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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Liberté, Égalité, Fraternité: vera libertà? un mito da confutare

Ultimo Aggiornamento: 17/07/2016 16:22
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18/12/2009 23:30
 
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Amici.....con una scorrevole e piacevole ricostruzione dei fatti storici....ci sono centinaia di fatti che NON SI CONOSCONO E CHE NON VENGONO INSEGNATI, ma che esistono... giustamente la storia NON LA SI PUO' cancellare, ma la storia della Chiesa NON è fatta solo di Crociate ed Inquisizione, quella storia la conoscono TUTTI e la conoscono fin anche nei TERMINI PIU' DISTORTI....si inseriscono FONTI DI PARTE, senza voler approfondire altre fonti.....

Così come nella e della Rivoluzione Francese, si ineggia al celebre motto: LIBERTA', FRATERNITA' E UGUGLIANZA.......questo motto venne negato a MIGLIAIA DI CATTOLICI che furono invece perseguitati e UCCISI al grido di quello slogan....di 10mila del Clero Francese, durante l'ondata contro la Chiesa, non si hanno più notizia, ma la propaganda anti-cattolica ha sempre insegnato che abbandonarono la Chiesa VOLONTARIAMENTE....in verità furono sepolti IN FOSSE COMUNI.....vennero chiusi i Monasteri, le monache furono OBBLIGATE  a fare ritorno a casa propria, chi si ribellava veniva condotto alla ghigliottina....

e mentre si massacravano i CATTOLICI si gridava: per i NON cattolici:
Liberté, Égalité, Fraternité

Ma chi vuoi che, da anti-cattolico, vada ad insegnare questi fatti?

leggiamo e meditiamo....E DIVULGHIAMO

" Papa san Pio V (quello della Battaglia di Lepanto), quando era ancora un semplice frate domenicano, aveva legato amicizia con un Ebreo onesto e molto facoltoso dal nome di ELIA CIRCASSO, il quale divenne Rabbino della Sinagoga di Roma. I due erano diventati amici e si rispettavano, pur vivendo ognuno la propria fede. Elia in un contesto del tutto sereno, decise di ricevere il Battesimo, ma esprimeva il desiderio di restare nella Sinagoga, e lo voleva proprio attraverso il frate che prima di diventare Papa con il nome di Pio V si chiamava Michele Ghilsieri.

Ma Elia si prestava titubante nei confronti della sua comunità dell'Urbe, e diplomaticamente promise che: < Ebbene, quando ti faranno Papa, mi battezzerai tu in privato, così senza dover chiedere il permesso a nessuno! > pensando che un frate così semplice ed umile quale era, mai sarebbe diventato Papa.... Ghigno

Ma la Provvidenza, i cui Disegni non sempre ci appaiono chiari, provvide diversamente e l'umile frate divenne Papa Pio V. Ma dalla scherzosa battuta, Elia si sentì invece indubbiamente legato.

Il vecchio Elia andò a rendergli omaggio dopo la sua elezione ed in nome della vecchia amicizia che li teneva legati. Papa Pio V lo tirò in disparte e gli disse: < Sai ho pensato di darti il mio nome, Michele, che essendo poi lo stesso nome dell'Arcangelo protettore del tuo popolo, ci terrà ancora uniti in amicizia, ti va? >

Elia fu pieno di commozione ed accettò. E il Battesimo avvenne in S.Pietro per mano dello stesso Pio V. Elia portò anche i suoi figli i quali furono battezzati e poichè non tutti avevano un cognome all'epoca, e su richiesta dello stesso Elia, papa Pio V gli dette il suo cognome, GHILSIERI. "


(Quinto Centenario della nascita di s.Pio V Antonio (Fr.Michele) Ghilsieri, domenicano in Bosco Marengo (Al) 1504-2004 " A cominciare dalle storielle poco conosciute" - Bollettino Dominicus -marzo-aprile 2004 Redazione: Fr.G.Barzaghi C.C.P. 16056244 -L.go Bellotti 1 Bergamo)


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Questa storia ci riporta alla mente un altra legata ad un altro Rabbino di Roma amico di Pio XII....

Chi era Eugenio Zolli? Rabbino capo di Roma dalla fine del 1938, sei anni dopo - nel primo autunno dopo la liberazione di Roma dall'occupazione tedesca - si convertì al cattolicesimo, e il 13 febbraio 1945 fu battezzato con il nome di Eugenio, quello del papa allora regnante (Pio XII, Eugenio Pacelli).

L'episodio fu clamoroso: esecrata dagli ebrei, la figura di Zolli divenne in qualche modo un simbolo controverso e polemico, certamente non per sua volontà, anche per gli eventi tragici che avevano colpito la comunità ebraica romana. Polemiche rinfocolate dall'autobiografia di Zolli, che uscì nel 1954 negli Stati Uniti, in un periodo in cui numerose erano le conversioni di protestanti ed ebrei alla Chiesa cattolica.

Qui l'anno prima era stato invitato per una serie di conferenze bibliche, con evidenti intenzioni apologetiche. In questo contesto uscì, con l'autorevole prefazione del delegato apostolico a Washington Amleto Giovanni Cicognani, il suo lungo e sofferto racconto autobiografico, intitolato Before the dawn, mai pubblicato in Italia, e che esattamente mezzo secolo dopo, con lo stesso titolo (Prima dell'alba, San Paolo, 284 pagine, 16 euro), è finalmente da oggi in libreria.

L'interesse per la controversa figura del rabbino convertito si è ogni tanto riacceso, soprattutto per strumentali polemiche. Generalmente rimosso in ambito ebraico, Zolli quasi scomparve anche tra i cattolici dopo gli anni del concilio Vaticano II e durante la stagione del dialogo con l'ebraismo, evidentemente perché la complessa figura del convertito imbarazzava. Ma proprio il recente intensificarsi delle relazioni tra cattolici ed ebrei ha posto le premesse per un interesse nuovo nei confronti di Israel Zoller (questo il suo nome originario). Sintomatico fu così tre anni fa il successo in Francia di un libretto, appassionato quanto modesto, di un'ebrea divenuta cattolica: tradotto nel 2002 in italiano, con un titolo per la verità infelice (Judith Cabaud, Il rabbino che si arrese a Cristo, San Paolo), il racconto della vita di Zolli ha venduto moltissimo nonostante il silenzio della grande stampa.

Solo ora però, grazie a questo bellissimo libro, la figura del rabbino divenuto cattolico - al di là di ingiuste polemiche da parte ebraica e di devote enfasi da parte cristiana - si delinea nella sua affascinante (e dolorosa) complessità per essere restituita alla storia. Fin dal recupero del testo originale italiano, finora inedito, e che è stato curato molto bene sul dattiloscritto originale da Alberto Latorre, con due brevi scritti del nipote di Zolli, Enrico de Bernart, che si sofferma soprattutto su due punti scottanti del racconto: il comportamento del nonno durante i tragici mesi dell'occupazione nazista e il rapporto del rabbino divenuto cattolico con Pio XII.

********************************

Non andrebbero ignorate, da noi che ci diciamo CATTOLICI, queste "coincidenze" ossia:
l'amicizia spesso nata tra un Pontefice ed un Rabbino....fino al CONGIUNGIMENTO DELLA FEDE NEL MEDESIMO MESSIA....
e questo accadeva prima del Concilio, periodo al quale si attribuiscono alla Chiesa enormi mostruosità, occultando la LUCE
....


 Faccio notare la grandissima sensibilità di san Pio V

< Sai ho pensato di darti il mio nome, Michele, che essendo poi lo stesso nome dell'Arcangelo protettore del tuo popolo, ci terrà ancora uniti in amicizia, ti va? >

Che brutto questo oscurantismo papista del Medioevo...eh!


dall'O.R. uscito un anno fa, traggo questo passo:

Un gruppo di ebrei di Roma presentò al Papa i propri auguri per le feste natalizie del 1938 con queste parole:  "Nella imminenza del Santo Natale, Beatissimo Padre, vogliate renderVi interprete di tutti i cuori che soffrono e di tutte le anime che trepidano, indirizzando a tutti, popoli e reggitori, l'autorevole parola di una Vostra Enciclica per ricordare l'amore, la carità, la fratellanza cristiana, il disarmo spirituale nell'angelicato saluto natalizio:  Gloria a Dio nel più altro dei Cieli, pace in terra agli uomini di buona volontà. E questo saluto, questa invocazione, questa preghiera sia la migliore strenna natalizia del 1938 per la Umanità tutta che in Voi si affida, Padre Santo. Prostrati ai Vostri piedi, questi voti umiliano i Figli Vostri d'Israele" (ibid., f. 72).

(©L'Osservatore Romano - 20 dicembre 2008)

faccio osservare le seguenti espressioni:

- Nella imminenza del Santo Natale, Beatissimo Padre, vogliate renderVi interprete di tutti i cuori che soffrono e di tutte le anime che trepidano

- per la Umanità tutta che in Voi si affida, Padre Santo

- Prostrati ai Vostri piedi, questi voti umiliano i Figli Vostri d'Israele


Mi appare di intuire che c'era più rispetto per il Pontefice in passato di quanto non lo sia oggi DOVE SIAMO TUTTI AMICI...se il concetto di AMICIZIA significa offuscamento DEI RUOLI e compromessi e compiacenze, ne facciamo a meno....Cristo infatti NON AVEVA AMICI...è LUI che dice: "VI HO CHIAMATO AMICI!" una amicizia SENZA Cristo è una amicizia destinata a fallire....




     

una data da ricordare:


I PRIMI FRUTTI DELLA LIBERTE', EGALITE' E FRATERNITE'....

la ghigliottina solo perchè erano Monache di Gesù Cristo!

17 Luglio - Beate Teresa di Sant'Agostino e compagne Carmelitane di Compiegne Vergini e martiri

"Avete udito che ci condannano per l’affetto che portiamo alla nostra santa Religione. Siano rese grazie a Colui che ci ha precedute sulla via della Croce! Che felicità e che consolazione poter morire per il nostro Dio!”.
Erano le sei di sera, quando, condannate a morte, perchè non vollero abiurare alla fede, con le mani legate dietro la schiena, salirono su due carrette per essere condotte alla ghigliottina. In mezzo alla folla che si assiepava ai margini delle vie, lungo il loro ultimo viaggio, cantarono Compieta, come in monastero al tramonto di ogni giornata. Tra lo stupore e il silenzio, la gente allibita e muta, sentì innalzarsi con voce dolcissima l’inno Te lucis ante terminum, quindi il salmo Miserere, il Te Deum, la Salve Regina, come se quelle andassero a una festa lungamente attesa.
Ai piedi del palco, la Priora chiese di morire per ultima, per assistere le sue “figlie” come una vera madre, come in un “atto di comunità”. Nelle sue mani, le monache, una per una, rinnovarono i voti e baciarono una immagine della Madonna che erano riuscite a portare fin là. A quel punto, Madre Teresa intonò il Veni Creator, mentre la più giovane, che aveva avuto tanta paura, saliva per prima al patibolo.
Mentre continuava a cantare l’inno allo Spirito di Cristo e il canto si faceva sempre più flebile, le loro teste cadevano una per una sotto la lama. Ultima salì la Priora… Sulla piazza, nel caldo sole di luglio, tra l’odore del sangue, era sceso un silenzio solenne mai visto, come se il Ciclo davvero visibilmente si fosse squarciato. Uno dei commissari di polizia, vedendole morire, disse loro: “II popolo non ha bisogno di serve!”. La monaca più fiera, rispose:
"Ma ha bisogno di martiri, e questo è un servizio che noi ci possiamo assumere”. E un’altra tra le più giovani: “Noi cadiamo soltanto in Dio”.




[Modificato da Caterina63 17/07/2016 16:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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I massacri dei preti che dissero no al giuramento



«Fino alla Costituzione civile del clero non ci fu rottura fra Chiesa e rivoluzione» scrive Luigi Mezzadri. In una «atmosfera d'infatuazione e di speranze, il clero era stato all'avanguardia». Persino «la rinuncia ai beni e la perdita dei privilegi era stata assorbita in modo dignitoso». Rimaneva soltanto da chiarire un fatto: i preti erano i rappresentanti di una religione considerata come un «servizio pubblico», oppure come qualcosa da relegare nella coscienza dei singoli?

La risposta venne il 12 luglio 1790 con la Costituzione civile del clero (sostenuta da Robespierre), che considerava preti e vescovi funzionari dello Stato (con tanto di giuramento di fedeltà alla nazione). Si aprì una ferita che generò «due Chiese»: una incline al giuramento e l'altra refrattaria. Con un atto di forza vennero nominati vescovi costituzionali al posto dei refrattari. Cominciò anche la persecuzione di preti e vescovi refrattari (che fece montare il caso della Vandea) con deportazione di decine di migliaia di loro ( 40 mila nel 1792) e molte esecuzioni: il 2 settembre 1790, per esempio, 20 preti e 3 vescovi all'abbazia di Saint-Germain, oltre 70 al seminario di Saint-Firmin (nel 1926 191 vittime furono riconosciute martiri e beatificate), fino ai conati del 1797 con 41 esecuzioni di sacerdoti e distruzione di chiese ed edifici religiosi...



[SM=g1740729] Liberté, Égalité, Fraternité.... ebbè!

GRANDI SVOLTE

Lo storico Luigi Mezzadri rilegge una vicenda che cambiò l'Europa: all'inizio alla protesta aderì anche parte del clero, ma poi divenne una vera persecuzione religiosa e civile

da Avvenire.it del novembre 2004

La Chiesa e la Francia travolte dal 1789


Di Franco Cardini

Per cinque lunghi anni, dal 1989 al 1994, non solo le biblioteche e le riviste scientifiche, ma anche la tv e i giornali, si sono riempiti di nuovi contributi sulla Rivoluzione francese in occasione del suo duecentesimo anniversario; e le polemiche sono state durissime. Non solo in Francia. Si è naturalmente molto parlato, al riguardo, di "revisionismo": e si è perfino cercato di demonizzare - non senza rifuggire, all'occorrenza, da forma di persecuzione accademica contro di loro - gli studiosi, specie i più giovani, che quasi per la prima volta osavano denunziare apertamente i crimini orrendi del Terrore e il "genocidio franco-francese" perpetrato contro intere regioni, ad esempio il nord-est bretone-angioino-vandeano. Come giustamente notava Michel Vovelle, grande studioso ma tutt'altro che "al di sopra delle parti" - si lamentò a suo tempo del fatto che Robespierre non venisse adeguatamente onorato nelle celebrazioni del bicentenario -, la Rivoluzione continua ancora a dividere.

Ormai, sembra abbia prevalso di nuovo il sentimento di ritrovata concordia, anche in Francia: ed è forse anche per non turbarla che il duecentesimo anniversario dell'incoronazione imperiale di Napoleone non sembra, per ora, essere accompagnato da occasioni celebrative, mostre e convegni, come ci si sarebbe aspettato. Anche la Francia ha il suo "passato che non passa".
Le acque si sono comunque calmate ed è giunto il momento di tirar qualche somma. Come fa Luigi Mezzadri, che nel suo recente La Rivoluzione francese e la Chiesa (Città Nuova, pagine 216, euro 14,50) ci propone una ricostruzione limpida, equilibrata e di largo respiro di un rapporto molto articolato e complesso, insofferente di semplicizzazioni.

La periodizzazione, anzitutto: in quale arco cronologico situare il discorso? La faccenda non è così semplice. Quando finì la Rivoluzione francese? Col Termidoro, col Consolato, con l'Impero, con la Restaurazione? Gaetano Salvemini, in un suo saggio storiograficamente parlando a bbastanza radicale, era perentorio: già il Terrore rappresenta una degenerazione della Rivoluzione, che per questo si arresta al 1793 per dar luogo a una serie di fasi tiranniche. E il Mezzadri, da una sponda concettuale senza dubbio molto lontana, sembra quasi dargli ragione, allorché tratta del rapporto tra Rivoluzione e democrazia tenendo a negare il carattere "rivoluzionario" a tutti i movimenti che democratici non sono: un parere che andrebbe forse corretto sia riconsiderando (e un po' di vecchio Gramsci non guasterebbe…) il rapporto tra élites egemonizzatrici e masse, sia addirittura quello non di opposizione bensì di continuità e di contiguità tra le rivoluzioni, i fenomeni dittatoriali e lo stesso totalitarismo. Luciano Canfora ha dimostrato con molta lucidità, di recente, che democrazia e dittatura sono tutt'altro che due estremi opposti.

Ma, se la tesi del Salvemini può sembrar troppo riduttiva, quella di François Furet pecca forse, al contrario, di onnicomprensività. Studiando il fenomeno rivoluzionario fin nelle sue lontane, ultime conseguenze, egli è giunto ad affermare che il processo innescato nel 1789 giunge a maturazione (e ad esaurimento?) solo nel 1870. Un parere che sarebbe suscettibile d'interessanti sviluppi, ove lo si prendesse in considerazione appunto nella prospettiva dello studio dei rapporti tra lo Stato francese e la Chiesa: non a caso la III Repubblica è tornata a livelli repressivi e addirittura persecutori nei confronti della Chiesa che hanno un riscontro solo nell'infausto regime repubblicano-massonico del 1917.

Luigi Mezzadri non rifugge dalla discussione storiografica e anche, se non proprio "ideologica", quanto meno concettuale: anzi, sembra talvolta perfino preoccupato di non apparire abbastanza informato ed esauriente e di assegnare ad ogni parere il proprio giusto posto. Sono comunque condivisibili le sue scelte. La storia del rapporto tra la Chiesa e la Rivoluzione comincia ben prima dello scoppio di quest'ultima, in quan to gran parte del clero era più vicino al Terzo Stato che non all'aristocrazia e il legame strettissimo fra corona e Chiesa ufficiale era stato, fra Sei e Settecento, contestato da ambienti mistici della Chiesa e dai gruppi giansenisti ben più che non dall'intellighentzjia illuminista.

Con abbondanza di documenti Mezzadri dimostra che membri del clero erano molto coinvolti nella contestazione, all'origine solo finanziaria e amministrativa, allo strapotere della corona e ai privilegi economici e fiscali dei prelati e degli aristocratici; e che in fondo la Rivoluzione che finì con l'accanirsi contro le Chiese e la gente di chiesa non si potrebbe definire né "borghese", né di popolo, bensì rappresentava l'esito di una sorta di dittatura trasversale allargata (i celebri "ventimila" della Commune parigina dei quali ha parlato lo Chaunu). Ma, una volta avviata, la macchina rivoluzionaria infierì soprattutto sui membri del clero e sui fedeli: e qui il Mezzadri non tace i massacri, le sevizie, le violenze d'ogni sorta.

Il punto d'arrivo del suo assunto è costituito dalle norme concordatarie, che a suo tempo suscitarono molti dubbi e malumori (parve a molti fedeli ch'esse giungessero a legittimare chi aveva commesso soprusi o aveva tradito, e a premiare il clero "costituzionale" contro quello che aveva pagato duramente il suo essere "refrattario"). Certo è che il regime concordatario aprì le porte alle successive istanze ultramontane e finì col preludere a un rafforzamento della disciplina pontificia. Così com'è un fatto che dalla soppressione delle comunità di voti solenni derivò la creazione di nuove forme di comunitarismo religioso, più direttamente fondate sul modello apostolico. La storia, che non dispone di alcun senso e di alcuna ragione "immanenti", ha comunque risorse e "astuzie" che mandano regolarmente per aria i piani dei suoi protagonisti e che di continuo spiazzano gli storici.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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18/12/2009 23:49
 
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Certe persecuzioni hanno rinsaldato la fede del popolo. Ma questa francese sembra aver cancellato la cristianità.

" Sì, è così. Per 15 anni fu resa impossibile la trasmissione della fede. Un'intera generazione. Pensi che Michelet fu battezzato a 20 anni e Victor Hugo non ha mai saputo se era stato battezzato o no. Le chiese chiuse. I preti uccisi o costretti a spretarsi e sposarsi o deportati e esiliati. Francamente io non capisco come oggi i cattolici possano inneggiare alla Rivoluzione, Altra cosa è il perdono e altra solidarizzare con i carnefici, rinnegando le vittime e i martiri. Penso che la Chiesa tema, parlando male della Rivoluzione, di sembrare antimoderna, di opporsi alla modernità. lo credo che sia il contrario. E sono orgoglioso che sia stato un Paese protestante come l'Inghilterra a dare asilo ai preti cattolici perseguitati. Infatti non c'è libertà più fondamentale della libertà religiosa."


(professor Pierre Chaunu, una delle autorità per la storia moderna, membro dell'Institut de France)


La Rivoluzione Francese fu l'inizio di una guerra MENTALE, forse e probabilmente come dicono OGGI molti storici, la prima e nel suo genere contro, non tanto il cattolicesimo quale espressione di una fede che per gli Illuminsti valeva quanto un altra, ma quanto CONTRO UN MAGISTERO CHE PREAVVISAVA (O PROFETAVA? Occhiolino ) I PERICOLI DI UN CERTO MODERNISMO......

...la Rivoluzione Francese FECE SPARIRE NEL NULLA 10.000 SACERDOTI NELLA SOLA FRANCIA......una propaganda seminò la menzogna dicendo che i preti si erano spretati.....menzogna che fece le sue vittime per oltre un secolo prima che si cominciasse a capire la verità......
Furono chiuse i conventi claustrali OBBLIGANDO LE SUORE  A FARE RITORNO NELLE CASE E VIVERE DA LAICI......emblematica fu la storia delle cinque claustrali ghigliottinate perchè si rifiutarono di lasciare il convento.....
Migliaia di Istituiti vennero spogliati LETTERALMENTE, Tabernacoli profanati....
Il tutto SOTTO L'OCCHIO DEI PROTESTANTI CHE PER UN TACITO ACCORDO NON FURONO ASSOLUTAMENTE TOCCATI DALLA RIVOLUZIONE  FRANCESE E NESSUN BENE VENNE LORO CONFISCATO ...... Occhi al cielo un tacito accordo del quale NON chiesero mai perdono al Cattolicesimo nè al resto dell'Europa...
MA NON TUTTI....per la situazione della Vandea per esempio, GRUPPI DI PROTESTANTI E PERFINO DI EBREI COMBATTERONO E MORIRONO INSIEME AI CATTOLICI PER DIFENDERE LA VERA LIBERTA'...

 
L'evento che ha cambiato il nostro mondo
La Rivoluzione francese

www.kattoliko.it



1789. Il mondo cambia. Nasce l'homo ideologicus. Niente sarà più come prima. La Vandea cattolica, il primo genocidio della storia moderna: centinaia di migliaia di morti, bambini e donne. Un massacro dimenticato. 

Intervista di Antonio Socci

"Un'aula della Sorbona, a Parigi. Fuori un tiepido gennaio. Dentro comincia la prima lezione dell'anno 1989. Sulla cattedra è il professor Pierre Chaunu, una delle autorità per la storia moderna, membro dell'Institut de France, con una sessantina di titoli al suo attivo.

Esordisce in tono sarcastico: "Dunque questa è la prima lezione dell'anno: voi sapete che cadono nell'89 una quantità di anniversari importanti". E snocciola una filza di eventi storici, scientifici, economici, ma neanche una parola sulla Grande Commemorazione, quella che infiamma la Francia da otto anni: "Ho dimenticato qualcosa?" chiede beffardo il professor Chaunu, "no, non mi sembra ci sia altro di importante da ricordare".

È stato il Grande Guastafeste del bicentenario della Rivoluzione. Brillante, corrosivo, preparatissimo, ha appena dato alle stampe un libro di fuoco, La révolution declassée, dove fa a pezzi il mito della Rivoluzione dell'89 e soprattutto il conformismo degli intellettuali di corte e la retorica di regime di questo bicentenario. I suoi stessi avversari non osano contestarlo: persino Max Gallo, obtorto collo, lo ha definito "un ottimo storico". Ed è praticamente invulnerabile, non essendo né cattolico, né reazionario (è infatti protestante e liberale). C'è una lunga tradizione liberale di critica aspra alla Rivoluzione, che comincia addirittura a fine Settecento con l'inglese Edmund Burke. Ma Chaunu si è spinto oltre. Ha guidato le ricerche di alcuni giovani e brillanti storici francesi fra documenti e dossier finora rimossi dalla storiografia ufficiale, e ne sono venuti fuori libri esplosivi, sconvolgenti, come quelli di Reynald Secher sul genocidio della Vandea. Incontriamo Chaunu nella sua casa di Caen.

Professore, il suo libro è uscito in Francia a marzo, già da alcuni anni lei si è ribellato al coro degli intellettuali e alle ingiunzioni del potere politico, contestando la legittimità di queste celebrazioni. Perché?

È una mascherata indecente, un'operazione politica elle sfrutta le stupidaggini che la scuola di Stato insegna sulla Rivoluzione. Pensi alle bétises del ministro della Cultura Lang: "L’89 segna il passaggio dalle tenebre alla luce". Ma quale luce? Stiamo commemorando la rivoluzione della menzogna, del furto e del crimine. Ma trovo scioccante soprattutto che, alle soglie del '92, anche tutto il resto d'Europa festeggi un periodo dove noi ci siamo comportati da aggressori verso tutti i nostri vicini, saccheggiando mezza Europa e provocando milioni di morti. Cosa c'è da festeggiare? Eppure qua in Francia ogni giorno una celebrazione, il 3 aprile, il 5, il 10. È grottesco.

Ma è stato comunque un evento che ha cambiato la storia.

Certo, come la peste nera del 1348, ma nessuno la festeggia. Ad un giornalista tedesco ho chiesto: perché voi tedeschi non festeggiate la nascita di Hitler? Quello è sobbalzato sulla sedia. Ma non è forse la stessa cosa?

Dica la verità, lei è diventato reazionario. Ce l'ha con la modernità?

lo sono liberale, con una certa simpatia per l'illuminiamo tedesco e inglese. Ma proprio questa è la grande menzogna che pare impossibile poter estirpare: tu sei contro la Rivoluzione, dunque tu sei contro la modernità, sei per la lampada a petrolio e per la carrozza a cavalli. Al contrario. Io sono contro la Rivoluzione francese proprio perché sono per la modernità, per la penicillina, per il vaccino contro il vaiolo. Perché non festeggiamo Jenner che con la sua scoperta, dal '700 a oggi, ha salvato più di un miliardo di vite umane? Questo è il progresso. La Rivoluzione ha semmai bloccato il cammino verso la modernità; ha distrutto in pochi anni gran parte di ciò che era stato fatto in mille anni. E la Francia, che fino al 1788 era al primo posto in Europa, dalla Rivoluzione non si è più sollevata.

Ma lei lo può dimostrare?

Guardi, circa trent'anni fa ho contribuito a fondare la storia economica quantitativa, e oggi, con i modelli econometrici, chiunque può arrivare a queste conclusioni. Sono fatti e cifre. Tutte le curve di crescita del mio Paese si bloccano alla Rivoluzione. Era un Paese di 28 milioni di abitanti, il più sviluppato, creativo, evoluto, con un trend da primato: la Rivoluzione, insieme alle devastazioni sull'apparato produttivo, ha scavato un abisso di due milioni di morti, un crollo di generazioni che ha accompagnato il crollo economico.

Nella produzione media procapite, Francia e Inghilterra, i due Paesi più sviluppati del mondo, avevano rispettivamente, nel 1780, un indice 110 e 100. Ebbene nel 1815 la Francia era precipitata a 60, contro 100 dell'Inghilterra, che da allora non ha avuto più concorrenti. È stato il prezzo della Rivoluzione.

Ce ne spieghi almeno un motivo.

Attorno al '93 - e per un decennio - la Francia ha cominciato a vivere al 78 per cento del prelievo sul capitale e per il 22 per cento sulle tasse e le rendite, che non venivano reinvestite, ma consumate, bruciate e rubate per arricchire la Nomenklatura. È stata una dilapidazione spaventosa, un impoverimento storico. Quando Chateaubriand è tornato in Francia, nel 1800, ha avuto un'intuizione fulminante: "è strano: da quando sono partito non hanno più pitturato persiane e porte". Quando le finestre sono sverniciate e le latrine non funzionano può star certo che c'è stata una rivoluzione.

Ma comunque la Rivoluzione ha spalancato il pensiero umano.

Oh, santo cielo! Ma è stata una colossale distruzione di intelligenze e di ricchezze.
Se lei taglia la testa a Lavoisier, il fondatore della chimica moderna, a 37 anni, il costo per l'umanità è enorme. Moltiplichi quel caso per cento. Come finì tutta l'élite scientifica e intellettuale? Quelli che non sono emigrati sono stati massacrati. Una perdita gigantesca. Sarebbe questa la conquista della civiltà?

Il 43 per cento dei francesi, nel 1788, sapeva firmare, sapeva scrivere. Dopo la Rivoluzione si crolla al 39 per cento, perché si erano sottratti i beni alla Chiesa (che per secoli aveva educato il popolo) e si erano distribuiti alla Nomenklatura.

E le chiese trasformate in porcili e i tesori d'arte devastati.

È vero: fecero a pezzi le statue di Notre Dame, distrussero Cluny, e quasi tutte le chiese romaniche e gotiche...
Le ripeto: furto, menzogna e crimine, questa è la vera trilogia della Rivoluzione, che ha messo a ferro e fuoco l'Europa.
I francesi sono persuasi che la democrazia sia nata nell'89 e che l'umanità abbia imitato loro. È pazzesco! In realtà la sola rivoluzione da festeggiare sarebbe quella inglese del 1668: da lì è venuto il sistema rappresentativo e il governo parlamentare, lo Stato liberale che tutta Europa ha imitato.

Ma qualcosa di buono ci sarà pùr stato: per esempio la Dichiarazione dei diritti dell'uome e del cittadino.

Quello fu l'inganno più perverso. Le due Costituzioni più democratiche che siano mai state fatte sono quella sovietica di Stalin del 1936 e quella dei ghigliottinatori francesi del 1793. I loro frutti furono orrendi. Al contrario, il Paese che ha fondato la libertà, l'Inghilterra, non ha mai avuto Costituzioni. Delle Dichiarazioni io me ne infischio! E d'altra parte libertà, fraternità e uguaglianza non esistono che davanti a Dio. Le dirò che il miglior giudizio sulla Dichiarazione dei diritti dell'uomo lo formulò Fustelle de Coulange, il più grande storico francese dell'800 e mio predecessore all'Accademia di scienze morali e politiche. Egli disse: questi principi hanno mille anni, semmai la Dichiarazione li formula in modo un po' astratto. Ma una cosa nuova c'è: hanno spacciato dei principi antichi per una scoperta loro e l'hanno usata come un'arma contro il passato. Questo è perverso.

La conseguenza politica della Filosofia dei Lumi, no?

No. L’Illuminismo c'è stato in tutta Europa. Kant non era certo da meno di Voltaire. Ma la Rivoluzione c'è stata solo qui da noi. Non si può certo credere che i francesi fossero gli unici a pensare, in Europa. Dunque non c'è un nesso storico. È una menzogna anche parlare di fatalità storica, inevitabile. La persecuzione contro la Chiesa e il progetto di sradicare il cristianesimo dalla Francia ebbe come sua prima causa degli interessi finanziari, non questioni metafisiche.

Ci spieghi, professore.

Nel XVII secolo tutti gli Stati europei hanno istituzioni rappresentative. La Francia però, a poco a poco, le lasciò cadere in desuetudine. Per questo divenne una sorta di paradiso fiscale, perché - è noto - non si possono aumentare le imposte senza istituzioni rappresentative. Un esempio: la pressione fiscale fra 1670 e 1780 in Francia rimane ad un indice 100, mentre in Inghilterra sale da 70 a 200, in proporzione. La Francia si trova così ad avere uno Stato moderno, un moderno esercito, 450mila uomini, una potenza di prim'ordine, ma con risorse finanziarie vicino alla bancarotta perché per poterle mantenere come l'Inghilterra dovrebbe aumentare le tasse del 100 per cento.

Dunque viene chiamata ad affrontare la questione la rappresentanza del popolo, gli Stati generali.

Sì, i rappresentanti eletti però sono la più colossale assemblea di dementi che la storia abbia mai visto. Irresponsabili. Sfrenati solo nelle pretese, perché nessuno voleva farsi carico dei sacrifici (basti pensare che fra i deputati del Terzo stato c'erano un banchiere, 30 imprenditori e 622 avvocati senza causa). Non capiscono nulla di economia, hanno chiaro solo che a pagare devono essere gli altri. Così cominciano a vedere cosa possono confiscare: prima sopprimono la decima alla Chiesa, che nessuno nel popolo chiedeva di sopprimere perché significava sopprimere i finanziamenti per le scuole e gli ospedali. Si confiscano i beni del clero, donati alla Chiesa nel corso dei secoli, che ammontavano però solo al 7-8 per cento delle terre. Si comincia a diffondere l'idea che la Chiesa nasconda i suoi tesori, si confiscano i beni delle Abbazie.

E l'operazione si dà pure una maschera ideologica.

Certo. Si impone la Costituzione civile del clero, perché senza modificare e manomettere la struttura della Chiesa non avrebbero potuto rubare. I beni della Chiesa, che da secoli mantenevano scuole e ospedali, vengono accaparrati da una masnada di 80mila famiglie di ladri, nobili e borghesi, destra e sinistra: è per questo che tuttora la Rivoluzione in Francia è intoccabile! Perché fu una Grande Ruberia a vantaggio della classe dirigente. Il furto ha bisogno della menzogna e della persecuzione perché non era facile imporre ai preti e al popolo il sopruso. Per questo si impose il giuramento ai preti e chi non giurò fu massacrato. La Rivoluzione è stata una guerra di religione.

E in Vandea cos'è accaduto?

Il popolo si ribellò per difendere la sua fede. Il Direttorio voleva imporre la coscrizione militare obbligatoria (è una loro invenzione perché fino ad allora solo i nobili andavano a far la guerra e per il tributo del sangue erano esonerati dalle tasse). Nello stesso giorno chiudono tutte le, loro chiese. I contadini vandeani si sono ribellati: allora tanto vale morire per difendere la nostra libertà. Hanno imposto ai nobili, assai refrattari, di mettersi al comando dell'esercito cattolico di Vandea e sono andati al massacro, perché sproporzionata era la loro preparazione al confronto di quella dell'esercito di Clébert. Così la Vandea è stata schiacciata senza pietà. Ma vorrei ricordare che sotto le insegne del Sacro Cuore combatterono anche dei battaglioni dei paesi protestanti della Vandea. Cattolici, protestanti ed ebrei affrontarono insieme la ghigliottina, per esempio a Montpellier, per difendere la libertà.

Ma in Vandea non finisce così.

Questo è il capitolo più orrendo. Nel dicembre 1793 il governo rivoluzionario d ordine di sterminare la popolazione dell 778 parrocchie: "Bisogna massacrare le donne perché non riproducano e i bambini perché sarebbero i futuri briganti". Questo scrissero. Firmato dal ministro della Guerra del tempo Lazare Carnot. Il generale Clébert si è rifiutato di eseguire quell'ordine: "Ma per chi mi prendete? Io sono un soldato non un macellaio". Allora hanno mandato Turreau, un cretino, alcolizzato, con un'armata di vigliacchi.

Fu il massacro?

Nove mesi dopo il generale Hoche, nominato comandante, arrivò in Vandea. Restò inorridito. Scrisse una lettera memorabile e ammirabile al governo della Convenzione: "Non ho mai visto nulla di così atroce. Avete disonorato la Repubblica! Avete disonorato la Rivoluzione! Io porto alla vostra conoscenza che a partire da oggi farò fucilare tutti quelli che obbediranno ai vostri ordini...". Cosa aveva visto? 250.000 massacrati su una popolazione di 600.000 abitanti, paesi e città rase al suolo e bruciate, donne e bambini orrendamente straziati. A Evreux e a Les Mains si ghigliottinavano a decine colpevoli solo di essere nati a Fontaine au Campte. Questo fu il genocidio vandeano. È questo che festeggiamo?

Fece scandalo, nel 1983, quando lei, per la prima volta, usò la parola genocidio, imputando la Rivoluzione. Perché?

I fatti parlano. Nessuno ha saputo negarli. E nulla può giustificare un simile orrore. Ma prima di me, nel 1894, fu un rivoluzionario socialista, Babeuf, che denunciò "il popolicidio della Vandea" (in un libro introvabile che noi abbiamo fatto ristampare). Non c'è differenza alcuna fra ciò che ha fatto il governo rivoluzionario in Vandea e ciò che ha fatto Hitler. Anzi una c'è. Hitler era scaltro e non dette mai per scritto l'ordine di eliminazione degli ebrei. Questi dell'89, oltreché assassini, erano anche stupidi e dettero l'ordine per scritto e lo pubblicarono perfino su Le Moniteur.

Certe persecuzioni hanno rinsaldato la fede del popolo. Ma questa francese sembra aver cancellato la cristianità.

Sì, è così. Per 15 anni fu resa impossibile la trasmissione della fede. Un'intera generazione. Pensi che Michelet fu battezzato a 20 anni e Victor Hugo non ha mai saputo se era stato battezzato o no. Le chiese chiuse. I preti uccisi o costretti a spretarsi e sposarsi o deportati e esiliati. Francamente io non capisco come oggi i cattolici possano inneggiare alla Rivoluzione, Altra cosa è il perdono e altra solidarizzare con i carnefici, rinnegando le vittime e i martiri. Penso che la Chiesa tema, parlando male della Rivoluzione, di sembrare antimoderna, di opporsi alla modernità. lo credo che sia il contrario. E sono orgoglioso che sia stato un Paese protestante come l'Inghilterra a dare asilo ai preti cattolici perseguitati. Infatti non c'è libertà più fondamentale della libertà religiosa."

© Il Sabato, 29 Aprile 1989, pp. 72-76.




 Occhi al cielo alla faccia della propaganda del Medioevo quali secoli oscuri!!! Ghigno




Il 3 febbraio del 2005 scrivevo in un forum su MSN quanto segue:

(lo riporto così tale e quale come quando lo scrissi e ripescato ora dai salvataggi del forum Ghigno )

Incredibile amici, poco fa  a tavola con i figli e parlando del loro lavoro a scuola, il piccolo che va in prima media, mi dice:
"Mamma.....oggi abbiamo parlato dell'Inquisizione e dei roghi, certo che la Chiesa ne ha fatto di macello....pensa che ha messo al rogo anche quello che scoprì la circolazione del sangue, il Serveto, il professore ci ha raccontato la sua storia e che la Chiesa lo mise al rogo perchè temeva le sue idee rivoluzionarie....."
 
aaaaaaaahhhhhhhhhhaaaaahhhhhh............
ma perchè i professori devono essere così IGNORANTI?Che?!??
 
Michele Serveto, umanista e medico spagnolo, scopritore della circolazione polmonare del sangue, uomo dal carattere impetuoso ed irruento. Il Serveto, a causa delle sue posizioni antitrinitarie, fu arso vivo a Ginevra il 27 ottobre 1553, vittima dell'intransigenza ed intolleranza religiosa del riformatore Giovanni Calvino.... Occhi al cielo
 
Ho stampato la fonte ed ho detto a mio figlio di portarlo in classe domani.......
 
E poi dicono che i giovani conoscono la storia?Che?!?
 
quanta pazienza.......MAMME....PARLATE CON I VOSTRI FIGLI...E DOCUMENTATEVI....


 Occhi al cielo


Chi conosce un minimo la storia sa infatti benissimo come l' inquisizione protestante fece, in proporzione, ben più morti di quella cattolica.
Oltretutto ammazzavano anche i bambini, cosa che non mi risulta facesse la Santa Inquisizione.

Come nel caso delle streghe di Salem

http://it.wikipedia.org/wiki/Salem_(Massachusetts)#Il_processo_alle_streghe
 
   

[SM=g1740771]

[Modificato da Caterina63 20/11/2011 00:09]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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......ma leggiamo un altra voce cosa dice di quei tempi...


Ma non erano secoli bui


da avvenire.it ottobre 2004


Un'epoca che vide l'avvio delle scienze e tecniche moderne, lo splendore delle cattedrali, la nascita delle università e il sistema economico ancor oggi vigente

Di Franco Cardini

Comincio ad essere stanco. E, con me e come me, credo lo siano la maggior parte di quegli studiosi di storia che - a differenza di molti loro saggi e avveduti colleghi - non si siano limitati a condurre le loro ricerche scientifiche nella chiusa, serena cerchia degli specialisti, ma si siano impegnati anche nel farne conoscere i risultati a un più ampio pubblico, persuasi che la cosiddetta "seria divulgazione" sia un po' un dovere sociale degli studiosi e serva a far crescere attraverso una migliore cultura storica la società civile.

Dopo decenni di militanza nel campo della cosiddetta "alta divulgazione storica", dopo decine di libri e centinaia di saggi e di articoli sull'argomento - libri, saggi e articoli che mi hanno indotto a sottrarre tempo a quella ricerca scientifica ch'era e resta la mia professione primaria -, debbo confessare il mio fallimento e quello di tutti i colleghi illusi al pari di me.

Vi faccio alcuni esempi: i Templari, il Santo Graal, le crociate, l'inquisizione. Casi "classici", attorno ai quali da ormai due secoli e mezzo circa almeno ruota un nugolo di menzogne, di malintesi, di falsi documenti presi per veri, d'infamie e di sciocchezze
.

Da decenni (dico decenni) io e tanti altri studiosi - anche molto importanti, come Jacques Le Goff - ci sforziamo di far penetrare nel circolo dei dati comunemente acquisiti da parte della società civili alcune verità obiettive ormai definitivamente assodate: che dietro alla questione dello scioglimento dell'Ordine religioso del Tempio non v'era alcun "mortale segreto" e che quella della occulta sopravvivenza dell'Ordine nei secoli è una balla elaborata fra Sei e Settecento di cui si conosce ogni falso documento, ogni particolare; che il Graal non è una vera o falsa reliquia e nemmeno un Oggetto Misterioso, ma una leggenda maturata fra XII e XIII secolo attraverso una serie di romanzi cavallereschi; che le crociate non sono mai state delle guerre di religione; che l'inquisizione era un tribunale istruttorio concepito per combattere il dilagare dell'eresia e non un'organizzazione segreta a delinquere gestita da alcuni sadici torturatori.

Su tutto ciò esiste una montagna di documentazione probatoria e irrefutabile; e, peraltro, mai confutata. Ma non serve a nulla.

E sapete perché? Semplicemente perché nella nostra società esistono anche alcuni editori, alcuni plagiari semicolti e intellettualmente disonesti che si fanno passare come "autori", alcune riviste a grande tiratura, alcuni sodalizi che rifilano patacche onorifiche d'immaginari Ordini cavallereschi o che vendono certezze esoteriche o ufologiche a più o meno caro prezzo, alcuni (molti) giornalisti specie televisivi titolari di rubriche che si presentano come specializzate nel "far luce" sui "misteri della storia" e i cui fine immediato è aumentare l'audience, cosa che con programmi seri sarebbe più ardua; e tutti questi signori sono interessati a ingannare il pubblico e a spremergli danaro; ed esiste una buona fetta dell'opinione pubblica abbastanza ignorante da abboccare a quegli uncini e da cadere in quelle trappole e troppo poco colta per accedere a letture migliori, troppo pigra per rimettersi in discussione e ampliare, migliorandolo, il raggio delle sue conoscenze.


Ecco perché riemerge periodicamente la Leggenda Nera del medioevo come "secoli bui", una balla inventata durante il Settecento illuministico e trascinatasi durante Romanticismo ed Evoluzionismo.
Riemerge perché la maggior parte della gente, che magari ha la licenza delle medie superiori, non riesce ancora nemmeno a capire che il cosiddetto "medioevo" è un'astrazione e una convenzione e che nel lungo millennio fra V e XV secolo accadde di tutto e il contrario di tutto: che allora e non solo allora ci furono le invasioni barbariche e i roghi inquisitoriali, ma anche l'avvio delle scienze e delle tecniche moderne, lo splendore delle cattedrali gotiche e della razionalità scolastica, la fondazione delle Università e del sistema economic o-finanziario ancora vigente.

Ma andate a spiegar tutto questo agli spacciatori di patacche che hanno dalla loro le case editrici, la produzione cinematografica, la televisione: e che, se solo volessero, potrebbero divulgar davvero autentica cultura, e magari anche guadagnarci su.

Andate a dirlo a chi ha fatto i miliardi scrivendo, stampando, girando, distribuendo patacche come Il codice da Vinci o The Body; andate a raccontarlo a chi sfrutta la semicultura e la pigrizia mentale accoppiata al puerile bisogno di mistero purché sia facile da capire; andate a lamentarvi con chi si arricchisce gestendo i supermarkets delle nuove religioni e i disneylands dove s'incontrano e interagiscono la vecchia paccottiglia occultistica dell'Ottocento e l'industria dei termovalorizzatori mentali gestiti dai sacerdoti del New Age che fonde e rielabora questa spazzatura pseudointellettuale e la rivende rivestita di lucente stagnola postmoderna.
Eccoli qua, i Secoli Bui.
Altro che oscuro medioevo...






Fraternamente CaterinaLD

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[SM=g1740722] Mons. Negri: Considerazioni sulla Rivoluzione Francese
27Ott 2011


Considerazioni sulla Rivoluzione Francese

di Mons. Luigi Negri

Un uomo che fa a meno di Dio, uno Stato che diventa totalitario, un odio sfrenato verso la religione cattolica e la monarchia, l'annientamento del passato e il culto della dea ragione: questi i capisaldi dell'evento preso a simbolo della nascita del mondo moderno


La Rivoluzione francese è il primo radicale tentativo di costruire una società ed una struttura statale nell'orizzonte di quella cultura che si definisce “moderna”.
Capisaldi di questa cultura sono: un uomo “senza Dio”, assolutamente autonomo ed autosufficiente che non ha bisogno di nessun riferimento religioso per conoscere la sua identità, i principi fondamentali del suo comportamento, le regole fondamentali della vita sociale. Si definisce questo mondo culturale anche come laicismo. Padre Cornelio Fabro raccoglieva l'essenza del laicismo in questa formula : “Dio se c'è, non c'entra”.
 
Il mondo moderno con la Rivoluzione francese ha dimostrato in modo gigantesco, negli sforzi e anche negli orrori, che era possibile creare una società e uno Stato secondo quella ragione illuministica, che è sostanzialmente una ragione scientifico-tecnologica. In particolare lo Stato costituisce l'obiettivo ultimo dello sforzo per razionalizzare la vita dell'uomo nella società.
Lo Stato diviene dunque la realtà che raccoglie tutti i valori razionali, culturali ed etici: diviene dunque il vero fatto che da valore totale alla persona ed alla società. Si può anche dire che la Rivoluzione Francese sostituisce ad uno Stato che riconosce nelle origini del potere una dimensione religiosa della vita, uno Stato che si presenta come capace di totalizzare la società: uno Stato “totalitario”, appunto. È ovvio che quindi non si è trattato di una evoluzione di pezzi della società precedente, richiesta dall'apparire di nuove esigenze, di nuovi problemi, di nuove sfide. La società precedente aveva vissuto momenti di riforma parziale che l'avevano, in qualche modo, adeguata progressivamente alla evoluzione di tempi e problemi.
 
La Rivoluzione francese invece crea un mondo nuovo: in tanto il mondo nuovo si può costruire se si distrugge il mondo del passato. Il mondo del passato (l’Anqien Regime) è considerato dai rivoluzionari francesi come l'insieme di tutti gli errori teorici e politici, di tutte le ingiustizie personali e sociali, di quella profonda alienazione da cui appunto l'uomo doveva essere liberato per l'esercizio di quello che gli illuministi avevano chiamato “il lume della ragione”. La Rivoluzione francese ha innegabilmente al cuore una forza eversiva del passato: il passato deve essere distrutto, addirittura nella sua consistenza materiale, nella realtà delle sue istituzioni e dei suoi costumi, nelle grandi espressioni culturali, artistiche e poetiche: perché tutto nel passato grida lacrime e sangue e l'uomo invece non deve più soffrire.
 
La politica, la nuova religione, che pretenderà di imporre a tutti i francesi il culto della dea ragione, è la sola in grado di garantire “la felicità degli uomini sulla terra” (cfr. “Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e del cittadino”).
Ma la tradizione non era un passato, la tradizione era un presente: nella presenza della Chiesa come popolo di Dio presente nel mondo la tradizione segnava la vita della persona e della società, rivelava ancora una capacità di educazione della persona e di fondazione di rapporti culturali e sociali.
Per questo motivo, dall'Assemblea degli Stati Generali (1789) fino al regicidio (1793), ed al Terrore giacobino, la Rivoluzione francese assume un volto innegabilmente anti-ecclesiale ed anti-ecclesiastico.
L'inizio di questa lotta contro la Chiesa francese è la Costituzione civile del clero (1790). La Chiesa francese, in quanto tende ad essere una struttura della vita sociale ed a proporre una cultura, una morale ed una immagine di società che nascono dalla fede, deve accettare di essere “normata dallo Stato”. Mentre ufficialmente si parla di “separazione della Chiesa dallo stato”, in realtà la Chiesa viene strettamente legata alla struttura giuridica ed amministrativa dello Stato. Per essere Chiesa, la Chiesa francese deve accettare di avere un riconoscimento civile dallo Stato.
Così le oltre trecento diocesi francesi vengono ridotte a meno di cento e fatte coincidere con i dipartimenti, le parrocchie vengono forzosamente fatte coincidere con le province: vescovi e parroci vengono eletti dalle assemblee degli aventi diritto al voto (meno dello 0,5% di tutto il popolo francese). Viene spezzato il vincolo di comunione e di dipendenza dal Papa, a cui viene riconosciuto soltanto un primato di onore e non di giurisdizione.


Una infima minoranza del clero francese giura la Costituzione civile e formerà così la chiesa “giurata”; la quasi totalità del clero francese rifiuterà il giuramento (e formerà la cosiddetta “chiesa refrattaria”). Centinaia di migliaia di cattolici francesi scriveranno una delle pagine più fulgide del martirio della Chiesa nei tempi moderni. Giovanni Paolo II canonizzerà questa parte importante del popolo cattolico di Francia, martire, nella varietà delle sue vocazioni: vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, padri e madri di famiglia, anche fanciulli di pochi anni. Sono per noi il segno eloquente e commovente che la missione ecclesiale si svolge sempre nell'orizzonte del martirio. La Rivoluzione insieme alla Chiesa rifiuta la monarchia. Occorre intendersi bene. La monarchia non è anzitutto da considerarsi come una determinata procedura dell'esercizio del potere; la monarchia francese è la testimonianza, al di là della grandezza o della povertà dei singoli monarchi, che la radice dello Stato e del potere è di carattere religioso. Il re di Francia, incoronato nella cattedrale di Reims in una fastosa cerimonia sacramentale ed unto con il crisma delle ordinazioni episcopali, è innanzitutto il padre ed il custode della fede del popolo di Francia e della libertà della Chiesa: il suo potere effettivo di governo è certamente ampiamente condizionato da una struttura di partecipazione del clero e dei nobili e successivamente anche dei più alti esponenti della classe borghese.
“Il re deve morire perché è il re”: così tuonò Robespierre alla Convenzione, durante quel processo che gli storici più seri di oggi sono inclini a considerare più “una farsa” che una cosa seria.

Così dalla convergenza di anti-ecclesialità e di rifiuto della monarchia, tende a nascere, in piena Europa e su suolo francese, il primo esperimento di una struttura politica chiusa in se stessa, che non riconosce nessuna istanza, né superiore a sé, né accanto a sé: quella struttura totalitaria, che a qualche anno dalla solenne Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino ha potuto condannare a morte decine di migliaia di francesi solo sulla base di semplici “sospetti” (“la legge dei sospetti”).

La giustizia è una giustizia “giacobina”: è l'inizio di quelle giustizie aggettivate (fascista, nazista, comunista, popolare) che l'ultimo secolo ha tragicamente sperimentato sulla propria pelle e nella devastazione della propria coscienza. La Rivoluzione francese non deve essere, comunque, demonizzata: in certi settori della vita sociale ha segnato degli indubbi progressi nei confronti dì situazioni che potrebbero essere definite “di stagnazione”: ma è indubbio che nelle sue spinte propulsive e nel processo culturale, sociale e politico che ha iniziato, e che la storia ha rigorosamente condotto a compimento, la Rivoluzione francese ha determinato quel totalitarismo politico nel quale l'umanità europea, e non solo, ha rischiato di naufragare.


RICORDA

"La persecuzione religiosa subita dai francesi cattolici durante questo periodo [la Rivoluzione francese] non ha equivalenti nella storia se non le grandi persecuzioni del XX secolo. Di tutte la Rivoluzione francese è stata il modello. La persecuzione religiosa non fu solo persecuzione contro i religiosi, ma una rivolta contro il cristianesimo, con il preciso intento di decristianizzare la nazione. La maggioranza dei preti è stata assassinata od espulsa, tutte le chiese sono state chiuse per un anno e mezzo ed il loro patrimonio requisito ed incamerato, 250 mila vandeani sono stati massacrati perché volevano andare alla Messa e restare fedeli a Roma".
(Pierre Chaunu, in Stefano M. Paci, "Quante idiozie su quegli anni bui", in 30GIORNI, n. 1, gen. 1987, p. 19).


BIBLIOGRAFIA

Jean Dumont, I falsi miti della rivoluzione francese, Effedieffe, Milano 1989.
Pierre Gaxotte, La rivoluzione francese, Mondadori, Milano 1989.
Reynald Secher, II genocidio vandeano, Effedieffe, Milano 1991.
Massimo Introvigne, La Rivoluzione francese: verso un'interpretazione teologica?, in Quaderni di Cristianità, n. 2, Piacenza 1985, pp. 3-26.
Francois Furet, Crìtica della rivoluzione francese, Laterza, Bari-Roma 1980.
Francois Furet - Mona Ozouf, Dizionario critico della Rivoluzione francese, Bompiani, Milano 1988.


IL TIMONE N. 17 - ANNO IV - Gennaio/Febbraio 2002 - pag. 22 - 23


[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

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Una messa per Parigi


Da 400 anni in Laterano si celebra una liturgia solenne per la prosperità della Francia


di Gianni Cardinale da 30giorni gennaio 2004


L’ambasciatore Morel saluta il cardinale Ruini

L’ambasciatore Morel saluta il cardinale Ruini

Nel pomeriggio del 13 dicembre, mentre l’aula magna della Pontificia Università Lateranense ospitava la nuova puntata dell’ormai cospicuo dialogo tra il cardinale Joseph Ratzinger e il presidente del Senato Marcello Pera, a pochi metri di distanza, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, veniva celebrata una liturgia del tutto particolare e per certi versi insolita.

Nella mater et caput omnium ecclesiarum il vicario del Papa, il cardinale Camillo Ruini, presiedeva infatti la messa «pro felici ac prospero statu Galliae». Una liturgia particolare perché non si ha notizia di altre messe così solennemente celebrate nella capitale della cristianità a favore di altre nazioni. Una funzione liturgica insolita perché celebrata «per la felicità e la prosperità» di una Repubblica che si considera orgogliosamente “laica”.

La celebrazione dello scorso 13 dicembre è stata particolarmente solenne per la ricorrenza del quarto centenario della sua istituzione. Come ha scritto monsignor Louis Duval-Arnould nel supplemento romano di Avvenire del 12 dicembre, le origini di questa messa risalgono infatti al re di Francia Enrico IV, il quale, diventato erede di un Regno fortemente diviso tra cattolici e protestanti, aveva prima abbracciato la confessione calvinista per poi tornare definitivamente alla Chiesa cattolica, ottenendo l’assoluzione del pontefice.

«Questa conversione» spiega Duval-Arnould, «alla quale fece seguito una legislazione che concedeva ai protestanti un’importante libertà religiosa – il celebre Editto di Nantes del 1598 –, aveva ristabilito la pace nel Regno». E proprio per manifestare la sua riconoscenza verso la Chiesa di Roma, il cui perdono aveva consentito questa pacificazione, nel 1604 Enrico IV fece una notevole donazione al Capitolo lateranense. E tra le clausole di questa donazione venne stabilita una messa che il Capitolo avrebbe dovuto celebrare ogni anno il giorno del compleanno del re (il 13 dicembre) appunto per la prosperità della Francia.


Ora i tempi sono cambiati, la monarchia in Francia non c’è più da più di centocinquant’anni, ma la messa di santa Lucia continua a essere celebrata puntualmente ogni anno.
E quest’anno, come già detto, in modo particolarmente solenne. Alla celebrazione sono stati invitati tutti i membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
In prima fila hanno assistito alla messa l’ambasciatore di Francia Pierre Morel con la consorte, e i cardinali francesi Roger Etchegaray e Jean-Louis Tauran. L’ambasciatore, da buon cattolico, si è comunicato e alla fine della celebrazione ha letto un breve indirizzo di saluto ai partecipanti. Il diplomatico – che in passato ha rappresentato la Francia in sedi importanti come Mosca e Pechino – ha innanzitutto ringraziato il cardinale Ruini per questa «celebrazione alla quale lei è stato molto fedele ogni anno» e gli ha rinnovato gli auguri per il cinquantesimo di sacerdozio da poco festeggiato. Quindi Morel ha ribadito il particolare legame esistente tra la Basilica Lateranense e la Francia, testimoniato anche dal fatto che fu proprio un altro re di Francia, Carlo V, a restaurare la Basilica nel XIV secolo e a far costruire il monumentale ciborio che custodisce i reliquiari delle teste dei santi Pietro e Paolo; ed è per questo motivo – ha aggiunto il diplomatico – «che in cima all’arco sono raffigurati i gigli di Francia».


Particolarmente curiosa l’omelia tenuta – rigorosamente in francese – dal cardinale Ruini. Il porporato emiliano ha salutato l’ambasciatore Morel affermando: «Non dimentichiamo che in questa circostanza voi rappresentate il presidente della Repubblica Francese [Jacques Chirac, ndr], erede dei re di Francia, al quale il Capitolo riconosce il titolo di “primo e unico canonico onorario” della nostra Basilica e che è venuto qui,nel 1996, per prendere possesso dello stallo simbolico al quale ha diritto».

Il cardinal vicario poi ha tratteggiato una piccola apologia di re Enrico IV, noto ai più per il motto attribuitogli «Parigi val bene una messa». «Quando Enrico IV» ha detto Ruini «ebbe scelto la Chiesa cattolica e ottenuto il perdono di Roma, non si dette all’intransigenza e all’intolleranza che erano la regola nell’Europa divisa di allora; lungi dall’applicare il principio “una fede, una legge, un re”, secondo il quale ciascun regno o principato non poteva ammettere che una sola religione, accordò grandi libertà ai protestanti di Francia con il celebre Editto di Nantes».

«Calcolo politico o sincero rispetto della libertà di coscienza?», si è poi chiesto il porporato, che ha subito aggiunto: «Non è questo il luogo per discuterne; voglio solo ricordare che Enrico IV ha così riportato la pace religiosa in Francia, anche se l’equilibrio restava precario, e questo malgrado l’incomprensione d’una parte dell’opinione pubblica, il cui fanatismo armò la mano del regicida François Ravaillac [l’ex monaco fogliante che uccise Enrico IV nel 1610, ndr]. Non si tratta di canonizzare Enrico IV, di farne un santo, un martire. Ma forse questo sovrano può offrire una lezione ai nostri tempi, quella della tolleranza e della ricerca della pace».

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  La Rivoluzione con la nuova religione di Robespierre

 

 

La Rivoluzione con la nuova religione di Robespierre

Molti sostengono che Robespierre fu il "grande difensore della religione", ma è davvero così?

Al suo nome, Maximilien Robespierre, è legato il periodo del "Terrore", o conosciuto come "Regime del Terrore" che ancora oggi fa discutere molti storici, divisi fra loro, se affidare al soggetto la palma del martirio laico, la palma dell'utopista, o quella dell'assassino e dittatore, se non altro dittatore di un pensiero perverso sul concetto di democrazia.

Un fatto mette d'accordo gli storici: è noto come nel momento di maggior intransigenza , gli stessi capi di certe Rivoluzioni finirono per commettere crimini indiscutibilmente molto più cruenti. Fra questi è classificato Robespierre.

Presentandosi come "l'incorruttibile" e guadagnandosi la fiducia del popolo - opponendosi a tutti i privilegi concessi a nobili e borghesi, inizia la sua ascesa verso il vero potere, quello della ragione asservita alla sua idea di politica, di Stato e persino di religione. All'inizio del 1789 affermava infatti che: "E' tempo che questa idea di Dio, sfruttata così per lungo tempo per assicurare ai capi degli imperi una potenza illimitata e mostruosa, serva infine a ricordare i diritti imprescrittibili degli uomini; è tempo di riconoscere che la stessa autorità divina che ordina ai re di essere giusti, proibisce ai popoli di essere schiavi".

Senza dubbio egli si batte per questioni nobili quali il diritto di voto per tutti, l'istruzione gratuita e obbligatoria, per la libertà di stampa, per l'uguaglianza sociale, tuttavia questi diritti spariscono se a chiederli sono i credenti, nella specie soprattutto del Cattolico. L'odio verso la Chiesa sarà un crescendo inesorabile che scatenerà una durissima repressione contro la Chiesa.

Divenuto presidente nel 1790 del movimento giacobino e temendo una congiura militare, cercherà di evitare una Rivoluzione che fuoriesca dai confini evitando così una propaganda interventista dei girondini, favorevoli a dichiarare guerra all'Austria.

La sua ascesa è inarrestabile. Diventa il protettore dei sanculotti e dei giacobini e, contemporaneamente, rafforza anche l'esercito per tenere sotto tiro i controrivoluzionari, e provvede ad una politica del controllo sull'economia di Stato.

Sono i padroni del Terrore.

Con la caduta della monarchia nell'agosto 1792, Robespierre è fra i votanti a favore dell'esecuzione del re Luigi XVI e, costringendo i moderati ad abbandonare la cosiddetta Convenzione nazionale, diventa di fatto il capo della Rivoluzione Francese.

Alcuni dicono che egli fu contrario alla pena capitale, ma è così?

Giusto per capire la furbizia di Robespierre, così  votò al "processo-non-processo":

[Parlando ai giudici della condanna a morte di Luigi XVI di Francia] "Non c'è nessun processo da fare, Luigi non è un accusato. Voi non siete dei giudici. Voi siete soltanto, e non potete essere altro, degli uomini che rappresentano la Nazione. Non dovete emettere una sentenza contro od a favore di un uomo, ma dovete prendere un provvedimento di salute pubblica, dovete compiere l'atto che salverà la nazione. Un re detronizzato in una repubblica può servire solo a due scopi: o a turbare la tranquillità dello Stato e mettere a rischio la libertà o a consolidarle entrambe. (discorso del 3 dicembre 1792 di Robespierre ai giudici in occasione del processo a Luigi XVI)

Ecco, nessun processo, ma di fatto si processava; nessuna sentenza, ma di fatto la si emetteva "un provvedimento di salute pubblica" non una condanna a morte, perché un re detronizzato vivo avrebbe messo a rischio la libertà, quindi è meglio epurare....

 

Da questo momento inizia una epurazione senza precedenti: Robespierre opera una metodica cancellazione di qualsiasi opposizione alla Rivoluzione avanzando con il suo "il fine giustifica sempre i mezzi". Preoccupato comunque dai controrivoluzionari e deciso a dare un colpo mortale alla monarchia e all'Ancien Regime, avvia il meglio conosciuto come "Terrore rosso" - riferito a distinguerlo dal periodo del "Terrore bianco" eseguito prima e dopo l'opera di Robespierre - attraverso il quale intendeva eliminare fisicamente tutti i possibili rivali della Rivoluzione. Il numero dei morti accertati si aggira attorno alle 70.000, in maggioranza appartenenti alla media borghesia, ma il numero dei morti, tenuto conto delle esecuzioni senza giudizio, come a Nantes e a Tolone, è da stimare ben oltre il numero storico tramandato.

Robespierre era certamente, in fondo al suo cuore ed alla sua ragione, un credente, e riteneva la sua Rivoluzione anche una difesa verso la religione, quella che intendeva lui, ossia, una religione senza una istituzione.

Il 9 novembre 1792 il filosofo Caritat, marchese di Condorcet, sul giornale "Chronique de Paris", di tendenza girondina, scrisse che Robespierre era il "capo di una setta", un "predicatore" che "sale sui banchi e parla di Dio e della Provvidenza".

Rispose Robespierre: "è un prete e non sarà mai altro che un prete".

 

"Bisogna distinguere tra il clero e l'idea di religione", disse: "Nessuna potenza ha il diritto di sopprimere il culto costituito sino a che il popolo non se ne sia esso stesso disingannato".

Certo, per Robespierre occorre rispettare la libertà di coscienza. Nonostante tutto i preti sono i testimoni dei "dogmi incisi negli animi". Se "la Dichiarazione dei diritti dell'uomo fosse fatta a pezzi dalla tirannia, la ritroveremmo ancora" contenuta per l'essenziale nella fede in Dio. Dio è "colui che crea tutti gli uomini per l'uguaglianza e la felicità", "colui che protegge l'oppresso", colui il cui culto si identifica con il culto della giustizia.

Di conseguenza ecco la sua soluzione: intervenire direttamente sulle menti del popolo: "il culto non si sopprime, ma è il popolo che può, disingannandosi, sopprimerlo nelle sue istituzioni". In sostanza basta avere l'idea di un Dio Creatore e praticare la sua giustizia affidata al Cesare giusto, tutto il resto è solo problema.

Il 5 ottobre (14 vendemmiaio) 1793 la Convenzione introduce il nuovo calendario rivoluzionario, senza riferimenti alla religione cristiana. Data di partenza il 22 settembre 1792, inizio della Repubblica. Robespierre è contrario, ma non certo per difendere la Chiesa, è contrario allo  scopo di abolire la domenica, non certo per motivi religiosi.

Il 16 ottobre (25 vendemmiaio) viene ghigliottinata la regina Maria Antonietta. Tra le carte di Robespierre viene trovato un libro di preghiere della regina. All'alba, prima della morte, Maria Antonietta vi aveva scritto "Mio Dio, abbi pietà di me! I miei occhi non hanno più lacrime per piangere per voi miei poveri figli; addio, addio!".

Vi ricordiamo che il saluto "addio" in passato aveva un significato davvero teologico, era "A-Dio", il saluto fra i martiri, un arrivederci in Dio, consapevoli che la morte che stavano affrontando in difesa della Fede, apriva loro le porte dell'eterna Vita.

Il 10 novembre (20 brumaio del calendario rivoluzionario) la Convenzione partecipò alla festa della Ragione in Notre Dame sconsacrata. Tutte le chiese di Parigi vennero chiuse.

Il 21 novembre (1 frimaio) Robespierre reagisce. "L'ateismo è aristocratico - La fede in Dio è popolare". Con il pretesto di distruggere la superstizione, dice, alcuni voglio fare dell'ateismo una specie di religione. Bisogna opporsi a coloro che "pretendono di turbare la libertà dei culti in nome della libertà e di attaccare il fanatismo con un nuovo fanatismo". Conclude: "Proscrivere il culto? La Convenzione non ha mai fatto questo passo temerario né mai lo farà".

 

Robespierre condanna senza dubbio l'ateismo in quanto immorale e pertanto aristocratico, legato ad un sistema di cospirazione contro la repubblica, ma al tempo stesso condanna, in tacito sistema, l'Istituzione della Chiesa arrivando ad imporre un "nuovo catechismo della ragione" e a fissare le nuove feste; non nomina mai "Gesù Cristo" ma arriva a proclamare l'idea dell' "Essere Supremo" e, se vogliamo, una prima forma di sincretismo religioso, un Essere Supremo  valido per tutti e non "presentato" da una Istituzione particolare quale la Chiesa.

Scrive: "L'idea dell'Essere Supremo e dell'immortalità dell'anima è un continuo richiamo alla giustizia: essa è quindi sociale e repubblicana".

Così il 7 maggio (18 floreale) 1794 Robespierre presenta un rapporto sulle feste decadarie. Un decreto stabilì il nuovo catechismo in quindici articoli, ecco alcuni:

Articolo 1: "Il popolo francese riconosce l'esistenza dell'Essere Supremo e dell'immortalità dell'anima".

Articoli 2 e 3: Il solo culto che si conviene all'Essere Supremo è la pratica dei doveri dell'uomo. Odio verso i tiranni, rispetto dei deboli, pratica della giustizia.

Articoli da 4 a 10: Istituzione di nuove feste (36 l'anno, 3 al mese, 1 per decadì) per celebrare la Repubblica, la Verità, la Giustizia, la Natura, il Genere umano, il Pudore, la Bontà, il Coraggio, la Frugalità, lo Stoicismo, l'Età virile, l'Amor patrio, l'Odio dei tiranni, la Fede coniugale, il Disinteresse, la Felicità, l'Infelicità, l'Agricoltura, l'Industria, ecc.

Nell'articolo 15 venne fissata la prima festa in onore dell'Essere Supremo per l'8 giugno 1794 (20 pratile), ebbe come coincidenza la domenica di Pentecoste, ma non fu certo la Festa di Pentecoste insegnata dalla Tradizione della Chiesa.

 

Vennero stabilite anche le grandi feste repubblicane.

Gli altri articoli confermano senza dubbio la libertà di culto, ma puniscono gli assembramenti aristocratici e le istigazioni fanatiche, e in definitiva le Feste Cattoliche definite "superstizione e fanatismo religioso".

Del resto il suo pensiero è assai limpido: " Abbandoniamo i preti e torniamo a Dio. Costruiamo la moralità su fondamenta sacre ed eterne; ispiriamo nell'uomo quel rispetto religioso per l'uomo, quel profondo senso del dovere, che è l'unica garanzia della felicità sociale; nutriamo in lui questo sentimento attraverso tutte le nostre istituzioni e facciamo sì che l'istruzione pubblica sia diretta verso questo fine.. Il vero sacerdote dell'Essere supremo è la natura; il suo tempio, l'universo; il suo culto, la virtù; la sua festa, la gioia di molta gente, riunita sotto i suoi occhi per stringere i dolci vincoli della fratellanza universale e offrirgli l'omaggio di cuori sensibili e puri...",

 

dimentico forse del fatto, lui che era cresciuto nella segreteria del vescovo, che il Dio vivo e vero ha istituito la Chiesa ed ha voluto i preti: "non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" - Gv.15,9-17 - e che per quanto nobili fossero i suoi principi, Robespierre aveva fondato la sua personale religione, eliminando di fatto lo stesso Gesù Cristo - mai nominato nei suoi discorsi sulla religione cristiana - l'unico e vero Sacerdote per mezzo del quale il sacerdote ordinato non fa altro che ripetere il Suo Sacrificio e non quello dell'uomo o di Robespierre....

 

Insomma alla fine Robespierre proclama "religione di stato" il culto dell'Essere Supremo secondo le suggestioni, l'interpretazione di Rosseau - e dello stesso Voltaire - attirandosi, come era prevedibile e giusto, il dissenso cattolico, ma anche quello degli atei il cui unico "essere supremo" era il loro diritto a non credere in un Essere "invisibile".

Robespierre predicava le "virtù" ma non erano certo quelle del Vangelo!

Sui principi di morale politica, memorabile il suo Discorso del 5 febbraio 1794, ecco alcuni stralci:

 

"Un re, un senato orgoglioso, un Cesare, un Cromwell, devono innanzi tutto cercare di coprire i loro progetti con un velo religioso, transigere con tutti i vizi possibili, far la corte a tutti i partiti, e schiacciare quello delle persone che vogliono realizzare il bene; opprimere ed ingannare il popolo, per giungere al fine della perfida ambizione. (..) Qual è lo scopo cui tendiamo? Il pacifico godimento della libertà e dell'uguaglianza; il regno di quella giustizia eterna le cui leggi sono state incise non già sul marmo o sulla pietra, ma nel cuore di tutti gli uomini, anche in quello dello schiavo che le dimentica e del tiranno che le nega.

(..) Ora, qual è mai il principio fondamentale del governo democratico o popolare, cioè la forza essenziale che lo sostiene e che lo fa muovere? È la virtù.

Parlo di quella virtù pubblica che operò tanti prodigi nella Grecia ed in Roma, e che ne dovrà produrre altri, molto più sbalorditivi, nella Francia repubblicana. Di quella virtù che è in sostanza l’amore della patria e delle sue leggi.

Ma, dato che l’essenza della Repubblica, ossia della democrazia, è l’uguaglianza, ne consegue che l’amore della patria comprende necessariamente l’amore dell’uguaglianza".

 

(.. e dopo aver elogiato il concetto di democrazia e di uguaglianza, pur condivisibile in molti punti, ecco i metodi e il concetto di virtù che non possiamo affatto condividere)...

 

" Bisogna soffocare i nemici interni ed esterni della Repubblica, oppure perire con essa. Ora, in questa situazione, la massima principale della vostra politica dev’essere quella di guidare il popolo con la ragione, ed i nemici del popolo con il terrore.

Se la forza del governo popolare in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo di rivoluzione è ad un tempo la virtù ed il terrore. La virtù, senza la quale il terrore è cosa funesta; il terrore, senza il quale la virtù è impotente.

Il terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile. Esso è dunque una emanazione della virtù. È molto meno un principio contingente, che non una conseguenza del principio generale della democrazia applicata ai bisogni più pressanti della patria.

Si è detto da alcuni che il terrore era la forza del governo dispotico. Il vostro terrore rassomiglia dunque al dispotismo? Sì, ma come la spada che brilla nelle mani degli eroi della libertà assomiglia a quella della quale sono armati gli sgherri della tirannia. Che il despota governi pure con il terrore i suoi sudditi abbrutiti. Egli ha ragione, come despota. Domate pure con il terrore i nemici della libertà: e anche voi avrete ragione, come fondatori della Repubblica.

 (...) Punire gli oppressori dell’umanità: questa è clemenza! Perdonare loro sarebbe barbarie. Il rigore dei tiranni ha come fondamento soltanto il rigore: quello del governo repubblicano ha invece come sua base la beneficenza.

E così, maledetto chi oserà dirigere contro il popolo quel terrore che deve riversarsi solamente contro i suoi nemici! Maledetto chi – confondendo gli errori inevitabili della virtù civica con gli errori calcolati della perfidia o con gli attentati dei cospiratori – abbandona il pericoloso intrigante, per perseguitare il cittadino pacifico! Perisca lo scellerato che osa abusare del sacro nome di libertà, o delle armi terribili che essa gli ha affidato, per portare il lutto o la morte nel cuore dei patrioti!..."

 

Senza alcun dubbio Robespierre è un genio. Un genio per il laicismo e per la scristianizzazione dell'Europa partita appunto con la Rivoluzione Francese.

E poichè chi sta con lo zoppo impara a zoppicare, quanti, politicanti e non, si sono ispirati alle idee di Robespierre non hanno fatto altro che prendere il peggio, perchè di idee buone per la politica in se stessa ne aveva, ma erano i principi su cui voleva fondarla e l'ha fondata che erano e sono sballati, a partire da un Essere Supremo senza nome, inconoscibile, adattabile alle proprie ideologie. Un Dio senza una Rivelazione, è un dio accomodante.

 Fa riflettere il monito del Cristo: "tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada...." (Mt.26, 52), così finisce Robespierre che già ferito a morte viene portato alla ghigliottina fra il tripudio di quel popolo al quale aveva dato quella presunta libertà impostata sulla strana morale di un Essere Superiore senza nome, senza identità.

 

Certe persecuzioni hanno rinsaldato la fede del popolo. Ma questa francese sembra aver cancellato la cristianità.

Sì, è così. Per 15 anni fu resa impossibile la trasmissione della fede. Un'intera generazione. Pensi che Michelet fu battezzato a 20 anni e Victor Hugo non ha mai saputo se era stato battezzato o no. Le chiese chiuse. I preti uccisi o costretti a spretarsi e sposarsi o deportati e esiliati. Francamente io non capisco come oggi i cattolici possano inneggiare alla Rivoluzione.

Altra cosa è il perdono e altra solidarizzare con i carnefici, rinnegando le vittime e i martiri. Penso che la Chiesa tema, parlando male della Rivoluzione, di sembrare antimoderna, di opporsi alla modernità. lo credo che sia il contrario. E sono orgoglioso che sia stato un Paese protestante come l'Inghilterra a dare asilo ai preti cattolici perseguitati. Infatti non c'è libertà più fondamentale della libertà religiosa."

(professor Pierre Chaunu, una delle autorità per la storia moderna, membro dell'Institut de France)

 

Che ci furono poi aspetti positivi negli ideali politici di Robespierre, è innegabile.

Ma con i moti rivoluzionari francesi nasce il mito solare della Rivoluzione, quella che cambiò il corso dell'Europa, era il 1789.

Il 5 settembre 1793, invece, il sogno della rivoluzione si trasforma nell'incubo del terrore.

La Rivoluzione Francese fu una vera e propria "rivoluzione sociale", smisuratamente più radicale di qualunque equivalente sollevazione. Fu la sola fra tutte le rivoluzioni contemporanee ad essere veramente universale: le sue soldatesche popolari si levarono per rivoluzionare il mondo, le sue idee lo rivoluzioneranno veramente. Nella stessa Costituzione del 1795, nel Preambolo - noto come "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" - ritroviamo riassunti gli ideali rivoluzionari, poi condensati nell'espressione: "Liberté, Égalité, Fraternité".

La prima parola del motto repubblicano, Liberté, fu concepita secondo l'idea liberale. Essa, nella "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino", fu definita in questo modo: "La libertà consiste nel potere di fare ciò che non nuoce ai diritti altrui". "Vivere liberi o morire" fu la grande massima repubblicana. L'Uguaglianza, invece, ha un alto valore morale, poiché con il termine Égalité si voleva assegnare alla legge un valore democratico: tutti divenivano uguali e le differenze per nascita o condizione sociale dovevano essere abolite. Ognuno, quindi, aveva il dovere di contribuire alle spese dello Stato in proporzione a quanto possedeva, tutti divenivano uguali dinanzi alla legge. Il terzo motto repubblicano, Fraternité, fu infine definito così: "Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi". In pratica, "fate costantemente agli altri il bene che vorreste ricevere".

 

Era pratica o solo teoria?

Secondo i contemporanei coinvolti negli avvenimenti della rivoluzione in Francia, anche il "Terrore", come abbiamo letto sopra, che scaturì dai moti rivoluzionari andava giudicato essenzialmente secondo il metro della Virtù.

Il "Terrore" riferì Robespierre nel suo celebre discorso "Sui principi della morale politica" esposto alla Convenzione nazionale, sopra riportato, "non è altro che la giustizia severa e inflessibile, ossia l'emanazione della Virtù".

All'apice della Rivoluzione francese troviamo quindi il "Terrore" come necessità, che mise a soqquadro la Francia. Esso fu la naturale conclusione di un movimento che, per accelerazioni progressive, volle fare terra bruciata del passato religioso, culturale e civile della Francia, e praticò sistematicamente, come metodo di lotta politica, l'annichilamento dell'avversario esercitando il potere in modo totalitario.

 

Entra in scena la ghigliottina.

E quale curiosità vi troviamo, ad inventarla è un ex gesuita.

Durante tutto il periodo rivoluzionario esiste un binomio terrificante: "Rivoluzione-patibolo". Esso si precisa meglio con l'assimilazione del patibolo con una nuova macchina: la ghigliottina. Anche se già inventata nel 1790, il suo uso è introdotto da un voto dell'Assemblea Legislativa nel 1792. La "macchina per ammazzare" è inventata da Joseph Ignace Guillotin, un ex gesuita uscito dalla Compagnia di Gesù nel 1763 per studiare la medicina del corpo anziché quella dell'anima. Nel 1789 entra negli Stati Generali (poi trasformatisi in Assemblea Nazionale) come rappresentante del Terzo Stato di Parigi, la città dove esercita l'arte medica.

 

I massacri dei preti che dissero no al giuramento

«Fino alla Costituzione civile del clero non ci fu rottura fra Chiesa e rivoluzione» scrive Luigi Mezzadri.

In una «atmosfera d'infatuazione e di speranze, il clero era stato all'avanguardia». Persino «la rinuncia ai beni e la perdita dei privilegi era stata assorbita in modo dignitoso». Rimaneva soltanto da chiarire un fatto: i preti erano i rappresentanti di una religione considerata come un «servizio pubblico», oppure come qualcosa da relegare nella coscienza dei singoli?

La risposta venne il 12 luglio 1790 con la Costituzione civile del clero (sostenuta da Robespierre), che considerava preti e vescovi funzionari dello Stato (con tanto di giuramento di fedeltà alla nazione).

Si aprì una ferita che generò «due Chiese»: una incline al giuramento e l'altra refrattaria.

Con un atto di forza vennero nominati vescovi costituzionali al posto dei refrattari. Cominciò anche la persecuzione di preti e vescovi refrattari (che fece montare il caso della Vandea) con deportazione di decine di migliaia di loro ( 40 mila nel 1792) e molte esecuzioni: il 2 settembre 1790, per esempio, 20 preti e 3 vescovi all'abbazia di Saint-Germain, oltre 70 al seminario di Saint-Firmin (nel 1926 191 vittime furono riconosciute martiri e beatificate), fino ai conati del 1797 con 41 esecuzioni di sacerdoti e distruzione di chiese ed edifici religiosi...

La Rivoluzione di Robespierre fece sparire nel nulla circa 10.000 fra sacerdoti e religiosi, molti dei quali non si seppe più nulla.

Liberté, Égalité, Fraternité.... ebbè!

 

Così riportava un articolo Avvenire nel 2004:

Le acque si sono comunque calmate ed è giunto il momento di tirar qualche somma. Come fa Luigi Mezzadri, che nel suo recente La Rivoluzione francese e la Chiesa (Città Nuova, pagine 216, euro 14,50) ci propone una ricostruzione limpida, equilibrata e di largo respiro di un rapporto molto articolato e complesso, insofferente di semplificazioni.

La periodizzazione, anzitutto: in quale arco cronologico situare il discorso? La faccenda non è così semplice. Quando finì la Rivoluzione francese? Col Termidoro, col Consolato, con l'Impero, con la Restaurazione? Gaetano Salvemini, in un suo saggio storiograficamente parlando abbastanza radicale, era perentorio: già il Terrore rappresenta una degenerazione della Rivoluzione, che per questo si arresta al 1793 per dar luogo a una serie di fasi tiranniche.

Con abbondanza di documenti Mezzadri dimostra che membri del clero erano molto coinvolti nella contestazione, all'origine solo finanziaria e amministrativa, allo strapotere della corona e ai privilegi economici e fiscali dei prelati e degli aristocratici; e che in fondo la Rivoluzione che finì con l'accanirsi contro le Chiese e la gente di chiesa non si potrebbe definire né "borghese", né di popolo, bensì rappresentava l'esito di una sorta di dittatura trasversale allargata (i celebri "ventimila" della Commune parigina dei quali ha parlato lo Chaunu). Ma, una volta avviata, la macchina rivoluzionaria infierì soprattutto sui membri del clero e sui fedeli: e qui il Mezzadri non tace i massacri, le sevizie, le violenze d'ogni sorta.

Liberté, Égalité, Fraternité.... ebbè!

 

Durante la rivoluzione francese, Robespierre è stato il "portavoce della (sua) sana Virtù",
ma certamente anticipò il ruolo politico dei dittatori del XX secolo.

 

In una intervista di Antonio Socci al professore Chanau dopo l'uscita del suo libro, gli chiese:

"Professore, il suo libro è uscito in Francia a marzo, già da alcuni anni lei si è ribellato al coro degli intellettuali e alle ingiunzioni del potere politico, contestando la legittimità di queste celebrazioni. Perché?"

 

ecco la risposta con la quale concludiamo questo articolo:

"È una mascherata indecente, un'operazione politica elle sfrutta le stupidaggini che la scuola di Stato insegna sulla Rivoluzione. Pensi alle bétises del ministro della Cultura Lang: "L’89 segna il passaggio dalle tenebre alla luce". Ma quale luce? Stiamo commemorando la rivoluzione della menzogna, del furto e del crimine. Ma trovo scioccante soprattutto che, alle soglie del '92, anche tutto il resto d'Europa festeggi un periodo dove noi ci siamo comportati da aggressori verso tutti i nostri vicini, saccheggiando mezza Europa e provocando milioni di morti. Cosa c'è da festeggiare? Eppure qua in Francia ogni giorno una celebrazione, il 3 aprile, il 5, il 10. È grottesco".

 

Replica ironicamente Socci:

"Ma è stato comunque un evento che ha cambiato la storia".

 

la risposta di Chanau:

"Certo, come la peste nera del 1348, ma nessuno la festeggia".

 

****



Maggiori informazioni http://anticlericali-cattolici.webnode.it/news/la-rivoluzione-con-la-nuova-religione-di-robespierre/



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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08/04/2014 13:13
 
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"I veri nemici per i rivoluzionari non erano la monarchia e la nobiltà, ma Cristo e la sua Chiesa. Una delle prime decisioni del governo rivoluzionario fu l’istituzione del matrimonio civile. Se togli Dio dal matrimonio, dalla famiglia, lo togli dalla società intera."

 

Pochi anni fa, il settimanale Il Venerdì di Repubblica pubblicò un articolo, firmato da Francesco Merlo, sulla conversione di Maurizio Sacconi, parlamentare del Popolo delle libertà, ex ministro e con trascorsi da politico socialista. L’on. Sacconi è ritornato nella Chiesa dopo aver scoperto di aver una grave malattia oncologica; ogni domenica non manca mai alla Santa Messa e si confessa regolarmente; è fedele al papa - ha una grande ammirazione per Benedetto XVI - e alla Tradizione. Questo non piace affatto ai seguaci del capo ideologico delle legioni giacobine Scalfari. Lo stesso titolo dell’articolo la dice lunga: “Sacconi, metamorfosi di un craxiano che volle farsi servo di Dio”. È evidente che, per Merlo, essere “servi di Dio” è ancora più grave che essere stati craxiani. “Sacconi - scrive Merlo - è il neomilitante di un Cristo intrufolato nella ricerca biogenetica, contro la libertà di sesso, contro la decisione di abortire, di divorziare, convertito ad un Gesù che scende in piazza contro i gay, il Dio infernale delle processioni, il Dio delle peggiori democrazie cristiane”. La conversione di Sacconi per Merlo è un pretesto per attaccare Cristo e la sua Chiesa. Il vero Cristo e la vera Chiesa, però, quelli della Tradizione e del Magistero (per intenderci), non quelli deformati dai teologici modernisti e ormai post-cristiani, quando non proprio anticristiani, e dai loro seguaci. Merlo addirittura lo definisce “il Dio infernale”.

 

E' importante, per noi e per i lettori, sottolineare che il "Gesù Cristo" descritto da Merlo non è quello realmente esistito, non è quel Dio Incarnato dei Vangeli e dalla Chiesa vissuto e predicato. Gesù infatti, tanto per fare un esempio, non è "contro i gay" perchè Dio non si pone mai contro la persona, né la Chiesa ha mai insegnato questo, ma piuttosto Dio si oppone contro ogni caricatura dell'uomo, contro ogni "orgoglio" che sia gay o di altra natura ideologica.

 

Tutte le ideologie umaniste, dunque atee, hanno avuto solamente uno scopo: eliminare Cristo e la Chiesa, facendo credere ai più sprovveduti di non aver nulla contro il Cristianesimo. Per esempio, il motto della nefasta rivoluzione francese, di stampo massonico, “libertà, fratellanza, uguaglianza”, è una scimmiottatura di alcuni valori cristiani. Per il rivoluzionario francese siamo liberi, fratelli e uguali perché abbiamo tutti gli stessi diritti. Per il cristiano siamo liberi, fratelli e uguali perché abbiamo tutti lo stesso Creatore: Dio. E questo non comporta avere solo gli  stessi diritti, ma anche gli stessi doveri. È evidente l’intenzione dei borghesi Danton, Robespierre e Marat, “menti” della rivoluzione francese, di escludere Dio dalla vita degli uomini.

 

Un po’ di storia. La Francia dell’epoca era suddivisa in tre grandi stati: il primo stato era composto dal clero, il secondo dall’aristocrazia, il terzo da tutti i francesi non nobili (gruppo eterogeneo che andava dai grandi borghesi ai braccianti rurali). Il clero, si è sempre schierato dalla parte dal terzo stato, affinché i suoi membri, soprattutto i poveri, non venissero considerati individui di “serie B”. Il clero, infatti, non è mai stato il vero problema perché sempre pronto a sostenere il terzo stato: lo era, invece, l’aristocrazia con la sua arroganza, i suoi sperperi e la sua incapacità di accogliere le rivendicazioni della borghesia. Allora perché i capi del terzo stato, i ricchi borghesi, una volta ottenuto il potere, hanno cercato in tutti modi di eliminare il clero e non l’aristocrazia, la vera casta dei privilegiati?

 

I veri nemici per i rivoluzionari non erano la monarchia e la nobiltà, ma Cristo e la sua Chiesa. Una delle prime decisioni del governo rivoluzionario fu l’istituzione del matrimonio civile. Se togli Dio dal matrimonio, dalla famiglia, lo togli dalla società intera.

 

Non ho  paura di affermare che la rivoluzione francese è di ispirazione luciferina. Ne trovo una conferma nella famosissima affermazione di Robespierre: “Non ci serve più Cristo perché adesso che abbiamo la rivoluzione, non è più necessaria la redenzione. Dio è abolito”. E che cosa ha comportato questa “abolizione di Dio”? Il periodo del terrore, quando i giacobini, i più fedeli seguaci di Robespierre, ghigliottinavano tutti i nemici della rivoluzione, veri o presunti.

Il 6 ottobre 1793 la Convenzione francese abolì la datazione cristiana e la sostituì con quella rivoluzionaria. Per i rivoluzionari la storia nuova non comincia con l’avvento di Cristo nella storia, ma con la presa della Bastiglia. Proprio come aveva detto Robespierre: la rivoluzione al posto della redenzione.

 

Il contrario della fede non è l’ateismo, ma l’idolatria. Nell’ateismo si idolatra il nulla. Gli ebrei che si trovavano ai piedi del monte Sinai, mentre Mosè riceveva il Decalogo, quando rinnegarono il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, si fecero un’altra divinità da adorare: il vitello d’oro. Per Gesù, infatti, Mammona non è semplicemente il denaro, ma gli idoli (denaro, sesso, potere, successo, ragione, ideologie, etc...) che decidiamo di adorare al posto dell’unico vero Dio: la Santissima Trinità.

 

Gli illuministi idolatrarono la ragione. Che cosa bisognava fare affinché la “dea ragione” illuminasse le menti degli uomini? Eliminare la “superstizione”, soprattutto quella cristiana.

 

Voltaire sosteneva che era necessario “schiacciare l’infame”. Ovvero lottare contro la superstizione religiosa che oscurava le menti e tormentava le esistenze. Chi era per Voltaire “l’infame” per eccellenza? La Chiesa cattolica. Non solo. Cercò perfino di prevedere la fine del cristianesimo. “Nella nuova cultura - disse - non ci sarà futuro per la superstizione cristiana. Io vi dico che, tra vent’anni, il Galileo sarà spacciato”. Ironicamente, si può dire che il “Galileo”, tre secoli dopo, è più vivo che mai - nessuno è perseguitato quanto lui - mentre Voltaire è marcito nella tomba.

 

Rousseau negò la creazione dell’uomo da parte di un Dio, soprattutto quello cristiano, e rifiutò la redenzione dell’uomo da parte di Cristo. Del resto, Dio a cosa serviva dal momento che egli aveva pure negato l’esistenza del peccato originale? Per Rousseau l’uomo si può salvare da solo, basta che illumini la sua mente con la ragione.

 

Nacque il concetto che fede e ragione sono l’uno il contrario dell’altro. Nulla di più falso. San Tommaso d’Aquino afferma che “la Grazia non elimina la natura, ma la perfeziona”. Benedetto XVI insegna che la fede e la ragione sono i due mezzi che Dio ha dato all’umanità per conoscerlo, ma che la fede illumina la ragione. La ragione senza la fede è una lampada spenta. È la fede il vero lume che illumina le menti degli uomini. Nonostante siano passati secoli, la scissione tra fede e ragione ancora alberga nella società civile. È nata un’altra ideologia: lo scientismo, l’idolatria della scienza. Per lo scientista, “dio” è il nome che l’umanità da a ciò che la scienza non ha ancora spiegato. Non si può essere contemporaneamente scienziati e credenti. Tutti fanno finta di non sapere che fra i più grandi uomini di scienza ci sono moltissimi credenti: Pascal, Galilei, Keplero, Marconi, Pasteur, Volta, etcSenza contare coloro che seppero coniugare la propria consacrazione a Dio con gli studi scientifici, come Mendel, Denza, Lemaître, etc. Ed è stata proprio la Chiesa cattolica a promuovere, lungo i secoli, la ricerca scientifica.

 

Il liberalismo si prefigge di limitare il potere dello stato, al fine proteggere i diritti naturali e le libertà delle persone. La borghesia si servì di questa ideologia per combattere le monarchie assolute e i privilegi dell’aristocrazia.Ma qual è la monarchia assoluta per eccellenza? La Chiesa di Cristo. Il suo regno si estende fino agli estremi confini della terra, fra le sue leggi ci sono anche i dannati dogmi, che nessuno può contestare, decidendo cosa è giusto e cosa è sbagliato. Per il liberalista, invece, solo il singolo individuo può decidere, almeno per se stesso, ciò che è giusto e sbagliato, seguendo i dettami della sua coscienza.

 

Il laicismo si propone non solo la separazione tra stato e Chiesa, ma anche quello di ridurre la fede alla sfera privata, che riguarda la vita personale del cittadino e non della popolazione. Per mezzo della secolarizzazione, si vuole cancellare dalla sfera pubblica ogni riferimento religioso, riducendo i valori religiosi a pratiche morali individuali. I laicisti non vogliono necessariamente eliminare la Chiesa: a loro basterebbe che tacesse, che non si intromettesse in faccende che, secondo loro, non la riguardano. Che i cristiani, sostengono, se ne stiano chiusi nelle sacrestie e non evangelizzino.

 

Facciamo un esempio concreto. Un grande esponente del laicismo italiano è uno storico agnostico di origine ebraica. Non faccio il nome perché non voglio fargli troppa pubblicità. Nel 2007 ha scritto un libro denigratorio su San Pio da Pietrelcina, definendolo “il primo vero libro di storia” sul frate santo. Questo “storico canta-storie”, nel suo libro, molto spesso chiama Padre Pio, con disprezzo, “l’altro Cristo”. Ancora una volta si attacca il discepolo per perseguitare il Maestro. Non a caso questo storico termina il libro dicendo che se si togliessero i crocifissi dai luoghi pubblici, l’Italia diventerebbe un paese “più giusto, onesto e moderno”. L’obiettivo rimane la cancellazione di Cristo dal cuore dell’uomo e dalla società.

 

Il marxismo ha la scopo di creare il paradiso terrestre. Per Karl Marx “la religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l’oppio dei popoli”. I popoli devono smetterla di affidarsi a un dio, ma devono diventare essi stessi gli artefici del proprio destino. Devono cercare di costruire un mondo nuovo in cui tutti siano uguali, appagati economicamente e felici. Naturalmente conosciamo tutti i mezzi indicati da Marx: la rivolta armata, la dittatura del proletario, l’abolizione della proprietà privata, etc...

 

Molti cattolici, purtroppo, si sono fatti ingannare dalle belle – ma false – promesse del marxismo, nonostante le ripetute condanne della Chiesa. Molti credono che basti togliere il materialismo ateo dal marxismo per farlo diventare l’applicazione più alta, nobile e pura del cristianesimo. La convergenza è, tuttavia, impossibile. Al centro del cristianesimo non c’è l’attivismo sociale, ma l’amicizia col Figlio di Dio. Il cristiano sa bene che la felicità vera si potrà averla solamente nell’altra vita. Inoltre il cristianesimo e il marxismo hanno due concetti diversi di felicità. Per il marxista la felicità consiste nell’appagamento sociale, economico e politico; per il cristiano la felicità consiste nella ritrovata intimità con Dio, per mezzo della redenzione di Cristo, quell’intimità che era andata perduta col peccato originale.

 

I due prodotti più importanti del marxismo, il nazionalsocialismo e il socialcomunismo, che cosa hanno fatto di significativo? I lager e i gulag. Il XX secolo è stato il secolo del sangue. Mai come nel recente secolo è stato versato tanto sangue: guerre, genocidi, pulizie etniche e religiose, aborti, eutanasie, pene capitali, etc... Quando si cerca di creare il paradiso in terra, si finisce col creare un inferno in cui, anziché punire il cattivo, si martirizza il buono. (1)

 

Anche il nazismo, come ha fatto notare il grande padre domenicano Tomas Tyn, è una forma di marxismo. Al posto della “lotta di classe” pone la “lotta di razza”. Hitler non ha mai criticato il comunismo, ma il bolscevismo, che riteneva una caricatura e un tradimento del vero grande ideale. Molti dei discorsi di Hitler e Lenin pongono al centro la “creazione dell’uomo nuovo”. Un “uomo nuovo” non creato da Dio, ma dall’uomo stesso. Per Hitler gli ebrei erano un fastidio da eliminare in qualsiasi modo, non un nemico ad armi pari. Riteneva il suo nemico la Chiesa cattolica e per questo voleva distruggerla. “Io odio gli ebrei perché - spiegò una volta Hitler - hanno dato al mondo quell’uomo: Gesù”. Se qualcuno non ci crede si vada a leggere il libro “Conversazioni a tavola con Hitler”, editto dalla Gorizia, ristampato nel 2010.

 

Alcuni studiosi e rabbini ebraici accusano il cristianesimo, il cattolicesimo in particolare, come se avesse generato l’antisemitismo nazista, a causa dell’accusa di deicidio. Ma l’accusa di deicidio non è cattolica – basta andare a leggere il catechismo di Trento – ma luterana.

 

Distruggere la Chiesa era anche il grande obiettivo di Lenin e Stalin. Persino Mao, nonostante la presenza cristiana in Cina fosse irrilevante, combatté la Chiesa Cattolica. Lenin disse che Gesù di Nazareth non aveva diritto di cittadinanza in URSS. Stalin si augurava che quel nome, Gesù Cristo, fosse dimenticato e mai più pronunciato dall’umanità entro la fine del XX secolo. Per Mao, invece, in Cina nessuno aveva mai sentito nominare Cristo, nessuno lo conosceva.

 

Con queste ideologie, Satana vuole distruggere la Chiesa dal di fuori. Ma sta provando anche a distruggerla dall’interno. Come? Col modernismo.

 

Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, alcuni teologi cattolici sostennero la necessità della Chiesa di modernizzarsi (da ciò modernismo), cioè adeguarsi al mondo, seguendone i vari cambiamenti e le varie mode. In 1900 anni di cristianesimo, non si era mai sentito che fosse il mondo a guidare la Chiesa. È la Chiesa che salva il mondo.

 

Il modernismo cattolico vide in Ernesto Bonaiuti il suo esponente più famoso. Bonaiuti, infatti, fu sospeso a divinis. Il modernismo ha comportato pericolosissime eresie. Dovette intervenire il papa San Pio X in persona con l’enciclica “Pascendi Dominici gregis” del 1907.

 

Nella “Pascendi” San Pio X condanna le seguenti tesi moderniste:

  • la Rivelazione non è davvero parola di Dio e neppure di Gesù Cristo, ma un prodotto naturale della nostra sub-coscienza;
  • la Fede non è un fatto oggettivo ma dipende dal sentimento di ciascuno;
  • i Dogmi sono simboli dell'esperienza interiore di ciascuno; la loro formulazione è frutto di uno sviluppo storico;
  • i Sacramenti derivano dal bisogno del cuore umano di dare una forma sensibile alla propria esperienza religiosa, non furono istituiti da Gesù Cristo e servono soltanto a tener vivo negli uomini il pensiero della presenza del Creatore;
  • il Magistero della Chiesa non ci comunica affatto la verità proveniente da Dio;
  • la Bibbia è una raccolta di episodi mitici e/o simbolici, e comunque non si tratta di un libro divinamente ispirato;
  • gli interventi di Dio nella storia (quali miracoli e profezie) non sono altro che racconti trasfigurati di esperienze interiori personali;
  • il Cristo della Fede è diverso dal Gesù della storia; la divinità di Cristo non si ricava dai Vangeli canonici;
  • il valore espiatorio e redentivo della morte di Cristo è frutto della teologia della croce elaborata dall'apostolo Paolo.

 

Ho voluto elencarle perché sono importanti. Come si può notare, si tratta di intendere Cristo e la Chiesa in una modo totalmente opposto dalla dottrina cattolica. Per i modernisti non esiste il “Cristo della fede” - è solo un’invenzione teologica - ma il “Gesù della storia”, del quale possiamo sapere la verità soltanto attraverso la ricerca storica e un’esegesi che, spesso, viene posta a servizio di tesi preconcette, ignorando il dato biblico o accusandolo di essere stato in precedenza manomesso da antichi apologeti.E la Chiesa, più che istituzione divina, è un’istituzione umana che ha bisogno di modernizzarsi per sopravvivere.

 

A queste eresie così diaboliche la Chiesa ha reagito con fermezza: col motu proprio “Sacrorum Antistitum” del 1910 (2) fu imposto a tutti i laureandi cattolici un giuramento antimodernista. In clandestinità, però, i teologi modernisti continuarono le elaborazioni delle proprie teorie, ma fino agli anni primi anni ‘60 furono tenuti sotto controllo. Cosa accadde dopo? I teologi modernisti tornarono alla ribalta con il Concilio Vaticano II. Certo, era presente anche lo Spirito Santo, il quale impedì danni irreparabili - infatti i “neomodernisti” invocano da anni un Vaticano III per ottenere ciò che non hanno ottenuto nel II – e permise che la dottrina non fosse modificata. Purtroppo,però, ha preso il soppravvento lo “spirito del Concilio” di dossettiana memoria, la terribile “ermeneutica della rottura e della discontinuità”. Ovvero rompere con la Chiesa del passato e fondarne un’altra. E vedere Cristo non più come un redentore, ma come un rivoluzionario. Così Paolo VI, nel 1966, su richiesta di molti vescovi, abolì il giuramento antimodernista.

 

Uno dei primi sbagli fu quello di sostituire le parole “peccato” e “peccatore” con “errore” ed “errante”. La differenza non è da poco. L’errore ha solamente una dimensione orizzontale, il peccato ha principalmente una dimensione verticale. Se “erro” ma non “pecco”, allora non devo nulla a Dio. Dio non è più il centro della mia vita, ma l’uomo stesso. Durante le ore di catechismo non si parla del peccato originale, la presunzione di Adamo ed Eva, tentati dal serpente luciferino, di volersi mettere al posto di Dio. Se non c’è il peccato, allora non ha più senso la redenzione. A dire il vero, Giovanni XXIII, usando “errore” ed “errante” voleva riferirsi alle ideologie politiche, che sono “errori” storici: i due termini, però, hanno conosciuto una diffusione abusiva, applicabile a chiunque abbia in qualsiasi modo peccato.  Trasformando il peccato in un semplice errore, facilmente scusabile. Possiamo dire, senza timore di smentita, che ci troviamo persino di fronte ad una sorta di affermazione e di inquinamento col pensiero Protestante (3).

 

Il vescovo tedesco Zollitsch, presidente uscentein un’intervista, ha affermato che “Cristo non è morto per i peccati della gente come se Dio avesse preparato un’offerta sacrificale, un capro espiatorio”. Piuttosto, Gesù ha offerto soltanto “solidarietà” con i poveri ed i sofferenti. Zollitsch ha inoltre dichiarando “che questa è la grande prospettiva, questa tremenda solidarietà”. L'intervistatore ha chiesto: “Dunque lei non descriverebbe più la cosa quasi come se Dio avesse donato Suo Figlio, perché gli uomini erano talmente peccatori? Non lo descriverebbe più così?”. Zollitsch ha risposto: “No”.

 

Questo è il nuovo Cristo dei modernisti. Non il redentore ma un “socializzatore”. Anche per loro il “Cristo della fede”, come per Merlo, è un “Dio infernale”.

 

Qualche giorno fa, per caso, ho sentito la canzone di Guccini “Dio è morto”. E mi ha fatto orrore quando ho ricordato che la Radio Vaticana la mandava in onda. Perché, per i dirigenti dell’epoca della radio, l’importante era che alla fine la canzone dica che, dopo tre giorni, Dio risusciterà. Ma quale Dio risusciterà?

 

Guccini ha ripreso la teoria di Nietzsche sulla morte di Dio, di liberarsi del Dio cristiano che opprime l’uomo e lo rende schiavo. Nietzsche aveva capito perfettamente chi è Cristo e lo ha lucidamente rinnegato. L’umanità doveva diventare la divinità di se stessa, creando il super-uomo, oppure l’oltre-uomo.

 

La cosa terribile è che i modernisti, col plauso degli atei di destra e di sinistra, hanno fatto diventare il “super uomo” Gesù stesso. Cristo non è più il Dio fatto uomo per liberarci dal peccato e ridarci la nostra dignità, ma è l’uomo che pretende di farsi Dio per liberare l’umanità da Dio stesso. E la Chiesa deve adeguarsi a questo.

 

La Chiesa si adeguerà?

 

Sia lodato Gesù Cristo

Sempre sia lodato.

 

 

Note

1) Si legga con attenzione l'Enciclica Deus Caritas est di Benedetto XVI, molto illuminante a proposito.

2)  testo integrale Sacrorum Antistitum  Motu Proprio di San Pio del 1910

3) le origini del Protestantesimo nella complessità soggettiva di Martin Lutero

 







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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14/11/2015 17:42
 
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IL FILM
 

Circola in questi giorni nelle sale cinematografiche un film tedesco dal titoloKreuzweg, che vuol dire Via Crucis e, tanto per chiarire, presenta nella locandina una adolescente coronata di spine. Il sottotitolo italiano, Le stazioni della fede, complica la comprensione É un film di donne e si parla (male) di cattolicesimo. 

di Rino Cammilleri
La locandina del film

Circola in questi giorni nelle sale cinematografiche un film tedesco dal titolo Kreuzweg, che vuol dire Via Crucis e, tanto per chiarire, presenta nella locandina una adolescente coronata di spine. Certo, si potrebbe pensare a una metafora, cioè al personale calvario –fisico o esistenziale- di una ragazzina; da parte sua, il sottotitolo italiano, Le stazioni della fede, complica anziché semplificare la comprensione. Così che uno, se vuol sapere di che cosa parla esattamente questo film, o si procura il trailer o va direttamente a vederlo a suo rischio e pericolo. 

Il rischio, come in molti film tedeschi, è la noia. Di pericoli,fortunatamente, non ce ne sono. Nel cinema mittel o est europeo, si ha purtroppo l’abitudine di fare a meno della colonna sonora; ciò, nella mente del regista, dovrebbe aumentare la drammaticità dei dialoghi e delle scene. In questo caso, si tratta di soli dialoghi e scene a camera generalmente fissa, talché è come essere a teatro. Il film, infatti, ha vinto l’Orso d’Argento al Festival di Berlino. Anche per due motivi: è un film di donne e si parla (male) di cattolicesimo; anzi, per la precisione, si spara a zero sul tradizionalismo simil-lefevriano. Sempre per la precisione, non è che gli uomini in questo film non compaiano, ma il campo è occupato interamente dalla ragazza coronata di spine e da sua madre; il padre c’è ma conta zero, il fratellino è autistico, gli altri maschi sono odiosi preti preconciliari. 

La storia è presto detta: Maria (nome forse non scelto a caso) ha quattordici anni ed è oppressa dauna madre insopportabilmente dispotica. La sua famiglia è seguace di un clero “pacelliano” che fin dall’inizio svacca contro il Concilio e il mondo moderno votato a Satana. Maria ha una sola amica, la francese Bernadette (altro nome forse non scelto a caso, ma adesso i “forse” sono già due) ed è cresciuta a pane e latino e rigidissima morale “integrista”. Altro sottotitolo (anzi, sovratitolo) italiano è: Si può amare Dio e la musica pop? La risposta –dice la morale cattolica- è sì, ma nel film diventa no, perché alla ragazzina viene vietato di far parte di un coro di coetanei che cantano anche spirituals e soul. Hitler e Goebbels (non a caso tedeschi) l’avrebbero definita “arte degenerata”, e i “tradizionalisti” del film sono d’accordo (non lo dicono, ma l’accostamento è abbastanza evidente). Insomma, il pop è pericoloso perché vi si mischia la sensualità e, perciò, qualche influsso demoniaco. Così, nisba. 

La ragazzina è stata invitata nel coro da un suo coetaneo. Sapendo quale sarebbe la reazione dellamadre, le dice che a invitarla è stata una compagna di scuola. Ma così facendo mentisce e le tocca andare a confessarsi. La confessione, infine, è una specie di trapano della coscienza che la sprofonda vieppiù nella consapevolezza della sua indegnità di fronte a Dio. Sì, perché Maria ha introiettato l’educazione ricevuta e vuole davvero farsi santa, così che non sopporta in se stessa il minimo difetto. Anche perché ha offerto le sue sofferenze per la guarigione del fratellino (e il film si intitola Via Crucis giacché è diviso in capitoli-stazioni, ciascuno nominato con una delle Stazioni della Via Crucis propriamente detta). Il tormento inflittole dalla madre, dai preti e dalla sua personale fissazione finisce col farla ammalare di anoressia (o qualcosa del genere, non è chiaro). Il medico (leggi: la Scienza) è l’unico a capire qual sia la vera natura del male della ragazzina, ma nulla può contro la volontà della di lei bigotta madre, plagiata dalla Religione (cioè, quel cattolicesimo settario dei preti in tonaca, dei vescovi in guanti bianchi, delle preghiere stereotipate e dei riti tridentini). 

Maria finisce in ospedale, dove si aggrava perché si rifiuta di mangiare. Va a finire che muore, maecco la sorpresa: un attimo prima che lei tiri le cuoia, il suo fratellino finalmente parla. E qui lo spettatore rimane oggettivamente spiazzato: insomma, il cattolicesimo preconciliare è una emerita schifezza o funziona davvero? Boh. Nell’ultima scena, la madre, nel contrattare la bara per la figlia, scoppia in lacrime. Fine. Che pensare? Che sia dispiaciuta per la perdita? Che si sia resa conto che è tutta colpa sua? Che abbia finalmente compreso che quel tipo di cattolicesimo è ‘na mappina ‘e cesso, come dicono i napoletani? Altro boh. Morale: film adattissimo ai cineforum parrocchiali dell’imminente Giubileo della Misericordia. E a nient’altro. 

 




Fraternamente CaterinaLD

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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