La nave e la gru
C’era una volta una nave. Era grande, era bella, era piena di passeggeri. Scivolava sulle onde. Non faceva avvertire alcun sussulto. Un giorno arrivò nei pressi del porto.
Ad un certo punto, si udì come un boato. La nave aveva urtato contro il fondo. Le macchine andavano "avanti tutta", ma la nave non si spostava.
Si lanciò l’appello. Vennero allora due navi. Una si pose davanti ed una si pose dietro. Si sentì un brusco scossone. La nave si muoveva. Andò in avanti, adagio. Si accostò alla spiaggia. Poi si incagliò di nuovo. Non si riuscì a farla muovere.
Qualcuno ebbe una luminosa idea: "utilizziamo una gru; la facciamo accostare da riva". Si fece così. Arrivò una gru, gigantesca, forte. La nave venne imbracata. Si cominciò a sollevarla. Poi, all’improvviso, ecco uno schianto: la gru si era abbattuta sulla nave. C’erano tanti curiosi sulla riva. Per anni, anche i turisti videro la nave e la gru che formavano un unico groviglio di rottami.
Mi viene in mente questa storia pensando alla Confessione. Il problema, in tutti e due i casi, è "aggrapparsi", "essere risollevati". Non basta una forza di pari livello (un’altra nave, una gru) per disincagliare il peccatore.
Per guarirci dalle malattie basta il medico.
Per risollevarci dalle turbe è sufficiente lo psicologo.
Per rimettere i peccati ci vuole Dio.
Solo lui ci cambia dal di dentro. Solo Gesù può regalarci il suo Spirito e creare in noi un cuore nuovo. Psicologi e psicanalisti ci guariscono; solo Dio ci salva.
Non esiste una salvezza self-service del tipo: io mi pento, mi riconcilio, offro anche una eventuale soddisfazione. In questo caso è il super-io che funziona da gru. Però ricade pesantemente su di noi. La Riconciliazione viene dall’alto. Dio la vuole; il Cristo la realizza. Ce la porge dentro e mediante una comunità. In quel "luogo" noi andiamo, manifestiamo la nostra malattia, incontriamo il medico. Ci aggrappiamo a lui. Egli ci risolleva, ci fa rinascere, ci fa risorgere.
Il peccato infatti non è una macchia esteriore.
Non è pura trasgressione di una legge.
Non si espia con riti umani o sensi di colpa.
Il peccato si identifica con noi. È la condizione storica di divisione interiore, di durezza di cuore, di opacità della vista (cf. Rm 7). La sola unica, radicale terapia è la croce. Riconosciamo che Gesù ha preso su di sé il nostro peccato.
La riconciliazione non è il puro ritorno in sé. È l’aggrapparsi a qualcuno (Cristo) che è esterno, è Figlio di Dio, viene dal cielo.
La liberazione dal peccato non è pura pacificazione con noi stessi. È regalo sicuro, è salvezza storica, comunitaria, visibile. Non è una questione morale ma teologica. Abbiamo smarrito Dio. Tutta la nostra vita è salvata anche in una "modesta confessione".
Al centro del rito non stanno i nostri sbagli o errori o neanche i nostri peccati. Se questo orizzonte svanisse, non resterebbe più nulla. Al centro sta l’amore inesauribile, potente, eterno, fedele di Dio, che si è espresso nella Pasqua di Gesù (cf. Rm 8,37-38).
Tutto ha l’andamento di una festa per un ritorno (cf. Lc 15,11-32). Abbiamo smarrito la nostra famiglia, la Chiesa. Essa ci riammette. Avevamo ricevuto dalla comunità la vita, con il Battesimo. Essa, invocando lo Spirito, ce la restituisce. La nostra esistenza è tutta dentro il suo ambito. È lei che ci battezza, imbandisce per noi la mensa della Parola e del Pane. Da lei riceviamo il perdono di Dio.