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La frequenza dei Fedeli alla Messa antica, breve analisi interessante di Daniele di Sorco

Ultimo Aggiornamento: 25/02/2010 21:07
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25/02/2010 21:07
 
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La frequenza dei fedeli alla Messa in forma straordinaria: problemi e soluzioni (quarta ed ultima parte)


di Daniele Di Sorco


Prima parte

Seconda parte

Terza parte


18. Il punto della questione.

Giunti a questo punto del mio articolo, alcuni osserveranno che ho tentato di affrontare un problema molto serio parlando di minuzie. Il che è senz'altro vero. Solo che, come si dice, è la somma che fa il totale. E in un ambito come quello liturgico, la cura delle minuzie riveste un'importanza che non esito a definire essenziale. Se oggi la liturgia è oggetto dei più gravi scempi, lo dobbiamo all'atteggiamento di chi, in un pericoloso gioco al ribasso, ostenta di curarsi soltanto dello stretto necessaro e di trascurare il superfluo. Spingendo questo ragionamento alle sue logiche conseguenze, alcuni sacerdoti considerano intangibile, nel rito della Messa, soltanto la formula della consacrazione: tutto il resto può variare a piacimento.

Dobbiamo evitare che questo errore, molto più diffuso di quanto si creda, si rifletta sulle funzioni in forma straordinaria, anche se in modalità meno estreme o meno riconoscibili. Ecco perché, a mio avviso, le minuzie di cui mi sono occupato in buona parte del mio articolo sono il punto di partenza indispensabile per fare della Messa tradizionale una funzione non solo bella ed edificante, ma anche fruibile da parte dei non iniziati.

Opposta a questa posizione è quella di chi, pur riconoscendo la fondatezza delle mie proproste, dubita della loro reale fattibilità, almeno nelle circostanze attuali. Com'è possibile, si chiedono costoro, realizzato una funzione che abbia tutte le caratteristiche delineate sopra, se i fedeli che vi partecipano sono pochi e, tra quei pochi, pochissimi sembrano disposti ad assumersi degli incarichi?


19. Dal coetus fidelium alla comunità.

Questa domanda ci conduce alla questione centrale di cui ho parlato all'inizio del mio contributo: trasformare il "centro di Messa" in una vera e propria comunità, capace non solo di far fronte alle necessità pratiche della funzione, ma anche di favorire la crescita spirituale dei suoi membri. Le difficoltà, come abbiamo visto, sono molte, ma hanno, a mio avviso, una radice comune: la mancanza di coesione. Se i fedeli che frequentano la Messa in forma straordinaria fossero più uniti, se tra loro ci fosse un po' più di familiarità, individuare i problemi e prospettarne la soluzione non sarebbe poi così difficile. In genere, però, le cose vanno in modo del tutto diverso. Non tanto per diffidenza (poiché l'ambiente dei gruppi legati alla liturgia antica non è affatto, come qualcuno potrebbe immaginare, chiuso od elitario), quanto per ragioni oggettive, quali la scarsa frequenza della Messa e delle altre occasioni di ritrovo, l'imbarazzo di fare qualche parola subito prima o subito dopo l'inizio della funzione, la differenza di età e di ambiente sociale.

Quale rimedio? Non è semplice dare una risposta univoca, che vada bene per tutti i gruppi e sia adatta a tutte le circostanze. Qualunque proposta, poi, ha da essere modellata nel concreto della realtà locale. Mi limiterò pertanto ad esporre una soluzione che in Toscana è stata applicata in molte diocesi con discreto successo: quella dell'associazionismo. Si tratta, in poche parole, di raccogliere i fedeli più attivi ed interessati in un'associazione che abbia lo specifico compito di curare l'organizzazione e diffondere la conoscenza della liturgia in forma straordinaria.

Può sembrare, a prima vista, che questa idea abbia ben poco di originale. Associazioni con scopi analoghi a quelli da me delineati esistono già da tempo. Molti centri di Messa, in Italia e nel mondo, fanno capo ad esse. E questo non ha evitato che si verificassero gli inconvenienti denunciati nel presente contributo. A che scopo, allora, riproporre una soluzione che da questo punto di vista si è rivelata inefficace?


20. Il modello associativo.

È evidente che bisogna far riferimento ad un modello associativo diverso da quello attualmente più diffuso. Le grandi organizzazioni storiche hanno due caratteristiche fondamentali: la centralizzazione e le grandi dimensioni. Esse sono costituite da una miriade di sezioni locali, le quali, pur godendo di qualche autonomia, adottano uno statuto e un sistema di funzionamento uguale per tutte. Un modello del genere era di grandissima utilità prima del motu proprio, quando i singoli gruppi, per ottenere la Messa tradizionale dal proprio Vescovo, dovevano quasi necessariamente far capo ad una istituzione più grande e più prestigiosa che li sostenesse nella loro richiesta. Oggi molte cose sono cambiate. Se da un lato è più semplice avviare una celebrazione, dall'altro è più difficile gestirla. Non si tratta più di un rito concesso per indulto ad un gruppo ristretto, ma di una forma liturgica che ha riacquistato pieno diritto di cittadinanza nella Chiesa.

In un contesto simile, è necessario, a mio avviso, privilegiare l'organizzazione locale: ogni gruppo costituisce la propria associazione, con uno statuto e un funzionamento adeguato alle proprie esigenze. Ci si domanderà quale debba essere la fisionomia propria dell'associazione locale e in che modo sia possibile realizzarla nel concreto. Mi limito ad alcune considerazioni di base, visto che le necessità particolari a cui far fronte variano molto da luogo a luogo.

In primo luogo, l'associazione locale dovrebbe tenersi alla larga sia da strutture troppo pesanti sia dalla trappola della destrutturazione. Istituire un numero eccessivo di cariche o complicare a dismisura il funzionamento degli organi equivale a paralizzare il funzionamento dell'associazione prima ancora di averlo avviato. Un risultato analogo, tuttavia, si consegue anche con l'atteggiamento diametralmente opposto, vale a dire facendo a meno di qualunque ruolo direttivo e rimettendo tutto alla decisione dell'assemblea. In quest'ultimo caso, costituire l'associazione sarebbe perfettamente inutile, poiché essa non avrebbe nulla di diverso dal gruppo non costituito.

La scelta migliore, come l'esperienza dimostra, è una via di mezzo tra i due estremi: una struttura leggera, in cui l'assemblea dei soci è affiancata da due o tre cariche direttive (presidente, segretario, tesoriere o simili) con incarichi ben determinati. Il potere decisionale, specialmente sulle questioni più importanti, resta all'assemblea, che però affida al consiglio direttivo gli incarichi esecutivi e di rappresentanza. In questo modo diventa molto più semplice far fronte alle necessità pratiche della Messa, organizzare iniziative per diffonderne la conoscenza ed anche confrontarsi col clero. Avere di fronte un'associazione costituita e compatta, infatti, è molto diverso dall'avere di fronte un gruppo sparso e dai confini evanescenti.

Altra caratteristica imprescindibile di qualunque associazione costituita è uno statuto nel quale, brevemente e chiaramente, siano delineate finalità del gruppo, funzionamento e competenze degli organi, modalità di ammissione (e di espulsione) dei membri. Ogni gruppo, come si è detto, provvede a seconda delle proprie esigenze, magari consultando, a titolo esemplificativo, lo statuto di associazioni simili già esistenti.

Non sarà inutile, tuttavia, spendere qualche parola sulle finalità. Più di una volta si è registrata la tendenza a sposare la causa della Messa tradizionale con ideologie politiche od opinioni teologiche che costituiscono ancora libera materia di discussione (come quella relativa al valore e alle implicazioni dei documenti del Concilio Vaticano II). Naturalmente qui non ci riferiamo al patrimonio dottrinale, storico, culturale che soggiace alla Messa in forma straordinaria e che sarebbe assurdo separare da essa, bensì a idee che con la liturgia antica hanno poco o nulla a che fare. In questo modo si corrono due grandi rischi: primo, allontanare tutte le persone che non condividono certe posizioni ideologiche; secondo, creare nell'immaginario collettivo un indebito collegamento tra queste posizioni e la Messa antica in quanto tale. Con presupposti del genere, al di là del giudizio di merito che si voglia dare su di essi, si finisce per inibire, anziché promuovere, la fruizione della liturgia tradizionale da parte dei non iniziati (e, a seconda delle idee in questione, anche da parte degli iniziati). Perciò lo statuto, nell'elencare le finalità dell'associazione, deve tenersi lontano, a mio avviso, da qualunque deriva ideologica. Limitarsi agli scopi pratici e ad un richiamo, conciso ma doveroso, alla dottrina e alla tradizione cattolica è quasi sempre la scelta migliore.


21. Suggerimenti su come costituire e far funzionare un'associazione.

Come si procede, nella pratica, a costituire e far funzionare l'associazione? Si comincia con un ristretto gruppo di persone che decide di prendere l'iniziativa. Può bastare anche una sola persona, purché motivata. Si prosegue col diffonderla presso amici e conoscenti che potrebbero essere interessanti e col mettere un avviso sui siti internet specializzati nella divulgazione della liturgia tradizionale: in questo modo è possibile entrare in contatto con un buon numero di persone, anche al di fuori della propria cerchia di conoscenze. Naturalmente, se nella propria zona si celebra già la Messa antica, l'idea dell'associazione andrà proposta anzitutto ai suoi frequentatori, senza però trascurare i due metodi sopra ricordati. Si organizza quindi una riunione di tutte le persone interessate allo scopo di decidere il da farsi, dotandosi possibilmente, fin dalla prima volta, di cariche provvisorie e di una bozza di statuto, che sarà poi definita e precisata negli incontri successivi.

È tutto: l'associazione è fatta. Ciò che ora conta è farla funzionare. Prima di tutto, alle cariche direttive dovrebbero essere elette persone che si distinguano non solo per competenza, ma anche per equilibrio e saggezza. Un'associazione con un direttivo troppo impulsivo o troppo inerte è destinata al fallimento. In secondo luogo è necessario programmare nel dovuto modo le diverse attività di cui l'associazione vuole farsi carico. Per ciò che riguarda gli aspetti pratici della funzione liturgica, bisogna provvedere a suddividere gli incarichi e ad assegnarli alle persone più adatte. Sarebbe opportuno, anzi, che in seno ad ogni associazione di questo tipo vi fossero due piccole "commissioni", una per la liturgia (col compito di tenere la sacrestia, predisporre l'altare, assicurare il servizio) e una per la musica sacra (col compito di preparare ed eseguire i canti, suonare l'organo, approntare i libretti per i fedeli). Un altro gruppo potrebbe occuparsi dei messalini e dei foglietti. Un altro ancora avere l'incarico di organizzare attività extraliturgiche interne od esterne al gruppo. Si potrebbero fare molti altri esempi: ogni associazione saprà regolarsi in base alle proprie necessità. Tutto questo, però, ha come presupposto imprescindibile una struttura capace di coordinare gli sforzi e le capacità dei singoli.

Si tenga presente che per costituire un'associazione di questo tipo non è necessario alcun riconoscimento, né civile, né canonico. La legge italiana, infatti, contempla l'esistenza di associazioni private non ufficialmente riconosciute, mentre il codice di diritto canonico non richiede, per le associazioni private di fedeli, l'esplicita approvazione dell'autorità ecclesiastica, se non per l'acquisizione della personalità giuridica (cann. 321-325).

Bisogna evitare, inoltre, di identificare completamente l'associazione col gruppo di fedeli che frequenta la Messa in rito antico. È evidente che molti, per diverse ragioni, non vorranno farne parte. Del resto, per riprendere la figura evangelica utilizzata all'inizio del presente contributo, l'associazione deve configurarsi come lievito che fa gonfiare la pasta, non essere, essa stessa, la pasta. Infine, le associazioni locali sul modello qui proposto non soppiantano, ma integrano, l'opera delle associazioni storiche a struttura centralizzata.


22. I coordinamento di associazioni.

A molti un progetto del genere potrà sembrare utopico. L'esperienza della Toscana dimostra che, con un po' di buona volontà, non è difficile realizzarlo. Resta il fatto che in alcuni casi, più che l'iniziativa, manca l'esperienza: non si sa in che modo cominciare. In altri, le associazioni locali sono prive delle competenze necessarie. In altri ancora non si sa dove trovare i mezzi per organizzare certe iniziative.

A questi inconvenienti, rifacendoci ancora una volta alla situazione toscana, si può in parte rimediare con un coordinamento regionale. Anche in questo caso, si tratta di una istituzione nuova non nell'idea ma nel modello. Il coordinamento non è una grande associazione che assorbe in sé quelle esistenti, ma una federazione, che, pur dotandosi di un proprio statuto e di proprie cariche, mantiene intatta l'autonomia delle associazioni che ne fanno parte. Queste conservano il loro statuto e il loro funzionamento, ma decidono, mediante il coordinamento, di collaborare con le associazioni di una certa area geografica. Gli scopi, essenzialmente, sono quattro: unire le forze, facendo in modo che i gruppi membri si prestino reciproco aiuto; organizzare iniziative comuni, tra cui, almeno una volta l'anno, un grande evento a livello regionale; rappresentare le associazioni e i loro interessi di fronte alla conferenza episcopale regionale e, nei casi più importanti, anche di fronte ai singoli Vescovi; aiutare la costituzione di nuovi coetus fidelium e collaborare con loro nell'avviare la celebrazione stabile della Messa. Per quanto riguarda la struttura del coordinamento, valgono le stesse indicazioni date a proposito dell'associazione. L'esperienza, ancora una volta, insegna che, quando i presupposti sono buoni, i risultati non si fanno attendere.


23. Azione e contemplazione.

Termino il mio lungo contributo con una nota di carattere spirituale. Quando si è di fronte al problema della frequenza dei fedeli alla Messa in forma straordinaria, così come quando si è di fronte a qualunque difficile problema, agire è importante, pregare lo è di più. L'episodio evangelico di Marta e Maria ce lo insegna. E lo stesso Salvatore lo ribadisce a chiare lettere: "Sine me nihil potestis facere" (Ioann. 15, 5). A volte sembra di riscontrare, anche negli ambienti legati all'antico rito, un residuo di quello stesso appiattimento immanentista che caratterizza tanta parte del mondo cattolico odierno. È un errore che bisogna fuggire ad ogni costo. Ben venga l'analisi dei problemi, la proposta di soluzioni, l'impegno nel metterle in pratica: vi abbiamo dedicato, con questo articolo, non piccola parte del nostro tempo. Ma non si dimentichi il primato della preghiera, delle buone azioni, dei sacrifici offerti per le nostre rette intenzioni: in una parola, il primato della contemplazione sull'azione. Senza questo, tutto il nostro impegno non serve a nulla.

(fine)





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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