamente il significato.


The Cardinal of Turin Severino Poletto stands in front of the Shroud of Turin on the first day of its exhibition in the Cathedral of Turin April 10, 2010. Pope Benedict XVI will be in Turin to pay homage to the Shroud on May 2. The Shroud was put on display on Saturday for public viewing for the first time in ten years.

Faithful look at the Shroud of Turin on the first day of its exhibition in the Cathedral of Turin April 10, 2010. Pope Benedict XVI will be in Turin to pay homage to the Shroud on May 2. The Shroud was put on display on Saturday for public viewing for the first time in ten years.
TURIN, ITALY - APRIL 10:  A detail of the Holy Shroud is displayed inside the cathedral of Torino on April 10, 2010 in Turin, Italy. The Holy Shroud will be displayed at the Cathedral of Torino from April 10 to May 23 with Pope Benedict XVI in attendance on May 2. The shroud was last on display publicly in the year 2000.





L'Ostensione del 2010 sarà caratterizzata dalla visita del Santo Padre Benedetto XVI, domenica 2 maggio.


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In occasione dei 9 giorni in coincidenza con l'Anniversario della elezione del Pontefice, 19 aprile 2005, e con oggi l'Ostensione della Sindone, vi invitiamo a cominciare una NOVENA PER IL PAPA,
CLICCANDO QUI troverete il materiale utile!

[Modificato da Caterina63 10/04/2010 18:54]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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10/04/2010 23:37
 
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La fede fra ragione e sentimento. Conferenza del card. Ratzinger in occasione dell’ostensione della Sindone, 1998


La fede fra ragione e sentimento

(da J. Ratzinger, Conferenza in occasione dell’ostensione della Sindone, 1998)

In questa conferenza, tenuta a Torino il 12 giugno del 1998, l’allora cardinale Joseph Raztinger, in dialogo ideale con il pensiero di W. Heisenberg, sottolinea come, da una parte, la ragione non possa essere ridotta alla razionalità scienza e, dall’altra, la religione non possa essere considerata come “sentimento”, una mera necessità “soggettiva”. L’uomo e il mondo uscirebbero disintegrati dalla separazione tra ragione e religione e dalla conseguente loro autoriduzione. “Il raggio della ragione deve di nuovo allargarsi”, affermava già in quest’occasione Ratzinger, concludendo che “lo sguardo alla terra non può diventare così esclusivo, da divenire incapaci di ascendere, di assumere una posizione eretta”.

Joseph Ratzinger, Fede fra ragione e sentimento (1998)

1. La crisi della fede nel mondo contemporaneo

Nei suoi dialoghi «sulla fìsica atomica» Werner Heisenberg racconta di un incontro che ebbe luogo nel 1927 a Bruxelles con alcuni giovani fisici, al quale oltre allo stesso Heisenberg partecipavano anche Wolfgang Pauli e Paul Dirac. Si venne a parlare del fatto che Einstein faccia spesso menzione di Dio e che Max Planck sia dell’idea che non esista nessun contrasto tra scienza e religione; entrambe sarebbero – ciò che allora era un concetto abbastanza sorprendente – molto ben conciliabili fra loro. Heisenberg interpretava questa nuova apertura dello scienziato alla religione a partire dalle esperienze della propria casa paterna. Al fondo vi è la concezione che nella scienza e nella religione si tratti di due sfere completamente diverse, senza interferenze reciproche: nella scienza si tratta del vero o del falso; nella religione del buono e del cattivo, di ciò che ha valore o non ha valore. I due ambiti vengono riferiti separatamente all’aspetto oggettivo e a quello soggettivo del mondo. «La scienza è per così dire il modo, con cui noi affrontiamo la dimensione obiettiva della realtà... La fede religiosa è invece l’espressione di una decisione soggettiva, con la quale stabiliamo per noi i valori, secondo i quali ci regoliamo nella vita»[1].
Questa decisione avrebbe naturalmente diversi presupposti nella storia e nella cultura, nell’educazione e nell’ambiente, ma sarebbe – Heisenberg descrive ancora sempre l’immagine del mondo dei suoi genitori e quella di Max Planck – in ultima analisi soggettiva e pertanto non esposta al criterio «vero o falso». Planck si sarebbe in questo modo deciso soggettivamente per il mondo dei valori cristiani; i due ambiti – aspetto oggettivo e soggettivo del mondo – rimanevano però accuratamente distinti. A questo punto Heisenberg aggiunge: «Devo confessare che a me questa separazione è causa di disagio. Dubito che comunità umane possano vivere a lungo con questa netta spaccatura fra scienza e fede»[2].
A questo punto prende la parola Wolfgang Pauli e rafforza il dubbio di Heisenberg, elevandolo addirittura a certezza: «La totale separazione fra scienza e fede è certamente un espediente per un tempo molto limitato. Nell’ambiente culturale occidentale ad esempio in un futuro non troppo lontano potrebbe giungere il momento, in cui le metafore e le immagini della religione finora dominante non avranno più nessuna forza di convinzione neppure per la gente semplice; allora, così temo, anche l’etica finora vigente crollerà in brevissimo tempo ed accadranno cose di un’atrocità, che oggi noi non ci possiamo ancora neppure immaginare» [3].
Nel frattempo il crollo delle antiche certezze religiose che allora, 70 anni fa, si stava solo preannunciando è divenuto ampiamente realtà, ed il timore di un crollo ad esso inevitabilmente connesso dell’etica intera diviene più forte e generale.
Non vorrei qui soffermarmi ulteriormente a descrivere come Heisenberg con i suoi amici tanto nel dialogo del 1927 come in uno analogo del 1952, tenti di aprire una via per uscire da questa schizofrenia della modernità, cerchi a partire da un pensiero scientifico che si interroga sui suoi fondamenti di giungere ad una visione generale ed organica, che divenga punto di riferimento del nostro agire e allo stesso tempo appartenga sia all’ambito soggettivo che oggettivo [4]. Infatti questo è il problema, che il tema di questa conferenza pone.
Cerchiamo pertanto innanzitutto di riassumere e di precisare che cosa è emerso fino ad ora. L’illuminismo aveva perseguito l’ideale della «religione all’interno dei confini della ragion pura». Ma questa religione della ragione pura si è presto sgretolata, e soprattutto non aveva nessuna forza che sostenesse la vita: una religione, che deve diventare la forza portante per tutta la vita, necessita infatti di una certa evidenza. La decadenza delle antiche religioni come la crisi del cristianesimo nell’epoca moderna rivelano questo: quando la religione non può più armonizzarsi con le certezze elementari di una determinata visione del mondo, essa si dissolve.
Ma d’altra parte la religione ha bisogno di un’autorevolezza, che vada al di là di ciò che si può pensare da se stesso, infatti solo così è accettabile l’istanza assoluta, che essa pone agli uomini.
Così dopo la fine dell’illuminismo a partire dalla consapevolezza dell’irrinunciabilità della dimensione religiosa si è andati alla ricerca di un nuovo spazio per la religione, nel quale essa al riparo per così dire dalle continue scoperte della ragione, doveva poter vivere in una costellazione non più raggiungibile, da quella non minacciata. Perciò le si era attribuito il «sentimento» come l’ambito dell’esistenza umana ad essa proprio. È divenuta classica la risposta di Faust alla domanda di Margherita sulla religione: «II sentimento è tutto. Il nome è suono e fumo...». Ma la religione, per quanto sia anche necessaria la sua distinzione dal piano della scienza, non si può ridurre ad un ambito particolare. Essa esiste proprio per questo, per integrare l’uomo nella sua totalità, per unire reciprocamente in modo organico sentimento, ragione e volontà e per dare una risposta alla provocazione della totalità, alla sfida della vita e della morte, della comunità e dell’io, del presente e del futuro. Non deve avere la presunzione di risolvere quei problemi, che hanno le loro proprie leggi interne, ma deve rendere capaci di decisioni ultime, nelle quali è in gioco sempre la totalità dell’uomo e del mondo. E proprio di qui deriva in verità la nostra situazione di difficoltà, dal fatto che oggi dividiamo il mondo in modo settoriale e così in un modo finora mai visto possiamo disporne nel pensiero e nell’azione, ma gli interrogativi non rinviabili circa la verità ed i valori, circa la vita e la morte diventano così sempre più irresolubili.
La crisi dell’epoca presente deriva proprio dal fatto che è venuta meno la mediazione fra l’ambito soggettivo e quello oggettivo, ragione e sentimento si allontanano sempre più l’uno dall’altra e così perdono entrambi di vigore e di vitalità. Infatti la ragione settorialmente specializzata è sì incredibilmente forte e capace di risultati, ma a motivo della standardizzazione di un unico tipo di certezza e di ragionevolezza non permette più uno sguardo che penetri le questioni fondamentali dell’essere umano. Ne segue un’ipertrofia nell’ambito della conoscenza tecnico-pragmatica, alla quale si contrappone un’atrofizzazione nell’ambito delle questioni di fondo e così un disturbo dell’equilibrio generale, che può divenire mortale per l’umanità. Da parte sua per altro la religione oggi non è affatto scomparsa. Esiste anzi da molteplici punti di vista un aumento della richiesta religiosa, che però si sgretola nel particolarismo, si distacca dal suo grande contesto spirituale e, invece di innalzare l’uomo, gli promette un aumento di potere e una soddisfazione di bisogni. L’irrazionale, il superstizioso, il magico viene ricercato; incombe la minaccia di un ritorno a forme anarchico-distruttrici di interazione con potenze e forze occulte. Si potrebbe essere tentati di dire che oggi non vi è nessuna crisi della religione, ma piuttosto una crisi del cristianesimo. Io però non sarei d’accordo. Infatti il semplice diffondersi di fenomeni religiosi o parareligiosi non è ancora una fioritura della religione. Quando si assiste ad un aumento di forme morbose del fenomeno religioso, ciò dimostra sì che la religione non va scomparendo, ma rivela che essa è di fatto in una condizione di se­ria crisi. Anche il fenomeno apparente, secondo cui al posto del cristianesimo ormai allo stremo siano ora in ascesa le religioni asiatiche o l’Islam, inganna. È evidente che in Cina e in Giappone le grandi religioni tradizionali non riescono a fare fronte o solo in modo insufficiente alla pressione delle ideologie moderne. Ma anche la vitalità religiosa dell’India non toglie nulla al rilievo, che anche là non è finora riuscito un felice incontro fra i nuovi problemi e le antiche tradizioni. Quanto il nuovo slancio del mondo islamico sia nutrito da forze autenticamente religiose, resta ugualmente da chiederselo. Sotto molti aspetti – lo vediamo – è in agguato anche qui la minaccia di un’autonomizzazione patologica del sentimento, che rafforza soltanto la minaccia di quelle atrocità, di cui Pauli, Heisenberg ed altri ci hanno parlato.
Non c’è alternativa: ragione e religione devono ritornare insieme, senza dissolversi l’una nell’altra. Non è in questione la tutela degli interessi di antiche corporazioni religiose. È in questione l’uomo, è in questione il mondo. Ed entrambi non sono evidentemente salvabili, se Dio non si rende visibile in un modo convincente.
Nessuno può avere la presunzione di conoscere una soluzione perfetta, per come risolvere questa situazione di difficoltà. Questo non è possibile già per il fatto che in una società libera la verità non può e non deve cercare altri mezzi per affermarsi se non la forza della convinzione, ma la convinzione si forma solo a fatica nella molteplicità delle impressioni e delle istanze che premono sugli uomini. Un tentativo di trovare la via d’uscita deve però essere fatto, anche per ridare plausibilità, attraverso convergenze che si manifestano, a ciò che per lo più si trova molto al di là dell’orizzonte dei nostri interessi.

2. Il Dio di Abramo

Non è mia intenzione riprendere qui il tentativo di Heisenberg di trovare a partire dalla logica propria del pensiero scientifico l’autosuperamento della scienza e l’approdo ad una «visione generale ed organica», per quanto utile e indispensabile tale ricerca sia. Il mio tentativo in questa conferenza tende a mettere in luce, per così dire, l’interiore razionalità del fatto cristiano. Questo si realizzerà nel senso che ci chiederemo che cosa ha propriamente dato al cristianesimo nel crollo delle religioni del mondo antico quella forza di convinzione, per cui esso da una parte ha arrestato l’affondare di quel mondo e allo stesso tempo fu in grado di trasmettere in tal modo le sue risposte alle nuove forze che stavano entrando sulla scena della storia del mondo, i germani e gli slavi, che di qui nonostante molte trasformazioni e crolli è nata una forma di comprensione della realtà che è durata oltre un millennio e mezzo, nel quale antico e nuovo mondo poterono fondersi.
Cercherò quindi di mostrare brevemente l’interiore razionalità del cristianesimo. Ma la religione cristiana non è un sistema, è una storia, un cammino. L’essenza del cristianesimo appare solo nella logica del suo cammino storico. Perciò cercherò di mostrare la logica, che si dischiude nell’evolgersi storico della fede, sperando che così appaia una razionalità profonda, che ha il suo valore anche oggi, proprio oggi. Quel cammino che ebbe il suo inizio con Abramo. Naturalmente non posso e non intendo qui entrare nel groviglio delle molteplici ipotesi circa ciò che negli antichi racconti può essere considerato come storico e ciò che non può esserlo. Qui si tratta solo di chiedersi come vedono quel cammino quei testi stessi che alla fine sono stati decisivi per la storia.
Chi era quest’uomo Abramo, al quale si riferiscono ebrei, cristiani, musulmani? Qui vi è allora da dire che Abramo era un uomo, che aveva la consapevolezza di essere stato interpellato da un Dio e che conformò la sua vita a partire da questa parola. Si potrebbe pensare per qualcosa di simile a Socrate, al quale un «daimonion», una singolare forma di ispirazione, pur non rivelando di fatto niente di positivo, tuttavia sbarrava la strada, se egli voleva abbandonarsi solo alle sue proprie idee o accodarsi all’opinione generale [5]. Quale interesse può avere per noi questo Dio di Abramo? Questo Essere, che parla ad Abramo, non si presenta ancora con la precisa fisionomia monoteistica dell’unico Dio di tutti gli uomini e di tutto il mondo, ma ha però una fisionomia molto specifica. Questo Essere, questa voce non è il Dio di una determinata nazione, di un determinato territorio; non il Dio di un determinato ambito, ad esempio dell’aria o dell’acqua, ecc., che nel contesto religioso di allora erano alcune delle più importanti forme di manifestazione del divino. Egli è il Dio di una persona, e cioè di Abramo. Questa particolarità di non appartenere ad una terra, ad un popolo, ad un ambito vitale, ma di associarsi ad una persona, ha due conseguenze degne di menzione.
La prima conseguenza era che questo Essere, questo Dio può esercitare ovunque il suo potere in favore di colui che gli appartiene, della persona da lui eletta. Il suo potere non è vincolato a determinati limiti geografici o di altro tipo, ma egli può accompagnare, proteggere, guidare quella persona, ovunque egli vuole e ovunque questa persona si rechi. Anche la promessa della terra non lo rende il Dio di un territorio, che poi diverrebbe quello soltanto suo. Essa mostra piuttosto che egli può distribuire terre, come vuole. Possiamo quindi dire: II Dio-di-una-per-sona opera prescindendo dal luogo. A ciò si aggiunge come secondo elemento che egli opera anche transtemporalmente, anzi, la sua forma di parlare e di agire è essenzialmente il futuro. La sua dimensione sembra – a prima vista in ogni caso –principalmente essere il futuro, e meno il presente.
Tutto l’essenziale è dato nella categoria della promessa di ciò che verrà – la benedizione, la terra. Ciò significa che manifestamente egli può disporre del futuro, del tempo. Per la persona interessata ciò comporta un atteggiamento di forma del tutto particolare. Essa deve sempre vivere al di là del presente, una vita verso qualcosa di altro, di più grande. Il presente viene relativizzato. Se infine – questo potrebbe essere un terzo elemento – si indica la proprietà particolare di un Dio, il suo essere altro rispetto agli altri e all’altro con il concetto di «santità», allora diviene visibile che questa sua santità, il suo essere stesso ha qualcosa a che fare con la dignità dell’uomo, con la sua integrità morale, come la storia di Sodoma e Gomorra mostra. In essa viene messa in luce da una parte la provvidenza, la bontà di questo Dio, che a motivo di alcuni buoni è disposto anche a risparmiare i cattivi; ma viene messo in luce anche il no alla distruzione della dignità umana, che si esprime proprio nel giudizio sulle due città.

3. Crisi e allargamento della fede di Israele nell’esilio

Nello sviluppo successivo fino all’alleanza delle dodici tribù, con l’occupazione della terra, la nascita della monarchia, la costruzione del tempio ed una legislazione cultuale ampiamente differenziata la religione di Israele sembra immergersi largamente nel modello religioso del vicino Oriente. Il Dio dei padri, il Dio del Sinai, è ora divenuto il Dio di un popolo, di una terra, di un determinato ordinamento di vita. Che questo non sia tutto, che qualcosa di specifico resti e che in tutti i mutamenti della vita religiosa in Israele la particolarità, la diversità della sua fede in Dio si apra un varco, anzi si ampli ulteriormente, si rivela nel momento dell’esilio. Normalmente un Dio che perde la sua terra, lascia il suo popolo sconfitto e non è stato in grado di difendere il suo santuario, è un Dio detronizzato. Non ha più nulla da dire. Scompare dalla storia. Nell’esilio di Israele sorprendentemente avviene il contrario.
Emerge la grandezza di questo Dio, la sua totale alterità rispetto alle divinità delle altre religioni, la fede di Israele acquista soltanto ora la sua vera grandezza. Questo Dio può permettersi di lasciare ad altri la sua terra, perché non è legato a nessuna terra. Può lasciare che il suo popolo sia vinto, per risvegliarlo proprio così dai suoi falsi sogni religiosi. Non dipende da questo popolo, ma non lo lascia affondare nella sconfitta. Non dipende dal tempio e dal culto ivi celebrato, secondo quella che è la concezione comune: gli uomini nutrono gli dei, e gli dei sostengono il mondo.
No, non ha bisogno di questo culto, che celava sotto un certo aspetto la sua essenza. Così insieme ad una approfondita immagine di Dio si fa luce anche una nuova idea di culto. Certamente già dal tempo di Salomone si era verificata l’equiparazione del Dio personale dei padri con il Dio di tutti, il creatore, che tutte le religioni conoscono, ma generalmente escludono dal culto come Dio non competente per le proprie necessità. Questa identificazione compiutasi in linea di principio, anche se fino allora nella coscienza verosimilmente poco efficace diviene ora la forza della sopravvivenza: Israele non ha un Dio particolare, ma adora semplicemente l’unico Dio esistente. Questo Dio ha parlato ad Abramo ed ha scelto Israele, ma in realtà egli è il Dio di tutti i popoli, il Dio comune, che guida tutta la storia. Ne consegue la purificazione dell’idea di culto. Dio non ha bisogno di nessun sacrificio, egli non deve essere mantenuto dagli uomini, perché tutto gli appartiene. Il vero sacrificio è l’uomo che è divenuto conforme al piano di Dio. 300 anni dopo l’esilio, nella crisi altrettanto grave della soppressione ellenistica del culto del tempio, il libro di Daniele così si esprime: «Ora non abbiamo più né principe né profeta..., né sacrificio, né oblazione... né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia. Potessimo essere accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato» (Dn 3,38s). Con il venir meno di un presente conforme alla potenza e alla bontà di Dio emerge anche nuovamente in modo più forte la dimensione del futuro nella fede di Israele, ovvero diciamo forse meglio: si fa strada la relativizzazione del presente, che può essere correttamente padroneggiata e compresa solo in un orizzonte più ampio, che superi il momento attuale, anzi tutto quanto il mondo.

4. Il cammino verso la religione universale dopo l’esilio

I 500 anni dopo l’esilio fino all’arrivo di Cristo sono caratterizzati soprattutto da due fattori nuovi. Vi è innanzitutto il nascere della cosiddetta letteratura sapienziale e il movimento spirituale che è alla sua base. Accanto alla legge ed ai profeti, dai cui libri lentamente cominciò a formarsi un canone delle Scritture come normativo della religione di Israele, appare un terzo pilastro - appunto la sapienza [6]. Essa viene dapprima influenzata soprattutto dalle tradizioni sapienziali egiziane, ma poi lascia trasparire sempre più anche i contatti con la cultura greca. Qui viene soprattutto approfondita la fede in un solo Dio e radicalizzata la critica degli idoli, che già si manifestava presso i profeti. Il monoteismo viene ulteriormente chiarito e guadagna in forza razionale attraverso il collegamento con il tentativo di una comprensione razionale del mondo. L’elemento di unione fra la concezione di Dio e la spiegazione del mondo viene trovato nel concetto di sapienza. La razionalità, che si manifesta nella struttura del mondo, viene compresa come un riflesso della sapienza creatrice, dalla quale esso deriva. La visione della realtà, che ora si va formando, corrisponde press’a poco alla questione, che formula Heisenberg nei dialoghi sopramenzionati, quando dice: «È dunque completamente insensato pensare dietro alle strutture ordinanti del mondo nel suo insieme una "coscienza", di cui esso sarebbe lo "scopo"?» [7]. Nel dibattito contemporaneo sul rapporto fra natura e spirito, in particolare nell’uomo, viene sollevata la questione della unità della realtà e la questione delle origini. La scienza suppone oggi la priorità della materia come origine di tutto; rimane tuttavia la domanda: il fenomeno spirito è riducibile totalmente alla materia o si deve rilevare una sporgenza inspiegabile? [8] Se la priorità della materia determina oggi il modo di porre la questione, nella riflessione della sapienza biblica e greca si trova la posizione opposta: Si suppone la priorità dello spirito, che lo spirito sia in condizione di suscitare la materia e sia da considerare come il vero punto di partenza della realtà; resta quindi il problema inverso: Esiste eventualmente una sporgenza oscura, che non si lascia più ricondurre allo spirito creatore? La domanda deve essere ammessa se una tale visione ha di per sé meno verosimiglianza della visione moderna formulata in modo radicale da Monod, il quale dice: Tutto il concerto della natura è il risultato di stonature, non suppone nessuna razionalità precedente [9]. La visione dei libri sapienziali vede il mondo come riflesso della razionalità del creatore e permette così anche la connessione di cosmologia e antropologia, di comprensione del mondo e di moralità, perché la sapienza, che edifica la materia ed il mondo, è allo stesso tempo una sapienza morale, che indica le direzioni essenziali dell’esistenza. Tutta quanta la Torah, la legge di vita di Israele, viene ora concepita come autorappresentazione della sapienza, come la sua traduzione in discorso ed in indicazioni umane. Da tutto questo scaturisce una evidente vicinanza con la cultura greca, da una parte con i motivi del platonismo, dall’altra con la connessione stoica di spiegazione divina del mondo e morale.
La questione della sporgenza del non divino, dell’irrazionale nel mondo, che abbiamo prima toccato, assume nella letteratura sapienziale con la questione della teodicea la forma di una lotta drammatica: il grande tema diviene l’esperienza del dolore nel mondo - di un mondo, nel quale il diritto, il bene, la verità perdono continuamente di fronte alla mancanza di scrupoli dei potenti. Questo comporta a partire ora da un punto di vista totalmente altro un approfondimento della morale, che si distacca dal problema del successo e cerca un senso proprio nella sofferenza, nella sconfitta della giustizia. Alla fine appare in Giobbe al di fuori dei confini di Israele la figura del pio esemplare ed allo stesso tempo del sofferente esemplare [10].
All’avvicinamento inferiore al mondo culturale greco, al suo illuminismo ed alla sua filosofia, corrisponde quindi logicamente un secondo passo importante: il trapasso del giudaismo nel mondo greco, che si è compiuto soprattutto in Alessandria come luogo centrale dell’incontro delle culture. L’evento più importante in questo processo fu la traduzione dell’Antico Testamento in greco, il cui blocco fondamentale - i cinque libri di Mosè - era già completato nel terzo secolo avanti Cristo. Fino al primo secolo si formò quindi un canone greco dei libri sacri, che fu assunto dai cristiani come il loro canone dell’Antico Testamento [11]. La denominazione di questa traduzione greca della Bibbia veterotestamentaria come «Septuaginta» (libro dei 70) si fonda sull’antica leggenda, secondo cui la traduzione sarebbe stata l’opera di 70 sapienti. 70 secondo Dt 32,8 era il numero dei popoli del mondo. Così questa leggenda potrebbe significare che con questa traduzione l’Antico Testamento esce da Israele e giunge ai popoli della terra. Ciò fu di fatto l’effetto di questo libro, che nella sua traduzione sotto molti aspetti accentuò ulteriormente il tratto universalistico nella religione d’Israele - non da ultimo nell’immagine di Dio, se ora il nome divino JHWH non appare come tale, ma viene sostituito dalla parola Kyrios - Signore. Così la concezione spirituale di Dio dell’Antico Testamento viene ulteriormente approfondita, ciò che era del tutto conforme all’orientamento interno dello sviluppo sopra accennato.
La fede d’Israele, come si rispecchiava nei suoi libri sacri, ora tradotti in greco, divenne immediatamente elemento affascinante per lo spirito illuminato degli antichi, le cui religioni dopo la critica socratica avevano perduto sempre più la loro credibilità. Nel mondo ellenistico, accanto a correnti di cinismo o puro pragmatismo, era emersa la nostalgia di una religione compatibile con la nuova razionalità che nondimeno superasse le possibilità proprie della ragione. Così da una parte si va alla ricerca delle promesse dei culti misterici, che giungono dall’Oriente, dall’altra la fede giudaica appare come la risposta attesa. Qui, nella fede giudaica presentata nell’Antico Testamento, vi è infatti un collegamento fra Dio ed il mondo, fra razionalità e rivelazione, che rispondeva esattamente ai postulati della ragione ed al più profondo anelito religioso. Qui vi è il monoteismo, che non deriva da speculazione filosofica restando quindi religiosamente privo di efficacia, perché non si possono adorare le proprie ipotesi fìlosofiche. Questo monoteismo proviene da esperienze religiose originarie e conferma ora dall’alto, per così dire, ciò che il pensiero aveva cercato a tentoni. La religione di Israele deve aver avuto per i circoli più eletti della tarda antichità un fascino analogo a quello, che il mondo della Cina ebbe nel tempo dell’illuminismo per l’Europa occidentale, quando si pensava (a torto, come oggi sappiamo) di aver finalmente trovato una società senza rivelazione e misteri, una religione della morale e della ragione pura. Così si era formata in tutto il mondo antico una rete di cosiddetti timorati di Dio, che si appoggiavano alla Sinagoga ed al suo puro culto della Parola, consapevoli nell’appoggiarsi alla fede di Israele di essere in contatto con l’unico Dio. Questa rete di timorati di Dio secondo la fede di Israele divenuta greca fu il presupposto della missione cristiana: il cristianesimo fu quella figura del giudaismo allargatasi all’universale, nella quale era ora pienamente donato quanto l’Antico Testamento non era finora riuscito a dare.

5. Cristianesimo come sintesi di fede e ragione

La fede di Israele rappresentata nella Settanta manifestava la consonanza di Dio e mondo, di ragione e mistero. Dava indicazioni morali, ma nondimeno qualcosa mancava: il Dio universale era pur sempre legato ad un determinato popolo; la morale universale era collegata con forme di vita molto particolari, che non potevano affatto essere vissute al di fuori di Israele; il culto spirituale era pur sempre legato a rituali del tempio, che si potevano interpretare in modo simbolico, ma che in fondo erano stati superati dalla critica profetica e non erano più appropriabili per lo spirito critico.
Un non giudeo poteva sempre solo collocarsi in un cerchio esterno di questa religione. Rimaneva «proselita», perché la piena appartenenza era collegata alla discendenza di sangue da Abramo, ad una comu­nità etnica. Restava anche il dilemma di quanto ora in realtà lo specifico giudai­co era necessario per poter servire questo Dio correttamente ed a chi spettava tracciare i confini fra l’irrinunciabile e ciò che era storicamente accidentale o superato.
Una piena universalità non era possibile, perché non era possibile una piena appartenenza. Solo il cristianesimo ha portato qui il superamento delle frontiere, ha «abbattuto il muro» (Ef 2,14), e questo in un triplice senso: i legami di sangue con il padre della stirpe non sono più necessari, perché l’unione con Gesù opera la piena appartenenza, la vera parentela. Ognuno può ora appartenere totalmente a questo Dio, tutti gli uomini devono essere ammessi e poter diventare il suo popolo. Gli ordinamenti particolari del diritto e della morale non obbligano più; sono divenuti una prefigurazione storica, perché nella persona di Gesù Cristo tutto è stato riassunto e chi lo segue, porta ed adempie in sé tutta l’essenza della legge. L’antico culto è decaduto e superato nell’autodonazione di Gesù a Dio e agli uomini, che ora si manifesta come il vero sacrificio, come il culto spirituale, nel quale Dio e uomo si abbracciano e vengono riconciliati, e per tutto ciò sta come reale ed in ogni tempo presente certezza la Cena del Signore, l’Eucaristia. Così il movimento spirituale, che era riconoscibile nel cammino di Israele, era giunto al suo scopo, la universalità senza limitazioni era ora possibilità pratica. Ragione e mistero si incontravano; proprio l’unificazione del tutto in un’unica persona aveva aperto le porte per tutti: a partire dall’unico Dio tutti gli uomini possono essere fratelli. Ed anche il tema della speranza e del presente assume una nuova forma: il presente va verso il risorto, verso un mondo, nel quale Dio sarà tutto in tutti. Ma proprio a partire di qui anche come presente esso diviene significativo e importante, perché esso ora è già impregnato della vicinanza del risorto e la morte non ha più l’ultima parola.

6. Alla ricerca di una nuova evidenza

Può questa evidenza, che allora colpì in modo così profondo e trasformò il mondo antico, essere nuovamente ripristinata? Oppure essa è irrimediabilmente perduta? Che cosa le è di ostacolo? Vi sono molte cause della sua attuale decadenza, ma direi che la più importante consiste nell’autolimitazione della ragione, che paradossalmente si fonda sui suoi successi: le norme metodologiche, che hanno permesso il suo successo, con la loro generalizzazione sono divenute una prigione. Le scienze della natura, che hanno costruito il nuovo mondo, si fondano su di una base filosofica, che ultimamente è da ricercare presso Platone [12]. Copernico, Galilei, anche Newton erano platonici. Il loro presupposto di fondo era che il mondo è strutturato matematicamente, spiritualmente e che lo si può decifrare e rendere comprensibile e utilizzabile nell’esperimento a partire da questo presupposto. La novità consiste nell’unione di platonismo ed empiria, di idea ed esperimento. L’esperimento si fonda su di una precedente idea interpretativa, che poi nella prova pratica viene esplorata, corretta e dischiusa per ulteriori problemi. Solo questa anticipazione matematica permette poi generalizzazioni, la conoscenza di leggi, che rendono possibile un’adeguata azione. Tutto il pensiero scientifico e tutte le applicazioni tecniche si fondano sul presupposto che il mondo è ordinato secondo leggi spirituali, porta in sé uno spirito, che può essere riprodotto dal nostro spirito. Ma nello stesso tempo la sua percezione è collegata alla verifica tramite l’esperienza. Ogni pensiero, che non tenesse conto di questa connessione, e considerasse resistenza di uno spirito in se stesso o che preesiste al mondo presente, contraddice la disciplina metodica della scienza ed è pertanto ostracizzato come forma di pensiero prescientifica, non scientifica. Il Logos, la sapienza, della quale da una parte i Greci, dall’altra Israele hanno parlato, è ridotta nel mondo materiale e non più rintracciabile al di fuori di esso. All’interno del cammino specifico della scienza della natura questa limitazione è giusta e necessaria. Se però essa viene proclamata come forma insuperabile del pensiero umano, il fondamento stesso della scienza diviene contraddittorio. Infatti essa allo stesso tempo afferma e nega lo spirito. Soprattutto però una ragione così autolimitantesi è una ragione amputata. Se l’uomo non può più interrogarsi ragionevolmente sulle cose essenziali della sua vita, sulla sua origine e sul suo destino, su quello che deve e può fare, sulla vita e sulla morte, ma deve lasciare questi problemi decisivi ad un sentimento separato dalla ragione, allora egli non innalza la ragione, ma le toglie dignità. La disintegrazione dell’uomo, così introdotta, fa insorgere allo stesso tempo la patologia della religione e la patologia della scienza. Che oggi nella separazione della religione dalla responsabilità davanti alla ragione si producano in misura crescente forme patologiche di religione, è manifesto. Ma se si pensa a progetti scientifici spregiativi dell’uomo come la clonazione di uomini, la produzione di feti, cioè di esseri umani allo scopo di utilizzare gli organi per la produzione di prodotti farmaceutici o anche semplicemente per utilizzazioni commerciali o anche se ricordiamo la strumentalizzazione della scienza per la produzione di mezzi di distruzione dell’uomo e del mondo sempre più spaventosi, allora è evidente che esiste anche una scienza che è divenuta patologica: la scienza diviene patologica e pericolosa per la vita, laddove essa si distacca dal contesto dell’ordine morale dell’essere umano e riconosce soltanto ancora autonomamente le sue proprie possibilità come suo unico criterio ammissibile.
Questo vuol dire che il raggio della ragione deve di nuovo allargarsi. Dobbiamo nuovamente uscire dalla prigione che ci si è costruiti e riconoscere nuovamente altre forme di accertamento, nelle quali tutto l’uomo è in gioco. Ciò di cui abbiamo bisogno è qualcosa di analogo a quello che troviamo in Socrate: una disponibilità che attende, che si tiene aperta e guarda al di fuori di se stessi. Questa disponibilità ha a suo tempo unito insieme i due mondi culturali - Atene e Gerusalemme - ed ha reso possibile una nuova ora della storia. Abbiamo bisogno di una nuova disponibilità della ricerca ed anche l’umiltà, che si lascia trovare. Il rigore della disciplina metodologica non può essere solo volontà di risultati, essa deve essere anche volontà di verità, disponibilità per essa. Il rigore metodologico, continuamente necessario, nel sottomettersi a ciò che si va scoprendo e non nell’imporre i propri desideri, può formare una grande scuola dell’essere uomo e preparare uomini capaci di verità. L’umiltà, che si inchina alla scoperta e non la manipola, non può però divenire falsa modestia, che toglie il coraggio della verità. Tanto più essa deve contrapporsi alla ricerca di potere, che vuole soltanto dominare il mondo e non più scoprirne la logica interna propria, che pone limiti alla nostra volontà di dominio. Le catastrofi ecologiche potrebbero qui divenire un avvertimento per vedere dove la scienza non diviene più servizio alla verità, ma distruzione del mondo e dell’uomo. La capacità di mettersi in ascolto di tali avvertimenti, la volontà di lasciarsi purificare dalla verità, è indispensabile. E vorrei aggiungere: la capacità mistica dello spirito umano dovrebbe essere nuovamente rafforzata. La capacità di sapersi ritirare in se stessi, una maggiore apertura interiore, una disciplina, che si sottrae a ciò che è rumoroso ed appariscente, devono nuovamente apparirci come mete cui tendere, che appartengono alle nostre priorità. In Paolo si trova l’ammonizione secondo cui l’uomo interiore deve rafforzarsi (Ef 3,16). Dobbiamo essere onesti: esistono oggi una ipertrofia dell’uomo esteriore ed un preoccupante indebolimento della sua forza interiore.
Per non rimanere troppo astratto, vorrei a conclusione illustrare quanto sono venuto esponendo con una immagine, che è desunta da una esperienza storica. Papa Gregorio Magno (+ 604) racconta nei suoi dialoghi degli ultimi giorni di San Benedetto. Il fondatore dell’ordine benedettino si era coricato per dormire al pia­no superiore di una torre, alla quale conduceva dal basso «una scala diritta». Si era poi alzato prima del tempo della preghiera notturna, per un momento di veglia. «Stava alla finestra e supplicava Dio onnipotente. Mentre guardava fuori nel cuore della notte oscura, vide improvvisamente una luce, che si riversava dall’alto e dissipava tutta l’oscurità della notte... Qualcosa di meraviglioso si verificava in questa visione, come egli stesso più tardi raccontava: tutto quanto il mondo gli fu presentato davanti agli occhi, come raccolto in un unico raggio di sole»[13]. A questo racconto l’interlocutore di Gregorio fa obiezione, con la medesima domanda che si impone anche all’ascoltatore di oggi: «Ciò che tu hai detto, che Benedetto poté vedere avanti agli occhi tutto quanto il mondo raccolto in un unico raggio di sole, io non l’ho ancora mai sperimentato e non me lo posso neanche immaginare. Come infatti potrebbe mai un uomo vedere il mondo come un tutto?». La frase essenziale nella risposta del Papa suona: «Se egli... vide tutto quanto il mondo come unità davanti a sé, ciò non avvenne perché il cielo e la terra si erano ristretti, ma perché l’anima di colui che guardava si era dilatata...».[14]
In questa narrazione tutti i particolari sono significativi: la notte, la torre, la scala, la stanza al piano superiore, lo stare in piedi, la finestra. Tutto questo al di là della descrizione topografica e biografica ha una grande profondità simbolica: quest’uomo attraverso un cammino lungo e faticoso, che ebbe inizio in una grotta presso Subiaco, è salito sulla montagna e finalmente nella torre. La sua vita fu un’ascesa interiore, gradino dopo gradino sulla «scala diritta». Egli è giunto nella torre e più propriamente nella «stanza al piano superiore», che a partire dagli Atti degli Apostoli ha il valore di simbolo del raccoglimento verso l’alto, dell’uscire dal mondo dell’agire e del fare. Sta alla finestra - ha cercato il luogo per guardare fuori e lo ha trovato, ove il muro del mondo è rotto e lo sguardo si apre verso lo spazio aperto. Sta in piedi. Lo stare in piedi è nella tradizione monacale simbolo dell’uomo che si è raddrizzato dal suo ripiegamento, non più incurvato su se stesso può guardare solo per terra, ma ha recuperato la posizione eretta e così lo sguardo libero verso l’alto15. Così egli diventa un veggente. Non il mondo si restringe, ma la sua anima si dilata, perché egli non è più assorbito dal singolo oggetto, dagli alberi, che gli impediscono di vedere la foresta, ma ha acquisito lo sguardo verso la totalità. Ancor meglio: egli può vedere l’insieme, perché guarda dall’alto, ed a questo è giunto, perché si è dilatato interiormente. Sembra qui risuonare l’antica tradizione dell’uomo come microcosmo, che abbraccia il mondo intero. Ma l’essenziale è proprio questo: l’uomo deve imparare ad ascendere, egli deve dilatarsi. Egli deve stare in piedi davanti alla finestra. Egli deve cercare con gli occhi. E allora la luce di Dio può toccarlo, egli la può riconoscere e acquisire così il vero sguardo panoramico. Lo sguardo alla terra non può diventare così esclusivo, da divenire incapaci di ascendere, di assumere una posizione eretta. I grandi uomini, che con paziente ascesa e con sofferta purificazione della loro vita sono divenuti veggenti e quindi maestri di tutti i secoli, interessano anche noi oggi. Ci indicano come anche nella notte si può trovare la luce e come possiamo affrontare le minacce che salgono dall’abisso dell’esistenza umana e andare incontro con speranza al futuro.

Note

1. W. Heisenberg, Der Teil und das Ganze. Gespräche im Umkreis der Atomphysik, Műnchen 1969, p. 117
2. Ibid., p. 117
3. Ibid., p. 118, cf. p. 295
4. Loc. cit. pp. 288ss
5.Il carattere negativo di questa voce viene chiaramente sottolineato ad es. in Apologia 31d «foné tís ghenoméne … aéi apotrépei … prostrépei de oudépote». Cf sulla configurazione di questa voce R. Guardini, Der Tod des Sokrates, Mainz-Paderborn 19875, pp. 87ss.
6. Fondamentale per la comprensione della letteratura sapienziale dell'Antico Testamento è ancora G. von Rad, Weisheit in Israel, Neukirchener Verlag 1970; cf anche L. Bouyer, Cosmos, Paris 1982, pp. 99-128
7. Loc. cit., 290
8. Una buona informazione sull'attuale dibattito du questo tema offre G. Beintrup, Das Leib-Seele-Problem. Eine Einführung, Stuttgart 1996. Cf anche O.B. Linke - M. Kurthen, Parallelität von Gehirn und Seele. Neurowissenschaft und Leib-Seele-Problem, Stuttgart 1998.
9. J. Monod, Zufall und Notwendigkeit. Philosphisce Fragen der modern Biologie (tradotto dal francese. Piper, Munchen 19735), p. 149; cf pp. 141s: «so folgtdaraus mit Notwendigkeit, daß einzig und allein der Zufall, jeglicher Neuerung, jeglicher Schopfung in der belebten Natur zugrunde liegt. Der Reine Zufall, nichts als der Zufall, die absolute, blinde Freiheit als Grundlage des wunderbaren Gebäudes der Evolution - diese zentrale Erkenntnis der modernen Biologie ist heute nicht mehr nur eine unter möglichen oder wenigstens denkbaren Hypothesen; sie ist die einzig vorstellbare, da sie allein sich mit den Beobachtungs - und Erfahrungstatsachen deckt». Cf J. Ratzinger, Im Anfang schuf Gott, Einsiedeln - Freiburg 19962, pp. 53-59.
10. Su Giobbe si veda innanzitutto il grande Commentario, che approfondisce anche i mderni sviluppi filosofici e teologici di questa figura, di G. Ravasi, Giobbe. Traduzione e commento, Borla, Roma 19913.
11. Sul problema del rapporto fra canone ebraico e greco e sull'Antico Testamento dei Cristiani cf Chr.Dohmen, Der Biblische Kanon in der Diskussion, in «Theol. Revue» 91 (1995) 451-460; A. Schenker, Septuaginta und christliche Bibel, ibidem 460-464.
12. Sull’origine platonica della scienza moderna cf N.Schiffers, Fragen der Physik an die Theologie, Düsseldorf 1968; W. Heinsenberg, Das Naturbild der heutigen Physik, Rowohlt, Hamburg 19597. Cf anche Monod, loc. cit. ad es. p. 133, ove egli presenta esplicitamente la moderna biologia come debitrice del platonismo: con le moderne scoperte, così egli dice, le speranze dei platonici più convinti furono più che realizzate. Una certa vicinanza della fisica moderna con le intuizioni di Platone e di Plotino riconosce anche B. D’Espagnat, La physique actuelle et la philosophie, in “Revue des sciences morales e politiques”, 1997, n. 3, pp. 29-45.
13. Gregorio Magno, Dialoghi II 35, 1-3. Utilizzo qui l’edizione latino-tedesca della conferenza degli abati di Salzburg: Gregor D. Gr. Der hl.Benedikt Buch II der Dialoge (St. Ottilien 1995). La mia interpretazione si basa largamente sull’eccellente introduzione, che ivi si trova, in particolare pp. 53-64.
14. II, 35, 5 e 7.
15. Cf l’interpretazione nel volume citato alla nota 16, in particolare pp. 60-63

da: Archivio Teologico Torinese, n. 5 (1999/1), pp. 7-19
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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11/04/2010 12:34
 
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In occasione del pellegrinaggio alla Santa Sindone dei monaci benedettini dell’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux, lunedì 17 maggio 2010, alle ore 10:15, sarà celebrata a Torino una Messa Abbaziale nella forma straordinaria del Rito romano presso la chiesa dei Santi Martiri (Via Garibaldi 25), eretta dai gesuiti nel 1577 in onore dei più antichi patroni di Torino: Avventore, Ottavio e Solutore, appartenenti alla legione tebea e martirizzati nel III secolo.


Celebrerà solennemente il M.R.P. Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate di Le Barroux, accompagnato da oltre venti monaci, che canteranno il proprio della Messa “Sacratissimæ Sindonis Domini nostri Iesu Christi”.


La partecipazione dei fedeli è gradita, come pure la diffusione della notizia.


Fonte
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17/04/2010 01:03
 
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Oggi sono stata a due librerie cattoliche....e mi sono accostata al banchetto che a ragione sponsorizza molto materiale sulla Sindone...

E' incredibile di come i libri che costavano di più fossero anche poveri al loro interno...
nel mentre sfogliavo alcuni libri di edizione a noi nota, ma che non mi soddisfacevano nella sostanza...l'occhio mi è caduto su un editore che non conoscevo... UTET anzi...un signore li accanto, alla mia richiesta di chi fossero, mi accennava che "non mi aspettavo da loro una eccezionale pubblicazione per la Sindone, direi la migliore..."

Incuriosita prendo questo volume di ben 249 pagine e comincio a sfogliarlo...

STUPENDO!!!

Certo, non mi interessava un testo scientifico perchè in vari libretti conosco gli studi fatti sia pro che contro...nè mi serviva un romanzo sulla sua storia, tanto meno la solita storia delle sue roccambolesche vicissitudini storiche....ed ecco già il bel titolo:
LA SINDONE E IL SUO MUSEO!

Si, ora ci siamo davvero, mi dissi, il libro si presenta davvero bene, contiene davvero (per me) delle novità, non si perde in chiacchiere, ti conduce pagina per pagina ai pezzi che raccolti nel museo, PARLANO SOLO A VEDERLI... Occhiolino
Bellissime foto per me davvero inedite...e nella copertina contiene perfino un dischetto....bè, mi son detta....chissà quanto costa!!
solo 24,90....

Stavo pensando di farne dono ai nostri amici atei ed anticattolici.... ma basterà segnalarlo Ghigno

Se mi riesce farò qualche scannerizzazione....davvero un volume interessante...

 Sorriso

Domenica 18 andremo io e mia figlia (con la sua scuola) a vedere la Sindone, coincidenza ha voluto che mio figlio Michele ci andrà lo stesso giorno con la scuola militare, ringrazio il Signore per questa coincidenza che ci vedrà uniti nel SUO Mistero e nella Preghiera....nella visita e con la Preghiera porterò il pensiero di tutti voi....



Fraternamente CaterinaLD

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18/05/2010 19:52
 
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Un nuovo documentario in occasione dell'ostensione del Sacro Lino

La Sindone ai tempi del 3d



di David Rolfe


Ho numerose ragioni per essere grato all'Uomo della Sindone. Ho prodotto il mio primo documentario sull'argomento, The Silent Witness, (titolo italiano:  Il testimone silenzioso) nel 1977. Ateo convinto e consapevole dell'esistenza di numerose reliquie false, avevo deciso di scoprire e mostrare come e da chi era stata contraffatta la Sindone. Non potevo pensare che ci fosse un'altra spiegazione.

In quell'epoca pre-internettiana era possibile che ci fossero speciali gruppi di interesse isolati totalmente ignari dell'esistenza di altri che, altrove, si occupavano dello stesso argomento. Come avrei poi scoperto, c'erano molti gruppi e singoli individui interessati a diversi aspetti degli studi sulla Sindone. I miei viaggi di ricerca per il documentario hanno contribuito a metterli in contatto fra loro e, nel corso dell'operazione, le varie prove hanno cominciato a combaciare perfettamente.

Per esempio, lo storico Ian Wilson, utilizzando la sua conoscenza delle raffigurazioni artistiche di Cristo, ha formulato idee sul collegamento con il Mandylion di Edessa. Max Frei, botanico e perito giudiziario, ha completato la sua identificazione dei tipi di polline presenti sulla Sindone, che appartenevano anche ad alcune piante della regione di Edessa. Il mio documentario ha mostrato, per la prima volta, le prove raccolte da quei gruppi e, lungi dal rivelare la contraffazione, è divenuto un argomento affascinante per la probabile autenticità della Sindone. Il documentario ha vinto il British Academy Award e molti altri premi internazionali. Avevo ventisei anni e quel lavoro fece decollare la mia carriera. Questo è un buon motivo per essere grato all'Uomo della Sindone.

Scoprire e raccontare questa storia mi ha portato in Medio Oriente, in Anatolia, a Istanbul e in varie città europee e statunitensi. Mi sono fatto numerosi amici (e alcuni nemici) e ho raccolto storie da narrare. Il mio breve libro sulla produzione del documentario è divenuto un best seller nel Regno Unito. Ecco, dunque, altri motivi di gratitudine.
La Sindone è entrata a far parte del corso di studi in molte scuole. Il documentario è divenuto un prerequisito per studi religiosi nel Regno Unito e altrove. Quale miglior modo per affascinare i bambini del grande giallo della Sindone? Storia, fisica, religione, chimica, biologia, anatomia, arte, tessitura e molte altre materie entrano in gioco e, al centro della storia, ci sono due domande valide. La persona impressa sul tessuto chi potrebbe essere se non il fondatore del Cristianesimo? E il processo che ha prodotto l'immagine potrebbe essere forse niente di meno che una funzione dell'evento che ha cambiato il mondo, la Resurrezione?

È stato "un dono dal cielo" per gli insegnanti.
Noterete da come mi esprimo che nel corso della produzione sono divenuto credente e cristiano. È difficile studiare la Sindone per tanto tempo senza diventarlo. Questo non riguarda tanto aspetti oggettivi, sebbene siano piuttosto impressionanti, quanto soggettivi. La sua sottile immagine monocromatica è un'opera di genio sublime nel comunicare l'essenza del momento storico in cui è nato il Cristianesimo, attraverso le azioni di Gesù di Nazaret. Se un giorno, in un angolo della Sindone si scoprissero le iniziali del contraffattore, nulla cambierebbe nella mia fede. Questo è il motivo più importante per cui sono grato all'Uomo della Sindone. (Dovrei aggiungere anche che nella Chiesa ho conosciuto mia moglie!).

Nel 2008 ho prodotto un nuovo documentario per la Bbc e per la Rai sulla tensione attuale fra i risultati del test del c14, risalente a vent'anni fa, e i nuovi studi sulla Sindone. A Torino mi è stato permesso di avere un accesso privilegiato alla Sindone per filmarla in alta definizione per la prima volta. Poco dopo mi è stato chiesto di girare il documentario ufficiale per commemorare l'esposizione attuale:  l'ho intitolato Shroud.

La rivoluzione digitale ha reso possibile a un regista concepire una serie di immagini e sapere che la tecnologia, in mani esperte, può renderle reali. La Sindone è un soggetto unico e adatto a essere ripresa in 3d perché contiene già in se elementi tridimensionali. Il nuovo documentario si pone la domanda legittima:  è questa l'epoca per la quale è nata la Sindone?
Il mio prossimo obiettivo sarà trovare un modo per portare la storia della Sindone a un pubblico più ampio in tutto il mondo.


(©L'Osservatore Romano - 19 maggio 2010)
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30/06/2010 21:05
 
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Il telo si trovava a Vercelli durante l'invasione francese e corse il rischio di essere trafugato

Il canonico
che si portò la Sindone a casa


In occasione della mostra "La Sindone salvata a Vercelli", allestita presso il Museo del Tesoro del duomo in concomitanza con l'ostensione della Sindone nella Cattedrale di Torino, le Edizioni Saviolo hanno proposto la ristampa anastatica di un estratto dagli atti del primo Convegno regionale del centro internazionale di sindonologia, svoltosi a Vercelli il 9 aprile del 1960. Ne pubblichiamo un breve stralcio.

di Giuseppe Ferraris


Se nelle tragiche giornate del 18-2o novembre 1553, qui in Vercelli, il canonico Giovanni Antonio Costa non avesse sottratto alle avide mire degli invasori francesi la Santa Sindone, Torino probabilmente non avrebbe oggi l'alto privilegio di custodire il più impressionante documento della Passione di Cristo.

Non è facile seguire da principio l'iter del mondo lenzuolo mortuario, chiamato in greco "Sindon".
Il Sacro Lino pervenne ai duchi di Savoia nel 1453 per dono di Margherita di Charny. Venne deposto e rimase nella cappella del castello ducale di Chambery fino al critico momento storico in cui nella storia della Sindone entra Vercelli. Intanto la pietà religiosa delle popolazioni sabaude verso l'insigne documento della Passione, si accentuarono ancor di più dopo che il Santo Sudario, com'era allora chiamato, sfuggì quasi per prodigio al violento incendio del 4 dicembre 1432.

Lo riassume questo memorabile fatto oltre al barone Filiberto Pingon anche Cambiano nel suo Historico discorso riferendo il caso di Vercelli, di cui diremo, quasi per dar risalto con questo accostamento voluto e pericolo estremo, cui andò incontro la Sindone in ambedue le circostanze, e l'intervento provvidenziale di Dio nei due eventi, che segnano momenti decisivi nelle complicate vicende di questa testimonianza figurata del dramma del Calvario.
La contesa tra Francesco i di Francia e l'imperatore Carlo v per il ducato di Milano coinvolse gli Stati sabaudi che per quasi 40 anni conobbero solo guerre, vessazioni, di soldati, miserie senza fine. In vista della terza ripresa delle ostilità l'incalzare degli eventi costrinse Carlo iii ad abbandonare alle armi francesi la Savoia. Già fin dal 1535 nel mese di luglio o di agosto forse anche verso la fine di giugno per precauzione la Sindone era stata trasferita a Torino attraverso il colle di Arnas per la valle di Ala di Stura.

L'11 febbraio dell'anno seguente l'esercito francese agli ordini dell'ammiraglio Brion invadeva la Savoia. In breve tempo la fiumana d'oltralpe dilagava incontrastata; il 29 marzo per la valle di Susa sboccava nella pianura. Due giorni prima il duca aveva abbandonato Torino, diretto alla volta di Vercelli, dove arrivò il 30. Con lui certamente la Sacra Sindone. Non doveva però ancora restare in questa piazzaforte sabauda di confine:  la rapida avanzata dell'armata francese incombeva come una grave minaccia anche su di essa.
La insigne reliquia perciò fu certamente inviata colla famiglia ducale a Milano; di là con essa il sacro pegno passò a Nizza. In quel lontano lembo di terra sabauda il Sacro Lenzuolo rimase circa sette anni, gelosamente custodito nel castello.

E fu ventura che prevalesse il consiglio contrario alla cessione:  nell'agosto del 1543 allorché Nizza fu occupata dai francesi e dai turchi dell'ammiraglio Kaireddin Barbarossa, uniti dalla ragion politica in un'orribile alleanza, sulla roccaforte continuò a sventolare il bianco crociato vessillo dei Savoia. Così quell'estremo baluardo creò la premessa per una più facile riconquista della città da parte delle forze congiunte del duca e del marchese del Vasto.
La Sacra Sindone, però, nel difficile frangente non doveva già più trovarsi nel castello di Nizza. Molto probabilmente da pochi mesi era stata traslocata colla corte ducale a Vercelli.
Carlo iii dopo aver peregrinato per circa tre anni or qua or là, spesso al seguito dell'imperatore per perorare la causa dei suoi martoriati Stati, ritorna a Vercelli e vi stabilisce la sua residenza nel 1543; poco dopo anche il principe Emanuele Filiberto, pare, dal 14 giugno 1543. D'allora la Sindone venne di certo deposta in Duomo all'altare della vecchia sacrestia, dove sembra fossero custodite le reliquie della Cattedrale.

Nonostante l'ubicazione appartata della sacrestia-cappella, sita a fianco del coro, e fors'anche un certo riserbo che veniva mantenuto in tempi sì tristi circa la preziosa reliquia, il sacro deposito andò assumendo una tale estimazione nell'opinione pubblica che lo stampatore Giovanni Maria Pellipari per L'operetta spagnuola di Francesco Lopez, stampata nel 1549, ne faceva menzione nel colophon:  Impressum Vercellis apud sanctum Christi sudarium.
La morte del Duca e gli avvenimenti che la seguirono sembrò dovessero segnare lo sfacelo della monarchia sul piano politico e morale.

Il comandante dell'esercito francese, il maresciallo Carlo Cossè, conte di Brissac, non si lasciò sfuggire l'occasione, che gli si presentava propizia, di effettuare un colpo di mano sulla capitale provvisoria del ducato. Mediante il tradimento, l'arma segreta di allora, la sorpresa ben concertata riuscì. All'alba del 18 novembre 1553, dopo una faticosa marcia di avvicinamento sotto la pioggia insistente, attraverso uno dei portelli verso il Cervo l'avanguardia penetrò dentro le mura. E ben tosto dilagarono nella città duemila soldati, francesi, tedeschi, svizzeri e italiani militanti sotto le bandiere gigliate di Francia. Fatto prigioniero il Challant, catturato il capitano Cristoforo Duc maggiordomo del Duca, sorpresi i difensori, parve fosse giunta la fine.
Ma il prode colonnello Isola, sprezzando il pericolo, affrontò il nemico con un manipolo dei suoi:  7 armati di picche contro 6o archibugieri. Cadde Luchino di Bagnolo; cadde il valoroso Chatelard crivellato da ben 17 ferite durante la ritirata; però il colonnello col presidente del Senato Cassiano Dal Pozzo e qualche altro poté riparare nella cittadella che fece mettere in stato di difesa, valendosi dell'opera del capitano ingegnere Giuseppe Caresana.

Organizzato quell'estremo propugnacolo, nella notte stessa l'Isola si portava a Casale per sollecitare soccorsi da Don Ferrante Gonzaga.

Frattanto nella città, in cui era sopraggiunto colla sua truppa il Brissac, era cominciato il saccheggio. Né venne risparmiato il Duomo dov'era custodita la Sacra Sindone. A questa come a preda agognata mirarono particolarmente i saccheggiatori.

Ma cediamo a questo punto la parola al canonico Giovanni Battista Modena, al quale si rifanno posteriormente tutti gli storici locali per l'episodio.

Così lo descrive nella sua Storia manoscritta (in corsivo le aggiunte dell'ultima redazione): 

"Sentendo detta morte li Franzesi che erano in Torino et a Santhià con secreta intelligenza di alcuni traditori alli 20 novembre vennero a Vercelli, e nell'alba del giorno tolsero la città, ma non poterono pigliar la cittadella; anzi perché aueano caminato tutta la notte, che piovea, stracchi, bagnati e gelati non potero far male di rilievo per la città, entrarono però nella Cattedrale per saccheggiare, diceano, le robbe e le ricchezze del Duca, che si credeano fossero nascoste in chiesa o che aueano sue armi, pigliarono un corno d'alicorno che era della Duchessa (e) voleano pigliar il SS.mo Sudario; ma Antonio Costa Savojardo canonico, nel cui canonicato son io coadjutore con futura successione, parlando in francese, mentre gli mostrava, dove era il corno, e le paramenta, sotto l'almuzio pigliò la cas(s)etta del SS.mo Sudario e se la portò a casa, dove v'abito, et avendo invitato a pranzo, à supper, alla francese, condusse alcuni principali a casa sua, dove carezzandoli salvò e la casa e 'l SS.mo Sudario, che perciò fu dal Duca Emanuele Filiberto favorito e confermato Tesoriere suo come lo era di suo Padre. Il giorno seguente che pigliarono Vercelli, sentendo i Cittadini che l'esercito imperiale veniva da Milano sotto la condotta del Duca d'Alba, con intenzion di rovinar la Città e i cittadini, perché credeva che la stessa città si fosse data, tolto animo i cittadini li scacciarono e restarono liberati, che ricevendo questa liberazione per grazia singolare fecero voto di festeggiare quel giorno che anche era la festa di S. Teonesto martire di Vercelli uno delli tutelari".


Giova raccogliere da un documento inedito la deposizione giurata di un testimone oculare. Si chiamava costui Giovannino Morra; di professione cestaio, oriundo vercellese ma residente in Torino a motivo del suo commercio, in seguito a esposto del consigliere ducale Giovanni Francesco Ranzo, venne invitato a deporre, previo giuramento, davanti all'arciprete Lelio Vico, vicario generale di Torino, circa quanto gli era noto dei fatti accaduti in Vercelli, allorquando prodigiosamente la Sacra Sindone si era salvata dalle mani francesi nella Cattedrale di Sant'Eusebio. L'atto sottosegnato personalmente, oltre che dal notaio Costantini, dal vicario generale sunnominato porta la data del 27 aprile 161o.

Affermava, adunque, il teste:  "Che essendo esso deponente di età di anni tredici in circa nel secondo giorno, che ultimamente fù presa la Città di Vercelli da francesi, et circa l'hora di terza di esso giorno, hauendo egli inteso, che fosse stato amazzato da francesi un Spagnuolo, chiamato Boracchio, il quale staua puoco discosto dalla casa de SS.ri Pettenati, s'inuiò a quella uolta, come figliuolo curioso per intendere se ciò fosse uero, et iui gionto intese, che era stato' solamente ferito, et fermandosi lui alquanto, uide uenir un Ragazzone francese, qual andaua gridando all'arma, libertà, uiua Francia, dietro al quale seguiva il fu Gio. Batta Bozzo con alcuni compagni, quali ueneuano dalla porta di santo Andrea, alla quale per auanti faceuano la guardia et allora si erano partiti, perché li francesi l'haueano presa; et senti et uide, che detto Gio. Batta disse al detto Ragazzone, ti uoglio ben dar io di un uiua Francia, et tutto a un tempo li diede d'una picca nella schena, et lo passò da banda a banda in modo, che la ponta della picca li passaua fuori del uentre un bon pezzo, et detto Ragazzone si diede à correre uerso la piazza per la contrada detta dil barbacane, tirando dietro la picca nel uentre.

Il che uisto esso deponente s'inuiò alla uolta della Chiesa di santo Eusebio, et entrando in essa chiesa; uide sei che li pareuano francesi andar alla uolta della sacrestia, che altre uolte era dalla banda sinistra del Choro andando in Chiesa, et nell'altare della qual sacrestia si diceua esserui il Santiss.o Sudario di N. S. Giesù Xpo del qual altare ni teneua la chiaue un Messer Claudio Sauoiardo, che era prette, o almeno andaua uestito da prette, et seguitando come si fa' da figliuoli detti sei francesi nella detta sacrestia, uide che andorono di longo alla uolta del detto altare, ma che mai alcuno di loro se gli puotè approssimare; et pareua che fossero rabbutati in dietro; et sentì, che uno di loro disse in lingua piemontese, andiamo, perché non siamo degni di toccar questa santa reliquia, et così tutti si partirono".


(©L'Osservatore Romano - 30 giugno-1 luglio 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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30/03/2012 18:55
 
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[SM=g1740720] da meditare........

Este Cristo es el resultado del trabajo del grupo de científicos pluridisciplinar de investigación de la Síndone.
Es el único Cristo sindónico del mundo y refleja hasta el mínimo detalle los politraumatismos del cadáver reflejado en la Sábana Santa de Turín.

ÚNICO EN EL MUNDO
La ostensión de Turín relanza la fama del Cristo sindónico de Córdoba

Los detalles de la Sábana Santa, convertidos en talla escultórica. No hay otro igual y tiene todo el aval de la comunidad científica que colaboró con Juan Manuel Miñarro en su confección con tanto rigor como devoción.

Más información en el siguiente enlace: moralyluces.wordpress.com/2010/04/17/relanza-la-fama-del-cristo-s...

Fotografías Fotos: ©José Luis Risoto Rojas
Desconozco el autor de la presentación en diapositivas.

Música John Denver "Flagelation"

es.gloria.tv/?media=271443





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