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La bellezza di essere sacerdote storie lontane e vicine

Ultimo Aggiornamento: 15/06/2018 23:26
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15/04/2017 19:50
 
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DON DOLINDO RUOTOLO SACERDOTE NAPOLETANO



Spirito precorritore, anticipatore del Concilio Vaticano II, propugnò, tra l’altro, la Messa vespertina, la Comunione al venerdì Santo, la revisione delle norme riguardanti il digiuno eucaristico, la riforma liturgica.

img093Dolindo Ruotolo nacque a Napoli, quinto di undici figli, il 6 ottobre 1882 da Silvia Vitale di nobili origini e da Raffaele, ingegneree e professore di matematica, figliolo di un sarto di Casavatore.

Il padre he aveva l’abitudine di inventare il nome da imporre al Fonte Battesimale ai suoi figli, per lui scelse Dolindo, che significa dolore.

E fu un presentimento.

Il dolore, del corpo e dello spirito, caratterizzò la fanciullezza, la vita, il ministero sacerdotale di Dolindo, un dolore che fu testimonianza, un dolore accettato con gioia perchè chiesto in uno slancio di infinito amore a Gesù Sacramentato, un dolore “che è la più bella misericordia” che il Signore gli abbia fatto.

La diversa condizione sociale dei genitori, la diversa educazione, la disparità di carattere, irascibile e parsimonioso fino a rasentare l’avarizia, quello del padre, e le ristrettezze economiche in cui quest’ultimo costringeva a vivere la famiglia con l’intento di accumulare del denaro per acquistare delle proprietà, minarono il menage familiare che culminò con la separazione dei due, dopo ben 23 anni di matrimonio.

Dolindo Ruotolo trascorse gli anni della fanciullezza in una povera casa di via Santa Chiara, nel cuore della vecchia Napoli, fra punizioni, stenti, percosse.

Non che il padre non amasse i figli, ma era in buona fede ed era convinto che così facendo riusciva ad educarli bene.

Alla scarsità di cibo, Dolindo doveva sopperire raccattando, nei rifiuti, torsoli di verdure per farne insalate, condite di freddo e percosse, distribuite senza ragione o per delle innocenti biricchinate infantili, e per una di queste fu costretto a dormire, per diversi anni, in uno stanzino buio, usato come deposito dei carboni.

Non frequentò scuole regolari, almeno per quanto riguarda le elementari, e fu costretto ad imparare da solo, quello che il padre e la sorella maggiore, senza metodo, tentarono di insegnargli; per questa ragione, forse, riusci tardi a fare la Prima Comunione.

Nonostante tutto, egli, come il fratello Elio ed Ausilio, ebbe la convinzione di dover essere Sacerdote ed impostò a tal fine la sua vita spirituale.

Quando Raffaele Ruotolo riuscì ad acquistare  una casa al vico Nilo, decise di avviare il figlio Elio alla prima classe ginnasiale del Liceo “Genovesi”, dopo averlo preparato in casa, ma per il povero Dolindo incominciarono altre pene: doveva prepararsi a sostenere l’esame di ammissione  alla seconda classe ginnasiale, studiando da solo, sui libri di latino e greco del fratello.

Gli esami al “Genovesi” furono un fallimento, come lo furono quelli sostenuti al “Pontano” con i Gesuiti.

Il padre riuscì poi , a farlo accettare a frequentare la prima classe ginnasiale al “Genovesi”, ma fu una nuova sconfitta, premiata con una eccezionale dose di percosse.

Dopo la separazione dei genitori, i due fratelli, Elio e Dolindo, furono posti  a studiare nella Scuola Apostolica dei Preti della Missione, ai Vergini: entrambi avevano chiaramente manifestato il desiderio di farsi Sacerdoti e l’ambiente familiare, ormai, non offriva più garanzie per una seria formazione religiosa.

L’ingresso nella Casa dei Preti della Missione segnò l’inizio di un nuovo periodo di tribolazioni: questa volta fu l’invidia e la gelosia dei compagni a tartassarlo.

Ammesso a frequentare la seconda ginnasiale nella scuola dell’Istituto, venne ritenuto incapace di applicazione allo studio , ma la sua intelligenza ebbe un risveglio improvviso e inaspettato: I Superiori allora, lo ritennero un ipocrita e lo privarono dei suoi abiti per rivestirlo con una sottana stracciata e sporca esponendolo  agli insulti e alle derisioni.

Al termine degli studi ginnasiali fece domanda per l’ammissione al Noviziato e per carità verso un compagno malato, si sottopose a visita medica: venne ritenuto non completamente sano, mentre il suo compagno malato fu regolarmente ammesso; lui dovette attendere altri sei lunghi mesi prima di entrare in Noviziato, dove venne accolto abbastanza bene e trascorse i due anni prescritti sopportando le incomprensioni dell’unico compagno che poi, ravveduto, gli chiese perdono.

Negli anni della sua permanenza nella Casa dei Vergini, chiese a Cristo il dono del dolore, che non tardò a venire.

Nel mese di maggio 1901, Dolindo Ruotolo fu ammesso allo studentato, dove trovò, finalmente, l’ambiente congeniale e il primo giugno dello stesso anno emise i voti religiosi.

L’anno successivo, il 18 luglio, morì il padre, che, colpito da paralisi qualche anno prima, era stato riaccolto amorevolmente in casa dalla madre, che così era riuscita a ricomporre la famiglia.

Il 24 giugno 1905 fu ordinato Sacerdote, con 18 mesi di anticipo, ed entrò a far parte della Congregazione dei Preti della Missione.

img088Autografo del Sac. Dolindo Ruotolo intestato a Giuseppina Giorgio, sposa dell’autore di questo articolo, sul retro di una immaginetta. Preziosa reliquia.

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La vita sacerdotale di Padre Dolindo Ruotolo fu caratterizzata da un abbandono totale nelle braccia amorevoli della Madonna, di Gesù e alla volontà della Chiesa soprattutto quando più forte fu l’accanimento del Sant’Uffizio contro di lui, nei momentoi terribili della “sospensione a divinis” e delle vessazioni dei confratelli: tutto fu permesso da Dio perchè fosse esempio di fedeltà e di amore alla Chiesa che sempre lo riconobbe e dichiarò innocente, dopo aver visto cadere tutte le accuse dei denigratori e dei falsi testimoni.

Dopo l’ordinazione sacerdotale fu nominato professore nella Scuola Apostolica dei Vergini, dove ricevette umiliazioni e maltrattamenti fino a quando, nel 1906, venne trasferito a Taranto, per normale avvicendamento, insieme al suo Direttore della Scuola Apostolica, suo maggiore vessatore e destinati entrambi al Seminario Arcivescovile di quella città, dove trovarono un ambiente particolarmente difficile e dove regnava l’anarchia e il disordine anche per la presenza di un Sacerdote secolare che vi spadroneggiava seminado discordie e dando scandalo.

Alle vessazioni del Superiore si aggiunsero quelle di costui, ma Padre Dolindo ebbe il coraggio di smascherarlo in pubblico, durante una predica: questo costò a lui e al Superiore il trasferimento, ma anche al pace nel seminario di Taranto.

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Autografo del Sac. Dolindo Ruotolo.

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Nella nuova sede del Seminario di Molfetta fu accolto con cordialità, ricevendo addirittura l’elogio del Vescovo per lo zelo posto nell’ufficio di Direttore Spirituale.

Molfetta fu apparentemente un’oasi di pace; la bufera si stava addensando sul capo di Don Dolindo che era rimasto in contatto con il suo ex Superiore, Padre Volpe, che in quel periodo studiava i fenomeni pseudo-mistici che interessavano una donna di Catania, e quando questi venne accusato di eresia, egli lo difese a spada tratta.

Le false interpretazioni di questi fenomeni, le dicerie fatte correre sul conto dei due Sacerdoti, la propaganda denigratoria fatta dalla stampa anticlericale, l’atteggiamento dei Superiori che per timore di essere discreditati, gettarono ombra su Padre Dolindo , misero in rivolta la Casa dei Vergini contro di lui che, accusato al Sant’Uffizio, venne richiamato a Napoli.

Da Roma venne l’intimazione di far tempestivamente presentare i due al Commissario del Sant’Uffizio per essere interrogati ed esaminati.

Ritenuto pazzo, sospeso dalla celebrazione della Santa Messa e dai Sacramenti, Dolindo Ruotolo fu rinviato a Napoli, dopo essere stato provvisoriamente reintegrato nelle sue facoltà, con l’ordine di espulsione dalla Congregazione dei Preti della Misione e il 13 maggio 1908 fu costretto, con la forza, ad abbandonare la Casa dei Vergini per ritornare a vivere con la madre in una casa al largo dei Miracoli.

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Autografo del Sac. Dolindo Ruotolo.

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Tutta la montatura era stata creata da persone che non  gradivano le frequenti sferzate che il Padre Volpe distribuiva contro di loro, fautori di scandali e di disordini e diffusori del seme anticlericale; il Padre Dolindo Ruotolo venne coinvolto nella bufera per un misterioso disegno della Provvidenza, cercando di chiarire cone erano andate realmente le cose.

Nella casa materna fu accolto come uno scomunicato e i familiari gli rinfacciarono perfino il cibo che mangiava a sbafo, stante le gravi condizioni di miseria in cui si dibattevano.

Intanto il Sant’Uffizio lo convocò a Roma, dove rimase in attesa delle decisioni della  Commissione, ma poi ritornò a Napoli per ripartire per Rossano Calabro, chiamato in quella città dal Vescovo, impietosito per la sua situazione: egli gli conferì l’incarico di predicare un corso di Esercizi Spirituali per i Paesi della Diocesi e riusci a farlo incaricare come insegnante di musica nel locale Istituto Magistrale.

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Autografo del Sac. Dolindo Ruotolo, anche questo intestato a Giuseppina Giorgio, sposa dell’autore di questo lavoro, sul “frontespizio” di un libro di cui è autore il Servo di Dio.

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Ritornato a Napoli nel 1913 incominciò diverse opere di apostolato: quello negli  ospedali della città, la Scuola di Religione in casa La Rovere, la predicazione, la catechesì, l’apostolato singolare degli scritti dietro le immaginette che distribuiva ai fedeli: la Provvidenza faceva sì che ad ognuno capitasse l’esortazione utile per la propria anima, pur non conoscendone, il Padre Dolindo, i segreti.

Alle lezioni della Scuola di Religione partecipò anche un tale con notevole interesse ma, impreparato ed ignorante, credette di ravvisare nelle parole del Padre Dolindo nuove eresie e andò a riferire alle Autorità Ecclesiastiche che egli, con le sue idee stava gettando le basi per una nuova e pericolosa setta eretica, in seno alla Chiesa.

Il 14 agosto 1918 la Curia Arcivescovile di Napoli inviò a Don Dolindo l’ingiunzione di sospensione dalla predicazione e, non contento, il suo denigratore, molto conosciuto negli ambienti Vaticani, chiese udienza a Benedetto XV, al quale espose in maniera falsa il senso dei discorsi che si facevano della Scuola Apostolica di Casa La Rovere.

Il Santo Padre ordinò una inchiesta e nel mese di febbraio 1921, Padre Dolindo Ruotolo fu richiamato a Roma per essere nuovamente interrogato dal Commissario del Sant’Uffizio; il 4 marzo dello stesso anno fu nuovamente sospeso a divinis e così rimase per molto tempo tentando di dimostrare la falsità delle accuse mosse contro di lui anche da una persona che testimoniò il falso: una sua figlia spirituale.

L’inchiesta del Sant’Uffizio andò avanti ed emerse la sua cultura teologica, la sua ascetica, la sua mistica non comune e in perfetta linea dottrinale con la Chiesa.

Quale era in sostanza la nuova accusa che gli si muoveva?

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Il Padre Dolindo Ruotolo fotografato mentre celebra la Santa Messa nella Cappella della Immacolata di Lourdes, nella Chiesa napoletana di San Giuseppe de’ Vecchi, dove è sepolto.

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Egli, in fondo, non fece che anticipare quello che il Concilio Vaticano II discuterà ed approverà: la Comunione e la Santa Messa Vespertina, come facevano i Cristiani dei primi secoli, la facoltà, per i Sacerdoti, di celebrare più Messe in uno stesso giorno festrivo, per sopperire alla scarsità di clero, la Comunione al Venerdì Santo, la revisione delle norme relative al digiuno prima della Comunione, la riforma della liturgia e di alcuni apparati ecclesiastici, la riforma degli Ordini Religiosi.

Il Sant’Uffizio, pur non  riconoscendo la colpevolezza di Don Dolindo, pur considerando la caduta di tutti i capi d’accusa, temè che le “novità” del Prete napoletano potevano in qualche modo nuocere alla Chiesa e il 17 dicembre 1921 lo candonnò definitivamente, considerandolo un maniaco mistico: senza Messa e rinchiuso in una Casa dei Preti della Missione a meditare.

Ritornò a Napoli il 31 dicembre 1921 e nonostante l’interessamento del Vicario Generale, Mons. Zezza e del Cardinale Sili, il Sant’Uffizio non si decise a rivedere il processo e a revocare la ingiusta condanna, mentre Don Dolindo conoscendo ed incontrando per caso e in particolari circostanze i suoi maggiori denigratori, li perdoinò.

Nel 1925 cominciò in sordina e con uno pseudonimo, Sac. Dain Cohenel, “l’Opera dell’Apostolato Stampa” e nel 1930 quella del commento della Sacra Scrittura, ma nel 1934, alcuni scritti a commento di brani scritturali, furono male interpretati da una recensione de “l’Osservatore Romano” e il Sant’Uffizio assegnò all’Opera due Revisori che ne proibirono la stampa;  nel 1936 essa venne riautorizzata anche perchè l’Opera aveva ricevuto numerosi giudizi positivi da autorevoli teologi e Vescovi.

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La famiglia spirituale del Padre Dolindo Ruotolo, nella “casa dell’Apostolato Stampa” in Napoli al vico Sant’Agostino degli Scalzi.

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Il 21 maggio del 1937 ricevette una visita psichiatrica nel Palazzo Arcivescovile di Napoli e venne accusato di avere strane idee e strane esagerazioni di pietà e di amore di Dio e di pubblicare scritti contrari al regima fascista.

Il dott. Sciuti che lo visitò successivamente dichiarò al Cardinale Ascalesi la perfetta sanità di mente del Sacerdote: il Presule, convinto della innocenza del povero Prete sollecitò il Sant’Uffizio per la sospensione della pena e il 18 luglio 1937 fu finalmente riabilitato e reintegrato nelle sue facoltà.

Celebrò la Santa Messa nella chiesa di Santa Teresa al Museo, dopo 16 anni.

Intanto, il 14 aprile 1942, il fratello Elio fu promosso Parroco nella chiesa di San Giuseppe de’ Vecchi e Don Dolindo incominciò ad aiutarlo come Vice-parroco, negli anni difficili della seconda guerra modiale.

Gli anni del dopoguerra videro l’impegno apostolico di Padre Dolindo Ruotolo che dedicò tutto il suo tempo alla predicazione, alle opere di carità, alla cura delle anime che sempre più numerose affollavano il suo confessionale.

L’Opera dell’Apostolato Stampa, iniziata in sordina nel 1925, lo impegnò con la pubblicazione di numerosi scritti di ascetica, mistica, liturgia, musica che andarono ad aggiungersi alla colossale opera della Sacra Scrittura: psicologia-commento-meditazione” a cui finalmente la Chiesa ufficiale riconobbe l’alto valore dottrinale,

Il 2 novembre 1960, Padre Dolindo fu colto da malore: restò semiparalizzato.

Nonostante le sofferenze fisiche che gli derivavano dalla nuova condizione, riprese il giro di visite ai poveri, ai suoi ammalati e incominciò a ricevere a casa sua, all’ultimo piano di via Salvator Rosa 58, chiunque bussava alla porta; persone di ogni ceto sociale, che a lui si rivolgevano per la cura dell’anima, per un consiglio, per dipanare intricate matasse, quando il dolore bussava alla porta, quando la gioia era frutto delle preghiera di un povero vecchio.

img098Il Sac. Dolindo Ruotolo al suo tavolo di lavoro nella sua casa napoletana di via Salvator Rosa 58.

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Carico di malanni, le gambe piagate per la cattiva circolazione del sangue, il braccio destro che non voleva più funzionare ” ‘u viecchieriello d’ ‘a Madonna” aveva ancora la forza di gridare per spronare al lavoro e risolvere una situazione delicata, chi il lavoro non se lo andava a cercare…….lo scrivente.

img092Vecchie banconote conservate gelosamente dallo scrivente. La piccola somma, lasciata in elemosina per i poveri che bussavano alla porta di Padre Dolindo Ruotolo, furono da lui benedette e riconsegnate allo scrivente e alla consorte, perchè poveri…con l’avviso che la somma si sarebbe moltiplicata per il gesto di carità compiuto da poveri per altri poveri….Essa si è grandemente moltiplicata nel tempo.

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Alla Santa Messa celebrata al mattino, in casa, partecipavano fedeli, religiosi e sacerdoti che venivano anche da lontano.

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Il cadavere del Sac. Dolindo Ruotolo, composto nel suo lettuccio., nella sua casa napoletana.

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Morì il 16 novembre 1970, riarso dalla polmonite, mentre mormorava ancora un’ultima AVE MARIA.

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Il feretro, trasferito dalla sua casa, alla chiesa parrocchiale di San Giuseppe de’ Vecchi, per i funerali. Il personaggio con la barba, sotto l’arco della scala, è lo scrivente.

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Alcuni esponenti della Chiesa hanno contrastato l’Opera apostolica di Padre Dolindo Ruotolo, distruggendo, annullando, mettendo all’indice i suoi scritti, lo hanno giudicato pazzo solo perchè cinquant’anni prima del Concilio Vaticano II, ebbe il coraggio di denunciare i difetti e le gravi carenze esistenti nella Chiesa e ne propose le soluzioni, nelle mutate condizioni dei tempi, convinto che esisteva al di là delle verità formulate dalla Chiesa, un margine di studio, di progresso, di proposte che potevano venire anche dagli strati più bassi del Popolo di Dio.

I suoi scritti furono tutti considerati dai Revisori del Sant’Uffizio privi di errori dottrinali e riautorizzati alla pubblicazione.

La causa di beatificazione è in fase istruttoria ed è in corso la raccolta di documenti e testimonianze relative alla sua vita e alle grazie operate da Dio per suo tramite.

La Chiesa, disponendo il deposito canonico dei suoi resti mortali nella chiesa parrocchiale dell’Immacolata di Lourdes in San Giuseppe de’ Vecchi, accanto alla tomba del fratello Elio ne ha riconosciuto le virtù eroiche.

tomba_dolindoLa tomba del Servo di Dio Sac. Dolindo Ruotolo nella chiesa napoletana di San Giuseppe de’ Vecchi. Lo scrivente fu presente alla chiusura della sua bara, e, dopo la traslazione delle sue spoglie mortali dal cimitero di Poggioreale di Napoli, alla tumulazione dei suoi resti, sigillati per il deposito canonico.

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img099Le fotografie utilizzate in questo articolo sono tratte da questo fascicoletto pubblcato postumo.




















     





Ascoltiamo don Dolindo
Bisogna lavorare per la vita eterna

La nostra vita passa, è un viaggio verso la morte e l’eternità. Ogni giorno, ogni mese, ogni anno che passa è un cammino percorso verso queste due stazioni. Chi intraprende un viaggio fa due tappe: va prima alla stazione o al porto, e poi sale sul treno o sul piroscafo, ed e portato lontano, tra i saluti e le lagrime di quelli che restano. Noi andiamo prima verso la morte, e dalla morte passiamo all’eternità. È una grande stoltezza dunque concentrarsi nella vita presente, lavorare e stentare per il benessere del corpo, e dimenticare le cose più essenziali: l’anima e l’eternità.

Non saresti stolto se, dovendo lavorare per produrre, tu perdessi il tempo a lucidare i perni o le ruote di una macchina e ti curassi solo della pulizia dello stabile, trascurando proprio il lavoro? Sì, è bene tenere tutto pulito, è bene anche avere un posticino più comodo per lavorare, ma l’essenziale è che tu produca, che la tela cresca, che il ferro sia modellato, che il legno grezzo diventi un mobile; se non fai questo, non sei un operaio. Un cuoco che si preoccupa di tener pulita la cucina, ordinato il suo vestito e non prepara il pranzo, a che serve? Le occupazioni della vita presente sono come l’ambiente e il mezzo per lavorare e produrre per la vita eterna, servono a compire la missione che Dio ci ha data, per meritare il premio eterno; se tu dimentichi il tuo fine ultimo, e la necessità di operare il bene per salvarti, lavori, stenti, sudi, e praticamente ti affatichi invano.

– Sì, tu dici, ma la vita è la vita, ed io non posso trascurare il campo, la bottega, l’ufficio, e così mi passa tutta la giornata. – Benissimo, ma tu per le tue occupazioni non trascuri di dormire, di lavarti, di mangiare, leggere il giornale, e persino di fumare e divertirti. Ora come puoi, per le occupazioni materiali non pensare mai o quasi mai a quello che ti serve per la vita eterna, cioè a pregare, ad ascoltare la Messa, a ricevere i Sacramenti, a confessarti, a comunicarti, ad istruirti nelle verità della Fede, tu che in questo sei così ignorante?

Che cosa penosa, per es., che un avvocato, si occupi da mane a sera e persino la notte, della difesa di un reo, e non pensi almeno per mezz’ora alla causa della propria anima innanzi a Dio! Che cosa triste che un muratore stia occupato da mane a sera ad innalzare case ed edifici, e non metta nel giorno neppure una pietruzza per il suo bene eterno, e per la celeste dimora! Una vita tutta spesa nelle occupazioni materiali, senza curarsi di quelle spirituali ed eterne, è simile a quella delle bestie da soma, che lavorano per gli altri e non fanno mai nulla per sé! – Ma io lavoro per la casa e per i figli, tu dici, e sono degno di lode e vero galantuomo.

Come posso avere il tempo di badare all’anima? – Stolto, e credi tu che quelli per i quali lavori potranno supplire a ciò che tu non fai per l’anima tua? E credi poi che te ne saranno veramente grati? Ti perderai eternamente per chi non ti ricorderà neppure? E non sai tu che amando e servendo Dio, compiendo i tuoi doveri religiosi, e curando l’anima tua, porti la benedizione sulla tua casa e sul tuo lavoro, ed è proprio allora che vivi veramente per il bene della tua famiglia? Non devi lasciare solo un’eredità materiale ai tuoi figli o provvedere solo al loro corpo, ma con la tua vita cristiana, praticante, devi lasciare loro l’esempio della virtù, e guidarli ai beni eterni.
Ti preoccupi del loro avvenire terreno e non ti preoccupi del loro avvenire eterno? Come puoi meritare il nome di padre, se ti mostri senza fede e senza virtù innanzi ai tuoi figli, se vivi disordinatamente e raccogli il loro compatimento e persino il loro disprezzo? Un padre lontano dalla Chiesa e dai Sacramenti, un padre che non prega, che bestemmia, si ubriaca, si dà a vizi turpi, ha relazioni cattive e commette il male, che razza di padre è?

Una madre che pensa solo ad ornarsi, a fare la civetta, a chiacchierare, ad inveire, e non si preoccupa dell’anima sua e di quella dei suoi figli, che razza di madre è?

da Perdere il tempo nella vita 


[Modificato da Caterina63 03/05/2017 10:31]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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