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«Missa solemnis» e il genio musicale di Beethoven

Ultimo Aggiornamento: 27/10/2009 18:17
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«La mia opera più riuscita»



Alla ricerca di aiuti economici per pubblicare la partitura della "Missa solemnis", l'8 aprile 1823 Beethoven scrive al primate d'Ungheria, Sándor Rudnay. Ma solo nel 1825 l'opera sarà stampata.



Vostra Eminenza, il sottoscritto ha ultimato un'opera che ritiene essere il più riuscito dei frutti del suo spirito. È una grande Messa solenne a 4 voci, con cori e grande orchestra, eseguibile anche come Oratorio. Desideroso di presentare con il più profondo rispetto a Vostra Eminenza una copia della partitura di tale Messa, il compositore supplica Vostra Eminenza di volergliene accordare l'alto permesso. Dato che la copiatura della partitura comporta notevoli spese, il sottoscritto si prende la libertà di far notare a Vostra Eminenza che l'onorario per questa opera ammonta a soli 50 ducati e si onora di poter contare Vostra Eminenza tra i suoi altissimi sottoscrittori.
Con sentimenti di profonda venerazione, di Vostra Eminenza il più rispettoso dei servitori.

Ludwig van Beethoven



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e ancora:

Il sordo cantava e gridava



Il "Doctor Faustus ", scritto fra il 1943 e il 1947, narra le vicende del musicista Adrian Leverkühn che stringe un patto col demonio per acuire le proprie capacità creative. L'episodio qui riprodotto, nella  traduzione  di  Ervino  Pocar,  fa riferimento  alla genesi della "Missa solemnis".

di Thomas Mann

Kretzschmar ci raccontò un aneddoto raccapricciante che ci diede un'idea paurosa e incancellabile della personalità del tormentato creatore. Fu nel 1819, al colmo dell'estate, quando Beethoven nel suo ritiro di Mödling lavorava alla Messa, disperato che tutti i tempi riuscissero più lunghi del previsto cosicché sarebbe stato impossibile finirla entro il termine stabilito, cioè per il giorno di marzo dell'anno successivo in cui l'arciduca Rodolfo doveva essere consacrato arcivescovo di Olmütz - fu allora che, un pomeriggio, due amici e seguaci andarono dal maestro e, appena entrati in casa, trovarono gravissime novità.

Quella stessa mattina le sue domestiche se n'erano andate perché la notte precedente verso l'una c'era stata una scena furiosa che aveva fatto balzare dal sonno tutta la casa. Fino a tarda notte il padrone aveva lavorato al Credo, al Credo con la fuga, e non aveva voluto saperne della cena pronta sul focolare presso il quale le fantesche, in vana attesa e sopraffatte dalla natura, si erano finalmente appisolate.
Quando fra le dodici e la una andò a chieder da mangiare e trovò le domestiche addormentate e i cibi risecchiti e carbonizzati, il maestro fu preso da una collera violenta che sfogò senza riguardi per l'ora notturna, tanto più ch'egli stesso non udiva il proprio strepito.

- Non potete vegliare un'ora con me? - andava ripetendo con voce tonante. Ma le ore erano state cinque, sei, e sul far dell'alba le povere ragazze mortificate avevano preso il largo abbandonando a se stesso quel padrone bisbetico e sgarbato; e così egli era rimasto anche senza colazione e non aveva mangiato nulla dal mezzogiorno precedente. In compenso, lavorava nella sua camera al Credo, al Credo con la fuga - e attraverso la porta chiusa i discepoli udivano come lavorava. Il sordo cantava, gridava, pestava su quel Credo - ed era una cosa tanto commovente e terribile che quei due si sentirono gelare il sangue nelle vene. Ma nel momento in cui intimoriti stavano per allontanarsi, la porta si spalancò all'improvviso e Beethoven comparve sulla soglia - in quale atteggiamento? Nel più spaventoso! Con gli abiti negletti, i lineamenti così stralunati da incutere terrore, gli occhi penetranti, folli, assenti, li fissò dando l'impressione di essere uscito da una lotta per la vita e per la morte con tutti gli spiriti avversi al contrappunto. Sulle prime balbettò frasi sconclusionate, poi cominciò a lagnarsi e a imprecare contro quell'andazzo di casa sua, perché tutti scappavano e lo lasciavano patire la fame. Quelli tentarono di rabbonirlo, uno di loro lo aiutò a vestirsi, l'altro corse alla trattoria per far preparare un pasto ristoratore (...) La Messa fu compiuta solo tre anni dopo.

Noi non la conoscevamo, ne sentivamo parlare per la prima volta. Ma chi può negare che possa riuscire istruttivo anche soltanto sentir parlare di grandezze sconosciute? Certo, molto dipende dal modo in cui se ne parla. Ritornando a casa dopo quella conferenza avevamo l'impressione di aver udito la Messa, e a questa illusione contribuiva non poco la visione impressa nella nostra mente da Kretzsch- mar, del maestro affamato, sulla soglia di casa, dopo una notte di veglia.




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Il capolavoro secondo Benedetto XVI




Anche Beethoven, un uomo combattuto e sofferente, in un'epoca di cambiamento sentì la profonda necessità, dopo la Messa in do che esplorava tutte le possibilità della liturgia, di creare una grande opera da messa con cui esprimere tutto il suo animo e il suo conflitto con Dio, e questo senza lasciarsi limitare da considerazioni riguardo alla realizzazione pratica dell'opera.

La Missa solemnis non è più propriamente musica liturgica. Il soggetto, con la sua passionalità e grandezza, testimone di un'epoca di transizione, prende una posizione di primo piano. Anche la fede della Chiesa non è più data per scontata. Le preghiere ora esprimono la lotta con Dio, la sofferenza per Dio e la sofferenza interiore e sono come i gradini di una scala alla quale l'umanità si aggrappa, tentando di afferrare Dio, di andargli incontro, e di rinnovare la gioia in Dio.

In questo senso, la Missa solemnis è costantemente una sconvolgente testimonianza di una fede sempre alla ricerca, che si tiene ben salda al Signore e che, nei secoli, lo riscopre attraverso la preghiera. La Missa solemnis, unica nella sua grandezza, appartiene al mondo della fede cristiana. È preghiera nel senso più profondo della parola. Ci fa diventare oranti e ci conduce a Dio.

(Dal videomessaggio per la "Missa Solemnis" di Beethoven eseguita il 29 luglio 2005 nel duomo di Colonia per la XX Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia)





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Esecutori capaci di sforzi straordinari



di Enrico di San Martino
e Valperga



Importantissimo avvenimento fu [il 13 aprile 1924] l'esecuzione della Messa di Beethoven che il maestro Molinari concertò e diresse con mirabile fervore e straordinario successo.

L'Accademia fu assai fiera di essere riuscita a presentare una eccellente esecuzione dell'imponente opera con poco più di una trentina di prove. Tale fierezza deriva dal paragone con gli altri centri musicali importanti come Vienna, Berlino, Lipsia, Parigi, Monaco, ove la preparazione della Messa in genere importò più di 150 prove, arrivando in alcuni casi ad oltrepassare anche le 200. Certo le masse italiane sono differenti dalle altre. Sono assai più rapide nella comprensione e nel raggiungimento del massimo sforzo.

È importantissimo che il direttore conosca le tendenze fisiche ed intellettuali delle masse. Per far bene in Italia occorre che il direttore arrivi alla preparazione completa con la massima rapidità possibile. Ed ecco dove la vera genialità direttoriale deve apparire. Si tratta difatti non di mettere insieme un lavoro a tutta velocità, ma di ottenerne l'esecuzione perfetta senza stancare e scoraggiare le masse con un numero troppo grande di prove. Le masse nostre sono capaci di sforzi straordinari, ma se le si annoia, le si tormenta con ripetizioni e ripetizioni di dettagli, si stancano, di disamorano, si disinteressano, mentre nei Paesi tedeschi ed anglosassoni esse sono assai più lente, ma anche più pazienti; ed allora il direttore ha lo svantaggio di non poter procedere alla svelta fin da principio, ma il vantaggio di poter continuare un tenace lavoro di fusione e di perfezionamento, ciò che spiega come noi dobbiamo riconoscere che le masse di quei Paesi, individualmente certo inferiori alle nostre, raggiungono spesso una migliore esecuzione. A noi occorre una direzione straordinariamente abile ed intelligente che sappia costantemente approfittare tanto delle nostre qualità quanto dei nostri difetti.

("I ricordi del Presidente. I concerti dal 1895 al 1933 ", parte i, Roma, Società tipografica, A. Manunzio 1933)



Osservatore Romano 28.10.2009



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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Una straordinaria esecuzione della «Missa solemnis» di Beethoven
ha aperto la stagione sinfonica dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia

E il suono salì fino alla cupola


di Wolfgang Sawallisch

Uno degli avvenimenti più spettacolari della mia attività in Italia porta la data del 23 maggio 1970:  l'esecuzione della Missa solemnis nella basilica di San Pietro alla presenza del Papa, Paolo VI; con Ingrid Bjoner, Christa Ludwig, Placido Domingo, Kurt Moll e la regia di Franco Zeffirelli.

In occasione del bicentenario della nascita di Beethoven e dell'anno beethoveniano, che coincideva con il venticinquesimo giubileo della consacrazione a sacerdote di Papa Paolo VI, gli organizzatori erano riusciti a far cadere il divieto che impediva di eseguire in San Pietro musica fuori dell'ambito liturgico; cosa che non era mai accaduta fino ad allora. Era stato il Papa stesso a dare l'assenso. L'Orchestra della Rai, il Coro della Radio Bavarese e i solisti furono collocati davanti all'altare del Bernini, direttamente sotto la cupola. Zeffirelli curò la regia televisiva di questo eccezionale concerto, che fu trasmesso in tutto il mondo e divenne così un documento.

Era una di quelle situazioni in cui non è facile mantenere la calma. L'eccezionalità del luogo, la grandiosità di quella architettura e la consapevolezza che la prova di acustica sarebbe stata un disastro (cosa che ci era chiara già prima della prova generale) costituivano una vera e propria sfida. Finalmente ci trovammo nella enorme basilica completamente vuota, al centro del transetto, davanti all'altare del Bernini. Con che cosa incominciare? Pensai di non attaccare con il Kyrie, bensì subito con il Gloria. Fu un'esperienza indimenticabile:  mentre la musica si slanciava possentemente verso la cupola mi resi improvvisamente conto che quelle note risuonavano per la prima volta in quella basilica.
Che coraggio far musica qui! Si poteva quasi vedere quella piena sonora nella tonalità di re maggiore salire fino alla cupola e fermarsi lì, come se non volesse più scendere:  dodici secondi di eco! Da un lato eravamo soggiogati da quella musica che sembrava ascendere in cielo a gloria di Dio, dall'altro depressi.

Come avremmo potuto far ridiscendere il suono da lassù? Decisi di staccare tempi un poco più lenti e più distesi e di aspettare qualche secondo prima di passare da un tempo all'altro:  ciò non sarebbe stato possibile in una normale sala da concerto senza rompere la continuità. Qui invece occorrevano uno o due secondi affinché l'eco si smorzasse e si potesse poi introdurre una nuova armonia. Anche i solisti ebbero i loro problemi:  era già un fenomeno insolito cantare in uno spazio così gigantesco e sentire la voce che andava e veniva. Quando la basilica si riempì di più di ottomila persone l'eco si ridusse da dodici a otto secondi.

Questo concerto fu uno degli eventi musicali più emozionanti della mia vita.  Mi  sembrava  che tutti i dubbi che Beethoven  aveva  formulato  nel Credo, nel Sanctus e nell'Agnus Dei della  sua  Missa  solemnis  scomparissero al cospetto  di  quello  spazio  e  di quella atmosfera. Tutto risultava ora chiaro.

Avevamo riflettuto a lungo su quale lavoro fosse adatto per quella esecuzione in San Pietro. Che cosa avrebbe resistito? Una messa di Mozart, per quanto bella, sarebbe stata annientata da Michelangelo. Una messa di Bruckner in gloria di Dio poteva anche andar bene per il duomo di Linz, ma non per questa basilica. Ci voleva un'opera della grandezza di Michelangelo. E scegliemmo Beethoven. Beethoven e Michelangelo, due giganti, due geni smisurati che potevano parlarsi e fronteggiarsi  senza  annullarsi  a  vicenda.

Non solo per questi motivi quell'incontro con la Missa solemnis fu, per me musicista, decisivo. A lungo mi era rimasta oscura, impenetrabile come un libro con sette sigilli. Facevo fatica a comprenderla. Non per nulla fra i grandi lavori di Beethoven è stato l'ultimo che ho diretto. Oggi nutro lo stesso sentimento, la stessa vertigine di fronte alla Messa in si minore di Bach, un'opera per me incommensurabile, unica, che non ho ancora mai diretto semplicemente perché non oso accostarmici.

Mi ricordo di aver parlato una volta del mio impaccio di fronte alla Missa solemnis con Walter Legge, marito di Elisabeth Schwarzkopf e direttore musicale della Emi:  fu durante la mia prima importante incisione discografica a Londra. "Ti posso capire - commentò Legge - la Missa solemnis è un'opera che non si sa mai come prendere (...) Ma ho un'idea:  Otto Klemperer la esegue ad Amsterdam, Elisabeth canta la parte del soprano:  perché non fai un salto da Aquisgrana ad Amsterdam e non vieni a sentirla diretta da Klemperer con l'orchestra del Concertgebouw? Forse le idee ti si chiariranno!".

Mia moglie ed io ci recammo ad Amsterdam. Ascoltammo un'esecuzione stupenda. Dopo il concerto Walter Legge mi presentò a Klemperer.
"Maestro Klemperer, c'è qui un giovane direttore che viene da Aquisgrana, Wolfgang Sawallisch!".
Klemperer si alzò, un gigante di oltre un metro e novanta (...) Fisicamente, ma anche musicalmente, mi sentivo un nano davanti a lui. Mi salutò con molta cordialità, mentre Legge gli spiegava il motivo della mia presenza.
"Il signor Sawallisch non ha ancora mai diretto la Missa solemnis ed è venuto apposta per il concerto".
"E allora?", domandò Klemperer.
"Sento una grande soggezione di fronte a quest'opera. Il suo concerto è stato emozionante, ma neppure oggi ho scoperto la chiave della Missa solemnis. Posso intuire che cosa ci stia dietro, ma forse sono ancora troppo giovane per capire quest'opera fino in fondo".
"Non sa quanto tempo mi ci è voluto per avvicinarmi alla Missa solemnis. Lei dice di non aver trovato ancora la chiave:  nemmeno io ce l'ho!".

Fu molto consolante constatare con quale naturalezza pronunciasse queste parole:  quell'umiltà e quella deferenza al cospetto di un'opera così grande accendevano un bagliore di speranza anche in un direttore giovane come me. Perfino Furtwängler, uno dei massimi interpreti beethoveniani, dirigeva assai di rado la Missa solemnis. Io ho continuato a studiare sempre questa partitura e l'ho diretta per la prima volta molti anni più tardi:  in Giappone, dieci giorni prima del concerto in San Pietro.

Forse l'esperienza romana è rimasta indelebile nella mia memoria perché quella sera, in quell'edificio grandioso, ho intuito che cosa possano significare musica, tempo e spazio. Improvvisamente compresi il senso delle parole nel cambiamento di scena del primo atto di Parsifal. Gurnemanz s'è posto il braccio di Parsifal intorno al collo per condurlo dalla foresta nel tempio. A poco per volta la scena si trasforma. Parsifal, come incantato, gli dice:  "Cammino appena, eppur mi sembra già d'esser lontano"; al che Gurnemanz risponde:  "Tu vedi, figlio mio, spazio qui diventa il tempo". Ciò che Wagner intendeva dire mi era rimasto a lungo oscuro.

Soltanto in San Pietro, in quella fusione di musica e spazio, quando all'improvviso suono, tempo e spazio divennero tutt'uno e la musica di Beethoven confrontandosi con tempo e spazio rivelò la sua vera dimensione, cominciai a capire. In quel momento compresi che la musica di Beethoven non aveva confini. Ogni sala da concerto, ogni parete è un limite che impedisce alla musica di espandersi; ma lì, all'improvviso, la musica si diffondeva, viveva, diventava inafferrabile nel vero senso della parola. Per la prima volta capii che cosa significano Beethoven e la Missa solemnis; come questa musica abbatta ogni spazio interno per erompere in uno spazio esterno, quasi senza ritorno.



(©L'Osservatore Romano - 28 ottobre 2009)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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