A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Meditazioni per l'Avvento-Natale 2009 fino all'Epifania

Ultimo Aggiornamento: 09/01/2010 16:04
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29/11/2009 00:09
 
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[SM=g1740733] Ricordando a voi tutti che possiamo seguire con Il Santo Padre questo Avvento:
Celebrazioni Liturgiche del Papa nel Tempo di Avvento e Natale 2009/2010

qui vogliamo inserire i testi delle varie Liturgie di questo Tempo e meditazioni utili per un approfondimento personale ricco di preghiera e di sana partecipazione nella quotidianità...


Che cosa è questo Avvento?
Le parole del Papa qui inserite:
Celebrazioni Liturgiche del Papa nel Tempo di Avvento e Natale 2009/2010
sono di grande aiuto... per esempio quando dice:

Paolo usa proprio la parola “venuta”, in latino adventus, da cui il termine Avvento.

Riflettiamo brevemente sul significato di questa parola, che può tradursi con “presenza”, “arrivo”, “venuta”.
Nel linguaggio del mondo antico era un termine tecnico utilizzato per indicare l’arrivo di un funzionario, la visita del re o dell’imperatore in una provincia. Ma poteva indicare anche la venuta della divinità, che esce dal suo nascondimento per manifestarsi con potenza, o che viene celebrata presente nel culto. I cristiani adottarono la parola “avvento” per esprimere la loro relazione con Gesù Cristo: Gesù è il Re, entrato in questa povera “provincia” denominata terra per rendere visita a tutti; alla festa del suo avvento fa partecipare quanti credono in Lui, quanti credono nella sua presenza nell’assemblea liturgica.

Con la parola adventus si intendeva sostanzialmente dire: Dio è qui, non si è ritirato dal mondo, non ci ha lasciati soli. Anche se non lo possiamo vedere e toccare come avviene con le realtà sensibili, Egli è qui e viene a visitarci in molteplici modi.

Il significato dell’espressione “avvento” comprende quindi anche quello di visitatio, che vuol dire semplicemente e propriamente “visita”; in questo caso si tratta di una visita di Dio: Egli entra nella mia vita e vuole rivolgersi a me. Tutti facciamo esperienza, nell’esistenza quotidiana, di avere poco tempo per il Signore e poco tempo pure per noi. Si finisce per essere assorbiti dal “fare”. Non è forse vero che spesso è proprio l’attività a possederci, la società con i suoi molteplici interessi a monopolizzare la nostra attenzione? Non è forse vero che si dedica molto tempo al divertimento e a svaghi di vario genere? A volte le cose ci “travolgono”.

L’Avvento, questo tempo liturgico forte che stiamo iniziando, ci invita a sostare in silenzio per capire una presenza. E’ un invito a comprendere che i singoli eventi della giornata sono cenni che Dio ci rivolge, segni dell’attenzione che ha per ognuno di noi. Quanto spesso Dio ci fa percepire qualcosa del suo amore! Tenere, per così dire, un “diario interiore” di questo amore sarebbe un compito bello e salutare per la nostra vita!

L’Avvento ci invita e ci stimola a contemplare il Signore presente. La certezza della sua presenza non dovrebbe aiutarci a vedere il mondo con occhi diversi? Non dovrebbe aiutarci a considerare tutta la nostra esistenza come “visita”, come un modo in cui Egli può venire a noi e diventarci vicino, in ogni situazione?

[SM=g1740733]


[SM=g1740750] [SM=g1740738]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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I° Domenica di Avvento (Anno C)

La Santa Messa (un grazie al sito www.lachiesa.it )

Il Vangelo di Luca è indirizzato ai cristiani della sua epoca ma anche a quelli di tutti i tempi, che devono vivere nella fede del Signore in mezzo al mondo. Sono parole di consolazione e di speranza, di fronte alle tribolazioni e alle tristezze della vita. [SM=g1740717]
Gli stessi avvenimenti che disorientano gli uomini saranno per i cristiani il segno che l’ora della salvezza si avvicina. Dietro tutte le peripezie, per quanto dolorose possano essere, essi potranno scoprire il Signore che annuncia la sua venuta, la sua redenzione, e l’inizio di una nuova era.

La venuta del Signore non è considerata come una cosa vicina nel tempo. I cristiani devono pensare che la storia duri a lungo, fino alla creazione definitiva del Regno di Dio. È necessario dunque che essi abbiano un’attitudine paziente di fronte alle avversità, e perseverante nel cammino che li conduce alla vita piena.

Così, il vangelo mette in guardia contro il pericolo di rilassarsi nel quotidiano. Bisogna restare vigili, in preghiera, e chiedere forza, perché ogni affanno terreno smussa i cuori, distrae il pensiero e impedisce di vivere, senza angoscia né sorpresa, l’attesa gioiosa del Signore che è misericordia e vita nuova.


Antifona d'ingresso

A te, Signore, elevo l’anima mia,
Dio mio, in te confido: che io non sia confuso.
Non trionfino su di me i miei nemici.
Chiunque spera in te non resti deluso. (Sal 25,1-3)

Non si dice il Gloria.


Colletta

O Dio, nostro Padre,
suscita in noi la volontà
di andare incontro con le buone opere
al tuo Cristo che viene,
perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria
a possedere il regno dei cieli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Oppure:

Padre santo, che mantieni nei secoli le tue promesse,
rialza il capo dell’umanità oppressa da tanti mali
e apri i nostri cuori alla speranza,
perché sappiamo attendere senza turbamento
il ritorno glorioso del Cristo, giudice e salvatore.
Egli è Dio, e vive e regna con te...






> Prima lettura


Ger 33,14-16
Farò germogliare per Davide un germoglio giusto.

Dal libro del profeta Geremìa

Ecco, verranno giorni - oràcolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda.
In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra.
In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia.

Parola di Dio


> Salmo responsoriale


Sal 24

A te, Signore, innalzo l’anima mia, in te confido.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.

Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.

Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà
per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti.
Il Signore si confida con chi lo teme:
gli fa conoscere la sua alleanza.



> Seconda lettura


1Ts 3,12-4,2
Il Signore renda saldi i vostri cuori al momento della venuta di Cristo.


Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési

Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.
Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.

Parola di Dio


Canto al Vangelo (Sal 84,8)

Alleluia, alleluia.
Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.
Alleluia.



[SM=g1740720] Vangelo


Lc 21,25-28.34-36
La vostra liberazione è vicina.


+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Parola del Signore


Preghiera dei fedeli

Attendiamo il Signore nella vigilanza. Chiediamo il dono della fede e della carità a Colui che conduce la Storia e la nostra vita verso la pienezza dei tempi e verso la beatitudine.
Preghiamo insieme e diciamo: Vieni Signore Gesù.

1. Perché la Chiesa si faccia prossima a tutte le persone che sono in attesa di un segno di solidarietà e speranza. Preghiamo.

2. Perché i credenti si facciano annunciatori dei cieli nuovi e della terra nuova nell’impegno per la giustizia e per la pace. Preghiamo.

3. Perché i poveri, gli emarginati e i dimenticati delle nostre città sperimentino nella sollecitudine delle comunità cristiane l’efficacia della salvezza portata da Gesù. Preghiamo.

4. Perché la nostra comunità cresca e abbondi nell’amore vicendevole e verso tutti, per presentarsi in santità all’incontro con il Signore. Preghiamo.

Padre e Signore della storia, volgi il tuo sguardo di misericordia alla tua Chiesa che attende la venuta del tuo Figlio, sostienila nel cammino verso di te, ed esaudisci le nostre preghiere. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore.


Preghiera sulle offerte

Accogli, Signore, il pane e il vino,
dono della tua benevolenza,
e fa’ che l’umile espressione della nostra fede
sia per noi pegno di salvezza eterna.
Per Cristo nostro Signore.


PREFAZIO DELL’AVVENTO I
La duplice venuta del Cristo


È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente ed eterno,
per Cristo nostro Signore.
Al suo primo avvento
nell’umiltà della nostra natura umana
egli portò a compimento la promessa antica,
e ci aprì la via dell’eterna salvezza.
Verrà di nuovo nello splendore della gloria,
e ci chiamerà a possedere il regno promesso
che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa.
E noi, uniti agli Angeli e alla moltitudine dei Cori celesti,
cantiamo con gioia l’inno della tua lode: Santo...

Oppure:

PREFAZIO DELL’AVVENTO I/A
Cristo, Signore e giudice della storia

È veramente giusto renderti grazie
e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode,
Padre onnipotente, principio e fine di tutte le cose.
Tu ci hai nascosto il giorno e l’ora,
in cui il Cristo tuo Figlio, Signore e giudice della storia,
apparirà sulle nubi del cielo
rivestito di potenza e splendore.
In quel giorno tremendo e glorioso
passerà il mondo presente
e sorgeranno cieli nuovi e terra nuova.
Ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo,
perché lo accogliamo nella fede
e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno.
Nell’attesa del suo ultimo avvento,
insieme agli angeli e ai santi,
cantiamo unanimi l’inno della tua gloria: Santo...


Antifona di comunione

Il Signore elargirà il suo bene
e la nostra terra produrrà il suo frutto. (Sal 85,13)

Oppure:
“Vegliate e pregate in ogni momento,
per esser degni di comparire davanti al Figlio dell’uomo. (cf. Lc 21,36)


Preghiera dopo la comunione

La partecipazione a questo sacramento,
che a noi pellegrini sulla terra
rivela il senso cristiano della vita,
ci sostenga, Signore, nel nostro cammino
e ci guidi ai beni eterni.
Per Cristo nostro Signore.


[SM=g1740717] [SM=g1740720]

Omelia (30-11-2003)
padre Lino Pedron
Commento su Luca 21, 25-28.34-36


I versetti 25-28 di questo brano non sono descrizioni di cataclismi cosmici, ma modi di dire immaginosi, iperbolici, irreali a cui gli autori della Bibbia hanno fatto ricorso per annunciare le grandi novità di salvezza e di liberazione portate dal Messia. La Bibbia abbonda di tali descrizioni per presentare avvenimenti storici come la caduta di un re, una sconfitta militare o un qualsiasi rivolgimento nazionale (cfr Es 19,18-19; Is 14,12; Ger 4,23-28; Gl 3,1-5; ecc.).

Prendere alla lettera questi annunci non significa solo fraintendere, ma addirittura stravolgere il loro significato. Per es. san Pietro presenta la Pentecoste come giorno in cui si avverano queste parole del profeta Gioele: "Farò prodigi in alto nel cielo e segni in basso sulla terra, sangue, fuoco e nuvole di fumo. Il sole si muterà in tenebra e la luna in sangue, prima che venga il giorno del Signore, giorno grande e splendido. Allora chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato" (At 2,19-21). Ma non si vide nulla di simile in quel giorno. Ci furono grandi avvenimenti, conversioni e rivolgimenti nelle menti e nelle coscienze: questo sì. Il giorno di Pentecoste si concluse così: "Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone" (At 2,41).

Questi modi di dire, dunque, non annunciano un rivoluzione nel mondo fisico, ma un grande evento nella storia della salvezza. Anche nel nostro linguaggio, quando succede qualcosa di imprevisto o di grave, si dice: "Mi sono sentito cadere il mondo addosso!". Ma, per fortuna il mondo non è ancora caduto addosso a nessuno: l'espressione vuol dire altro.

Le potenze dei cieli che saranno sconvolte sono le potenze del nemico, che Gesù vide cadere dal cielo come folgore durante la predicazione dei discepoli (Lc 10,18-19). Se l'uomo ha investito tutto nel mondo presente vede con terrore il crollo di tutti i suoi beni e di tutte le sue attese. Se ha investito tutto nei beni del cielo vede giungere la sua felicità eterna.

Il Figlio dell'uomo che viene è il Signore che mi ha amato e ha dato se stesso per me (cfr Gal 2,20) e che mi ha amato quando ancora ero peccatore (cfr Rm 5,6ss). Il suo giudizio sarà il perdono ai crocifissori (cfr Lc 23,34) e l'offerta del paradiso al malfattore (cfr Lc 23,43). Il nostro giudice infatti è colui che ha detto di amare i nemici, di non giudicare, di non condannare, di perdonare sempre. E' misericordioso come il Padre suo (cfr Lc 6,27-38). La venuta di Cristo si identifica con la nostra liberazione e la nostra salvezza.

La nostra vita non deve essere dominata dal terrore del futuro né stordita dalle sollecitudini esagerate per i beni della terra, diversamente non sappiamo più vedere ciò che ci attende. Chi si interessa solo della vita terrena e dei suoi piaceri, non ha tempo né volontà per pensare al giorno finale.

Alla sobrietà e all'attenzione bisogna aggiungere la vigilanza e la preghiera. San Paolo ci esorta: "E' ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri" (Rm 13,11-14).

La vigilanza dev'essere nutrita da una preghiera costante per non cadere nella tentazione finale di perdere la fede nella fedeltà del Signore. San Paolo scrive: "Voi fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobri... Dio non ci ha destinati alla sua collera, ma all'acquisto della salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi" (1Ts 5,4-10).

La vigilanza cristiana è l'esatto contrario dell'oppio dei popoli, è il contrario del cuore appesantito dalle crapule. La vigilanza e la preghiera sono il nostro alzare il capo davanti al Signore che viene, non come giudice, ma come fratello.

E' certo che il Signore verrà. Occorrono serietà e severità di vita, vigilanza e pietà per vivere coerentemente la vocazione cristiana e trovarsi pronti all'incontro con lui.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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DAL “VAE„ ALL' “AVE„

(La seguente meditazione ci viene offerta dal Blog Messainlatino con la quale possiamo approfondire la Messa nella forma Straordinaria...anzi, ricordiamo a tutti che domani Radio Maria il 29 novembre alle ore 10,30 trasmetterà la Messa nella forma Straordinaria )

[SM=g1740733]

Col primo giorno dell'Avvento, che arretra il nostro pensiero al primo giorno del mondo, s'apre, d'accordo con l'anno agreste, l'anno cattolico — il quale si chiuderà la ventiquattresima domenica dopo la Pentecoste con la rappresentazione del giorno finale. È il Tempo che glorifica, mediante la Chiesa, l'Eternità, è l'Eternità che santifica, mediante la Chiesa, il Tempo.


Ma già in questo suo capodanno, che ci riporta per modo di dire in seno a Eva, la Chiesa affaccia alla nostra mente la visione del giorno ultimo — ultimo del suo calendario e, in immagine, del mondo — facendo, in un medesimo rito, risuonar quasi insieme le implorazioni al Cristo venturo dell'umanità or ora estratta dal fango (vedi l'introito) e le trombe degli angeli che annunziano all'umanità già tutta reversa in polvere il Cristo tornante a risuscitare e eternare (vedi il vangelo). È una scorsa rapida, fulminea, da un capo all'altro del tempo (raffigurato nello spazio di un anno), è quasi una misurazione, simultanea, del tempo, che la Chiesa compie onde stabilir che Cristo è il centro del tempo (spes atque centrum temporum, come gli canterà nella festa della sua Regalità), ed è anche una visione preliminare di tutto l'itinerario liturgico, che la Chiesa si offre onde prescriversi le tappe e animarsi, considerando la meta, a lietamente percorrerle.

Regem venturum Dominum, venite, adoremus
: «Il Re venturo Signore, venite, adoriamo». È l'invitatorio, il tema dell'Avvento, di questo primo tratto del cammino liturgico che dura quattro settimane e ricorda quattromila anni, quanti ne corsero dalla Creazione all'Incarnazione, dalla caduta dell'uomo alla discesa di Dio, dal Vae all'Ave.

Vae genti peccatrici, populo gravi iniquitate, semini nequam, filiis sceleratis: «Guai alla stirpe peccatrice, al popolo carico d'iniquità, alla razza malvagia, ai figli scellerati!» È il Signore che parla, per bocca d'Isaia, il gran profeta dell'Avvento, fra le tenebre di questo primo mattino — e il peccato materno e la condanna divina ci ritornano a mente già in quel Vae ch'è la deformazione di Eva.


Passiamo dalla mattina alla sera, dal mattutino al vespro, dal principio al termine di questa giornata, fatta a immagine come di tutto l'anno liturgico così e di tutto l'Avvento, ed ecco: Ne timeas, Maria, invenisti enim gratiam apud Dominum: ecce concipies et paries Filium… È l'Ave, l'invertimento, la «conversione» di Eva, l'annunzio dell'imminente perdono: «Non aver paura, Maria! hai trovato grazia presso il Signore: ecco che tu concepirai e partorirai un Figlio». Il desiderio di questo Figlio, umano e divino, terrestre e celeste, che riconcilierà l'uomo a Dio, che riunirà al cielo la terra, riempie di sospiri, d'invocazioni, di gridi lo spazio fra il Vae e l'Ave, raffigurato nell'Avvento e, in germe, nel primo giorno dell'Avvento.


«A te ho innalzato l'anima mia,» geme l'introito, «Dio mio, in te confido e non avrò da arrossire: i miei nemici non rideranno di me. No, non resteranno confusi quei che t'aspettano... Signore, mostrami le tue vie, insegnami le tue scorcitoie...» Ai nove eleison, «abbi pietà», che qui suonano o «manda!» o «vieni!» secondo che si accompagnano a Kyrie o a Christe, non segue il Gloria, né oggi né più fino alla messa di quella notte in cui fu intonato dagli angeli; e questa stessa privazione, accrescendo la sete, cresce l'ardore della preghiera. La colletta è un grido forte al Signore: «Sveglia, Signore, la tua potenza, e vieni!» E subito l'epistola a svegliar gli uomini che si preparino, che s'alzino, che si vestano a nuovo, come se l'Atteso fosse ormai a passi per arrivare: «Fratelli, e non lo sapete? è l'ora di alzarsi. La nostra salvezza è qui per giungere... La notte sta per andarsene e il giorno è imminente. Via dunque l'opera delle tenebre... e rivestitevi di Gesù Cristo ».

«Rivestitevi di Gesù Cristo», cioè: ricevete la redenzione. Il primo vestito fu di foglie, e fu la confessione del peccato; il secondo, fatto da Dio, fu di pelli, e fu il vestito della pena; ecco che Dio medesimo sta per farsi vestito, e sarà il vestito della grazia: induimini Dominum Iesum Christum.

Il graduale ripete le speranze e le suppliche dell'introito: Universi qui te exspectant non confundentur, Domine. Vias tuas, Domine, demonstra mihi, et semitas tuas edoce me; due gridi di gioia, alleluia, alleluia, e di nuovo il gemito della preghiera: «Signore, mostraci la tua misericordia; Signore, mandaci la tua salvezza...» Dal vangelo, di Luca, una voce risponde: «Guardate, alzate la testa: la vostra redenzione è vicina… Vedete il fico e gli altri alberi: allorché cominciano a spargere...» Anziché spargere, ora le piante vanno ignudandosi di quel che sospinse ai rami la linfosa stagione; ma sotto le foglie che tornan terra il grano germoglia, e questa simultaneità di vita e di morte, questa contemporaneità di principio e di fine ripete in immagine il vangelo, che parla insieme e di redenzione e di giudizio.


L'offertorio riecheggia ancora l'introito: Ad te levavi animam meam: Deus meus, in te confido, non erubescam: neque irrideant me inimici mei: etenim universi qui te exspectant non confundentur. Il communio canta le origini, celeste e terrestre, divina e umana, dell'Aspettato: «Il Signore darà la benignità, e la nostra terra darà il suo frutto»; cioè: il Signore manderà il suo Verbo, e Maria, la «nostra» Maria, lo vestirà di carne, lo farà uomo come noi. Il postcommunio implora dalla misericordia divina ciò che l'epistola chiedeva alla nostra pochezza: Suscipiamus, Domine, misericordiam tuam in medio templi tui, ut reparationis nostrae ventura solemnia congruis honoribus praecedamus, «… affinchè co' dovuti onori ci prepariamo alla festa ventura della nostra riparazione».

La messa termina col consueto vangelo di san Giovanni, che ben s'addice a questo giorno e a questo tempo; con quel vertiginoso vangelo del primo capitolo, che parte dal fiat di Dio e cala con ali d'aquila al fiat di Maria: In principio erat Verbum... et Verbum caro factum est.

Il vespro è tutto un alternarsi di veniet e di alleluia, tutto uno sfogo di gioia che ritorna al fine in preghiera terminando col primo oremus della mattina: Excita, Domine, potentiam tuam, et veni… La grande preghiera dell'Avvento, il ristretto di quattromila anni di preghiere, di sacrifizi, di lacrime: «Vieni!»

Testo tratto da: TITO CASINI, Firenze: LEF, 1935/2, pp. 22-27.

Fraternamente CaterinaLD

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Prima Domenica di Avvento

Omelia di padre Tomas Tyn O.P.

Cari fratelli nel Signore e Salvatore nostro, il salmo penitenziale di avvento, questo tempo di preparazione alla festa liturgica così solenne, così profonda, così commovente del Santo Natale, il tempo santo dell’avvento ci deve preparare alla venuta del Signore. E’ un tempo di preparazione. Di quale preparazione? Di preparazione interiore, quindi un tempo di riflessione, di approfondimento spirituale, un tempo di preghiera e di vigilanza, un tempo di rinuncia, di mortificazione, di discepolato alla scuola della Croce del Salvatore.

Cari fratelli, impariamo l’essenza del nostro cristianesimo, l’essenza del nostro appartenenza a Cristo, perché mai il Signore è venuto nel mondo? Egli viene per salvare la terra e tutte le genti della terra. Cari fratelli, la volontà di Dio, di quel Dio che ci ama, è una volontà di salvezza e di redenzione. E perciò, per essere conformi alla volontà del Padre nostro che è nei cieli e che ci ama e che ci redime, che ci santifica, ebbene bisogna cooperare a questa opera divina, sublime, divina della nostra salvezza.

Cari fratelli, cooperare all’opera della salvezza di Dio significa renderci conto, alla luce di Dio, della verità del nostro essere umano e cioè significa renderci conto che senza Dio noi non siamo nulla, che tutto quello che abbiamo, da Lui l’abbiamo ricevuto, che tutto è grazia sua.

Cari fratelli, quando venne il Signore per la prima volta, quando l’abbiamo incontrato per la prima volta sulla nostra strada, c’è stato forse, cari fratelli, c’è stato un momento in cui non avessimo incontrato il Signore? Da sempre, miei cari, da sempre lo abbiamo incontrato, perché Egli ci ha plasmato, Egli ci ha creato, Egli ci ha fatto suoi, da quando abbiamo visto la luce in questo mondo Egli già ci plasmava nel grembo di nostra madre. Iddio ci diede tutto quello che abbiamo, Iddio ci diede il nostro stesso essere, quel dono così grande dell’essere, dell’esistere, non solo, ci diede anche un qualche cosa di suo, un qualche cosa che ci assimila a Lui, ci diede la natura razionale, spirituale, l’intelligenza, la volontà, la libertà. E come se non bastasse, cari fratelli, Iddio, quando creò i primi uomini, li inondò della pienezza dei suoi doni, concesse a loro persino l’immortalità e l’impassibilità e li costituì dall’origine amici suoi, uomini santi, amici di Dio.

Ora noi sappiamo, cari fratelli, che l’uomo per la sua scelta libera, per la sua colpa, per il peccato delle origini ha perso questa amicizia con Dio, suo Creatore e santificatore. Ma Iddio è più grande del peccato dell’uomo, Iddio non permette che l’uomo si smarrisca completamente, che l’uomo si perda nelle strade di questa vita e allora Iddio, nella sua misericordia, in quell’abisso di misericordia che ricopre l’abisso delle nostre miserie umane, Iddio ci è venuto incontro e già ai primi uomini diede la lieta speranza, la speranza della venuta di Cristo Salvatore e redentore, quando profetizzò alla prima donna, la prima madre di tutti i viventi, ad Eva, che sarà un’altra donna, la seconda Eva, Maria Santissima, Maria Immacolata, Maria madre di Dio, madre del Salvatore, sarà Maria con la sua prole, Gesù Cristo, nostro Dio, nostro Signore, sarà Maria a schiacciare la testa di Satana!

Cari fratelli, quanta speranza avevano quei primi uomini, appena cacciati dal paradiso, ebbene pieni di lieta speranza, perché sapevano che alla fine dei tempi il Signore opererà la salvezza su questa terra. Allora il Signore, dopo la venuta nella creazione, il Signore venne un’altra volta, questa volta per ricreare tutte cose, per restaurare tutte le cose, ma restaura ogni cosa in Cristo, per ricapitolare tutte le cose in Cristo. Questa venuta è una venuta soprannaturale di grazia, di misericordia, di perdono, di riconciliazione, di salvezza.

Allora cari fratelli, questa venuta del Signore, la venuta del Verbo, la sua incarnazione, si verifica in quel momento in cui San Giovanni esprime con le parole: "e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". La prima venuta nella notte di Natale per portare il dono soprannaturale e santificante della grazia. La venuta di redenzione è quella dell’incarnazione, il Verbo consustanziale al Padre, uguale al Padre, della stessa maestà del Padre, il Verbo, la seconda persona della Trinità divina, il Verbo si riveste della nostra umanità, il Verbo prende la nostra fragile carne umana e tutto ciò assunse, tutto prese su di sé, tutto questo lo ha benedetto e santificato, tutto quello lo ha riconciliato con il Padre.

Vedete, miei cari, come noi veramente dobbiamo mostrarci redenti, salvati, riappacificati con il Padre in Cristo. "Egli, quando venne nel mondo", dice la lettera agli Ebrei "quando viene nel mondo Egli Dice: Tu non hai voluto da me sacrificio, ma mi hai dato una carne!". Che cosa vuol dire questo? Che il Salvatore, il Verbo di Dio, si è rivestito di una carne per offrire sul legno della Croce il sacrificio di espiazione. E la Croce e la resurrezione del Verbo incarnatosi per la nostra salvezza e nato dalla Vergine Maria, questa opera di salvezza è una grazia che ha inondato tutta la terra. Tutta la terra, cari fratelli, è ora piena della conoscenza di Dio! La saggezza di Dio, la conoscenza di Dio ricopre l’abisso della terra come il mare! Ecco come si adempiono le profezie, noi in Cristo, miei cari abbiamo la piena conoscenza di Dio, in Cristo abbiamo l’accesso alla salvezza di Dio.

Però, cari fratelli, la prima venuta ci offre la salvezza, ci dà la grazia, la grazia sufficiente e necessaria per essere santificati e riconciliati con Dio, però quel Dio, come ebbe a dire San Agostino, che ci ha creati senza di noi, ebbene Dio non ci salverà senza di noi. Che cosa si aspetta allora Dio da noi? Si aspetta un atto di amore, un amore di carità, di amore soprannaturale. Iddio vuole questo dall’uomo, Iddio è in ansia per questo, vuole che l’uomo lo ami! Cari fratelli, bisogna che ce ne rendiamo continuamente conto, il Signore non ci costringe, il Signore che ci ha creati liberi, ci vuole uomini liberi, non ci vuole come sassi, come pietre. Il Signore vuole il nostro cuore! Non vuole che la legge sia scolpita solo sulla pietra, vuole toglierci il nostro cuore di pietra e vuole darci un cuore di carne, un cuore sul quale sta scritta la sua legge, un cuore che sappia commuoversi, un cuore attento a Dio, un cuore serio, un cuore puro, un cuore circonciso, un cuore….., un cuore santo!

Vedete allora che cosa vuole Iddio da noi! Oh cari, è così bello, così profondo, così commovente leggere queste parole dei profeti, di Geremia, di Ezechiele, di Isaia, di Osea, come Dio piange, il suo cuore di padre piange, il suo cuore di sposo piange per l’infedeltà di Israele, della figlia di Sion, sua sposa, che ha abbandonato il suo amore, ma Iddio ci ama nonostante le nostre infedeltà, il Signore è più fedele di quanto noi possiamo essere fedeli.

Cari fratelli, come è grande la grazia di questo primo avvento del Signore! Egli viene per salvare tutta la terra, ci offre la salvezza, ci apre le sue braccia. Il Signore ci riconcilia, "Ecco" grida San Paolo : "ecco il momento opportuno, ecco il momento della salvezza, lasciatevi riconciliare con Dio" esclama il cuore nostro e quello di Paolo, lasciatevi riconciliare con Dio!. Il Santo di Javè, il momento della salvezza è venuto. In attesa della seconda venuta, perché la prima venuta è quella in cui Gesù offre il suo amore al mondo, ma vuole una risposta di amore, è in ansia per una risposta di amore puro e santo da parte nostra. Ci mette in grado di amarLo, circoncide il nostro cuore, ma vuole che rispondiamo liberamente, non da schiavi, ma da figli, da figli attenti, da figli che amano il loro Padre.

Vedete, cari fratelli, secondo questo saremo giudicati: se avremo saputo amare, ciascuno secondo le sue opere, perché il Signore tornerà alla fine dividerà le pecore dai capri e porrà gli uni alla sua destra e dirà: "venite, benedetti dal Padre mio, nel regno che è stato preparato per voi sin dall’inizio del mondo!" e dirà a quei dannati alla sua sinistra: "via da me, lontano da me nel fuoco eterno preparato per Satana e i suoi angeli". Vedete, cari fratelli, questa divisione si compie, ma non per la materialità delle opere, bensì per l’amore o per la mancanza di amore con la quale queste opere sono state compiute.

Miei cari fratelli, cerchiamo allora, in attesa dell’Eterno Giudice, di mantenere viva la fiamma della divina carità, perché la carità, dice San Paolo, è il vincolo della perfezione, la carità è la vita stessa di Dio, che esulta nei nostri cuori. Cari fratelli, siamo appassionati di Dio, circoncidiamo il nostro cuore, non permettiamo che il nostro cuore si appesantisca, come dice Gesù nel Vangelo, che il nostro cuore divenga freddo, non dico che divenga pieno di odio, ma che divenga una cosa ancora peggiore, che divenga pieno di indifferenza. E il mondo di oggi, cari fratelli, si muove proprio nell’indifferenza, il mondo di oggi non sa più amare. Per quello che Dostoiesvki, quel profondo uomo, quel cristiano dalle profonde intuizioni, nonostante tutti i suoi limiti, tuttavia Dostoievki ha questa profonda idea, dice: "Forse all’inferno non ci sarà tanto caldo, forse il fuoco infernale è un fuoco che raffredda, più che riscaldare".

Cari fratelli, guai a noi se ci abbandoniamo all’indifferenza. Il Signore, se pure non ha fatto un elogio per coloro che lo rifiutano certamente, tuttavia li stima di più di coloro che sono tiepidi, perché i tiepidi li vomita dalla sua bocca, come dice l’Apocalisse. Cari fratelli, non abbandoniamoci all’odio, alla freddezza, alla tiepidezza di questo mondo. Amiamo Dio, siamo appassionati di Dio, circoncidiamo il nostro cuore, proclamiamo la salvezza di Dio a tutte le genti della terra. Con coraggio, ci derideranno, ci odieranno, ci cacceranno, allora esulteremo con Dio, perché i nostri nomi sono scritti nel libro della vita nei cieli.

Ecco, cari fratelli, come questo secondo avvento, che è terrificante per tutti gli empi della terra, è esaltante, è gioioso per quegli uomini che portano accesa la fiaccola della verità e della carità, e questa è la presenza intermedia del Signore. Egli nella sua prima venuta, nell’umiltà della nostra natura umana, ha già inaugurato l’ultimo tempo, lo ha già santificato, elevato, riconciliato e ora dobbiamo aspettarlo come il giudice che deve venire. Nel frattempo Egli ci promette la sua presenza, non è che il Signore se ne sia andato in Cielo…, Egli che è alla destra del Padre nella sua gloria pensa a noi che siamo figli suoi, che siamo figli di Dio, eredi di Dio e coeredi di Cristo. Egli ci inonda con un fiume di grazie, quel fiume di cui dice la scrittura, che era dentro la città Santa di Dio, quel fiume scaturisce dalla Santa e divina Trinità e passa attraverso le piaghe di Cristo, le piaghe risanate dalla gloria della resurrezione per raggiungere il mondo intero. Ecco, cari fratelli, come la salvezza è sempre vicina a noi, non è qualcosa di lontano. Pensate, la parola divina che viene proclamata, gli insegnamenti del Signore e soprattutto la presenza dell’Eucarestia, la presenza di grazia in tutti i sacramenti.

Cari fratelli, viviamo alla presenza del Signore, perché possiamo sfuggire a quelle terribili cose che dovranno accadere e perché possiamo presentarci con coraggio al Cristo che verrà a giudicare la terra. Vedete, cari, la scrittura ci descrive questo avvicinarsi del Signore con dei segni premonitori, segni terrificanti, le potenze del Cielo saranno sconvolte, il sole si oscurerà, la luna non manderà più la sua luce e la gente sarà in ansia per i flutti del mare, gli elementi si scateneranno contro di noi. Cari fratelli, succede tanto spesso, ma l’uomo non riesce a individuare la volontà di Dio in questi segni, perché nulla, nemmeno le sciagure, nulla accade senza la volontà di Dio. Allora alcuni che non sanno bene, sanno però la volontà di Dio, si comportano come ribelli, esclamano: "Signore, dove sei!" se accadono le disgrazie, esclamano: "Dove sei!". Cari fratelli, magari ci fossimo fatti quella domanda: "Dove sei Signore?" nel momento in cui la tentazione diventa perversa ossessione, in cui dobbiamo peccare, in cui dobbiamo deturpare il dono di Dio nostro Padre.

La vera sensibilità del cristiano è questa: riconoscere il vero male, il vero male non solo i frutti del male, i terremoti, i cataclismi, le potenze sconvolte del cielo. I veri mali sono nascosti in un cuore di pietra, cari fratelli. Quando il Signore non solo permette, non permette soltanto, ci castiga di nuovo, ma ci vuole ancora buoni. Lo so che è difficile la lezione, ma un buon cristiano che capisce la differenza tra il male che non viene da Dio e il male castigo indotto da una …Iddio vuole quel male. Come Gesù che dice, riguardo alla torre di Siloe che è crollata, che ha ammazzato in un colpo ben quaranta uomini, ebbene Gesù ha detto: "Pensate forse che quelli che sono rimasti sotto la torre crollata, pensate che fossero peggio degli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo!"

Persino nei cataclismi solo Dio è padrone della vita e della morte, persino nei cataclismi si manifesta l’amore di Dio per l’uomo, l’amore che vuole la conversione dell’uomo, l’amore che vuole risposta di amicizia, ma lì si dice che l’uomo è torturato da urlare per il dolore subito, però non si convertirà. Il dolore invece che conduce alla salvezza, conduce alla disperazione e all’avvilimento: che profondo abisso della libertà umana!

Cari fratelli, allora cerchiamo di non essere quella creta che si ribella al vasaio, quella creatura che si ribella al Creatore, cerchiamo di abbandonarci nelle mani del nostro Padre onnipotente e buono che, anche quando castiga, ci vuole bene, non quei beni che noi superficialmente apprezziamo, la nostra vita, la nostra salute, le nostre ricchezze, i nostri agi, ma in vista di quel vero bene che è il bene di un cuore circonciso e salvato.

Ecco, cari e Gesù ci dice: "Quando vedrete apparire queste cose" non dice rattristatevi, non dice spaventatevi. Vedete la grandezza del Salvatore. Il Salvatore non ci nasconde nulla, ci dice tutta la verità, la triste verità, però ci dice: "rallegratevi!", come se volesse dirci: la vostra gioia deve essere più grande di ogni tristezza, le potenze del cielo si sconvolgeranno, ma il vostro cuore sarà fermo nella roccia dei secoli

Vedete, cari fratelli, quando sentiremo tutte quelle cose terribili, ebbene levate il capo, levare il capo è un segno messianico, il Messia stesso leva il capo nella sua corsa…, così chi appartiene al Messia leva il capo, si fa coraggio, pieno di gioia e di speranza. In mezzo ai guai, ai guai di questo mondo noi dobbiamo essere servi di Dio, condannare il male, ma esultare nella sofferenza, perché la nostra gioia, che non è di questa terra, è più forte, più profonda, più esultante di ogni tristezza che possa insultarci su questa terra.

Vedete allora miei cari, bisogna avere questa gioia della salvezza. La nostra liberazione è vicina, proprio quando il bisogno è più stretto e l’angoscia più grande, la liberazione è vicina. Cari fratelli, che cosa significa allora la liberazione, chi porta la liberazione? Il Signore Gesù che viene, re immortale dei secoli. La liberazione, miei cari, non è una costruzione umana, come bestemmiano quei tali che osano chiamarsi "teologi della liberazione". Se si costruisce dall’uomo, non dico che si finisce nell’uomo, si finisce nella bestia e tutti l’abbiamo negli occhi, …che se il Signore non costruisce la città invano faticano i nostri cuori. Allora si sente il coro delle obbiezione: "Ma questi buoni signori, non sono forse religiosi? Non vogliono anche loro Dio?", magari, magari fossero atei, sarebbe meglio per loro. Perché, cari fratelli, guai se uno bestemmia Dio a nome di Dio stesso! Perché se la salvezza non si affaccia dal cielo, allora non può crescere sulla terra, credetemi.

Quindi bisogna essere ben consapevoli di questo, che quando si pretende di costruire Dio è peggio ancora che costruire le torri di Babele, perché Dio non è costruibile da parte dell’uomo, non siamo noi, cari fratelli, ad avere la pretesa di salvare Dio, perché è Dio che ci salva. E poi, miei cari, che cosa dobbiamo pensare di quelle proposte ideologiche di salvezza umana, alla luce della nostra gioia di essere cattolici, cristiani cattolici, fedeli all’eredità data da Cristo a Pietro e ai suoi successori, fino alla fine dei tempi. Allora seguiamo i consigli di Gesù, per la spiritualità cattolica, abbiamo un cuore attento, non ottuso, non un cuore appesantito dalle dissipazioni, dalle ubriachezze, dagli affanni della vita. Gesù nomina queste tre cose: dissipazione intellettuale, non essere più attenti alla verità della fede, quindi in primo luogo l’intellegibile. In secondo luogo le ubriachezze, chi si da ai piaceri di questo mondo, se non chi ama questo mondo? E chi ama questo mondo, se non chi non ama Dio? Perciò amiamo il Signore, andiamo da Dio, cari fratelli. Poi non affannatevi, l’affanno è illuminato da Dio, perché il tempo dell’avvento è soprattutto un tempo di speranza, di un cuore spalancato a Dio che viene per salvare e giudicare la terra.

Quindi essere uomini della speranza che dà coraggio, perché si affannano per le vicende di questa vita sono i pagani che sono senza speranza. Vedete la nostra speranza in Dio e nel suo Cristo!

Ultimamente Gesù dice: "Vegliate e pregate!", questo vuol dire avere attenzione spirituale, attenzione legata all’amore. "Chi ama è imparentato con il Verbo di Dio", dice San Giovanni, "Chi è dalla verità, ascolta la verità". Invece non è dalla verità, si stanca presto della verità, certamente. Ma chi è nella verità, ama la verità e non si stancherà mai di ascoltare la verità. Vedete allora, cari fratelli, bisogna avere un cuore attento, un cuore innamorato della verità, attento alla verità del Signore. E poi pregare, espressione della nostra fede, pregare, innalzare la nostra mente a Dio, per adorarlo, per lodarlo, per ringraziarLo, per implorare il suo perdono. Ma c’è di più, non basta pensare a questa veglia, a questa preghiera come un atteggiamento puramente umano. Pensate i Santi Padri ci dicono che l’uomo prega anche quando dormono, il cristiano veglia anche quando dorme. Perché? Perché in lui, nel cuore, veglia il Cristo! C’è una bellissima antifona per la compieta, questo bellissimo inno che dice: "Ora lascia, Signore, che il tuo servo vada in pace", c’è una bellissima antifona che dice che il Signore possa lasciarci dormire nella pace, ma che nel frattempo, il nostro cuore vegli in Cristo!

Vedete, miei cari, la grazia santificante è il sigillo di Cristo, è il Cristo vivente in noi, come dice San Paolo, quel grande mistico: "Cristo in me e io in Cristo, non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me!". Lo stesso San Paolo lo dice anche riguardo la preghiera: "Noi non sappiamo che cosa dobbiamo chiedere ma è lo Spirito che ci è dato in pegno, lo Spirito che ci è dato dalla carità divina, è quello Spirito ad intercedere per noi con gemiti ineffabili".

Ecco, miei cari fratelli, allora cerchiamo di possedere in questo avvento la carità di Cristo, la preghiera rivolta al Padre dallo stesso Spirito Santo che ci è dato, così per poter affrontare con coraggio, gioia e speranza il Giudice quando verrà a giudicarci, così che noi possiamo …..e così sia.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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L'Annunciazione nella tradizione siro-occidentale

Hai fatto della terra
un secondo cielo




di Manuel Nin

Nella tradizione siro-occidentale (o antiochena) l'anno liturgico inizia otto domeniche prima di Natale, un tempo che viene diviso in due periodi: Dedicazione (o consacrazione, o rinnovamento) della Chiesa (due domeniche) e Annunciazione (sei domeniche).

Nelle prime i temi sono molto simili e formano l'unico mistero dell'inizio del cammino della Chiesa, nella preghiera e nella lode, verso Cristo. Un aspetto è la prefigurazione veterotestamentaria della Chiesa: "A te la lode, Gesù Cristo, roccia salda e inespugnabile su di cui è stata fondata la santa Chiesa. Essa è prefigurata dalla roccia dalla quale Mosè fece sgorgare mirabilmente dodici ruscelli per dare da bere all'ingrato Israele. Essa possiede i fiumi mistici dell'Eden che per la rettitudine della dottrina spande una bevanda divina. Non è appoggiata su colonne di bronzo o di ferro, ma sui profeti che hanno rivelato le cose segrete, sugli apostoli predicatori dei misteri e sui martiri che hanno seguito le orme di Cristo. Essa non si gloria di avere il candelabro delle sette braccia, ma il sole di giustizia e le stelle del mattino che sono i dottori ispirati dallo Spirito Santo".

La Chiesa è poi vista come fonte e luogo della luce e della verità, che trasmette la vera fede ed è il luogo dei sacramenti: "Chiesa santa, sposa piena di luce, alzati e ricevi i tuoi veri pastori che nel loro zelo hanno ricevuto la scienza divina. Fai ritornare coloro che si sono deviati dalla verità, compiaciti nell'Agnello di Dio così come ti è stato tramandato dagli Apostoli e dai Padri santi, e allontana da te colui che abbandona la vera fede. Questa Chiesa Davide la cantava, questa figlia del re, adornata non in modo figurato come la tenda di Mosè, ma dal mantello splendido della fede, il battesimo, i doni dello Spirito Santo, il santo altare e il sangue dell'Agnello senza macchia, suo sposo, re dei re, e dalle stelle che sono i dottori ispirati dallo Spirito Santo".

Le sei domeniche dell'Annunciazione - anche la tradizione ambrosiana conta sei domeniche di Avvento, mentre la tradizione romana ne ha quattro - contemplano la preparazione e l'annuncio della salvezza che avviene nell'incarnazione del Verbo eterno di Dio attraverso sei pericopi evangeliche che danno il nome a ognuna delle domeniche.

Così, i testi della prima domenica, dell'annunciazione a Zaccaria, presentano le promesse fatte da Dio, che troveranno adempimento nelle diverse annunciazioni delle domeniche successive, mettendo in luce anche il progresso del cristiano nella conoscenza del mistero divino.
L'annunciazione a Maria, nella seconda domenica, sottolinea la realtà dell'incarnazione del Verbo e i titoli cristologici della maternità di Maria: "Senza cambiamento, incarnato dalla Vergine e dallo Spirito Santo, è apparso come uomo nel mondo, facendo della terra un secondo cielo. Noi ti salutiamo, piena di grazia, madre del Creatore del mondo intero; noi ti salutiamo vello benedetto che hai accolto il Verbo di Dio come la rugiada; noi ti salutiamo, collina sacra da dove si è staccata la roccia senza intervento umano; noi ti salutiamo, dolce colomba, poiché il tuo Creatore è cresciuto nel tuo seno, come un bambino; noi ti salutiamo, luce di coloro che siedono nelle tenebre e nell'ombra della morte".

Nella terza domenica, della Visitazione, progredisce la comprensione dell'economia divina: "Elisabetta esclamò: Con quali parole potrò proclamare perfettamente la gloria dei misteri che si compiono in te? Per te viene cancellato il documento che Eva nostra madre aveva scritto, per te finisce la maledizione. Per questo io adoro il tuo grembo, e a colui che vi abita io dico: Dio dei nostri padri che ti sei manifestato a noi, benedetto per sempre".

La nascita di Giovanni Battista, celebrata nella quarta domenica, diventa motivo di gioia e preannuncio della nascita di Cristo, nel contrasto, tipico del siriaco, tra due sinonimi come verbo e parola: "Quando arrivò per il Verbo il tempo della sua manifestazione, una parola fu mandata per una nascita, come è stato detto: dà un frutto a colei che era avanzata negli anni e rallegra la sua attesa; è gioia alla madre che partorisce un frutto desiderabile e desiderato".

Nella quinta domenica, dell'annunciazione a Giuseppe (o domenica del sogno), il dubbio di Giuseppe sottolinea il mistero nascosto e soprattutto la verginità di Maria. Viene infine la sesta domenica, della genealogia del Signore: "È nato come uomo senza perdere la sua divinità; fu avvolto in panni e succhiò il latte come i bambini. Figlio del Padre, Verbo eterno, nato dalla sua sostanza prima dei secoli, dei tempi e delle generazioni; te che sei al di là di qualsiasi ragionamento umano, hai voluto nascere dalla Vergine pura non sposata a causa del tuo grande amore per la nostra razza umana. Tu sei nato nell'umile Betlemme, te che riempi i cieli; hai voluto dormire in una miserabile grotta, tu che avanzi sui cherubini, hai voluto essere avvolto in panni, tu che riempi la terra dei colori diversi e hai messo nel cielo le stelle".



(©L'Osservatore Romano - 29 novembre 2009)



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In Avvento con sant'Ambrogio: ai vespri, all'ufficio delle letture e alle lodi

Sul mondo esausto
spunta il fiore della speranza




di Inos Biffi

Alla "poesia religiosa fondamentale (...) costituita dai Salmi e dai cantici scritturali" si venne presto associando, nella Chiesa primitiva, un'innodia cristiana. "Il primo a tentare la via della lirica religiosa latina, ma con scarso successo", fu Ilario di Poitiers (+367), ma "la gloria di essere padre della innodia dell'Occidente - osserva Giuseppe Del Ton - spetta tutta a sant'Ambrogio".
"Di ispirazione popolare e di fattura artistica, accurata nella metrica, la poesia di Ambrogio, piena di eleganza, di gravità romana, maschia nella tenera effusione della pietà cristiana, è grande modello che più di ogni altro avrà imitatori".

Del resto, come scrive Fontaine, "l'innodia ambrosiana passa a giusto titolo per una delle creazioni poetiche più originali e più perfette del cristianesimo latino", che ha saputo fondere "in una sintesi nuova la triplice eredità delle tradizioni inniche giudaica, greca e latina", e produrre come "un microcosmo della vita di fede", canora professione di fede, adatta al popolo, anche per il verso - il dimetro giambico acatalettico - "semplice, fluido, musicale".

Non sono certamente mancati, dopo Ambrogio, altri poeti cristiani. Pensiamo al raffinato Prudenzio - nato nel 348 e morto agli inizi del secolo V - largamente letto e imitato, con i suoi inni - fantasiosi, vivaci e ricchi di simbologia - alcuni dei quali non mancheranno di entrare nella liturgia; oppure a Sedulio (seconda metà del secolo V), "poeta schietto e sensibile"; a Venanzio Fortunato (morto dopo il 600), autore, tra l'altro, del celebre Vexilla regis prodeunt, e ai tanti innologi medievali, tra i quali Tommaso d'Aquino, per non dire di tutta una poesia anonima, entrata nella liturgia romana a cantare i tempi sacri e i misteri delle feste cristiane.

In tutta questa splendida letteratura, Ambrogio rimane l'indubbio maestro e l'ispiratore insuperato nei contenuti e nella forma. E, tuttavia, meritano un'accurata attenzione i vari inni sacri che, oltre a quelli schiettamente ambrosiani, hanno reso e continuano a rendere artistico e melodioso nella Chiesa il canto della fede, e che oggi con uso nuovo e felice sempre più alimentano l'orazione di fedeli, che fanno della Liturgia delle Ore il libro normale della loro pietà.

Consideriamo qui, sul testo latino, l'innologia del tempo d'Avvento, con i suoi tre inni a Vespro, all'Officio delle Letture e alle Lodi. Non si può dire che siano dei capolavori, ma hanno una loro suggestione. A cominciare da quello di Vespro, Conditor alme siderum, di autore ignoto, ritmico, risalente almeno al secolo IX, e in cui si riscontrano accenti poetici del vescovo di Milano.

L'inno si rivolge direttamente a Cristo, invocato come "Creatore degli astri", "Luce eterna dei credenti" e "Redentore di tutti" - e qui pare di sentire l'eco di tre versi santambrosiani: Deus, creator omnium, Lux lucis et fons luminis e Veni, Redemptor gentium - a lui la Chiesa supplichevolmente chiede di essere ascoltata.

E, infatti, il canto si apre con un'esaltazione della clemenza di Cristo che, provando compassione (condolens) per la triste sorte del mondo, lo ha pietosamente sottratto al destino di morte, a cui il suo peccato lo aveva assegnato e gli ha elargito il rimedio del perdono: "Tu che la notte trapunti di stelle / - traduce la Liturgia ambrosiana delle Ore - e di luce celeste orni le menti, / che tutti vuoi salvi, / ascolta chi ti implora!// L'acerba sorte dell'uomo / ha toccato il tuo cuore: / sul mondo sfinito rinasce/ il fiore della speranza". E qui non è difficile convenire che l'elegante versione italiana abbia alquanto ingentilito il testo latino, che, pur con qualche bel verso, non si distingue per eccessiva bellezza.

La redenzione è vista spuntare al consumarsi della storia (vergente mundi vespere): al sopraggiungere - Paolo direbbe - della "pienezza dei tempi" (Galati, 4, 4) o, come ritenevano i Padri, nell'ultima età del mondo.

È allora che il Cristo è apparso, "disposando l'umana natura/ nell'inviolato grembo di una vergine": Maria, così annunziata, come in un preludio, fin dal principio di Avvento. Egli - prosegue il poeta - è "il Signore", al quale "ogni cosa piega il ginocchio (genu curvantur omnia)", e "il cielo e la terra adoranti" - il richiamo è alla Lettera ai Filippesi (2, 19) - ne confessano il dominio. Però già sappiamo: egli è un Signore intimamente toccato dalla miseria del mondo; la sua è una potenza misericordiosa.

Un giorno, lo stesso Signore - venturus iudex saeculi - verrà per il giudizio finale: ma, mentre la nostra vita fluisce ancora nel tempo, noi siamo esposti di continuo alle frecce del Nemico, il Demonio, che non cessa di assalirci. Chiediamo allora fiduciosamente di non essere lasciati in sua balìa, e di essere preservati dalla sua perfidia: "E quando scenderà l'ultima sera, / santo e supremo Giudice, verrai: / oh! non lasciare in quell'ora al Maligno / chi si è affidato a te!".

Così, all'accendersi della memoria della prima venuta del Signore, il pensiero corre al suo secondo e definitivo avvento: l'anima diviene vigile, ma non si lascia vincere dall'angoscia, dal momento che la nostra sorte ha toccato il cuore del Figlio di Dio.

[SM=g1740733]


In attesa tra la prima
e la seconda venuta
[SM=g1740750]



Anche nell'Ufficio delle letture la Chiesa canta un inno sul tema dell'Avvento.
I suoi versi ritmici - di ignoto autore del secolo X almeno - non si distinguono per alta ispirazione poetica od originalità di contenuto, e tuttavia i consueti motivi dell'attesa in esso toccati illustrano bene con quale spirito devono essere trascorsi i giorni di attesa della nascita del Signore.

L'inno incomincia invocando il "Verbo divino, che avanza verso di noi (Verbum supernum prodiens)". Pure quest'inno, ritmico, di ignoto autore, ma risalente almeno al secolo X.

A Natale, quando i tempi declinano (cursu declivi temporis) - com'era già detto nell'inno di vespro - viene a noi, per salvarci, "il Verbo divino (Verbum supernum)", ossia il Figlio di Dio, eternamente generato dal Padre: a Patre exiens, come Gesù stesso dichiara nel vangelo secondo Giovanni: "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo" (Giovanni, 16, 28).

Noi lo invochiamo come Luce, che risplenda nei nostri cuori (illumina nunc pectora) e come amore ardente, che li accenda e li consumi (tuoque amore concrema); così, ascoltando l'annunzio natalizio, troviamo finalmente rimossa ogni lusinga di male (Audita ut praeconia / sint pulsa tandem lubrica).

Ma il medesimo Verbo divino dovrà ancora apparire nel secondo e finale avvento: quando verrà da Giudice a scrutare nell'intimo le nostre coscienze su tutta la nostra condotta (Iudex (...) aderis / rimare facta pectoris), e infliggerà il castigo ai reprobi anche per le colpe nascoste (reddens vicem pro abditis), mentre per le opere buone consegnerà ai giusti il suo regno (iustisque regnum pro bonis).
Per questo chiediamo la grazia di non trovarci, alla fine, oppressi dalle pene a motivo della gravità dei peccati (Non demum artemur malis / pro qualitate criminis), ma di poter abitare, associati ai santi, perennemente nei cieli (sed cum beatis compotes / simus perennes caelites).

Non sorprende che i motivi della prima e della seconda venuta di Cristo, della misericordia divina e del rigoroso giudizio, della trepida apprensione e della fiduciosa speranza, ritornino in questi inni dell'attesa: ripresi, giorno dopo giorno, essi preparano la Chiesa alla memoria del mistero della Natività e all'incontro definitivo col Signore.
(inos biffi)


[SM=g1740733]

Una voce chiara risuona nella notte



La Chiesa anche alle Lodi, scioglie in un canto, particolarmente fresco e agile, la sua attesa del Signore.
L'inno, in versi metrici, di autore sconosciuto e risalente almeno al secolo X, incomincia come "uno squillo di gioia" (Lentini): "Chiara una voce dal cielo / risuona nella notte: / splende la luce di Cristo, / fuggano gli incubi e l'ansia".

Già sull'inizio di Avvento si riverbera il fulgore di Cristo che, sorgendo come astro luminoso (ab aethre promicat), dilegua le tenebre e dissipa le angosce e i turbamenti (somnia). Sentiremo dire a Natale: "Il popolo che camminava nelle tenebre, vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse" (Isaia, 9, 2). Mentre Zaccaria saluterà il Messia come un "Sole che sorge dall'alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra di morte" (Luca, 1, 78-79), e Simeone stringerà tra le sue braccia il Salvatore come "luce" di rivelazione alle genti e come "gloria" di Israele (Luca, 2, 32).

Non basta, però, che la luce natalizia brilli all'esterno; bisogna che il suo splendore irraggi e si diffonda nel profondo dell'anima: "Se nelle tenebre umane / un astro nuovo rifulge, / si desti il cuore dal sonno, / non più turbato dal male".
Il Natale è insieme festa di luce e di redenzione. Dietro la natività si profila ed è preluso il sacrificio dell'Agnello, che "toglie il peccato del mondo" (Giovanni, 1, 29): quando celebriamo la natività del Signore, già sappiamo che un legame misterioso unisce Betlemme al Calvario: "Viene l'Agnello di Dio, / prezzo del nostro riscatto: / con fede viva imploriamo / misericordia e perdono".

E ancora lo avvertiva Simeone, che alla presentazione del Bambino al tempio lo proclamava "segno di contraddizione", predicendo a Maria la trafittura della spada e quindi il dolore della Croce (Luca, 2, 34-35).

Anche in quest'inno alle Lodi di Avvento non poteva mancare l'accenno alla fine dei tempi e alla seconda venuta del Cristo giudice: "Quando alla fine dei tempi / Gesù verrà nella gloria, / dal suo tremendo giudizio / ci liberi la grazia".

La nostra vita dovrà passare interamente da un rendiconto finale, quando le nostre azioni saranno tutte valutate con un rigore che non sarà leggero. Mundum horror cinxerit - afferma l'inno - il mondo sarà avvolto e pervaso da brividi e sgomento, senza possibilità di inganni e di sotterfugi.

Per questo il clima spirituale d'avvento è un clima di attesa gioiosa, di serena aspettativa della prossima natività del Salvatore, che sarà proclamata dagli angelo "una grande gioia" (Luca, 2, 10), e, insieme, un clima di meditazione raccolta e trepidante per il giudizio divino, che è sempre imminente e non permette distrazioni sventate. Secondo l'ammonimento di Cristo: "Vigilate, perché non conoscete né il giorno né l'ora" (Matteo, 25, 13).

La Chiesa vive e si muove sempre volta a Oriente e, se ancora oggi è in orazione in antiche basiliche, si trova raffigurato dinanzi, nel catino dell'abside, il Cristo Giudice e Signore che discerne i buoni dai reprobi. Ma spiritualmente questo catino col Signore che giudica e salva, è sempre dinanzi al cristiano, che cammina nel tempo e pensa all'eternità.

La meditazione sul definitivo e giusto suggello di ogni vita non cessa di accompagnarlo.

E, pure, a prevalere sul timore è ancora la fiducia, com'è sempre accesa la speranza che a primeggiare sia sempre la grazia, poiché a giudicarci sarà il Gesù Crocifisso.

"Dal suo tremendo giudizio - abbiamo infatti cantato alla fine dell'inno - ci liberi la grazia (non pro reatu puniat / sed nos pius tunc protegat)".

(inos biffi)



[SM=g1740750]


(©L'Osservatore Romano - 29 novembre 2009)
[Modificato da Caterina63 30/11/2009 02:14]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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non solo meditazione...se alla Contemplazio non segue l'AZIONE la nostra fede rimane monca...LA FEDE SENZA LE OPERE NON BASTA, NON SALVA...così come le opere fatte per nome proprio, senza alcuna fede, sono filantropia...producono favoritismi, inducono all'orgoglio alla vanagloria...
e allora, ricordiamoci:

ADOZIONI A DISTANZA Cattoliche - Preghiera e AZIONE

AIUTA LA CHIESA CHE SOFFRE (solidarietà ecclesiale) 


(aiutando la Chiesa che soffre, si aiutano centinaia di Istituti che operano a favore dell'Infanzia abbandonata...)

Riflettiamo sulle parole di un Santo, Vescovo e Dottore della Chiesa

Il pane che a voi avanza,

è il pane dell'affamato;

il vestito appeso al vostro armadio,

è il vestito di colui che è nudo;

le scarpe che voi non portate,

sono le scarpe di chi è scalzo;

il denaro che tenete nascosto,

è il denaro del povero;

i giocattoli che voi rompete,

sono i giocattoli dei bambini diseredati;

il cibo che voi sperperate,

è il cibo di chi è denutrito;

le suppellettili che voi gettate via,

sono le suppellettili di chi non ha casa;

le opere di carità che voi non compiete,

sono altrettante ingiustizie che voi commettete


San Basilio[SM=g1740738]


e allora, ricordiamoci:

ADOZIONI A DISTANZA Cattoliche - Preghiera e AZIONE

AIUTA LA CHIESA CHE SOFFRE (solidarietà ecclesiale) 


(aiutando la Chiesa che soffre, si aiutano centinaia di Istituti che operano a favore dell'Infanzia abbandonata...)

[SM=g1740717] [SM=g1740750] [SM=g1740720]

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Padre Raniero Cantalamessa spiega il tema delle prediche per l'Avvento

Per il sacerdote più preghiera
e meno occupazioni




L'Anno sacerdotale "dovrebbe servire proprio a riportare il sacerdote alla sua matrice interiore, alla sorgente di ogni apostolato, di ogni sacerdozio, che non solo dà efficacia al ministero, ma dà anche gioia al presbitero". Lo afferma il cappuccino Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, anticipando alcuni spunti di riflessioni delle prediche per l'Avvento che terrà da venerdì 4 dicembre nella cappella Redemptoris Mater alla presenza di Benedetto XVI. "Nella scelta dei temi da proporre - spiega - mi lascio sempre guidare dalla grazia che la Chiesa sta vivendo in quel momento. E come l'anno scorso la grazia era l'Anno paolino, quest'anno è quello sacerdotale. Mi sembrava quasi doveroso unirmi a questa intenzione del Papa e portare un piccolo contributo di riflessione".

Il modello di presbitero proposto dal cappuccino è quello di "contemplativo nell'azione". Da qui la raccomandazione a ritagliarsi "un tempo per la preghiera, perché è lì, soprattutto, che si alimenta la vita personale". L'esempio di don Camillo del Guareschi è eloquente. Egli aveva l'abitudine di parlare con il Crocifisso. Un dialogo a tu per tu, nel quale il parroco confidava tutto ciò che riguardava lui stesso e la parrocchia. "Credo che sarebbe una benedizione - sottolinea il predicatore - se il sacerdote acquisisse questa abitudine di parlare a cuore a cuore con Gesù, perché Egli è vivo, non è morto". "In una delle prediche - aggiunge - dirò che il segreto è passare dal Gesù personaggio del passato al Gesù persona.

Del personaggio si può parlare, ma non gli si può parlare. La persona invece è qualcuno con il quale si può dialogare. Per il sacerdote Gesù dovrebbe essere proprio questo: una persona viva e risorta". Ecco il segreto dell'anima di ogni prete.

"Sacerdoti secondo il Cuore di Cristo" è il sottotitolo al tema delle prediche. Che significato rivesta questa espressione lo spiega il cappuccino, precisando che si tratta di un ritorno "all'origine del sacerdote, a quella che è stata la scelta degli apostoli da parte di Gesù. Tutto nasce da quella chiamata: il ministero apostolico e il sacramento dell'ordine nascono e affondano le radici nella scelta di Gesù". "Lo scopo, l'anima del sacerdozio - prosegue - è di stare con Gesù e di andare a predicare. Si legge nel Vangelo che Cristo chiamò gli apostoli perché stessero con lui e andassero a predicare. È significativo che prima della predicazione c'è lo stare con Gesù".

Il sacerdote secondo il Cuore di Cristo è allora colui che "ha un rapporto personale, intimo con il Signore e che di fronte agli altri non trasmette solo una dottrina, un'esperienza, ma una persona".
Nelle prediche, padre Cantalamessa cercherà di mettere in luce anche l'identità originaria e "l'anima di ogni sacerdozio".

Questa espressione - spiega - "fa riferimento a un libro, famoso negli anni antecedenti al concilio Vaticano ii, dal titolo L'anima di ogni apostolato, scritto dall'abate Chautard". L'intenzione dell'abate era quella di ricondurre il sacerdote alla sua anima interiore. "A quel tempo, così come avviene anche adesso - evidenzia il religioso - c'era per il prete il rischio di attribuire un'importanza eccessiva alle opere: cinema parrocchiali, centri culturali, gite, oratori. Tutte cose preziosissime e di cui Chautard era il primo a difendere il valore. Egli sosteneva però che se queste cose non partono da una vita interiore e contemplativa, sono "stampelle". Anzi, arrivava a usare un'espressione di san Bernardo molte forte: sono "maledette occupazioni"".

Padre Cantalamessa mette poi in guardia dal "rischio di un eccessivo coinvolgimento nel sociale, che poi sfocia inevitabilmente nel politico". [SM=g1740733]

Se tutto ciò può essere un bene per il sacerdote in occasioni straordinarie, "dietro indicazioni del vescovo o dello stesso Pontefice", spesso si tratta di "un eccesso, un'ipertrofia dell'azione, del ruolo sociale del presbitero, che può portare a una perdita, a un calo della dimensione soprannaturale e interiore. Quando Gesù diceva: "Chi mi ha costituito giudice tra voi?", rivendicava con grande forza il suo ruolo di inviato di Dio per annunciare la buona novella agli uomini".

A questo proposito, i laici sono chiamati opportunamente a tradurre l'annuncio in iniziative pratiche immerse nelle vita quotidiana, "ma - avverte Cantalamessa - il sacerdote, a mio parere, dovrebbe stare attento a non lasciarsi troppo coinvolgere. Certo le opere parrocchiali sono preziose, necessarie, ma queste presto o tardi si dovranno affidare ai laici. Il sacerdote potrà essere una sorta di supervisore, uno che dà lo spirito, ma l'amministrazione pratica deve essere affidata ai laici". Già san Gregorio Magno - ricorda in conclusione - "diceva che siamo affogati talmente nelle faccende secolari che a stento troviamo qualcuno che predichi la pura Parola di Dio". (nicola gori)



(©L'Osservatore Romano - 4 dicembre 2009)

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Isaia e Virgilio

Seconda domenica dell'Avvento: son passati sette giorni e son passati mille anni. Sette giorni ai nostri occhi e mille anni alla nostra mente, che cammina coi patriarchi, col desiderio, con la fame dei patriarchi, verso la «Casa del Pane».

Populus Sion, ecce Dominus veniet ad salvandas gentes...: «Popolo di Sion, ecco, il Signore viene a salvar le nazioni, e farà sentire, il Signore, la gloria della sua voce nella letizia del vostro cuore». Con questo annunzio e questa dolce promessa s'apre la messa di stamani. Sion, le nazioni, la gloria della sua voce, la letizia del nostro cuore... E l'itinerario del suo avvento - da Síon alle nazioni, dal «popolo scelto» a tutti i popoli della terra - ed è, predescritto, il fine e l'effetto del suo avvento: la promulgazione del suo amore, la consolazione dei cuori.

Sion e le nazioni si alternano in questa messa, quasi rivali d'amore, fino a che si confondono in un solo cuore, in un solo desiderio, in una sola aspettazione. Qui regis Israel, intende... : «Intendi, tu che badi Israele, tu che meni Giuseppe come una pecora» È il versetto introitale: è Sion che supplica, richiamandosi ai diritti della preelezione.

Ma nell'epistola, ch'è di Paolo ai Romani, le nazioni, i gentili, gridan forte le lor ragioni appellandosi ai diritti delle profezie: «... Sta scritto: "Fra le nazioni ti darò lode, o Signore, e leverò inni al tuo nome". E dice ancora: "Lodate il Signore, nazioni tutte, magnificatelo, popoli dell'universo". E Isaia: " Verrà, dalla radice di lesse, verrà su un virgulto che dominerà le nazioni, e le nazioni in lui spereranno"». Ribatte, pronto, il graduale «Da Sion il fulgor della sua bellezza... Radunate intorno a lui i suoi santi, quelli che fecero con lui alleanza per mezzo dei sacrifizi». Ecco il communio, e non più Sion, non più le nazioni, ma un solo popolo, una sola «Gerusalemme», una sola Chiesa: Ierusalem, surge et sta in excelso... : «Alzati, Gerusalemme, e va' in alto, e guarda la giocondità che sta per giungerti dal Signore».

Di questa giocondità del Signore, di questa futura letizia del nostro cuore nella gloria della sua voce, il vangelo ci offre quasi una pregustazione, trasferendoci, da questo tempo di attesa, nella pienezza dei tempi... C'è, nel vangelo di questo giorno, un uomo prigioniero, un uomo privo di luce e di libertà, che si chiama Giovanni e potrebbe dirsi senz'altro l'uomo, l'uomo cacciato dal paradiso e anelante d'esservi riammesso, l'uomo anteriore a Gesù. Egli sa che cosa voglia dire Gesù, e sa che Gesù deve venire, ma non sa se sia ancora venuto.

Corre voce che un uomo vada compiendo opere grandi, opere insolite all'uomo, ed egli manda a interrogarlo: «Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?» L'interrogato, che è veramente Gesù, non risponde semplicemente ch'è lui ma dice che cosa è lui, e lo dice in questa maniera: «Riferite a Giovanni quanto avete udito e veduto: che i ciechi veggono, che gli zoppi camminano, che i lebbrosi guariscono, che i sordi sentono, che i morti risuscitano, che i poveri ricevono la buona notizia, ed è beato chi non si scandalizzerà di me». Luce per i ciechi, libertà per gl'impediti, vita per i morti, gioia per gl'infelici, amore per tutte le creature: chi non riconoscerà da questi tratti Gesù?

Certo lo riconoscerà Sion, ricordando come lo descrisse il suo prof(ma Isaia (e lo abbiamo udito nel mattutino di stamani): «Non secondo l'apparenza egli giudicherà, nè condannerà per sentito dire, ma secondo giustizia giudicherà i poveri e vendicherà equamente i mansueti della terra. Percuoterà la terra con la verga della stia bocca (la gloria della sua voce) e con lo spirito delle sue labbra dissiperà il male... Il lupo abiterà con l'agnello, il leopardo dormirà col capretto; il vitello, il leone e la pecora staranno insieme, e li menerà un bambinuccio. Pastureranno in compagnia la vacca e l'orso, mentre giaceranno accosto i loro figlioli, e il leone mangerà la paglia al pari del bove. Il bambino che poppa si baloccherà sul foro dell'aspide e lo slattato metterà la mano nella caverna del basilisco...»

Sion riconoscerà da questi segni il suo Aspettato; e anche le nazioni, anche i gentili, riconosceranno, dall'amore, colui che deve venire. Ultima Cumaci venit iam carminis aetas;
Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo.
............................................................

Iam nova progenies coelo demittitur alto.
............................................................

Ipsae laete domum referent distenta capellae
Ubera, nec magnos metuent armenta leones.

............................................................

Occidet et serpens e t fallax herba veneni
Occidet ...

Così canta Virgilio, il profeta gentile, quasi ripetendo il profeta israelita. Al suo ardore di vivere tanto da vedere quel giorno, da vedere affamigliati gli opposti popoli, le pecore e i leoni amici fra loro,

O mihi tam longe maneat pars ultima vitae,
Spiritus et, quantum sat erit tua dicere facta,

farà eco tra poco la preghiera di un vecchio Israelita chiedente a Dio di morire, troppo lieto di aver visto co' suoi propri occhi la «nuova progenie scesa dal cielo», «salvezza per tutti i popoli», «luce delle nazioni e gloria della popolazion d'Israele».

Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2, pp. 41-45.

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Ricordando:

Alla Mamma dolcissima e immacolata affidiamo tutti i bambini.

8 Dicembre Festa dell'Immacolata

All'Angelus Benedetto XVI sottolinea che il Vangelo non è una leggenda

Il racconto di una storia vera


Stili di vita sobri e responsabili per rispettare il creato
auspicati dal Papa alla vigilia del vertice sul clima


"Il Vangelo non è una leggenda, ma il racconto di una storia vera". Lo ha detto il Papa all'Angelus di domenica 6 dicembre, in piazza San Pietro. Benedetto XVI ha anche sottolineato l'importanza del vertice di Copenaghen, auspicando "stili di vita sobri e responsabili" per uno sviluppo rispettoso dell'ambiente.

Cari fratelli e sorelle!

In questa seconda domenica di Avvento, la liturgia propone il brano evangelico in cui san Luca, per così dire, prepara la scena su cui Gesù sta per apparire e iniziare la sua missione pubblica (cfr. Lc 3, 1-6). L'Evangelista punta il riflettore su Giovanni Battista, che del Messia fu il precursore, e traccia con grande precisione le coordinate spazio-temporali della sua predicazione. Scrive Luca:  "Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell'Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto" (Lc 3, 1-2).
 
Due cose attirano la nostra attenzione. La prima è l'abbondanza di riferimenti a tutte le autorità politiche e religiose della Palestina nel 27/28 d.C. Evidentemente l'Evangelista vuole avvertire chi legge o ascolta che il Vangelo non è una leggenda, ma il racconto di una storia vera, che Gesù di Nazaret è un personaggio storico inserito in quel preciso contesto. Il secondo elemento degno di nota è che, dopo questa ampia introduzione storica, il soggetto diventa "la parola di Dio", presentata come una forza che scende dall'alto e si posa su Giovanni il Battista.

Domani ricorrerà la memoria liturgica di sant'Ambrogio, grande Vescovo di Milano. Attingo da lui un commento a questo testo evangelico:  "Il Figlio di Dio - egli scrive -, prima di radunare la Chiesa, agisce anzitutto nel suo umile servo. Perciò dice bene san Luca che la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria nel deserto, perché la Chiesa non ha preso inizio dagli uomini, ma dalla Parola" (Espos. del Vangelo di Luca 2, 67). Ecco dunque il significato:  la Parola di Dio è il soggetto che muove la storia, ispira i profeti, prepara la via del Messia, convoca la Chiesa. Gesù stesso è la Parola divina che si è fatta carne nel grembo verginale di Maria:  in Lui Dio si è rivelato pienamente, ci ha detto e dato tutto, aprendoci i tesori della sua verità e della sua misericordia.  Prosegue  ancora sant'Ambrogio nel suo commento:  "Discese dunque la Parola, affinché la terra, che prima era un deserto, producesse i suoi frutti per noi" (ibid.).

Cari amici, il fiore più bello germogliato dalla parola di Dio è la Vergine Maria. Lei è la primizia della Chiesa, giardino di Dio sulla terra. Ma, mentre Maria è l'Immacolata - così la celebreremo dopodomani -, la Chiesa ha continuamente bisogno di purificarsi, perché il peccato insidia tutti i suoi membri. Nella Chiesa è sempre in atto una lotta tra il deserto e il giardino, tra il peccato che inaridisce la terra e la grazia che la irriga perché produca frutti abbondanti di santità. Preghiamo dunque la Madre del Signore affinché ci aiuti, in questo tempo di Avvento, a "raddrizzare" le nostre vie, lasciandoci guidare dalla parola di Dio.

                           Pope Benedict XVI (top) waves from the window of his private apartment to the crowd gathered below in Saint Peter's square during his weekly Angelus blessing at the Vatican December 6, 2009.

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare l'"Associazione nazionale famiglie numerose", che ha per motto "Più bimbi, più futuro". Cari amici, prego per voi, perché la Provvidenza vi accompagni sempre in mezzo alle gioie e alle difficoltà, ed auspico che si sviluppino dovunque efficaci politiche di sostegno alle famiglie, specialmente a quelle con più figli. Saluto i fedeli provenienti da Bergamo, Bracciano e Catania, i ragazzi di Petosìno e quelli di Gràssina, l'Associazione Volontari per la Cooperazione Internazionale di Cesena e il gruppo dei "Cercatori del Graal". A tutti auguro una buona domenica.

                          Balloons are seen in the foreground as Pope Benedict XVI reads a statement during his weekly Angelus blessing at the Vatican December 6, 2009.



(©L'Osservatore Romano - 7-8 dicembre 2009)

[Modificato da Caterina63 07/12/2009 20:31]
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[SM=g1740738] MESSAGGIO DEL CUSTODE DI TERRA SANTA PER UN VERO NATALE...





MEDITAZIONE..... [SM=g1740733]







AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE [SM=g1740752]

difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...






[SM=g1740738] [SM=g1740752]

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13 dicembre: III Domenica di Avvento (Gaudéte)

[SM=g1740717] [SM=g1740720]

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Ioánnem (1, 19-28)


In illo témpore: Misérunt Iudæi ab Ierosólymis sacerdótes et levítas ad Ioánnem, ut interrogárent eum: Tu quis es? Et conféssus est, et non negávit: et conféssus est: Quia non sum ego Christus. Et interrogavérunt eum: Quid ergo? Elías es tu? Et dixit: Non sum. Prophéta es tu? Et respóndit: Non. Dixérunt ergo ei: Quis es, ut respónsum demus his, qui misérunt nos? Quid dicis de te ipso? Ait: Ego vox clamántis in desérto: Dirígite viam Dómini, sicut díxit Isaías prophéta. Et qui missi fúerant, erant ex pharisæis. Et interrogavérunt eum, et dixérunt ei: Quid ergo baptízas, si tu non es Christus, neque Elías, neque prophéta? Respóndit eis Ioánnes, dicens: Ego baptízo in aqua: médius áutem vestrum stetit, quem vos nescítis. Ipse est, qui post me ventúrus est, qui ante me factus est: cuius ego non sum dignus ut solvam eius corrígiam calceaménti. Hæc in Bethánia facta sunt trans Iordánem, ubi erat Ioánnes baptízans.

Laus tibi, Christe.


***

Traduzione italiana conforme alla versione CEI 2008


In quel tempo: i Giudei inviarono [a Giovanni] da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose:
«Io sono voce di uno che grida nel deserto:
Rendete diritta la via del Signore,
come disse il profeta Isaia».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.


Parola del Signore!


[SM=g1740717] [SM=g1740720]


Omelia di don Paolo Curtaz

Sei la gioia di Dio!

Cammino di sopravvivenza al natale, terza tappa.

Alzare lo sguardo, quindi, senza lasciare che la vita appesantisca il cuore poi – come ci dice il Battista – spianare i colli dell'arroganza, riempire i crateri dello scoraggiamento ed elaborare un pensiero lineare e semplice. La gente che da Gerusalemme è scesa nei pressi di Gerico a vedere questo profeta ardente di passione resta turbata, scossa. E se avesse ragione lui? Qualcuno, timidamente si avvicina al profeta e chiede: "Che cosa dobbiamo fare?".

"Che cosa dobbiamo fare?" è anche la domanda che sorge nel nostro cuore quando ci guardiamo dentro, quando lasciamo che il silenzio evidenzi, smascheri la nostra sete di felicità e di bene, quando una tragedia ci ridesta alla durezza e alla verità della vita, quando vogliamo preparaci ad un natale che non resti solleticazione emotiva ma diventi conversione e luce e pace.

"Che cosa dobbiamo fare?" e il mondo ci risponde: "Sistemati, lavora, guadagna, riposati, curati, regalati, lasciati andare, emozionati, sballa..." tutte cose piuttosto vere. Ma saranno poi davvero capaci di riempire il cuore? Dove avete puntato la prua della vostra nave? Quale strada state percorrendo? Vi porterà davvero alla felicità? E se il mondo non spesse – sul serio – darci risposte? E per mascherare questo vuoto lo riempisse di parole?
Giovanni risponde in maniera dolce e sorprendente: consigli spiccioli, all'apparenza banali, ben diversi dai proclami che ci aspetteremmo, dalle scelte radicali che dovrebbe proferire: "condividete, non rubate, non siate violenti..." Tutto lì?

Restiamo stupiti, un po' delusi. Ma Giovanni ha terribilmente ragione: dalle cose piccole nasce l'accoglienza. Perché forse anche a voi, come a me, succede di immaginarmi, anche nella fede, capace di improbabili eroismi: partirò in Africa volontario – e intanto non vedo la mia dirimpettaia anziana sola – andrò una settimana in monastero nel silenzio – e intanto non trovo neppure cinque minuti di preghiera al giorno – dedicherò del tempo alla riflessione – e non ho neppure il coraggio di depennare qualche riunione dall'agenda al collasso... No, amici Giovanni ha ragione, fai bene ciò che sei chiamato a fare, fallo con gioia, fallo con semplicità e diventa profezia, strada pronta per accogliere il Messia. Era normale per i pubblicani rubare, normale per i soldati essere prepotenti ed ecco che la parola li riconduce alla semplicità dell'essere uomini. Diventa eroico, anche oggi, essere integerrimi nell'onestà sul lavoro, profetico essere persone miti in un mondo di squali.

La gente è turbata: Giovanni è un uomo buono, mostra loro una strada semplice, dà loro retta... che sia lui il Messia? Ed ecco la notizia: arriva uno più forte che battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Arriva il Cristo, è lui la risposta al cosa dovete fare, è lui colui che brucia dentro, che dà forza. Giovanni ancora non lo conosce eppure il suo cuore pulsa di gioia. Gesù è fuoco, non pia devozione, non bella abitudine, non saggezza da seguire. Fuoco, fuoco, fuoco che brucia, che inquieta, che scalda, che illumina, che turba nel profondo, che scardina, che riempie. Vi ricordate cosa diceva santa Caterina da Siena? "Se sarete ciò che dovrete essere metterete fuoco in Italia e nel mondo intero!" e sempre diceva la santa senese: "la mia natura è fuoco!", lo Spirito Santo che Gesù ci ha mandato è fuoco, possibile che come cattolici non ci sentiamo ardere dentro? Giovanni allora già ne assapora la presenza, già ne coglie la statura immensa, inattesa, sconcertante. Eppure lui, il più grande tra i nati da donna, verrà ucciso per il ballo sensuale di un'adolescente, ucciso da un re fantoccio suddito dei propri desideri e del giudizio della gente. Ma è felice, comunque, sin d'ora.

Giovanni ha già il cuore colmo di gioia anche se ancora aspetta, anche se ancora non vede. Ma già gioisce. L'annuncio che vi faccio, la "buona novella" in mezzo a tante orribili notizie che ci raggiunge è proprio questa: Dio ti ama e te lo dimostra in Gesù Cristo. Accogliere Gesù è avere il cuore pieno di gioia. La fede cristiana è anzitutto gioia. Non gioia semplice, sciocca, ingenua. Mediteremo a lungo, fra qualche mese, di come la gioia cristiana sia una tristezza superata, sia una gioia conquistata a caro prezzo...

Nel frattempo Paolo dice ai Filippesi e a noi: "rallegratevi nel Signore sempre!"; aggiunge che la nostra gioia deve essere nota a tutti, cioè che la gente deve pensare ai cristiani come gente serena e piena di luce! Per Paolo, che pure di cose tristi ne subisce e ne vede, la pace che viene da Dio custodisce i nostri cuori.Ma se la mia vita è un calvario? Se proprio la sofferenza è la nota dominante della mia vita? Se la depressione o la solitudine hanno minato alla radice il mio buonumore? Perché mai devo essere felice?

La risposta di Sofonia, profeta vissuto nel 640 a.C., è bruciante: "Il Signore tuo Dio... esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore". Sii felice: tu sei la gioia di Dio! Sii felice: Dio ti ama teneramente con il suo amore ed è il suo amore che ti rinnova, ti cambia. Tutta la Bibbia, tutta l'esperienza di Israele prima e della Chiesa poi dice questo: sei amato, il vero volto di Dio è uno sguardo di bene e di amore che ti ricostruisce.
Natale si avvicina e siamo invitati a riscoprire questo atteggiamento fondante della fede cristiana: non come sforzo ma come consapevolezza; siamo la gioia del nostro Dio e questo riempie la nostra vita di gioia per essere discepoli di colui che è fuoco e dona lo Spirito...


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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La seconda Predica d'Avvento di padre Cantalamessa
Il profumo di Cristo


Il sacerdote come "il buon profumo di Cristo nel mondo". Padre Raniero Cantalamessa ha riproposto anche questa mattina, venerdì 11 dicembre, un passo della lettera di san Paolo ai Corinzi per orientare la riflessione della Predica d'Avvento, le seconda, sul ministero del sacerdote "servitore di Cristo". Parlando alla Curia Romana, alla presenza del Papa, il religioso cappuccino ha fatto ricorso alla metafora dell'unzione dello Spirito - così come ne fa menzione san Basilio (San Basilio Sullo Spirito Santo, XVI, 39) - con il profumo che ne scaturisce, per ricordare la prima missione affidata a quanti la ricevono: "Unti per diffondere nel mondo il buon odore di Cristo".

Però, come ricordava lo stesso apostolo, troppo spesso si commette l'imprudenza di conservare questo tesoro prezioso "in vasi di terra" e "sappiamo fin troppo bene - ha detto il predicatore - della dolorosa e umiliante esperienza recente, cosa questo significa. Gesù diceva agli Apostoli "Voi siete il sale della terra; ma se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini". La verità di questa parola di Cristo è dolorosamente sotto i nostri occhi. Anche l'unguento, se perde l'odore e si guasta, si trasforma nel suo contrario, in lezzo, e anziché attirare a Cristo, allontana da lui".

È anche per rispondere a queste situazioni che il Papa "ha indetto il presente Anno sacerdotale - ha proseguito padre Cantalamessa -. Lo dice apertamente nella lettera di indizione: "Ci sono purtroppo anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l'infedeltà di alcuni suoi ministri. È il mondo a trarre allora motivo di scandalo e di rifiuto"". Ma il Papa non si è fermato a questo e il cappuccino lo ha ricordato: "Ciò che massimamente può giovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio, concretizzato in splendide figure di generosi pastori, di religiosi, ardenti di amore per Dio e per le anime".

Naturalmente, ha proseguito, la rilevazione delle debolezze umane del sacerdote "va fatta, anch'essa, per rendere giustizia alle vittime e la Chiesa ora lo riconosce e l'attua come meglio può, ma va fatta in altra sede e, in ogni caso, non è da essa che verrà lo slancio per un rinnovamento del ministero sacerdotale". E ha citato san Francesco quando parlava della gloria dei ministri della Nuova Alleanza dello Spirito "immensamente più alta di quella antica". Si tratta di una gloria che "non viene dagli uomini e non può essere distrutta dagli uomini".

Concludendo padre Cantalamessa ha riproposto come attuale il profilo del sacerdote cattolico così come descritto dal domenicano Henri Dominique Lacordaire, teologo francese, per il quale il sacerdote deve "vivere in mezzo al mondo senza alcun desiderio per i suoi piaceri; essere membro di ogni famiglia, senza appartenere ad alcuna di esse; condividere ogni sofferenza, essere messo a parte di ogni segreto, guarire ogni ferita; andare ogni giorno dagli uomini a Dio per offrirgli la loro devozione e tornare da Dio agli uomini per portare a essi il suo perdono e la sua speranza; avere un cuore d'acciaio per la castità e di carne per la carità".


(©L'Osservatore Romano - 12 dicembre 2009)


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La luce e il volto dell'Incarnazione negli inni dell'Avvento
Si schiude la Porta al Re della storia


di mons. Inos Biffi

Tutta la grazia di Maria si rivela quando si compie il mistero della sua divina maternità e viene alla luce "la Parola della salvezza (...) generata dalle labbra del Padre" e accolta nel suo "grembo illibato (casto viscere)".

La divina maternità - in cui è racchiusa tutta la ragione dell'esserci della "Vergine beata" - non è un merito che Maria possa ascrivere a sé, ma il segno sorprendente che, per l'"etterno consiglio" (Paradiso, xxxiii, 3), essa è "da sempre l'immensamente amata" (Luca, 1, 28), e per questo l'angelo Gabriele la invita alla smisurata gioia messianica.

L'incarnazione in lei del Verbo del Padre è tutto dono divino e pura opera dello Spirito Santo. Secondo il canto dell'inno: "L'arcana virtù dello Spirito / è nube che avvolge e ti cela: / ti rende mistero fecondo, / dimora del Figlio di Dio".
Maria convive il Natale con Cristo, sperimentandolo nell'intimo della sua verginale esperienza materna e nella sua profonda obbedienza di fede, dove inizia il miracolo della concezione di Gesù.
Essa è "la porta beata", che solo si schiude al Re della gloria (Haec est sacrati ianua / templi serata iugiter, / soli supremo Principi / pandens beata limina).

D'altronde, la nascita del Figlio di Dio non giunge inattesa: essa compie un'antica promessa e avvera l'annunzio dell'angelo fatto a Maria: "Colui che, nato prima dell'aurora, / era stato promesso un tempo ai vati / e che Gabriele annunzia / discende Signore sulla terra (Olim promissus vatibus, / natus ante luciferum, / quem Gabriel annuntiat, / terris descendit Dominus)".

Possiamo anzi dire che tutta la storia è sorta proprio affinché Cristo si manifestasse e che dal desiderio della sua apparizione, se pur inconsapevolmente, essa fu sempre attraversata.
Ai pastori il Natale verrà annunziato da un angelo del Signore come fonte di "una grande gioia" (Luca, 2, 20): è sempre la gioia messianica, e il nostro inno invita a prendervi parte tutta la schiera degli angeli - chiamati all'esistenza perché fossero a solerte e gioioso servizio di Cristo - e tutti i popoli della terra, che in lui sono finalmente redenti: "Stupisca e si allieti la schiera degli angeli, / si allietino i popoli tutti: / l'Altissimo viene tra i piccoli, / si china sui poveri e salva (Laetentur simul angeli, / omnes exsultent populi: / excelsus venit humilis / salvare quod perierat)".

Se questo inno prenatalizio - ritmico, di fattura composita, di autore ignoto e risalente almeno al secolo X - non può vantarsi di essere eccelso per poesia, ha però il lodevole pregio di essere ricco di dogma e di teologia e di fissare un'intensa meditazione sull'avvenimento più ineffabile: quello di Dio che si fa uomo per noi.

A gran voce annunciano l'Atteso

Iprofeti a gran voce annunziano, Magnis prophetae vocibus. Gesù non arriva d'improvviso. La sua apparizione è attesa. Adamo è appena tristemente caduto, che già l'avvento di un Salvatore è misericordiosamente annunziato (Genesi, 3, 15). A questo scopo sarà eletta la stirpe di Abramo. Il Redentore nascerà in seno a quella stirpe, e il succedersi delle sue generazioni ne sarà il simbolo e la predizione. La storia d'Israele sarà, così, una storia di attesa e di speranza, e a tenerle vive e ferventi saranno suscitati da Dio i profeti, finché essa verrà compiuta con la nascita di Cristo, e la grazia trapasserà da lui a tutte le genti.

A cantare questa attesa e questa speranza, nei giorni immediatamente prenatalizi, è l'inno di Lodi Magnis prophetae vocibus - di autore ignoto e di secolo incerto: "Acclamano, a gran voce, i profeti / che Cristo sta per venire, / preludendo la grazia della lieta salvezza / con cui ci ha redenti".

Al risonare di questi antichi e fedeli presagi di gloria, la luce inonda le prime ore di preghiera, e l'anima si accende di esultanza - "Risplende il nostro mattino / e i nostri cuori si gonfiano di gioia (Hinc mane nostrum promicat / et corda læta exaestuant)": la gioia, perché il Signore non è venuto a punire, ma a detergere pietosamente le ferite, riscattando ciò che era perduto (venit sed ulcus tergere, / salvando quod perierat).

Ma la memoria della prima venuta ci preavverte che un altro avvento è imminente e che "Cristo è alle porte (adesse Christum ianuis)", "per coronare i suoi santi / e aprire il regno dei cieli".
Ora ci viene promessa una "luce senza tramonto e un astro che salva (Aeterna lux promittitur / sidusque salvans promitur)"; anzi, un "raggio lucentissimo già ci chiama al tribunale del cielo" (iam nos iubar praefulgidum / ad ius vocat caelestium).
Così, la pacata e fiduciosa letizia del tempo di Avvento non è disgiunta dal pensiero e dal trepido timore dell'ultimo giudizio di Cristo Signore.

E, pure, proprio a lui sale la nostra accorata invocazione: con ardore appassionato lo imploriamo di poter contemplare finalmente il suo volto divino (Te, Christe, solum quaerimus / videre, sicut es Deus), e di trovare in "questa eterna visione" il nostro "perenne cantico di lode (ut perpes haec sit visio / perenne laudis canticum)".
Il volto di Gesù, su cui rifulge lo "splendore della gloria del Padre", sarà la fonte inesausta della nostra beatitudine, che la luminosa Natività temporale del Verbo già largamente ci anticipa.


(©L'Osservatore Romano - 13 dicembre 2009)



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Domani Benedetto XVI visita i ricoverati nell'hospice Fondazione Roma Sacro Cuore

Solidarietà e condivisione
con il mondo della sofferenza


"Difficilmente i nostri ospiti sono in grado di capire cosa accade quotidianamente attorno a loro. Dunque soltanto tre malati possono condividere con noi l'emozione dell'attesa dell'arrivo del Papa in una realtà piccola come la nostra".

Alberto Caratelli, direttore della Fondazione Roma - Hospice Sla e Alzheimer, anticipa in qualche modo l'atmosfera che Benedetto XVI si troverà davanti quando domani mattina, domenica 13 dicembre, si soffermerà tra le stanzette dell'ex Hospice Sacro Cuore (la nuova denominazione è stata assunta solo lo scorso mese di novembre). Si troverà accanto a trenta persone neppure in grado di riconoscere quanti li assistono ventiquattro ore al giorno, per accompagnarle amorevolmente verso una serena conclusione della parabola terrena della loro vita.

Si troverà anche accanto a quei tre che lo aspettano con emozione e che, non avendo null'altro da offrirgli, hanno chiesto di poter essere fotografati con il Papa e di lasciargli le loro istantanee a ricordo dell'incontro. "È un gesto molto significativo - ci ha spiegato il direttore - poiché da quando li ha colpiti la sclerosi laterale amiotrofica che ha devastato i loro corpi, non hanno mai più voluto farsi riconoscere né essere fotografati. Lo faranno solo per rendere omaggio a Benedetto XVI".

Sarà comunque una giornata speciale quella che vivranno i trentatré ricoverati nell'hospice. Si tratta di malati terminali, di persone affette da sclerosi laterale amiotrofica e di anziani colpiti dall'Alzheimer, dove dalla cura della malattia si è passati alla cura del malato. Un passaggio fondato sulla sensibilità di chi ha creduto fermamente nella validità del progetto, pensato poco più di una decina di anni fa da Marcello Sacchetti, allora presidente del Circolo San Pietro, e realizzato grazie al sostegno del presidente dell'allora fondazione Cassa di Risparmio di Roma, Emmanuele Emanuele.

Il Circolo San Pietro, è noto, dal 1869, anno della fondazione, ha sempre avuto a cuore la situazione dei più poveri, dei più miseri, degli abbandonati da tutti. Nella costante volontà di raggiungere i sofferenti ovunque si trovassero, Sacchetti rivolse la sua attenzione ai malati terminali. L'intento era quello di restituire dignità a quanti, schiacciati dalla sofferenza, sembravano voler desiderare la morte come liberazione dal dolore, dando così ingiustificata ragione ai fautori dell'eutanasia. Nel 1998 ricoverò i primi tre malati terminali e dette ufficialmente vita all'hospice per malati terminali, intitolato significativamente al Sacro Cuore. In quegli anni in Italia di strutture simili ne esistevano forse due o tre. A Roma era la prima in assoluto.

Sin dall'inizio i volontari del Circolo affiancarono medici e infermieri che si prendevano cura di quei primi ospiti, dispensando, con le prime cure palliative, carezze, gesti e sguardi carichi di amore e di solidarietà, mai di compassione. Sta proprio in questa collaborazione tra medici palliativisti, psico-oncologi, infermieri e volontari il tratto caratteristico di queste strutture, pensate per la prima volta in Inghilterra nell'intento di alleviare il più possibile le sofferenze dei moribondi.
 
Ben presto l'hospice Sacro Cuore divenne un punto di riferimento nella sanità romana. Aumentarono le capacità ricettive sino a raggiungere la possibilità di ricoverare gli attuali trentatré ospiti. A questi però "vanno ad aggiungersi quotidianamente - ci ha detto il direttore - venti malati di Alzheimer che seguiamo in day hospital, 120 malati terminali intrasportabili e che dunque seguiamo a domicilio, come a domicilio assistiamo altri cinquanta malati di Alzheimer e sei di sclerosi laterale amiotrofica".
L'importanza di simili strutture sta nella testimonianza che offrono quanti - personale sanitario, familiari, volontari e spesse volte gli stessi malati - danno vita e forma alla comunità dell'hospice. E non si tratta solo di accompagnare serenamente verso il termine ultimo della vita naturale una persona cara.
 
C'è anche da restituire dignità a quanti vengono colpiti da malattie invalidanti, anche quelle che non comportano un immediato pericolo di vita. Di sclerosi laterale amiotrofica si è parlato spesso in questi ultimi anni, non fosse altro perché è una sindrome che ha colpito anche più o meno noti calciatori. Dal 2004 al 2008 è risultato che su trentamila calciatori presi in esame sono stati accertati quarantatré casi di Sla, dato che è di quasi 24 volte superiore al riscontrabile nella popolazione normale. Si tratta di una patologia rara, le cui cause sono a tutt'oggi sconosciute. Colpisce il sistema nervoso, in particolare i cosiddetti neuroni di moto, tra la corteccia cerebrale, il tronco encefalico e il midollo spinale. Le conseguenze sono drammatiche perché non lascia alcuna via di scampo.
 
Stesso discorso per l'altra grave patologia di cui l'hospice si occupa, l'Alzheimer. In alcuni consessi scientifici per definire la malattia con uno slogan usano il termine "la mente rubata". Efficacissimo tra l'altro per definire una patologia che comporta il disturbo della fase cognitiva dell'individuo, fino a coinvolgere, in maniera distruttiva, la memoria a medio e a lungo termine. Ne conseguono incapacità di orientamento spazio-temporale, mutamento progressivo della personalità sino a diventare a volte aggressiva, a volte paranoica, a volte depressa, o esplosiva. Si tratta di una malattia sempre più invadente nella società internazionale. Per averne un'idea basti pensare che, secondo proiezioni presentate nel settembre scorso alla XVI giornata mondiale Alzheimer, celebrata a Milano, nel 2010 nel mondo ci saranno trentacinque milioni di persone malate di Alzheimer o di altre forme di demenza, con un aumento del 10 per cento sulle previsioni fatte dalla rivista scientifica "The Lancet" nel 2005. E, sempre stando ai dati diffusi nella Giornata, il numero di questi malati è destinato a raddoppiare ogni venti anni.

Limitandoci all'Europa, attualmente su 7,5 milioni di malati di demenza, il 60 per cento soffrirebbe di Alzheimer.
Si tratta di dati inquietanti, anche se "quello che si ritiene un indice di aumento della malattia nel mondo contemporaneo - ci ha detto Stefano Zuccaro, già presidente della Società italiana geriatri ospedalieri - può essere dovuto semplicemente all'aumento dell'età media delle persone. Bisogna anche considerare che in questi ultimi anni si è molto affinata la nostra capacità di diagnosi, per cui molti dei casi che prima si classificavano genericamente come demenza senile, oggi vengono classificati come casi di Alzheimer".

In effetti in una nota a margine dei dati resi noti dalla Giornata di settembre, si legge che "gli scienziati ritengono che questo incremento percentuale sia dovuto a più fattori, non ultima la disponibilità per la prima volta di dati pervenuti da nazioni a basso e medio sviluppo economico. Non a caso le stime di crescita negli Stati Uniti d'America sono in linea con le previsioni, mentre quelle riferite all'Asia del sud e all'America Latina sono superiori". È comunque una patologia estremamente invalidante, con dirette e gravi conseguenze naturalmente anche sulle famiglie. Colpisce soprattutto le persone anziane, anche se "non sono poi rari - ci ha detto ancora Zuccaro - i casi di persone che contraggono il morbo ancora prima dei sessantacinque anni".

(mario ponzi)



Domenica 27 il Papa a pranzo
con i poveri di Roma

Benedetto XVI a pranzo con i poveri di Roma: accadrà domenica 27 dicembre, in occasione della festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, quando il Papa si recherà alle ore 13 presso la Comunità di Sant'Egidio, nella sede di via Dandolo 10. Parteciperanno all'inedito appuntamento con il Pontefice gli indigenti assistiti dalla Comunità nel quartiere romano di Trastevere.







(©L'Osservatore Romano - 13 dicembre 2009)
[Modificato da Caterina63 12/12/2009 18:50]
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13/12/2009 22:43
 
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Benedizione dei Bambinelli in san Pietro

Dopo la visita alla Fondazione Hospice per i pmalati terminali e di Alzheimer
Fondazione Roma, (clicca nel link) alle ore 12 il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
In questa III Domenica di Avvento sono presenti tra gli altri i bambini del Centro Oratori Romani, per la benedizione dei "Bambinelli", le statuine di Gesù Bambino che i ragazzi metteranno nei presepi delle famiglie, delle scuole e delle parrocchie.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Siamo ormai alla terza domenica di Avvento. Oggi nella liturgia riecheggia l’invito dell’apostolo Paolo: "Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti … il Signore è vicino!" (Fil 4,4-5). La madre Chiesa, mentre ci accompagna verso il santo Natale, ci aiuta a riscoprire il senso e il gusto della gioia cristiana, così diversa da quella del mondo. In questa domenica, secondo una bella tradizione, i bambini di Roma vengono a far benedire dal Papa le statuine di Gesù Bambino, che porranno nei loro presepi.
E, infatti, vedo qui in Piazza San Pietro tanti bambini e ragazzi, insieme con i genitori, gli insegnanti e i catechisti. Carissimi, vi saluto tutti con grande affetto e vi ringrazio di essere venuti. È per me motivo di gioia sapere che nelle vostre famiglie si conserva l’usanza di fare il presepe. Però non basta ripetere un gesto tradizionale, per quanto importante. Bisogna cercare di vivere nella realtà di tutti i giorni quello che il presepe rappresenta, cioè l’amore di Cristo, la sua umiltà, la sua povertà. È ciò che fece san Francesco a Greccio: rappresentò dal vivo la scena della Natività, per poterla contemplare e adorare, ma soprattutto per saper meglio mettere in pratica il messaggio del Figlio di Dio, che per amore nostro si è spogliato di tutto e si è fatto piccolo bambino.

La benedizione dei "Bambinelli" – come si dice a Roma – ci ricorda che il presepio è una scuola di vita, dove possiamo imparare il segreto della vera gioia. Questa non consiste nell’avere tante cose, ma nel sentirsi amati dal Signore, nel farsi dono per gli altri e nel volersi bene. Guardiamo il presepe: la Madonna e san Giuseppe non sembrano una famiglia molto fortunata; hanno avuto il loro primo figlio in mezzo a grandi disagi; eppure sono pieni di intima gioia, perché si amano, si aiutano, e soprattutto sono certi che nella loro storia è all’opera Dio, il Quale si è fatto presente nel piccolo Gesù. E i pastori? Che motivo avrebbero di rallegrarsi? Quel Neonato non cambierà certo la loro condizione di povertà e di emarginazione. Ma la fede li aiuta a riconoscere nel "bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia", il "segno" del compiersi delle promesse di Dio per tutti gli uomini "che egli ama" (Lc 2,12.14), anche per loro!

Ecco, cari amici, in che cosa consiste la vera gioia: è il sentire che la nostra esistenza personale e comunitaria viene visitata e riempita da un mistero grande, il mistero dell’amore di Dio. Per gioire abbiamo bisogno non solo di cose, ma di amore e di verità: abbiamo bisogno di un Dio vicino, che riscalda il nostro cuore, e risponde alle nostre attese profonde. Questo Dio si è manifestato in Gesù, nato dalla Vergine Maria. Perciò quel Bambinello, che mettiamo nella capanna o nella grotta, è il centro di tutto, è il cuore del mondo. Preghiamo perché ogni uomo, come la Vergine Maria, possa accogliere quale centro della propria vita il Dio che si è fatto Bambino, fonte della vera gioia.



DOPO L’ANGELUS

Mentre ringrazio il Centro Oratori Romani, che ha organizzato la manifestazione dei "Bambinelli", desidero anche ricordare che oggi nella Diocesi di Roma ricorre la "Giornata per le nuove chiese". Infatti, nella nostra città, vi sono comunità che non dispongono di un adeguato luogo di culto, dove abita il Signore con noi, e di strutture per le attività formative. Rinnovo pertanto a tutti l’invito a contribuire, affinché possano essere presto realizzati i centri pastorali necessari. Grazie della vostra generosità!

Questa settimana mi sono giunte tristi notizie da alcuni Paesi dell’Africa circa l’uccisione di quattro missionari. Si tratta dei Sacerdoti Padre Daniel Cizimya, Padre Louis Blondel e Padre Gerry Roche e di Suor Denise Kahambu. Sono stati fedeli testimoni del Vangelo, che hanno saputo annunciare con coraggio, anche a rischio della propria vita. Mentre esprimo vicinanza ai familiari e alle comunità che sono nel dolore, invito tutti ad unirsi alla mia preghiera perché il Signore li accolga nella Sua Casa, consoli quanti ne piangono la scomparsa e porti, con la Sua venuta, riconciliazione e pace.

 Sorriso

ATTENZIONE..... PER TROVARCI INSIEME DAVANTI AL PRESEPE CHE VI INVITIAMO A PREPARARE NELLE VOSTRE CASE....ECCO CHE NEL LINK A SEGUIRE TROVERETE DELLE NOVENE PER TROVARCI INSIEME ANCHE NELLA PREGHIERA:

Dal 16 al 24 Dicembre Novena per il Santo Natale (PREPARIAMO IL PRESEPE)









[Modificato da Caterina63 13/12/2009 23:33]
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16/12/2009 19:53
 
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Madre Teresa un modello da imitare
Messaggio al Paese dei vescovi albanesi



Tirana, 16. L'invito ai cattolici a vedere nel Bambino che nasce "la nascita dell'uomo nuovo", a pregare e ad accompagnare i sacerdoti nel loro compito e a guardare a Madre Teresa di Calcutta come "a un esempio di rispetto per la vita e di attenzione verso i più bisognosi"; l'invito infine alla classe politica "affinché trovi la via del dialogo per la soluzione dei problemi".

Si divide in quattro parti il messaggio di Natale e per il nuovo anno rivolto dalla Conferenza episcopale albanese ai fedeli "e a tutti gli uomini di buona volontà", impegnati nella vita politica, economica, sociale e culturale del Paese. "Accettate questa verità per l'uomo - scrivono i vescovi nel messaggio di cui il Sir ha diffuso una sintesi - la verità rivelata nel nascondimento, nel silenzio e nella semplicità della notte di Natale. E la verità è questa:  non ci può essere l'uomo senza Dio. L'uomo non può negare Dio senza negare se stesso".

In occasione dell'Anno sacerdotale, i presuli albanesi chiedono ai fedeli di pregare per i sacerdoti, "affinché rafforzati dal Signore diventino santi sacerdoti", e per le nuove vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. I presbiteri a loro volta devono essere "annunciatori del Vangelo, proclamando la Parola prima di tutto con l'esempio della vostra vita". Madre Teresa di Calcutta, della quale nel 2010 ricorre il centesimo anniversario della nascita, è figura che deve servire da esempio, perché "ha ricordato alla società anonima di oggi la dignità insostituibile della persona umana".

L'ultima parte del messaggio - come sottolineato dal portavoce della Conferenza episcopale, don Gjergj Meta - contiene un appello ai politici affinché scelgano la via del dialogo per dirimere le loro controversie. "La polarizzazione politica, quando diventa causa di divisione, è un male che deve essere superato", affermano i vescovi, per i quali "l'amore per la patria deve superare ogni interesse dei partiti" e "l'impegno per il bene comune deve superare ogni ideologia politica". Indicando la convivenza pacifica tra le religioni quale esempio anche per la classe politica, i presuli invitano a cercare "ciò che è utile alla nostra popolazione" e a dimostrare "il dovuto rispetto gli uni per gli altri anche nel dibattito e nel confronto, senza usare un vocabolario offensivo, non adeguato a chi rappresenta il popolo. Le persone hanno il diritto di vedere in voi un modello di comportamento", conclude la Chiesa albanese.


(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2009)


ATTENZIONE..... PER TROVARCI INSIEME DAVANTI AL PRESEPE CHE VI INVITIAMO A PREPARARE NELLE VOSTRE CASE....ECCO CHE NEL LINK A SEGUIRE TROVERETE DELLE NOVENE PER TROVARCI INSIEME ANCHE NELLA PREGHIERA:

Dal 16 al 24 Dicembre Novena per il Santo Natale (PREPARIAMO IL PRESEPE)

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Cari amici,

Vi invito a leggere questo post sulla Kalenda di Fr. A.R. (Cantuale Antonianum)

Con la pubblicazione del nuovo Martirologio Romano, l'ultimo dei libri liturgici editi nel post-concilio, è uscito anche - seppur non ne ha parlato quasi nessuno - il testo ritoccato della Kalenda, cioè dell'annuncio del Natale che si legge alla data del 25 Dicembre nel suddetto Martirologio. Una splendida ricapitolazione dell'attesa universale del giorno ormai giunto, del compimento dell'Avvento del Signore.
Faceva anticamente parte dell'Ufficio di Prima, poi soppresso. A Roma il papa la fa leggere prima della Messa della Notte, e in tutte le chiese è cosa buona e giusta cantarla prima della Messa, magari come degna conclusione della veglia che solitamente precede la Celebrazione Eucaristica della Notte Santa. Ho notato che qualche anno fa - vedendo i libretti delle messe pontificie - la Kalenda veniva cantata nella Messa, tra i riti iniziali, ma con il nuovo Marini è stata rimessa al suo posto, ossia prima ancora del canto d'ingresso, come annuncio che aleggia nel silenzio e si compie con la processione dell'introito. Questa processione, nella simbologia mistica della celebrazione eucaristica, evoca la memoria dell'ingresso di Cristo nel mondo, quanto mai appropriato il sottolinearla nella notte di Natale.
Vi propongo i due testi, vecchio e nuovo, in specularità. Vedete che i cambiamenti sono nella cronologia: si è passati da quella medievale ad una più accettabile dalla razionalità scientifica e in linea con le acquisizioni dell'esegesi biblica. Questa volta, mi pare, l'aggiornamento è dovuto e il risultato positivo: ripetere che il mondo è stato creato 5199 anni prima della nascita di Cristo, oggi sarebbe un tantino sconveniente, meglio sfumare sulla data del big bang, proclamando "innumerevoli secoli".

Octavo Kalendas Ianuarii                                   
Anno a creatione mundi, quando in principio Deus creavit cœlum et terram, quinquies millesimo centesimo nonagesimo nono:
A diluvio autem, anno bis millesimo nongentesimo quinquagesimo septimo:
A nativitate Abrahæ, anno bis millesimo quintodecimo:
A Moyse et egressu populi Israël de Ægypto, anno millesimo quingentesimo decimo:
Ab unctione David in Regem, anno millesimo trigesimo secundo;
Hebdomada sexagesima quinta, iuxta Danielis prophetiam:
Olympiade centesima nonagesima quarta:
Ab urbe Roma condita, anno septingentesimo quinquagesimo secundo:
Anno Imperii Octaviani Augusti quadragesimo secundo,
toto Orbe in pace composito, sexta mundi ætate, Iesus Christus æternus Deus, æternique Patris Filius, mundum volens adventu suo piissimo consecrare, de Spiritu Sancto conceptus, novemque post conceptionem decursis mensibus, in Bethlehem Iudæ nascitur ex Maria Virgine factus Homo.
Nativitas Domini nostri Iesu Christi secundum carnem.
   
Octavo Kalendas Ianuarii, Luna decima,
innumeris transactis saeculis a creatione mundi, quando in principio Deus creavit caelum et terram, et hominem formavit ad imaginem suam;
permultis etiam saeculis ex quo post diluvium Altissimus in nubibus arcum posuerat signum foederis et pacis;
a migratione Abrahae, patris nostri in fide, de Ur Chaldaeorum saeculo vigesimo primo;
ab egressu populi Israël de Aegypto, Moyse duce, saeculo decimo tertio;
ab unctione David in regem anno circiter millesimo;
hebdomada sexagesima quinta iuxta Danielis prophetiam;
Olympiade centesima nonagesima quinta;
ab Urbe condita anno septingentesimo quinquagesimo secundo;
anno imperii Caesaris Octaviani Augusti quadragesimo secundo,
toto orbe in pace composito, Iesus Christus, aeternus Deus aeternique Patris Filius, mundum volens adventu suo piissimo consecrare, de Spiritu Sancto conceptus novemque post conceptionem decursis mensibus in Bethlehem Iudae nascitur ex Maria Virgine factus homo.
Nativitas Domini nostri Iesu Christi secundum carnem!

Traduzione del testo attuale:
Trascorsi molti secoli dalla creazione del mondo, quando in principio Dio aveva creato il cielo e la terra e aveva fatto l’uomo a sua immagine;
e molti secoli da quando, dopo il diluvio, l’Altissimo aveva fatto risplendere l’arcobaleno, segno di alleanza e di pace;
ventuno secoli dopo la partenza da Ur dei Caldei di Abramo, nostro padre nella fede;
tredici secoli dopo l’uscita di Israele dall’Egitto sotto la guida di Mosè;
circa mille anni dopo l’unzione di Davide quale re di Israele;
nella sessantacinquesima settimana,secondo la profezia di Daniele;
all’epoca della centonovantaquattresima Olimpiade;
nell’anno 752 dalla fondazione di Roma;
nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano Augusto;
quando in tutto il mondo regnava la pace, Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua venuta, essendo stato concepito per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo:
Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la natura umana.

Gli indefessi lavoratori del sito americano Musica Sacra ci propongono, poi, l'intera Kalenda con la notazione gregoriana per la sua esecuzione natalizia. C'è tempo per impararla. Chissà se il nostro amico Giovanni Vianini riesce a farcene un video al volo, prima del 24?

http://musicasacra.com/pdf/kalenda2009.pdf


Link: http://antoniodipadova.blogspot.com/2009/12/le-variazioni-alla-cronologia.html   

da: Musicus Philologus
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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19/12/2009 07:52
 
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Cristo è l’unigenito Figlio di Dio



Ancora quando senti «Figlio », non intenderlo solo in senso generico, ma come Figlio vero, Figlio per natura, senza principio, che non è giunto da una condizione servile alla promozione dell’adozione, ma che è sempre stato Figlio, generato attraverso una generazione imperscrutabile e incomprensibile. E ugualmente sentendo che egli è primogenito, non credere che sia tale secondo gli uomini. Infatti i primogeniti degli uomini hanno anche altri fratelli.

Fin dall’inizio Cristo fu generato Figlio del Padre, essendo superiore a ogni principio e ai secoli, Figlio del Padre, in tutto simile a colui che lo ha generato: eterno da Padre eterno, generato come vita da vita, luce da luce, verità da verità, sapienza da sapienza, re da re, Dio da Dio e potenza da potenza.


Cirillo di Gerusalemme, Catechesi prebattesimali 11,4

[SM=g1740738] [SM=g1740750] [SM=g1740720]
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20/12/2009 16:00
 
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Le grandi antifone
dell'Avvento
dagli scritti di Dom Prosper Guérager O.S.B, Abate di Solesmes (1805-1875)

17 DICEMBRE
INIZIO DELLE GRANDI ANTIFONE

La Chiesa apre oggi la serie settenaria dei giorni che precedono la Vigilia di Natale, e che sono celebrati nella Liturgia con il nome di Ferie maggiori. L'Ufficio ordinario dell'Avvento assume maggiore solennità; le Antifone dei Salmi, alle Laudi e alle Ore del giorno, sono proprie del tempo e hanno un rapporto diretto con la grande Venuta. Tutti i giorni, ai Vespri, si canta una grande Antifona che è un grido verso il Messia e nella quale gli si dà ogni giorno qualcuno dei titoli che gli sono attribuiti nella Scrittura.

Il numero di queste Antifone, che sono dette comunemente antifone O dell'Avvento, perché cominciano tutte con questa esclamazione è di sette nella Chiesa romana, una per ciascuna delle sette Ferie maggiori, e si rivolgono tutte a Gesù Cristo. Altre Chiese, nel medioevo, ne aggiunsero ancora due: una alla Santissima Vergine, O Virgo Virginum! e una all'Angelo Gabriele, O Gabriel! Oppure a san Tommaso, la cui festa cade nel corso delle Ferie maggiori. Quest'ultima comincia così: O Thomas Didime! (i). Vi furono anche delle Chiese che portarono fino a dodici il numero delle grandi Antifone, aggiungendone alle nove di cui abbiamo parlato altre tre, e cioè: una a Cristo, O Rex pacifice! una seconda alla Santissima Vergine, O mundi Domina! e infine un'ultima a mo' d'apostrofe a Gerusalemme, O Hierusalem!
Il momento scelto per far ascoltare questo sublime appello alla carità del Figlio di Dio è l'ora dei Vespri, perché è alla sera del mondo, vergente mundi vespere, che è venuto il Messia. Si cantano al Magnificat, per denotare che il Salvatore che aspettiamo ci verrà. da Maria. Si cantano due volte, prima e dopo il Cantico, come nelle feste Doppie, in segno della maggiore solennità; ed era anche antica usanza di parecchie Chiese cantarle tre volte, cioè prima del Cantico stesso, prima del Gloria Patri e dopo il Sicut erat. Infine, queste meravigliose Antifone che contengono tutto il midollo della Liturgia dell'Avvento, sono adorne d'un canto armonioso e pieno di gravità, e le diverse Chiese hanno conservato l'usanza di accompagnarle con una pompa tutta speciale, le cui manifestazioni sempre espressive variano secondo i luoghi. Entriamo nello Spirito della Chiesa e riceviamole per unirci, con tutta l'effusione del nostro cuore, alla stessa santa Chiesa, allorché fa sentire al suo Sposo questi ultimi e teneri inviti ai quali egli infine si arrende.

(1) Quest'antifona è più moderna; ma a partire dal XIII secolo sostituì quasi universalmente quella: O Gabriel! Il lettore intelligente saprà cogliere la sostanza di queste riflessioni, nonostante calendario e rubriche siano ó in questo caso - leggermente cambiate.

17 DICEMBRE - I ANTIFONA

O Sapienza, che sei uscita dalla bocca dell'Altissimo, che attingi l'uno e l'altro estremo, e disponi di tutte le cose con forza e dolcezza: vieni ad insegnarci le vie della prudenza.

O Sapienza increata che presto ti renderai visibile al mondo, come si vede bene in questo momento che tu disponi tutte le cose! Ecco che, con il tuo divino permesso, è stato emanato un editto dell'imperatore Augusto per fare il censimento dell'universo. Ognuno dei cittadini dell'Impero deve farsi registrare nella sua città d'origine. Il principe crede nel suo orgoglio di aver mosso a suo vantaggio tutto il genere umano. Gli uomini si agitano a milioni sul globo, e attraversano in ogni senso l'immenso mondo romano; pensano di obbedire a un uomo, e obbediscono invece a Dio. Tutto quel grande movimento non ha che uno scopo: di condurre cioè a Betlemme un uomo e una donna che hanno la loro umile dimora in Nazareth di Galilea, perché quella donna sconosciuta dagli uomini e amata dal cielo, giunta al termine del nono mese dalla. concezione del suo figliuolo, dia alla luce a Betlemme il figlio di cui il Profeta ha detto: "La sua origine è fin dai giorni dell'eternità; o Betlemme, tu non sei affatto la più piccola fra le mille città di Giuda, poiché da te appunto egli uscirà". O sapienza divina, quanto sei forte, per giungere così ai tuoi fini in un modo insuperabile per quanto nascosto agli uomini! Quanto sei dolce, per non fare tuttavia alcuna violenza alla loro libertà! Ma quanto sei anche paterna nella tua premura per i nostri bisogni i Tu scegli Betlemme per nascervi, perché Betlemme significa la Casa del Pane. Ci mostri con ciò che tu vuoi essere il nostro Pane, il nostro nutrimento, il nostro alimento di vita. Nutriti d'un Dio, d'ora in poi non morremo più. O Sapienza del Padre, Pane vivo disceso dal cielo vieni presto in noi, affinché ci accostiamo a te, e siamo illuminati dal tuo splendore; e dacci quella prudenza che conduce alla salvezza.

18 DICEMBRE - II ANTIFONA

O Adonai, Signore, capo della casa d'Israele, che sei apparso a Mosè nella fiamma del roveto ardente e gli hai dato la legge sul Sinai, vieni a ricattarci nella forza del tuo braccio.

O Supremo Signore, Adonai, vieni a riscattarci, non più nella tua potenza, ma nella tua umiltà. Una volta ti sei manifestato a Mosè, tuo servo, in mezzo ad una divina fiamma; hai dato la Legge al tuo popolo tra fulmini e lampi. Ora non è più tempo di spaventare, ma di salvare. Per questo la tua purissima Madre Maria, conosciuto, al pari dello sposo Giuseppe, l'editto dell'Imperatore che li obbligherà ad intraprendere il viaggio di Betlemme, si occupa dei preparativi della tua prossima nascita. Dispone per te, o divino Sole, gli umili panni che copriranno la tua nudità, e ti ripareranno dal freddo in questo mondo che tu hai fatto, nell'ora in cui apparirai nel profondo della notte e del silenzio. Così ci libererai dalla servitù dei nostro orgoglio, e il tuo braccio si farà sentire più potente quando sembrerà più debole e più immobile agli occhi degli uomini. Tutto è pronto, o Gesù! I tuoi panni ti attendono. Parti dunque presto e vieni a Betlemme, a riscattarci dalle mani del nostro nemico.

19 DICEMBRE - III ANTIFONA

O rampollo di Iesse, che sei come uno stendardo per i popoli; davanti al quale i re ammutoliranno e le genti offriranno le loro preghiere: vieni a liberarci, e non tardare.

Eccoti dunque in cammino, o Figlio di Iesse, verso la città dei tuoi avi. L'Arca del Signore s'è levata ed avanza, con il Signore che è in essa, verso il luogo del suo riposo. "Quanto sono belli i tuoi passi, o Figlia del Re, nello splendore dei tuoi calzari" (Cant 7,1), quando vieni a portare la salvezza alle città di Giuda! Gli Angeli ti scortano, il tuo fedele Sposo ti circonda di tutta la sua tenerezza, il cielo si compiace in te, e la terra trasalisce sotto il dolce peso del suo Creatore e della sua augusta Regina. Avanza, o Madre di Dio e degli uomini, Propiziatorio onnipotente in cui è racchiusa la divina Manna che preserva l'uomo dalla morte! I nostri cuori ti seguono e ti accompagnano, e al seguito del tuo Regale antenato, giuriamo "di non entrare nella nostra casa, di non salire sul nostro letto, di non chiudere le nostre palpebre e di non concederci riposo fino a quando non abbiamo trovato nei nostri cuori una dimora per il Signore che tu porti, una tenda per il Dio di Giacobbe". Vieni dunque, così velato sotto i purissimi fianchi dell'Arca santa, o rampollo di Iesse, finché ne uscirai per risplendere agli occhi del popolo, come uno stendardo di vittoria. Allora i re vinti taceranno dinanzi a te, e le genti ti rivolgeranno i loro omaggi. Affrettati, o Messia; vieni a vincere tutti i nostri nemici e liberaci!

2O DICEMBRE - IV ANTIFONA

O chiave di David e scettro della casa d'Israele, che apri, e nessuno può chiudere; che chiudi, e nessuno può aprire: vieni e trai dalla prigione il misero che giace nelle tenebre e nell'ombra della morte.

O figlio di David, erede del suo trono e della sua potenza, tu percorri, nella tua marcia trionfale, una terra sottomessa un tempo al tuo avo, e oggi asservita dai Gentili. Riconosci da ogni parte, sul tuo cammino, tanti luoghi testimoni delle meraviglie della giustizia e della misericordia di Dio tuo Padre verso il suo popolo, nel tempo di quell'antica Alleanza che volge verso la fine. Presto, tolta la virginea nube che ti ricopre, intraprenderai nuovi viaggi su quella stessa terra, vi passerai beneficando e guarendo ogni languore ed ogni infermità, e tuttavia senza avere dove posare il capo. Oggi almeno il seno materno ti offre ancora un asilo dolce e tranquillo, nel quale non ricevi che le testimonianze dell'amore più tenero e più rispettoso. Ma, o Signore, bisogna che tu esca da quel beato ritiro; bisogna che tu, o Luce eterna, risplenda in mezzo alle tenebre, poiché il prigioniero che sei venuto a liberare languisce nella sua prigione. Egli giace nell'ombra della morte, e vi perirà se non vieni prontamente ad aprirne le porte con la tua Chiave onnipotente! Il prigioniero, o Gesù, è il genere umano, schiavo dei suoi errori e dei suoi vizi. Vieni a spezzare il giogo che l'opprime e lo degrada! Il prigioniero è il nostro cuore troppo spesso asservito a tendenze che esso sconfessa. Vieni, o divino Liberatore, a riscattare tutto ciò che ti sei degnato di rendere libero con la tua grazia, e a risollevare in noi la dignità di fratelli tuoi.

O Gabriele, messaggero dei cieli, tu sei entrato da me a porte chiuse e mi hai detto quelle parole: Concepirai e partorirai un figlio e sarà chiamato Emmanuele!

21 DICEMBRE - V ANTIFONA


O Oriente, splendore della luce eterna! Sole di giustizia! Vieni, ed illumina coloro che giacciono nelle tenebre e nell'ombra della morte!

O divin Sole, o Gesù, tu vieni a strapparci alla notte eterna. sii per sempre benedetto! Ma come provi la nostra fede, prima di risplendere ai nostri occhi in tutta la tua magnificenza! Come ti compiaci di velare i tuoi raggi, fino all'istante segnato dal Padre tuo celeste, nel quale devi effondere tutti i tuoi fuochi! Ecco che attraversi la Giudea, ti avvicini a Gerusalemme, e il viaggio di Maria e Giuseppe volge al termine. Sul cammino, incontri una moltitudine di uomini che vanno in tutte le direzioni, e che si recano ciascuno alla sua città d'origine per soddisfare all'Editto del censimento. Di tutti quegli uomini nessuno pensa che tu gli sia vicino, o divino Oriente! Maria, Madre tua, è ritenuta una donna comune; tutt'al più, se notano la maestà e la modestia incomparabile dell'augusta regina, sentiranno vagamente lo stridente contrasto fra la suprema dignità e l'umile condizione; ma hanno presto dimenticato quel felice incontro. Se guardano con tanta indifferenza la madre, rivolgeranno forse un pensiero al figlio ancora racchiuso nel suo seno? Eppure quel figlio sei tu stesso, o Sole di giustizia! Accresci in noi la Fede, ma accresci anche l'amore. Se quegli uomini ti amassero, o liberatore dell'universo, tu ti faresti sentire ad essi; i loro occhi non ti vedrebbero ancora, ma almeno s'accenderebbe loro il cuore nel petto, ti desidererebbero e solleciterebbero il tuo arrivo con i loro voti e i loro sospiri. O Gesù, che attraversi così quel mondo che tu hai fatto, e che non forzi l'omaggio delle tue creature, noi vogliamo accompagnarti per il resto del tuo viaggio; baciamo sulla terra le orme benedette dei passi di colei che ti porta nel seno, e non vogliamo lasciarti fino a quando non siamo arrivati con te alla dolce Betlemme, a quella Casa del Pane in cui finalmente i nostri occhi ti vedranno, o Splendore eterno, nostro Signore e nostro Dio.

22 DICEMBRE - VI ANTIFONA

O re delle genti, oggetto dei loro desideri! Pietra angolare che riunisci in te i due popoli! Vieni e salva l'uomo che hai formato dal fango.

O Re delle genti! Tu ti avvicini sempre più a quella Betlemme in cui devi nascere. Il viaggio volge al termine, e la tua augusta Madre, che il dolce peso consola e fortifica, conversa senza posa con te lungo il cammino. Adora la tua divina maestà e ringrazia la tua misericordia; si rallegra d'essere stata scelta per la sublime missione di servire da Madre a un Dio. Brama e teme insieme il momento in cui finalmente i suoi occhi ti contempleranno. Come potrà renderti i servigi degni della tua somma grandezza, quando si ritiene l'ultima delle creature? Come ardirà sollevarti fra le braccia, stringerti al cuore, allattarti al suo seno mortale? Eppure, quando pensa che si avvicina l'ora in cui, senza cessare d'essere suo figlio, uscirai da lei ed esigerai tutte le cure della sua tenerezza, il suo cuore vien meno e mentre l'amore materno si confonde con l'amore che porta verso Dio, è sul punto di spirare in quella lotta troppo impari della fragile natura umana contro i più forti e i più potenti di tutti gli affetti riuniti in uno stesso cuore. Ma tu la sostieni, o Desiderato delle genti, perché vuoi che giunga al felice termine che deve dare alla terra il suo Salvatore, e agli uomini la Pietra angolare che li riunirà in una sola famiglia. Sii benedetto nelle meraviglie della tua potenza e della tua bontà, o divino Re, e vieni presto a salvarci, ricordandoti che l'uomo ti è caro poiché l'hai formato con le tue stesse mani. Oh, vieni, poiché l'opera tua è degenerata, è caduta nella perdizione, e la morte l'ha invasa: riprendila nelle tue potenti mani, rifalla, salvala, perché l'ami sempre, e non arrossisci della tua creazione.

O Re Pacifico, tu che sei nato prima dei secoli, affrettati ad uscire dalla porta d'oro: visita coloro che devi riscattare, e falli risalire al luogo donde il peccato li ha precipitati.

23 DICEMBRE - VII ANTIFONA


O Emmanuele, nostro Re e nostro Legislatore, attesa delle genti e loro salvatore, vieni a salvarci, Signore Dio nostro!

O Emmanuele, Re della Pace, tu entri oggi in Gerusalemme, la città da te scelta, perché è là che hai il tuo Tempio. Presto vi avrai la tua Croce e il tuo Sepolcro, e verrà il giorno in cui costituirai presso di essa il tuo terribile tribunale. Ora tu penetri senza rumore e senza splendore in questa città di David e di Salomone. Essa non è che il luogo del tuo passaggio, mentre ti rechi a Betlemme. Tuttavia Maria Madre tua e Giuseppe, suo sposo, non l'attraversano senza salire al Tempio per offrire al Signore i loro voti e i loro omaggi; e si compie allora, per la prima volta, l'oracolo del Profeta Aggeo il quale aveva annunciato che la gloria del secondo Tempio sarebbe stata maggiore di quella del primo. Quel Tempio, infatti, si trova in questo momento in possesso d'un'Arca d'Alleanza molto più preziosa di quella di Mosè, e soprattutto non paragonabile a nessun altro santuario e anche al cielo, per la dignità di Colui che essa racchiude. Vi è il Legislatore stesso, e non più soltanto la tavola di pietra su cui è scritta la Legge. Ma presto l'Arca vivente del Signore discende i gradini del Tempio, e si dispone a partire per Betlemme, dove la chiamano altri oracoli. Noi adoriamo, o Emmanuele, tutti i tuoi passi attraverso questo mondo, e ammiriamo con quanta fedeltà osservi quanto è stato scritto di te, affinché nulla manchi ai caratteri di cui devi essere dotato, o Messia, per essere riconosciuto dal tuo popolo. Ma ricordati che Sta per suonare l'ora, tutto è pronto per la tua Natività, e vieni a salvarci. Vieni, per essere chiamato non più soltanto Emmanuele, ma Gesù, cioè Salvatore.

O Gerusalemme, città del gran Dio, leva gli occhi intorno a te, e guarda il tuo Signore, poiché egli presto verrà a liberarti dalle tue catene.

24 DICEMBRE

Consideriamo la purissima Maria, sempre accompagnata dal suo fedele sposo Giuseppe, che esce da Gerusalemme e si dirige verso Betlemme. Essi vi giungono dopo alcune ore di cammino e, per obbedire al volere celeste, si recano alla sede del censimento secondo l'editto dell'Imperatore. Sul pubblico registro si nota così il nome dell'artigiano Giuseppe, falegname a Nazareth di Galilea; senza dubbio vi si aggiunge anche il nome della sposa Maria che l'ha accompagnato nel viaggio; forse è stata qualificata anche come donna incinta al nono mese: questo è tutto. O Verbo incarnato, agli occhi degli uomini, tu non sei dunque ancora un uomo? Visiti questa terra e vi sei sconosciuto; tuttavia tutto quel movimento, tutta l'agitazione che porta con sé il censimento dell'impero, non hanno altro scopo che di condurre Maria, Madre tua, a Betlemme per darti alla luce.
O Mistero ineffabile! Quanta grandezza in questa apparente bassezza! Tuttavia il sommo Signore non ha ancora toccato il fondo del suo abbassamento. Ha percorso le dimore degli uomini, e gli uomini non l'hanno ricevuto. Cercherà ora una culla nella stalla degli animali senza ragione: è qui che nell'attesa dei canti angelici, degli omaggi dei pastori e delle adorazioni dei Magi, troverà "il bue che conosce il suo Padrone, e l'asino che vien legato alla mangiatoia del suo Signore". O Salvatore degli uomini, o Emmanuele, o Gesù, anche noi ci recheremo alla stalla; non lasceremo compiersi solitaria e derelitta la nuova Nascita. A quest'ora, tu vai bussando alle porte di Betlemme, senza che gli uomini vengano ad aprirti, e dici alle anime, con la voce del divino Cantico: "Aprimi o sorella mia, amica mia, poiché il mio capo è pieno di rugiada e i miei capelli imbevuti delle gocce della notte". Noi non vogliamo che tu abbia a passare oltre la nostra dimora: ti supplichiamo di entrare, e ci teniamo vigilanti alla nostra porta. "Vieni dunque, o Signore Gesù, vieni".



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– 17 dicembre

O SAPIENTIA, quae ex ore Altissimi prodiisti,
attingens a fine usque ad finem fortiter suaviterque disponens omnia:
veni ad docendum nos viam prudentiae.

II – 18 dicembre

O ADONAI, dux domus Israel,
qui Moysi in igne flammae rubi apparuisti, et in Sina legem dedisti:
veni ad redimendum nos in brachio extenso.

III – 19 dicembre

O RADIX Iesse, qui stas in signum populorum,
super quem continebunt reges os suum, quem gentes deprecabuntur:
veni ad liberandum nos, iam noli tardare.

IV – 20 dicembre

O CLAVIS David et sceptrum domus Israel,
qui aperis, et nemo claudit; claudis, et nemo aperit:
veni et educ vinctum de domo carceris, sedentem in tenebris et umbra mortis.


V – 21 dicembre

O ORIENS, splendor lucis aeternae et sol iustitiae:
veni et illumina sedentem in tenebris et umbra mortis.

VI – 22 dicembre

O REX gentium et desideratus earum,
lapis angularis qui facis utraque unum:
veni et salva hominem quem de limo formasti.

VII – 23 dicembre

O EMMANUEL, rex et legifer noster,
expectatio gentium et salvator earum:
veni ad salvandum nos, Dominus Deus noster

[SM=g1740738]

Fraternamente CaterinaLD

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All'Angelus il Papa ricorda che il Natale non è una favola ma la risposta di Dio alle attese dell'umanità

Betlemme città simbolo
di una pace ricercata e attesa


Betlemme è "una città-simbolo della pace", anche se si tratta di una pace ancora "faticosamente ricercata e attesa":  lo ha sottolineato il Papa all'Angelus di domenica 20 dicembre, in piazza San Pietro. Ai fedeli Benedetto XVI ha richiamato il significato autentico del Natale come "risposta di Dio al dramma dell'umanità in cerca della vera pace".

Cari fratelli e sorelle!
Con la IV Domenica di Avvento, il Natale del Signore è ormai dinanzi a noi. La liturgia, con le parole del profeta Michea, invita a guardare a Betlemme, la piccola città della Giudea testimone del grande evento:  "E tu, Betlemme di Efrata, / così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, / da te uscirà per me / colui che deve essere il dominatore in Israele; / le sue origini sono dall'antichità, / dai giorni più remoti" (Mi 5, 1). Mille anni prima di Cristo, Betlemme aveva dato i natali al grande re Davide, che le Scritture concordano nel presentare come antenato del Messia.

Il Vangelo di Luca narra che Gesù nacque a Betlemme perché Giuseppe, lo sposo di Maria, essendo della "casa di Davide", dovette recarsi in quella cittadina per il censimento, e proprio in quei giorni Maria diede alla luce Gesù (cfr. Lc 2, 1-7). In effetti, la stessa profezia di Michea prosegue accennando proprio ad una misteriosa nascita:  "Dio li metterà in potere altrui - dice - / fino a quando partorirà colei che deve partorire; / e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d'Israele" (Mi 5, 2). C'è dunque un disegno divino che comprende e spiega i tempi e i luoghi della venuta del Figlio di Dio nel mondo. È un disegno di pace, come annuncia ancora il profeta parlando del Messia:  "Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, / con la maestà del nome del Signore, suo Dio. / Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande / fino agli estremi confini della terra. / Egli stesso sarà la pace!" (Mi 5, 3).

Proprio quest'ultimo aspetto della profezia, quello della pace messianica, ci porta naturalmente a sottolineare che Betlemme è anche una città-simbolo della pace, in Terra Santa e nel mondo intero. Purtroppo, ai nostri giorni, essa non rappresenta una pace raggiunta e stabile, ma una pace faticosamente ricercata e attesa. Dio, però, non si rassegna mai a questo stato di cose, perciò anche quest'anno, a Betlemme e nel mondo intero, si rinnoverà nella Chiesa il mistero del Natale, profezia di pace per ogni uomo, che impegna i cristiani a calarsi nelle chiusure, nei drammi, spesso sconosciuti e nascosti, e nei conflitti del contesto in cui si vive, con i sentimenti di Gesù, per diventare ovunque strumenti e messaggeri di pace, per portare amore dove c'è odio, perdono dove c'è offesa, gioia dove c'è tristezza e verità dove c'è errore, secondo le belle espressioni di una nota preghiera francescana.

Oggi, come ai tempi di Gesù, il Natale non è una favola per bambini, ma la risposta di Dio al dramma dell'umanità in cerca della vera pace. "Egli stesso sarà la pace!" - dice il profeta riferendosi al Messia. A noi spetta aprire, spalancare le porte per accoglierlo. Impariamo da Maria e Giuseppe:  mettiamoci con fede al servizio del disegno di Dio. Anche se non lo comprendiamo pienamente, affidiamoci alla sua sapienza e bontà. Cerchiamo prima di tutto il Regno di Dio, e la Provvidenza ci aiuterà. Buon Natale a tutti!

Al termine della preghiera il Papa ha salutato in diverse lingue i gruppi presenti.

Rivolgo un cordiale saluto al personale de L'Osservatore Romano che, nel periodo natalizio, ogni domenica e mercoledì colloca una postazione mobile in Piazza San Pietro, dove è possibile acquistare il giornale insieme con una piccola icona della Natività. Auguro ogni bene per questa iniziativa che, oltre a diffondere il quotidiano vaticano, si propone di sostenere la realizzazione di una scuola nella Repubblica Democratica del Congo.

Chers frères et soeurs de langue française, à quelques jours de la fête de Noël, la liturgie nous invite à reconnaître la présence de Dieu dans nos vies. A la suite de la Vierge Marie, prenons le temps de faire silence et d'écouter Dieu nous parler au plus profond de nous-mêmes! Sachons faire confiance au Christ qui vient et rendons-nous disponibles pour nous abandonner librement à sa volonté! Soyons déjà les porteurs de la Bonne Nouvelle de sa venue en notre monde! Que Dieu comble tous les peuples de bonheur et de paix!

I greet all the English-speaking visitors and pilgrims here today. On this fourth Sunday of Advent, we are filled with joy because the Lord is at hand. We heard in today's Gospel about Mary's journey to visit her cousin Elizabeth. Just as Mary travelled through the hill country of Judah, to share with her kinswoman the joyful news of Christ's coming, so too the Church is called to journey through history, proclaiming the wondrous message of salvation. As the great feast of Christmas draws near, I invoke God's abundant blessings upon all of you, and upon your families and loved ones at home.

Von Herzen grüße ich alle deutschsprachigen Pilger und Teilnehmer am heutigen Angelusgebet. In diesen Tagen vor Weihnachten verdichtet sich die Erwartung zu freudiger Gewißheit:  Der Herr ist nahe! Er kommt, um uns Menschen Heil und Rettung zu bringen. Wie Maria wollen wir Gottes Wort gläubig aufnehmen und weitertragen. Gott mache uns um so eifriger in seinem Dienst, je näher das Fest der Geburt seines Sohnes heranrückt (vgl. Schlußgebet vom iv. Adventssonntag). Euch allen wünsche ich einen guten vierten  Advent  und  ein  frohes, gnadenreiches Weihnachtsfest!

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana y a todos los que se unen a ella a través de la radio y la televisión. La Virgen Santísima, llevando en su seno y en su corazón al Hijo de Dios, fue causa de alegría para su pariente Isabel. Os invito a que, acogiendo en vuestro interior la divina Palabra, dando un testimonio fiel y convencido de la fe y prodigándoos en obras de caridad, seáis también para los demás testigos y mensajeros de Cristo Jesús, fuente de gozo y esperanza para el mundo. Os animo igualmente, estando ya próximas las fiestas de la Navidad, a prepararos con fervor a la celebración del nacimiento del Verbo, hecho carne en las purísimas entrañas de María. Feliz domingo.

Serdecznie pozdrawiam Polaków. Od wczoraj Arcybiskup Gnieznienski jest Prymasem Polski. Ten honorowy tytul powraca do najstarszej metropolii na ziemiach polskich, zwiazanej z kultem swietego Wojciecha, Patrona Polski. Kardynalowi Józefowi Glempowi dziekuje za jego prymasowska posluge w trudnym okresie przemian. Arcybiskupowi Henrykowi Muszynskiemu zycze wielu lask Bozych. Calemu Kosciolowi w Polsce z serca blogoslawie.
[Saluto cordialmente i polacchi. Da ieri l'Arcivescovo di Gniezno è Primate della Polonia. Questo titolo onorario ritorna alla più antica Metropoli sulle terre polacche, legata al culto di San Adalberto, Patrono della Polonia. Ringrazio il cardinale Józef Glemp per aver svolto la sua missione primaziale nel difficile periodo di transizione. All'Arcivescovo Henryk Muszynski auguro abbondanti grazie di Dio. Benedico di cuore tutta la Chiesa in Polonia.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare la rappresentanza del Presepe Vivente di Pereto (provincia di L'Aquila), giunto alla sua quarantesima edizione. Saluto inoltre i partecipanti all'iniziativa organizzata dalla "Federazione Cultura, Sport, Spettacolo, Solidarietà nel Mondo", in collaborazione con l'Opera Romana Pellegrinaggi. A tutti auguro una serena domenica e buone feste del santo Natale.


(©L'Osservatore Romano - 21-22 dicembre 2009)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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22/12/2009 16:02
 
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25 dicembre: Natività di N.S. Gesù Cristo


(S. Messa del giorno)

Inítium sancti Evangélii secúndum Ioannem (1, 1-14)

In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum; et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt. Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Ioánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot áutem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui crédunt in nómine eius: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. (genufléxit) Et Verbum caro factum est (surgit), et habitávit in nobis: et vídimus glóriam eius, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritátis.

Laus tibi, Christe.

***

Traduzione italiana conforme alla versione CEI 2008


In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
(si genuflette) E il Verbo si fece carne (ci si alza) e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il mistero di povertà del Natale


Oh, se potessi vedere quella mangiatoia in cui giacque il Signore! Ora, noi cristiani, come per tributo d`onore, abbiamo tolto quella di fango e collocato una d`argento: ma per me è più preziosa quella che è stata portata via. L`argento e l`oro si addicono al mondo pagano: alla fede cristiana si addice la mangiatoia fatta di fango. Colui che è nato in questa mangiatoia disprezza l`oro e l`argento. Non disapprovo coloro che lo fecero per rendergli onore (né in verità coloro che fecero vasi d`oro per il tempio): mi meraviglio invece che il Signore, creatore del mondo, nasca non in mezzo all`oro e all`argento, ma nel fango.

 

(Girolamo, Homilia de Nativitate Domini, 31-40)

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Pope Benedict XVI leads the Christmas mass in Saint Peter's Basilica at the Vatican December 24, 2009.


SANTA MESSA DELLA NOTTE DI NATALE, 24 DICEMBRE 2009

OMELIA DEL SANTO PADRE


Cari fratelli e sorelle
,


Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5).

Ciò che Isaia, guardando da lontano verso il futuro, dice a Israele come consolazione nelle sue angustie ed oscurità, l’Angelo, dal quale emana una nube di luce, lo annuncia ai pastori come presente: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2, 11).

Il Signore è presente. Da questo momento, Dio è veramente un “Dio con noi”. Non è più il Dio distante, che, attraverso la creazione e mediante la coscienza, si può in qualche modo intuire da lontano. Egli è entrato nel mondo. È il Vicino. Il Cristo risorto lo ha detto ai suoi, a noi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).

Per voi è nato il Salvatore: ciò che l’Angelo annunciò ai pastori, Dio ora lo richiama a noi per mezzo del Vangelo e dei suoi messaggeri. È questa una notizia che non può lasciarci indifferenti. Se è vera, tutto è cambiato. Se è vera, essa riguarda anche me. Allora, come i pastori, devo dire anch’io: Orsù, voglio andare a Betlemme e vedere la Parola che lì è accaduta. Il Vangelo non ci racconta senza scopo la storia dei pastori. Essi ci mostrano come rispondere in modo giusto a quel messaggio che è rivolto anche a noi. Che cosa ci dicono allora questi primi testimoni dell’incarnazione di Dio?

Dei pastori è detto anzitutto che essi erano persone vigilanti e che il messaggio poteva raggiungerli proprio perché erano svegli. Noi dobbiamo svegliarci, perché il messaggio arrivi fino a noi. Dobbiamo diventare persone veramente vigilanti.

Che significa questo?

La differenza tra uno che sogna e uno che sta sveglio consiste innanzitutto nel fatto che colui che sogna si trova in un mondo particolare. Con il suo io egli è rinchiuso in questo mondo del sogno che, appunto, è soltanto suo e non lo collega con gli altri. Svegliarsi significa uscire da tale mondo particolare dell’io ed entrare nella realtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti.

Il conflitto nel mondo, l’inconciliabilità reciproca, derivano dal fatto che siamo rinchiusi nei nostri propri interessi e nelle opinioni personali, nel nostro proprio minuscolo mondo privato. L’egoismo, quello del gruppo come quello del singolo, ci tiene prigionieri dei nostri interessi e desideri, che contrastano con la verità e ci dividono gli uni dagli altri. Svegliatevi, ci dice il Vangelo. Venite fuori per entrare nella grande verità comune, nella comunione dell’unico Dio.

Svegliarsi significa così sviluppare la sensibilità per Dio; per i segnali silenziosi con cui Egli vuole guidarci; per i molteplici indizi della sua presenza. Ci sono persone che dicono di essere “religiosamente prive di orecchio musicale”. La capacità percettiva per Dio sembra quasi una dote che ad alcuni è rifiutata.

E in effetti – la nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci “privi di orecchio musicale” per Lui.
E tuttavia in ogni anima è presente, in modo nascosto o aperto, l’attesa di Dio, la capacità di incontrarlo. Per ottenere questa vigilanza, questo svegliarsi all’essenziale, vogliamo pregare, per noi stessi e per gli altri, per quelli che sembrano essere “privi di questo orecchio musicale” e nei quali, tuttavia, è vivo il desiderio che Dio si manifesti.

Il grande teologo Origene ha detto: se io avessi la grazia di vedere come ha visto Paolo, potrei adesso (durante la Liturgia) contemplare una grande schiera di Angeli (cfr in Lc 23, 9). Infatti – nella Sacra Liturgia, gli Angeli di Dio e i Santi ci circondano. Il Signore stesso è presente in mezzo a noi. Signore, apri gli occhi dei nostri cuori, affinché diventiamo vigilanti e veggenti e così possiamo portare la tua vicinanza anche ad altri!

Torniamo al Vangelo di Natale. Esso ci racconta che i pastori, dopo aver ascoltato il messaggio dell’Angelo, si dissero l’un l’altro: “‘Andiamo fino a Betlemme’ … Andarono, senza indugio” (Lc 2, 15s.). “Si affrettarono” dice letteralmente il testo greco. Ciò che era stato loro annunciato era così importante che dovevano andare immediatamente. In effetti, ciò che lì era stato detto loro andava totalmente al di là del consueto. Cambiava il mondo. È nato il Salvatore. L’atteso Figlio di Davide è venuto al mondo nella sua città. Che cosa poteva esserci di più importante? Certo, li spingeva anche la curiosità, ma soprattutto l’agitazione per la grande cosa che era stata comunicata proprio a loro, i piccoli e uomini apparentemente irrilevanti. Si affrettarono – senza indugio. Nella nostra vita ordinaria le cose non stanno così. La maggioranza degli uomini non considera prioritarie le cose di Dio, esse non ci incalzano in modo immediato.

E così noi, nella stragrande maggioranza, siamo ben disposti a rimandarle. Prima di tutto si fa ciò che qui ed ora appare urgente. Nell’elenco delle priorità Dio si trova spesso quasi all’ultimo posto. Questo – si pensa – si potrà fare sempre. Il Vangelo ci dice: Dio ha la massima priorità. Se qualcosa nella nostra vita merita fretta senza indugio, ciò è, allora, soltanto la causa di Dio.

Una massima della Regola di san Benedetto dice: “Non anteporre nulla all’opera di Dio (cioè all’ufficio divino)”.

La Liturgia è per i monaci la prima priorità. Tutto il resto viene dopo. Nel suo nucleo, però, questa frase vale per ogni uomo. Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita. Proprio questa priorità ci insegnano i pastori. Da loro vogliamo imparare a non lasciarci schiacciare da tutte le cose urgenti della vita quotidiana. Da loro vogliamo apprendere la libertà interiore di mettere in secondo piano altre occupazioni – per quanto importanti esse siano – per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo. Il tempo impegnato per Dio e, a partire da Lui, per il prossimo non è mai tempo perso. È il tempo in cui viviamo veramente, in cui viviamo lo stesso essere persone umane.

Alcuni commentatori fanno notare che per primi i pastori, le anime semplici, sono venuti da Gesù nella mangiatoia e hanno potuto incontrare il Redentore del mondo. I sapienti venuti dall’Oriente, i rappresentanti di coloro che hanno rango e nome, vennero molto più tardi. I commentatori aggiungono: questo è del tutto ovvio. I pastori, infatti, abitavano accanto. Essi non dovevano che “attraversare” (cfr Lc 2, 15) come si attraversa un breve spazio per andare dai vicini. I sapienti, invece, abitavano lontano. Essi dovevano percorrere una via lunga e difficile, per arrivare a Betlemme. E avevano bisogno di guida e di indicazione.

Ebbene, anche oggi esistono anime semplici ed umili che abitano molto vicino al Signore. Essi sono, per così dire, i suoi vicini e possono facilmente andare da Lui. Ma la maggior parte di noi uomini moderni vive lontana da Gesù Cristo, da Colui che si è fatto uomo, dal Dio venuto in mezzo a noi. Viviamo in filosofie, in affari e occupazioni che ci riempiono totalmente e dai quali il cammino verso la mangiatoia è molto lungo. In molteplici modi Dio deve ripetutamente spingerci e darci una mano, affinché possiamo trovare l’uscita dal groviglio dei nostri pensieri e dei nostri impegni e trovare la via verso di Lui.

Ma per tutti c’è una via. Per tutti il Signore dispone segnali adatti a ciascuno. Egli chiama tutti noi, perché anche noi si possa dire: Orsù, “attraversiamo”, andiamo a Betlemme – verso quel Dio, che ci è venuto incontro. Sì, Dio si è incamminato verso di noi. Da soli non potremmo giungere fino a Lui. La via supera le nostre forze. Ma Dio è disceso. Egli ci viene incontro. Egli ha percorso la parte più lunga del cammino. Ora ci chiede: Venite e vedete quanto vi amo. Venite e vedete che io sono qui.

Transeamus usque Bethleem, dice la Bibbia latina. Andiamo di là! Oltrepassiamo noi stessi! Facciamoci viandanti verso Dio in molteplici modi: nell’essere interiormente in cammino verso di Lui. E tuttavia anche in cammini molto concreti – nella Liturgia della Chiesa, nel servizio al prossimo, in cui Cristo mi attende.

Ascoltiamo ancora una volta direttamente il Vangelo. I pastori si dicono l’un l’altro il motivo per cui si mettono in cammino: “Vediamo questo avvenimento”. Letteralmente il testo greco dice: “Vediamo questa Parola, che lì è accaduta”. Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne. Quel Dio di cui non si deve fare alcuna immagine, perché ogni immagine potrebbe solo ridurlo, anzi travisarlo, quel Dio si è reso, Egli stesso, visibile in Colui che è la sua vera immagine, come dice Paolo (cfr 2 Cor 4, 4; Col 1, 15). Nella figura di Gesù Cristo, in tutto il suo vivere ed operare, nel suo morire e risorgere, possiamo guardare la Parola di Dio e quindi il mistero dello stesso Dio vivente. Dio è così. L’Angelo aveva detto ai pastori: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2, 12; cfr 16).

Il segno di Dio, il segno che viene dato ai pastori e a noi, non è un miracolo emozionante. Il segno di Dio è la sua umiltà. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo; diventa bambino; si lascia toccare e chiede il nostro amore. Quanto desidereremmo noi uomini un segno diverso, imponente, inconfutabile del potere di Dio e della sua grandezza. Ma il suo segno ci invita alla fede e all’amore, e pertanto ci dà speranza: così è Dio.

Egli possiede il potere ed è la Bontà. Ci invita a diventare simili a Lui. Sì, diventiamo simili a Dio, se ci lasciamo plasmare da questo segno; se impariamo, noi stessi, l’umiltà e così la vera grandezza; se rinunciamo alla violenza ed usiamo solo le armi della verità e dell’amore. Origene, seguendo una parola di Giovanni Battista, ha visto espressa l’essenza del paganesimo nel simbolo delle pietre: paganesimo è mancanza di sensibilità, significa un cuore di pietra, che è incapace di amare e di percepire l’amore di Dio. Origene dice dei pagani: “Privi di sentimento e di ragione, si trasformano in pietre e in legno” (in Lc 22, 9). Cristo, però, vuole darci un cuore di carne. Quando vediamo Lui, il Dio che è diventato un bambino, ci si apre il cuore. Nella Liturgia della Notte Santa Dio viene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani. Ascoltiamo ancora Origene: “In effetti, a che gioverebbe a te che Cristo una volta sia venuto nella carne, se Egli non giunge fin nella tua anima? Preghiamo che venga quotidianamente a noi e che possiamo dire: vivo, però non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20)” (in Lc 22, 3).

Sì, per questo vogliamo pregare in questa Notte Santa. Signore Gesù Cristo, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima. Trasformami. Rinnovami. Fa’ che io e tutti noi da pietra e legno diventiamo persone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo viene trasformato. Amen.

© Copyright 2009 – Libreria Editrice Vaticana

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MESSAGGIO NATALIZIO DEL SANTO PADRE E BENEDIZIONE URBI ET ORBI, 25.12.2009

Alle ore 12 di oggi, Solennità del Natale del Signore, dalla Loggia della Benedizione il Santo Padre Benedetto XVI rivolge il tradizionale Messaggio natalizio ai fedeli presenti in Piazza San Pietro e a quanti lo ascoltano attraverso la radio e la televisione.


Questo il testo del Messaggio del Santo Padre per il Natale 2009:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero,
e voi tutti, uomini e donne amati dal Signore!

“Lux fulgebit hodie super nos,
quia natus est nobis Dominus.

– Oggi su di noi splenderà la luce,
Perché è nato per noi il Signore”

(Messale Romano, Natale del Signore, Messa dell’Aurora, Antifona d’ingresso).

La liturgia della Messa dell’Aurora ci ha ricordato che ormai la notte è passata, il giorno è avanzato; la luce che promana dalla grotta di Betlemme risplende su di noi.
Tuttavia, la Bibbia e la Liturgia non ci parlano della luce naturale, ma di una luce diversa, speciale, in qualche modo mirata e orientata verso un “noi”, lo stesso “noi” per cui il Bambino di Betlemme “è nato”. Questo “noi” è la Chiesa, la grande famiglia universale dei credenti in Cristo, che hanno atteso con speranza la nuova nascita del Salvatore ed oggi celebrano nel mistero la perenne attualità di questo evento.
All’inizio, attorno alla mangiatoia di Betlemme, quel “noi” era quasi invisibile agli occhi degli uomini. Come ci riferisce il Vangelo di san Luca, comprendeva, oltre a Maria e a Giuseppe, pochi umili pastori, che giunsero alla grotta avvertiti dagli Angeli. La luce del primo Natale fu come un fuoco acceso nella notte. Tutt’intorno era buio, mentre nella grotta risplendeva la luce vera “che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). Eppure tutto avviene nella semplicità e nel nascondimento, secondo lo stile con il quale Dio opera nell’intera storia della salvezza. Dio ama accendere luci circoscritte, per rischiarare poi a largo raggio. La Verità, come l’Amore, che ne sono il contenuto, si accendono là dove la luce viene accolta, diffondendosi poi a cerchi concentrici, quasi per contatto, nei cuori e nelle menti di quanti, aprendosi liberamente al suo splendore, diventano a loro volta sorgenti di luce. È la storia della Chiesa che inizia il suo cammino nella povera grotta di Betlemme, e attraverso i secoli diventa Popolo e fonte di luce per l’umanità. Anche oggi, mediante coloro che vanno incontro al Bambino, Dio accende ancora fuochi nella notte del mondo per chiamare gli uomini a riconoscere in Gesù il “segno” della sua presenza salvatrice e liberatrice e allargare il “noi” dei credenti in Cristo all’intera umanità.

Dovunque c’è un “noi” che accoglie l’amore di Dio, là risplende la luce di Cristo, anche nelle situazioni più difficili. La Chiesa, come la Vergine Maria, offre al mondo Gesù, il Figlio, che Lei stessa ha ricevuto in dono, e che è venuto a liberare l’uomo dalla schiavitù del peccato. Come Maria, la Chiesa non ha paura, perché quel Bambino è la sua forza. Ma lei non lo tiene per sé: lo offre a quanti lo cercano con cuore sincero, agli umili della terra e agli afflitti, alle vittime della violenza, a quanti bramano il bene della pace. Anche oggi, per la famiglia umana profondamente segnata da una grave crisi economica, ma prima ancora morale, e dalle dolorose ferite di guerre e conflitti, con lo stile della condivisione e della fedeltà all’uomo, la Chiesa ripete con i pastori: “Andiamo fino a Betlemme” (Lc 2,15), lì troveremo la nostra speranza.

Il “noi” della Chiesa vive là dove Gesù è nato, in Terra Santa, per invitare i suoi abitanti ad abbandonare ogni logica di violenza e di vendetta e ad impegnarsi con rinnovato vigore e generosità nel cammino verso una convivenza pacifica. Il “noi” della Chiesa è presente negli altri Paesi del Medio Oriente. Come non pensare alla tribolata situazione in Iraq e a quel piccolo gregge di cristiani che vive nella Regione? Esso talvolta soffre violenze e ingiustizie ma è sempre proteso a dare il proprio contributo all’edificazione della convivenza civile contraria alla logica dello scontro e del rifiuto del vicino.

Il “noi” della Chiesa opera in Sri Lanka, nella Penisola coreana e nelle Filippine, come pure in altre terre asiatiche, quale lievito di riconciliazione e di pace. Nel Continente africano non cessa di alzare la voce verso Dio per implorare la fine di ogni sopruso nella Repubblica Democratica del Congo; invita i cittadini della Guinea e del Niger al rispetto dei diritti di ogni persona ed al dialogo; a quelli del Madagascar chiede di superare le divisioni interne e di accogliersi reciprocamente; a tutti ricorda che sono chiamati alla speranza, nonostante i drammi, le prove e le difficoltà che continuano ad affliggerli. In Europa e in America settentrionale, il “noi” della Chiesa sprona a superare la mentalità egoista e tecnicista, a promuovere il bene comune ed a rispettare le persone più deboli, a cominciare da quelle non ancora nate. In Honduras aiuta a riprendere il cammino istituzionale; in tutta l’America Latina il “noi” della Chiesa è fattore identitario, pienezza di verità e di carità che nessuna ideologia può sostituire, appello al rispetto dei diritti inalienabili di ogni persona ed al suo sviluppo integrale, annuncio di giustizia e di fraternità, fonte di unità.

Fedele al mandato del suo Fondatore, la Chiesa è solidale con coloro che sono colpiti dalle calamità naturali e dalla povertà, anche nelle società opulente. Davanti all’esodo di quanti migrano dalla loro terra e sono spinti lontano dalla fame, dall’intolleranza o dal degrado ambientale, la Chiesa è una presenza che chiama all’accoglienza.

In una parola, la Chiesa annuncia ovunque il Vangelo di Cristo nonostante le persecuzioni, le discriminazioni, gli attacchi e l’indifferenza, talvolta ostile, che – anzi – le consentono di condividere la sorte del suo Maestro e Signore.

Cari fratelli e sorelle, quale grande dono far parte di una comunione che è per tutti ! È la comunione della Santissima Trinità, dal cui cuore è disceso nel mondo l’Emmanuele, Gesù, Dio-con-noi. Come i pastori di Betlemme, contempliamo pieni di meraviglia e di gratitudine questo mistero d’amore e di luce! Buon Natale a tutti!

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AUGURI DEL SANTO PADRE AI POPOLI E ALLE NAZIONI IN OCCASIONE DEL SANTO NATALE

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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 26.12.2009

Alle ore 12 di oggi, festa di Santo Stefano, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,

con l’animo ancora colmo di stupore e inondato dalla luce che promana dalla Grotta di Betlemme, dove con Maria Giuseppe e i pastori abbiamo adorato il nostro Salvatore, oggi facciamo memoria del diacono Santo Stefano, il primo martire cristiano. Il suo esempio ci aiuta a penetrare maggiormente il mistero del Natale e ci testimonia la meravigliosa grandezza della nascita di quel Bambino nel quale si manifesta la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per gli uomini (cfr Tt 2,11). Colui che vagisce nella mangiatoia, infatti, è il Figlio di Dio fatto uomo, che ci chiede di testimoniare con coraggio il suo Vangelo, come ha fatto Santo Stefano il quale, pieno di Spirito Santo, non ha esitato a dare la vita per amore del suo Signore.

Egli, come il suo Maestro, muore perdonando i propri persecutori e ci fa comprendere come l’ingresso del Figlio di Dio nel mondo dia origine ad una nuova civiltà, la civiltà dell’amore, che non si arrende di fronte al male e alla violenza e abbatte le barriere tra gli uomini, rendendoli fratelli nella grande famiglia dei figli di Dio.

Stefano è anche il primo diacono della Chiesa, che facendosi servo dei poveri per amore di Cristo, entra progressivamente in piena sintonia con Lui e lo segue fino al dono supremo di sé.

La testimonianza di Stefano, come quella dei martiri cristiani, indica ai nostri contemporanei spesso distratti e disorientati, su chi debbano porre la propria fiducia per dar senso alla vita. Il martire, infatti, è colui che muore con la certezza di sapersi amato da Dio e, nulla anteponendo all’amore di Cristo, sa di aver scelto la parte migliore.

Configurandosi pienamente alla morte di Cristo, è consapevole di essere germe fecondo di vita e di aprire nel mondo sentieri di pace e di speranza. Oggi, presentandoci il diacono Santo Stefano come modello, la Chiesa ci indica, altresì, nell’accoglienza e nell’amore verso i poveri, una delle vie privilegiate per vivere il Vangelo e testimoniare agli uomini in modo credibile il Regno di Dio che viene.

La Festa di santo Stefano ci ricorda anche i tanti credenti, che in varie parti del mondo, sono sottoposti a prove e sofferenze a causa della loro fede. Affidandoli alla sua celeste protezione, impegniamoci a sostenerli con la preghiera e a non venir mai meno alla nostra vocazione cristiana, ponendo sempre al centro della nostra vita Gesù Cristo, che in questi giorni contempliamo nella semplicità e nell’umiltà del presepe. Invochiamo per questo l’intercessione di Maria, Madre del Redentore e Regina dei Martiri, con la preghiera dell’Angelus.

DOPO L’ANGELUS

En ce lendemain de la solennité de Noël, je suis heureux d’accueillir les pèlerins rassemblés pour la prière de l’Angélus. Aujourd’hui l’Église nous présente la figure de Saint-Étienne, le premier des martyrs, modèle du témoin qui a donné sa vie pour le Christ. Comme lui, aujourd’hui encore à travers le monde, nombreux sont les hommes et les femmes qui acceptent de servir le Christ et son Évangile avec générosité, parfois jusqu’au don de leur vie. Que la Vierge Marie, Reine des martyrs, conforte les disciples de Jésus dans la foi et dans la fidélité ! Avec ma Bénédiction Apostolique !

As we continue our celebration of this joyful Christmas season, I warmly greet all the English-speaking visitors and pilgrims gathered here in Saint Peter’s Square. Together with Christians across the globe, we rejoice at the birth of our Saviour, Prince of Peace and light of the world. Today we honour the Church’s first martyr, Saint Stephen, who was fearless in bearing witness to Christ and who shed his blood for love of him. We pray for those Christians who suffer persecution today. And we commend to the intercession of their heavenly patron, Saint Stephen, all deacons and altar servers. May God bless all of you!

Am Fest des heiligen Märtyrers Stephanus grüße ich von Herzen alle Pilger und Besucher deutscher Sprache. Jesus „kam in sein Eigentum, doch die Seinen nahmen ihn nicht auf” (Joh 1,11), haben wir im Evangelium des Weihnachtstags gelesen. Der Märtyrer Stephanus teilt das Schicksal seines Herrn: Bedrängnis und Not gehören seit der ersten Stunde zum Leben der Christen. Bitten wir Maria, die Mutter Jesu und die Mutter der Kirche, daß sie all jenen beistehe, die auch heute unter schwersten Bedingungen Zeugnis für ihren Glauben ablegen. – Euch allen wünsche ich eine gesegnete Weihnachtszeit!

Saludo con afecto a los fieles de lengua española presentes en esta oración mariana. En esta fiesta de San Esteban, que no vaciló en derramar su sangre para confesar su fe y amor a Cristo Jesús, nacido en Belén, supliquemos fervientemente en nuestra oración que nunca falten en la Iglesia hombres y mujeres sabios, audaces y sencillos, que den testimonio del Evangelio de la salvación allá donde se encuentren, para que, con la fuerza de la caridad y la luz de la verdad, se construya una sociedad cada vez más fraterna, justa y en paz. Santa y feliz Navidad a todos. Muchas gracias.

Serdecznie pozdrawiam Polaków. Dziś wspominamy świętego Szczepana, pierwszego męczennika. Mądrość płynąca z wiary i odwaga, jaka rodzi się z miłości Chrystusa, zaprowadziły go na śmierć. Jednak wizja otwartego nieba już wtedy zwiastowała mu chwałę zmartwychwstania. Oby i nam w codziennym życiu nie brakowało mądrości i odwagi, wiary i miłości, które znajdują swoje zwieńczenie w chwale Pana. Wszystkim z serca błogosławię.

[Saluto cordialmente i polacchi. Oggi commemoriamo santo Stefano, il primo martire. La saggezza che scaturisce dalla fede e il coraggio che nasce dall’amore di Cristo lo hanno condotto alla morte. La visione del cielo aperto, tuttavia, già allora gli ha preannunciato la gloria della risurrezione. Anche a noi non manchi nella vita quotidiana la saggezza e il coraggio, la fede e l’amore, che trovano il loro compimento nella gloria del Signore. Tutti benedico di cuore.]

Rivolgo infine il mio cordiale saluto a voi, pellegrini di lingua italiana, ed auguro che la sosta di questi giorni presso il presepio per ammirare Maria e Giuseppe accanto al Bambino, possa suscitare in tutti un rinnovato impegno di amore vicendevole e di reciproca comprensione, affinchè all’interno delle famiglie e dell’intera Nazione si viva quel clima di intesa e di comunione che tanto giova al bene comune.

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28/12/2009 06:33
 
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Pope Benedict XVI reads a statement before performing his Angelus prayers over Saint Peter's Square at the Vatican December 27, 2009.

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!


Ricorre oggi la domenica della Santa Famiglia. Possiamo ancora immedesimarci nei pastori di Betlemme che, appena ricevuto l’annuncio dall’angelo, accorsero in fretta alla grotta e trovarono “Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia” (Lc 2,16). Fermiamoci anche noi a contemplare questa scena, e riflettiamo sul suo significato. I primi testimoni della nascita del Cristo, i pastori, si trovarono di fronte non solo il Bambino Gesù, ma una piccola famiglia: mamma, papà e figlio appena nato.

Dio ha voluto rivelarsi nascendo in una famiglia umana, e perciò la famiglia umana è diventata icona di Dio! Dio è Trinità, è comunione d’amore, e la famiglia ne è, in tutta la differenza tra il mistero divino e la sua creatura umana, una espressione che riflette il mistero insondabile del Dio amore. L’uomo e la donna, creati ad immagine di Dio, diventano nel matrimonio “un’unica carne” (Gen 2,24), cioè una comunione di amore che genera nuova vita. La famiglia umana , in un certo senso, è icona della Trinità sia per l’amore interpersonale, sia per la fecondità dell’amore.

La liturgia odierna propone il celebre episodio evangelico di Gesù dodicenne che rimane nel Tempio, a Gerusalemme, all’insaputa dei suoi genitori, i quali, stupiti e preoccupati, ve lo ritrovano dopo tre giorni mentre discute con i dottori. Alla madre che gli chiede spiegazioni, Gesù risponde che deve essere nella proprietà nella Casa del suo Padre, cioè di Dio (cfr Lc 2,49). In questo episodio il ragazzo Gesù ci appare pieno di zelo per Dio e per il Tempio. Domandiamoci: da chi aveva appreso Gesù l’amore per le “cose” del Padre suo? Certamente, come Figlio ha avuto un’intima conoscenza di Dio, una profonda relazione personale, permanente, con suo Padre, ma nella sua cultura concreta ha certamente imparato le preghiere, l’amore del Tempio e delle istituzioni d’Israele dai suoi genitori. Dunque, possiamo affermare che la decisione di Gesù di rimanere nel Tempio era soprattutto frutto della sua intima relazione col Padre ma anche frutto dell’educazione ricevuta da Maria e da Giuseppe.

Qui possiamo intravedere il senso autentico dell’educazione cristiana: essa è il frutto di una collaborazione sempre da ricercare tra gli educatori e Dio. La famiglia cristiana è consapevole che i figli sono dono e progetto di Dio. Pertanto, non li può considerare come proprio possesso, ma, servendo in essi il disegno di Dio, è chiamata ad educarli alla libertà più grande, che è proprio quella di dire “sì” a Dio per fare la sua volontà. Di questo “sì” la Vergine Maria è l’esempio perfetto. A lei affidiamo tutte le famiglie, pregando in particolare per la loro preziosa missione educativa.

Ed ora mi rivolgo, in lingua spagnola, a quanti prendono parte alla festa della Santa Famiglia a Madrid.

Saludo cordialmente a los pastores y fieles congregados en Madrid para celebrar con gozo la Sagrada Familia de Nazaret. ¿Cómo no recordar el verdadero significado de esta fiesta? Dios, habiendo venido al mundo en el seno de una familia, manifiesta que esta institución es camino seguro para encontrarlo y conocerlo, así como un llamamiento permanente a trabajar por la unidad de todos en torno al amor. De ahí que uno de los mayores servicios que los cristianos podemos prestar a nuestros semejantes es ofrecerles nuestro testimonio sereno y firme de la familia fundada en el matrimonio entre un hombre y una mujer, salvaguardándola y promoviéndola, pues ella es de suma importancia para el presente y el futuro de la humanidad. En efecto, la familia es la mejor escuela donde se aprende a vivir aquellos valores que dignifican a la persona y hacen grandes a los pueblos. También en ella se comparten las penas y las alegrías, sintiéndose todos arropados por el cariño que reina en casa por el mero hecho de ser miembros de la misma familia. Pido a Dios que en vuestros hogares se respire siempre ese amor de total entrega y fidelidad que Jesús trajo al mundo con su nacimiento, alimentándolo y fortaleciéndolo con la oración cotidiana, la práctica constante de las virtudes, la recíproca comprensión y el respeto mutuo. Os animo, pues, a que, confiando en la materna intercesión de María Santísima, Reina de las Familias, y en la poderosa protección de San José, su esposo, os dediquéis sin descanso a esta hermosa misión que el Señor ha puesto en vuestras manos. Contad además con mi cercanía y afecto, y os ruego que llevéis un saludo muy especial del Papa a vuestros seres queridos más necesitados o que se encuentran en dificultad. Os bendigo a todos de corazón.

(Traduzione a cura della Radio Vaticana)

Saluto cordialmente i pastori e i fedeli riuniti a Madrid per celebrare con gioia la festa della Santa Famiglia di Nazareth. Come non ricordare il reale significato di questa festa?
Dio venendo al mondo nel seno di una famiglia, mostra che questa istituzione è un cammino sicuro per incontrarlo e conoscerlo, così come è una chiamata permanente a lavorare per l’unità di tutti intorno all’amore. Quindi uno dei più importanti servizi che noi cristiani possiamo rendere agli altri è offrire la nostra testimonianza, serena e ferma, della famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, salvaguardandolo e promovendolo, essendo tale istituzione di somma importanza per il presente e il futuro dell’umanità. In effetti, la famiglia è la migliore scuola nella quale si impara a vivere quei valori che danno dignità alla persona e fanno grandi i popoli. In essa, inoltre, si condividono i dolori e le gioie, sentendosi tutti avvolti dall’amore che regna in casa per il solo fatto di essere membri della stessa famiglia. Chiedo a Dio che nei vostri focolari si respiri sempre questo amore di totale dedizione e fedeltà che Gesù ha portato nel mondo con la sua nascita, alimentandolo e rafforzandolo con la preghiera quotidiana, la pratica costante delle virtù, la reciproca comprensione e il mutuo rispetto.

Vi incoraggio pertanto a confidare nella materna intercessione di Maria Santissima, Regina della Famiglia e nella potente protezione di San Giuseppe, suo sposo, dedicandovi instancabilmente a questa meravigliosa missione che il Signore ha messo nelle vostre mani. Contate anche sulla mia vicinanza e sul mio affetto, e vi chiedo di rivolgere il saluto speciale del Papa ai vostri cari che hanno più bisogno o che si trovano in difficoltà. Benedico tutti di cuore.

DOPO ANGELUS

Chers pèlerins francophones, en cette fête de la Sainte-Famille de Jésus, Marie et Joseph, je suis heureux de saluer toutes vos familles et ma prière rejoint particulièrement celles qui connaissent des difficultés. Avec vous, je rends grâce à Dieu pour la Sainte-Famille de Nazareth : Marie et Joseph n’ont pas seulement procuré à l’Enfant-Jésus le pain de la terre ; ils lui ont donné un authentique témoignage de foi et d’amour. Que leur exemple guide toutes les familles et soit pour elles une source intarissable de joie et de bonheur ! A tous je souhaite une fin d’année sereine !

I am happy to greet all the English-speaking visitors present at this Angelus prayer. Today we celebrate with joy the Feast of the Holy Family, who shared with us this fundamental human experience. I pray that the Lord may bless all Christian families and assist them in living their daily life in mutual love and in generosity to others, after the example of Jesus, Mary and Joseph. May Almighty God continue to bless you all with peace and joy during this Christmas Season!

In weihnachtlicher Freude heiße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher willkommen. Am heutigen Sonntag feiern wir das Fest der Heiligen Familie. Wir blicken dabei auf die Familie von Nazaret, die wie alle Familien Sorgen und Nöte erlebt. Maria und Josef, so berichtet das Evangelium, verstehen zunächst nicht, warum ihr Sohn nicht mit ihnen gegangen, sondern im Tempel zurückgeblieben ist. Doch die Worte Jesu, daß er „im Hause seines Vaters sein muß“ (Lk 2, 49), lassen sie und uns erkennen, daß die lebendige Beziehung zu Gott auch die Liebe untereinander stärkt. Euch und euren Familien wünsche ich eine frohe Weihnachtszeit.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. En este domingo de la Sagrada Familia, invito a todos a poner los ojos en el hogar de Nazaret, escuela incomparable de virtudes humanas y cristianas, para aprender de Jesús, José y María a vivirlas personalmente y dar ejemplo de ellas ante los que os rodean con humildad y convicción. De nuevo os deseo que, en estas fiestas de Navidad, la alegría del Señor Jesús, nacido en Belén, sea vuestra fortaleza. En su Nombre os bendigo con gran afecto.

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. Dziś niedziela świętej rodziny. Miłość, która jednoczyła Maryję i Józefa, i otaczała Boże Dziecię, niech jednoczy chrześcijańskie rodziny. Niech rodzi się z niej wzajemny szacunek między małżonkami, troska o każde nowe życie i o szczęśliwy rozwój przyszłych pokoleń. Wszystkie polskie rodziny polecam opiece Maryi i Józefa, i wypraszam dla nich Boże błogosławieństwo.

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Oggi è la domenica della Santa Famiglia. L’amore che ha unito Maria e Giuseppe, e ha avvolto il Bambino Gesù, unisca tutte le famiglie cristiane. Nasca da esso il reciproco rispetto tra gli sposi, la premura per ogni nuova vita e per il felice sviluppo delle generazioni future. Affido tutte le famiglie polacche alla cura di Maria e di Giuseppe, e imploro per loro la Divina Benedizione.]

Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare il gruppo di fedeli venuti da Atri. In questa domenica della Santa Famiglia rivolgo un caloroso saluto a tutte le famiglie di Roma e d’Italia, con una preghiera speciale per quelle che attraversano maggiori difficoltà. Il Signore vi benedica! Auguri a tutti!

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06/01/2010 16:44
 
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Forse non tutti sanno che fu il grande Papa PIO XII a fare in modo che nell'Epifania del Signore, il 6 gennaio, Festa comunemente confusa oggi con la...."befana".... istituì anche la FESTA DEI BAMBINI....


Cosi lo spiega oggi Benedetto XVI all'Angelus:

Nella solennità dell’Epifania ricorre la Giornata Missionaria dei Bambini, con il motto “I bambini aiutano i bambini”. Promossa dal Venerabile Papa Pio XII nel 1950, questa iniziativa educa i bambini a formarsi una mentalità aperta al mondo e ad essere solidali con i loro coetanei più disagiati. Saluto con affetto tutti i piccoli missionari presenti nei cinque continenti e li incoraggio ad essere sempre testimoni di Gesù e annunciatori del suo Vangelo.


                           VATICAN CITY, VATICAN - JANUARY 06:  Pope Benedict XVI holds his sunday angelus blessing in St. Peter's  Square during the solemnity of the Epiphany  on January 6, 2010 in Vatican City, Vatican.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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09/01/2010 16:04
 
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10 gennaio: Festa della Sacra Famiglia (I Domenica dopo l'Epifania)


Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam (2, 42-52)

Cum factus esset Iesus annórum duódecim, ascendéntibus illis Ierosólymam secúndum consuetúdinem diéi festi, consummatísque diébus, cum redírent, remánsit puer Iesus in Ierúsalem, et non cognovérunt paréntes eius. Existimántes áutem illum esse in comitátu, venérunt iter diéi, et requirébant eum inter cognátos, et notos. Et non inveniéntes, regréssi sunt in Ierúsalem, requiréntes eum. Et factum est, post tríduum invenérunt illum in templo sedéntem in médio doctórum, audiéntem illos, et interrogántem eos. Stupébant áutem omnes, qui eum audiébant, super prudéntia et respónsis eius. Et vidéntes admiráti sunt. Et dixit mater eius ad illum: Fili, quid fecísti nobis sic? Ecce pater tuus et ego doléntes quærebámus te. Et ait ad illos: Quid est quod me quærebátis? nesciebátis quia in his, quæ Patris mei sunt, opórtet me esse? Et ipsi non intellexérunt verbum, quod locútus est ad eos. Et descéndit cum eis, et venit Názareth: et erat súbditus illis. Et mater eius conservábat ómnia verba hæc in corde suo. Et Iesus proficiébat sapiéntia, et ætáte, et grátia apud Deum et hómines.

Laus tibi, Christe.

***

Traduzione


Quando [Gesù] ebbe dodici anni, salirono [a Gerusalemme] secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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