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Perchè nella Creazione (Genesi) ci sono due versioni?

Ultimo Aggiornamento: 13/01/2010 14:43
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13/01/2010 14:43
 
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Dall'amico Daniele di Rinascimento Sacro ed Oriensforum:

Decreto della Pontificia Commissione Biblica
sul carattere storico dei primi capitoli del Genesi
30 giugno 1909 (Denz. 2121-2128)

Dubbio I: I vari sistemi esegetici, elaborati allo scopo di escludere il senso letterale storico dei primi capitoli del Genesi e propugnati come scientifici, godono di solido fondamento? - Risposta: No.

Dubbio II: È possibile - nonostante l'indole e la forma storica del libro del Genesi, il particolare nesso che i primi tre capitoli hanno tra sé e con i seguenti, le molteplici testimonianze delle Scritture sia del vecchio che del nuovo Testamento, il pensiero quasi unanime del Padri e il senso tradizionale che, trasmesso anche dal popolo israelitico, la Chiesa ha sempre tenuto per vero - è possibile insegnare: che i primi tre capitoli del Genesi non contengono narrazioni di fatti veramente accaduti (che cioè corrispondono alla realtà oggettiva e alla verità storica), ma storie fantastiche, desunte dalle mitologie e dalle cosmogonie degli antichi popoli e adattate dall'autore sacro alle dottrine monoteistiche dopo aver eliminato qualunque elemento di politeismo; oppure allegorie e simboli, privi di ogni fondamento di realtà oggettiva, narrati in forma solo apparentemente storica allo scopo di inculcare verità religiose e filosofiche; oppure, ancora, leggende in parte storiche in parte fantastiche, composte per l'educazione e l'edificazione degli animi? - Risposta: No ad entrambe le parti.

Dubbio III: In particolare, il senso letterale storico può essere messo in dubbio quando si tratta di fatti, narrati in questi capitoli, che riguardano i fondamenti della religione cristiana, come, tra gli altri, la creazione di tutte le cose fatta da Dio all'inizio del tempo; la creazione particolare dell'uomo; la formazione della prima donna dal primo uomo; l'unità del genere umano; la primitiva felicità dei progenitori nello stato di giustizia, integrità, immortalità; il comando dato da Dio all'uomo per mettere alla prova la sua obbedienza; la trasgressione di tale comando, avvenuta dopo la tentazione del diavolo sotto forma di serpente; la caduta dei progenitori dal loro primitivo stato di innocenza; e la promessa di un futuro Redentore? - Risposta: No.

Dubbio IV: Nell'interpretare quei passi dei primi tre capitoli che i Padri e i Dottori hanno spiegato in modo diverso, senza aver stabilito nulla di certo o definitivo, è possibile, salvo futuro pronunciamento della Chiesa e rispettando l'analogia della fede, seguire la propria opinione, quando si fondi su solidi argomenti? - Risposta: Sì.

Dubbio V: Tutti in singoli elementi, vale a dire le parole e le frasi, che si trovano nei suddetti capitoli, devono sempre e comunque essere interpretati in senso proprio [cioè letterale], così che da esso non sia mai lecito allontanarsi, neppure quando risulti manifestamente che tali elementi sono usati in modo approssimativo, metaforico o antropomorfico, e la ragione o la necessità impongano di abbandonare il senso proprio? - Risposta: No.

Dubbio VI: Senza pregiudicare il senso letterale e storico, è possibile fare un saggio uso dell'interpretazione allegorica e profetica di alcuni passi, sull'esempio dei santi Padri e della Chiesa stessa? - Risposta: Sì.

Dubbio VII: Atteso che nello scrivere il primo capitolo del Genesi non fu intenzione dell'autore sacro esporre in modo scientifico l'intima costituzione delle cose visibili o l'ordine completo della creazione, ma piuttosto trasmettere al suo popolo una storia popolare, scritta secondo il modo di esprimersi di quel tempo e adattata alla sensibilità e all'intelligenza degli uomini di allora: nella loro interpretazione è necessario ricercare sempre e in ogni dettaglio l'esattezza scientifica della narrazione? - Risposta: No.

Dubbio VIII: Nella denominazione e distinzione dei sei giorni che si trova nel primo capitolo del Genesi, il termine Yom (giorno) può essere interpretato o in senso proprio, come giorno naturale, o in senso improprio, come spazio di tempo generico, così che gli esegeti possano discutere liberamente di tale questione? - Risposta: Sì.



Estratto dall'enciclica Divino afflante spiritu
di Pio XII
30 settembre 1943 (Denz. 2294)

L'interprete con ogni diligenza non trascurando i nuovi lumi apportati dalle moderne indagini, procuri discernere quale sia stata l'indole del sacro autore, quali le condizioni della sua vita, in qual tempo sia vissuto, quali fonti scritte ed orali abbia adoperate, di quali forme del dire si avvalga. Cosi potrà più esattamente conoscere chi sia stato l'agiografo e che cosa abbia voluto dire nel suo scritto. Nessuno ignora infatti che la suprema norma d'interpretare è ravvisare e stabilire che cosa si proponga di dire lo scrittore, come egregiamente avverte Sant'Atanasio: "Qui - come in ogni altro luogo della Scrittura si ha da fare - deve osservarsi in qual occasione abbia parlato l'Apostolo, chi sia la persona a cui scrive, per quale motivo le scriva; a tutto ciò si deve attenta mente e imparzialmente badare, perché non ci accada, ignorando tali cose o fraintendendo una per l'altra, di andar lontano dal vero pensiero dell'autore" (Contra Arianos, I, 54; PG. XXVI, col. 123).

Quale poi sia il senso letterale di uno scritto, spesso non è così ovvio nelle parole degli antichi Orientali com'è per esempio negli scrittori dei nostri tempi. Ciò che quegli antichi hanno voluto significare con le loro parole non va determinato soltanto con le leggi della grammatica o della filologia, o arguito dal contesto; l'interprete deve quasi tornare con la mente a quei remoti secoli dell'Oriente e con l'appoggio della storia, dell'archeologia, dell'etnologia e di altre scienze, nettamente discernere quali generi letterari abbiano voluto adoperare gli scrittori di quella remota età. Infatti gli antichi Orientali per esprimere i loro concetti non sempre usarono quelle forme o generi del dire, che usiamo noi oggi; ma piuttosto quelle ch'erano in uso tra le persone dei loro tempi e dei loro paesi. Quali esse siano, l'esegeta non lo può stabilire a priori, ma solo dietro un'accurata ricognizione delle antiche letterature d'Oriente. Su questo punto negli ultimi decenni l'indagine, condotta con maggior cura e diligenza, ha messo in più chiara luce quali fossero in quelle antiche età le forme del dire adoperate sia nelle composizioni poetiche, sia nel dettare le leggi o le norme di vita, sia infine nel raccontare i fatti della storia. L'indagine stessa ha pure luminosamente assodato che il popolo d'Israele fra tutte le antiche nazioni d'Oriente tenne un posto eminente, straordinario, nello scrivere la storia, sia per l'antichità, sia per la fedele narrazione degli avvenimenti, pregi che per verità si possono dedurre dal carisma della divina ispirazione e dal particolare scopo religioso della storia biblica. Tuttavia a nessuno che abbia un giusto concetto dell'ispirazione biblica farà meraviglia che anche negli Scrittori Sacri, come in tutti gli antichi, si trovino certe maniere di esporre e di narrare, certi idiotismi, propri specialmente delle lingue semitiche, certi modi iperbolici od approssimativi, talora anzi paradossali, che servono a meglio stampar nella mente ciò che si vuol dire. Delle maniere di parlare, di cui presso gli antichi, specialmente Orientali, servivasi l'umano linguaggio per esprimere il pensiero della mente, nessuna va esclusa dai Libri Sacri, a condizione però che il genere di parlare adottato non ripugni affatto alla santità di Dio né alla verità delle cose. L'aveva già, col suo solito acume, osservato l'Angelico Dottore con quelle parole: "Nella Scrittura le cose divine ci vengono presentate nella maniera che sogliono usare gli uomini" (Comment. in Ep. ad Hebr. cap. I, lectio 4). In effetti, come il Verbo sostanziale di Dio si è fatto simile agli uomini in tutto, "eccettuato il peccato" (Hebr. IV, 15) così anche le parole di Dio, espresse con lingua umana, si sono fatte somiglianti all'umano linguaggio in tutto, eccettuato l'errore. In questo consiste quella condiscendenza (synkatàbasis) del provvido nostro Dio, che già San Giovanni Crisostomo con somme lodi esaltò e più e più volte asseverò trovarsi nei Sacri Libri (Cfr. Gen. I, 4; Gen. II, 21; Gen. III, 8; Hom. 15 in Joan. I, 18: PG. LIX, col. 97 e segg.).

Quindi l'esegeta cattolico, per rispondere agli odierni bisogni degli studi biblici, nell'esporre la Sacra Scrittura e nel mostrarla immune da ogni errore, com'è suo dovere, faccia pure prudente uso di questo mezzo, di ricercare cioè quanto la forma del dire o il genere letterario adottato dall'agiografo possano condurre alla retta e genuina interpretazione; e si persuada che in questa parte del suo ufficio non può essere trascurato senza recare gran danno all'esegesi cattolica. Infatti per portare solo un esempio quando taluni presumono rinfacciare ai Sacri Autori qualche errore storico o inesattezza nel riferire i fatti, se si guarda ben da vicino, si trova che si tratta semplicemente di quelle native maniere di dire o di raccontare, che gli antichi solevano adoperare nel mutuo scambio delle idee nell'umano consorzio, e che realmente si tenevano lecite nella comune usanza. Quando dunque tali maniere si incontrano nella divina parola, che per gli uomini si esprime con linguaggio umano, giustizia vuole che non si taccino d'errore più che quando occorrono nella quotidiana consuetudine della vita. Con l'accennata conoscenza e l'esatta valutazione dei modi ed usi di parlare e di scrivere presso gli antichi, si potranno sciogliere molte obbiezioni sollevate contro la veridicità e il valore storico delle divine Scritture; e non meno porterà un tale studio ad una più piena e più luminosa comprensione del pensiero del Sacro Autore.



Estratto dalla Lettera della Pontificia Commissione Biblica al Card. Suhard
Denz. 2302

La questione delle forme letterarie dei primi undici capitoli della Genesi è ancora più oscura e complessa. Queste forme letterarie non corrispondono ad alcuna delle nostre categorie classiche e non possono essere giudicate alla luce dei generi letterari greco-latini o moderni. Non si può allora negarne né affermarne in blocco la storicità senza applicare a torto ad essi le regole di un genere letterario sotto il quale non possono essere classificati. Se si è d'accordo a non vedere in questi capitoli della storia nel senso classico e moderno, bisogna però anche ammettere che gli attuali dati scientifici non permettono di dare una risposta positiva a tutti i problemi che questi capitoli pongono. Il primo dovere che spetta qui all'esegesi scientifica consiste innanzi tutto nello studio attento di tutti i problemi letterari, scientifici, storici, culturali e religiosi connessi con questi capitoli; bisognerebbe poi esaminare da vicino i procedimenti letterari degli antichi popoli orientali, la loro psicologia, il loro modo di esprimersi e la loro stessa nozione di verità storica; bisognerebbe, in una parola, radunare senza pregiudizi tutto il materiale delle scienze paleontologica e storica, epigrafica e letteraria. Soltanto così si può sperare di vedere più chiaramente la vera natura di certi racconti dei primi capitoli della Genesi. Dichiarare a priori che i racconti in essi contenuti non contengono storia nel senso moderno del termine, lascerebbe facilmente intendere che essi in nessun senso ne contengono, quando invece essi riferiscono con un linguaggio semplice e figurato, adatto all'intelligenza di un'umanità meno progredita, le verità fondamentali presupposte dall'economia della salvezza, insieme alla descrizione popolare delle origini del genere umano e del popolo eletto.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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