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La Bellezza di Dio NELLA PREGHIERA di padre Giacobbe Elia (da meditare)

Ultimo Aggiornamento: 02/06/2011 23:05
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La bellezza di Dio contemplata nelle preghiere (parte I)


Intervista a padre Giacobbe Elia, autore di un libro per tornare a pregare



di Antonio Gaspari

ROMA, martedì, 3 novembre 2009 (ZENIT.org).- La preghiera è il mezzo che porta alla contemplazione e al dialogo con Dio, ma il mondo secolarizzato considera le orazioni perdite di tempo, e quel che è peggio è che anche nel mondo cattolico molte preghiere sono state dimenticate.

Per riscoprire la bellezza e la solennità delle preghiere, padre Giacobbe Elia ha svolto una ricerca e pubblicato un libro dal titolo “Le preghiere della Tradizione Cristiana” (Fede & Cultura).

Autore di diversi libri, il sacerdote è superiore della Fraternità Missionaria Mariana, medico, specializzato in teologia dogmatica, esperto di bioetica, ed anche esorcista.

Il libro raccoglie preghiere antiche e moderne dei più influenti mistici e santi della spiritualità cristiana d’Occidente e d’Oriente.

Nel volume di padre Giacobbe, si trovano le più belle orazioni, inni, intercessioni, salmi cantici e devozioni per chi vuole nutrire l’anima e stare in intimo colloquio con Dio.

Le preghiere sono state scelte pensando ai vari momenti che scandiscono la vita dell’uomo, meditando e spiegando l’essenza della vita cristiana, passando dai misteri di fede ai comandamenti della carità, dalle beatitudini ai dieci comandamenti. Dai precetti della Chiesa ai sette sacramenti.

E poi i sette doni dello Spirito Santo, le tre virtù teologali, la quattro virtù cardinali, le sette opere di misericordia corporale e spirituale, i sette vizi capitali, i sei peccati contro lo Spirito Santo, i quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio e infine i quattro Novissimi.

Nell’introduzione il Cardinale Angelo Comastri riporta l’esortazione di Madre Teresa di Calcutta, la quale sottolinea che “soltanto chi prega può capire la bellezza di Dio e la necessità di Dio; soltanto chi prega può avvertire il fremito d’Amore che viene da Dio e investe la vita e la incendia d’Amore”.

Il porporato ricorda che la storia dell’apostolato cristiano è piena di lezioni che incitano e sollecitano la preghiera.

Per questo motivo il libro di padre Giacobbe può aprire il cuore del lettore al dialogo con Dio attraverso un'ampia e solida strada costruita con le preghiere.

Per capire la profondità e la meraviglia di questa affascinante ricerca di Dio con la preghiera, ZENIT ha intervistato padre Giacobbe Elia.

Perché un libro sulle preghiere della Tradizione Cristiana?

Padre Giacobbe: A giugno 2007 nell’Aula Magna del Rettorato della Università “La Sapienza” di Roma, tempio di un laicismo duro a morire - come ha dimostrato il paradossale ostracismo nei confronti di Benedetto XVI, uno dei Papi più luminosi della storia della Chiesa - fui invitato a concludere un interessante convegno sul diverso modo di affrontare la malattia (e la guarigione) da parte dei credenti.

Il convegno, organizzato dagli Istituti di Psichiatria e di Lettere, completava le sue giornate di studio e dibattito con la proiezione del film “7 Km da Gerusalemme” del regista Claudio Malaponti (anch’egli presente insieme ad Alessandro Etrusco, l’attore protagonista) e un’ultima tavola rotonda.

Tutti sostanzialmente erano d’accordo sulla funzione “anche” terapeutica della fede che, accendendo nel credente la speranza,  lo rende più ottimista in vista della guarigione; e, comunque, meno lamentoso e più  disposto a collaborare con i medici.

Visto il film e iniziata la tavola rotonda stimolai delle riflessioni sulla Persona di Gesù e sulla Trinità, osservando che la Persona di Gesù, viene spesso presentata - anche in ambienti colti ma non di teologia - svuotata del suo vertiginoso mistero (In principio era il Verbo… Prima che Abramo fosse, io Sono… Io Sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine… e il solo giudice dei vivi e dei morti, come attesta Pietro in At 10,42),  deformata e addomesticata rispetto a quella che emerge dalla sobrietà dei Vangeli e dalla Tradizione costante della Chiesa, cosicché la Trinità, con la sua provvidenziale economia salvifica, si dissolve in una sterile concezione deistica incapace di risolvere il problema del dolore e della morte.

Mostrai pure l’intima relazione tra fede e ragione e tra preghiera e fede. Perché è la preghiera a renderci in Cristo familiari con il mistero ineffabile di Dio, Uno e Trino, a illuminare la nostra intelligenza, a farci più consapevoli del senso della nostra vita e ad aiutarci a rispondere in modo più soddisfacente alle domande ineludibili di ogni uomo: chi sono, da dove vengo e dove vado?

Proposi come chiave ermeneutica la felice intuizione di Anselmo: «Non cerco di comprendere per credere, bensì credo per comprendere» (Proslogion, 1,100,19), ricordando che ‘ogni dono perfetto’, a iniziare dalla vita e dalla sapienza, viene dall’alto, dal Padre della luce.

Con sorpresa notai che in quello stesso Ateneo, dove mi sono laureato in Medicina anni prima, la quasi totalità dei partecipanti continuava ad avere uno scarso interesse per la vita della Chiesa, ma mostrava, invece, un’ attenzione nuova e sincera per l’evento cristiano.

Rimasto solo mi tornarono alla mente i volti di molti giovani, che dopo essersi confessati, in occasione di missioni al popolo, non solo non erano in grado di dire l’ “Atto di dolore”, ma nemmeno l’Ave Maria, perché “nessuno” aveva mai loro chiesto di “imparare qualche preghiera a memoria”.

Erano, anzi, sorpresi della richiesta che precede l’assoluzione: “dì l’ Atto di dolore”; e ancor più della mia confusione per la loro ignoranza.

Persino quelli che frequentavano regolarmente la parrocchia si dicevano scettici sulla necessità della confessione e dichiaravano candidamente di fare solo delle preghiere spontanee e di conoscere poco o nulla del  ‘Mistero’ della Chiesa.

Rividi con un brivido la figura nobile di un anziano frate che mi confidava pensoso: “Certe allegre primavere dello “spirito” sono solo il preludio di un freddo inverno”.

E subito ricordai una critica impietosa, letta molti anni prima, che mi aveva colpito profondamente per la sua crudezza. Sul mensile “30 Giorni” G. Contri, uno psicanalista allievo di Jacques Lacan  (morto a ottant’anni a Parigi nel 1981), non esitava a definire la preghiera di molti credenti e molte preghiere della Chiesa uno stupidario moraleggiante che allontana dal genuino incontro con Dio.

Effettivamente l’autentica preghiera cristiana non ha nulla di moraleggiante, ma è caratterizzata da due movimenti immediati e complementari che la Tradizione descrive come “elevatio mentis in Deum” e “petitio decentium a Deo”.

La struttura del Pater e dell’Ave Maria rappresentano bene questa dialettica: la prima parte ci fa alzare gli occhi al cielo, mentre la seconda ci fa sperare ogni bene dalla  divina Provvidenza.

La stessa struttura ha la preghiera della Chiesa, che ha il suo paradigma nei Salmi, dei quali circa la metà è di lode e di esaltazione della bontà e grandezza di Dio e l’altra metà è di petizione, di supplica, di richiesta e di perdono.

Mi resi conto che è necessario stimolare in noi l’intelligenza della fede, con la bellezza espressiva delle preghiere.

Personalmente non ho mai avuto il prurito di proporre preghiere fatte da me, ma come ho scritto nella presentazione del libro: «Ho attinto alla tradizione millenaria della Chiesa con la consapevolezza che il poco offerto è davvero nulla rispetto ai tesori della nostra fede […]  convinto che tali sussidi come hanno accompagnato e sostenuto la fede dei nostri padri così possono corroborare e illuminare la nostra». 

Ho così iniziato a tradurne e organizzarne tematicamente alcune che hanno nutrito la vita di generazioni di credenti e che io copiavo da anni sul mio  computer.

Molte di queste sono care alla liturgia, altre le ho scelte tra quelle scritte da santi e dottori della Chiesa motivato dal noto principio Lex orandi, lex credendi.


Il mondo secolarizzato e frenetico rifiuta la preghiera. Come pensa di favorire il ritorno alla contemplazione di Dio?

Padre Giacobbe: È verissimo! È però altrettanto vero che il nichilismo di cui il mondo si nutre è una bestia mai sazia che divora anche i residui della sua felicità. Michael Jackson ne è l’icona.

Acclamato da folle di fan ha bisogno di sballarsi per affrontare il nuovo giorno. Fa penitenza per ricevere l’applauso del mondo e il mondo lo ripaga con l’horror vacui, quel vuoto che è come uno di quei  “buchi neri” dello spazio che inghiottono e fanno sparire la materia.

La depressione è la malattia della modernità.

Essa è più diffusa dell’Aids e delle altre malattie a trasmissione sessuale e colpisce prima o poi tutti coloro che vivono una vita priva di senso. A cosa servono infatti la pornografia e la droga se non a placare la paura di pensare?

Tre anni fa' ho seguito da vicino una comunità terapeutica di ragazzi drogati e le loro famiglie, insieme ad un altro medico che da anni, con perizia e successo, si dedica a questa missione.

Egli, come altri suoi collaboratori, si dice ateo, eppure non ha dubbi: “la droga non è quello che noi definiamo un vizio, è un buco dell’anima, una vera e propria malattia dello spirito, che non guarisce fintanto che lo spirito è malato”.

Questa evidenza spiega il rifiuto deciso del metadone da parte delle Comunità terapeutiche che quotidianamente si confrontano seriamente con il male della droga ed hanno a cuore davvero la salute di coloro che aiutano. Il metadone e altri surrogati sono la panacea di Pannella e dei libertini di ogni tempo, sempre pronti ad invocare il “diritto civile” all’eutanasia non appena chi si è nutrito dei loro umori è diventato troppo ingombrante. La morte - si sa - non costa niente e risolve ogni problema.

Non la pensano così i santi sempre premurosi verso gli ultimi e sempre allergici alle seduzioni delle ideologie.

Paradossalmente, proprio l’esperienza della finitudine e della solitudine può aprire l’uomo a Dio. Sussidi come il mio possono essere provvidenziali per scoprire o ri-scoprire l’essenzialità della fede e del rapporto filiale con Dio. La preghiera, poi, è la madre di ogni virtù.

[La seconda parte verrà pubblicata il 4 novembre] 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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La bellezza di Dio contemplata nelle preghiere (parte II)


Intervista a padre Giacobbe Elia, superiore della Fraternità Missionaria Mariana


di Antonio Gaspari


ROMA, mercoledì, 4 novembre 2009 (ZENIT.org).- “E' necessario che la nostra preghiera sia illuminata dalle preghiere liturgiche della Chiesa e da quelle dei santi”. E' quanto afferma padre Giacobbe Elia, superiore della Fraternità Missionaria Mariana e autore di un libro dal titolo “
Le preghiere della Tradizione Cristiana” (Fede & Cultura).

La prima parte dell'intervista è sta pubblicata il 3 novembre.

Molti genitori, soprattutto quelli della generazione nata dopo gli anni Sessanta non insegnano più a pregare ai loro figli. Così o ci sono i nonni che insegnano le preghiere oppure le nuove generazioni non hanno l’abitudine di iniziare la giornata con la preghiera. Come fare per riaccendere la passione nel rapporto con il Signore?

Padre Giacobbe: Purtroppo! Le ideologie hanno ingannato l’uomo convincendolo di ateismo, e sono riuscite a superare le difese di quanti ancora resistevano nella fede insegnando con brutalità che Dio, se c’è, sta in cielo; ma che in questo mondo dobbiamo sbrigarcela noi, con il solo aiuto dello Stato che, grazie a Dio, si prende cura di ciascuno di noi meglio di qualunque mamma.

Il risultato di questa mistificazione diabolica sono l’infelicità e la solitudine, cui accennavo.

 Oggi non temiamo di giustificare e anche difendere quanti si macchiano e propugnano delitti infami, ma ci vergogniamo di parlare di Dio, temendo di venire emarginati come  reazionari, come rozzi cafoni.

Invochiamo leggi punitive per chi abbandona un povero animale, che null’altro chiede se non di amare ed essere amato, e uccidiamo i nostri figli nel chiassoso silenzio dei nostri ospedali.

Come sperare che i figli dei sessantottini sentano dalla bocca dei loro genitori o da quella dei loro nonni l’annuncio sconvolgente del Dio che si è fatto uomo, è morto ed risorto per amore loro?

Lo scenario è sconfortante e indurrebbe noi cristiani a defilarci dalla storia, se non fossimo certi che Cristo ha vinto il mondo e le porte degli inferi mai prevarranno. E la fiducia in Lui, in Cristo, che sostiene e motiva la nostra fede, facendoci sperare contro ogni ragionevole evidenza.

Ma, saremmo ingiusti, se accusassimo i soli genitori di essere venuti meno al loro compito di evangelizzatori.

Molti uomini di Chiesa – lo dico con dolore - da decenni  hanno adeguato il loro linguaggio a quello del mondo e ridotto la loro missione a un’opera sociale di ausilio allo Stato, laddove questo non è in grado di affrontare alcune emergenze. Questo atteggiamento in sé buono e meritorio diventa, però, perverso quando sacrifica la potenza del Vangelo agli interessi mondani, quando cioè riduce la teologia a ideologia.

La preghiera s’impara a casa e in Chiesa. Ma è in Chiesa che si approfondisce lo studio delle formule imparate e se ne gusta tutta la fragranza.

Quando nel vescovo e nel sacerdote viene meno questo dovere magisteriale le altre attività rischiano di diventare fuorvianti.

Quali sono le preghiere della Tradizione che sono state dimenticate e che lei consiglierebbe di conoscere?

Padre Giacobbe: Non ho dubbi. Anzitutto, i princìpi  della vita cristiana, che non a caso ho voluto come primo capitolo del mio libro.

Provi a chiedere in giro ai nostri fedeli i misteri principali della nostra fede, i comandamenti della carità, le beatitudini, le virtù, i novissimi... e constaterà una diffusa ignoranza della nostra religione, unita alla spocchia nei cosiddetti cristiani adulti di sapere tutto, anche i limiti dentro i quali al Vicario di Cristo è consentito parlare.

Un posto particolare penso debbano avere le devozioni che hanno scandito la vita di intere generazioni: la devozione al sacro Cuore di Gesù e di Maria, al Preziosissimo Sangue, alla divina Misericordia, all’augusta Madre di Dio, agli Angeli, a san Giuseppe, ai Santi, ai defunti, il cui ricordo ci conferma nella risurrezione futura.

Che cos’è e quanto conta la preghiera nella vita di un cristiano?

Padre Giacobbe: Tutto. Nella Prefazione del mio libro il Cardinale Angelo Comastri osserva: «Il Curato d’Ars, nel secolo diciannovesimo, ha svolto il suo apostolato nella cornice di un’ epoca straordinariamente difficile ed acremente ostile al Vangelo di Gesù: i lumi della ragione deridevano il lume della fede! Cosa poteva fare, cosa poteva opporre un curato semplice e intellettualmente poco dotato, come don Giovanni Maria Vianney? Eppure egli divenne punto di attrazione per tutta la Francia: la sua Messa e il suo Confessionale erano mèta di folle innumerevoli. Perché? Semplicemente perché il Curato d’Ars viveva una vita diventata preghiera e, quindi, diventata trasparenza di Dio!».

La preghiera è il nostro incontro personale con il Dio vivente, riconosciuto solo in Cristo come nostro Padre

Gesù non è soltanto il Maestro che ci insegna a pregare, ma è Colui che  trasforma con la potenza dello Spirito Santo la nostra preghiera in preghiera della Chiesa, alla quale noi apparteniamo per la grazia del Battesimo.

Egli - spiega  S. Agostino - è  il sommo ed eterno Sacerdote che «Prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio».

Ecco perché è necessario che la nostra preghiera sia illuminata dalle preghiere liturgiche della Chiesa e da quelle dei santi, come insegna il santo Padre Benedetto XVI nella Spe Salvi (n.34).  

Lascio, infine, volentieri la parola a san Bonaventura, il filosofo profondo e il biografo appassionato di san Francesco d’Assisi: «Che cosa cerchi tu che non possa trovare in Cristo? Se sei malato, egli è il medico. Se sei in esilio, egli è la guida. Se tu sei desolato, egli è il re. Se tu sei combattuto, egli è il difensore. Se hai sete, egli è la bevanda. Se hai freddo, egli è il vestito. Se sei triste, egli è la gioia. Se stai nelle tenebre, egli è la luce. Se sei orfano, egli è il Padre. Egli è lo sposo, l’amico, il fratello. Egli è l’altissimo, l’ottimo, il misericordiosissimo, il fortissimo, il bellissimo, il sapientissimo, colui che senza fine governa ogni cosa. Ma perché tante parole? Tutto ciò che tu puoi volere, Gesù Cristo è».





Fraternamente CaterinaLD

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Quando pregare non è facile


Intervista a padre Ignacio Larrañaga


MADRID, mercoledì, 11 maggio 2011 (ZENIT.org).- Padre Ignacio Larrañaga ha iniziato nel 1974 l'apostolato degli “Incontri di esperienza di Dio”, che ha impartito in 33 Paesi di 3 continenti. Nel 1984 ha fondato i Laboratori di Preghiera e Vita, servizio ecclesiale approvato dalla Santa Sede e diffuso in più di 40 Paesi.

Di recente ha pubblicato “Dios adentro” (Libros libres), un manuale per imparare a pregare. Con uno stile semplice e accessibile, approfondisce l'arte di pregare in modo pratico: attraverso le sue pagine, il lettore va dai primi passi alla contemplazione, superando le sue angosce e inondandosi di pace. Con questo libro, padre Larrañaga vuole offrire un aiuto efficace a quanti vogliono avviare un rapporto con Dio.

Anche nella fede esiste un processo di maturazione?

Padre Larrañaga: Certo, quello del superamento di una fede troppo razionale o centrata sulla ricerca di sicurezze, per giungere a una fede capace di assumere ogni tipo di rischi e timori. Quella fede che ha permesso ad Abramo di camminare alla presenza del Signore, che finisce per diventare l'ispirazione, il centro e il senso della sua vita.

La vita senza Dio ha un senso?

Padre Larrañaga: Siamo pozzi infiniti che infiniti finiti non potranno mai riempire. Solo un infinito può saziare un pozzo infinito. La cultura moderna ha esiliato Dio dal centro della vita, centro che è stato occupato dall'ego. Le conseguenze? La mancanza di solidarietà, la morale permissiva, nulla ha senso, nulla vale la pena, arriva il nichilismo, la cui conseguenza è un vuoto infinito che minaccia di asfissiare l'umanità, e la meta è il suicidio. Una società senza Dio finisce per essere una società contro l'uomo.

Lei dice che ciò che sconcerta di più l'uomo è il silenzio di Dio. Il modo migliore di “sintonizzarsi” con Lui è la preghiera?

Padre Larrañaga: La preghiera è il modo per stabilire una corrente affettiva con un Tu, di modo che due presenze previamente conosciute e amate si rendono reciprocamente presenti e si stabilisce quella corrente di dare e ricevere, amare e sentirsi amati nel silenzio del cuore, nella fede, nell'amore.

Viviamo in una società utilitaristica. Dio entra in questo schema?

Padre Larrañaga: Dio non ha alcuna utilità, perché è gratuità assoluta.

Si può imparare a pregare?


Padre Larrañaga: La preghiera è un dono di Dio, il Suo primo dono, ma è anche un'arte perché si tratta della convergenza tra la grazia e la natura. E, in quanto arte, è sottoposta alle norme di apprendimento e ad altre leggi psicologiche. Pregare bene richiede, quindi, metodo e disciplina.

Pregare è facile?

Padre Larrañaga: Recitare un Padre Nostro o un'Ave Maria è facile, ma si tratta di concentrare le energie mentali in un Tu, nel silenzio del cuore, nella fede, nell'amore... pregare non è facile. Bisogna calmare i nervi, liberare le tensioni, mettere a tacere le voci interiori e, nella solitudine ultima dell'essere, accogliere il mistero infinito di Dio e... adorare! Questo non è facile.

“Chi si sente amato da Dio non conosce la paura”, scrive in “Dios adentro”. Nella nostra società piena di paure, pregare libera? Cercare e sperimentare Dio può annullare definitivamente le nostre paure?

Padre Larrañaga: Vivere in profondità la presenza amorevole e potente del Padre, sperimentare la sua tenerezza in tutta la densità, vivere abbandonati e pieni di fiducia nelle sue mani... tutto ciò esilia inesorabilmente e per sempre le paure e i timori del cuore. E al loro posto sopraggiunge la Pace.

E la gente che si lamenta dicendo “Pregano ma non cambiano”...

Padre Larrañaga: Se pregando sono così, bisogna chiedersi come sarebbero se non pregassero. La gente compie sforzi costanti di pazienza, ma nessuno li percepisce. Quanti successi silenziosi esistono senza che nessuno li abbia notati! Non si può dire in modo leggero “Pregano ma non cambiano”...

Cristo ha rivoluzionato anche la preghiera?

Padre Larrañaga: Gesù ha chiamato Dio “Abbà”, “padre amato”, e ha detto: “Quando preghi, entra nella tua stanza, chiudi la porta e prega tuo Padre che è lì con te”. E anche “adorerete il Padre non su questo monte, né sul monte Sinai, né in questo tempio, né in quello, ma in spirito e verità”. Non c'è rivoluzione più grande.

Che cosa sono i Laboratori di Preghiera e Vita?

Padre Larrañaga: Sono un metodo di nuova evangelizzazione in cui si esercita il rapporto di amicizia con il Signore, si compie un processo radicale di purificazione e pacificazione e si intraprende la via verso la santificazione, imitando Cristo.

Quali sono le chiavi per una preghiera profonda e proficua?

Padre Larrañaga: Perseverare nella pazienza, nella fede pura. Restare da soli ponendo un'attenzione amorevole e serena in Dio. Il resto lo farà Lui.

 

 

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