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La crisi NON della Chiesa nel Mondo...... ma delle varie Diocesi e comunità che tradiscono Gesù

Ultimo Aggiornamento: 20/02/2013 11:16
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Non per fare i catastrofisti, ma per essere più REALISTI E PREGARE, ASSUMERCI LE NOSTRE RESPONSABILITA' e sostenere la Chiesa...


In questo thread segnaleremo man mano la situazione nelle varie città più importanti fra capoluoghi o semplicemente a livello di Nazioni...


lunedì, 20 luglio 2009

cosa resta del cattolicesimo francese

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Francisco José Fernández de la Cigoña ha avuto la brillante idea di commissionare a una serie di esperti di vari Paesi – esperti che fanno parte della sua ottima rete di informatori: “La Cigueña de la Torre”, oltre a essere il più seguito fra i blog cattolici spagnoli, è stato il primo in assoluto ad anticipare la revoca delle scomuniche per i quattro vescovi della FSSPX – un report sullo stato della Chiesa in varie nazioni. La prima puntata è dedicata alla Francia. Di seguito, la nostra traduzione della prima parte.

E’ da leggere, per avere un’idea della situazione da bancarotta della Chiesa transalpina. Uno scenario a cui anche noi ci stiamo avvicinando. L’impressione è infatti che l’“eccezionalità” italiana per quanto riguarda la tenuta della Chiesa, di cui si parla spesso, sia più che altro un ritardo di una quindicina d’anni rispetto a quello che, poco più a nord, è già avvenuto. E se là il mondo tradizionalista/carismatico rappresenta in questo momento l'unica ancora, da noi lo stanno diventando sempre più i movimenti.

---

La situazione attuale del cattolicesimo francese presenta due specificità che pesano molto sullo stato dell’episcopato locale:

1)     Le 93 diocesi si trovano in una situazione disastrosa:

Dal punto di vista dei fedeli: il calo della pratica religiosa, considerevole negli anni ’70, continua in modo inesorabile. I praticanti sono molto scarsi (4% se essere “praticanti” è andare in chiesa una volta al mese) e di età relativamente matura. I giovani e le famiglie numerose – le “forze vive” – si trovano nelle chiese dove sono presenti movimenti (Emmanuel, Frères de Saint-Jean, Communauté Saint-Martin, ecc.) o gruppi tradizionalisti. Gli unici luoghi in cui la pratica religiosa resta accettabile (anche se con un numero di messe inferiore per lo meno di un terzo rispetto agli anni ’60) sono i quartieri borghesi delle città. Il cattolicesimo francese postconciliare è borghese, avendo perso essenzialmente la popolazione rurale, raggiunta dal modernismo massificante.

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Di conseguenza le finanze diocesane si sono oltremodo impoverite (con casi di vero e proprio fallimento, come quello della diocesi di Montpellier, che non riusciva a pagare lo stipendio ai propri sacerdoti). In Francia, dopo la separazione tra Stato e Chiesa, il clero vive solamente di ciò che donano i fedeli (offerte durante la messa, offerte per far celebrare messe per i defunti, eredità). Però i soldi delle messe per i defunti sono calati drasticamente e i lasciti ereditari, che costituivano la fonte di introiti più importante per le diocesi e gli ordini religiosi, sono in pratica scomparsi. Beneficiano di essi solo i movimenti e gruppi tradizionalisti. D’altra parte le spese sono aumentate in modo considerevolissimo (scomparsa di quel personale a costo zero che erano le religiose, necessità di interventi costosi per la manutenzione degli edifici, come impone la normativa vigente) per cui, a parte Parigi, il capitale immobiliare si scioglie come neve al sole. I sacerdoti diocesani sono solo 15.000 e l’età media supera i 75 anni. Ogni anni se ne perdono 800, dal momento che ne vengono ordinati 100 mentre 900 muoiono o abbandonano. In alcune diocesi (Digne: 25 sacerdoti, Nevers: 38, Auch, Saint Claude, Gap, Pamiers, ecc.) tra dieci anni i sacerdoti in attività saranno una decina, a dire molto. Attualmente le parrocchie vengono raggruppate in “aggregazioni parrocchiali” (non è strano che un unico prete debba servire dieci, venti o anche quaranta chiese, con un aiuto minimo da parte dei fedeli e con celebrazioni senza sacerdote chiamate ADAP [Assemblées dominicales en l'absence de prêtre ndt], specialmente funerali, affidate in larga parte a semplici laici. Nimes, per fare l’esempio di una diocesi di media grandezza, ha solamente 107 sacerdoti in attività, con un’età media elevata.

I seminaristi: erano 4536 nel 1966, 784 nel 2005, 756 nel 2007 e 740 nel 2008. Diocesi come Pamiers, Belfort, Agen, Perpignan ecc non hanno nessun seminarista. Ordinazioni: dopo la caduta brutale negli anni successivi al Concilio (825 ordinazioni nel 1956 e 99 nel 1977) ce ne sono state 90 nel 2004, 98 nel 2005, 94 nel 2006, 101 nel 2007 e 98 nel 2008. I seminari sono per la maggior parte di impostazione “classica” e circa un quarto dei seminaristi è vicino al mondo tradizionalista. Molte delle vocazioni provengono dagli Scouts d’Europa diventati i rivali di “destra” degli Scouts di Francia.

Quella che era considerata l’eccezione parigina sta svanendo. Esisteva negli anni ’80 e fino agli inizi degli anni ’90, grazie alla congiunzione di due carismi, quello di Giovanni Paolo II e del cardinale Lustiger. Il clero era più giovane, più numeroso e le finanze prospere. Il numero dei seminaristi arrivava a 100. Oggi il numero dei sacerdoti scende pericolosamente, sono scomparsi i lasciti ereditari e si contano 52 seminaristi. Le ordinazioni a Parigi sono state 10 quest’anno (di cui due sacerdoti della comunità Emmanuel), se ne prevedono 7 per il 2010 e 4 per il 2011.

Di fatto, la maggioranza delle diocesi francesi, se fossero amministrazioni apostoliche in “Paesi di missione”, non avrebbero il numero di sacerdoti sufficiente per essere erette in diocesi. Logicamente un terzo delle stesse è destinato a scomparire, tramite raggruppamenti, nei prossimi 15 anni.

2) Il tradizionalismo ha un peso rilevante. Con 388 luoghi di culto domenicali, cioè più di quattro per diocesi (204 “autorizzati” e 184 della Fraternità Sacerdotale di San Pio X) la sensibilità tridentina, considerata in tutte le sue declinazioni, rappresenta l’equivalente di due diocesi di media importanza. Oltre ai luoghi di culto, il mondo tradizionalista possiede una rete di scuole – non sovvenzionate dallo Stato – che sono un vivaio di vocazioni. I sacerdoti che celebrano secondo il rito di san Pio V sono tra 250 e 300 (150 della FSSPX), di età media molto inferiore a quella degli altri sacerdoti in attività.

I seminaristi che seguono il rito antico erano 160 (una quarantina della FSSPX) nel 2008-2009 a fronte di 740 seminaristi diocesani. In uno o due anni 1 seminarista su 4 sarà “secondo il rito straordinario”.

Ordinazioni: nel 2009 sono stati ordinati secondo il rito straordinario 15 sacerdoti (di cui 6 FSSPX). Il “tasso di fecondità sacerdotale” del mondo tradizionalista è identico a quello del cattolicesimo francese anteriore al Concilio.

L’eccezione di Frejus-Toulon: il vescovo, monsignor Dominique Rey, che proviene dalla comunità Emmanuel, approfittando anche del fatto che i suoi due predecessori - monsignor Barthe e monsignor Madec - erano vescovi assai “classici”, sta tentando di realizzare una certa fusione tra il mondo tradizionalista e quello del nuove comunità (in genere carismatiche, ndt), che arrivano da tutto il mondo e specialmente dal Brasile. In questo modo è riuscito a far sì che la sua diocesi sia una delle meglio provviste di preti (uno per ogni parrocchia o uno ogni due), si ritrova con 80 seminaristi (più di un decimo dell’insieme dei seminaristi francesi), di cui una decina seguono il rito straordinario. Per quanto riguarda la vita religiosa, è assai aumentato il numero delle comunità presenti, che vanno dal carismatismo più sfrenato al tradizionalismo più rigido.

(continua)



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Parigi è in crisi di vocazione permanente

di Paolo Rodari

Tratto da Il Foglio del 13 novembre 2009

Roma. E’ di tre giorni fa un pezzo del Monde in cui si sosteneva come la chiesa di Francia, quella delle gerarchie, abbia perso gran parte della propria influenza sul governo della curia romana. Questione di numeri anzitutto: in pensione i cardinali Roger Etchegaray e Paul Poupard, l’unico capo dicastero francese rimasto è Jean- Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il Dialogo interreligioso. Poi, è vero, ci sono Dominique Mamberti e Jean-Louis Bruguès ma entrambi – corso il primo, della Francia pirenaica il secondo – sono posti sì prestigiosi ma di seconda fascia che ricoprono in curia: segretario per i rapporti con gli stati Mamberti e segretario dell’Educazione cattolica Bruguès. Se il Monde abbia ragione è difficile dirlo. Di certo c’è che, valutazione del peso sulla curia romana a parte, è tutta la chiesa d’oltralpe che non sta passando uno dei suoi momenti migliori, almeno a leggere i numeri. Pesanti i dati 2008 (quelli 2009 usciranno tra qualche settimana).

I sacerdoti diocesani sono solo 15 mila e l’età media supera i 75 anni. Ogni anno ne vengono ordinati circa 100 mentre 900 muoiono o abbandonano. In alcune diocesi le parrocchie vengono raggruppate in “aggregazioni” dove capita che un unico prete serva dieci, venti o anche quaranta chiese. Ci sono diocesi che tra una decina di anni avranno non più di dieci preti in attività.

Il dato più preoccupante riguarda i seminaristi: erano 4.536 nel 1966, sono poco più di 500 oggi: diocesi come Pamiers, Belfort, Agen, Perpignan non hanno avuto alcuna vocazione. Le ordinazioni restano pochissime: dopo il Concilio Vaticano II, il numero è lievitato spaventosamente verso il basso: erano 825 i preti ordinati nel 1956, sono stati circa 90 nel 2008.

Assieme a tutte le diocesi, piange anche Parigi. Era considerata un’eccezione nel panorama francese: una chiesa prospera, un seminario fiorente, le finanze in attivo. Erano gli anni 80-90, gli ultimi da grandeur: l’asse Wojtyla-Lustiger (ex arcivescovo di Parigi) produsse nella capitale un fiorire di vocazioni. Parigi aveva un clero giovane e numeroso. Oggi – ancora dati 2008 – si contano circa 50 seminaristi, dieci le ordinazioni ogni anno (se ne prevedono sette nel 2010 e quattro nel 2011).

Dal punto di vista dei fedeli la situazione non è migliore. Il calo della pratica religiosa, considerevole negli anni 70, continua in modo inesorabile. I praticanti sono molto scarsi (quattro per cento se essere “praticanti” è andare in chiesa una volta al mese) e di età relativamente matura. Resistono – ed è questo un dato che fa pensare – i movimenti (Emmanuel, Frères de Saint-Jean, Communauté Saint-Martin) e soprattutto i gruppi tradizionalisti. Già oggi circa un terzo del totale dei seminaristi francesi proviene da queste comunità: con 388 luoghi di culto domenicali, più di quattro per diocesi, la sensibilità tridentina fa sentire il proprio peso. A molto ha giovato, paradossalmente, un certo modo “lassista” d’interpretare il Concilio.

A fronte d’una chiesa troppo aperta verso le sirene del mondo, se ne è creata di fatto un’altra che questa mondanizzazione non ha mai voluto accettare. E oggi è proprio quest’altra – appunto la cosiddetta chiesa tradizionalista – a rappresentare una speranza. Non è la chiesa lefebvriana. E’ una chiesa che con lo scisma di Econe non c’entra nulla. Dentro era e dentro resta la chiesa cattolica, seppure con una propria specifica sensibilità. Nel 2008 i seminaristi di queste comunità sono stati 160: più o meno un terzo del numero totale dei seminaristi diocesani. E i numeri sono in aumento.

Sono dati che fanno riflettere, a tratti anche impaurire. Sentimenti diversi, presenti all’interno dell’episcopato francese adunato a Lourdes per l’assemblea generale: lui, l’episcopato francese (gran parte di esso), è stato tra i più strenui oppositori del Motu proprio “Summorum Pontificum”. Loro, le comunità tradizionaliste, quelle che l’hanno maggiormente benedetto, perché con più forza le ha confermate in ciò che sono: parte della chiesa cattolica. E l’episcopato, numeri alla mano, prima o poi dovrà rendergliene atto.


IN BELGIO LA SITUAZIONE è ANCHE DRAMMATICA....
il Papa ha di recente nominato il nuovo Vescovo di natura "conservatrice" proprio con la speranza di rimediare i danni che sono stati fatti, cliccate qui:

Notizie dalla Chiesa in Belgio



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ATTENZIONE, CLICCATE QUI:


ATTENZIONE: LETTERA DI BENEDETTO XVI CONTRO GLI ABUSI SESSUALI NELLA CHIESA





Desidero concludere questa Lettera con una speciale Preghiera per la Chiesa in Irlanda, che vi invio con la cura che un padre ha per i suoi figli e con l’affetto di un cristiano come voi, scandalizzato e ferito per quanto è accaduto nella nostra amata Chiesa. Mentre utilizzerete questa preghiera nelle vostre famiglie, parrocchie e comunità, possa la Beata Vergine Maria proteggervi e guidarvi lungo la via che conduce ad una più stretta unione con il suo Figlio, crocifisso e risorto. Con grande affetto e ferma fiducia nelle promesse di Dio, di cuore imparto a tutti voi la mia Benedizione Apostolica come pegno di forza e pace nel Signore.

Dal Vaticano, 19 marzo 2010, Solennità di San Giuseppe

BENEDICTUS PP. XVI






Preghiera per la Chiesa in Irlanda


Dio dei padri nostri,

rinnovaci nella fede che è per noi vita e salvezza,

nella speranza che promette perdono e rinnovamento interiore,

nella carità che purifica ed apre i nostri cuori

ad amare te, e in te, tutti i nostri fratelli e sorelle.

Signore Gesù Cristo,

possa la Chiesa in Irlanda rinnovare il suo millenario impegno

alla formazione dei nostri giovani sulla via della verità,

della bontà, della santità e del generoso servizio alla società.

Spirito Santo, consolatore, avvocato e guida,

ispira una nuova primavera di santità e di zelo apostolico

per la Chiesa in Irlanda.

Possano la nostra tristezza e le nostre lacrime,

il nostro sforzo sincero di raddrizzare gli errori del passato,

e il nostro fermo proposito di correzione,

portare abbondanti frutti di grazia

per l’approfondimento della fede

nelle nostre famiglie, parrocchie, scuole e associazioni,

per il progresso spirituale della società irlandese,

e per la crescita della carità. della giustizia, della gioia e della pace, nell’intera famiglia umana.

A te, Trinità,

con piena fiducia nell’amorosa protezione di Maria,

Regina dell’Irlanda, Madre nostra,

e di San Patrizio, di Santa Brigida e di tutti i santi,

affidiamo noi stessi, i nostri ragazzi,

e le necessità della Chiesa in Irlanda.

Amen.




Fraternamente CaterinaLD

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05/12/2010 11:10
 
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La crisi (ecclesiale) irlandese  (dal blog senzapelisullalingua di padre Giovanni Scalesi)

Giorni fa l’Arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin ha presieduto la celebrazione del 30° anniversario della morte del Servo di Dio Frank Duff, fondatore della Legione di Maria. Durante la Santa Messa ha tenuto un’omelia che costituisce un’approfondita riflessione sullo stato della Chiesa irlandese. Potete trovare il testo completo dell’intervento sul sito dell’Arcidiocesi di Dublino; ZENIT ne ha riportato ampi stralci in italiano.

Mi sembra importante soffermarsi sulle considerazioni di Mons. Martin, perché dànno un quadro completo della situazione della Chiesa in Irlanda. Negli ultimi anni l’attenzione dei media si è concentrata sullo scandalo degli abusi, una realtà che non può in alcun modo essere negata o anche semplicemente ignorata. Ma sarebbe sbagliato fermare l’attenzione esclusivamente su quel problema: gli abusi sono solo la punta di un iceberg; la crisi, secondo il Primate irlandese, è molto piú profonda.

Permettete, a questo proposito, che porti la mia piccola esperienza. Io avevo sempre nutrito una grande ammirazione per la Chiesa irlandese. Quando ero studente di teologia (negli anni Settanta) — dico la verità — guardavo con una certa invidia ai miei compagni irlandesi, perché erano ancora numerosi, al contrario di quanto avveniva in Italia, dove era già arrivata la crisi delle vocazioni. Successivamente, senza aver mai avuto la possibilità di contatti diretti con l’isola di San Patrizio, continuai a nutrire la convinzione che la Chiesa irlandese godesse di un ottimo stato di salute.

Una decina di anni fa ebbi l’occasione di recarmi negli Stati Uniti; una cosa che mi colpí molto fu la cura riservata in America alle liturgie, soprattutto dal punto di vista musicale (fu allora che scoprii la bellezza degli antichi inni inglesi). Feci questa riflessione: visto che la maggior parte dei cattolici americani sono o di origine italiana o di origine irlandese, siccome non possono aver ereditato questa attenzione per la liturgia dall’Italia, certamente essa farà parte del retaggio irlandese.
Pensavo: chissà che belle liturgie ci saranno in Irlanda! Non vedevo l’ora di poter verificare di persona. Nel 2003 ebbi la fortuna di trascorrere due mesi nella verde isola per motivi di studio.

Quale fu la mia delusione! Non solo non trovai i begl’inni che mi attendevo, ma trovai le chiese semideserte, con poca o punta partecipazione dei fedeli alle celebrazioni; trovai una Chiesa pressoché agonizzante: i seminari vuoti; una secolarizzazione galoppante; la gente interessata esclusivamente al benessere economico (erano gli anni del boom della “tigre celtica”). Quel che mi impressionò maggiormente era che, a differenza dell’Italia, dove bene o male si era fatto un certo cammino di rinnovamento (pur con risultati contraddittori), lí sembrava quasi che non ci fosse stato neppure il minimo tentativo di rinnovamento.
 
In campo liturgico, ritrovavo tutti gli aspetti piú deteriori della Chiesa preconciliare (individualismo, passività, trasandatezza, ecc.). Sembrava quasi che del rinnovamento conciliare si fossero adottati solo gli aspetti piú esteriori e discutibili, come il rilassamento dello stile di vita, l’abbandono dell’abito ecclesiastico da parte di sacerdoti e religiosi, ecc.

Chiesi: ma che è successo? Mi spiegarono che dieci anni prima (quindi durante gli anni Novanta) era cambiato tutto. Il segno piú appariscente di questa crisi fu lo svuotamento, da un giorno all’altro, dei seminari. Mi trovavo a Maynooth, una graziosa cittadina a pochi chilometri da Dublino, dove si trova un enorme seminario, il St. Patrick’s College, che un tempo conteneva centinaia di seminaristi: si era ridotto a essere praticamente l’unico seminario di tutto il paese, con qualche decina di seminaristi (tant’è vero che i locali erano stati utilizzati per un’università cattolica aperta a tutti). Nella stessa città tutti gli istituti religiosi avevano costruito le loro case di formazione (dei bellissimi edifici con tutte le comodità): completamente vuote o destinate a nuovi usi (lo studentato dei Verbiti, dove ero ospite, era stato trasformato in una scuola di inglese per stranieri).

Durante la mia permanenza, osservai molto attentamente la situazione e cercai di trovare una spiegazione a quanto accaduto. Giunsi a questa conclusione, che ora trovo confermata nell’omelia di Mons. Martin («a certain sense of arrogance and power seeking»): mi resi conto che il vero problema della Chiesa irlandese era che fino ad allora essa era stata una Chiesa estremamente potente. Forse proprio per questo non si era preoccupata di almeno tentare una qualche sorta di rinnovamento: perché farlo? che bisogno ce n’era? Nel momento in cui la società irlandese iniziò a cambiare, ovviamente il controllo che vi esercitata la Chiesa entrò in crisi. E, da un momento all’altro, crollò tutto. Allora non si parlava ancora di abusi (o perlomeno io non ne fui in alcun modo informato); ma quando lo scandalo venne a galla, la cosa non mi meravigliò piú di tanto, perché in quel contesto poteva essere facilmente compreso.

Nella sua omelia l’Arcivescovo di Dublino non si limita all’analisi della situazione, ma guarda anche al futuro, alla ricerca di possibili soluzioni. Innanzi tutto, Mons. Martin riconosce la necessità di rinnovamento: «Il rinnovamento è una dimensione essenziale della vita della Chiesa in ogni momento della storia». Ma aggiunge anche che «la Chiesa non sarà mai riformata dall’esterno … Il rinnovamento e la riforma della Chiesa verranno solo dall’interno della Chiesa … Il rinnovamento della Chiesa non consiste in strategie mediatiche o riforme strutturali». E siccome la crisi della Chiesa «non riguarda il ruolo della Chiesa nella società; non riguarda i numeri; ma riguarda la vera natura della fede in Gesú Cristo; riguarda la nostra comprensione del messaggio di Gesú Cristo; riguarda la fede nel Dio rivelato in Gesú Cristo; riguarda la questione fondamentale: chi è Gesú Cristo?», il rinnovamento della Chiesa consisterà nella «volontà di conoscere Gesú e di entrare in una vera amicizia con lui», consisterà nel «conoscere il Padre attraverso l’incontro con Gesú».

Penso proprio che il Primate d’Irlanda abbia colto perfettamente la portata della crisi (una crisi di fede, prima che una crisi morale) e abbia individuato con estrema lucidità la via d’uscita dalla crisi: la conoscenza del Padre che si realizza nell’incontro con Cristo (non si tratta di belle parole, ma della questione essenziale). Credo che, in un momento cosí delicato per gli irlandesi (sia sul piano economico-civile, sia sul piano morale-ecclesiale), si debba essere pienamente solidali con questi nostri fratelli. Le premesse per uscire dalla crisi ci sono tutte; dobbiamo però accompagnarli con la nostra preghiera e la nostra simpatia.

Ma credo pure che la vicenda irlandese dovrebbe insegnare qualcosa a tutti noi: ci insegna che la Chiesa deve essere in uno stato di continuo rinnovamento. Non si può dormire sugli allori, pensando che tutto va bene, che non c’è bisogno di cambiare nulla. Non si può essere soddisfatti delle posizioni raggiunte; non si può confidare sul potere; non ci si può mostrare arroganti. Si deve piuttosto avere sempre la consapevolezza della nostra debolezza e riconoscere umilmente i nostri peccati. Occorre vivere in uno stato di perenne conversione e auto-riforma. Soprattutto, bisogna ricentrare lo sguardo su Cristo, senza il quale non avrebbe nessun senso continuare a dirsi cristiani.


Fraternamente CaterinaLD

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Pedofilia/ Vaticano commissaria comunità carismatica francese

Coinvolto anche il fondatore della comunità delle Beatitudini

Roma, 16 nov. (TMNews)

Un lungo e dettagliato comunicato stampa in cui la Comunità delle Beatitudini prende atto con "lucidità, umiltà e pentimento" dei "gravi delitti" che un gruppo "ristretto" di suoi membri, tra cui il fondatore, ha commesso in materia di abusi sessuali al suo interno. Il documento è stato diffuso ieri sera dalla Francia ed è firmato dal Commissario pontificio nominato in maniera straordinaria dalla Santa Sede nel 2010, il padre domenicano Henry Donneaud, e dal Consiglio generale della Comunità.

Fondata nel 1973 in seno alla più ampia corrente del Rinnovamento Carismatico, la Comunità delle Beatitudini ha conosciuto nei suoi primi tre decenni di vita, una rapida crescita che l'ha portata a fondare più di 66 case nei cinque continenti. E' stata poi riconosciuta nel 2002 dalla Santa Sede. E'da quell'anno - si legge nella ricostruzione fatta dal comunicato - che cominciano ad apparire le prime "fragilità, errori e derive".

Nel comunicato si parla di tre casi: il primo è quello di Pierre-Etienne Albert, molto vicino al fondatore della Comunità delle Beatitudini, Ephraim Croissant. Pierre-Etienne Albert fu accusato di pedofilia nel 2003 e reo confesso nel 2008. Altro capitolo doloroso affrontato nel comunicato chiama in causa lo stesso fondatore della Comunità, Ephraim, per i "delitti contro la morale della Chiesa" da lui commessi ai danni soprattutto delle "sorelle" che vivevano nella sua Comunità. "Il suo prestigio di fondatore carismatico - si legge nel comunicato - unito alla seduzione della sua parola, ha condotto la maggior parte delle sue vittime a lasciarsi abusare". Nel comunicato si parla infine di Philippe Madre, cognato di Ephraim che gli successe alla guida della Comunità come primo moderatore generale. In seguito a numerose denunce depositate contro di lui, è stato dichiarato colpevole in una sentenza di prima istanza dall'Ufficio interdiocesano di Tolosa nel maggio del 2010 e immediatamente espulso dalla Comunità.


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giovedì 8 marzo 2012

DA CORDIALITER:


Continua in Francia il tracollo delle vocazioni diocesane

I vescovi francesi hanno recentemente esaminato la drammatica realtà vocazionale nelle diocesi che governano. I numeri parlano da soli: nel 1966 in Francia c'erano 4.536 seminaristi, ma già pochi anni dopo, nel 1975, il loro numero era sprofondato a 1.297. Il tracollo è proseguito, e nel 1996 si è toccata la critica soglia di 1.103, per poi scendere in picchiata a 784 nel 2005. Nel 2011 è stato toccato il livello più basso dai tempi della Rivoluzione Francese a quota 710. Se la matematica non è un'opinione, il crollo complessivo dal 1966 ad oggi supera l'84%. Ecco dove ha portato la svolta dei teologi modernisti che hanno distrutto il senso del soprannaturale!

Si tratta di numeri implacabili che non hanno bisogno di commenti, sono fin troppo eloquenti. Non si tratta di fare propaganda, si tratta di valutare con serietà la situazione catastrofica. Del resto, i numeri non sono né tradizionalisti, né modernisti, sono dati di fatto di cui prendere atto. La situazione in Francia è drammatica, tra pochi anni in varie diocesi non ci saranno più preti, poiché quelli attuali hanno un'età media di circa 75 anni.

Tuttavia, non bisogna disperarsi, infatti, se il clero diocesano francese rischia quasi l'estinzione, gli istituti legati alla venerabile e antica liturgia romana continuano a crescere grazie al notevole afflusso di nuove vocazioni. La speranza è che vengano aperti ulteriori seminari che consentano a un maggior numero di ragazzi tradizionalisti di poter abbracciare il sacerdozio cattolico. Non è facile pronosticare quando avverrà il "sorpasso" tra ordinazioni moderne e quelle di rito antico, ma almeno in Francia sembra che sia ormai solo una questione di tempo.

[SM=g1740771]


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MEGLIO TARDI CHE MAI!!!
Per il giorno 28 arriva il Mea Culpa dei Vescovi e Cardinali al Pontefice ? chissà......

I vescovi tedeschi chiedono perdono al Papa. I cardinali pronuncino solenne mea culpa il 28 febbraio (R.)

 


L'arcivescovo presidente della Conferenza episcopale tedesca sul pontificato di Benedetto XVI

Verità chiarezza e misericordia


di Robert Zollitsch


In un certo senso tutta la Germania è stata partecipe dell'onore che toccò in sorte al cardinale Joseph Ratzinger, quando il 19 aprile 2005 i cardinali riuniti in conclave lo elessero vescovo di Roma e successore di Pietro. «Siamo Papa» si sentì dire in un misto di orgoglio e di gioia. Oggi, otto anni dopo, prevale il senso di profondo rispetto e riconoscenza, al quale però si mescola anche una certa malinconia. Un commiato è sempre doloroso, soprattutto quando si tratta di una persona conosciuta e stimata.

Papa Benedetto XVI ha lottato durante tutta la sua vita per cercare di penetrare nell'inafferrabile mistero di Dio. In grande umiltà vuole avvicinarsi a Dio e farsi svelare con tutti i sensi da Lui stesso chi è Dio e che cosa Dio vuole per gli uomini. Con la preghiera e nella celebrazione dei sacramenti, ma anche con i mezzi propri dell'uomo, quelli della ragione, e nella sempre nuova penetrazione della Sacra Scrittura, della dottrina dei Padri e delle regole della Chiesa, la sua vita è tutta dedicata all'avvicinamento a Dio.
Questa scelta fondamentale della sua vita segna il nostro Santo Padre in un modo così trasparente che tutti ne stimano l'autorità spirituale e intellettuale. Lo fa perfino la maggior parte di coloro che, a causa di singole decisioni o modi di vedere, non possono o non vogliono capirlo. Pertanto faremmo bene a vedere nella sua decisione di deporre tra qualche giorno la carica episcopale ciò che essa vuole essere: espressione di una vita di credente, che è ben consapevole di due cose: che conosce la dignità dell'uomo -- la quale consiste nel testimoniare Dio in questo mondo, sostenuto dal mandato della Chiesa -- ma che conosce anche la finitezza dell'uomo, che lo porta a riconoscere gli stretti limiti delle proprie forze e infine a vivere con la fiducia che è Dio, e non l'uomo, colui da cui dipende la riuscita.

Durante la sua visita in Germania di due anni fa, il Santo Padre ha ripetutamente affermato che la Chiesa attinge l'acqua della sua vitalità dalle proprie sorgenti trascendenti divine e non pesca nel torbido di un uso ingenuo e a rischio di delusioni delle forze di questo mondo. Ha particolarmente insistito sul giusto rapporto della Chiesa con il mondo nel suo discorso programmatico nella nostra Konzerthaus a Friburgo. Oggi sappiamo meglio di allora che egli voleva far risaltare il giusto e importante messaggio della sua vita: attingete alle sorgenti della salvezza e non accettate la salvezza da nessun altro che dal Signore.

In realtà questo messaggio ha caratterizzato i suoi discorsi e il suo comportamento durante tutto il periodo del suo pontificato. La concezione dell'uomo viene definita dalla fede in Dio e Benedetto XVI ha avuto una concezione dell'uomo molto positiva durante tutta la sua vita; l'uomo infatti rispecchia Dio, in quanto fatto a sua immagine, ed è stato redento e ricondotto vicino a Dio grazie a nostro Signore Gesù Cristo. Sono in particolar modo le forze estetiche e la ragione a caratterizzare l'uomo e Papa Benedetto XVI aggiungerebbe: la sua capacità d'amore.

Per questo motivo è stato con tutto il cuore teologo: un uomo che vorrebbe comprendere e mettere in evidenza l'autorivelazione di Dio. Tutti noi ci siamo fatti guidare e prendere per mano dalla forza di persuasione e dell'espressione del-l'opera di Joseph Ratzinger, l'ultima volta in occasione dell'ultimo Natale, quando a conclusione della sua trilogia su Gesù ci ha regalato il prologo sulla storia dell'infanzia di Gesù.

Sono certo che l'alta opinione che il Santo Padre nutre nei confronti dell'uomo ha il suo fondamento nelle esperienze della sua casa paterna e nella vita religiosa del giovane Joseph Ratzinger.

La sicurezza affettiva in uno spazio d'amore fa maturare in lui le convinzioni basilari della sua vita. Con altrettanta chiarezza Papa Benedetto XVI avverte anche ciò che è mortificante nella cattiveria e nel fallimento dell'uomo. Non che lui si limiti a condannare e a denunciare con freddezza sviluppi tragici e dolorosi nell'uomo e nella società. È andato a visitare in prigione chi in passato era stato uno dei suoi più stretti collaboratori. Ma ha voluto esprimere con chiarezza le sue valutazioni riguardo alla superficialità e alle deformazioni di una società che si separa dalle sue radici cristiane, così come sul fallimento di coloro che non lavorano per la riconciliazione e la pace giusta, ma che lasciano corso alla violenza nelle sue molteplici forme. No, Papa Benedetto XVI non ha voluto rinunciare a chiamare con il loro nome le forze distruttrici e ostili alla vita del mondo e degli uomini.

Tutto ciò però nello spirito della sincerità e dell'autocritica. Nessuno come lui ha espresso apertamente il fatto che la Chiesa è fallibile e sottoposta a tentazioni. Con onestà ha parlato delle terribili, permanenti ferite, che sacerdoti e altri rappresentanti della Chiesa hanno inferto a giovani umiliandoli con atti di violenza sessuale. A Roma e nei suoi molti viaggi ha trovato chiare parole di condanna degli abusi sessuali e alle parole ha fatto seguire anche i fatti, incontrandosi con le vittime.

Se Papa Benedetto XVI, con la libertà che viene dalla fede, ha parlato apertamente di aspetti distruttivi e falsi della società e della vita religiosa, non lo ha mai fatto a voce alta e tanto meno con presunzione. Egli voleva -- lo ha detto ripetutamente -- essere «un umile operaio nella vigna del Signore» e uno che conosce la meravigliosa forza della misericordia.
Anche la forza della compassione, per la quale ricordiamo quale esempio le belle parole pronunciate durante l'incontro delle famiglie a Milano nel 2012, quando raccontò di come lo tormentasse il fatto che nella società moderna la vita familiare fosse diventata così fragile e difficile e che la Chiesa deve essere vicina a tutte le vittime di queste situazioni come a fratelli e sorelle. Verità, chiarezza e misericordia sono le tre colonne del pensiero e del comportamento che ci restano particolarmente impresse da questo Pontificato che sta per terminare.

Quanto può essere infinitamente difficile esercitare la compassione lo ha dovuto recentemente provare Benedetto XVI stesso quando venne ingannato da persone nella stretta cerchia dei suoi collaboratori: non gli fu concesso neppure questo importante spazio di protezione e di personale intimità.

Il Santo Padre è riuscito anche a porre accenti politici, innanzitutto in occasione dei suoi viaggi. Quali esempi vorrei citare solo i viaggi in Polonia dove lui, il Papa tedesco, ha visitato il campo di concentramento di Auschwitz, o i soggiorni nel Vicino Oriente, specialmente in Israele e Palestina o anche negli Stati Uniti d'America e in Australia.
Ma anche in relazione all'avvicinamento ecumenico delle Chiese e delle comunità il Santo Padre non ha fatto mancare passi e iniziative coraggiose. Ciò vale soprattutto per le Chiese ortodosse, soprattutto della Russia. Il Papa è andato incontro alle grandi religioni, che gliene sono state grate, soprattutto gli ebrei e il mondo dell'islam.

Non tutto è andato bene a Papa Benedetto XVI. È stato criticato e naturalmente non poteva soddisfare le numerosissime aspettative, l'una dipendente dall'altra, di tante persone in tutto il mondo. Dirlo è una cosa ovvia e parte della sincerità che Papa Benedetto XVI desidera e pratica. Nel gesto dell'avvicinamento alla Fraternità sacerdotale San Pio X, ad esempio, ha investito molte energie, ma non ha raggiunto lo scopo. È esposto alla loro incomprensione come alla delusione di altri sull'altra sponda dello spettro religioso, che si aspettavano determinate riforme nella Chiesa.

Papa Benedetto XVI ne ha sofferto molto, pur portando avanti il suo servizio con fermezza e costanza, sapendo che lavora su mandato di un Altro, di Uno più grande. Sul modello di Cristo ha quindi sopportato anche ostilità e ingiustizia. Nel suo discorso di Roma, all'inizio della settimana, il Papa ha chiesto perdono per tutti i suoi errori.

Nella mia qualità di presidente della nostra Conferenza episcopale vorrei invece chiedergli perdono per tutti gli errori che forse sono stati fatti nei suoi confronti dalla Chiesa in Germania.

Mi faccio soprattutto portavoce dei molti milioni di persone in Germania e di tutti i credenti che sentono una grande gratitudine per il suo servizio, che si sentono spiritualmente nutriti e sostenuti nei loro sforzi di fede, che hanno visto il suo servizio come quello di un buon pastore e costruttore di ponti. Con grande forza vorrei dire anche grazie per il fatto che il nostro Santo Padre ha alimentato la nostra gioia di essere cattolici e di trovare nella Chiesa una patria che non ci possono togliere né la morte né nessuna potenza di questo mondo.

(©L'Osservatore Romano 20 febbraio 2013)


Stona quel "forse". La richiesta di perdono deve essere fatto senza se, senza ma e senza forse.

Apprezzo comunque il gesto significativo dei vescovi tedeschi. Non mi sembra che altri episcopati abbiano avuto la stessa delicatezza.
Sarebbe bellissimo se il 28 febbraio, in occasione dell'ultimo incontro del Papa con i cardinali, questi ultimi pronunciassero un solenne "mea culpa" nei confronti del Santo Padre.
Di motivazioni ce ne sono a volonta'.
Sarebbe un gesto di distensione anche verso i fedeli perche' consentirebbe a noi tutti di guardare con piu' benevolenza al collegio cardinalizio.
R.



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  e aggiungo:

il MEA CULPA è diventato una specie di camomilla della coscienza da quando hanno IMPOSTO alla Chiesa di chiedere perdono perchè in passato HA DIFESO LA DOTTRINA…. rileggiamo il documento nel quale l’allora cardinale Ratzinger correggeva le false interpretazioni al mea culpa di GPII per il Giubileo….
Un mea culpa, l’ennesimo, pretende DI IMPORRE oggi il cardinale Kock per FESTEGGIARE Lutero nel 2017 dimenticando che in quell’anno cade IL CENTENARIO DELLA MADONNA DI FATIMA che ha difeso dal Cielo la FEDE CATTOLICA e la sua dottrina….

Me lo ero chiesto dopo l’11 Febbraio: tutti che giustificano le dimissioni del Papa con “atto coraggioso, umile, sofferto” ma nessuno che ha detto, tra i prelati: “CI PERDONI SANTO PADRE….”
ora le scuse vengono, meglio tardi che mai!! se non altro per insegnare davvero qualcosa al gregge DISPERSO E CONFUSO…. e che aveva come punto di riferimento SOLO IL PAPA….
luce e faro in questa valle di imbrogli, inciuci, carrierismo, strapotere…..

C’è una profezia che parla dei TRE GIORNI DI BUIO SULLA TERRA….
leggendo accennare al Venerdì Santo, mi viene in mente che potrebbero essere questi i tre giorni della profezia…. il buio è pesto e risplendono solo le candele accese dal MAGISTERO DI BENEDETTO XVI….
basta sfogliare i siti diocesani per capire che ancora una volta, il messaggio per la Quaresima e le prime catechesi di quest’anno portano la sola firma di un umile pastore della vigna: Joseph Ratzinger, Sommo Pontefice Benedetto XVI….

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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