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Perchè nella Creazione (Genesi) ci sono due versioni?

Ultimo Aggiornamento: 13/01/2010 14:43
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[SM=g1740733] Amici, la domanda è interessante e la riporto dall'amico Joe di oriensforum copiando anche le relative risposte ottenute al fine di arricchirci ulteriormente...

Joe:

Leggendo la Genesi si incontrano due creazioni di Adamo, una al 6° giorno e l'altra al 7°. Qualcuno può darmi una spiegazione in merito? Grazie.


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Ghergon:

L'uomo viene creato al sesto giorno e nel settimo Dio cessa ogni creazione.
La Genesi bibilica è composta da due racconti della Creazione che sebbene tramandati dai primordi dell'umanità furono messi per iscritto solo più di recente.
Il primo è il racconto sacerdotale chiamato P messo per iscritto dai sacerdoti ebrei durante l'esilio di Babilonia, il secondo venne scritto durante il periodo di Salomone ed è detto Jahvista perchè in esso Dio è chiamato appunto Jahvè e questo testo viene dunque chiamato J
Il J è molto più antico di quello sacerdotale.

Il racconto sacerdotale descrive la creazione in sei giorni secondo una struttura che inserisce in tre giorni le stutture immobili e in maniera simmetrica e parallela le seguenti strutture mobili, compreso l'uomo il sesto giorno "maschio e femmina li creò", il racconto Jahvista invece descrive con precisione il fatto del primo uomo Adamo e della caduta.

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Joe:

Ammesso ciò che tu dici, la questione però è che una "tesi" esclude "l'altra", poichè alla fin fine i due racconti sono estremamente diversi da porle in contraddizione. Ora se sono in contraddizione, e non credo che Dio sia una contraddizione, delle due una: qual'è la falsa e perchè comunque è stata inserita nella Bibbia? Si poteva sposare direttamente la Versione J, ritenuta più antica. O forse era meglio la Versione P, poichè essendo più recente poteva avere goduto di studi più avanzati dei testi.
Forse dopo la deportazione a babilonia, il maschilista popolo ebraico capì che le cose probabilmente non erano andate come si raccontava ai tempi si Salomone e introdusse una creazione diversa, da un certo punto di vista più panteistica, forse anche per le influenze ricevute a babilonia?

Stà di fatto che la contraddizine è molto forte, e le tue motivazioni spiegano solo l'aspetto storiografico dello scritto, ma non quello teologico. ;)

E non crediate che la questione sia di scarsa importanza, poichè tutto nasce da lì.


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Caterina:

A quanto detto da Ghergon aggiungo ulteriore riflessione... ;)
La Bibbia non va presa TUTTA alla lettera (per questo siamo anche contrari al Sola Scriptura di protestante memoria).....ciò che interessava allo scrittore di Genesi era di farci pervenire l'incontro di Dio...LA RIVELAZIONE DI DIO con l'uomo......cioè, ad un certo punto dello sviluppo dell'uomo stesso, Dio ha ritenuto l'uomo stesso in grado di comprendere la Sua Rivelazione.....
La GENESI.....al cui termine sono state date diverse interpretazioni anche fantasiose, altro non è che la traduzione dall'ebraico BERE'SHIT, che vuol dire IN PRINCIPIO.....principio dunque di TUTTO: principio nella creazione, nel dialogo fra Dio e l'uomo, un principio ININTERROTTO di una catena di eventi storici e di parole che hanno come centro LA SALVEZZA DELL'UOMO. Giovanni inizierà il suo Vangelo con la stessa determinatezza "In Princio era..."
dai Settanta, dalla Vulgata è chiamato Genesi "Generazione" - spiega il Ricciotti - perchè dal suo contenuto si narra il modo come ebbero origine il mondo intero e, in modo più particolare, il genere umano, i vari popoli e finalmente il popolo ebraico, di cui si narrano le prime vicende dei patriarchi sui capistipiti.
;)

Nella Genesi troviamo un doppio racconto della creazione: uno di redazione sacerdotale (1,1-2,4a) ed uno di redazione Jahvista (2,4b-25).

3. 1. 1. Racconto sacerdotale
Il racconto della prima creazione usa lo schema letterario dei sette giorni. Il racconto suppone uno stato iniziale informe, in cui predominavano le tenebre e l'acqua (1,1-2). La creazione avviene per separazioni successive: nel primo giorno viene separata la luce dalle tenebre (1,3-5); nel secondo giorno vengono separate le acque superiori (che si pensava stessero sopra la volta stellare) dalle acque inferiori (1,6-8); nel terzo giorno nelle acque inferiori viene separata la terra e viene generato il regno vegetale (1,9-13); il quarto giorno vengono poste nel firmamento le due luci maggiori, il sole e la luna (1,14-19: separazione del giorno dalla notte); il quinto giorno vengono creati gli esseri marini e gli uccelli, e vengono benedetti perché possano moltiplicarsi (1,20-23); nel sesto giorno vengono creati gli animali (1,24-25); viene poi creato l'uomo (1,26-31), destinato a dominare su tutto il resto della creazione, creato uomo e donna ad immagine e somiglianza di Dio, benedetto perché sia fecondo. Il settimo giorno Dio porta a compimento il lavoro che aveva fatto e cessa da ogni suo lavoro. Dio benedice e consacra il settimo giorno (2,1-3a). Ciò diventerà, nell'ebraismo, il precetto del riposo del sabato.

3. 1. 2. Racconto Jahvista
Il secondo racconto della creazione è di tipo Jahvista ed ha le seguenti caratteristiche:

•Dio è descritto in modo popolare, immediato, antropomorfico. Dio infatti plasma l’uomo con la polvere della terra e soffia nelle sue narici, pianta un giardino, fa germogliare dal suolo le piante, plasma gli animali, toglie una costola dal fianco dell’uomo per plasmare la donna e richiude la carne al suo posto.
•già il racconto sacerdotale poneva l’uomo al centro del creato. In questo racconto la sottolineatura è più marcata perché l’uomo è creato per primo e tutto il resto viene creato in sua funzione: per il suo nutrimento, le piante e per la sua compagnia, gli animali. Dando il nome agli animali l’uomo viene proclamato signore di tutto il creato.
•nel racconto è presupposto un substrato mesopotamico: i canali, i fiumi ed una civiltà già agricola, dove si coltiva la terra.
•il giardino dell'Eden o paradiso terrestre indica un luogo fantastico dove è iniziata la vita umana. Qui tutto viene dato da Dio senza fatica, altrove occorre sudare per ricavare i frutti della terra. La ricchezza di acqua è un grande segno della benedizione di Dio.
•nel racconto si può leggere una sostanziale parità tra uomo e donna (ish ed ishà), e gli animali sono subordinati. Il v.23 dice:
« Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta »

Letture successive di questo brano hanno però visto una subordinazione della donna nei confronti dell’uomo. In modo semplice ed immediato la Bibbia inserisce qui il tema del matrimonio e della famiglia (è così stretto il legame tra uomo e donna che sembra impossibile il divorzio).
•la vergogna della nudità sarà vista come una conseguenza del peccato. Per il momento la nudità si inserisce nell’armonia della creazione.


3. 2. Il racconto del peccato originale (Gen 3)
Se i primi due capitoli della Genesi in vario modo esaltano la positività della creazione e della vita dell’uomo sulla terra, il terzo vi inserisce la nota tipica ad ogni esperienza umana: il male ed il peccato. La Bibbia non fa un grande discorso teorico sull’origine del male e del peccato, ma lo presenta, attraverso un aneddoto, come una condizione dalla quale difficilmente l’uomo può liberarsi. È da sottolineare però che in ambito ebraico non vi è la concezione di "peccato originale" che è invece una considerazione te-ologica cristiana, in quanto, secondo l'ebraismo, l'uomo nasce immacolato e senza colpa.

Leggendo il racconto si possono fare le seguenti osservazioni:

•Il serpente indica un essere ostile a Dio e nemico dell’uomo.
•Tutto il racconto è portato avanti secondo una sottile psicologia: il serpente parte da lontano, esagerando, mettendo in cattiva luce la proibizione del Signore.
•Il capitolo sottolinea ampiamente le conseguenze del peccato, alcune derivate immediatamente, altre volute da Dio. Quelle derivate immediatamente sono la paura di essere nudi e la paura del Signore. Quelle imposte dal Signore sono: i dolori del parto, la sottomissione della donna all’uomo, la fatica del lavoro, la morte. Una imposizione NON voluta dal Signore naturalmente, ma la conseguenza della SCELTA dell'Uomo hanno determinato le conseguenze di una LIBERTA' senza Dio.
•È interessante notare come, ormai in preda al peccato, l’uomo e la donna si accusino a vicenda pur di scusarsi di fronte a Dio: l’uomo riversa la colpa sulla donna e questa sul serpente.
•Il testo presenta la maledizione sul serpente, non sull’uomo e sulla donna; questi vengono colpiti in quello che vi è di più proprio: il generare i figli per la donna ed il lavoro per l’uomo.

•Una importanza particolare riveste il versetto 3,15. Secondo l'interpretazione Cattolica dei Padri della Chiesa qui si immagina Maria Immacolata, Madre naturale e vera del Salvatore, il capostipite dei redenti, collegando i fatti ad Apocalisse 12 ed alla natura stessa della Chiesa che rigenera i figli mediante il Battesimo, tuttavia comunque la si vuole interpretare, sono messe le basi per grandi sviluppi successivi in chiave Cristologica. Fondamentalmente il testo ci dice: anche se l’uomo sembra del tutto succube del male, ha sempre delle nuove possibilità, offerte dalla misericordia del Signore, per una futura rivincita.
•La cacciata dell’uomo dal paradiso terrestre lo pone ormai in una situazione simile alla nostra, in un mondo ostile e con una vita breve.

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Dunque non vi sono due creazioni distinte descritte in Genesi, ma due supporti di spiegazione di un unico atto di Dio:

1) la creazione in rapporto alla "genesi del mondo naturale" incluso l'Uomo; Genesi 1, 1-2, 4

2) la creazione in particolare dell'uomo e della donna in rapporto CON DIO creato a Sua immagine e decaduto A CAUSA DEL PECCATO ORIGINALE Genesi 2, 5 - 4, 24

Nel primo racconto infatti c'è la descrizione semplice e pura della creazione del mondo e dell'Uomo, nella seconda è la stessa creazione descritta con una sorta di aggiunta:il rapporto di Dio con l'Uomo (il giardino dell'Eden ecc...) e IL PECCATO ORIGINALE....e questo con tutto ciò che ne consegue specialmente in una lettura CRISTOLOGICA della Creazione stessa...

[SM=g1740733]

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Daniele:

Si possono dare due spiegazioni, una filologica, l'altra letteraria.

Ecco quella filologica. Secondo l'opinione critica più probabile, il Genesi deriva da diverse fonti o tradizioni, le quali, in fasi successive, furono da Mosè e da altri scrittori ispirati fuse in un racconto unico, fino a dar luogo all'attuale libro biblico. Non di rado queste fonti e tradizioni espongono, in forma letteraria diversa, i medesimi argomenti. Due o più fonti, per esempio, dovevano contenere la narrazione della creazione del mondo. Nei confronti di tutto questo materiale antico e venerabile, Mosè e gli altri scrittori ebbero un atteggiamento marcatamente conservativo: in altre parole, spesso preferirono giustapporre due (o addirittura più di due) racconti sul medesimo argomento, piuttosto che armonizzare le diverse fonti in una narrazione cronologicamente esatta.

Nel caso che tu hai esposto, avviene esattamente questo: dopo il racconto della creazione del mondo desunto da una fonte (cap. I e cap. II, 1-4), si ripete il racconto della creazione del mondo dell'uomo desunto da un'altra fonte (cap. II, 5 ss.). Non possiamo naturalmente, qui, addentrarci negli argomenti storico-critici che consentono di distinguere nel Genesi e in tutto il Pentateuco diverse fonti. Esistono però, nel passo preso in esame, alcune caratteristiche letterarie che ci consentono facilmente di distinguere le due narrazioni giustapposte.

La prima narrazione, infatti, si chiude con una formula riepilogativa che, sia per contenuto ("Questa è la storia dell'origine del cielo e della terra, quando furono creati") che per forma (due versi poetici dopo un lungo passo in prosa), indica con chiarezza che il racconto è concluso e non sarà più ripreso, un po' come quando noi diciamo "Questo è quanto avevo da dire".

La seconda narrazione comincia come se la prima non fosse esistita: riprende, in forma assai sintetica ed ellittica (ossia saltando vari passaggi) la creazione del mondo e passa subito alla creazione dell'uomo, proseguendo poi con un racconto nuovo rispetto alla precedente narrazione.

Questo per quanto riguarda la spiegazione filologica. Ci si può domandare come mai il redattore del Genesi non abbia sentito l'esigenza di armonizzare le diverse fonti in un racconto coerente, evitando sovrapposizioni di questo tipo. A questo interrogativo risponde la critica letteraria. Attraverso lo studio dei testi antichi del vicino oriente, risulta che una delle più marcate caratteristiche della letteratura ebraica (e di quelle dei popoli limitrofi) è l'uso frequentissimo di quella che potremmo definire "ripetizione variata": uno stesso concetto, una stessa frase, uno stesso racconto viene ripetuto in forma leggermente diversa, giustapponendolo al primo. È un procedimento che possiamo riscontrare con estrema facilità nei versetti salmodici: la prima metà enuncia un concetto, la seconda lo ripete in forma leggermente variata. Per esempio: "Lauda, Ierusalem, Dominum: / lauda Deum tuum, Sion". Qui la ripetizione è evidentissima. In altri casi è un po' più sfumata, come nell'ultimo versetto dello stesso salmo: "Non fecit taliter omni nationi: / et iudicia sua non manifestavit eis". Ma il procedimento letterario è il medesimo. Ora, esso non veniva applicato solo a singoli versetti o a singole pericopi letterarie, ma ad intere narrazioni.

Per cui non deve stupire che nel Genesi si trovino ripetizioni, in forma letteraria diversa, della medesima narrazione. Esse sono il frutto sia della storia della formazione del testo, che come abbiamo visto è abbastanza complessa, sia da un genere letterario, quello della ripetizione variata, che è proprio e caratteristico dei popoli del vicino oriente, compreso quello ebraico.

Per approfondire consiglio Galbiati-Piazza, Pagine difficili della Bibbia, Milano, Massimo, 1961 (o edizioni precedenti). Non si trova più in commercio, ma su qualche sito internet dovrebbe essere ancora reperibile. Vi sono esposti in modo chiaro e scientifico tutti i concetti che io, in modo un po' confuso e approssimativo, ho cercato di riprendere qui.

Quanto al valore storico del racconto, si tenga a mente quanto detto dalla Pontificia Commissione Biblica ai tempi di S. Pio X e da Pio XII nell'enciclica Divino afflante spiritu.

Il Genesi, specie nei suoi primi undici capitoli, contiene senza dubbio fatti storici ma narrati in forma popolare, ossia attraverso l'uso di artifici letterari, immagini, metafore e figure. Per esempio, certamente storica è la creazione dei progenitori, la loro collocazione in un luogo di perfetta felicità naturale, la tentazione del demonio, il peccato originale, la conseguente decadenza della natura umana e la perdita dello stato di felicità iniziale. Ma i singoli particolari con cui questi fatti sono narrati non è necessario che siano storici. Essi rispondono all'esigenza di rendere il racconto in una forma accessibile alla mentalità e alle tradizioni letterarie dell'epoca. Da questo punto di vista, poco importa se il diavolo abbia tentato i progenitori in forma di serpente o se l'uso della figura del serpente sia un semplice espediente letterario. Sono le caratteristiche stesse della letteratura ebraica antica che presuppongono l'espressione di fatti realmente accaduti in modo metaforico e immaginoso. Per fare un parallelo con la letteratura greco-romana, possiamo prendere in considerazione i discorsi diretti messi in bocca da Tacito ai personaggi degli Annales. Il contenuto generale del discorso è storico, la sua formulazione verbale è opera dell'autore, che, per vivacizzare il racconto, ha pensato di inserirci discorsi diretti di cui, ovviamente, non esisteva una trascrizione "stenografata" (salvo rarissime eccezioni). Nessuno, però, direbbe che tale discorso è un falso. La verità di una narrazione va sempre misurata e calibrata al suo genere letterario.

Nel caso presente, poco importa che, nelle due narrazioni, la creazione di Adamo avvenga con dei particolari piuttosto che con altri. Questi non sono altro che il rivestimento letterario del fatto, il quale resta il medesimo in entrambe le tradizioni.

[SM=g1740717] [SM=g1740720]
[Modificato da Caterina63 13/01/2010 12:44]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Dall'amico Daniele di Rinascimento Sacro ed Oriensforum:

Decreto della Pontificia Commissione Biblica
sul carattere storico dei primi capitoli del Genesi
30 giugno 1909 (Denz. 2121-2128)

Dubbio I: I vari sistemi esegetici, elaborati allo scopo di escludere il senso letterale storico dei primi capitoli del Genesi e propugnati come scientifici, godono di solido fondamento? - Risposta: No.

Dubbio II: È possibile - nonostante l'indole e la forma storica del libro del Genesi, il particolare nesso che i primi tre capitoli hanno tra sé e con i seguenti, le molteplici testimonianze delle Scritture sia del vecchio che del nuovo Testamento, il pensiero quasi unanime del Padri e il senso tradizionale che, trasmesso anche dal popolo israelitico, la Chiesa ha sempre tenuto per vero - è possibile insegnare: che i primi tre capitoli del Genesi non contengono narrazioni di fatti veramente accaduti (che cioè corrispondono alla realtà oggettiva e alla verità storica), ma storie fantastiche, desunte dalle mitologie e dalle cosmogonie degli antichi popoli e adattate dall'autore sacro alle dottrine monoteistiche dopo aver eliminato qualunque elemento di politeismo; oppure allegorie e simboli, privi di ogni fondamento di realtà oggettiva, narrati in forma solo apparentemente storica allo scopo di inculcare verità religiose e filosofiche; oppure, ancora, leggende in parte storiche in parte fantastiche, composte per l'educazione e l'edificazione degli animi? - Risposta: No ad entrambe le parti.

Dubbio III: In particolare, il senso letterale storico può essere messo in dubbio quando si tratta di fatti, narrati in questi capitoli, che riguardano i fondamenti della religione cristiana, come, tra gli altri, la creazione di tutte le cose fatta da Dio all'inizio del tempo; la creazione particolare dell'uomo; la formazione della prima donna dal primo uomo; l'unità del genere umano; la primitiva felicità dei progenitori nello stato di giustizia, integrità, immortalità; il comando dato da Dio all'uomo per mettere alla prova la sua obbedienza; la trasgressione di tale comando, avvenuta dopo la tentazione del diavolo sotto forma di serpente; la caduta dei progenitori dal loro primitivo stato di innocenza; e la promessa di un futuro Redentore? - Risposta: No.

Dubbio IV: Nell'interpretare quei passi dei primi tre capitoli che i Padri e i Dottori hanno spiegato in modo diverso, senza aver stabilito nulla di certo o definitivo, è possibile, salvo futuro pronunciamento della Chiesa e rispettando l'analogia della fede, seguire la propria opinione, quando si fondi su solidi argomenti? - Risposta: Sì.

Dubbio V: Tutti in singoli elementi, vale a dire le parole e le frasi, che si trovano nei suddetti capitoli, devono sempre e comunque essere interpretati in senso proprio [cioè letterale], così che da esso non sia mai lecito allontanarsi, neppure quando risulti manifestamente che tali elementi sono usati in modo approssimativo, metaforico o antropomorfico, e la ragione o la necessità impongano di abbandonare il senso proprio? - Risposta: No.

Dubbio VI: Senza pregiudicare il senso letterale e storico, è possibile fare un saggio uso dell'interpretazione allegorica e profetica di alcuni passi, sull'esempio dei santi Padri e della Chiesa stessa? - Risposta: Sì.

Dubbio VII: Atteso che nello scrivere il primo capitolo del Genesi non fu intenzione dell'autore sacro esporre in modo scientifico l'intima costituzione delle cose visibili o l'ordine completo della creazione, ma piuttosto trasmettere al suo popolo una storia popolare, scritta secondo il modo di esprimersi di quel tempo e adattata alla sensibilità e all'intelligenza degli uomini di allora: nella loro interpretazione è necessario ricercare sempre e in ogni dettaglio l'esattezza scientifica della narrazione? - Risposta: No.

Dubbio VIII: Nella denominazione e distinzione dei sei giorni che si trova nel primo capitolo del Genesi, il termine Yom (giorno) può essere interpretato o in senso proprio, come giorno naturale, o in senso improprio, come spazio di tempo generico, così che gli esegeti possano discutere liberamente di tale questione? - Risposta: Sì.



Estratto dall'enciclica Divino afflante spiritu
di Pio XII
30 settembre 1943 (Denz. 2294)

L'interprete con ogni diligenza non trascurando i nuovi lumi apportati dalle moderne indagini, procuri discernere quale sia stata l'indole del sacro autore, quali le condizioni della sua vita, in qual tempo sia vissuto, quali fonti scritte ed orali abbia adoperate, di quali forme del dire si avvalga. Cosi potrà più esattamente conoscere chi sia stato l'agiografo e che cosa abbia voluto dire nel suo scritto. Nessuno ignora infatti che la suprema norma d'interpretare è ravvisare e stabilire che cosa si proponga di dire lo scrittore, come egregiamente avverte Sant'Atanasio: "Qui - come in ogni altro luogo della Scrittura si ha da fare - deve osservarsi in qual occasione abbia parlato l'Apostolo, chi sia la persona a cui scrive, per quale motivo le scriva; a tutto ciò si deve attenta mente e imparzialmente badare, perché non ci accada, ignorando tali cose o fraintendendo una per l'altra, di andar lontano dal vero pensiero dell'autore" (Contra Arianos, I, 54; PG. XXVI, col. 123).

Quale poi sia il senso letterale di uno scritto, spesso non è così ovvio nelle parole degli antichi Orientali com'è per esempio negli scrittori dei nostri tempi. Ciò che quegli antichi hanno voluto significare con le loro parole non va determinato soltanto con le leggi della grammatica o della filologia, o arguito dal contesto; l'interprete deve quasi tornare con la mente a quei remoti secoli dell'Oriente e con l'appoggio della storia, dell'archeologia, dell'etnologia e di altre scienze, nettamente discernere quali generi letterari abbiano voluto adoperare gli scrittori di quella remota età. Infatti gli antichi Orientali per esprimere i loro concetti non sempre usarono quelle forme o generi del dire, che usiamo noi oggi; ma piuttosto quelle ch'erano in uso tra le persone dei loro tempi e dei loro paesi. Quali esse siano, l'esegeta non lo può stabilire a priori, ma solo dietro un'accurata ricognizione delle antiche letterature d'Oriente. Su questo punto negli ultimi decenni l'indagine, condotta con maggior cura e diligenza, ha messo in più chiara luce quali fossero in quelle antiche età le forme del dire adoperate sia nelle composizioni poetiche, sia nel dettare le leggi o le norme di vita, sia infine nel raccontare i fatti della storia. L'indagine stessa ha pure luminosamente assodato che il popolo d'Israele fra tutte le antiche nazioni d'Oriente tenne un posto eminente, straordinario, nello scrivere la storia, sia per l'antichità, sia per la fedele narrazione degli avvenimenti, pregi che per verità si possono dedurre dal carisma della divina ispirazione e dal particolare scopo religioso della storia biblica. Tuttavia a nessuno che abbia un giusto concetto dell'ispirazione biblica farà meraviglia che anche negli Scrittori Sacri, come in tutti gli antichi, si trovino certe maniere di esporre e di narrare, certi idiotismi, propri specialmente delle lingue semitiche, certi modi iperbolici od approssimativi, talora anzi paradossali, che servono a meglio stampar nella mente ciò che si vuol dire. Delle maniere di parlare, di cui presso gli antichi, specialmente Orientali, servivasi l'umano linguaggio per esprimere il pensiero della mente, nessuna va esclusa dai Libri Sacri, a condizione però che il genere di parlare adottato non ripugni affatto alla santità di Dio né alla verità delle cose. L'aveva già, col suo solito acume, osservato l'Angelico Dottore con quelle parole: "Nella Scrittura le cose divine ci vengono presentate nella maniera che sogliono usare gli uomini" (Comment. in Ep. ad Hebr. cap. I, lectio 4). In effetti, come il Verbo sostanziale di Dio si è fatto simile agli uomini in tutto, "eccettuato il peccato" (Hebr. IV, 15) così anche le parole di Dio, espresse con lingua umana, si sono fatte somiglianti all'umano linguaggio in tutto, eccettuato l'errore. In questo consiste quella condiscendenza (synkatàbasis) del provvido nostro Dio, che già San Giovanni Crisostomo con somme lodi esaltò e più e più volte asseverò trovarsi nei Sacri Libri (Cfr. Gen. I, 4; Gen. II, 21; Gen. III, 8; Hom. 15 in Joan. I, 18: PG. LIX, col. 97 e segg.).

Quindi l'esegeta cattolico, per rispondere agli odierni bisogni degli studi biblici, nell'esporre la Sacra Scrittura e nel mostrarla immune da ogni errore, com'è suo dovere, faccia pure prudente uso di questo mezzo, di ricercare cioè quanto la forma del dire o il genere letterario adottato dall'agiografo possano condurre alla retta e genuina interpretazione; e si persuada che in questa parte del suo ufficio non può essere trascurato senza recare gran danno all'esegesi cattolica. Infatti per portare solo un esempio quando taluni presumono rinfacciare ai Sacri Autori qualche errore storico o inesattezza nel riferire i fatti, se si guarda ben da vicino, si trova che si tratta semplicemente di quelle native maniere di dire o di raccontare, che gli antichi solevano adoperare nel mutuo scambio delle idee nell'umano consorzio, e che realmente si tenevano lecite nella comune usanza. Quando dunque tali maniere si incontrano nella divina parola, che per gli uomini si esprime con linguaggio umano, giustizia vuole che non si taccino d'errore più che quando occorrono nella quotidiana consuetudine della vita. Con l'accennata conoscenza e l'esatta valutazione dei modi ed usi di parlare e di scrivere presso gli antichi, si potranno sciogliere molte obbiezioni sollevate contro la veridicità e il valore storico delle divine Scritture; e non meno porterà un tale studio ad una più piena e più luminosa comprensione del pensiero del Sacro Autore.



Estratto dalla Lettera della Pontificia Commissione Biblica al Card. Suhard
Denz. 2302

La questione delle forme letterarie dei primi undici capitoli della Genesi è ancora più oscura e complessa. Queste forme letterarie non corrispondono ad alcuna delle nostre categorie classiche e non possono essere giudicate alla luce dei generi letterari greco-latini o moderni. Non si può allora negarne né affermarne in blocco la storicità senza applicare a torto ad essi le regole di un genere letterario sotto il quale non possono essere classificati. Se si è d'accordo a non vedere in questi capitoli della storia nel senso classico e moderno, bisogna però anche ammettere che gli attuali dati scientifici non permettono di dare una risposta positiva a tutti i problemi che questi capitoli pongono. Il primo dovere che spetta qui all'esegesi scientifica consiste innanzi tutto nello studio attento di tutti i problemi letterari, scientifici, storici, culturali e religiosi connessi con questi capitoli; bisognerebbe poi esaminare da vicino i procedimenti letterari degli antichi popoli orientali, la loro psicologia, il loro modo di esprimersi e la loro stessa nozione di verità storica; bisognerebbe, in una parola, radunare senza pregiudizi tutto il materiale delle scienze paleontologica e storica, epigrafica e letteraria. Soltanto così si può sperare di vedere più chiaramente la vera natura di certi racconti dei primi capitoli della Genesi. Dichiarare a priori che i racconti in essi contenuti non contengono storia nel senso moderno del termine, lascerebbe facilmente intendere che essi in nessun senso ne contengono, quando invece essi riferiscono con un linguaggio semplice e figurato, adatto all'intelligenza di un'umanità meno progredita, le verità fondamentali presupposte dall'economia della salvezza, insieme alla descrizione popolare delle origini del genere umano e del popolo eletto.


Fraternamente CaterinaLD

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