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San Pio V Il Papa del Rosario e della vittoriosa Battaglia di Lepanto ed altro ancora

Ultimo Aggiornamento: 07/10/2017 14:14
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LETTERA DEL PAPA, Giovanni Paolo II
Nel V centenario della nascita del «papa di Lepanto», Giovanni Paolo II scrive al vescovo Charrier

«L’eredità di san Pio V? Il Rosario della pace»

Giovanni Paolo II

Pubblichiamo il testo della Lettera inviata dal Papa a monsignor Fernando Charrier, vescovo di Alessandria, in occasione della conclusione delle celebrazioni per il V centenario della nascita di san Pio V, originario della diocesi piemontese

1. Mi è gradito inviarle un cordiale saluto in occasione delle celebrazioni giubilari promosse per il V centenario della nascita del mio predecessore, san Pio V. Estendo il mio affettuoso pensiero ai fedeli di codesta amata diocesi, che giustamente ricorda, con gioia e gratitudine verso Dio, questo suo illustre figlio. Le varie manifestazioni indette per commemorare tale felice anniversario offrono l'opportunità di ravvivare la memoria di questo grande Pontefice, e di riflettere sulla ricca eredità di esempi e di insegnamenti, da lui lasciati, che sono quanto mai validi anche per i cristiani del nostro tempo.

La ricorrenza del V centenario della sua nascita sia motivo di benedizione per tutta la Chiesa e, in maniera speciale, per l'amata diocesi di Alessandria, come pure per la comunità ecclesiale del Piemonte. L'intercessione di san Pio V e l'esempio delle sue virtù siano di stimolo per ciascuno a rendere più salda la fede, mantenendola incontaminata e in permanente contatto con le fonti della rivelazione, e diffondendola nella società per edificare un'umanità aperta a Cristo e protesa alla costruzione della civiltà dell'amore.

2. L'epoca in cui egli si trovò a vivere fu in verità ben differente dall'attuale e, tuttavia, non mancano tra esse singolari analogie. I due periodi storici hanno visto il consolidarsi di convergenti energie religiose e, al tempo stesso, hanno registrato crisi profonde nella società con scontri tra città e popoli che talora sono sfociati in dolorosi conflitti armati. In ambedue le epoche la Chiesa si è impegnata nel cercare vie nuove per ravvivare la fede e proporla in modo adeguato nelle mutate condizioni culturali e sociali, anche mediante la celebrazione del Concilio di Trento, allora, e del Concilio Ecumenico Vaticano II, nel secolo scorso. Ai rispettivi Concili è seguito lo sforzo, non sempre facile, di applicarne fedelmente gli insegnamenti, dando vita a processi di autentica riforma della Chiesa.

In tale contesto storico e religioso, che ha caratterizzato il XVI secolo, si colloca la vicenda umana e spirituale di san Pio V, conclusasi il 1° maggio dell'anno 1572. Fin dall'infanzia, Michele Ghislieri ebbe a provare i disagi della povertà e dovette con il lavoro contribuire al sostentamento della sua famiglia. Attinse ai valori tipici della sua amata terra di Alessandria, alla quale restò sempre legato, sì da essere conosciuto, quando venne chiamato a far parte del Collegio cardinalizio, come il cardinale Alessandrino.
A 14 anni entrò nell'Ordine dei Predicatori (Domenicani) e compì l'itinerario formativo nei conventi di Vigevano, Bologna e Genova, applicandosi senza tregua a percorrere il cammino della perfezione evangelica mediante la preghiera e lo studio, ed attingendo abbondantemente alle sorgenti della parola di Dio secondo il carisma domenicano.

Manifestava già allora un gusto particolare per la Sacra Scrittura e per la dottrina dei Padri, appassionandosi anche allo studio delle opere di san Tommaso d'Aquino che egli stesso, divenuto Sommo Pontefice, annoverò nel numero dei dottori della Chiesa. Fu ordinato sacerdote a Genova nel 1528.
Incaricato dal Papa Paolo III di vigilare sulla purezza della fede nelle regioni di Padova, Pavia e Como si ispirò, come modelli e protettori, a san Domenico, a san Pietro martire di Verona, a san Vincenzo Ferrer e a sant'Antonino di Firenze, senza altra preoccupazione se non quella di ricercare sempre la maggior gloria di Dio e l'autentico bene dei fratelli, fedele al motto «camminare nella verità» che volle fare proprio. Proseguì con medesimo zelo quando fu nominato a Roma Commissario per la dottrina della fede, e negli altri incarichi affidatigli dai Papi Giulio III, Paolo IV e Pio IV. Eletto Vescovo di Nepi e S utri nel 1556, fu creato Cardinale nel 1557, e nel 1560 divenne Vescovo di Mondovì.

3. A 62 anni, nel gennaio del 1566, venne eletto Successore di Pietro e durante gli anni di Pontificato si dedicò a ravvivare la pratica della fede in ogni componente del popolo di Dio, imprimendo alla Chiesa una provvidenziale spinta evangelizzatrice. Instancabile nel lavoro pastorale, cercava contatti diretti con tutti, senza tener conto della fragilità del suo stato di salute. Si preoccupò di applicare fedelmente le decisioni del Concilio di Trento: in campo liturgico, con la pubblicazione del Messale Romano rinnovato e del nuovo Breviario; nell'ambito catechetico, affidando soprattutto ai parroci il "Catechismo del Concilio di Trento"; in materia teologica, introducendo nelle Università la Summa di san Tommaso. Richiamò ai vescovi il dovere di risiedere in diocesi per un'attenta cura pastorale dei fedeli, ai religiosi l'opportunità della clausura e al clero l'importanza del celibato e della santità di vita.

Consapevole della missione ricevuta da Cristo buon Pastore, si dedicò a pascere il gregge affidatogli, invitando a far ricorso quotidiano alla preghiera, privilegiando la devozione a Maria, che contribuì ad incrementare notevolmente dando un forte impulso alla pratica del Rosario. Egli stesso lo recitava intero ogni giorno, pur preso da compiti gravosi e molteplici.

4. Venerato fratello, lo zelo apostolico, la costante tensione alla santità, l'amore alla Vergine, che caratterizzarono l'esistenza di san Pio V siano per tutti stimolo a vivere con più intenso impegno la propria vocazione cristiana. In modo speciale, vorrei invitare a imitarlo nella filiale devozione mariana, riscoprendo la semplice e profonda preghiera del Rosario che, come ho voluto ricordare nella Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, aiuta a contemplare il mistero di Cristo: «Nella sobrietà dei suoi elementi, concentra in sé la profondità dell'intero messaggio evangelico, di cu i è quasi un compendio… Con esso il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all'esperienza della profondità del suo amore» (n. 1).

Grazie alla recita fervorosa del Rosario, si possono ottenere grazie straordinarie per l'intercessione della celeste Madre del Signore. Di questo era ben persuaso san Pio V che, dopo la vittoria di Lepanto, volle istituire un'apposita festa della Madonna del Rosario.

A Maria, Regina del santo Rosario, in questo inizio del Terzo Millennio, ho affidato con la recita del rosario il bene prezioso della pace e il rafforzamento dell'istituto familiare. Rinnovo questo fiducioso affidamento per intercessione del grande devoto di Maria che fu san Pio V.

5. Assicuro un particolare ricordo nella preghiera per Lei, venerato fratello, per i vescovi che presenzieranno alla chiusura del centenario, per i Comitati nazionali e di onore, per le autorità della Regione, della Provincia e dei Comuni del territorio alessandrino, per il clero, i religiosi e gli amati fedeli e per quanti prenderanno parte alla santa Messa di oggi, a conclusione delle celebrazioni giubilari nella chiesa del monastero della Santa Croce a Boscomarengo.


*************


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Vi ricordiamo anche questo:
S.Pio V con la Bolla Consueverunt Romani Pontifices ufficializza la preghiera del Santo Rosario


Lepanto segnerà la fine dell'invasione dei Turchi in Europa.....accostando anche la Battaglia di Vienna dove anche PER MEZZO DEL ROSARIO le truppe ebbero una vittoria definitiva......

Il Rosario e il culto mariano è prettamente legato alla storia dell'Islam......non è una invenzione della Chiesa, sono fatti realmente accaduti.......e che chiunque con un cuore puro e semplice potrà percepire tale VERITA'......

Maria DIFENDE LA CHIESA perchè la Chiesa E' IL CORPO DI CRISTO......qualsiasi Madre difenderebbe il Figlio.....e Dio ci ha DONATO LA MADRE DEL CRISTO per combattere la "buona battaglia" non con armi o violenza...MA CON LA PREGHIERA: IL ROSARIO......

Prima di parlare di Lepanto diamo uno sguardo ai fatti di Fatima perchè sono legati ed intrecciati fra loro....ben sapendo che la piccola cittadina del Portogallo, Fatima appunto, fu fondata dai Musulmani i quali diedero il nome Fatima in onore della figlia di Maometto.......

Lepanto-Vienna-Fatima.....sono risvolti di una sola medaglia.....proviamo a capirne i fatti.....

Fraternamente Caterina

ISLAM: esiste un legame tra le rivelazioni di Fatima e l'Islam?



"Gli uomini vengono circoncisi, le donne infibulate. I cristiani delle Molucche subiscono mutilazioni dei genitali come segno di appartenenza all'Islam. Gli aguzzini usano lamette rudimentali e le vittime della violenza hanno ferite infette e purulente". E' questa la drammatica testimonianza dell'agenzia missionaria "Fides" (23 dicembre 2000) sulle violenze perpetrate dai musulmani ai danni dei cristiani delle Molucche in questo scorcio di anno.


L'agenzia "Fides" ha raccolto testimonianze dirette, inviate da un gruppo internazionale a favore dei diritti umani, che sta preparando un dossier che sarà pubblicato in questi giorni. Secondo queste testimonianze, negli attacchi della Jihad islamica del 23 e 24 novembre scorsi, diverse persone sono state uccise e una decapitata.


Un capo della Jihad è stato visto tornare dagli attacchi portando come trofeo la testa di un cristiano, Linus R., un uomo che era paralizzato. Il macabro trofeo doveva essere la prova che i musulmani di Kesui avevano compiuto la missione loro affidata dalla moschea Al Fatah per "farla finita con i cristiani a Kesui".


Mons. Petrus Canisius Mandagi, vescovo di Ambon, accusa di queste violenze il gruppo terrorista musulmano Laskar Jihad, che goderebbe dell'appoggio dell'"Internazionale islamica": "Le autorità locali minimizzano, parlando di 800 militanti. Alcuni protestanti dicono 15mila uomini. Secondo noi, essi sono in tutto 7.000, di cui 5.000 ad Ambon e 2.000 nel Nord. Va notato che tra i guerriglieri vi sono soldati stranieri, da Malesia, Sud Filippine, Pakistan, Afganistan, Libia. Ciò fa pensare a un sostegno dell'internazionale islamica in questo conflitto" ("Fides", 7 dicembre 2000).


Si tratta di un'autorevole conferma dell'esistenza di un centro di coordinamento e di propulsione dell'espansione islamica nel mondo, attuata anche, se non soprattutto, con metodi violenti, com'è, del resto, nella tradizione maomettana. L'islam si diffuse in origine sulla punta delle spade e con esse consolidò il suo potere.

Ora, dopo secoli di decadenza, torna a far sentire la sua presenza minacciosa e non cessa di perseguitare i cristiani dove è in maggioranza, mentre attua una politica di prudente attesa dov'è in minoranza.

Dell'esistenza di un' "Internazionale islamica" si cominciò a parlare nell'ormai lontano dicembre del 1984, quando la rivista di cultura musulmana "Mashrek International", edita a Londra, rendeva pubbliche le risoluzioni del Consiglio islamico tenutosi a Lahore (Pakistan) nel 1980, che programmava l'islamizzazione forzata di tutta la regione Mediorientale entro il 2000.


All'alba dell'era cristiana era il paganesimo romano il principale aguzzino dei cristiani. All'alba del terzo millennio, mentre il sangue dei martiri continua ad essere versato copiosamente, questo ruolo sembra essere stato assunto dall'Islam (o meglio da una parte dell'Islam).

Nella visione dalle tinte apocalittiche della terza parte del segreto di Fatima, rivelato nella sua interezza solo nel giugno scorso, suor Lucia vede una grande Croce, ai piedi della quale, prostrato in ginocchio, sta il Santo Padre, che viene ucciso da un gruppo di soldati e con lui "altri Vescovi Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni". Sotto i due bracci della Croce, prosegue la visione, "c'erano due Angeli ognuno con un innafiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio" (cfr. Il Messaggio di Fatima, a cura della Congregazione della Dottrina della Fede, Città del Vaticano, Giugno 2000).

Alcuni hanno voluto scorgere un legame misterioso tra le rivelazioni mariane del 1917, avvenute a Fatima, località (guarda il caso) che porta il nome della figlia di Maometto, e l'Islam. Non è dato sapere, al momento, se questo legame esista. C'è da dire che l'Islam non è del tutto indifferente alle apparizioni di Fatima sostendo però, che non fu la Vergine ad apparire, ma la figlia di Maometto, Fatima, appunto! Affermazione questa veramente inconciliabile con i messaggi ricevuti da quelle apparizioni e alle persone ai quali essi vennero affidati, nulla a che vedere con il Corano.

Quello che si può dire è che, ove esistesse, non potrebbe non essere, per il contenuto stesso delle rivelazioni, un legame di sangue; ma, al tempo stesso, per l'esito del messaggio, che si inserisce in un contesto di speranza perfettamente cristiano, sarebbe un legame di trionfo e di conversione: " ... infine, il mio Cuore Immacolato trionferà!".

C'è da annotare l'insistenza delle apparizioni in alcuni momenti molto importanti per la storia del Mondo, attraverso questi messaggi la Vergine non fa altro che ripetere di Pregare e di recitare il Rosario per la conversione dei peccatori; lo stesso pontefice non fa altro che calcare i toni su questa preghiera mariana raccomandandola come catechesi; la storia di Lepanto e la coincidenza del suo anniversario nella strage delle Torri gemelle e questo incessante appello a ricorrere al Rosario, non possono far altro che metterci in guardia di fronte ad un nemico che odia radicalmente colui che è di Cristo!


ISLAM: le drammatiche testimonianze delle persecuzioni dei cristiani nelle Molucche



Fonti attendibili di "Fides" in Ambon e Giakarta confermano il fenomeno delle conversioni forzate e delle mutilazioni genitali sui cristiani, cattolici e protestanti, nelle isole Keswui e Teor, Molucche centrali, a Sud-est dell'isola di Ceram .


Il centro di crisi della diocesi di Amboina riferisce di giorno in giorno di nuovi casi accertati ed anche il governatore di Ambon, Saleh Latuconsina, responsabile dello Stato di Emergenza Civile nelle Molucche, ha riconosciuto che "è innegabile che a Kewui e Teor stia avvenendo un'islamizzazione forzata".


Il governatore ha detto di avere ricevuto notizie dai rifugiati che hanno lasciato le isole. Dopo gli attacchi ai loro villaggi, i cristiani sopravvissuti sono stati raccolti in varie moschee. Qui, sotto la minaccia di morte, venivano forzati a seguire i rituali di conversione all'Islam.


Dapprima sono stati costretti a seguire un bagno di purificazione, poi a proclamare per tre volte la dichiarazione di fede in Allah e in Maometto. Sotto la minaccia delle armi dovevano rispondere alla domanda: "vi convertite volontariamente?".


Costantinus, Vincent e Christina, alcuni dei testimoni ascoltati, sono fuggiti da Kesui su un barcone verso Ambon. Essi hanno raccontato che il 3 e il 4 dicembre molti uomini e donne sono stati forzati alla circoncisione come prova della loro conversione all'islam. Senza anestetico o disinfettante, uomini e donne sono stati circoncisi usando una lametta da barba.


All'inizio le donne hanno pensato che la loro circoncisione sarebbe stata solo simbolica. Christina racconta di essere stata portata in una stanza piccolissima dove é stata fatta sedere su un panno bianco. Una donna musulmana ha poi lavato i suoi genitali, incidendoli con un coltello.


Il panno bianco macchiato di sangue era il segno della sua circoncisione. Come per tutti gli altri, uomini e donne, anche per lei nessun anestetico, né disinfettante. Le donne si sono bagnate nell'oceano per lavare e curare le loro ferite.


Le persecuzioni nelle Molucche sono iniziate un anno e undici mesi fa, ricorda mons. Mandagi. Da allora si sono verificate numerose violazioni dei diritti umani e delle leggi civili, da parte della popolazione locale, delle autorità governative e delle istituzioni musulmane.


"Ci sono stati un'infinità di atti di ferocia, depravazioni e criminalità, come torture, stupri di donne e altri abusi sessuali, persecuzioni, massacri, saccheggi e distruzioni delle proprietà, tutti perpetrati dagli appartenenti alla maggioranza religiosa ai danni delle minoranza. La maggior parte delle vittime sono persone semplici, indifese e innocenti" ("Fides", 28 dicembre 2000).




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Veniamo ora alle vicende di Lepanto.....
NON abbiamo "100 Madonne" come qualche evangelico INGENUAMENTE  va dicendo.......ABBIAMO certamente MOLTE devozioni, a seconda del luogo, della cultura, della lingua....MA UNA SOLA E' LA DEVOZIONE....ed una sola è la Madre di Dio, il Verbo Fatto CARNE, Gesù Cristo il Signore.

Dal libro di San Giovanni Bosco "MARAVIGLIE della Madre di Dio invocata sotto il titolo di MARIA AUSILIATRICE":


Cap. IX – Battaglia di Lepanto

Esposti così di volo alcuni de’ molti fatti che confermano in generale quanto Maria protegga le armi dei cristiani quando combattono per la fede, passiamo ad altri più particolari che hanno dato motivo alla Chiesa di appellare Maria col glorioso titolo di Auxilium Christianorum. Principale tra essi è la battaglia di Lepanto.

Alla metà del secolo XVI la nostra Penisola godette alquanto di pace quando una nuova insurrezione dalla parte di Oriente venne a mettere lo scompiglio fra i cristiani.

I Turchi che da oltre cento anni si erano stabiliti a Costantinopoli vedevano con rincrescimento che i popoli d’Italia, e segnatamente i Veneziani, possedessero isole e città in mezzo al vasto loro impero. Cominciarono pertanto chiedere ai Veneziani l’isola di Cipro. La qual cosa essendo loro rifiutata, diedero mano alle armi e con un esercito di ottanta mila fanti, con tre mila cavalli e con formidabile artiglieria, guidati dallo stesso loro imperatore Selimo II, assediarono Nicosia e Famagosta che erano le città più forti dell’Isola. Queste città dopo eroica difesa caddero ambedue in potere dei nemici.

I Veneziani allora ricorsero al Papa affinché volesse venire in loro soccorso per combattere ed abbassare l’orgoglio de’ nemici del cristianesimo. Il Romano Pontefice, che allora era s. Pio V, nel timore che i Turchi se fossero riusciti vittoriosi avrebbero portato fra i cristiani desolazione e rovina, pensò di impegnare la potente intercessione di colei che santa Chiesa proclama terribile come un esercito ordinato a battaglia: Terribilis ut castrorum acies ordinata. Ordinò pertanto pubbliche preghiere per tutta la cristianità : ricorse al re di Spagna Filippo II e al duca Emanuele Filiberto.

Il re di Spagna messo in piedi un poderoso esercito lo affidò ad un fratello minore detto D. Giovanni d’Austria. Il duca di Savoia mandò di buon grado un numero scelto di prodi, i quali unitisi al rimanente delle forze italiane andarono a congiungersi cogli spagnoli presso a Messina.

Lo scontro dell’esercito nemico ebbe luogo vicino a Lepanto città della Grecia. I cristiani assalgono ferocemente i Turchi; questi fanno gagliardissima resistenza. Ogni vascello volgendosi d’improvviso tra vortici di fiamme e di fumo pareva che vomitasse il fulmine da cento cannoni di cui era armato. La morte pigliava tutte le forme, gli alberi ed i cordami delle navi spezzati dalle palle cadevano sopra i combattenti e li stritolavano. Le grida strazianti dei feriti si frammischiavano al rumoreggiar dei flutti e dei cannoni.

In mezzo al comune sconvolgimento Vernieri, condottiero dell’armata cristiana, si accorge che la confusione comincia entrare nelle navi turche. Subito egli fa mettere in ordine alcune galere basse e piene di artiglieri destrissimi, circonda i bastimenti nemici, e a colpi di canone li squarcia e li fulmina. In quel momento crescendo la confusione fra i nemici si eccita grande entusiasmo fra i cristiani e da tutte le parti si leva un grido di vittoria! vittoria! e la vittoria è con loro. Le navi turche fuggono verso terra, i Veneziani le inseguono e le fracassano; non è più battaglia, è un macello. Il mare è sparso di vesti, di tele, di frantumi di navi, di sangue e di corpi sbranati; trenta mila turchi sono morti; dugento delle loro galere vengono in potere dei cristiani.

La notizia della vittoria recò nei paesi cristiani una gioia universale. Il senato di Genova e di Venezia decretarono che il dì 7 ottobre fosse giorno solenne e festivo in perpetuo perché in cotal giorno nell’anno 1571 era succeduta quella grande battaglia.

Fra le preghiere che il santo Pontefice aveva ordinato pel giorno di quella grande battaglia fu il Rosario, e nell’ora stessa che si compieva quell’avvenimento, lo recitava egli stesso con una schiera di fedeli con lui raccolti. In quel momento gli apparve la santa Vergine rivelandogli il trionfo delle navi cristiane, il quale trionfo s. Pio V annunziò tosto per Roma prima che alcuno avesse in altra guisa potuto portare quella notizia, facendo suonare le campane. Allora il santo Pontefice in riconoscenza a Maria, al cui patrocinio attribuiva la gloria di quella giornata, ordinò che nelle Litanie Lauretane si aggiungesse la giaculatoria: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Maria aiuto dei cristiani, pregate per noi.
 Il medesimo Pontefice, affinché fosse perpetua la memoria di quel prodigioso avvenimento, istituì la solennità del SS. Rosario da celebrarsi ogni anno la prima domenica di ottobre. (cfr. op. cit., Tip. dell’Oratorio di S. Franc. di Sales, 1868, pag. 71-75)


**********

Aggiungo che il Papa fece suonare le campane a festa...da quel giorno è rimasta l'usanza di suonare le campane a mezzodì.....per ricordare il patrocinio della Vergine, Colei per mezzo della quale Cristo Signore si è fatto Uomo ed è diventato Re e Salvatore della storia di ogni uomo.....



Le ragioni storiche dello scontro


Dopo che il 31 maggio 1453 Maometto II aveva conquistato la città di Costantinopoli e con essa il millenario Impero cristiano d'Oriente, i turchi ottomani ritenevano imminente il giorno del loro dominio universale. Nel 1521 si erano impadroniti di Belgrado; nel 1526 avevano conquistato l'Ungheria ed erano arrivati fino alle porte di Vienna.

In Italia avevano invaso e saccheggiato tutte le coste del meridione. Tripoli era già stata tolta agli spagnoli, l'isola di Chio ai genovesi, Rodi ai cavalieri che la possedevano e la stessa isola di Malta, nuova sede dei cavalieri,sarebbe caduta nelle mani turche se Jean de La Valette, Gran Maestro dell'Ordine non l'avesse difesa e salvata con eroico valore.


Nel febbraio 1570 era giunto a Venezia un ambasciatore turco con un ultimatum della Sublime Porta: o la cessione al sultano dell'isola di Cipro o la guerra. Venezia aveva rifiutato con sdegno. Ma dopo undici mesi di assedio il 1 agosto 1571, nell'isola di Cipro era caduta la città di Famagosta. Il patto di resa garantiva la vita ai difensori superstiti, ma quando il comandante turco era penetrato a Famagosta aveva fatto scorticare vivo il comandante della piazza cristiana Marcantonio Bragadin. Il corpo era stato squartato, la pelle di Bragadin era stata quindi riempita di paglia, rivestita con la sua uniforme e trascinata per la città.


Il terrore regnava nel Mediterraneo, l'antico Mare nostrum. La sorte dei cristiani di Cipro era quella che l'Islam sembrava preparare ai cristiani di tutta Europa. Sulla cattedra di Pietro sedeva un teologo domenicano (l'uomo giusto, al momento giusto), Michele Ghislieri, salito al pontificato all'inizio del 1566 con il nome di Pio V. Egli valutò la gravità del pericolo e comprese che solo una guerra preventiva avrebbe salvato l'Occidente. Con parole gravi e commosse esortò le potenze cristiane ad unirsi contro gli aggressori e di questa difesa della cristianià fece l'asse del suo breve pontificato.

Non tutti, però, risposero all'appello (i Protestanti appena "nati" non presero una unanime decisione). L'espansione dei turchi si sviluppava anche grazie alla complicità decisiva di paesi cristiani, come la Francia, che in nome della realpolitik, oggi diremmo dei suoi interessi geopolitici, incoraggiava e finanziava i turchi per indebolire il suo tradizionale nemico: la casa imperiale d'Austria. Tuttavia grazie alle preghiere e alle insistenze del pontefice, il 25 luglio del 1570, la Spagna, Venezia e il Papa conclusero l'alleanza contro i turchi. Subito dopo aderirono il duca di Savoia, la Repubblica di Genova e quella di Lucca, il granduca di Toscana, i duchi di Mantova, Parma, Urbino, Ferrara, l'Ordine sovrano di Malta. Si trattava di una prefigurazione dell'unità italiana su basi cristiane, la prima coalizione politica e militare italiana nella storia.

Alla testa della Lega Cristiana fu posto un giovane di 25 anni: don Giovanni d'Austria, figlio naturale di Carlo V e dunque fratellastro del re di Spagna Filippo II. La flotta pontificia, costituita grazie all'aiuto decisivo dei cavalieri di Santo Stefano, era comandata da Marcantonio Colonna, duca di Paliano, a cui il Papa affidò la bandiera della Chiesa. La Santa Lega fu ufficialmente proclamata a Roma nella basilica di San Pietro e con l'entusiasmante preghiera mariana alla quale il pontefice era molto affezionato tanto da consigliarla in questa lotta decisiva. Lasciata Messina, dove si era concentrata alla fine di agosto, dopo venti giorni di navigazione con rotta verso levante, la flotta cristiana attaccò il nemico alle undici di mattina di quella domenica 7 ottobre dell'anno 1571.


Lo svolgimento della battaglia

All'alba del 7 ottobre 1571 una gigantesca flotta ottomana, la più numerosa mai schierata nel Mediterraneo, avanzava lentamente, con il vento di scirocco in poppa. Circa 270 galee e una quantità indescrivibile di legni minori formavano un semicerchio, una enorme e minacciosa mezzaluna che occupava tutte le acque che dalle coste montagnose dell'Albania, a nord, arrivano alle secche della Morea, a sud. Al centro della mezzaluna che avanzava, sulla nave ammiraglia, chiamata la Sultana, sventolava uno stendardo verde, venuto dalla Mecca, che recava ricamato in oro per 28.900 volte il nome di Allah.

Di fronte, in formazione a croce, era schierata la flotta cristiana, sulla cui ammiraglia, comandata da don Giovanni d'Austria, garriva un enorme stendardo blu con la raffigurazione del Cristo in Croce. La battaglia durò cinque ore e si decise al centro dello schieramento, dove le navi ammiraglie si speronarono l'un l'altra formando un campo di battaglia galleggiante in cui si susseguirono attacchi e contrattacchi finchè il reggimento scelto degli archibugieri di Sardegna riuscì a sferrare l'attacco decisivo. Alì Pascià fu colpito a morte e sulla Sultana fu ammainata la Mezzaluna e issato il vessillo cristiano.

Si coprirono di valore tra gli altri i Colonna e gli Orsini, sette della stessa famiglia, il conte Francesco di Savoia che cadde in battaglia, il ventitreenne Alessandro Farnese, destinato a divenire uno dei maggiori condottieri del secolo, Giulio Carafa che, preso prigioniero si liberò e si impadronì del brigantino nemico, ed i veneziani tutti che pagarono il maggior tributo di sangue.

Il provveditore veneziano Agostino Barbarigo che comandava l'ala sinistra dello schieramento cristiano, si batté, fino a che non gli mancarono le forze, con una freccia infitta nell'occhio sinistro.Sulla sua ammiraglia, Sebastiano Venier, combatté a capo scoperto e in pantofole perché, risponde a chi gliene chiede il motivo, fanno migliore presa sulla coperta. Ha settantacinque anni e imbraccia la balestra, aiutato da un marinaio per il caricamento dell'arma, un'operazione che era ormai superiore alle sue forze. Sopraffatto dal numero viene soccorso dalle galee di Giovanni Loredan e Caterino Malipiero, che trovano la morte nella lotta.
Al termine della battaglia la Lega aveva perso più di 7.000 uomini, di cui 4.800 veneziani, 2.000 spagnoli, 800 pontifici, e circa 20.000 feriti; i turchi, contarono più di 25.000 perdite e 3.000 prigionieri. Il nome di Lepanto era entrato nella storia. Per la prima volta dopo un secolo il Mediterraneo tornò libero. A partire da questo giorno iniziò il declino dell'impero ottomano.


 

Nel pomeriggio del 7 ottobre, Pio V che aveva moltiplicato le preghiere a Colei che sempre aveva soccorso i cristiani nelle ore drammatiche della cristianità, stava esaminando i conti con alcuni prelati. D'improvviso fu visto levarsi, avvicinarsi alla finestra fissando lo sguardo come estatico e poi, ritornando verso i prelati esclamare: "Non occupiamoci più di affari, ma andiamo a ringraziare Iddio. La flotta cristiana ha ottenuto vittoria", questo fatto venne confermato a firma dei testimoni che furono presenti, la notizia ufficiale giunse il giorno dopo.

Il Pontefice attribuì il trionfo di Lepanto all'intercessione della Vergine e volle che nelle Litanie lauretane si aggiungesse l'invocazione Auxilium christianorum. Anche il Senato Veneziano che non era composto da donnicciole, ma da uomini fieri e rotti a sfidare i più gravi pericoli in mare e in terra, volle attribuire alla Santissima Vergine il merito principale della vittoria e sul quadro fatto dipingere nella sala delle sue adunanze fece scrivere queste parole: Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii, victores nos fecit (non il valore, non le armi, non i condottieri, ma la Madonna del Rosario ci ha fatto vincitori).

Lepanto e Fatima sono prettamente collegate fra loro: a Fatima la Madonna del Rosario ha predetto le questioni del dramma comunista...

Solo la Preghiera e la vera conversione a Cristo potranno eliminare la radice di questi mali procurati dalla falsa ideologia comunista.

Oggi gli studiosi di politica moderna sono concordi nel ritenere che la spirale del terrorismo Islamico, che non ha nulla a che vedere con l'Islam moderato, e che tanti drammi sta creando al nostro tempo, ha postato le sue basi nell'ideologia comunista ed è finanziato da questa matrice fondamentalista....e la Vergine a Fatima l'aveva predetto.....che tanti sarebbero stati i danni provocati dal marxismo.....Unica medicina è la conversione a Cristo e la preghiera.....






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Testimonianze di un Esorcista


di p. GABRIELE AMORTH

La Donna dell’Apocalisse e il Drago


  http://www.stpauls.it/madre/0401md/0401md03.htm 

C’è una rivalità tra Maria e Satana che risale ad una precisa volontà divina e che si ripete nei secoli, per cui la Vergine Immacolata è la nemica dichiarata del serpente ingannatore.

Giovanni Paoli II, nell’Esortazione Apostolica "Ecclesia in Europa", affida a Maria le sorti del nostro Continente nel Terzo Millennio, con una conclusione tutta mariana, dove si fa riferimento al capitolo 12° dell’Apocalisse per spiegare che "la vicenda storica della Chiesa è accompagnata da ‘segni’ che sono sotto gli occhi di tutti, ma che chiedono di essere interpretati. Tra questi, l’Apocalisse pone il ‘segno grandioso’ apparso nel cielo di ‘una donna vestita di sole’ e parla di ‘lotta tra la donna e il drago’ (cfr. Ap 12,1-2) […] (cfr. EiE, 122)".

"Porrò inimicizia tra te e la Donna…"

Partiamo da questa certezza per introdurre le nostre riflessioni – che, a Dio piacendo, proporremo per tutto l’Anno di Grazia 2004 – sulla storia di sempre, come la Bibbia ci testimonia: la lotta tra Maria Santissima e il Demonio dal principio alla fine del mondo.

Dispiace di doverlo riconoscere, ma la storia umana, infatti, ha avuto inizio con una vittoria di Satana. Adamo ed Eva non hanno resistito alla tentazione, benché si trattasse di andare contro ad un esplicito comando di Dio.

E la condanna risuonò inesorabile per il serpente ingannatore: "Porrò inimicizia tra te e la Donna, tra il tuo seme e il seme di lei; esso ti schiaccerà la testa" (Gn 2, 15). È il seme della Donna, ossia il suo Figlio, a schiacciare la testa a Satana. Ma la madre è stata resa così partecipe di tutta l’opera del Figlio che è lecito – come la ritraggono tante volte gli artisti – rappresentarla nell’atto di schiacciare la testa al serpente.


 

La parola di Dio ha un contenuto che non ci può sfuggire: "Porrò inimicizia tra te e la Donna". C’è quindi una rivalità tra Maria e Satana che risale ad una precisa volontà divina e che si tramanda nei secoli, per cui la Vergine Immacolata è la nemica dichiarata del serpente. E il serpente trama contro i figli di lei, cercando di strapparglieli.

C’è una frase che ricorre sempre durante gli Esorcismi. Il ‘nemico’ dice continuamente: "Questa persona è mia, mi è stata data!"; e si ribella con furore quando l’Esorcista gli rinfaccia.: "Bugiardo! Questa persona è di Gesù Cristo e di Maria; in essa non c’è niente di tuo!". – Ma il Demonio incalza: "È mia, è mia! Tu non puoi niente…". E l’Esorcista: "Tua? Che cosa puoi fare contro il Battesimo? Che cosa puoi fare contro la Cresima?". – A questo punto, il Demonio tace; e ancora più tace sentendosi ripetere: "Questa persona è di Gesù ed è figlia di Maria!".

Il richiamo alla inimicizia che Dio ha posto tra il serpente e la Donna appare con tutta la sua forza e ci rimanda all’incalzare di questa lotta davvero incessante, fino alla fine dei tempi, proprio come nel passo dell’Apocalisse citato dal Santo Padre (cfr. Ap 12,1-2).

Esponiamolo in breve. Anche questa volta sono presenti la Donna e il drago. Ma la Donna è presentata come immagine gloriosa: "Un segno grandioso apparve nel cielo: una Donna vestita di sole…" (Ap 12, 1). Ed è presente di nuovo il nemico della Donna: "Un altro segno apparve nel cielo: un grosso dragone rosso vivo, con sette teste e dieci corna…" (Ap 12, 3). Come Satana iniziò la sua lotta contro i progenitori, qui incomincia il combattimento direttamente contro la Donna; ma, vedendosi sconfitto, il drago continua a combattere "contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù" (Ap 12, 17).

Risulta dunque evidente come la Bibbia sottolinei con forza – dall’inizio alla fine della storia umana – la presenza di Maria, "Donna Nuova", "nuova Eva" che combatte contro il nemico di Dio e degli uomini. Ed è chiaro che durante tutto il corso della storia umana, come nel corso della vita di ciascuno di noi, Maria ci sostiene perché non cadiamo nell’errore dei progenitori, ma rimaniamo fedeli a Dio, vincendo gli assalti del Demonio.

Cercheremo di scorgerlo nella storia infinita del Bene contro il Male, attraverso l’esperienza forte e talora incredibile dell’esercizio dell’Esorcistato.

Gabriele Amorth










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30 aprile: memoria di San Pio V (secondo il N.O.)



San Pio V o.p., Papa
(17.01.1504 - 01.05.1572)


 

Secondo il nuovo calendario liturgico, la memoria di questo grande Papa è stata anticipata al 30 aprile, vigilia della sua morte.
Per riconoscente privilegio per il Pontefice che fu solerte sostenitore e proficuo difensore della Chiesa di Cristo e della Cristianità in Europa (adempiendo concretamente i carismi dell'Ordine di cui era membro, i Frati Predicatori -Domenicani-), gli riserviamo un ricordo anche in questa giornata, per anticipare la ricorrenza del 5 maggio (con l'antico Calendario Liturgico).

*********
 
L'AZIONE POLITICA, TEOLOGICA E MILITARE DI SAN PIO V

da RiscossaCristiana

di Orazio Maria Gnerre

Il santo pontefice Pio V nacque nel 1504 a Bosco Marengo, in Piemonte, col nome di Antonio, dalla famiglia nobiliare dei Ghislieri. Figura più che importante per la storia della Chiesa, eletto al soglio pontificio per diretta volontà di San Carlo Borromeo, tutta la sua vita rappresenta l’austerità, l’integrità spirituale e l’umiltà che dovrebbero caratterizzare il ruolo da lui ricoperto, così come ogni servizio svolto nei confronti della Cristianità: egli seppe conciliare difatti morigeratezza dei costumi e vita politica, conoscenza teologica ed azione militare.

Impegnatosi sin da giovane nella vita religiosa, entrò nell’ordine dei Domenicani a soli quattordici anni, assumendo il nome di Michele, dando poi i voti solenni un anno dopo a Vigevano. Personalità di grande intelligenza e predisposizione allo studio, completò la sua carriera universitaria a Bologna (città dalla quale tre generazioni prima la sua famiglia era stata esiliata), divenendo così Lettore di Logica, Filosofia e Teologia. Alla base della stima che l’ambiente ecclesiastico nutriva nei suoi confronti vi era sicuramente la solidissima preparazione che egli si era formato negli studi teologici, coadiuvata dalle capacità intellettive sicuramente non comuni. Eppure, lungi dall’insuperbirsi per le prerogative fuori dal comune che lo contraddistinguevano, Michele Ghislieri conduceva una vita di rigida austerità che lo vedrà inserirsi in quello che fu il salvifico spirito della Controriforma. Ricevette l’ordinazione presbiteriale a Genova nel 1528, a 24 anni. Si distinse per il suo appoggio incondizionato al seggio pontificio contro le eresie, ed ebbe modo di predicare molte Quaresime nel Capitolo Provinciale della Lombardia. Assunse, con sommo merito, anche il ruolo di rettore di varie comunità domenicane. Fu papa Paolo IV ad ordinarlo vescovo di Sutri e Nepi, creandolo successivamente cardinale con il titolo di Santa Maria sopra Minerva. La sua fermezza nel condannare sia le eresie che gli errori commessi dallo stesso clero gli valsero il titolo di Grande Inquisitore Generale (egli già era considerato commissario generale dell’Inquisizione romana), titolo di cui egli si valse sia nella lotta verso il protestantesimo che nella denuncia (ed in alcuni casi addirittura nella scomunica, come nei confronti del Vicario e del Capitolo di Como) delle cariche ecclesiastiche non in linea o con l’ortodossia dottrinale o con una condotta morale consona al loro ruolo. Mai il titolo conseguito poté però fargli dimenticare le sue origini domenicane, ed egli preferiva indubbiamente continuare ad indossare il saio a qualsiasi altro abito, abitudine che mantenne anche durante l’attività di vescovo ed il pontificato, celandolo sotto le vesti impostegli dal ruolo. Il papa Pio IV lo trasferì prima alla sede di Mondovì, successivamente lo richiamò a Roma dove, alla sua morte, venne eletto Pontefice grazie alla scelta del Conclave, fortemente orientata dalla volontà di San Carlo Borromeo, che comprese le qualità umane e spirituali di cui Michele Ghislieri era dotato.
 
Il periodo di pontificato di San Pio V può essere a ben vedere considerato un faro per la moralità della Chiesa e per la sua azione politica e sociale. Poco incline agli inutili lussi che lo spirito decadente dell’epoca imponeva anche alle alte cariche del clero, egli non volle nessun tipo di festeggiamento o banchetto per il suo insediamento. Dominatore prima di sé stesso e poi dei suoi sottoposti, egli pretese una rigida disciplina da tutta la curia romana, reintegrando normative morali anche nella vita civile di Roma. Egli si nutriva di pasti frugali, dormiva su un pagliericcio e, a piedi nudi e capo scoperto, si spostava per le chiese di Roma. Parimenti, egli fu altrettanto rigido con il clero, la corte ed i parenti: ogni abuso della corte pontificia venne severamente punito, creò una commissione che sorvegliasse la condotta morale del clero, proibì gli svaghi mondani ai sacerdoti, interdicendo loro tra le altre cose anche spettacoli, banchetti pubblici e taverne; impose rigidi controlli sulla provenienza e le attività dei vescovi, combatté il nepotismo non concedendo alcun favore economico ai suoi familiari; gli unici due che ammise ad una carica furono il nipote di una sua sorella, il domenicano Michele Bonelli, quale cardinale (purché egli lo coadiuvasse nello gestire gli affari), e suo nipote Paolo Ghislieri, che fece entrare nella guardia pontificia (cacciandolo però anche dallo Stato quando scoprì alcune illiceità nella sua condotta morale). Sebbene San Pio V fu categorico nel combattere ogni qualsiasi fenomeno sociale licenzioso, egli fu sempre ben visto dal popolo, che lo considerava un garante dell’integrità morale dello Stato e della giustizia: egli da un lato proibì le dissolutezze del Carnevale e la prostituzione, e contrastò con dure sanzioni bestemmia, blasfemia ed ogni tipo di illiceità, dall’altro si espose sempre come vicino ai meno abbienti ed al popolo tutto, partecipando frequentemente alle manifestazioni pubbliche della fede, sostentando i poveri ed i bisognosi con somme considerevoli (specialmente nel periodo di carestia ed epidemia), favorendo i Monti di Pietà per sostituire i prestiti ad usura, suggerendo la fondazione di un istituto dei Fatebenefratelli e visitando frequentemente gli ospedali, costruendo nuove infrastrutture ed incentivando le bonifiche, concedendo udienze al popolo che duravano fino a dieci ore consecutive.
 
Al contempo, in questo periodo vide la luce una nuova epoca di rinascita dei veri valori della Dottrina cattolica, legata strettamente alla strenua opposizione che il Pontefice operò contro lo spirito dei suoi tempi, carico della dissoluzione introdotta dall’Umanesimo. San Pio V in questo senso continuò di fatto la sua attività di inquisitore, punendo con fermezza tutte quelle forme di indisciplina e di eterodossia che covavano nella Chiesa, creando la Congregazione dell’Indice per l’esame dei libri contrari alla fede ed intervenendo di persona alle sessioni del Tribunale dell’Inquisizione. Per sua volontà venne riportata in auge negli studi teologici la figura di Tommaso d’Aquino, che egli proclamò “Dottore della Chiesa” (titolo che concesse anche a Sant’Atanasio, San Basilio Magno, San Giovanni Crisostomo e San Gregorio di Nazianzo), imponendo lo studio della Summa Teologica alle università e promuovendo la stampa delle sue opere al completo. Fu a lui che si deve la pubblicazione del catechismo romano, del breviario romano riformato e del messale romano, per il quale la liturgia preconciliare assume comunemente la definizione di “Messa di San Pio V”.
 
Ma l’aspetto più significativo che ha sicuramente contribuito a consegnare ai posteri ed agli onori degli altari la figura di San Pio V fu, a ben vedere, anche lo spirito militare che ne contraddistinse il pontificato, quindi anche l’impegno nelle relazioni politiche internazionali e la capacità miracolosa di aver saputo unificare le forze di una Cristianità ormai divisa, preda delle nefaste contraddizioni della sua epoca e non più salda nella fede e nell’agire. Il suo coraggio politico gli permise di schierarsi anche contro Filippo II per difendere gli interessi della Chiesa, così come di appoggiare Maria Stuarda contro Elisabetta I, e di scomunicare la stessa Elisabetta nel 1570, divenendo così l’ultimo papa ad aver impartito un anatema ad un regnante, facendo valere i diritti della Chiesa di Cristo contro le pretese temporali delle forze anticattoliche. E fu la stessa intraprendenza illuminata dalla Grazia che gli permise di organizzare le forze della Cristianità, facendo coalizzare Genova, Venezia e Spagna (forze i cui interessi strategici diretti erano in frequente collisione), al fianco dei Cavalieri di Malta, contro l’avanzata dell’Impero Ottomano, che cercava di estendere i suoi domini sui territori della Cristianità, minacciando così la sua integrità, la fede dei suoi abitanti e l’esistenza della stessa. Una volta che le mire dell’Impero Ottomano furono palesi, con l’assedio di Cipro e la conquista di Famagosta (che vide l’eroico martirio del Governatore di Cipro e Capitano Generale di Famagosta, Marcantonio Bragadin), egli seppe guidare gli eserciti dell’Europa cattolica alla battaglia contro la flotta ottomana, nel golfo di Lepanto. Fu lì che, con un evidente favore divino, le sorti della battaglia volsero a vantaggio dell’alleanza cattolica, non senza il sacrificio dei più valorosi e degli eroici Cavalieri di Malta, catturati e giustiziati impietosamente. Il Pontefice ricevette così un messaggio miracoloso che lo informò, alle cinque pomeridiane, in perfetta concomitanza con il termine della battaglia, della vittoria del fronte cattolico: istituì da allora la festa di Santa Maria della Vittoria, divenuta poi la festività del Ss. Rosario.
 
Risulta quindi evidente la completezza di questo grande santo del XVI secolo, che seppe costruire un’azione organica integrando in essa santità di vita, morigeratezza dei costumi, amministrazione politica, diplomazia e forza militare, il tutto sorretto dalla Grazia divina, alla quale prima di tutto fu imputata la causa della vittoria gloriosa di Lepanto. L’appello che il modello umano di San Pio V volge ai cattolici, oggi come ieri, è la necessità di consolidare una retta ed armonica vita sociale grazie all’adesione della comunità umana alla volontà di Dio e della Santa Vergine, l’obbligo di procedere ad una retta formazione dottrinale e teologica del clero condannando indistintamente ogni errore, la necessità di instaurare tutto in Cristo.

[SM=g1740733]
 
[Modificato da Caterina63 09/04/2012 23:39]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740717] [SM=g1740720] 30 Aprile - San Pio V (Antonio Ghislieri)
Impegnatosi sin da giovane nella vita religiosa, entrò nell’ordine dei Domenicani a soli quattordici anni, assumendo il nome di Michele...

www.gloria.tv/?media=284252


... a lui, che non volle abbandonare l'abito, la Tonaca domenicana, le Sacre Lane domenicane, si dive il fatto che da allora il Pontefice veste di bianco... mentre fino ad allora vestiva di rosso come i cardinali...
Consiglio anche di approfondire il suo Documento sul Rosario, la Consueverunt Romani Pontifices:

difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...
e
www.gloria.tv/?media=159776







[SM=g1740717]

[SM=g1740717]


[SM=g1740757]

[Modificato da Caterina63 30/04/2012 11:44]
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Celebrata dall'arcivescovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede la memoria liturgica di san Pio V



La grandezza dell'umiltà


di mons. Gerhard Ludwig Müller


Come molti di noi sanno, Michele Ghislieri, divenuto poi Papa con il nome di Pio v, passò -- a motivo dell'indigenza della sua famiglia -- buona parte della sua prima gioventù in mezzo ai campi, come pastore. Cominciò così la vita di questo grande santo che è il nostro patrono.

Nulla accade a caso nella vita. Sappiamo infatti che il Signore si serve del tempo e parte da lontano per preparare i suoi amici ai compiti che riserva loro. D'altronde le doti di un uomo, come i suoi difetti, hanno una lunga storia. Possiamo chiederci allora quali doti andassero forgiandosi in quel giovane dall'intelligenza vivace, dentro quella condizione apparentemente così distante dalle sue future mansioni.
Forse proprio in quegli anni cominciò a sviluppare una propensione al silenzio e alla preghiera, una sensibilità particolare alla bellezza della natura, una certa essenzialità e concretezza nel vivere, una prontezza vigilante nel prendersi cura degli armenti.
E chissà se, guardando il gregge a lui affidato, si poteva mai immaginare quali ben altri greggi il Signore avrebbe poi consegnato alle sue cure. Così ci piace rappresentare quei primi quattordici anni della vita di Michele Ghislieri -- di cui sappiamo soltanto che furono trascorsi soprattutto nella custodia delle pecore -- come una discreta e umile preparazione alle importanti vicende che lo videro poi assoluto protagonista della Chiesa del suo tempo, dapprima come Inquisitore e poi come Pontefice. Perché, sempre, le cose grandi si vanno preparando nell'umiltà.

Oggi si ricorda il Papa san Pio v soprattutto per la sua grande capacità di governo e per la sua fermezza nel tutelare la fede. Egli era proteso a proteggere soprattutto la fede dei semplici, sia nella dottrina che nella disciplina. Difese con tutte le sue forze la Chiesa e il bene del popolo cristiano. Si adoperò con tutto se stesso per l'attuazione del concilio di Trento, in modo particolare per la riforma della curia romana, del clero e degli ordini religiosi.

Tutti lo ricordiamo come il Papa acclamato per la vittoria di Lepanto, ma è bene non dimenticare che da cardinale, il Ghislieri non temette anche di cadere in disgrazia pur di rimanere fedele al bene e alla verità. Amava infatti la verità e il bene più della sua tranquillità. Forse fu proprio per questo che un santo, Filippo Neri, gli profetizzò l'elezione a Pontefice, e che un altro santo, il cardinale Carlo Borromeo, in conclave, divenne suo grande elettore. Perché capita spesso che, fra i santi, nasca una connaturale affinità e un'amicizia.

Pio v fu un tenace assertore sia della fede che dell'unità ecclesiale.
Non solo si impegnò per difendere l'integrità della fede dalle eresie, ma fece pubblicare il Catechismo Romano, promuovendone la traduzione in altre lingue. Istituì un comitato per la redazione di un testo ufficiale della Sacra Scrittura. Creò una commissione cardinalizia per organizzare e regolare l'evangelizzazione di America, Africa e Asia.

Così si adoperò anche per l'unità della tradizione cristiana d'oriente e d'occidente, decretando per i quattro dottori della Chiesa greci (Basilio, Gregorio Nazianzeno, Gregorio Nisseno e Giovanni Crisostomo) gli stessi onori di quelli latini (Ambrogio, Girolamo, Agostino e Gregorio Magno). Cercò di rinsaldare l'unità della fede attraverso la riforma e l'unificazione della liturgia. È ricordato come il Papa che pubblicò il breviario. E ancora oggi con il suo messale si può celebrare l'eucarestia.

In questo inscindibile e instancabile servizio all'integrità della fede e all'unità della Chiesa, Pio v manifestò uno dei compiti peculiari del Successore di Pietro, il Pontefice Romano, che nello stesso tempo è chiamato a garantire l'autentica fede apostolica e l'unità ecclesiale. Egli non era disposto a negoziare la fede perché sapeva bene che ogni compromesso sulla fede degli Apostoli è una minaccia diretta a quel dono per cui Gesù ha tanto pregato e per cui ha offerto la sua stessa vita (cfr. Giovanni, 17, 21): l'unità dei suoi discepoli.

Questo noi lo abbiamo imparato vedendo all'opera per tanti anni Joseph Ratzinger, dapprima come prefetto di questa Congregazione e poi come Papa. E ce lo ha richiamato di recente anche il nostro Papa Francesco: «la fede non si negozia» -- ha detto -- perché «quando cominciamo a tagliare la fede, cominciano le apostasie», cioè si lacerano le carni del Corpo risorto del Signore, della sua Chiesa. Nel lavoro che ci è affidato, questo lo vediamo bene ogni giorno.

Perciò la nostra Congregazione, nella sua storia plurisecolare, si è sempre sentita posta in un modo particolare al servizio del Successore di Pietro. La Congregazione per la Dottrina della Fede si sente cioè inscritta, per sua stessa natura e indole, nel compito di aiutare il Papa a promuovere e tutelare la fede dei semplici ed insieme a rinsaldare l'unità visibile della Chiesa, che trova nel ministero petrino-romano la sua garanzia ultima. Perché questi due compiti sono inscindibilmente legati, si tengono, stanno e cadono insieme.

Fede e visibile unità ecclesiale sono due doni che non possono essere separati. È permanere nell'autentica fede apostolica che consente ai discepoli di Gesù di rimanere saldi in quell'unità che è germe e profezia del mondo nuovo, che è «segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità del genere umano» (Lumen gentium, 1). Ed è l'unità della Chiesa il luogo genetico della fede dei suoi figli e di quella testimonianza che convince gli uomini di buona volontà, che converte i cuori e suscita gioia nel credere.

Fede e unità ecclesiale sono infatti la terra buona in cui fiorisce la martyría, in cui germogliano gli amici di Dio e i suoi autentici testimoni, in cui il cuore si apre con fiducia e si abbandona con pace al Signore. Laddove la fede degli Apostoli è viva, e l'unità visibile della Chiesa è realizzata, nascono i testimoni e la testimonianza stessa -- come aveva preconizzato il Papa Paolo VI -- diviene una cattedra che ci introduce alla vita di Dio.

Una vita -- quella che viene da Dio -- che è vivace comunione e nella quale le ricchezze e le diversità si lasciano comporre in un'unità che accoglie la pluriformità ma non negozia la verità. Quando la fede e l'unità sono reali, accade anche che la carità e l'impeto missionario alimentino come linfa il corpo ecclesiale; accade che non si possa più tacere la ricchezza del dono ricevuto; accade che non si può più tacere Colui che si riconosce all'opera nella comunione ecclesiale (cfr. Atti degli apostoli, 4, 20).


Perciò, per sua stessa natura, alla Congregazione per la Dottrina della Fede, nel suo servizio al Successore di Pietro, non solo spetta custodire e tutelare la dottrina e l'integrità della fede ma anche -- come afferma per ben tre volte la costituzione apostolica Pastor bonus (numeri 48-50) -- operare fattivamente per la loro «promozione».

Appartiene al nostro servizio il «promuovere», perché la fede autentica viene difesa soprattutto laddove essa viene promossa, cioè testimoniata in un modo che è insieme intelligente e appassionato. Come ci ha ricordato il Papa Benedetto XVI nell'ultimo sinodo: la testimonianza non è «solo cosa del cuore e della bocca, ma anche dell'intelligenza; deve essere pensata e così, come pensata e intelligentemente concepita, tocca l'altro» (Meditazione nel corso della prima congregazione generale, 8 ottobre 2012).
All'interno di questa testimonianza si colloca il compito precipuo della Congregazione per la Dottrina della Fede nel suo servizio al ministero petrino. E proprio a questo livello si può comprendere il carattere essenzialmente e connaturalmente «pastorale» del nostro lavoro (cfr. costituzione apostolica Pastor Bonus, n. 33).

Siamo chiamati ad accogliere con generosità ed a farci carico dei grandi doni che Dio ci elargisce con la fede, per servire Pietro. Egli -- come ci richiama il Vangelo che abbiamo appena letto -- ancora oggi riceve direttamente da Gesù il suo mandato: «pasci il mio gregge…». L'amore per Cristo che sospinge Pietro, ci trascina con sé e ci invita a servire la sua missione: amare e pensare nella verità, donare la vita per i fratelli - «pascere il gregge». Servire con umile fierezza questa missione è il nostro dovere e la nostra ricchezza. Preghiamo san Pio v, chiedendo la sua intercessione affinché -- qualunque sia qui la nostra mansione -- così sia, davvero, per tutti noi!

(L'Osservatore Romano 1° maggio 2013)



san pio v
San Pio V Patrono del Dicastero della Congregazione per la Dottrina della Fede
Proseguendo una consuetudine valorizzata soprattutto dall'allora cardinale J.Ratzinger, il Prefetto per la CdF celebra abitualmente la Memoria Liturgica di San Pio V il quale, pochi sanno, è Patrono della stessa Congregazione. Con la Riforma Liturgica del Concilio Vat. II la Festa è il 30 aprile, mentre con la Messa antica la Festa cade il 5 maggio.  La Messa si svolge nella Cappella dedicata al Pontefice nel Palazzo
della medesima Congregazione in piazza del Sant’Uffizio.
(Nella foto il Vescovo Muller celebra la Messa per San Pio V - 30.4.2013)





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[Modificato da Caterina63 09/07/2016 21:50]
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VITA DI SAN PIO V



 


Tratta da "Bibliotheca Sanctorum'' Vol. X 
Testo a cura di Angelico Iszak

 

 

 

 

 

 

 

I. PRIMA DEL PONTIFICATO

 

1. Origini e giovinezza. 
Nacque il 17 gennaio 1504 nel comune di Bosco (dal 1863 si chiama Bosco Marengo), poco distante da Alessandria, appartenente allora alla diocesi di Tortona e al ducato di Milano. I genitori, Paolo Ghislieri (Ghialzei, Ghisilieri) e Domenica Augeria, al battesimo gli imposero il nome di Michele. Secondo i biografi, la povertà dei genitori non gli permise di studiare tanto quanto desiderava, obbligato come era a custodire le pecore.

All'età di quattordici anni, forse con l'aiuto del concittadino Bastone, poté iniziare gli studi regolari nel convento domenicano di Voghera. Ivi ricevette l'abito religioso e fu mandato, per fare il noviziato, nel convento di Vigevano, col nome di fra’ Michele Alessandrino. Da questo momento la sua vita è strettamente legata alla riforma religiosa nella Congregazione (dal 1531, provincia) domenicana di Lombardia. Finito l'anno di noviziato, fece la professione solenne il 18 maggio 1521. Sembra che abbia compiuto gli studi di filosofia e teologia nei conventi di Vigevano, Bologna e Genova. A Genova ricevette l'ordinazione sacerdotale nel 1528 e in seguito venne abilitato all'insegnamento col titolo di lettore in teologia. Durante questi anni di intensi studi scolastici, acquistò non solo le scienze prescritte, ma anche quell'amore generoso della verità e quella rettitudine di volontà che lo caratterizzeranno per tutta la vita.

Durante i successivi sedici anni lo troviamo lettore di teologia in vari conventi dell'alta Italia, e priore, due volte a Vigevano, una volta a Soncino e ad Alba.

 

2. Al servizio dell'inquisizione.

Dopo che Paolo III nel 1542, ebbe istituito l'inquisizione romana, il Ghislieri venne nominato vicario di Sante da Padova, inquisitore di Pavia, poi - intorno al 1546 - inquisitore della diocesi di Como.

Nel 1551 morì Teofilo Scullica, primo commissario generale del S. Ufficio e i cardinali inquisitori designarono a succedergli l'inquisitore di Como (giugno 1551). Quando poi il card. Carafa fu elevato al pontificato col nome di Paolo IV, il Ghislieri ricevette dapprima poteri che fino ad allora erano riservati ai cardinali (1° settembre 1555), fu quindi fatto membro della commissione istituita per la riforma della curia (gennaio 1556); il 4 settembre 1556 fu nominato vescovo di Nepi e Sutri; il 15 marzo 1557 veniva creato cardinale e il 14 dicembre 1558 inquisitore maggiore. A differenza di alcuni suoi colleghi, egli non voleva per sé né ricchezze né tenere corte numerosa, ma esigeva dai suoi “familiari” una condotta quasi monastica ed egli stesso dava esempio di vita austera e laboriosa. 
Durante il pontificato di Paolo IV, come inquisitore maggiore dovette occuparsi, fra molti casi affidatigli, anche di alcuni molto dolorosi, come il processo, sotto accusa di eresia (fondate su semplici sospetti), contro il card. Morone, riconosciuto poi innocente; quello relativo all'arcivescovo di Toledo, Bartolomeo Carranza, detenuto nelle carceri dell’inquisizione spagnola ed altri, poiché però lo zelo antiereticale del papa, sospettava eresia anche dove non ve n'era neppure l'ombra, anche il Ghislieri cadde qualche volta nel sospetto di Paolo IV, e si sentì dare del "frate sfratato" e "luterano" (Pastor, VI, p. 650); al principio di agosto, 1559, per avere ospitato un inviato del Carranza, dovette ascoltare per mezz' ora, in pieno concistoro, i rimproveri del papa e, due giorni dopo, l'accusa di essere indegno della porpora e la minaccia di essere incarcerato in 
Castel S. Angelo (ibid., p. 665).

Col successore di papa Carafa, Pio IV, per parecchio tempo i rapporti furono assai buoni: il nuovo pontefice lo confermò nella carica di inquisitore maggiore, riducendo tuttavia le sue competenze alle sole cause che riguardavano la fede. Successivamente lo trasferì all'episcopato di Mondovì (27 marzo 1560), col permesso di restare a Roma per dedicarsi alla direzione dell'inquisizione ed incaricare del governo della diocesi Girolamo Ferragatta. Il Ghislieri si recò tuttavia a Mondovì allo scopo effettivo di esercitare una specie di "generai sopraintendentia” sopra gli affari religiosi e le diocesi del Piemonte con l'autorità di disporre, secondo le esigenze dei singoli casi, nel modo migliore, con la previa approvazione di Pio IV (lettera di s. Carlo Borromeo al nunzio di Torino, 12 giugno 1561), specialmente in ciò che riguardava la predicazione della fede, la repressione dell'eresia e la revoca dei decreti ducali sul foro ecclesiastico.

Dopo aver visitato Emanuele Filiberto a Torino, il 7 agosto 1561 fece il solenne ingresso a Mondovì: subito dopo iniziò la vita pastorale che rivelò ben presto vari abusi. Per eliminarli, il nuovo vescovo chiese aiuto alle autorità civili le quali, però, spesso erano restie ad accontentarlo. Si rivolse allora al duca (lettera del I° settembre 1561) chiedendo aiuto contro gli abusi da lui denunciati, ma questo, per il quale la presenza del cardinale in Piemonte sembrava una missione di sorveglianza sulla sua politica ecclesiastica, non gli rispose. Perciò il 14 settembre, senza congedarsi dal duca, il Ghislieri intraprese il viaggio di ritorno a Roma, dove arrivò il 25 novembre.

A Roma, i suoi dissensi con la politica ecclesiastica di Pio IV lo fecero cadere in disgrazia: nella prima metà del 1564 il Papa lo privò dell'appartamento che aveva in Vaticano; il 2 agosto, con l'istituzione della commissione cardinalizia che doveva dirigere l'inquisizione romana, il Ghislieri si vide praticamente destituito dall'ufficio di inquisitore maggiore. Qualche mese dopo, constatando che la sua presenza a Roma non era più necessaria, decise di ritornare a Mondovì. Ma la notizia che i corsari avevano preso la nave che trasportava i suoi bagagli e la malattia che già nel 1564 l'aveva portato sull'orlo della tomba e ora ricominciava a tormentarlo, l'indussero a chiedere al papa il permesso di restare a Roma.

 

Il. SULLA CATTEDRA DI PIETRO

 

1. L'elezione e gli inizi del pontificato

Pio IV morì il 9 dicembre 1565 ed i nipoti (il card. Altemps e s. Carlo Borromeo) promossero, dopo parecchi giorni di infruttuose votazioni, l'elezione del Ghislieri il 7 gennaio 1566. Il nuovo papa prese, per riguardo al predecessore, il nome di Pio V e l'incoronazione avvenne il 17 successivo, suo giorno natale. 
"Raramente in un papa il principe è passato in seconda linea di fronte al prete come nel figlio di san Domenico, che ora sedeva sulla cattedra di san Pietro. Una cosa soltanto stavagli a cuore: la salute delle anime. A servizio di questa missione egli pose tutta la sua attività e sulle esigenze della medesima egli calcolava il valore di ogni istituzione e azione" (Pastor, VIII, p. 46).

 

2. La riforma della Chiesa.

Pio IV aveva già promulgato i decreti di riforma del concilio di Trento (26 gennaio 1564); toccò ora al suo successore il compito di metterli in pratica e, perché non restassero lettera morta, non gli mancavano né la volontà né la necessaria energia.

Il Concilio aveva affidato al papa la riforma della curia romana e Pio V cominciò dalla sua persona: nessuna indulgenza verso se stesso, era contrario ad ogni tipo di nepotismo poiché la Chiesa non doveva essere asservita ai parenti del papa. Soltanto quando vide che alcuni cardinali che dovevano aiutarlo nel governo seguivano i propri interessi, decise di creare cardinale il pronipote Michele Bonelli (3 marzo 1566) che doveva operare sotto il diretto controllo del papa e secondo severe regole da lui stabilite.

Invitava ripetutamente i cardinali a riformare se stessi e i loro familiari, ma per riguardo all'età e dignità dei porporati non volle emanare nessun decreto generale: si limitava ad avvertirli e a rimandare nella loro diocesi quelli che non erano indispensabili a Roma. Nella creazione dei nuovi porporati non ammetteva alcuna interferenza politica: badava soltanto ai meriti e alle attitudini dei candidati.

Per attuare la riforma dei vari uffici di curia e del clero romano, Pio V avrebbe voluto a Roma il card. Borromeo, ma questi, appellandosi al proprio dovere di rimanere presso il gregge affidatogli, ottenne di esser sostituito da Nicolò Ormaneto, suo stretto collaboratore nella riforma milanese. La completa riorganizzazione, su nuove basi della Penitenzieria, i decreti di riforma che riguardavano la Dataria, la Segnatura, la Camera Apostolica e la Cancelleria, la nuova sistemazione degli archivi di curia, sono testimoni dello zelo di papa Ghislieri. 
Già pochi giorni dopo l'incoronazione istituì una commissione cardinalizia che doveva esaminare la scienza e la condotta di tutti i chierici romani. 
La visita pastorale, fatta in parte dal papa, in parte da visitatori incaricati, controllava l'ufficiatura delle chiese, l'istruzione catechistica dei fedeli, la cura spirituale dei malati e dei moribondi, le opere di beneficenza, ecc. La formazione del giovane clero era già stata assicurata dai suoi predecessori 
attraverso l'opera del Collegio Romano, affidato ai Gesuiti. Disposizioni simili vennero date per tutte le province degli Stati Pontifici e il controllo della loro osservanza affidato ai visitatori nominati dal papa (le diocesi di Porto e Ostia vennero visitate da Pio V in persona).

Pio V, inoltre, inculcava ai vescovi degli altri paesi l'osservanza dei decreti tridentini: l'obbligo di residenza, la visita pastorale, la fondazione di seminari e la riunione di sinodi. Per rendere più efficaci i suoi continui ammonimenti, mandò visitatori apostolici con poteri straordinari nel regno di Napoli, in molte diocesi dell'Italia centrale e settentrionale, in Germania e in Austria. Nella nomina dei vescovi voleva, per quanto possibile, evitare ogni influenza laica, pur non sempre riuscendovi. 
Era intransigente di fronte alle richieste di rendere meno rigida la legge del celibato ecclesiastico. 
Non meno deciso era il pontefice riguardo alla riforma dei religiosi: prescrisse a tutti la clausura papale, l'ufficiatura corale, la professione solenne; regolò l'età minima per la professione; proibì di risiedere fuori convento e di passare da un Ordine all'altro col pretesto di una maggiore perfezione. Spesso trovò nei religiosi la prontezza necessaria alla realizzazione di una profonda riforma interna, non erano però rari i casi di resistenza, anche ostinata, tra i quali il più doloroso fu quello degli Umiliati che non volevano saperne della riforma, anzi, uno di loro - con la complicità di altri - attentò alla vita di s. Carlo, loro cardinale protettore e riformatore. Il papa, con la Bolla del 7 febbraio 157I, soppresse il ramo maschile dell'Ordine.

 

3. Difesa e propagazione della fede.

Pio V, convinto che l'opera del concilio di Trento che aveva condannato le eresie del tempo ed esposto la dottrina della Chiesa, dovesse essere completata con la dimostrazione pratica dell'unità della tradizione dogmatica delle Chiese orientale e occidentale e del Medioevo con l'Antichità, decretò per i quattro Dottori greci (Basilio, Gregorio Nazianzeno, Gregorio Nisseno Giovanni Crisostomo) gli stessi onori liturgici che si tributavano ai Dottori latini (Ambrogio, Girolamo, Agostino, Gregorio Magno) e - estendendo il concetto di "Dottore della Chiesa" - aggiunse loro s. Tommaso d'Aquino (sembra che avrebbe voluto fare lo stesso con s. Bonaventura). Nella stessa intenzione, e specialmente per aiutare i parroci nell'istruzione catechistica, fece pubblicare (1566) ilCatechismo Romano e ne promosse la traduzione in altre lingue. Volle anche avere un testo ufficiale, corretto, della S.Scrittura, ma la commissione da lui istituita, per le difficoltà dell'impresa, procedette con grande lentezza; in attesa che l'opera fosse compiuta, comunque, fece pubblicare a sue spese laBibliotheca sancta di Sisto Senese (1566) con cui indicò la nuova e sicura via da seguire negli studi biblici. Un mezzo efficace a rappresentare e rinsaldare l’unità della fede attraverso i riti del culto cattolico, era la riforma e l'unificazione della liturgia: Pio V fece pubblicare il Breviario (1568) e il Messale (1570) e li impose a tutte le diocesi e a quegli Ordini religiosi che non avevano una liturgia propria da almeno duecento anni e riservò, per l’avvenire, alla S. Sede ogni innovazione liturgica.

Convinto che per evitare l'ulteriore defezione dei fedeli l’inquisizione fosse un mezzo indispensabile, decise di ripristinare la severità nei procedimenti contro gli eretici che era stata propria del pontificato di Paolo IV. Fece pertanto costruire il palazzo del S. Ufficio ed intensificare i processi contro i denunziati. Le carceri dell'inquisizione erano colme di detenuti, la maggior parte di essi, peraltro, o dopo la constatazione dell'innocenza o dopo l’abiura, venne liberata; ma c'erano anche molti ostinati che finirono sul patibolo, come Pietro Carnesecchi (1567) e Aonio Paleario (1570).

Ma l’inquisizione spagnola preoccupava il papa: quello che doveva essere un tribunale religioso, effettivamente era diventato uno strumento di regno nelle mani di Filippo II che se ne serviva per la piena realizzazione del suo cesaropapismo. Bartolomeo Carranza, arcivescovo di Toledo, ne era una delle vittime; dopo vari tentativi per ottenerne l'estradizione e le ripetute insistenze di Pio V, alla fine, il 28 maggio 1567, il Carranza potè giungere a Roma; ma a causa dei maneggi dell'inquisizione spagnola e degli inviati di Filippo II neppure il papa poté far piena luce sulla posizione del prelato spagnolo, che dovette restare in carcere a Roma fino al 14 aprile 1576.

In Belgio le controversie anti-protestantiche generarono un nuovo errore, sostenuto da Michele Baio (Du Bay). Denunciato a Roma, le sue settantanove tesi vennero condannate il I° ottobre 1567 (Denzinger-Schonmetzer, Enchiridion Symbolorum, nn. 1001-1080). Baio si sottomise: tuttavia nuove polemiche lo provocarono a difendersi e ciò rese necessari nuovi interventi del papa, fino a quando nel 1579 non si riuscì a porre fine alle polemiche e ai sotterfugi.

Il pontificato di Pio V rivestì notevole importanza anche per la propagazione della fede. Fra i meriti da lui acquisiti in favore delle missioni è importante l'istituzione di una commissione cardinalizia che doveva dirigere l'evangelizzazione dei popoli d'America, d'Africa e d'Asia. II papa incoraggiava anche le iniziative che rendevano a costituire delle comunità indigene in luoghi separati, per sottrarle alle angherie dei bianchi: in certi paesi (Perù, Messico, Colombia, Goa) papa Ghislieri poté vedere i buoni risultati missionari, mentre in molti altri egli era stato solo il seminatore e ai suoi successori era riservata la mietitura.

 

4. Il principe temporale.

Come sovrano degli Stati Pontifici Pio V riformò la giustizia; una volta al mese riceveva lagnanze contro tribunali e ufficiali; due volte la settimana riceveva la povera gente ed interveniva per rimediare agli abusi di qualsiasi genere che gli venivano segnalati. Era severo nel reprimere la vecchia piaga del banditismo e a volte ottenne dei risultati parziali, non sempre però aveva mano felice nelle misure decretate. Le disposizioni riguardanti la vita economica dei suoi stati (non gravare di nuove imposte straordinarie la popolazione, abolire certi servizi e certe tasse, prendere misure contro l'usura e la bancarotta fraudolenta, patrocinare bonifiche, ecc.) erano suggerite dalla carità, più che elaborate e realizzate secondo un piano organico, poiché per una concezione così vasta dei problemi temporali il papa, tutto rivolto verso gli interessi spirituali, non aveva tempo né i tempi erano maturi.

 

5. I rapporti con gli stati e principi cattolici.

Questi rapporti spesso erano difficili: il papa cercava gli interessi spirituali (riforma della Chiesa, difesa della fede), mentre i principi volevano dei benefici temporali, dinastici e nazionali.

Così la Polonia si trovava sull'orlo di un caos religioso, minacciata dal sopravvento del Protestantesimo e dalla fondazione di una Chiesa nazionale che fosse favorevole al divorzio del re Sigismondo Augusto: la paziente opera di persuasione dei legati pontifici riusciva ad ostacolare il progetto, ma soltanto la morte della regina (febbraio 1572) poté definitivamente allontanare il pericolo. 
Dall'Inghilterra venivano notizie tristi sulle condizioni della Chiesa cattolica. Ma neppure la cattolica regina di Scozia, certo non sempre coerente nel suo modo di agire, poteva dare soddisfazione al papa, alieno dai compromessi in tutto ciò che riguarda la fede. Così si spiega l'esitazione fra il disinteressamento per Maria Stuarda e gli interventi a suo favore contro Elisabetta d'Inghilterra che il 15 febbraio 1570 Pio V scomunicò e dichiarò deposta dal trono, sciogliendo i sudditi dal giuramento di fedeltà. Provvedimento in realtà anacronistico e inopportuno che ebbe come effetto un inasprimento della persecuzione anticattolica (Pastor, VIII, pp. 415-20).

Anche la Francia era causa di preoccupazioni per Pio V, fra i due forti partiti religiosi, cattolici e ugonotti, la corte non si faceva guidare da convinzioni religiose, ma da interessi dinastici, anzi alle volte da motivi egoistici. Il papa consigliava la maniera energica, ma Caterina de' Medici si accontentava di mezze misure e si lasciava sfuggire le occasioni di sfruttare le vittorie riportate con l'aiuto deI pontefice. In modo particolare amareggiava il vicario di Cristo l'atteggiamento ostinatamente antispagnolo della monarchia francese che preferiva l'alleanza con i Turchi e i protestanti ad una lega antiturca, mentre il sultano minacciava ormai l'Europa centrale e l'Italia meridionale.

Nella Spagna cattolicissima il cesaropapismo di Filippo II causava uno stato di continua tensione fra Madrid e Roma. 
In Germania il cattolicesimo ottenne alcuni buoni risultati (l'allontanamento del pericolo della secolarizzazione dell'episcopato di Colonia, i progressi della riforma cattolica in Baviera e nel territorio di Fulda, la restaurazione cattolica nel marchesato di Baden, ecc.), ma l'imperatore Massimiliano II era piuttosto favorevole ai protestanti e face a loro delle concessioni molto importanti, il che non poteva concigliargli le simpatie del pontefice.

 

6. La lega contro i Turchi.

Pio V non voleva essere che capo spirituale della Cristianità e perciò gli era estraneo perfino il pensiero di muover guerra contro chiunque sia. E tuttavia toccò proprio a lui il compito di preparare la più grande battaglia navale che sia mai stata combattuta con navi a remi e, dopo lunghe trattative, si riuscì ad unire in una lega la S. Sede, la Spagna e la Repubblica veneziana. 
Dopo gli insuccessi nel 1570, dovuti all'egoismo e alla discordia, nel 1571 si ebbe alla fine una flotta efficiente sotto il comando di don Giovanni d'Austria, fratellastro di Filippo II. La flotta dei cristiani, dopo una eroica lotta riuscì a sconfiggere i Turchi a Lepanto e riportare una clamorosa vittoria il 7 ottobre 1571. Il pontefice, avuta la buona notizia nella notte del 21-22 ottobre, tentò ogni mezzo possibile per sfruttare la vittoria: la lega fu effettivamente prorogata (10 febbraio 1572), ma, poco dopo la morte di Pio V, a causa dell'egoismo degli alleati, venne sciolta.

Poiché la vittoria di Lepanto era stata ottenuta il 7 ottobre, che cadeva quell'anno la prima domenica del mese, giorno in cui si facevano processioni in onore della Regina del Rosario, il papa l'attribuì all'intercessione della Madonna. Perciò il 17 marzo 1572 decise che il 7 ottobre fosse celebrata la festa della Madonna della Vittoria (festa che per ordine di Gregorio XIII [1° aprile 1573], venne trasferita alla prima domenica di ottobre e chiamata festa della Regina del Rosario).

 

III. MORTE E GLORIFICAZIONE.

La malattia che lo tormentava dal 1555 e che nel 1564 lo aveva portato sull’orlo della tomba, al principio del 1572 cominciò a diventare più dolorosa e pericolosa. Il 6 aprile Pio V uscì ancora ad impartire ai Romani la benedizione pasquale e il 21 successivo a fare la visita delle “Sette Chiese" di Roma, ma dal 26 il male era diventato così grave da causargli dei continui deliqui. Il 30, sentendo vicina la morte, si fece mettere l’abito domenicano, ricevette i sacramenti, se pure fu costretto a rinunciare al Viatico. Si sentiva che mormorava: "Signore, aumenta i miei dolori, ma anche la mia pazienza". Morì la sera del 1° maggio 1572.

La salma venne provvisoriamente sepolta presso quella di Pio III, nella cappella di S. Andrea della basilica vaticana. La sua ultima volontà era stata di essere trasportato nella chiesa di Bosco, ma Sisto V volle che la salma del suo venerato protettore e modello fosse conservata a Roma: fece dunque costruire in S. Maria Maggiore, nella cappella del Sacramento, un grandioso mausoleo dove la salma venne trasferita l'8 gennaio 1588 (la traslazione è rappresentata in un dipinto nella biblioteca Vaticana). 

Le reliquie si trovano ancora oggi nella cappella della basilica Liberiana. Il 10 marzo 1904 venne aperto il sarcofago; lo scheletro fu rivestito di nuovi abiti pontificali e il teschio coperto con una maschera d'argento (Pastor, VIII, 586, nota 4; Il Rosario, Memorie domenicane, XXI [1904], pp. 232, 313-14).

Il 14 marzo 2013, il giorno dopo la sua elezione, papa Francesco ha pregato per qualche minuto davanti alla tomba di San Pio V, nel corso della sua prima uscita dal Vaticano, nella Basilica di Santa Maria Maggiore (vedi qui il video del CTV)

Il culto, iniziato subito dopo la morte, indusse le autorità della Chiesa a pensare ad un riconoscimento ufficiale; sembra infatti che i primi passi fossero compiuti sotto Sisto V, ma alla beatificazione si giunse soltanto nel 1672; Clemente X firmò il decreto che fissava al 5 maggio la festa annuale del beato Pio V, ma il decreto non fu letto che il 1° maggio 1672 durante la solennità della beatificazione (Bull.Ord. Praed., VI, pp. 306-307).

Il 22 maggio 1712 Clemente XI procedette alla canonizzazione (ibid., pp. 478-87). La Congregazione del S. Ufficio - oggi Congregazione per la Dottrina della Fede - lo venera come suo santo patrono.

Nel 2004, in occasione del V centenario della nascita di San Pio V, Papa Giovanni Paolo II ha inviato un messaggio a Mons. Fernando Charrier, Vescovo di Alessandria.

IV. ICONOGRAFIA.

L'iconografia di questo santo pontefice è abbastanza copiosa e si trova specialmente in Roma, dove visse ed operò nei suoi pochi anni di pontificato nonché nella sua terra di origine nel Piemonte e nella Liguria, particolarmente nelle chiese domenicane, al cui Ordine apparteneva. 

La maggior parte delle sue raffigurazioni ce lo tramandano quale supremo pastore della Chiesa, quindi o in abiti pontificali o nell'ordinario abito papale, con tonaca bianca e mozzetta di velluto rosso, con o senza stola e, spesso, con il camauro rosso. Più difficilmente lo vediamo rappresentato nel periodo antecedente alla sua elevazione al pontificato romano.

Occorre accennare alla sua volontà di riunire le forze cristiane per debellare i Turchi, che si accingevano a conquistare l'Europa, e perciò lo vediamo raffigurato nelle scene della battaglia di Lepanto, la cui vittoria fu attribuita all'intervento della Vergine e alla preghiera del S. Rosario. L'anno successivo a detta vittoria (1572) Pio, in ringraziamento, istituiva la festa della Vergine delle Vittorie, che divenne in seguito la festa della Madonna del Rosario, perciò, talvolta, nelle rappresentazioni di detto titolo della Vergine, si trova genuflessa la figura del santo pontefice facilmente riconoscibile per le linee caratteristiche del volto: scarno, con zigomi sporgenti e naso alquanto adunco, ornato in una fluente barba bianca. Venendo in particolare alle sue raffigurazioni, va ricordato subito il grandioso monumento sepolcrale della basilica di Santa Maria Maggiore in Roma, fatto costruire dal Papa Sisto V. Oltre alla statua seduta in abiti pontificaIi con tiara e benedicente, di Leonardo da Sarzana (sec. XVI), vi sono cinque bassorilievi, due dei quali di grandi dimensioni, ai lati della statua: la consegna dello stendardo ad Antonio Colonna (o, secondo altri, a don Giovanni d'Austria) e la consegna del bastone di capitano al conte di Santa Fiora variamente attribuiti a Niccolò Pippi di Arras, a Nicola Cordier, Egidio della Riviera (Gilles van den Viete).

Già in vita Pio V, pensando alla sua sepoltura nella chiesa fatta costruire nel paese natale (a Bosco Marengo, Alessandria) da Giannantonio Buzi di Viggiu, fece costruire un grandioso mausoleo che doveva accogliere le sue spoglie e che poi fu cambiato in altare. Fra un duplice ordine di colonne è rappresentato in un bassorilievo Cristo risorto ai cui piedi sta inginocchiato, in abiti pontificali, il papa il cui capo è di marmo bianco, mentre il piviale è in marmo di colore rosso variegato. Alcuni attribuiscono questo mausoleo a Lodovico degli Albani e infatti può darsi che questi abbia avuto parte per l'architettura e il Buzi per la parte scultorea. Domina il monumento in alto la statua di s. Michele Arcangelo (patrono del Ghislieri che prese nome nell'Ordine domenicano di fra Michele), che abbatte il demonio.

Altre raffigurazioni del santo pontefice nella medesima chiesa sono: Il p. Danti nell'atto di offrire il modello dei sacri edifici al Pontefice, un quadretto ove il papa benedice lo stendardo di Marcantonio Colonna prima della battaglia di Lepanto. Però l'opera pittorica più importante che riguarda Pio V è la pala della cappella del Rosario o Madonna delle Vittorie, che mostra la Vergine del Rosario con s. Domenico e s. Caterina ed in basso sullo sfondo del golfo di Lepanto, i protagonisti della battaglia omonima: Pio V, con il nipote cardo Bonelli, Filippo II di Spagna, il doge Mocenigo.

Sempre nella stessa chiesa, il Vasari, nel grandioso Giudizio Universale, commessogli dallo stesso pontefice, come è detto nel quadro stesso, in data 1568, ritrasse Pio V in basso accanto a s. Michele Arcangelo, che divide i buoni dai cattivi.

A ricordo della sua munificenza verso gli ospedali di Alessandria, Pio V fu raffigurato da Francesco Mensi(1800-1888) in un dipinto che si trova nella sagrestia dell'attuale ospedale. Nella stessa città, nella chiesa di S. Maria di Loreto, sempre dello stesso Mensi, un quadro con la Vergine col Divino Infante che tiene in mano la corona del Rosario, i ss. Domenico e Caterina da Siena ed una visione della battaglia di Lepanto con s. Pio V che, genuflesso, rende grazie per l'ottenuta vittoria.

Nella Galleria Colonna in Roma vi è un ritratto del pontefice seduto a figura intera, che il Pastor reputa il migliore, e sembra provenire dal Palazzo Colonna di Paliano; nel castello di Paliano (appunto dei Colonna) è da notare la rappresentazione di Pio V che tiene il concistoro nel quale Marcantonio è designato capo della flotta pontificia. Oltre al ritratto eseguito dal Pulzone e conservato nel convento dei Domenicani di S. Maria delle Grazie a Milano, abbiamo dello stesso autore varie incisioni, e un altro esemplare nel Collegio Ghislieri di Pavia, fondato dallo stesso Pio V nel 1569. Interessante l'effigie del pontefice con mani giunte davanti al Crocifisso posto sul frontespizio dell'opera biografica del Catena e anche sul frontespizio dell'altra biografia del Ghislieri scritta da Giov. Ant. Gabuzio del 1605.

Tra i miracoli che si ricordano nella sua vita, vi è quello noto del Crocifisso che ritrae i piedi mentre il santo sta per baciarli, perché avvelenati. Di questo miracolo abbiamo varie rappresentazioni: quella che si conserva a Genova nella chiesa di S. Maria di Castello, di Alessandro Gherardini (1655-1723 o 28). Nella medesima cappella si trova il medaglione dell'urna con il miracolo di una ossessa guarita da Pio V con un segno di croce, di Lorenzo Conforto. Ancora in Piemonte, nella chiesa di S. Domenico di Torino un'immagine con sullo sfondo la vittoria di Lepanto di Pietro Ravelli (sec. XVIII). A Chieri, in S. Domenico, la Vergine che consegna il Rosario a s. Domenico ed in basso il pontefice insieme a imperatori e re, opera di Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo. Anche nella chiesa di S. Corona in Vicenza, nella cappella del Rosario, G. B. Maganza (1509-1589) contemporaneo del Ghislieri, lo dipinse in una Lega stretta contro il Turco; in quella di S. Domenico di Perugia vi è una pala con s. Pio V che consegna la terra di Roma come reliquia all'ambasciatore del re di Polonia, di Giuseppe Laudati (1660-1737), mentre due tele e quattro ovali hanno episodi della sua vita, opera di Mattia Bettini da Città di Castello (1666-1727) con la collaborazione di Giacinto Boccanera (1666-1746).

A Venezia, nella chiesa dei Gesuiti o S. Maria del Rosario troviamo un'opera di Sebastiano Ricci (Rizzi, 1659-1739) dove Pio V è insieme a s. Pietro martire e a s. Tommaso d'Aquino e in quella di S. Domenico di Cesena, un'effigie di Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d'Arpino (1541-1640), che dipinse anche una Madonna del Rosario, ove insiemea s. Domenico e ad una folla di supplichevoli appare s. Pio V.

A Lucca, nella chiesa di S. Romano, troviamo una tela di G. DomenicoLombardi (1682-1725), indicata come un miracolo di s. Pio V, ma che reputo trattarsi dell'Adorazione del S.S. Nome di Gesù. E a questo proposito, all'Escorial vi è un dipinto di El Greco che Antony Blunt pensa sia L'allegoria della Santa Legadove sarebbero rappresentati Filippo II, Pio V, il doge Mocenigo, don Giovanni d’Austria e Marc'Antonio Colonna; inoltre un cardinale, forse s. Carlo Borromeo. Jose Camon Aznar dice trattarsi dell'Adorazione del nome di Gesù, che sembra più probabile ed è chiamato anche il Sogno o la Gloria di Filippo II.

Nella Biblioteca dell'Escorial vi è un disegno in cui il pontefice presiede il Concilio di Trento: il papa è in mozzetta e camauro a mezzo busto. Interessanti sono due tele custodite nel Conservatorio di S. Nicolò in Prato (Firenze) riguardanti il miracolo della moltiplicazione della farina inun buratto nel monastero domenicano di S. Clemente.

A Roma l’iconografia di Pio V è maggiormente diffusa. Nel convento di S. Sabina, nella cella dove si ritirava, opera di DomenicoMuratori (1662-1749), vi è una pala di altare in cui il papa è genuflesso, in mozzetta e camauro, davanti al Crocifisso. Nella stessa cappella si trovano altriquattro dipinti del Marliani,scolaro di Bernardino Capi (1522-1591) che rappresentano: la liberazionedi un’ossessa, la consegna della terra di Roma come reliquia all’ambasciatore di Polonia, s. Filippo Neri che profetizza al Ghislieri il papato; il papa che in visione vede la vittoria di Lepanto. Nella chiesa di S. Maria sopra Minerva, Andrea Procaccini (1671-1734) dipinse s. Pio che eleva il Crocifisso sul Turco e Lazzaro Baldi (1623 o 24-1703) il papa orante davanti al Crocifisso che si anima sotto i suoi sguardi, o il solito miracolo in cui il Cristo ritrae i piedi. Anche nel chiostro troviamo un grande affresco con la Madonna del Rosario e Pio V che contempla la scena del combattimento a Lepanto in una carta spiegatagli da un angelo, di Gianluigi Valesio (1579 o 1561-1623). Nella chiesa di S. Silvestro al Quirinale, nella pala dell'altare della Catena, ancora abbiamo con s. Pio V il card. Alessandrino, opera di Giacinto Gimignani (1611-1681).

Data l'opera indefessa in difesa della fede da parte del Ghislieri, la S. Congregazione della dottrina della Fede, conserva varie opere ragguardevoli.
Non bisogna tralasciare le memorie che di lui volle lasciare lo stesso pontefice Sisto V, che elevò il grande mausoleo in S. Maria Maggiore, e fece dipingere, in una lunetta del salone sistino della biblioteca Vaticana (1585-1590), la scena della traslazione del suo corpo da S. Pietro alla basilica dell'Esquilino, da Giovanni Guerra (1540 o 1544-1618?) e da Cesare Nebbia (1512-1590). Ancora nella Galleria della medesima Biblioteca Vaticana 
è rappresentato s. Pio V che fa trasportare da Avignone centocinquantotto manoscritti. Nella cappella, poi, detta di S. Pio V in Vaticano, è conservata una statuetta del nostro santo, come pure nel Museo Cristiano Vaticano, un fermaglio di cappa con la sua effigie del sec. XVI.

Ultima nel tempo, l'opera in mosaico sulla facciata della recente chiesa parrocchiale dedicata al grande pontefice in Roma, di Joseph Strachota (1911), compiuta nel 1954, che rappresenta la Madonna del Riposo nel centro e a sinistra, a mezzo busto, il papa in mozzetta e camauro rossi con le mani giunte e il rosario, e a destra un guerriero crociato; in lontananza, la battaglia di Lepanto. 

 

 

 

Per approfondire, leggi qui la voce "Pio V" curata da Simona Feci per l'Enciclopedia dei Papi della Treccani.

 
 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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07/10/2017 14:11
 
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  Un sacerdote risponde


Mi ha stupito che Leone XIII difendesse non solo l'autorità dei padri sui figli ma anche dei padroni sui servi


Quesito


Caro Padre Angelo,
La saluto e la ringrazio del suo lavoro su questo sito caro Padre; ho appena letto la sua ultima pubblicazione riguardo alla schiavitù ed essa mi ha suscitato alcuni dubbi sull'argomento.
In questa pubblicazione lei cita Leone XIII e una sua enciclica del 1888; di Papa Pecci io conosco soltanto la 'Rerum Novarum' e la 'Quod Apostolici Muneris', in entrambe queste encicliche il pontefice critica l'istituzione della schiavitù, ma nella 'Quod Apostolici Muneris' egli sembra anche difendere l'autorità dei padri sui figli e dei padroni sui servi. Per cui parrebbe che Leone XIII abbia legittimato l'esistenza di forme di subordinazione personale diverse dalla schiavitù e assimilabili, io credo, a istituzioni come la clientela romana e la servitù della gleba, in entrambi i casi per esempio il patrono o padrone non aveva un potere di vita o di morte sui propri sottoposti.
Nel suo articolo poi lei sostiene che la schiavitù sia legittima solo nel caso lo schiavo fosse consenziente, ma Sant'Agostino invece insegna che sia ammissibile, nel caso l'alternativa fosse quella di ucciderli, anche la schiavizzazione dei prigionieri di guerra (De Civitate Dei, capitolo XIX).


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. la famiglia come si presentava ai tempi di Leone XIII aveva delle caratteristiche diverse dalle nostre. A quei tempi si parlava ancora e di fatto esisteva la società erile.
In passato le case dei ricchi avevano la servitù a disposizione.
I servi non venivano stipendiati o messi in regola. Non si era ancora giunti a questo. Al massimo ricevano qualche mancia.
I servi stavano nella casa del padrone, gli erano sottomessi per tutti i servizi, gli si affezionavano.
Per contro il padrone aveva dei doveri nei loro confronti: li teneva nella sua casa, dava loro un tetto, provvedeva loro il cibo e il vestiario, alle medicine, a tutto, compreso il funerale.
Anche nei conventi c’erano alcune persone che venivano accolte così. Erano chiamati “famigli”. Non erano né frati, né terziari, ma facevano parte della casa, della famiglia.  Anch’essi pertanto avevano una famiglia e delle persone che si prendevano cura di loro. Erano liberi di andarsene, ma preferivano stare in convento, dove avevano tutto, compreso l’ambiente religioso.

2. Questo tipo di famiglia o società si diceva erile dal latino “erus” che significa padrone di casa.
Facevano parte della famiglia in un senso meno forte di altri.
A quei tempi anche la famiglia era considerata una società, ragion per cui si parlava di società coniugale (concerneva il rapporto tra gli sposi) e di società parentale (rapporto tra parenti che vivevano nella medesima casa e condividevano tutto).
Nella società parentale era compreso evidentemente anche il rapporto genitori e figli.

3. Nella società erile i servi erano liberi di andarsene. Ma se ne andavano solo se trovavano un altro padrone, perché di per sé non avevano nulla.
I vecchi manuali di morale parlando della famiglia trattavano anche della società erile e ricordano i rapporti reciproci tra padroni e servi. Il linguaggio era questo.
Il termine italiano padrone è brutto, soprattutto se si tratta di persone. Di fatto questi padroni venivano chiamati “il signore” o nelle forme dialettiali, come ad esempio “paròn”. Così lo chiamava anche Santa Bakita e probabilmente avrà detto “sior paròn”.

4. Papa Leone nell’enciclica Quod Apostolici muneris del 28 dicembre 1878, parlando del diverso ruolo delle persone all’interno della società, fa riferimento anche ai vari componenti della famiglia.
E avendo davanti agli occhi la realtà della cosiddetta società erile scrive: “La stessa società domestica (…) si fonda principalmente sopra l’unione indissolubile dell’uomo e della donna, si completa negli scambievoli doveri e diritti tra i genitori e i figli, tra i padroni e i servi”.

5. L’affermazione che la servitù era legittima solo se veniva fatta  "spontaneamente e con la libera e propria volontà" non è mia, ma è del Sant’Uffizio in una risposta data il 20 giugno 1866 ad un’interrogazione fatta dal Card. Massaia che a quei tempi era vicario apostolico in Etiopia. La domanda era sulla prassi da seguire su alcuni usi diffusi tra gli indigeni: poligamia, matrimonio, battesimo, schiavitù, vendetta.
Ebbene, rispondendo sulla schiavitù (12-15), l'istruzione del Sant’Uffizio ricordava che "i pontefici non hanno lasciato nulla di intentato per abolire la servitù tra le nazioni".
La medesima Istruzione asseriva che "la servitù, considerata di per sé e in assoluto, non ripugna al diritto naturale e divino".
Però questa legittima servitù presuppone che il servo si doni "spontaneamente e con la libera e propria volontà" e venga trattato "secondo i precetti della carità cristiana".

6. L’affermazione di sant’Agostino che tu riporti (in maniera inesatta perché nel De Civitate Dei I,19 non dice espressamente questo) di per sé esula dal nostro argomento e si riferisce alla prassi pagana del tempo. Sappiamo che i romani erano orgogliosi di portare a casa i prigionieri di guerra. Evidentemente se potevano essere utili.
Li riducevano in schiavitù, che in quanto tale era diversa dalla servitù perché la schiavitù era coatta, mentre la servitù era libera.
A questo si riferisce Sant’Ambrogio quando esorta a non punire con la pena di morte dal momento che i pagani stessi “si ritengono onorati di aver riportato dalla loro amministrazione nelle province una scure non insanguinata” (Lettere, n. 25, 8). In altre parole, anziché uccidere i prigionieri, li facevano schiavi.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo




[Modificato da Caterina63 07/10/2017 14:14]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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