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La frequenza dei Fedeli alla Messa antica, breve analisi interessante di Daniele di Sorco

Ultimo Aggiornamento: 25/02/2010 21:07
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08/02/2010 19:17
 
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Da Rinascimento Sacro e a firma di Daniele di Sorco, una interessante riflessione sull'argomento...


La frequenza dei fedeli alla Messa in forma straordinaria: problemi e soluzioni (prima parte)

.

di Daniele Di Sorco


1. La difficoltà aggregativa.

Chi ha la fortuna di ottenere una nuova celebrazione regolare nella forma straordinaria, si trova quasi sempre di fronte a un problema imprevisto e apparentemente insormontabile: la difficoltà di aggregare un ragionevole numero di fedeli e soprattutto di farlo crescere. Normalmente le cose vanno in questo modo. La prima volta, grazie alla novità dell'evento e alla solerzia degli organizzatori nell'invitare amici e conoscenti, si ottiene una partecipazione piuttosto cospicua. Essa, poi, decresce progressivamente, fino ad assestarsi, dopo circa un mese (se la celebrazione ha cadenza settimanale), su una media di circa trenta persone: poco più o poco meno a seconda della grandezza del centro abitato.

Questo fenomeno, che si verifica con puntualità sistematica ogni volta che si riesce ad avviare un nuovo (per usare un'espressione molto in voga) "centro di Messa", scoraggia molti, sorprende tutti, appare inspiegabile a chi conosce, sia pur superficialmente, la situazione di altri Paesi europei, dove la frequenza alla Messa tradizionale è assai più significativa che in Italia. Tuttavia, se vogliamo che la conoscenza e la diffusione della liturgia in forma straordinaria si espanda e raggiunga strati sempre più ampi di fedeli, non dobbiamo fermarci alla fase dello scoraggiamento e dello stupore, ma interrogarci sulle cause del problema e individuare le soluzioni adatte per risolverlo.


2. Quali cause?

Non mi addentro nell'analizzare le ragioni storiche che hanno contribuito a creare nei fedeli una mens di per sé poco propensa verso la liturgia antica, in parte perché ritengo che siano abbastanza note, e in parte perché non rientrano nello scopo di questo contributo. L'abbandono della catechesi liturgica e la denigrazione della forma storica del rito romano sono state due costanti del periodo postconciliare fino al pontificato di Benedetto XVI.

Tutto ciò ha avuto in Italia conseguenze più disastrose che altrove, poiché, mentre nei Paesi francofoni e germanofoni il movimento liturgico era riuscito, fin dal primo dopoguerra, ad impartire al popolo una istruzione liturgica di medio livello, in Italia si cominciò a fare qualche passo nella medesima direzione solo a partire dagli anni Cinquanta. Le conseguenze sono facilmente immaginabili: l'ignoranza del rito storico da un lato, e la sua denigrazione dall'altro, hanno fatto sì che oggi la maggioranza dei cattolici italiani abbia serie difficoltà nell'apprezzare le caratteristiche della liturgia che la Chiesa ha ininterrottamente celebrato fino alla fine degli anni Sessanta.

Un altro problema è senza dubbio costituito dall'ostracismo di tanta parte del clero nei confronti della liturgia antica. Molti fedeli, specialmente quelli che hanno conosciuto la Messa tradizionale in gioventù, sono ben contenti di potervi nuovamente partecipare, ma il loro desiderio incontra non di rado un serio ostacolo nell'atteggiamento, per esempio, del parroco, che non si fa scrupolo di sconsigliare la frequenza alla Messa in forma straordinaria, tacciata di arretratezza, accusata di fomentare divisioni all'interno della Chiesa o indebitamente associata a istituti non in piena comunione con la Santa Sede. Poiché la persona media si fida ancora dell'opinione del proprio parroco o del proprio sacerdote di fiducia, il parere negativo di costoro influisce non poco sulla decisione di partecipare o non partecipare alle funzioni in forma straordinaria. Contro una tendenza del genere, i laici o anche le associazioni di laici possono fare ben poco, se non denunciare i casi più gravi alla competente autorità ecclesiastica.

A ciò deve aggiungersi la notevole difficoltà che si incontra nel divulgare la notizia della celebrazione in forma straordinaria al di là della cerchia degli amici e dei conoscenti o delle persone già in precedenza interessate. Il recente sontaggio effettuato dall'istituto Doxa ha rilevato come appena poco più della metà dei cattolici praticanti italiani conosce l'esistenza di una forma straordinaria del rito romano. Una situazione certamente non destinata a migliorare nel breve periodo, visto l'atteggiamento ostile di buona parte del mondo ecclesiastico. E se non c'è conoscenza, non può esserci neppure interessamento: nihil volitum, quin cognitum. Anche i parroci e i rettori che non sono a priori contrari accettano di mala voglia che nella bacheca delle loro chiese si affiggano notizie relative alla Messa tradizionale: non vedono di buon occhio la possibilità che qualcuno dei loro fedeli frequenti una realtà diversa da quella parrocchiale.


3. In che cosa precisamente consiste il problema.

La capacità della Messa tradizionale di aggregare fedeli, inoltre, è proporzionale alla correttezza e al fervore con cui viene celebrata. I documenti apostolici precedenti al Concilio che toccano la questione della partecipazione attiva sono concordi nell'affermare che essa ha come presupposto una funzione perfettamente conforme alle rubriche. "L'esempio principale [di partecipazione attiva] è offerto dal sacerdote celebrante e dai suoi ministri, i quali servono all'altare con la dovuta pietà interna e con l'esatta osservanza delle rubriche e cerimonie" (Sacra Rituum Congregatio, Instructio de Musica sacra et de sacra Liturgia, 3 sett. 1958, n. 22).

Le ragioni sono intuitive. La liturgia ha il fine di elevare il popolo al divino, non di abbassare il divino al livello del popolo. I riti, pertanto, devono svolgersi dappertutto allo stesso modo e non possono essere modificati o adattati alle esigenze, vere o presunte, della comunità locale. Diversamente si scade in quel particolarismo che costituisce uno dei più gravi difetti della liturgia riformata e che non consegue alcun risultato sul piano pastorale, poiché l'unità della preghiera corrisponde all'unità della fede. Le statistiche dimostrano che l'esodo dalle chiese è cominciato proprio quando il rito, da universale e stabile, si è trasformato in particolare e variabile.

Ora, non è un mistero che moltissime delle attuali Messe in forma straordinaria si caratterizzano per la molteplicità di abusi o per la negligenza e la superficialità con cui vengono osservate le norme. Ciò avviene talvolta in mala fede, nel caso in cui al celebrante interessi poco o nulla del rito tradizionale, talaltra e più spesso in buona fede, quando il sacerdote crede, mettendo in pratica quegli adattamenti che egli ritiene opportuni, di agevolare la partecipazione popolare.

Abbiamo visto poco sopra come questo atteggiamento, oltre ad essere contrario alle leggi ecclesiastiche, che riservano esclusivamente alla Santa Sede la regolazione del rito e dei singoli suoi particolari, non porta ad alcun risultato positivo. Esso risente della mentalità tipica della liturgia riformata e fa della forma straordinaria qualcosa di altrettanto variabile e adattabile che la forma ordinaria. In questo modo ai fedeli è impossibile conoscere la liturgia antica nella sua vera essenza.

Opposto a questo, ma non meno dannoso, è l'atteggiamento di chi non si preoccupa in alcun modo di curare la partecipazione attiva dei fedeli. Molti, una volta ottenuta la celebrazione regolare, non si interessano più del suo funzionamento e lasciano che la cosa vada avanti per forza di inerzia. Non è raro assistere, anche nei giorni festivi, a una Messa completamente piana, dalla quale sono completamente estromesse, non dico le forme moderne e deviate, ma quelle tradizionali e raccomandabili di partecipazione attiva: i libretti bilingue su cui seguire la funzione o mancano del tutto o sono inefficaci, perché privi di indicazioni spirituali e pastorali; il canto, sia quello liturgico che quello popolare, è assente, come pure il suono dell'organo; il servizio all'altare, quando c'è, si caratterizza per sciattezza e superficialità.

Cose del genere sono forse sopportabili nella forma ordinaria, dove la lingua volgare e la familiarità dei riti suppliscono alla povertà esteriore della cerimonia, ma risultano deleterie nella forma straordiria, che fa della sacralità del rito e dell'apparato con cui si celebra uno dei suoi punti di forza.


4. Disorganizzazione e disunione.

La rassegna dei problemi va conclusa con quello che, a mio avviso, è il principale e dal quale derivano tutti gli altri: l'incapacità di dare vita ad una vera e propria comunità. O, se si vuole, l'incapacità di costruire qualche cosa che vada oltre la Messa, pur conservando la Messa come centro e trait d'union. Non bisogna dimenticare che la liturgia in forma straordinaria non è che una componente, importantissima ma pur sempre una componente, del più vasto ambito della Tradizione cattolica. Molti, invece, tendono a farne un traguardo al di là del quale non importa andare. Su questo punto bisogna intendersi.

Mi rendo perfettamente conto che, specialmente in alcuni luoghi, riuscire ad ottenere una Messa regolare è già un grande risultato. Né sono all'oscuro che in molti casi le forze a disposizione sono scarse e non consentono di andare oltre un certo limite. Ma il problema della mancanza di coesione e dello scarso attivismo extraliturgico riguarda non solo i centri di Messa in formazione, ma anche quelli esistenti da tempo e ormai ben consolidati.

Tra le cause, bisogna annoverare anzitutto una diffusa mancanza di coraggio e di iniziativa. Si ha l'impressione, certe volte, che i fautori della liturgia tradizionale, forse anche a causa della lunga fase catacombale alla quale sono stati per decenni costretti, abbiano sviluppato una specie di allergia ad occuparsi dei gravi problemi che travagliano la Chiesa di oggi. Non che essi non se ne interessino o non ne parlino. Lo fanno, certo, ma quasi sempre nell'ambito della propria ristretta cerchia, stando ben attenti a non esporsi troppo all'esterno.

Per quanto possa apparire paradossale, ho conosciuto alcune persone che frequentano la Messa tradizionale quasi di nascosto; altre che se ne vergognano; altre ancora che evitano qualunque rapporto con gli altri fedeli che frequentano la funzione. Pochi sono disposti ad assumersi incarichi organizzativi. Pochissimi sono d'accordo con l'idea di iniziative extraliturgiche. Sembra che lo spirito individualista del postconcilio abbia preso piede anche negli ambienti legati alla Tradizione e che molti vedano nella Messa tradizionale nient'altro che un modo per soddisfare le proprie (peraltro legittime) esigenze di ordine spirituale.

È noto che la mancanza di coesione e di unità è una delle cause più formidabili di disgregazione. "Omne regnum in se ipsum divisum, desolabitur", insegna il Vangelo (Luc. 11, 17). Tale, duole ammetterlo, è la situazione, almeno nel nostro Paese, di molte chiese e cappelle nelle quali si celebra la liturgia tradizionale, col risultato di deludere prima e allontanare poi i potenziali frequentatori. Essi, infatti, cercano nelle realtà legate al rito antico ciò che non riescono più a trovare nelle proprie parrocchie: non solo, quindi, una celebrazione degna della sacra liturgia, ma anche un'occasione per approfondire la dottrina cristiana e condividere con gli altri le proprie riflessioni od esperienze in un ambiente non avvelenato dal secolarismo e dal progressismo. Se in passato le associazioni di fedeli laici, come le confraternite e le pie unioni, hanno avuto un grande successo in termini numerici e spirituali, è proprio perché, oltre al loro fine specifico, hanno saputo valorizzare nel dovuto modo la dimensione aggregativa.

Certo, è impensabile che le realtà legate alla tradizione si pongano come alternativa alle parrocchie. Il motu proprio di Benedetto XVI lo esclude esplicitamente, identificando appunto nella parrocchia il luogo ordinario di celebrazione della forma straordinaria. Ciò non toglie, tuttavia, che esse possano svolgere un ruolo complementare a quello della parrocchia, proprio come le confraternite, favorendo in particolar modo la conoscenza della Tradizione cattolica in ogni suo aspetto, non soltanto liturgico.

Dalla nostra capacità di trasformare, nei modi e nei tempi opportuni, le realtà legate alla tradizione in autentiche comunità, simili al lievito che fa gonfiare la pasta (cfr. Mt. 13, 33), dipende il successo o l'insuccesso della nostra causa.

(segue)


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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