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«Missa solemnis» e il genio musicale di Beethoven

Ultimo Aggiornamento: 27/10/2009 18:17
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27/10/2009 18:17
 
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Una straordinaria esecuzione della «Missa solemnis» di Beethoven
ha aperto la stagione sinfonica dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia

E il suono salì fino alla cupola


di Wolfgang Sawallisch

Uno degli avvenimenti più spettacolari della mia attività in Italia porta la data del 23 maggio 1970:  l'esecuzione della Missa solemnis nella basilica di San Pietro alla presenza del Papa, Paolo VI; con Ingrid Bjoner, Christa Ludwig, Placido Domingo, Kurt Moll e la regia di Franco Zeffirelli.

In occasione del bicentenario della nascita di Beethoven e dell'anno beethoveniano, che coincideva con il venticinquesimo giubileo della consacrazione a sacerdote di Papa Paolo VI, gli organizzatori erano riusciti a far cadere il divieto che impediva di eseguire in San Pietro musica fuori dell'ambito liturgico; cosa che non era mai accaduta fino ad allora. Era stato il Papa stesso a dare l'assenso. L'Orchestra della Rai, il Coro della Radio Bavarese e i solisti furono collocati davanti all'altare del Bernini, direttamente sotto la cupola. Zeffirelli curò la regia televisiva di questo eccezionale concerto, che fu trasmesso in tutto il mondo e divenne così un documento.

Era una di quelle situazioni in cui non è facile mantenere la calma. L'eccezionalità del luogo, la grandiosità di quella architettura e la consapevolezza che la prova di acustica sarebbe stata un disastro (cosa che ci era chiara già prima della prova generale) costituivano una vera e propria sfida. Finalmente ci trovammo nella enorme basilica completamente vuota, al centro del transetto, davanti all'altare del Bernini. Con che cosa incominciare? Pensai di non attaccare con il Kyrie, bensì subito con il Gloria. Fu un'esperienza indimenticabile:  mentre la musica si slanciava possentemente verso la cupola mi resi improvvisamente conto che quelle note risuonavano per la prima volta in quella basilica.
Che coraggio far musica qui! Si poteva quasi vedere quella piena sonora nella tonalità di re maggiore salire fino alla cupola e fermarsi lì, come se non volesse più scendere:  dodici secondi di eco! Da un lato eravamo soggiogati da quella musica che sembrava ascendere in cielo a gloria di Dio, dall'altro depressi.

Come avremmo potuto far ridiscendere il suono da lassù? Decisi di staccare tempi un poco più lenti e più distesi e di aspettare qualche secondo prima di passare da un tempo all'altro:  ciò non sarebbe stato possibile in una normale sala da concerto senza rompere la continuità. Qui invece occorrevano uno o due secondi affinché l'eco si smorzasse e si potesse poi introdurre una nuova armonia. Anche i solisti ebbero i loro problemi:  era già un fenomeno insolito cantare in uno spazio così gigantesco e sentire la voce che andava e veniva. Quando la basilica si riempì di più di ottomila persone l'eco si ridusse da dodici a otto secondi.

Questo concerto fu uno degli eventi musicali più emozionanti della mia vita.  Mi  sembrava  che tutti i dubbi che Beethoven  aveva  formulato  nel Credo, nel Sanctus e nell'Agnus Dei della  sua  Missa  solemnis  scomparissero al cospetto  di  quello  spazio  e  di quella atmosfera. Tutto risultava ora chiaro.

Avevamo riflettuto a lungo su quale lavoro fosse adatto per quella esecuzione in San Pietro. Che cosa avrebbe resistito? Una messa di Mozart, per quanto bella, sarebbe stata annientata da Michelangelo. Una messa di Bruckner in gloria di Dio poteva anche andar bene per il duomo di Linz, ma non per questa basilica. Ci voleva un'opera della grandezza di Michelangelo. E scegliemmo Beethoven. Beethoven e Michelangelo, due giganti, due geni smisurati che potevano parlarsi e fronteggiarsi  senza  annullarsi  a  vicenda.

Non solo per questi motivi quell'incontro con la Missa solemnis fu, per me musicista, decisivo. A lungo mi era rimasta oscura, impenetrabile come un libro con sette sigilli. Facevo fatica a comprenderla. Non per nulla fra i grandi lavori di Beethoven è stato l'ultimo che ho diretto. Oggi nutro lo stesso sentimento, la stessa vertigine di fronte alla Messa in si minore di Bach, un'opera per me incommensurabile, unica, che non ho ancora mai diretto semplicemente perché non oso accostarmici.

Mi ricordo di aver parlato una volta del mio impaccio di fronte alla Missa solemnis con Walter Legge, marito di Elisabeth Schwarzkopf e direttore musicale della Emi:  fu durante la mia prima importante incisione discografica a Londra. "Ti posso capire - commentò Legge - la Missa solemnis è un'opera che non si sa mai come prendere (...) Ma ho un'idea:  Otto Klemperer la esegue ad Amsterdam, Elisabeth canta la parte del soprano:  perché non fai un salto da Aquisgrana ad Amsterdam e non vieni a sentirla diretta da Klemperer con l'orchestra del Concertgebouw? Forse le idee ti si chiariranno!".

Mia moglie ed io ci recammo ad Amsterdam. Ascoltammo un'esecuzione stupenda. Dopo il concerto Walter Legge mi presentò a Klemperer.
"Maestro Klemperer, c'è qui un giovane direttore che viene da Aquisgrana, Wolfgang Sawallisch!".
Klemperer si alzò, un gigante di oltre un metro e novanta (...) Fisicamente, ma anche musicalmente, mi sentivo un nano davanti a lui. Mi salutò con molta cordialità, mentre Legge gli spiegava il motivo della mia presenza.
"Il signor Sawallisch non ha ancora mai diretto la Missa solemnis ed è venuto apposta per il concerto".
"E allora?", domandò Klemperer.
"Sento una grande soggezione di fronte a quest'opera. Il suo concerto è stato emozionante, ma neppure oggi ho scoperto la chiave della Missa solemnis. Posso intuire che cosa ci stia dietro, ma forse sono ancora troppo giovane per capire quest'opera fino in fondo".
"Non sa quanto tempo mi ci è voluto per avvicinarmi alla Missa solemnis. Lei dice di non aver trovato ancora la chiave:  nemmeno io ce l'ho!".

Fu molto consolante constatare con quale naturalezza pronunciasse queste parole:  quell'umiltà e quella deferenza al cospetto di un'opera così grande accendevano un bagliore di speranza anche in un direttore giovane come me. Perfino Furtwängler, uno dei massimi interpreti beethoveniani, dirigeva assai di rado la Missa solemnis. Io ho continuato a studiare sempre questa partitura e l'ho diretta per la prima volta molti anni più tardi:  in Giappone, dieci giorni prima del concerto in San Pietro.

Forse l'esperienza romana è rimasta indelebile nella mia memoria perché quella sera, in quell'edificio grandioso, ho intuito che cosa possano significare musica, tempo e spazio. Improvvisamente compresi il senso delle parole nel cambiamento di scena del primo atto di Parsifal. Gurnemanz s'è posto il braccio di Parsifal intorno al collo per condurlo dalla foresta nel tempio. A poco per volta la scena si trasforma. Parsifal, come incantato, gli dice:  "Cammino appena, eppur mi sembra già d'esser lontano"; al che Gurnemanz risponde:  "Tu vedi, figlio mio, spazio qui diventa il tempo". Ciò che Wagner intendeva dire mi era rimasto a lungo oscuro.

Soltanto in San Pietro, in quella fusione di musica e spazio, quando all'improvviso suono, tempo e spazio divennero tutt'uno e la musica di Beethoven confrontandosi con tempo e spazio rivelò la sua vera dimensione, cominciai a capire. In quel momento compresi che la musica di Beethoven non aveva confini. Ogni sala da concerto, ogni parete è un limite che impedisce alla musica di espandersi; ma lì, all'improvviso, la musica si diffondeva, viveva, diventava inafferrabile nel vero senso della parola. Per la prima volta capii che cosa significano Beethoven e la Missa solemnis; come questa musica abbatta ogni spazio interno per erompere in uno spazio esterno, quasi senza ritorno.



(©L'Osservatore Romano - 28 ottobre 2009)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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