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Gesù di Nazaret, il secondo volume di Benedetto XVI e la conversione del Rabbino di Roma Zolli

Ultimo Aggiornamento: 02/08/2012 21:54
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11/03/2011 17:17
 
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Breve sintesi del “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI

E' nelle librerie la seconda parte del “
Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. L’opera, che illustra figura e messaggio di Gesù dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione, è pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana. Il servizio di Sergio Centofanti:

Il Papa ha voluto scrivere quest’opera “in un modo che possa essere utile a tutti i lettori che vogliono incontrare Gesù e credergli”. Il libro inizia dall’ingresso di Gesù in Gerusalemme, come “un re della pace”. Non è un rivoluzionario politico, “non si fonda sulla violenza”. La violenza è “uno strumento preferito dall’anticristo”.

Nel discorso escatologico, Gesù parla della distruzione del tempio e di Gerusalemme, del Giudizio finale e della fine del mondo. “Dio – afferma il Papa - lascia una misura grande – stragrande secondo la nostra impressione – di libertà al male e ai cattivi; ciononostante la storia non gli sfugge dalle mani”. Con Gesù “è superata l’epoca del tempio di pietra”. “E’ iniziato qualcosa di nuovo”. “Gesù stesso ha preso il posto del tempio, è Lui il nuovo tempio”, in Lui “Dio e il mondo sono in contatto”.

Con la lavanda dei piedi Gesù si spoglia del suo splendore divino per purificarci dalla nostra sporcizia. Attua “una svolta radicale” nella storia della religione: davanti a Dio “non sono azioni rituali che purificano”, ma è “la fede che purifica il cuore”. Secondo l’esegesi liberale “Gesù avrebbe sostituito la concezione rituale della purità con quella morale”, ma “allora - nota il Papa - il cristianesimo sarebbe essenzialmente una morale”. “La nuova Legge – invece - è la grazia dello Spirito Santo, non una nuova norma, ma l’interiorità nuova donata dallo stesso Spirito di Dio”. L’essere cristiani è un dono che “si sviluppa nella dinamica del vivere ed agire insieme con questo dono”.

Pietro e Giuda sono due modi diversi di reagire a questo dono. Entrambi lo accolgono, ma poi uno rinnega, l’altro tradisce. Pietro, pentitosi, crede nel perdono. Anche Giuda si pente, ma non “riesce più a credere ad un perdono. Il suo pentimento diventa disperazione”. “In Giuda incontriamo il pericolo che pervade tutti i tempi”, il pericolo che anche chi è stato una volta illuminato, “attraverso una serie di forme apparentemente minute di infedeltà, decada spiritualmente … e non sia più capace di conversione”. Con Giuda, la rottura dell’amicizia con Gesù “giunge fin nella comunità sacramentale della Chiesa, dove sempre di nuovo ci sono persone che prendono ‘il suo pane’ e lo tradiscono”.

Commentando la preghiera sacerdotale di Gesù, il Papa afferma che l’innalzamento del Signore sulla Croce costituisce “il giorno dell’Espiazione del mondo” in cui l’intera storia “trova il suo senso”: quello di riconciliarsi con Dio.

Il Papa affronta quindi la questione della diversa datazione dell’Ultima Cena nei Sinottici e in Giovanni, optando per la versione giovannea: l’Ultima Cena avviene nell'antivigilia della Pasqua e Gesù viene crocifisso non nel giorno della festa, ma nella sua vigilia. “Ciò significa che Gesù è morto nell’ora in cui nel tempio venivano immolati gli agnelli pasquali”: Gesù in quella cena dona se stesso “come il vero Agnello, istituendo così la sua Pasqua”.

Nel Getsèmani Gesù sperimenta “l’abisso del peccato”. Si affida alla volontà del Padre. Pietro è contrario alla croce: un atteggiamento – scrive il Papa - che rispecchia “la tentazione continua dei cristiani, anzi anche della Chiesa: senza la croce arrivare al successo”. Gesù chiede ai discepoli di vegliare, ma invano. “La sonnolenza dei discepoli rimane lungo i secoli l’occasione favorevole per il potere del male”.

Parlando del processo a Gesù, il Papa sottolinea che a volere la sua morte non è stato “il popolo” degli Ebrei come tale, anche perché Gesù e gli stessi discepoli erano ebrei. Ad accusarlo era l’aristocrazia del tempio.

Durante il processo, Pilato chiede: “Che cos’è la verità?”. E come Pilato, in molti oggi accantonano la domanda sulla verità come “irrisolvibile” o “per lo più si prova fastidio per essa. Ma senza la verità – ricorda Benedetto XVI - l’uomo non coglie il senso della vita, lascia … il campo ai più forti” come dimostra la storia di tutte le dittature. La verità “diventa riconoscibile in Gesù Cristo”.

Gesù viene crocifisso: le sue prime parole sono parole di perdono per i crocifissori, perché “non sanno quello che fanno”. Questa richiesta del Signore “rimane una consolazione per tutti i tempi e per tutti gli uomini”, anche se l’ignoranza rivela spesso un’ottusità del cuore e altre volte si mescola con erudizione e conoscenza materiale.

Il buon ladrone “proprio sulla croce ha capito che quest’uomo privo di potere è il vero re”. “Il buon ladrone è … la certezza consolante che la misericordia di Dio può raggiungerci anche nell’ultimo istante; la certezza, anzi, che dopo una vita sbagliata, la preghiera che implora la sua bontà non è vana”.

Nella passione di Gesù, tutto lo sporco del mondo viene a contatto con l’immensamente Puro …Se di solito la cosa impura mediante il contatto contagia ed inquina la cosa pura, qui abbiamo il contrario … lo sporco del mondo viene realmente assorbito, annullato, trasformato mediante il dolore dell’amore infinito”. Così il Papa può affermare che “ il bene è sempre infinitamente più grande di tutta la massa del male, per quanto essa sia terribile”.

Gesù risorge. Senza fede nella risurrezione “la fede cristiana è morta”. “Solo se Gesù è risorto è avvenuto qualcosa di veramente nuovo che cambia il mondo e la situazione dell’uomo”. Non è stato il miracolo di un cadavere rianimato. “La risurrezione di Gesù … è una sorta di ‘mutazione decisiva’ … un salto di qualità … una possibilità che interessa tutti e apre un futuro, un nuovo genere di futuro per gli uomini”. I discepoli, testimoni della risurrezione, furono sopraffatti da una realtà che fino ad allora semplicemente non contemplavano. E “con un coraggio assolutamente nuovo si presentarono davanti al mondo per annunciare: Cristo è veramente risorto”. Nella risurrezione – scrive il Papa – “non può esserci alcun contrasto con ciò che costituisce un chiaro dato scientifico”. Ci viene semplicemente detto che “esiste un’ulteriore dimensione rispetto a quelle che finora conosciamo”. E ciò non è in contrasto con la scienza.

Con Giuda Taddeo il Papa si chiede perché Gesù si sia manifestato solo a pochi e non si sia opposto con tutta la sua potenza ai nemici che lo hanno crocifisso. “E’ proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell’umanità la sua storia … Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di ‘vedere’”. E’ questo lo stile divino: “non sopraffare con la potenza esteriore, ma dare libertà, donare e suscitare amore”.

Nel capitolo conclusivo il Papa descrive la gioia dei discepoli che nonostante l’ascensione di Gesù “non si sentono abbandonati … Sono sicuri che il Risorto … proprio ora è presente in mezzo a loro in una maniera nuova e potente”. Eppure, spesso, i discepoli di Gesù continuano ad aver paura, come gli apostoli sul Lago di Tiberiade durante la tempesta: “Anche oggi – afferma il Papa - la barca della Chiesa, col vento contrario della storia, naviga attraverso l’oceano agitato del tempo. Spesso si ha l’impressione che debba affondare. Ma il Signore è presente e viene nel momento opportuno … è questa – conclude Benedetto XVI - la fiducia dei cristiani, la ragione della nostra gioia”, nell’attesa che Gesù di nuovo verrà nella gloria.

Radio Vaticana


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STRALCI DALL'ULTIMO CAPITOLO DEL LIBRO:


La ragione permanente della gioia cristiana

Chiediamoci ora ancora una volta, in modo riassuntivo, di quale genere sia stato l'incontro con il Signore risorto. Sono importanti le seguenti distinzioni: Gesù non è uno che sia ritornato nella normale vita biologica e che poi, secondo le leggi della biologia, debba un giorno nuovamente morire.

Gesù non è un fantasma (uno «spirito»). Ciò significa: non è uno che, in realtà, appartiene al mondo dei morti, anche se può in qualche modo manifestarsi nel mondo della vita.

Gli incontri con il Risorto sono, però, anche una cosa diversa da esperienze mistiche, in cui lo spirito umano viene per un momento sollevato al di sopra di se stesso e percepisce il mondo del divino e dell'eterno, per poi ritornare nell'orizzonte normale della sua esistenza. L'esperienza mistica è un momentaneo superamento dell'ambito dell'anima e delle sue facoltà percettive. Ma non è un incontro con una persona che dall'esterno si avvicina a me. Paolo ha distinto molto chiaramente le sue esperienze mistiche -- come ad esempio la sua elevazione fino al terzo cielo descritta in 2 Corinzi, 12,1-4 -- dall'incontro con il Risorto sulla via di Damasco, che era un avvenimento nella storia, un incontro con una persona vivente.

In base a tutte queste notizie bibliche, che cosa possiamo ora dire veramente sulla peculiare natura della risurrezione di Cristo?

Essa è un evento dentro la storia che, tuttavia, infrange l'ambito della storia e va al di là di essa. Forse possiamo servirci di un linguaggio analogico, che sotto molti aspetti rimane inadeguato, ma può tuttavia aprire un accesso alla comprensione. Potremmo (come abbiamo già fatto anticipatamente nella prima sezione di questo capitolo) considerare la risurrezione quasi come una specie di radicale salto di qualità in cui si dischiude una nuova dimensione della vita, dell'essere uomini.

Anzi, la stessa materia viene trasformata in un nuovo genere di realtà. L'Uomo Gesù appartiene ora proprio anche con lo stesso suo corpo totalmente alla sfera del divino e dell'eterno. D'ora in poi -- dice una volta Tertulliano -- « spirito e sangue «hanno un posto in Dio (cfr. De resurrect. mort., 51, 3: CC lat., ii, 994). Anche se l'uomo, secondo la sua natura, è creato per l'immortalità, esiste solo ora il luogo in cui la sua anima immortale trova lo «spazio», quella «corporeità» in cui l'immortalità acquisisce senso in quanto comunione con Dio e con l'intera umanità riconciliata. Le Lettere di san Paolo dalla prigionia ai Colossesi (cfr. 1, 12-23) e agli Efesini (cfr. 1, 3-23) intendono questo, quando parlano del corpo cosmico di Cristo, indicando con ciò che il corpo trasformato di Cristo è anche il luogo in cui gli uomini entrano nella comunione con Dio e tra loro e così possono vivere definitivamente nella pienezza della vita indistruttibile. Siccome noi stessi non possediamo alcuna esperienza di un tale genere rinnovato e trasformato di materialità e di vita, non dobbiamo meravigliarci che questo vada al di là di ciò che possiamo immaginare.

È essenziale il fatto che con la risurrezione di Gesù non è stato rivitalizzato un qualsiasi singolo morto in un qualche momento, ma nella risurrezione è avvenuto un salto ontologico che tocca l'essere come tale, è stata inaugurata una dimensione che ci interessa tutti e che ha creato per tutti noi un nuovo ambito della vita, dell'essere con Dio.

A partire da lì bisogna anche affrontare la questione circa la risurrezione quale avvenimento storico. Da una parte, dobbiamo dire che l'essenza della risurrezione sta proprio nel fatto che essa infrange la storia e inaugura una nuova dimensione che noi comunemente chiamiamo la dimensione escatologica. La risurrezione dischiude lo spazio nuovo che apre la storia al di là di se stessa e crea il definitivo. In questo senso è vero che la risurrezione non è un avvenimento storico dello stesso genere della nascita o della crocifissione di Gesù. Essa è qualcosa di nuovo, un genere nuovo di evento.

Bisogna, però, al tempo stesso prendere atto del fatto che essa non sta semplicemente al di fuori o al di sopra della storia. Come eruzione dalla storia che la supera, la risurrezione prende tuttavia il suo inizio nella storia stessa e fino a un certo punto le appartiene. Si potrebbe forse esprimere tutto questo così: la risurrezione di Gesù va al di là della storia, ma ha lasciato una sua impronta nella storia. Per questo può essere attestata da testimoni come un evento di una qualità tutta nuova.

Di fatto, l'annuncio apostolico col suo entusiasmo e con la sua audacia è impensabile senza un contatto reale dei testimoni con il fenomeno totalmente nuovo ed inaspettato che li toccava dall'esterno e consisteva nel manifestarsi e nel parlare del Cristo risorto. Solo un avvenimento reale di una qualità radicalmente nuova era in grado di rendere possibile l'annuncio apostolico, che non è spiegabile con speculazioni o esperienze interiori, mistiche. Nella sua audacia e novità, esso prende vita dalla forza impetuosa di un avvenimento che nessuno aveva ideato e che andava al di là di ogni immaginazione.

Alla fine, però, per tutti noi rimane sempre la domanda che Giuda Taddeo rivolse a Gesù nel cenacolo: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?» (Gv, 14, 22). Sì, perché non ti sei opposto con potenza ai tuoi nemici che ti hanno portato sulla croce? -- così vorremmo domandare. Perché non hai con vigore inconfutabile dimostrato loro che tu sei il Vivente, il Signore della vita e della morte? Perché ti sei mostrato solo a un piccolo gruppo di discepoli della cui testimonianza noi dobbiamo ora fidarci?

La domanda riguarda, però, non soltanto la risurrezione, ma l'intero modo in cui Dio si rivela al mondo. Perché solo ad Abramo -- perché non ai potenti del mondo? Perché solo a Israele e non in modo indiscutibile a tutti i popoli della terra?

È proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande storia dell'umanità la sua storia. Diventa uomo ma in modo da poter essere ignorato dai contemporanei, dalle forze autorevoli della storia. Patisce e muore e, come Risorto, vuole arrivare all'umanità soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta. Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di « vedere».

E tuttavia -- non è forse proprio questo lo stile divino? Non sopraffare con la potenza esteriore, ma dare libertà, donare e suscitare amore. E ciò che apparentemente è così piccolo non è forse -- pensandoci bene -- la cosa veramente grande? Non emana forse da Gesù un raggio di luce che cresce lungo i secoli, un raggio che non poteva provenire da nessun semplice essere umano, un raggio mediante il quale entra veramente nel mondo lo splendore della luce di Dio? Avrebbe potuto, l'annuncio degli apostoli, trovar fede ed edificare una comunità universale, se non avesse operato in esso la forza della verità?

Se ascoltiamo i testimoni col cuore attento e ci apriamo ai segni con cui il Signore accredita sempre di nuovo loro e se stesso, allora sappiamo: Egli è veramente risorto. Egli è il Vivente. A Lui ci affidiamo e sappiamo di essere sulla strada giusta. Con Tommaso mettiamo le nostre mani nel costato trafitto di Gesù e professiamo: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv, 20, 28).

Possiamo dunque pregare per la venuta di Gesù? Possiamo dire con sincerità: «Marana tha! -- Vieni, Signore Gesù!»? Sì, lo possiamo. Non solo: lo dobbiamo! Chiediamo anticipazioni della sua presenza rinnovatrice del mondo. In momenti di tribolazione personale lo preghiamo: Vieni, Signore Gesù, e accogli la mia vita nella presenza del tuo potere benigno. Gli chiediamo di rendersi vicino a persone che amiamo o per le quali siamo preoccupati. Lo preghiamo di rendersi efficacemente presente nella sua Chiesa.

Ritorniamo ancora una volta alla conclusione del Vangelo di Luca. Gesù condusse i suoi vicino a Betània, ci viene detto. «Alzate le mani, li benedisse.

Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo» (24, 50s). Gesù parte benedicendo.

Benedicendo se ne va e nella benedizione Egli rimane. Le sue mani restano stese su questo mondo. Le mani benedicenti di Cristo sono come un tetto che ci protegge. Ma sono al contempo un gesto di apertura che squarcia il mondo affinché il cielo penetri in esso e possa diventarvi una presenza.

Nel gesto delle mani benedicenti si esprime il rapporto duraturo di Gesù con i suoi discepoli, con il mondo. Nell'andarsene Egli viene per sollevarci al di sopra di noi stessi ed aprire il mondo a Dio. Per questo i discepoli poterono gioire, quando da Betània tornarono a casa. Nella fede sappiamo che Gesù, benedicendo, tiene le sue mani stese su di noi. È questa la ragione permanente della gioia cristiana.

Joseph Ratzinger-Benedetto XVI 

Editrice Vaticana



Buona lettura a tutti!



[Modificato da Caterina63 11/03/2011 17:21]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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