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Cardinale Rafael Merry del Val, Segretario di Stato di Papa Pio X

Ultimo Aggiornamento: 15/07/2013 14:35
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A ottant'anni dalla morte del cardinale Rafael Merry del Val segretario di Stato di Pio X

La politica della retta via


di Gianpaolo Romanato

Pio X e Rafael Merry del Val. È difficile immaginare due personalità più diverse. Il primo era nato nella campagna veneta da una modestissima famiglia che conobbe gli stenti e probabilmente anche la fame. Studiò grazie a una borsa di studio e trascorse tutta la vita, prima dell'elezione al papato, in mezzo alla povera gente, tra canoniche di paese e curie di provincia, lontano dalla ribalta e dai luoghi del potere. Il secondo veniva invece da una delle famiglie più blasonate del continente, aveva ricevuto un'educazione cosmopolita e poliglotta, era di casa nelle ambasciate e negli ambienti più esclusivi di ogni capitale d'Europa.
 
Le loro vite, che parevano fatte solo per divergere, si incrociarono quasi casualmente e finirono per intrecciarsi a un punto tale che è difficile disgiungerle anche oggi.
 
L'incontro avvenne durante il drammatico conclave del 1903, quello del veto austriaco all'elezione del cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, che nell'arco di quattro giorni, al settimo scrutinio, portò al papato, col nome di Pio X, il semisconosciuto patriarca di Venezia Giuseppe Sarto. Una singolare coincidenza aveva fatto sì che il segretario della Concistoriale, che era anche segretario del Sacro Collegio, e quindi del conclave, monsignor Alessandro Volpini, fosse deceduto quasi nelle stesse ore in cui moriva Leone XIII. In tutta fretta i cardinali scelsero come suo successore proprio Merry del Val, in quel momento presidente della Pontificia Accademia dei Nobili Ecclesiastici, da soli tre anni elevato all'episcopato.

La scelta era avvenuta in una rosa di tre nomi. I due candidati scartati erano il sostituto alla Segreteria di Stato Giacomo Della Chiesa, futuro Benedetto XV, e Pietro Gasparri, allora segretario agli Affari ecclesiastici straordinari. La preferenza accordata al più giovane e al meno titolato dei tre fu interpretata come la prima sconfitta della linea Rampolla, preannuncio di quanto sarebbe avvenuto in conclave.
 
Su Merry, privo del diritto di voto non essendo cardinale, cadde così la gravosa incombenza di preparare e condurre il più difficile conclave degli ultimi due secoli - il suo diario di quei giorni è stato pubblicato da Luciano Trincia nel volume Conclave e potere politico (Studium, 2004). Sarto lo conobbe allora, ebbe modo di valutarlo mentre maturavano le circostanze della sua elezione e, poche ore dopo essere diventato Papa, gli comunicò, lasciandolo stupefatto, la decisione di trattenerlo come pro-segretario di Stato. "Per ora non ho nessuno - gli avrebbe detto - rimanga con me. Poi vedremo".
 
La designazione per il ruolo chiave del Pontificato di questo spagnolo - primo non italiano a guidare la Segreteria di Stato - di trentotto anni, che avrebbe potuto essere figlio del Papa sessantottenne, suscitò commenti e riserve che pesarono sulle vicende successive più di quanto non si sia detto. Dopo soltanto due mesi di prova Pio X sciolse la riserva e il 18 ottobre lo nominò segretario di Stato, elevandolo anche alla porpora cardinalizia. Da quel momento la vita di Merry del Val non si sarebbe più disgiunta da quella del Pontefice.

Chi era Rafael Merry del Val, di cui ricordiamo oggi l'ottantesimo anniversario della morte? Nato nel 1865 a Londra, dove il padre era ambasciatore di Spagna, crebbe tra Inghilterra e Belgio e nel 1885 fu inviato a Roma dall'arcivescovo di Westminster, il cardinale Herbert Vaughan, per completare la preparazione al sacerdozio nel Pontificio Collegio Scozzese. Qui iniziò una delle più rapide carriere di tutta la storia ecclesiastica.

Secondo il suo biografo Pio Cenci, sarebbe stato il Papa in persona a imporlo all'Accademia dei Nobili Ecclesiastici e a utilizzarlo per missioni diplomatiche in Inghilterra, Germania e Austria prima ancora della consacrazione sacerdotale. Conosceva perfettamente le principali lingue europee, ma non basta certo la perizia linguistica a giustificare tanta attenzione. In una Curia pontificia che stava faticosamente cercando di recuperare ruolo e rango internazionali dopo il disastro del 1870, il rampollo dell'insigne famiglia inglese dei Merry e dell'ancor più illustre casata spagnola dei del Val doveva aver dato prova di capacità fuori dal comune per bruciare le tappe con tanta rapidità.

Dopo la laurea alla Gregoriana, divenne uno dei personaggi più influenti e ascoltati della Roma pontificia, soprattutto per i problemi che riguardavano l'anglicanesimo. La perfetta conoscenza dell'ambiente e della lingua, i frequenti viaggi oltre Manica e la stima del cardinale Vaughan gli conferirono grande autorevolezza.

Investito da Leone XIII della spinosa questione delle ordinazioni anglicane - si era agli inizi, ancora incerti e tentennanti, del cammino ecumenico - portò la Santa Sede al responso negativo, poi ufficializzato nel settembre 1896, con la bolla Apostolicae curae, della quale fu il principale estensore. Sulla base di una prassi vecchia ormai di trecento anni e di una minuziosa indagine storica, Leone XIII confermava la "nullità" delle "ordinazioni compiute con rito anglicano", negando con ciò la successione apostolica di tali vescovi.

Il riavvicinamento degli anglicani ai cattolici, che era in atto da tempo, subiva così una battuta d'arresto, mentre il giovane prelato si accreditava come il portavoce di una linea di austerità dottrinale diversa, se non alternativa, a quella politica di Rampolla, il segretario di Stato di Papa Pecci.

L'anno seguente compì una lunga missione in Canada, in qualità di delegato apostolico.
Contesa fra le opposte tentazioni dell'arroccamento e del cedimento, la giovane cattolicità locale aveva chiesto aiuto a Roma. Merry vi si mosse con equilibrio, soprattutto in relazione al problema delle scuole cattoliche nel Manitoba, e ne ebbe pubblico riconoscimento dal Papa nell'enciclica Affari vos (dicembre 1897).

Con parole del tutto inusuali in un documento ufficiale, Leone scrisse che "il nostro Delegato apostolico ha adempiuto perfettamente e fedelmente ciò per cui lo avevamo mandato". Rientrato a Roma fu posto a capo dell'Accademia dei nobili ecclesiastici e nominato vescovo. La sua rapidissima ascesa era dovuta a una solida preparazione storico-giuridica, a un'innata capacità di relazionarsi con chiunque, alla "sveltezza", come dirà poi Benedetto XV, con cui risolveva i problemi. Ma era noto a tutti che il capace diplomatico era un prete di grande pietà, con abitudini monastiche e un'austera, ascetica disciplina di vita.

Nel 1903, come si è prima ricordato, avvenne il balzo decisivo al vertice dell'organigramma vaticano, favorito prima dalla morte imprevista di monsignor Alessandro Volpini - non aveva ancora sessant'anni - e poi dalla scelta inattesa del neoeletto Pio X. Al nuovo Papa, eletto proprio per mitigare l'eccessiva esposizione politica della Santa Sede avvenuta durante la gestione Rampolla, Merry del Val, notoriamente estraneo a quella gestione, apparve l'uomo adatto a imprimere la svolta.

Si muoveva con disinvoltura nel mondo diplomatico, maneggiava i problemi della politica internazionale, conosceva perfettamente la Curia romana. Possedeva insomma tutto ciò che faceva difetto al Papa. Nominandolo segretario di Stato, Pio X contava su tutto questo. Ma contava anche sulla sua giovane età e sulla sua illimitata devozione al papato:  sarebbe stato un fedele collaboratore che mai gli si sarebbe contrapposto. Sicuramente, però, Pio X aveva tenuto conto anche di un'altra qualità di Merry del Val:  la sua vita di pietà.

L'elogio che Sarto gli rivolse l'11 novembre 1903, giorno dell'imposizione della berretta rossa, è talmente inusuale, anche nel linguaggio, che merita di essere riportato per intero:  "Il buon odore di Cristo, signor cardinale, che avete diffuso in tutti i luoghi, anche nella vostra temporanea dimora, e le opere molteplici di carità, alle quali continuamente nei ministeri sacerdotali vi siete dedicato, specialmente in questa nostra città di Roma, vi acquistarono, con l'ammirazione, la stima universale". La valutazione positiva del Pontefice, più che alle capacità politiche del collaboratore, era rivolta al suo mondo morale, alle opere di carità fra i ragazzi del quartiere di Trastevere nelle quali si spendeva senza risparmio. Un Papa essenzialmente religioso si scelse un segretario di Stato con le sue stesse caratteristiche.

Le vicende del pontificato di Pio X sono note. I rapporti con gli Stati si deteriorarono un po' dovunque, fino ad aperte rotture. Il caso più noto è quello della Francia, dove nel dicembre del 1905 fu votata la legge di separazione fra Chiesa e Stato. Sei anni dopo toccò al Portogallo, che varò una legge ancora più brutale. Tensioni analoghe si ebbero in vari Paesi latino-americani. Il Papa non fece molto per modificare il corso degli eventi. Protestò, scrisse encicliche molto forti, ma si guardò bene dal tentare vie diplomatiche.

Nel caso francese, la legge prevedeva che le cosiddette associazioni cultuali, dalle quali era esclusa la gerarchia ecclesiastica, gestissero le proprietà della Chiesa, diventando un polo alternativo ai vescovi. L'obiettivo di scardinare la costituzione gerarchica della Chiesa era evidente, anche se non tutti l'avevano percepito. Il Papa colse perfettamente il nocciolo del problema e oppose un netto rifiuto. Fu un vero e proprio legal suicide, come è stato detto, dal momento che la Chiesa di Francia, costretta da Roma a non accettare la legge - il Pontefice scrisse in meno di un anno, tra il 1906 e il 1907, ben tre encicliche dedicate al caso francese - perdette la personalità giuridica e con essa l'intero suo patrimonio, a partire dalle chiese dove si svolgevano quotidianamente le funzioni religiose.

Ma riguadagnò la propria libertà e il pieno controllo delle nomine vescovili, fino a quel momento demandato allo Stato, in forza del concordato napoleonico. La scelta di Pio X - tra il "bene" e i "beni" della Chiesa ho scelto il primo, avrebbe detto il Papa - che otterrà a posteriori il plauso di Aristide Briand, l'ispiratore della legge - "il papa è stato il solo a vederci chiaro", scrisse - aveva cancellato con un colpo solo tre secoli di gallicanesimo, di chiesa nazionale, riportando la cattolicità francese, anche disciplinarmente, alla piena fedeltà romana.

Fu una svolta fondamentale - "evento doloroso e traumatizzante", l'ha definita Giovanni Paolo II nella lettera ai vescovi francesi scritta in occasione del centenario della legge - che spiazzò i contemporanei e continua a dividere gli storici. Fu questa l'occasione che fece emergere quell'idealismo antitemporalistico, come è stato definito, che, a giudizio di vari studiosi, sarebbe l'aspetto veramente rivoluzionario del pontificato, la grande novità nel rapporto tra Chiesa e mondo emersa nel decennio di Pio X e di Merry del Val.

Con Pio X finisce insomma un'intera stagione nella storia della Chiesa, quella delle interferenze con la politica, degli intrecci diplomatici, delle tardive connessioni fra troni e altari, dei "vescovi in cilindro" e dei "cardinali di corte", delle contrapposizioni verso alcuni Stati e delle concessioni ad altri. Diversamente dal suo predecessore, non fece mai "politica estera", non tentò mai di indebolire sul piano internazionale i paesi che si dimostravano avversi alla Chiesa, non cercò mai di sfruttare a proprio vantaggio le rivalità, gli interessi e le alleanze delle varie nazioni. E questa linea, che non ha ancora ottenuto dagli storici l'attenzione che merita, non era un ripiegamento tattico ma una precisa scelta strategica, come disse un giorno al futuro cardinale Nicola Canali, allora giovane minutante di curia:  "Lei è giovane, ma si ricordi sempre che la politica della Chiesa è quella di non fare politica e di andare sempre per la retta via".

Merry del Val coadiuvò lealmente e convintamente questa politica, come pure le scelte pìane di radicale rinnovamento della Chiesa, dalla soppressione del diritto di veto, alla riforma della Curia, alla codificazione del diritto canonico. Il rifacimento della Curia romana, varato nel 1908, riguardò direttamente le sue competenze, che vennero ampliate, ma all'interno di un disegno di governo nel quale la Segreteria di Stato era solo il penultimo dei cinque uffici vaticani.

Il cuore della Chiesa di Pio X non era la Segreteria di Stato, come avverrà con la riforma di Paolo VI, sessant'anni dopo. Il cuore era rappresentato dalle undici congregazioni, in cima alle quali era posto il Sant'Ufficio. Forse è questa la ragione per cui il ruolo di Merry coincide fin quasi a confondersi con quello del Papa, diversamente da quello dei suoi predecessori e successori. Facendo poca o nessuna politica e badando a governare e rinnovare la Chiesa, Pio X tolse alla Segreteria di Stato molto di quello spazio che la rendeva un attore autonomo e ne rafforzò il legame con il papato stesso.

Questo legame divenne ancora più serrato nel corso della vicenda modernista, apparsa finora agli storici il vero punctum dolens del pontificato di Giuseppe Sarto. Su questo snodo si è scritto molto, e uno dei punti finora irrisolti riguarda proprio l'operato del segretario di Stato. Ma che Merry sia stato protagonista o comprimario, esecutore o ispiratore non sembra un elemento decisivo di giudizio. Decisivo è il fatto che fu pienamente partecipe della linea antimodernista del Papa, convinto sostenitore della necessità di fermare le istanze di rinnovamento nelle quali entrambi vedevano il rischio incombente di una catastrofica crisi di fede.

Era inevitabile che un segretario di Stato così strettamente identificato con il Pontefice che aveva servito non venisse confermato dal suo successore. Appena eletto Papa, il 3 settembre 1914, Benedetto XV nominò, infatti, prima il cardinal Domenico Ferrata, che morì quasi subito, e poi Pietro Gasparri. Ritroviamo così alla guida della Chiesa i due vescovi che erano stati scavalcati da Merry del Val nel conclave del 1903.

Per l'antico segretario di Stato, i sedici anni che gli rimasero da vivere dovettero essere un periodo difficile. Da Benedetto XV ebbe lo stesso trattamento che Pio X aveva riservato dieci anni prima a Rampolla:  divenne segretario del Sant'Ufficio - la prefettura di questa Congregazione era allora prerogativa del Pontefice - funzione che conservò fino alla morte improvvisa, avvenuta il 26 febbraio del 1930.

Nei confronti di Pio X conservò una devozione illimitata:  fu all'origine della petizione che ne avviò la canonizzazione; il 20 di ogni mese, giorno del decesso del Papa, celebrava una messa in suo suffragio; chiese di essere sepolto "il più vicino possibile al mio amatissimo Padre e Pontefice Pio X". Ma il suo tempo era ormai tramontato, anche se nel 1953, durante il pontificato di Pio XII, che aveva iniziato la carriera proprio alle sue dipendenze, fu avviato anche per lui il processo canonico, in coincidenza con la glorificazione di Pio X, proclamato beato nel 1951 e santo nel 1954.


(©L'Osservatore Romano - 26 febbraio 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Ecco un perfetto segretario di Stato. Ma è di un secolo fa

Si chiamava Rafael Merry del Val e Pio X lo volle al suo fianco. Raramente una nomina fu così riuscita. Lo storico Gianpaolo Romanato ne traccia il profilo. Che induce a un confronto con la curia vaticana di oggi

di Sandro Magister




ROMA, 4 marzo 2010 – Nell'ottantesimo anniversario della morte, "L'Osservatore Romano" ha pubblicato un affascinante profilo del cardinale Rafael Merry del Val, segretario di Stato di san Pio X dal 1903 al 1914.

Affascinante per come mette in luce la grandezza del personaggio, i suoi talenti fuori dal comune, la bravura nel capire e attuare gli indirizzi del papa, la santità di vita.

Autore del ritratto è Gianpaolo Romanato, docente di storia della Chiesa all'Università di Padova, membro del pontificio comitato di scienze storiche, uno dei maggiori studiosi dei papi tra Ottocento e Novecento.

Merry del Val esempio di perfetto segretario di Stato? Il paragone sorge spontaneo, tra un secolo fa e oggi.

*

I segretari di Stato più famosi sono abitualmente associati ad eventi e papi dell'epoca: Ercole Consalvi a Napoleone e alla restaurazione, Giacomo Antonelli a Pio IX e alla condanna del liberalismo, Mariano Rampolla a Leone XIII e alla sua politica "realista", Merry del Val alla condanna del modernismo, Pietro Gasparri al concordato con l'Italia di Mussolini, Eugenio Pacelli alla Germania di Hitler.

Pacelli fu l'unico a essere poi eletto papa, col nome di Pio XII. E per molti anni neppure nominò un proprio segretario di Stato. Al suo posto si avvalse di due provetti collaboratori: Domenico Tardini e Giovanni Battista Montini. Il primo divenne poi segretario di Stato con Giovanni XXIII. Il secondo diventò papa col nome di Paolo VI. E da papa cambiò la struttura della curia, al cui vertice pose proprio la segreteria di Stato.

Da Paolo VI in poi, è il segretario di Stato a fare da filtro tra la curia e il papa. Gli atti di tutti gli uffici vaticani passano da lui. E a questa carica papa Montini chiamò nel 1969 un cardinale francese cresciuto lontano dalla curia, Jean Villot.

Con Giovanni Paolo II, la segreteria di Stato ritorna a un diplomatico di primo rango, Agostino Casaroli, universalmente ricordato come il tessitore della politica vaticana con i paesi comunisti.

Viene dalla diplomazia anche il successore di questi, Angelo Sodano, segretario di Stato dal 1991. Ma di lui non si ricorda nulla di significativo. Piuttosto, con Sodano la curia – del tutto trascurata da papa Karol Wojtyla – vive una rapida decadenza, in un crescente disordine. Al quale sopperisce il maggior potere assunto di fatto dal segretario personale del papa, il polacco Stanislaw Dziwisz.

Con Benedetto XVI, infine, diventa segretario di Stato il cardinale Tarcisio Bertone, già suo collaboratore alla congregazione per la dottrina della fede. Il nuovo segretario personale del papa, il tedesco Georg Gänswein, si attiene strettamente al suo ruolo. E altrettanto fa il portavoce della Santa Sede, che non è più l'esuberante Joaquín Navarro-Valls, ma il misurato gesuita Federico Lombardi.

A questo riordino dei ruoli non corrisponde però una ripresa d'efficienza della macchina curiale. Il passaggio delle consegne tra Sodano e Bertone, nel settembre del 2006, coincide con la controversa lezione di papa Joseph Ratzinger a Ratisbona; né l'uno né l'altro brillano nel governarne i contraccolpi politici e religiosi.

Negli anni successivi, più volte Benedetto XVI si trova mal sostenuto. Pur devotissimo al papa, il volenteroso cardinale Bertone mostra di non saper sempre pilotare a suo servizio la curia.

Il caso più clamoroso di disordine esplode nei primi mesi del 2009, quando è revocata la scomunica ai vescovi lefebvriani senza che alla Chiesa e al mondo venga spiegato perché. Deve intervenire il papa in persona a riparare il disastro di comunicazione e di governo. E lo fa con la lettera ai vescovi del 10 marzo 2009, che è anche una severa denuncia della confusione che alligna nella gerarchia e nella stessa curia.

Per questa e per altre burrasche, l'anno trascorso sarà ricordato come "annus horribilis" della segreteria Bertone, sia dentro il Vaticano che fuori, visti gli attriti tra la segreteria di Stato e vari episcopati nazionali tra i più forti e fedeli al papa, in Italia, negli Stati Uniti, in Brasile.

*

Al confronto, dunque, l'armonica e fattiva sinfonia che intercorreva un secolo fa tra un papa come Pio X e un segretario di Stato come Merry del Val sembra risuonare da un altro pianeta.

E la cosa tanto più sorprende per l'affinità tra quel papa e quello di oggi. Entrambi poco o per niente politici e invece concentratissimi sulla loro missione religiosa, in risposta a una diffusa crisi di fede anch'essa con molti tratti in comune.

Ecco qui di seguito chi fu e come agì quel grande segretario di Stato, rispetto al quale il papa non si ritrovò mai solo.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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IL CARDINALE RAFAEL MERRY DEL VAL, SEGRETARIO DI STATO DI PIO X.
 

UN PROFILO

di Gianpaolo Romanato


Pio X e Rafael Merry del Val. È difficile immaginare due personalità più diverse. Il primo era nato nella campagna veneta da una modestissima famiglia che conobbe gli stenti e probabilmente anche la fame. Studiò grazie a una borsa di studio e trascorse tutta la vita, prima dell'elezione al papato, in mezzo alla povera gente, tra canoniche di paese e curie di provincia, lontano dalla ribalta e dai luoghi del potere.

Il secondo veniva invece da una delle famiglie più blasonate del continente, aveva ricevuto un'educazione cosmopolita e poliglotta, era di casa nelle ambasciate e negli ambienti più esclusivi di ogni capitale d'Europa.

Le loro vite, che parevano fatte solo per divergere, si incrociarono quasi casualmente e finirono per intrecciarsi a un punto tale che è difficile disgiungerle anche oggi.


DA SEGRETARIO DEL CONCLAVE A SEGRETARIO DI STATO


L'incontro avvenne durante il drammatico conclave del 1903, quello del veto dell'Austria all'elezione del cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, che nell'arco di quattro giorni, al settimo scrutinio, portò al papato, col nome di Pio X, il semisconosciuto patriarca di Venezia Giuseppe Sarto.

Una singolare coincidenza aveva fatto sì che il segretario della congregazione concistoriale, che era anche segretario del collegio dei cardinali e quindi del conclave, monsignor Alessandro Volpini, fosse deceduto quasi nelle stesse ore in cui era morto Leone XIII. In tutta fretta i cardinali scelsero come suo successore proprio Merry del Val, in quel momento presidente della pontificia accademia dei nobili ecclesiastici, da soli tre anni ordinato vescovo.

La scelta era avvenuta in una rosa di tre nomi. I due candidati scartati erano il sostituto alla segreteria di Stato Giacomo Della Chiesa, futuro Benedetto XV, e Pietro Gasparri, allora segretario agli affari ecclesiastici straordinari. La preferenza accordata al più giovane e al meno titolato dei tre fu interpretata come la prima sconfitta della linea Rampolla, preannuncio di quanto sarebbe avvenuto in conclave.

Su Merry del Val, privo del diritto di voto non essendo cardinale, cadde così la gravosa incombenza di preparare e condurre il più difficile conclave degli ultimi due secoli.

Sarto lo conobbe allora, ebbe modo di valutarlo mentre maturavano le circostanze della sua elezione e, poche ore dopo essere diventato papa, gli comunicò, lasciandolo stupefatto, la decisione di trattenerlo come pro-segretario di Stato. "Per ora non ho nessuno", gli avrebbe detto. "Rimanga con me. Poi vedremo".

La designazione per il ruolo chiave del pontificato di questo spagnolo – primo non italiano a guidare la segreteria di Stato – di soli trentotto anni, che avrebbe potuto essere figlio del papa sessantottenne, suscitò commenti e riserve che pesarono sulle vicende successive. Dopo soltanto due mesi di prova Pio X sciolse la riserva e il 18 ottobre 1903 lo nominò segretario di Stato, elevandolo anche alla porpora cardinalizia. Da quel momento la vita di Merry del Val non si sarebbe più disgiunta da quella del pontefice.


DA FIGLIO DI AMBASCIATORE AD AMBASCIATORE DEL PAPA


Chi era Rafael Merry del Val, di cui ricordiamo l'ottantesimo anniversario della morte? Nato nel 1865 a Londra, dove il padre era ambasciatore di Spagna, crebbe tra Inghilterra e Belgio e nel 1885 fu inviato a Roma dall'arcivescovo di Westminster, il cardinale Herbert Vaughan, per completare la preparazione al sacerdozio nel Pontificio Collegio Scozzese.

Qui iniziò una delle più rapide carriere di tutta la storia ecclesiastica. Secondo il suo biografo Pio Cenci, sarebbe stato Leone XIII in persona a imporlo all'accademia dei nobili ecclesiastici e a utilizzarlo per missioni diplomatiche in Inghilterra, Germania e Austria prima ancora della consacrazione sacerdotale. Conosceva perfettamente le principali lingue europee, ma non basta certo la perizia linguistica a giustificare tanta attenzione. In una curia che stava faticosamente cercando di recuperare ruolo e rango internazionali dopo la perdita dello Stato pontificio nel 1870, il rampollo dell'insigne famiglia inglese dei Merry e dell'ancor più illustre casata spagnola dei del Val doveva aver dato prova di capacità fuori dal comune per bruciare le tappe con tanta rapidità.

Dopo la laurea alla Pontificia Università Gregoriana, divenne uno dei personaggi più influenti e ascoltati della Roma pontificia, soprattutto per i problemi che riguardavano l'anglicanesimo. La perfetta conoscenza dell'ambiente e della lingua, i frequenti viaggi oltre Manica e la stima del cardinale Vaughan gli conferirono grande autorevolezza.

Investito da Leone XIII della spinosa questione della validità delle ordinazioni anglicane – si era agli inizi, ancora incerti e tentennanti, del cammino ecumenico – portò la Santa Sede al responso negativo, poi ufficializzato nel settembre 1896, con la bolla "Apostolicae curae", della quale fu lui il principale estensore. Sulla base di una prassi vecchia ormai di trecento anni e di una minuziosa indagine storica, Leone XIII confermava la "nullità" delle "ordinazioni compiute con rito anglicano", negando con ciò la successione apostolica di tali vescovi. Il riavvicinamento degli anglicani ai cattolici, che era in atto da tempo, subiva così una battuta d'arresto, mentre il giovane prelato si accreditava come il portavoce di una linea di austerità dottrinale diversa, se non alternativa, a quella politica di Rampolla, il segretario di Stato di allora.

L'anno seguente compì una lunga missione in Canada, in qualità di delegato apostolico. Contesa fra le opposte tentazioni dell'arroccamento e del cedimento, la giovane cattolicità canadese aveva chiesto aiuto a Roma. Merry del Val vi si mosse con equilibrio, soprattutto in relazione al problema delle scuole cattoliche nel Manitoba, e ne ebbe pubblico riconoscimento dal papa nell'enciclica "Affari vos" del dicembre 1897. Con parole del tutto inusuali in un documento ufficiale, Leone scrisse che "il nostro delegato apostolico ha adempiuto perfettamente e fedelmente ciò per cui lo avevamo mandato".

Rientrato a Roma fu posto a capo dell'accademia dei nobili ecclesiastici e nominato vescovo. La sua rapidissima ascesa era dovuta a una solida preparazione storico-giuridica, a un'innata capacità di relazionarsi con chiunque, alla "sveltezza", come dirà poi Benedetto XV, con cui risolveva i problemi.

Ma era noto a tutti che il capace diplomatico era un prete di grande pietà, con abitudini monastiche e un'austera, ascetica disciplina di vita.

Nel 1903, come si è prima ricordato, avvenne il balzo decisivo al vertice dell'organigramma vaticano, favorito prima dalla morte imprevista di monsignor Alessandro Volpini – non aveva ancora sessant'anni – e poi dalla scelta inattesa del neoeletto Pio X.


L'UOMO GIUSTO PER UN PAPA POCO POLITICO E MOLTO RELIGIOSO


Al nuovo papa, eletto proprio per mitigare l'eccessiva esposizione politica della Santa Sede avvenuta durante la gestione Rampolla, Merry del Val, notoriamente estraneo a quella gestione, apparve l'uomo adatto a imprimere la svolta.

Si muoveva con disinvoltura nel mondo diplomatico, maneggiava i problemi della politica internazionale, conosceva perfettamente la curia romana. Possedeva insomma tutto ciò che faceva difetto al papa. Nominandolo segretario di Stato, Pio X contava su tutto questo. Ma contava anche sulla sua giovane età e sulla sua illimitata devozione al papato: sarebbe stato un fedele collaboratore che mai gli si sarebbe contrapposto.

Sicuramente, però, Pio X aveva tenuto conto anche di un'altra qualità di Merry del Val: la sua vita di pietà. L'elogio che papa Giuseppe Sarto gli rivolse l'11 novembre 1903, giorno dell'imposizione della berretta cardinalizia, è talmente inusuale, anche nel linguaggio, che merita di essere riportato per intero: "Il buon odore di Cristo, signor cardinale, che avete diffuso in tutti i luoghi, anche nella vostra temporanea dimora, e le opere molteplici di carità, alle quali continuamente nei ministeri sacerdotali vi siete dedicato, specialmente in questa nostra città di Roma, vi acquistarono, con l'ammirazione, la stima universale".

La valutazione positiva del pontefice, più che alle capacità politiche del suo collaboratore, era rivolta al suo mondo morale, alle opere di carità fra i ragazzi del quartiere di Trastevere nelle quali si spendeva senza risparmio. Un papa essenzialmente religioso si scelse un segretario di Stato con le sue stesse caratteristiche.

Le vicende del pontificato di Pio X sono note. I rapporti con gli Stati si deteriorarono un po' dovunque, fino ad aperte rotture. Il caso più noto è quello della Francia, dove nel dicembre del 1905 fu votata la legge di separazione fra Chiesa e Stato. Sei anni dopo toccò al Portogallo, che varò una legge ancora più brutale. Tensioni analoghe si ebbero in vari paesi latino-americani. Il papa non fece molto per modificare il corso degli eventi. Protestò, scrisse encicliche molto forti, ma si guardò bene dal tentare vie diplomatiche.

Nel caso francese, la legge prevedeva che le cosiddette associazioni di culto, dalle quali era esclusa la gerarchia ecclesiastica, gestissero le proprietà della Chiesa, diventando un polo alternativo ai vescovi. L'obiettivo di scardinare la costituzione gerarchica della Chiesa era evidente, anche se non tutti l'avevano percepito.

Il papa colse perfettamente il nocciolo del problema e oppose un netto rifiuto. Fu un vero e proprio "legal suicide", come è stato detto, dal momento che la Chiesa di Francia, costretta da Roma a non accettare la legge – il pontefice scrisse in meno di un anno, tra il 1906 e il 1907, ben tre encicliche dedicate al caso francese – perdette la personalità giuridica e con essa l'intero suo patrimonio, a partire dalle chiese dove si svolgevano quotidianamente le funzioni religiose.

Ma così la Chiesa di Francia riguadagnò la propria libertà e il pieno controllo delle nomine vescovili, fino a quel momento demandato allo Stato in forza del concordato napoleonico. La scelta di Pio X – tra il "bene" e i "beni" della Chiesa ho scelto il primo, avrebbe detto il papa – che otterrà a posteriori il plauso di Aristide Briand, l'ispiratore della legge – "il papa è stato il solo a vederci chiaro" – aveva cancellato d'un solo colpo tre secoli di gallicanesimo, di Chiesa nazionale, riportando la cattolicità francese, anche disciplinarmente, alla piena fedeltà a Roma.

Fu una svolta fondamentale – "evento doloroso e traumatizzante", l'ha definita Giovanni Paolo II nella lettera ai vescovi francesi scritta in occasione del centenario della legge – che spiazzò i contemporanei e continua a dividere gli storici. Fu questa l'occasione che fece emergere quell'idealismo antitemporalistico che, a giudizio di vari studiosi, sarebbe l'aspetto veramente rivoluzionario del pontificato, la grande novità nel rapporto tra Chiesa e mondo emersa nel decennio di Pio X e di Merry del Val.

Con Pio X finisce insomma un'intera stagione nella storia della Chiesa, quella delle interferenze con la politica, degli intrecci diplomatici, delle tardive connessioni fra troni e altari, dei "vescovi in cilindro" e dei "cardinali di corte", delle contrapposizioni verso alcuni Stati e delle concessioni ad altri.

Diversamente dal suo predecessore, Pio X non fece mai "politica estera", non tentò mai di indebolire sul piano internazionale i paesi che si dimostravano avversi alla Chiesa, non cercò mai di sfruttare a proprio vantaggio le rivalità, gli interessi e le alleanze delle varie nazioni. E questa linea, che non ha ancora ottenuto dagli storici l'attenzione che merita, non era un ripiegamento tattico ma una precisa scelta strategica, come disse un giorno papa Sarto al futuro cardinale Nicola Canali, allora giovane minutante di curia:  "Lei è giovane, ma si ricordi sempre che la politica della Chiesa è quella di non fare politica e di andare sempre per la retta via".


TRA RINNOVAMENTO DELLA CHIESA E RIFORMA DELLA CURIA


Merry del Val coadiuvò lealmente e convintamente questa politica, come pure le scelte di Pio X di radicale rinnovamento della Chiesa: dalla soppressione del diritto di veto in conclave, alla riforma della curia, alla codificazione del diritto canonico.

Il rifacimento della curia romana, varato nel 1908, riguardò direttamente le sue competenze, che vennero ampliate, ma all'interno di un disegno di governo nel quale la segreteria di Stato era solo il penultimo dei cinque uffici vaticani. Il cuore della curia di Pio X non era la segreteria di Stato, come avverrà con la riforma di Paolo VI, sessant'anni dopo. Il cuore era rappresentato dalle undici congregazioni, in cima alle quali era posto il Sant'Ufficio.

Forse è questa la ragione per cui il ruolo di Merry del Val coincide fin quasi a confondersi con quello del papa, diversamente da quello dei suoi predecessori e successori. Facendo poca o nessuna politica e badando a governare e rinnovare la Chiesa, Pio X tolse alla segreteria di Stato molto di quello spazio che la rendeva un attore autonomo e ne rafforzò il legame con il papato stesso.

Questo legame divenne ancora più serrato nel corso della vicenda del cattolicesimo modernista, apparsa finora agli storici il vero "punctum dolens" del pontificato di Giuseppe Sarto.

Su questo snodo si è scritto molto, e uno dei punti finora irrisolti riguarda proprio l'operato del segretario di Stato. Ma che Merry del Val sia stato protagonista o comprimario, esecutore o ispiratore non sembra un elemento decisivo di giudizio. Decisivo è il fatto che fu pienamente partecipe della linea antimodernista del papa, convinto sostenitore della necessità di fermare quelle istanze di rinnovamento nelle quali entrambi vedevano il rischio incombente di una catastrofica crisi di fede.


CON PIO X ANCHE VERSO GLI ALTARI
 

Era inevitabile che un segretario di Stato così strettamente identificato con il pontefice che aveva servito non venisse confermato dal suo successore.

Appena eletto papa, il 3 settembre 1914, Benedetto XV nominò, infatti, segretario di Stato prima il cardinal Domenico Ferrata, che morì quasi subito, e poi Pietro Gasparri. Ritroviamo così alla guida della Chiesa i due vescovi – Della Chiesa e Gasparri – che erano stati scavalcati da Merry del Val alla vigilia del conclave del 1903.

Per l'ex segretario di Stato, i sedici anni che gli rimasero da vivere dovettero essere un periodo difficile. Da Benedetto XV ebbe lo stesso trattamento che Pio X aveva riservato dieci anni prima a Rampolla: divenne segretario del Sant'Ufficio – la prefettura di questa congregazione era allora prerogativa del pontefice – funzione che conservò fino alla morte improvvisa, avvenuta il 26 febbraio del 1930.

Nei confronti di Pio X, Merry del Val conservò una devozione illimitata: fu lui all'origine della petizione che ne avviò la canonizzazione. Il 20 di ogni mese, giorno del decesso del papa, celebrava una messa in suo suffragio. Chiese di essere sepolto "il più vicino possibile al mio amatissimo padre e pontefice Pio X".

Ma il suo tempo era ormai tramontato, anche se nel 1953, durante il pontificato di Pio XII – che aveva iniziato la carriera proprio alle sue dipendenze – fu avviato anche per lui il processo canonico di beatificazione, in coincidenza con l'ascesa agli altari di Pio X, proclamato beato nel 1951 e santo nel 1954.

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Il giornale della Santa Sede che il 26 febbraio 2010 ha pubblicato l'articolo del professor Romanato sul cardinale Merry del Val:

> L'Osservatore Romano

E un precedente articolo del professor Romanato sullo stesso giornale, sul pontificato di Pio X:

> E Pio X si sbarazzò dell'"ancien régime"

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Da segretario del conclave del 1903, Merry del Val ne scrisse il diario ufficiale, pubblicato per la prima volta in appendice a questo libro:

Luciano Trincia, "Conclave e potere politico. Il veto a Rampolla nel sistema delle potenze europee, 1887-1904", Edizioni Studium, Roma, 2004, pp. 322, euro 23,00.


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Sul papa di cui Merry del Val fu segretario di Stato, Pio X, e sulla sua opera di "modernizzazione" della Chiesa cattolica, vedi questo servizio di www.chiesa, con un altro importante articolo del professor Romanato, ripreso da "L'Osservatore Romano":

> San Pio X papa di retroguardia? No, un ciclone riformatore mai visto
(13.5.2008)

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In questo sito, su questi temi:

> Focus su VATICANO



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Raffaele Merry del Val.



Il servizio in Segreteria di Stato di Raffaele Merry del Val, che coincide perfettamente con gli undici anni del pontificato di Pio X, si identifica con il governo del Papa veneto a un punto tale che in alcuni casi la storiografia fatica a distinguere ciò che è opera del superiore e ciò che si deve all’inferiore.

di Gianpaolo Romanato.


30Giorni 1-2/2006.


Due personalità molto diverse, Pio X e Raffaele Merry del Val, il suo segretario di Stato. Il primo era nato nel 1835 nella campagna veneta. Il padre era un piccolo impiegato dell’amministrazione austriaca, la madre analfabeta. Conobbe la povertà, trascorse tutta la vita fra canoniche di paese e curie di provincia, lontano dalla ribalta, dal bel mondo, dai salotti e dai palazzi del potere. Il secondo, nato a Londra nel 1865 in una ricca famiglia dell’alta aristocrazia europea, di casa fra ambasciatori e teste coronate (il padre fu rappresentante di Spagna a Londra, Bruxelles, Vienna, Roma), poliglotta, ebbe il privilegio di essere accolto nell’Accademia dei nobili ecclesiastici (la scuola della diplomazia pontificia) quando non era ancora prete. Subito lanciato nella diplomazia vaticana, divenne vescovo a trentacinque anni e cardinale a trentanove.
Avevano due cose soltanto in comune: una granitica fede in Dio e l’illimitata devozione alla Chiesa. Ciò fu sufficiente a cementare un rapporto di collaborazione e di stima reciproca che non ha riscontri nella storia della Chiesa. Il servizio in Segreteria di Stato di Merry del Val, che coincide perfettamente con gli undici anni (1903-1914) del pontificato di Pio X (è l’unico caso nella lista dei trentaquattro segretari di Stato che si sono succeduti dal 1800 a oggi), si identifica con il governo del Papa veneto a un punto tale che la storiografia fatica a distinguere ciò che è opera del superiore e ciò che si deve all’inferiore.

Il dubbio riguarda il ruolo ricoperto da Merry del Val: esecutore o ispiratore? Interrogativo probabilmente mal posto, sia perché il funzionamento della struttura di governo della Santa Sede riporta comunque il momento decisionale alla persona del papa, sia perché la storiografia sta appurando che Pio X esercitava sui subordinati un controllo molto maggiore di quanto si è finora ritenuto. Se si considera poi la differenza di età fra i due, esattamente trent’anni, sembra ancora meno convincente pensare a un pontefice “manovrato” dal suo giovane collaboratore. Possiamo aggiungere che la straordinaria devozione di Merry per Pio X (fu all’origine della petizione che ne avviò il processo di canonizzazione; il 20 di ogni mese, giorno del decesso del Papa, celebrava una messa in suo suffragio; chiese di essere sepolto «il più vicino possibile al mio amatissimo Padre e pontefice Pio X») rende l’ipotesi ancora meno probabile. È più verosimile pensare che fra il Papa veneto e il suo ministro spagnolo si sia realizzata una piena intesa circa i criteri cui improntare la politica della Chiesa, ad intra e ad extra. Insomma, ragionavano all’unisono e operavano insieme.

Raffaele Merry del Val crebbe in Inghilterra, dove il padre era ambasciatore di Spagna, poi in Belgio e poi nuovamente in Inghilterra. La sincera vocazione al sacerdozio, mediata dai gesuiti, fu molto precoce. Giunto a Roma a vent’anni per completare la preparazione nel Pontificio Collegio Scozzese, vi iniziò una delle più folgoranti carriere di tutta la storia ecclesiastica. Leone XIII infatti lo impose all’Accademia dei nobili ecclesiastici, lo fece monsignore quando non era ancora prete (sarà consacrato nel 1888) e lo utilizzò per missioni diplomatiche in Inghilterra e Germania. Non basta certo la padronanza delle principali lingue europee a giustificare tanta attenzione. Evidentemente il rampollo dell’insigne famiglia inglese Merry, di ascendenza irlandese, e dell’ancor più illustre casata spagnola dei del Val, doveva aver dato prova di capacità fuori dal comune.
Dopo la laurea alla Gregoriana, divenne uno dei personaggi più influenti e ascoltati della Roma pontificia, soprattutto per i problemi che riguardavano l’anglicanesimo. La perfetta conoscenza dell’ambiente e della lingua, i frequenti viaggi oltre Manica e la stima del cardinale Vaugham gli conferirono grande autorevolezza. Investito da Leone XIII della spinosa questione delle ordinazioni anglicane, portò la Santa Sede al responso negativo che sarà ufficializzato nel settembre 1896 con la bolla Apostolicae curae, della quale fu estensore. Sulla base di una prassi vecchia ormai di trecento anni, Leone XIII confermava la «nullità» delle «ordinazioni compiute con rito anglicano», negando con ciò la successione apostolica di tali vescovi. Il riavvicinamento degli anglicani ai cattolici, che era in atto da tempo, subiva così una pesante battuta d’arresto, mentre il giovane prelato si accreditava come il portavoce di una linea di austerità dottrinale alternativa a quella politica del cardinal Rampolla.

L’anno seguente compì una lunga missione in Canada, in qualità di delegato apostolico. Contesa fra le opposte tentazioni dell’arroccamento e del cedimento, la giovane cattolicità locale inondava Roma di domande d’aiuto. Merry vi si mosse con equilibrio, soprattutto in relazione al problema delle scuole cattoliche nel Manitoba, e ne ebbe pubblico riconoscimento dal Papa nell’enciclica Affari vos (dicembre 1897). Con parole irrituali, Leone scrisse che «il nostro delegato apostolico ha adempiuto perfettamente e fedelmente ciò per cui lo avevamo mandato». Rientrato a Roma, fu posto a capo dell’Accademia dei nobili ecclesiastici e nominato vescovo. Aveva bruciato le tappe grazie a una solida preparazione storico-giuridica, a un’innata capacità di relazionarsi con chiunque, alla «sveltezza», come dirà poi Benedetto XV, con cui risolveva i problemi. Ma era noto a tutti che il capace diplomatico era un prete severo e austero, dall’ascetica disciplina di vita.


Un’imprevista coincidenza rese possibile il balzo definitivo. Quando si spense il Papa, nel 1903, morì contemporaneamente anche il prelato che svolgeva la funzione di segretario del Sacro Collegio. Colti alla sprovvista, i cardinali non ebbero esitazione e chiesero a Merry di sostituirlo. Fu così che il giovane prelato anglo-spagnolo (in quel momento aveva trentotto anni) si trovò ad essere regista e protagonista, benché in posizione soltanto esecutiva, del più drammatico conclave della storia moderna: quello del veto austriaco e dello scontro tra il blocco cardinalizio francese e il fronte austro-tedesco-polacco. Dall’urto uscì stritolata la candidatura del cardinal Rampolla, che era stato per sedici anni segretario di Stato di Leone, e definitivamente sconfitta la linea filofrancese, antitaliana e antitriplicista. Pur essendo privo del diritto di voto, Merry fu al centro di tutta la partita, come ha dimostrato il suo diario, recentemente pubblicato da Luciano Trincia. Non gli sfuggì certamente che l’imprevista elezione del patriarca di Venezia poneva fine a un intero ciclo della politica vaticana: quello che dopo il 1870 aveva puntato tutto sul recupero di un ruolo politico internazionale della Santa Sede e sul ripristino del potere temporale.

Estraneo alla curia, ma ben consapevole di doverla temere, Pio X, che prima del conclave non aveva mai incontrato Merry, individuò in lui il personaggio adatto a tenerla sotto controllo. Costui la conosceva bene, ma non apparteneva al gruppo dei rampolliani, e soprattutto era troppo giovane, troppo devoto al papato per contrapporglisi. Le parole con cui Pio X gli comunicò la nomina, la sera stessa dell’elezione, il 4 agosto del 1903, dopo che il vescovo era andato ad accomiatarsi, avendo esaurito la propria funzione, danno la misura della solitudine del nuovo Papa: «Non ho deciso nulla ancora. Non so cosa farò. Per ora non ho nessuno. Rimanga con me come prosegretario di Stato. Poi vedremo». Bastarono due mesi a convincerlo che la scelta era indovinata. Il 18 ottobre lo nominò segretario di Stato e gli preannunciò il cardinalato. Fu la seconda sorpresa del pontificato, dopo la sua elezione: per la prima volta diventava segretario di Stato un presule non italiano, non ancora cardinale e non ancora quarantenne. L’elogio che papa Sarto gli rivolse l’11 novembre 1903, giorno dell’imposizione della berretta rossa, è talmente inusuale che merita di essere riportato per intero: «Il buon odore di Cristo, signor cardinale, che avete diffuso in tutti i luoghi, anche nella vostra temporanea dimora, e le opere molteplici di carità, alle quali continuamente nei ministeri sacerdotali vi siete dedicato, specialmente in questa nostra città di Roma, vi acquistarono, con l’ammirazione, la stima universale». La valutazione positiva del Pontefice, più ancora che alle capacità del collaboratore, era rivolta al suo mondo morale, alle opere di carità fra i ragazzi del quartiere di Trastevere nelle quali si spendeva senza risparmio.


Le vicende del pontificato di Pio X sono note. I rapporti con gli Stati si deteriorarono un po’ dovunque, fino ad aperte rotture. Il caso più noto è quello della Francia, dove nel dicembre del 1905 fu votata la legge di separazione fra Chiesa e Stato. Sei anni dopo toccò al Portogallo, che varò una legge ancora più brutale. Tensioni analoghe si ebbero in vari Paesi latinoamericani. Il Papa non fece molto per modificare il corso degli eventi. Protestò, scrisse encicliche molto forti, ma si guardò bene dal tentare vie diplomatiche.
Nel caso francese, la legge prevedeva che le cosiddette associazioni cultuali, dalle quali era esclusa la gerarchia ecclesiastica, gestissero le proprietà della Chiesa, diventando un polo alternativo ai vescovi. L’obiettivo di scardinare la costituzione gerarchica della Chiesa era evidente, anche se non tutti l’avevano percepito. Il Papa colse perfettamente il nocciolo del problema e oppose un netto rifiuto. Fu un vero e proprio legal suicide, come è stato detto, dal momento che la Chiesa di Francia, costretta da Roma a non accettare la legge (il Pontefice scrisse in meno di un anno ben tre encicliche dedicate al caso francese), perdette la personalità giuridica e con essa l’intero suo patrimonio, a partire dalle chiese dove si svolgevano quotidianamente le funzioni religiose. Ma riguadagnò la propria libertà e il pieno controllo delle nomine vescovili, fino a quel momento demandato allo Stato, in forza del concordato napoleonico. La scelta di Pio X (tra il “bene” e i “beni” della Chiesa ho scelto il primo, avrebbe detto il Papa), che otterrà a posteriori il plauso di Aristide Briand, l’ispiratore della legge («il Papa è stato il solo a vederci chiaro», scrisse), aveva cancellato con un colpo solo tre secoli di gallicanesimo, di Chiesa nazionale, riportando la cattolicità francese, disciplinarmente, alla piena fedeltà romana.

Fu una svolta fondamentale – «evento doloroso e traumatizzante», l’ha definita Giovanni Paolo II nella lettera ai vescovi francesi scritta l’anno scorso, in occasione del centenario – che spiazzò i contemporanei e continua a dividere gli storici, come si ricava confrontando il giudizio positivo sull’operato del Pontefice espresso dallo studioso svizzero Martin Grichting al convegno su Pio X svoltosi a Venezia nel maggio dello scorso anno (gli Atti sono di prossima pubblicazione ad opera dell’Istituto di diritto canonico del Seminario patriarcale) e quello molto più cauto di Giovanni Sale sulla Civiltà Cattolica del 5 novembre 2005. Fu questa l’occasione che fece emergere quell’idealismo antitemporalistico, come è stato definito, che, a giudizio di vari studiosi, sarebbe l’aspetto rivoluzionario del suo pontificato, la vera novità nel rapporto tra Chiesa e mondo.

Con Pio X finisce insomma un’intera stagione nella storia della Chiesa, quella delle interferenze con la politica, degli intrecci diplomatici, delle tardive connessioni fra troni e altari, dei vescovi in cilindro e dei cardinali di corte, delle contrapposizioni verso alcuni Stati e delle concessioni ad altri. Diversamente dal suo predecessore, non fece mai “politica estera”, non tentò mai di indebolire sul piano internazionale i Paesi che si dimostravano avversi alla Chiesa, non cercò mai di sfruttare a proprio vantaggio le rivalità, gli interessi e le alleanze delle varie nazioni. E questa linea, a cui non è stata data dagli storici sufficiente attenzione, non era un ripiegamento tattico ma una precisa scelta strategica, come disse un giorno a Nicola Canali, allora giovane minutante di Curia: «Lei è giovane, ma si ricordi sempre che la politica della Chiesa è quella di non fare politica e di andare sempre per la retta via».

Merry del Val coadiuvò lealmente e convintamene questa politica, come pure le scelte piane di rinnovamento della Chiesa, dalla soppressione del diritto di veto alla trasformazione della Curia, alla codificazione del diritto canonico. La riforma della Curia romana, varata nel 1908, riguardò direttamente le sue competenze, che vennero ampliate, ma all’interno di un disegno di governo nel quale la Segreteria di Stato era solo il penultimo dei cinque uffici vaticani. Non era insomma la Segreteria il motore della Chiesa di Pio X (come avverrà con la riforma di Paolo VI, sessant’anni dopo), ma le undici congregazioni, in cima alle quali era posto il Sant’Ufficio. Forse è questa la ragione per cui il ruolo di Merry coincide fin quasi a confondersi con quello del Papa, diversamente dall’operato dei due segretari di Stato, Rampolla, che lo precedette, o Gasparri che lo seguì. Facendo poca o nessuna politica estera e badando a governare e rinnovare la Chiesa, Pio X tolse alla Segreteria di Stato molto di quello spazio che la rendeva un attore autonomo e ne rafforzò il legame con il papato stesso.

Questo legame divenne ancora più serrato nel corso della vicenda modernista, apparsa finora agli storici il vero punctum dolens del pontificato di Giuseppe Sarto. Su questo snodo si è scritto molto, e uno dei punti finora irrisolti riguarda proprio l’operato del segretario di Stato. Ma che Merry sia stato protagonista o comprimario, esecutore o ispiratore non sembra un elemento decisivo di giudizio. Decisivo è il fatto che fu pienamente partecipe della linea antimodernista del Papa, convinto sostenitore della necessità di fermare le istanze di rinnovamento. Nelle sue memorie Ernesto Buonaiuti non risparmia le bordate sulla figura «enigmatica e sinistra» del cardinale spagnolo, sulla sua «altezzosa e vanesia prosopopea». Sono giudizi pesanti, frutto anche della personale amarezza di chi li espresse. Ma a cento anni di distanza dai fatti rappresentano un’importante testimonianza circa il ruolo esercitato allora dal cardinale e dal suo ufficio.
Era inevitabile che un segretario di Stato così strettamente identificato con il Pontefice che aveva servito non venisse confermato dal suo successore. Appena eletto papa, il 3 settembre 1914, Benedetto XV nominò infatti prima il cardinale Ferrata, che morì quasi subito, e poi Pietro Gasparri. Merry del Val ebbe lo stesso trattamento che era stato riservato dieci anni prima al suo predecessore Rampolla: divenne segretario del Sant’Ufficio (la prefettura di questa Congregazione era allora riservata al pontefice), funzione che conservò fino alla morte improvvisa, avvenuta il 26 febbraio del 1930, in conseguenza di un’operazione di appendicite.

Dovettero essere sedici anni difficili, soprattutto i primi, quelli del pontificato di Giacomo della Chiesa, un uomo che Merry non aveva amato, pur rispettandolo, e dal quale non era stato amato, pur essendone rispettato. Il diario di Carlo Monti, un diplomatico italiano che aveva grande familiarità con papa Benedetto, pubblicato da Antonio Scottà, riferisce la voce che l’abitazione del cardinale, la palazzina di Santa Marta, fosse il luogo di raccolta e amplificazione del malcontento sul successore di Pio X, il “vaticanetto”, come veniva chiamato. Il Papa lo sapeva ma non se ne curava («cosa possono fare?», avrebbe risposto senza scomporsi a chi lo metteva in guardia).

Così il buon nome del cardinale spagnolo sopravvisse alla sua morte e nel 1953, durante il pontificato di Pio XII, che aveva iniziato la carriera proprio alle sue dipendenze, fu avviato anche per lui, in coincidenza con la glorificazione di Pio X, proclamato beato nel 1951 e santo nel 1954, il processo di canonizzazione. Ma di porre il cardinale spagnolo sugli altari, dopo la morte di papa Pacelli e l’avvio della stagione conciliare, non ha più parlato nessuno.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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