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Ultimo Aggiornamento: 21/08/2013 13:00
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29/05/2010 21:05
 
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Comunione materiale e comunione spirituale

In attesa di mangiare come gli angeli


di Inos Biffi


Il significato dell'Ultima Cena si trova ampiamente illustrato e approfondito nella grande "teologia" e catechesi eucaristica del sesto capitolo del vangelo di Giovanni. "Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Colui che mangia di me, vivrà per me" (Giovanni, 6, 51-57, passim). È il frutto dell'Eucaristia:  la comunione di vita con Gesù Cristo, in una vicendevole "immanenza".

Ma occorre comprendere esattamente che cosa significhi "mangiare" il corpo e "bere" il sangue di Cristo.

Con questo atto non viene materialmente divorata la carne del Signore e consumato il suo sangue. E infatti meno appropriatamente, nella professione di fede prescritta nel 1059 a Berengario di Tours, si parlava del corpo di Cristo che "veramente e sensibilmente, e non solo sacramentalmente, viene toccato e spezzato dalle mani del sacerdote, e masticato dai denti dei fedeli". Tommaso d'Aquino chiarirà che Cristo è realmente presente nell'Eucaristia, ma nella modalità della "sostanza" (Summa Theologiae, iii, 75, 1, c; 76, 1, 3m). Cristo - egli scrive - è presente "spiritualmente" cioè "invisibilmente e in virtù dello Spirito" e "viene mangiato con una modalità spirituale e divina" (Super Ioannem, vi, viii, iv, n. 992).

Nel contesto eucaristico il "mangiare" e il "bere" assumono, di conseguenza, un'accezione affatto unica e singolare:  significano, cioè, una comunione "spirituale", intendendo "spirituale" non come alternativo ma inclusivo del sacramento, che veramente contiene il Corpo e il Sangue del Signore. La conseguenza è evidente:  solo una comunione in questo senso "spirituale" è destinata a "riuscire", mentre una comunione solamente "materiale", o "carnale", per quanto spesso ripetuta, non può essere efficace.

Va però anzitutto rilevato che il principio di questa comunione è l'amore offerto da Cristo, ossia il dono che egli fa della propria vita, proseguendo la "tradizione" della Croce. "Nel sacramento - insegna ancora Tommaso - mediante la verità del suo corpo e del suo sangue, egli ci congiunge a sé" (Summa Theologiae, iii, 75, 1, c). Ecco perché, sempre secondo l'Angelico, l'Eucaristia appare "il segno della più grande carità" e dell'"unione più familiare" di Cristo con noi (ibidem), col risultato di una adesione di vita:  "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue - sono le parole di Gesù, già sopra citate - rimane in me e io in lui. Colui che mangia di me, vivrà per me".

Ma, proprio perché comunione "spirituale", occorre in chi riceve l'Eucaristia la corrispondenza della fede e della carità, che, per l'opera dello Spirito Santo, dispongono il credente a ricevere il dono che Cristo fa della sua vita e della vita del Padre suo. Se manca questa adesione e accoglienza intima, il sacramento è destinato a non riuscire. L'indifferenza e la diffidenza rendono vana e inefficace la pura manducazione "carnale" del Corpo di Gesù.

San Tommaso insiste sulla necessità che la comunione sacramentale si risolva in comunione spirituale. Ci sono, infatti, due modi di ricevere il corpo e il sangue di Cristo, l'uno puramente sacramentale, l'altro anche spirituale. Col primo si riceve "solo il sacramento, senza il suo effetto"; col secondo si assume il sacramento e la sua realtà profonda, la sua res:  allora abbiamo la "manducazione spirituale nella quale si percepisce l'effetto di questo sacramento, consistente nell'unione con Cristo attraverso la fede e la carità" (ibidem, iii, 80, 1, c). Diversamente, avremmo una comunione imperfetta e incompiuta:  l'intenzione del sacramento resterebbe come innaturalmente monca e sospesa.

D'altra parte, quest'ultima è possibile anche attraverso il suo desiderio:  "Ci sono alcuni - dichiara ancora Tommaso - che mangiano questo sacramento spiritualmente, prima di assumerlo sacramentalmente". Avviene - e vale anche per il Battesimo - quando ci sia il desiderio di ricevere l'Eucaristia; anche già prima della sua istituzione era però possibile comunicarsi a essa spiritualmente, secondo la dottrina di Paolo (1 Corinzi, 10, 2) sui Padri che hanno mangiato il "cibo spirituale" e bevuto la "bevanda spirituale" (Summa Theologiae, iii, 80, 1, 3m).

Certo, il Dottore angelico ha un concetto forte di desiderio, ben altro che una vaga e superficiale aspirazione. Ecco perché può affermare:  "Tutti sono tenuti a mangiare almeno spiritualmente, dal momento che questo significa essere incorporati a Cristo. Senza il voto di ricevere questo sacramento non ci può essere salvezza per l'uomo" (ibidem, 11, c).

Tommaso si chiede persino se gli angeli assumano spiritualmente questo sacramento e risponde che vi è una "manducazione spirituale" non mediata dal sacramento e dalla fede e consistente nell'unione con Cristo attraverso la carità perfetta e la sua visione immediata:  e questa è la manducazione spirituale degli angeli, non la nostra:  "noi un pane simile lo aspettiamo nella patria" (ibidem, 2, c). Ma se è vero che gli angeli spiritualmente mangiano Cristo la manducazione spirituale che loro compete non è quella che avviene col desiderio del sacramento, com'è per noi.

Senza dubbio "alla comunità del Corpo mistico appartengono sia gli uomini sia gli angeli", ma questi "nell'aperta visione", quelli invece "nella fede", "che vede la verità "come in uno specchio e in maniera confusa" e a cui sono consoni i sacramenti (ibidem, 2m). Dove c'è la visione non c'è la mediazione della fede e del sacramento e quindi una manducazione spirituale di Cristo che avvenga col desiderio dell'Eucaristia.
 
Ma un'altra considerazione di Tommaso è particolarmente originale e illuminante, quella in cui attribuisce alla manducazione spirituale di Cristo fruita dagli angeli la funzione di modello rispetto alla nostra manducazione sacramentale. La comunione eucaristica sacramentale - egli osserva - è ordinata, come a fine, alla comunione celeste con Cristo, già goduta dagli angeli.

Ecco, allora, che "la manducazione di Cristo con la quale lo assumiamo in questo sacramento in certo modo deriva dalla manducazione di Cristo di cui beneficiano gli angeli in patria. Perciò si dice che l'uomo mangia "il pane degli angeli""
(ibidem, 3m):  questo, infatti, anzitutto e originariamente, riguarda gli angeli, che ne fruiscono secondo il suo aspetto proprio; è invece derivatamente pane degli uomini, che ricevono Cristo nella forma del sacramento (ibidem, 2, 1m). Quaggiù gli uomini colgono la presenza di Cristo mediante la fede; gli angeli lo avvertono presente con la visione immediata (ibidem).

Un primo punto interessante di questa dottrina è la natura cristologica della beatitudine degli angeli e quindi la loro aspirazione a lui:  anch'essi sono saziati e appagati dalla visione di Gesù Cristo. Cristo è il Pane di tutti. Non vi è felicità che possa prescindere da lui o desiderio che non ne sia l'aspirazione. Un secondo punto è il carattere transitorio del sacramento eucaristico, che contiene realmente il Corpo e il Sangue di Cristo, ma come in uno stato di provvisorietà e di precarietà, "fin che venga" (1 Corinzi, 11, 26), in attesa cioè che la realtà del Signore e la comunione con lui (res del sacramento), da celate divengano manifeste, convertendosi in esauriente visione.


(©L'Osservatore Romano - 30 maggio 2010)




ulteriori collegamenti utili:

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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