A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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La Bibbia e la sua storia

Ultimo Aggiornamento: 23/03/2010 14:59
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23/03/2010 14:55
 
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Da: cristianocattolico  (Messaggio originale) Inviato: 20/11/2002 18.23
La Bibbia è il Libro più antico che possegga l’umanità. Il Pentateuco, nel quale ci ha messo mano lo stesso Mosè, è, sino ad oggi il libro più antico giunto completo fino a noi.
Tutti gli altri libri di qualunque civiltà si arrestano ad un certo punto dell’antichità.
La Bibbia invece, ci narra il principio del genere umano, la creazione dell’universo. Noi non l’avremmo saputo se Dio non l’avesse rivelato a Mosè, il cronista storico più vicino alle origini,
al Creatore, a Dio.
La Sacra Scrittura è anche il Libro di tutti i popoli. Anche solo umanamente, è considerato il Libro più bello della terra. Non c’è studioso che lo ignori; scrittori atei, per apparire grandi, lo copiano, imparano fatti, parole, descrizioni.
E’ il Libro Sacro per eccellenza, e per la materia, e per l’autore, che è duplice: l’uomo e lo Spirito Santo (ne parleremo a suo tempo).
Il protestante Guizot diceva: E’ un libro che si legge sotto l’impressione di un soffio venuto da ben altro che dall’uomo”. Quante conversioni ha operato la sola lettura di esso…
Noi che ci diciamo cristiani, cattolici, apostolici, quali doveri abbiamo verso la S. Scrittura?
Anzitutto dobbiamo averne una grande stima e venerazione perché in essa è Dio stesso che ci istruisce. Poi dobbiamo procurarcela e leggerla spesso, almeno nei tratti più salienti e facili.
In essa vi è tutto Dio e i suoi attributi, sublimi esempi di virtù; ci sono mostrate le tristi conseguenze del vizio e ci insegna a fuggirlo. Tutto il bene che si può trovare altrove, lì si trova e non si finisce di imparare.
Sino alla fine del sec. XVIII nessuno aveva mai negato direttamente l’ispirazione della S. Scrittura. Antichi eretici a sfondo dualistico – come gli gnostici (sec I-II), i marcionisti (sec. II), i manichei (sec. III) e i neo manichei del sec X, ai quali sono da aggiungere i valdesi (sec. XII) – benché non negassero l’ispirazione in sé, pure, siccome attribuivano l’A.T. al principio del male (il Dio della creazione, diverso dal Dio della redenzione, autore del N.T.), implicitamente negarono la divina ispirazione. Gli antichi protestanti esclusero dal canone dei libri ispirati i deuterocanonici dell’A.T., ritenendo però l’ispirazione degli altri libri; respinta inoltre la tradizione e il magistero della Chiesa, considerarono la S. Scrittura come l’unica regola di fede, esagerando talmente l’idea dell’ispirazione da identificarla come una dettatura meccanica.
Sulla fine del sec. XVIII il protestantesimo incominciò a degenerare in razionalismo, passando così all’estremo opposto, cioè alla completa negazione dell’ispirazione biblica. I razionalisti negano a priori il soprannaturale e pretendono che la ragione umana sia l’unico criterio di verità.
Come è possibile distinguere un testo “canonico” da un testo “apocrifo”? Perché, ad esempio, la comunità cristiana ha accolto nel canone il vangelo di Marco e non il vangelo apocrifo di Tommaso? Quali criteri hanno presieduto a tale selezione?


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Da: cristianocattolico Inviato: 20/11/2002 18.24
Il criterio dell’ispirazione è il mezzo per distinguere i libri ispirati da quelli che non sono tali; più precisamente è il metodo per conoscere con certezza:
1) se esistono dei libri divinamente ispirati e, in caso affermativo,
2) quali sono in concreto questi libri ispirati e come si possono distinguere dai non ispirati.
Nel primo caso si parlerà di criterio di ispirazione, nel secondo di criterio di canonicità.
Perché il criterio dell’ispirazione sia legittimo e adatto allo scopo deve possedere diversi requisiti, che si possono ridurre ai tre seguenti. Deve essere:
a) Infallibile: nella S. Scrittura si contengono verità rivelate alle quali dobbiamo credere con fede assoluta, bisogna dunque che sia infallibile il modo di riconoscere i libri dove si trovano queste verità alle quali è dovuta un’adesione incondizionata;
b) Esclusivo e universale, cioè deve valere solo per i libri ispirati, a esclusione dei non ispirati; e inoltre deve potersi ugualmente applicare a tutti i libri ispirati: in caso contrario non servirebbe allo scopo;
c) Accessibile a tutti: poiché tutti hanno il dovere di credere, tutti hanno il diritto ai mezzi necessari per giungere a conoscere le verità di fede.
Nel corso dei secoli, e quasi esclusivamente da autori non cattolici, sono stati proposti diversi criteri dell’ispirazione. Vi fu chi ha additato la forma letteraria e il contenuto dei libri sacri, o gli effetti che essi producono nel lettore come criterio dell’ispirazione; altri hanno giudicato la S. Scrittura partendo dalle testimonianze che gli scrittori sacri, gli agiografi, adducono sulla propria opera, oppure dal fatto che questi scrittori erano apostoli; altri studiosi, infine, riflettendo che l’ispirazione è un fatto soprannaturale, ritengono che il criterio dell’ispirazione sia una rivelazione privata dello Spirito Santo ad ogni lettore, oppure – e questo è il criterio cattolico – interrogano la tradizione cattolica.
Gli antichi protestanti per provare l’ispirazione della Bibbia, respingendo la tradizione e il magistero della Chiesa, si appellarono ai criteri ricavati dal contenuto del libro stesso (sublimità e santità della dottrina, miracoli e profezie riportati, qualche insegnamento caratteristico ecc.) o anche dalla forma (bellezze letterarie).
Lutero ad esempio riteneva ispirati quegli scritti che contenessero l’insegnamento caratteristico della “giustificazione per mezzo della sola fede, senza le opere”, che costituiva per lui il culmine di tutta la dottrina evangelica.
Questi due criteri sono insufficienti. Difatti:
a) non sono accessibili a tutti, perché richiedono istruzione e studio;
b) neppure sono universali ed esclusivi, perché, anche applicandoli isolatamente, non si riscontrano in tutti i libri e in tutti i passi della S. Scrittura, come per es. le Cronache, l’Ecclesiaste, Rut, ecc.;
Non è da tutti infatti saper riconoscere le sublimità o la santità della dottrina, ecc., come anche nei libri qui sopra citati non si intuisce la salvezza per sola fede senza le opere, ma anche in altri scritti come la lettera di Giacomo, infatti Lutero la definì “lettera di paglia”, perché Giacomo nella sua lettera sottolinea l’importanza delle opere, che non sono fondamentali ma tuttavia necessarie ai cristiani non disabili, che possono dimostrare i frutti dello Spirito.

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Da: cristianocattolico Inviato: 20/11/2002 18.26
Occorre quindi un metodo sicuro, efficace, infallibile valido per tutti i libri sacri e non solo per alcuni, e soprattutto questo metodo deve essere accessibile a tutti gli uomini di qualsiasi fascia culturale, affinché essi non debbano dipendere da altri nel verificare l’ispirazione dei libri sacri.
C’era pure chi affermava che si doveva credere alla testimonianza dell’agiografo e in particolare modo se l’agiografo era apostolo allora il suo scritto purché avesse per oggetto un insegnamento religioso era sicuramente ispirato. Questo metodo di riconoscimento potrebbe essere valido, ma sviluppando tutte le possibile ipotesi che ne derivano si può affermare che nemmeno questo è infallibile.
Infatti questo criterio fu proposto per la prima volta nel 1750 dal protestante Giovanni Davide Michaelis, il quale ritenne che il criterio d’ispirazione per l’A.T. è la testimonianza di Gesù e degli apostoli, ma per il N.T. è l’autorità apostolica dell’agiografo.
In forza del suo principio il Michaelis fu logicamente portato a negare l’ispirazione del secondo e del terzo Vangelo e degli Atti degli apostoli, i cui autori, S. Marco e S. Luca, non erano apostoli.
E’ un fatto storico che Marco e Luca non erano apostoli, eppure non ci fu mai nella Chiesa il minimo dubbio sul carattere ispirato dei loro scritti.
I padri della Chiesa che dovettero stabilire il canone della Bibbia non ebbero alcun dubbio su quali libri e vangeli includere perché essi (i padri) si basavano sulla tradizione, quella stessa che Paolo raccomanda di conservare e osservare a Timoteo e agli altri suoi figli spirituali.
Nel I-II secolo non c’era certo Lutero a decidere quali libri fossero ispirati e quali no.
Che, in casi particolari, Dio sia intervenuto per illuminare direttamente i singoli fedeli a riguardo della S. Scrittura o di altra verità di fede si può ammettere; ma va negato senz’altro che questo sia il suo procedimento ordinario, cioè dell’eccezione non si può fare una regola, la regola deve essere una, precisa ed infallibile, oltre che accessibile a tutti (come già detto).
Fu la Chiesa cattolica a stabilire il canone, ad esaminare le Scritture per valutarne l’effettiva  ispirazione, i protestanti hanno sputato sopra a tutto questo arrogandosi il diritto di reinterpretare le Scritture, come pure scagliandosi contro chi ha sempre avuto l’autorità di interpretarle, scagliandosi contro la vera e sola Chiesa di Cristo, cristiani fuori di essa ne esistono, ma l’autorità ecclesiastica risiede solo dentro la Chiesa cattolica romana e questo si può dimostrare benissimo.
I protestanti sono costretti a ricorrere a tali comunicazioni dirette di Dio, perché non vogliono ammettere un magistero ecclesiastico; però la storia del protestantesimo dimostra che questa pretesa  (nell’interpretazione biblica) conduce a innumerevoli illusioni.
Non mi stancherò mai di dire che la riprova della falsità di questo criterio è la discordia che esiste fra i protestanti sul problema dell’ispirazione di alcuni libri; stando al principio di Calvino dovremmo dire che lo Spirito Santo si contraddice, perché suggerisce opposti sentimenti ai diversi lettori biblici. Il criterio proposto da Calvino dunque, almeno come mezzo ordinario, è quanto mai soggettivo ed arbitrario.

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Da: cristianocattolico Inviato: 20/11/2002 18.28
Il vero criterio per riconoscere i libri ispirati e distinguerli dagli altri è la sacra tradizione cattolica, senza di essa oggi la Bibbia non esisterebbe, perché i libri sacri sarebbero stati abbandonati nel caos degli eretici, filosofi e sapientoni di ogni tempo, ognuno dei quali avrebbe stabilito i propri criteri e dettato la propria legge, invece dobbiamo ringraziare lo Spirito Santo, i padri e i dottori della Chiesa se la Bibbia ci è pervenuta integra, almeno nei contenuti.
Per riconoscere l’ispirazione dei testi sacri si è ricorsi al parere dei Padri, che sicuramente non erano dei novellini o dei fanatici, anzi molti di loro furono a diretto contatto con gli apostoli, o con discepoli degli apostoli come Policarpo, ecc., ma gente veramente cristiana di fede provata e provabile, si è ricorsi alla maggioranza dei pareri; quando un buon numero di padri fra i più autorevoli, di diverse scuole ed epoche si trovano d’accordo su un dato punto di dottrina, senza che contraddicano altri Padri di numero ed autorità tali da rendere nulla o dubbia l’esistenza di una vera unanimità morale, allora si ha una certezza dottrinale.
Ma i padri che si pronunciavano su un punto dottrinale dovevano (esplicitamente o implicitamente) dire che quanto da loro affermato faceva parte della dottrina universale della Chiesa, perché indubbiamente non ogni cosa che essi dicessero (ad esempio nei loro discorsi privati) veniva presa per dottrina, ma quando essi si pronunciavano (dichiarandolo) in materia di fede, e la maggioranza dei padri erano concordi allora venivano presi in considerazione dalla Chiesa, la regola per riconoscere l’ispirazione dei libri sacri fu da loro stabilita, e furono loro (i Padri) assieme al magistero della Chiesa a riconoscere e fissare l’elenco dei libri sacri.
Ireneo (170 d.C.) afferma che solo la Chiesa possiede le vere Scritture, perché essa sola le ha ricevute dalla tradizione tramandata dagli apostoli (Adversus Haereses), Clemente alessandrino ripudia i vangeli apocrifi (protovangelo di Tommaso ecc.) perché non ricevuti dalla tradizione (Stromata 3,13). Perché molti fratelli protestanti danno credito ai padri e accettano il canone del N.T. (nonostante vi siano stati parecchi dubbi sulle lettere da includere) da loro stabilito, e rigettano il canone del V.T. stabilito sempre dai padri, quando in realtà per il V.T. ci furono meno dubbi, e soprattutto risulta che gli apostoli usavano la Bibbia dei settanta che (come già detto) include i 7 libri deuterocanonici del V.T.?

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Da: cristianocattolico Inviato: 20/11/2002 18.30
Non sarà forse perché una volta staccatisi dalla Chiesa cattolica la devono contraddire a tutti i costi?
E’ bene tenere sempre in mente che ispirazione non vuol dire dettatura, perché da dati certissimi risulta che gli agiografi hanno portato il loro personale contributo alla stesura dei Libri Sacri; spesso parlano delle fonti di cui hanno fatto uso, come l’autore del libro di Esdra e Neemia, del secondo dei Maccabei, (riassunto costato grande fatica all’autore; 2 Mac 2,24-28), del terzo Vangelo (Lc 1,1-3) ecc.,altre volte i fatti narrati sono desunti dalla personale esperienza dell’agiografo, come è il caso del Pentateuco per Mosè, del primo e del quarto vangelo per S. Matteo e S, Giovanni (apostoli, e quindi testi oculari di molti fatti narrati), degli Atti (dove Luca registra fatti ai quali egli stesso fu presente) ecc.. Dunque gli agiografi non furono strumenti passivi ma attivi.
E’ generalmente ammesso che chiunque dia un qualunque contributo intellettuale alla composizione del libro ispirato partecipa dell’ispirazione dell’agiografo, nella misura necessaria per la composizione del libro stesso. Poiché vi possono essere varie specie di collaboratori, occorre stabilire in quale misura ciascuno di essi partecipi dell’ispirazione.
L’estensore o redattore, ossia colui che, ricevuto a voce l’argomento dal maestro, lo mette in iscritto o lo svolge da sé. E’ il caso dell’epistola agli Ebrei, il cui autore, S. Paolo, sembra ne abbia affidato la redazione a un discepolo. In tali casi il redattore porta un notevole contributo intellettuale alla composizione del libro, e quindi gli occorre una partecipazione all’ispirazione del maestro, in misura proporzionata. Prima di tutto l’illuminazione dell’intelligenza, perché con la sua mente deve concepire il lavoro; inoltre occorrerà la mozione della volontà, non essendo sufficiente l’ordine di scrivere datogli dal maestro, perché questo ordine non sarebbe una mozione immediata della sua volontà; avrà poi bisogno anche dell’assistenza alle facoltà esecutive, che non è necessario abbia il maestro.
Ci può essere pure un segretario o amanuense, ossia colui che scrive sotto dettatura del maestro.
E’ il caso di Baruc, al quale Geremia detta le sue profezie, e di Terzo, al quale S. Paolo detta la sua lettera ai Romani.
Al segretario non necessariamente serve la partecipazione all’ispirazione del maestro.
I documenti del magistero ecclesiastico dicono che i Libri Sacri sono stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, che in essi è stato scritto dagli agiografi tutto quello e solo quello che il medesimo Spirito Santo volle, che hanno Dio per autore, che come tali sono stati consegnati alla Chiesa.
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23/03/2010 14:56
 
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Da: cristianocattolico Inviato: 28/11/2002 16.08
L’ispirazione, considerata nel libro ispirato non può ammetter gradazioni diverse. Quindi non c’è qualche libro che sia ispirato più o meno di un altro, e la Chiesa li accoglie e li tratta tutti “con uguale sentimento di pietà e di rispetto”. Perciò è da riprovare la graduatoria ammessa:
a) dagli Ebrei del Medio Evo, i quali ritenevano che la “Legge” fosse dovuta alla bocca di Dio, i “Profeti” allo Spirito profetico, e gli “Scritti” allo Spirito Santo, attribuendo alla prima categoria maggiore autorità che alla seconda e alla seconda più che alla terza;
b) da alcuni protestanti moderni, i quali identificando l’ispirazione con un certo entusiasmo religioso, distinguono un grado di ispirazione supremo (per es. in alcuni salmi), uno medio (per es. nell’Ecclesiaste), uno infimo (per es. nel libro di Ester);
c) da alcuni cattolici, i quali attribuirono minore autorità ai libri deuterocanonici, pur ritenendoli ispirati.
Nella Scrittura tutto è ugualmente ispirato, perché tutto è effetto della cooperazione di Dio con l’uomo, quindi ogni libro della Scrittura è ugualmente ispirato, e in ciascun libro sono ispirati tutti gli elementi che lo compongono.
Il prologo del terzo vangelo (Lc 1,1-4) e del 2 Mac (2,19-32), le finali del 2 Mac (15, 37 ss.) e dell’Eccle. (12,10-12) rivelano che il compito degli agiografi fu tutt’altro che puramente materiale, che essi non si possono immaginare come dei pensatori solitari al tavolo di lavoro, investiti del carisma divino nel momento preciso della composizione del libro e lasciati a se stessi, una volta terminata l’opera. Quando  un autore incomincia a scrivere ha già una dote di conoscenze e di esperienze alle quali la Provvidenza divina non fu assente: da esse infatti dipenderà la redazione del libro.
Se Dio è autore della Scrittura (nel duplice senso di causa e di scrittore), dunque la S. Scrittura è Parola di Dio ed essendo Dio infallibile, anche la sua parola è immune, di diritto e di fatto, da ogni errore.
E’ tuttavia indispensabile rinunciare alla visione semplicista e pericolosa, in quanto espone ad errori, che vorrebbe vedere in ogni enunciazione biblica l’affermazione di verità divine.
L’agiografo non scrive di tutte le cose in modo assoluto, cioè come sono in sé, ma secondo la misura in cui interessano al suo scopo; il suo modo di vedere e di esporre le cose, il suo grado di affermazione è condizionato allo scopo concreto che intende assegnare alla propria opera.
E’ questa un’osservazione di capitale importanza per valutare le tracce divine nei libri ispirati e su di esse si ritornerà in seguito.

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Consiglia Elimina    Messaggio 7 di 23 nella discussione 
Da: cristianocattolico Inviato: 28/11/2002 16.09
Ogni affermazione autentica contenuta nella Scrittura è sempre parola di Dio almeno estrinsecamente, poiché è ispirata, cioè scritta dall’agiografo sotto l’influsso carismatico, per il fatto solo che è contenuta nella Scrittura, che è ispirata in ogni sua parte. Invece le affermazioni (benché autentiche) della Scrittura non sono parola di Dio intrinsecamente (cioè nel loro contenuto) quando riportano parole altrui, non sempre considerate come vere. Per es. in Sal 14,1; 53,1 si legge: “L’empio dice in cuor suo: non esiste Dio”. L’affermazione Dio non esiste è parola di Dio solo estrinsecamente, in quanto mediante l’agiografo Dio attesta che l’empio pensa così; ma il suo contenuto è condannato nella Scrittura come degno dell’empio.
Le affermazioni contenute nella Scrittura sono parole di Dio estrinsecamente e intrinsecamente:
a) quando sono affermazioni dell’agiografo in quanto tale, ossia in quanto ispirato. – Tutto ciò che l’agiografo asserisce, enunzia, insinua, va ritenuto come asserito, enunziato, insinuato dallo Spirito Santo -;
b) quando sono messe in bocca a Dio stesso o a Cristo, persona divina, o a persone che rappresentano Dio (angeli, profeti, apostoli presentati come organi della rivelazione), o che da Dio sono mosse a parlare (Maria SS., Elisabetta, il vecchio Simeone, il pontefice Caifa, il profeta Balaam);
c) quando sono approvate dall’agiografo esplicitamente o in modo equivalente.
Pur degnando di abbassarsi, per così dire, al livello dell’uomo prendendone in conto proprio i pensieri, i lavori e il libro che ne risulta, Dio sorpassa però in modo infinito lo strumento umano: questa trascendenza dell’azione divina non manca di farsi sentire nei Libri Sacri. Se, infatti, il senso primario delle parole è quello concepito e voluto dall’agiografo, Dio  – autore di tutta la Sacra Scrittura – ha potuto preparare alle parole dell’agiografo delle applicazioni e degli sviluppi che sfuggivano alla sua coscienza umana; Dio ha potuto fargli scegliere quelle determinate parole, fargli raccontare quei dati avvenimenti ai quali egli si riservava di dare risonanze nuove sotto la penna di altri agiografi per ulteriori tappe della rivelazione, ad esempio nelle sue lettere Paolo spesso spiega il significato di alcuni passi del V.T. alla luce del Nuovo.
I Padri insegnano che tutto nella Scrittura ha origine dallo Spirito Santo; ed in pratica ricavano significati profondi da qualunque particolare, anche a prima vista insignificante.
In ogni caso non bisogna esagerare nel studiare il significato di ogni singola parola, ma  è più importante capire il concetto delle frasi, cioè è più importante capire l’insegnamento che Dio ci dà.
Se l’agiografo non avesse nessun ruolo attivo (cultura personale, esperienze ecc.) nella stesura del libro, allora tutti i libri sacri dovrebbero presentare uno stile unico; viceversa ogni libro rivela lo stile dell’autore umano. Inoltre è impensabile che le differenze e le imperfezioni di stile e di lingua dovrebbero attribuirsi a Dio.

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Consiglia Elimina    Messaggio 8 di 23 nella discussione 
Da: cristianocattolico Inviato: 28/11/2002 16.11
Ci aspetteremmo un unico stile qualora l’ispirazione verbale consistesse nella rivelazione, in una dettatura di ciascuna parola da parte di Dio. Invece l’ispirazione verbale consiste in questo: l’agiografo sceglie liberamente la parola sotto l’influsso divino.
La varietà di stile propria di ciascun agiografo attesta che egli esercita liberamente la sua attività propria, benché sotto l’azione efficace dell’ispirazione.
Se ogni singola parola fosse ispirata non si spiegherebbero le divergenze nei passi paralleli, specialmente nei punti più importanti, come nelle parole della consacrazione e nel Pater nostro, che certo furono pronunziate dal Signore in un solo modo, oppure i diversi modi di raccontare ciò che c’era scritto nella parte superiore delle croce nel momento della crocifissione.
Anche fra i cattolici vi furono alcuni che deviarono il giusto concetto di ispirazione, tra questi  ci fu Sisto da Siena (1529 d.C.) Leonardo Lessio (1623 d.C.)  Giacomo Bonfrère, suo discepolo (1642 d.C.) e anche il benedettino D. Haneberg, ma il magistero della Chiesa non diede seguito e credito alle loro tesi.
L’enciclica Providentissimus Deus così descrive l’ispirazione: “Lo Spirito Santo con un’azione soprannaturale eccitò e mosse gli agiografi a scrivere e li assistette mentre scrivevano in modo tale che essi concepissero rettamente con la loro intelligenza tutte le cose che Egli voleva, si proponessero di scriverle fedelmente e le esponessero in forma conveniente, secondo verità infallibile; altrimenti Egli non sarebbe più autore di tutta quanta la Scrittura”. 
Dunque l’ispirazione nell’agiografo è luce alla mente, mozione alla volontà, assistenza alle facoltà esecutive.
Di ogni libro della Scrittura è ispirato direttamente solo il testo originale, anzi a rigore solo l’autografo (cioè il manoscritto originale) dell’autore ispirato. Le copie sono ispirate equivalentemente cioè se ed in quanto trascrivono fedelmente l’autografo. Le traduzioni in altre lingue sono da considerarsi ispirate equivalentemente, se ed in quanto riproducono fedelmente i pensieri e, fin che è possibile anche la forma letteraria dell’originale.
L’enciclica Divino afflante Spiritu invita gli esegeti a indagare “le condizioni di vita” e “in qual tempo sia vissuto” l’agiografo; la stessa enciclica, facendo sue le parole di S. Atanasio, ed estendendole a tutti i libri della S. Scrittura avverte: “Qui, come in ogni altro luogo della Scrittura si ha da fare, deve osservarsi in qual occasione abbia parlato l’Apostolo, chi sia la persona a cui scrive, per quale motivo le scriva; a tutto ciò si deve attentamente e imparzialmente badare, perché non ci accada, ignorando tali cose o fraintendendo l’una o l’altra, di andare lontano dal vero pensiero dell’autore”.

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Consiglia Elimina    Messaggio 9 di 23 nella discussione 
Da: cristianocattolico Inviato: 28/11/2002 16.15
Inoltre alcune volte lo scrittore descrive i fenomeni della natura con linguaggio figurato, specialmente nei libri e brani poetici. Perciò, quando dice, per es., che le stelle “si rallegrano e rispondono all’appello divino”, sarebbe errato concludere da questo e simili testi che la Scrittura concepisce la natura come animata: è solo un linguaggio poetico che, attraverso un’ardita ma bellissima metafora, vuole esprimere una realtà più elevata: l’onnipotenza divina, al cui comando gli astri sono perfettamente soggetti.
Ecco quindi che Giosuè dicendo: “fermati o sole, fermati o luna” non ha voluto dettare formule fisiche, matematiche e astronomiche, ma usando un linguaggio poetico ha voluto sottolineare l’onnipotenza di Dio che domina tutto l’universo e qualsiasi prodigio gli è possibile, infatti lo scorrere del tempo si fermò per un po’ ad opera di Dio.
S. Agostino a chi voleva indagare che cosa la Scrittura insegnasse intorno alla configurazione del cielo, rispondeva che “lo Spirito Santo non volle insegnare agli uomini cose che non hanno alcuna utilità per la salvezza eterna… Il Signore non promise lo Spirito Santo per istruirci intorno al corso del sole e della luna: Egli voleva fare dei cristiani, non dei matematici”.
Anche ai nostri giorni gli stessi scienziati nella conversazione corrente usano lo stesso linguaggio e dicono: “il sole sorge, il sole tramonta” pur sapendo benissimo che la realtà è diversa. Tuttavia ai sensi sembra che sia il sole, e non la terra, a muoversi, e ciò basta a giustificare il linguaggio corrente, come anche il linguaggio biblico (Eccl 1,5 s.).
Galileo nella sua lettera a Madama Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana, partendo dal presupposto che la Scrittura non può mai mentire, sottolinea che la Scrittura non ha uno scopo scientifico ma religioso, e cita ripetutamente un detto del Baronio, cioè “che è intenzione dello Spirito Santo d’insegnarci (nella Scrittura) come si va in cielo, non come va il cielo.
Nell’antichità (tanti secoli prima di Galileo) infatti il cielo era descritto come un’immensa volta solida, poggiata su colonne; esso divide le acque in due parti: quelle al di sopra e quelle al di sotto del cielo. Le acque superiori formano un gran serbatoio che Dio apre quando vuol mandare la pioggia; le acque inferiori formano l’oceano, nel quale si trovano le fondamenta della terra. Anche la neve e la grandine si trovano in grandi serbatoi collocati al di sopra della volta del cielo; i venti pure sono tenuti come in grandi serbatoi. Sulla volta del cielo sono infissi gli astri, dei quali i maggiori sono il sole e la luna; la terra poi è supposta immobile mentre il sole le gira intorno (Gen 1,6-8; 16; 7,1 ss. Giob. 26,11; 37,18; 38,22 ecc.). Questa descrizione, corrispondente alla concezione non solo degli Ebrei, ma di tutta l’antichità, non è scientifica, ma è fatta secondo ciò che appare ai sensi. Come anche in Isaia 40,22 si legge: “Egli siede sopra la volta del mondo, da dove gli abitanti sembrano cavallette”. Alcune traduzioni come la Diodati traducono “Egli siede sopra il globo del mondo…” oppure in Pr 8,22 leggiamo: “dilettandomi sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo.”

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Consiglia Elimina    Messaggio 10 di 23 nella discussione 
Da: cristianocattolico Inviato: 28/11/2002 16.17
In ogni caso bisogna sempre comprendere ed accettare il concetto del messaggio divino, le singole parole possono riferirsi a fatti o cose che i sensi umani percepiscono, ma non necessariamente debbono corrispondere alla realtà scientifica.
Bisogna stare sempre attenti nel valutare i contenuti biblici, altrimenti si va a cozzare contro alcune apparenti contraddizioni che troviamo nella Bibbia. In realtà la Bibbia non si contraddice mai, e in nessun versetto, basta solo saper riconoscere lo scopo dei messaggi divini.
Ad esempio nelle S. Scritture troviamo diverse imprecazioni, per imprecazioni s’intendono le espressioni che augurano del male. Le imprecazioni che si trovano nella Bibbia hanno per oggetto svariati mali e castighi temporali, e persino la morte; sono contenute soprattutto nei salmi così detti “imprecatori”.
Queste imprecazioni sembrano espressioni di odio personale contro il nemico e contrarie alla virtù della carità. Per risolvere tale difficoltà bisogna esaminare caso per caso, tenendo presenti i principi che seguono.
Nell’A.T. vigeva la legge del taglione legge dura ma in sé giusta, perché basata sul principio, moralmente onesto, che la colpa deve essere adeguatamente punita. Questa legge era largamente diffusa nel mondo semitico e Dio l’aveva approvata anche per il suo popolo.
Non va giudicata in base al precetto evangelico del perdono, anzi dell’amore verso i nemici
(Mt 5,43-48); rispetto ad esso è certamente imperfetta, ma in sé non si può dire disonesta.
Le imprecazioni si presentano generalmente non come sfoghi di odio personale, ma come invocazioni a Dio perché compia la giusta vendetta secondo la legge del taglione o portando ad esecuzione le sue minacce di maledizione contro i trasgressori della Legge (Lev 26, Dt 28).
Il motivo per cui l’imprecante è perseguitato è il suo attaccamento alla legge di Dio; così la causa personale diventa la causa stessa di Dio che ha promesso le sue benedizioni ai fedeli.

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Da: cristianocattolico Inviato: 30/11/2002 9.27

Egli è mosso dunque dal sentimento della giustizia (caratteristica dell’A.T.), meno perfetto del sentimento della carità (caratteristica del N.T.). Che questi appelli alla giustizia di Dio, affinché vendichi il diritto violato, contengano anche una parte di risentimento personale degli autori umani, è comprensibile; “i cristiani che seguono (e che seguiamo) così male gli esempi e insegnamenti del Cristo, non hanno diritto di scandalizzarsi; farebbero meglio ad attingere da essi uno zelo più ardente per l’avvento del Regno di Dio che deve stabilire la giustizia definitiva.
Ecco perché nella dottrina cattolica troviamo che il N.T. contiene alcune cose caduche e imperfette, queste cose temporanee vengono adempite e completate nel Nuovo Testamento, in quest’ultimo non vige più ad esempio la legge del taglione, ma la frase “porgi l’altra guancia”, che deriva dalla carità predicata da Gesù.
Certe imprecazioni sono da considerarsi piuttosto profezie. Così S. Pietro ha applicato il Salmo 109,8 (contro un traditore) a Giuda, traditore di Gesù.
Anche quando nella Bibbia troviamo lodi verso qualcuno, sarebbe opportuno saper discernere correttamente, infatti la lode generica di un personaggio, non implica affatto l’approvazione di tutte le sue azioni. Così il lettore può facilmente notare il contrasto fra la poligamia di Lamec (Gen 4,19) e l’unità del matrimonio come fu inizialmente istituito da Dio stesso (Gen 2,23). “Se la Scrittura narra certi fatti non è perché li imitiamo ma perché ce ne guardiamo” (S. Agostino).
Così l’elogio delle due levatrici in Es 1,19 s. non implica l’approvazione della loro bugia, né l’elogio di Giuditta comporta l’approvazione del suo inganno (Giudit. 10,11 ss.).
Tenendo presenti i suddetti principi si può apprezzare rettamente ciò che la Scrittura dice intorno alla guerra. Vi sono però casi in cui Dio stesso dà ordine di distruggere città, di sterminare popoli (Num 21,2 s.; Dt 7,1-6; anzi la riprovazione di Saul ebbe inizio dalla trasgressione di un ordine simile: I Sam 15). Bisogna allora notare che tali ordini avevano lo scopo di prevenire il pericolo che gli Israeliti si lasciassero trascinare all’idolatria e alla corruzione dei costumi: nel conflitto tra il bene materiale altrui e il bene spirituale proprio, a quello fu preferito quest’ultimo. Inoltre Dio, padrone della vita e della morte, si servì del popolo eletto per punire le popolazioni cananee delle loro gravi perversioni morali (Gen 15,16; Dt 9,4 s.; 18,9-12; Sap 12,1-7)
Malgrado l’altezza dei principi morali che contiene, l’A.T. non è un codice morale: esso testimonia l’attività di un Dio condiscendente che volle adeguare la propria azione alla debolezza umana
(Mt 19,8). Questa è in ultima analisi la spiegazione delle imperfezioni morali che si riscontrano negli eroi biblici. La Bibbia testimonia una pedagogia divina e una pedagogia progressiva.
Presi gli uomini in uno stato morale e intellettuale inferiore, Dio li ha condotti fino al vangelo;
ma solo a poco a poco ha rivelato il loro ideale, e non fa meraviglia se alle prime tappe della storia sacra non si manifesta la conoscenza di quelle leggi divine che sono al livello del Discorso della montagna.
Ecco quindi ancora che non sono importanti le singole parole ma il concetto dell’insegnamento.
Tradurre la Bibbia in più lingue sicuramente aiuta a meglio capire, oggi ogni popolo può studiare la Bibbia tradotta nel proprio linguaggio.


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Da: cristianocattolico Inviato: 30/11/2002 9.30
La Bibbia ebraica fu tradotta in greco nel III secolo a.C. per poter essere capita dagli ebrei residenti fuori della Palestina, i quali non conoscevano l'ebraico, ma parlavano il greco, diffuso in tutti i paesi del Mediterraneo orientale. La versione fu compiuta ad Alessandria e fu detta dei Settanta, perché si credette compiuta da settanta dotti ebrei, e rappresenta il canone alessandrino.
Dopo la versione dei Settanta si ebbero quelle, pure greche, di Aquila, Simmaco e Teodozione, che  Origene nel III sec. riunì in una grande opera chiamata Esala (Sestupla), perché in sei colonne parallele dava il testo ebraico, lo stesso trascritto in lettere greche, poi le altre versioni greche citate. Di quest'opera esistono esigui frammenti.
Dell'Antico Testamento esistono anche versioni aramaiche, o targumim. Dell'intera Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) esistono antiche versioni in lingue orientali: in lingua siriaca (la più nota è la Peshitta [Pešitta', usuale, semplice]), in lingua copta, armena, etiopica, georgiana, araba.
Le antiche versioni in lingue occidentali sono: la gotica, la paleoslava e la latina.
In quest'ultima lingua esistettero dapprima due o tre versioni: l'africana e l'itala (II sec.) e, forse, l'europea (II-III sec.). Nel IV sec. san Girolamo tradusse l'intera Bibbia in gran parte dai testi originali; è questa la versione detta Vulgata che per la Chiesa cattolica è autentica, come ha definito il concilio di Trento, cioè fa testo in materia di fede e di costumi. (cf, Enc. Rizzoli 2002).
Esamineremo ora, nelle linee generali, il lento processo di “canonizzazione”, o formazione del canone, dei libri ispirati, dopo aver premesse alcune necessarie nozioni.
Presso gli scrittori profani canone indicò primitivamente il fusto di una canna e per estensione ogni bastone diritto e lungo. Ora siccome gli antichi per misurare si servivano di una canna, questo termine assunse presto il senso derivato di misura, regolo, anche in senso metaforico, e quindi regola, norma, modello, con applicazioni persino alla grammatica e all’arte.
Presso gli scrittori ecclesiastici il termine canone conservò il significato di norma, regola, e venne usato in rapporto alla fede e ai costumi, alla disciplina (specialmente del clero), alla liturgia,
e soprattutto alla Sacra Scrittura, considerata come regola suprema di fede e di vita.
L’espressione “canone biblico” indica fin dal sec. III il catalogo ufficiale dei libri ispirati, i quali, per la loro divina origine, costituiscono la regola della fede e dei costumi.

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Da: cristianocattolico Inviato: 30/11/2002 9.34
La distinzione dei libri ispirati in proto- e deuterocanonici non intende introdurre una gradazione nella dignità e nell’autorità dei libri sacri, ma solo indica il tempo della loro accettazione ufficiale nel canone: i deuterocanonici furono riconosciuti dalla Chiesa universale come ispirati solo più tardi, per dubbi sorti intorno alla loro divina origine in alcune chiese particolari; mentre i protocanonici furono dalla Chiesa universale riconosciuti come ispirati fin dall’inizio, senza che vi sia mai stata alcuna incertezza.
I deuterocanonici sono sette nell’A.T., e altrettanti nel N.T. e cioè: Tobia, Giuditta, Sapienza, Ecclesiastico, Baruc, 1-2 Maccabei, nell’A.T.; l’epistola agli Ebrei, l’epistola di Giacomo, la seconda epistola di Pietro, la seconda e la terza epistola di Giovanni, l’epistola di Giuda, l’Apocalisse, nel N.T. A questi libri vanno aggiunti tre brani dell’A.T.: Est. 10,4 – 16,24 (Vg) e Dan 3,24-90; 13 -14.
Comunemente si aggiungono anche tre brani del N.T. (la finale del secondo vangelo: Mc 16,9-20; la descrizione del sudore di sangue di Gesù: Lc 22,43 ss; l’episodio della donna adultera: Gv 7,53 -8,11). Ma è da osservare che l’antichità generalmente non ebbe incertezze sull’ispirazione di questi brani. Solo ai nostri giorni i critici ne hanno dubitato, perché essi mancano in alcuni codici e versioni.
I protestanti chiamano come i cattolici i deuterocanonici del N.T., che nelle loro Bibbie stampate si trovano insieme con i protocanonici nell’ordine del canone; invece i deuterocanonici dell’A.T. li chiamano apocrifi, non li riconoscono come ispirati, e generalmente non si trovano nelle loro edizioni della Bibbia; gli apocrifi dell’A.T. essi li chiamano comunemente pseudepigrafi (libri dal falso titolo), mentre denominano come i cattolici gli apocrifi del N.T.
Il criterio delle canonicità è il medesimo che per l’ispirazione, con la sola differenza che, mentre il criterio per l’ispirazione è applicato a tutti i libri sacri in generale, il criterio per la canonicità è applicato a ciascun libro in particolare. Tale criterio è la tradizione apostolica della Chiesa.
Questa tradizione apostolica si manifestò fin dagli inizi della Chiesa, attraverso varie forme concrete: testimonianze dei Padri e degli scrittori ecclesiastici, citazioni di brani dell’A. e N.T. attribuiti a Dio, decisioni sinodali, lettura liturgica.
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Da: cristianocattolico Inviato: 30/11/2002 9.41
Dalla storia del canone risulterà che l’accettazione nel canone di un libro sacro da parte dell’autorità della Chiesa non è necessario sia fatta solennemente: basta anche l’accettazione pratica, per vie di fatto. Consta con certezza che non sono giunti fino a noi alcuni scritti dei quali, dalla Bibbia, conosciamo l’esistenza e talvolta anche il titolo. Così per l’A.T. il “libro del Giusto”, le profezie del profeta Gad, ecc., e per il N.T. almeno un’altra epistola di S. Paolo ai Corinzi e una ai Laodicesi (Col 4,16). Se fossimo sicuri che questi libri erano ispirati, dovremmo anche ammettere che di fatto alcuni libri ispirati sono andati perduti.
Per sapere se questi libri erano ispirati bisogna interrogare la tradizione cattolica, unico criterio d’ispirazione: ma essa tace assolutamente in proposito. Non basta il fatto che questi scritti erano dovuti a qualche profeta e apostolo, perché il criterio dell’apostolato non è sufficiente. Quindi ignoriamo se di fatto qualche scritto ispirato sia andato perduto.
Quanto poi alla questione astratta se sia possibile che qualche libro ispirato sia andato perduto, bisogna distinguere tra libro soltanto ispirato e libro ispirato e canonico. Ora non sembra possibile che sia andato perduto un libro ispirato e canonico, cioè già universalmente riconosciuto e dichiarato ispirato dalla Chiesa: ciò supporrebbe che la Chiesa non è stata fedele alla sua missione di custode delle fonti della rivelazione, il che non si può ammettere.
Di un intero libro ispirato del N.T. (vangelo di Matteo, scritto originariamente in aramaico) e di alcuni libri e brani deuterocanonici dell’A.T. è andato perduto il testo originale, ma ce ne sono rimaste traduzioni sostanzialmente conformi.
Occorre innanzi tutto ricercare come si formò il canone dei protocanonici presso gli Ebrei e che cosa essi pensassero dei deuterocanonici. L’opinione dei giudei in proposito potrebbe anche essere trascurata, poiché i cristiani hanno ricevuto il canone dell’A.T. non da loro, ma da Gesù e dagli apostoli. Però tutto fa pensare che in questa materia il Signore e gli apostoli non hanno fatto che accettare e trasmettere il canone giudaico. Ora, mentre non c’è dubbio sul pensiero dei giudei in favore dei protocanonici, rimane invece incerto che cosa essi pensassero dei deuterocanonici.
Secondo il nostro modo di contare, i protocanonici dell’A.T. sono 34. Ma antichi documenti giudaici (l’apocrifo IV Esdra, il Talmud babilonese, con altri scritti rabbinici) e due scrittori ecclesiastici (S. Gerolamo, S. Ilario di Poitiers) ne contano solo 24: questa cifra è una riduzione ottenuta mediante raggruppamenti di libri simili tra loro e sostanzialmente corrisponde alla nostra cifra.

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Da: cristianocattolico Inviato: 30/11/2002 9.44
A motivo della scarsità di documenti è impossibile tracciare una storia completa del canone dei protocanonici dell’A.T.: i pochi dati ci permetteranno di stabilirne soltanto le linee generali.
Nella Bibbia ebraica i protocanonici dell’A.T. sono distribuiti in tre classi: la Legge (Tòràh), i Profeti (Nebì’ìm), gli Scritti (Ketùbìm). Questa tripartizione è attestata da antichi documenti, i quali menzionano le prime due classi con i loro nomi ben determinati, la terza con termini fluttuanti.
La seconda e la terza classe abbracciarono a loro volta raccolte minori. Tutte queste ripartizioni bastano a dimostrare che il canone dell’A.T. non si formò di un solo getto, ma a poco a poco e in varie tappe, di cui le essenziali sono rappresentate dalle tre raccolte principali: Legge, Profeti, Scritti.
La Legge o Pentateuco. Tre avvenimenti permettono di tracciare le linee maestre del processo di canonizzazione della prima raccolta.
Verso il 444 a.C., al tempo della restaurazione nazionale dopo il ritorno dell’esilio babilonese, Esdra capo spirituale della nazione, in varie adunanze pubbliche legge al popolo la “Legge di Mosè” (Neem 8-10): il popolo ascolta la lettura con viva attenzione; pentito, domanda al Signore perdono delle trasgressioni proprie e di quelle dei padri, e s’impegna ad osservarla in seguito. Di qui risulta che alla Legge viene riconosciuto un valore normativo per la vita religiosa e sociale, anche per il tempo precedente, poiché si deplora che anche gli antichi padri, a cominciare dall’epoca di Mosè non abbiano conformata la loro condotta alla Legge (Neem 9,16 ss.). Questo valore normativo è appunto quello che noi chiamiamo “canonicità”.
Qualcosa di simile era avvenuto al tempo di Gioisia, re di Giuda (639-609). Nel 621 fu ritrovato casualmente nel Tempio il “libro della Legge”: venne letto al re, il quale poi lo fece leggere solennemente al popolo; il re riconobbe che le prescrizioni della Legge non erano state osservate in passato e s’impegnò a farle osservare in avvenire; eseguì la riforma religiosa, conformandola pienamente alle norme della Legge. Dunque questo valore normativo della Legge si riconosceva già alla fine del sec. VII a.C. e si supponeva esistente anche in passato.
Infine, leggiamo che Mosè, quando ebbe finito di scrivere la “Legge”, la fece collocare accanto all’Arca dell’alleanza, dando ordine di leggerla pubblicamente ogni 7 anni (Dt 31,9-13. 24 ss.).
La canonizzazione della prima raccolta ha dunque una sua storia, che, sebbene sia nota solo in modo approssimativo, permette di ritenere come certo il riconoscimento del suo valore sacro e normativo; tale storia ebbe una fase decisiva, se non finale, nel sec. IV ad opere di Esdra. L’importanza di questa raccolta fu tale che con il termine “Legge” a volte si soleva designare tutto l’A.T.

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Da: cristianocattolico Inviato: 30/11/2002 9.48
I Profeti. Un dato abbastanza sicuro indica il termine del processo di canonizzazione della seconda raccolta.
Verso il 180 a.C. l’autore dell’Ecclesiastico, tessendo l’elogio degli antenati, enumera i vari personaggi esattamente secondo l’ordine dei corrispondenti libri della seconda raccolta
(Eccl. 46,1 – 49,15). Mezzo secolo più darti (verso il 130) il nipote dell’autore dell’Ecclesiastico (nel prologo) tra la Legge e gli altri “Scritti” dei padri nomina anche i “Profeti” come una collezione ben distinta.
Possiamo dunque affermare che la canonizzazione della seconda raccolta era già terminata nei primi anni del sec. II a.C.? E’ verosimile, ma non certo.
Che essa fosse terminata prima della terza non si può arguire con certezza dalle espressioni dove la formula “Legge e Profeti” equivale a tutto l’A.T.: si tratta infatti della designazione delle parti principali per il tutto, cioè di una sineddoche.
Gli Scritti. Ezechia re Giuda (718-689) fece raccogliere un certo numero di proverbi di Salomone (Prov. 25,1) e istituì o regolamentò il canto liturgico dei salmi di Davide e Asaf (2 Cron 29,30): sono le prime collezione appartenenti alla terza raccolta. 
La canonizzazione degli “Scritti” dunque, iniziata con Ezechia, si andò sviluppando a poco a poco: non si può stabilire quando sia giunta a compimento.
Dal fatto che i Giudei aggiunsero alla Legge anche i Profeti e gli Scritti, possiamo concludere che essi riconoscevano alla seconda e alla terza raccolta lo stesso valore normativo attribuito alla Legge, cioè le consideravano raccolte di libri sacri.
Esdra autore del canone dei protocanonici? Fu opinione di vari scrittori ecclesiastici che Esdra avesse formato e chiuso il canone. L’opinione si diffuse largamente fra protestanti e cattolici e dominò fino ai nostri giorni passando come tradizionale: secondo i protestanti Esdra avrebbe chiuso il canone in modo che non sarebbe più stato permesso aggiungervi altri libri, mentre i cattolici sostenevano che i Giudei di Alessandria vi avessero aggiunto più tardi i deuterocanonici.
Oggi questa opinione è universalmente abbandonata, perché i documenti su cui si fondava (IV Esdra, Flavio Giuseppe, Talmud) su questo punto non sono degni di fede, perché se veramente Edra avesse chiuso il canone, ne resterebbero perciò esclusi i libri protocanonici delle Cronache, di Esdra-Neemia e dell’Ecclesiaste, che si ritengono posteriori a Esdra.
Almeno ad Alessandria il canone comprendeva anche i deuterocanonici. I codici della Bibbia greca alessandrina, detta “versione dei LXX”, (settanta) contengono i deuterocanonici, e non in appendice, come se fossero di altro genere, ma nel corpo, mescolati ai protocanonici: dunque gli Ebrei di Alessandria attribuivano loro lo stesso valore.
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Da: cristianocattolico Inviato: 30/11/2002 9.52
Probabilmente anche in Palestina il canone comprendeva i deuterocanonici, perché tra le due comunità giudaiche di Gerusalemme e di Alessandria corsero sempre buoni rapporti, particolarmente in materia di libri sacri. Questi buoni rapporti difficilmente sarebbero durati se gli alessandrini avessero considerati come sacri alcuni libri non ritenuti tali dai palestinesi.
All’epoca di Nostro Signore a Gerusalemme esisteva almeno una sinagoga per gli Ebrei alessandrini (Atti 6,9); ora una delle pratiche eseguite nella sinagoga era la lettura della Bibbia e, naturalmente, il testo usato nella sinagoga alessandrina di Gerusalemme era la versione greca dei LXX, che conteneva anche i deuterocanonici. Siccome non consta che i gerosolimitani abbiano protestato, è presumibile che essi non fossero ostili ai deuterocanonici.
Gli stessi apostoli usavano la Bibbia dei LXX, questo è un fattore determinante per assicurare l’effettiva ispirazione dei 7 libri del V.T., in quanto in nessuno degli scritti apostolici troviamo avvertimenti verso i 7 libri, oltretutto troviamo alcune loro citazioni nel N.T.
Il canone lungo giudaico
(comprendente i libri deuterocanonici) fu probabilmente accorciato dai farisei. Dopo la caduta di Gerusalemme (70 d.C.), distrutto il tempio e con esso cessato il sacerdozio, i farisei, che già godevano il favore popolare, conquistarono facilmente il primato spirituale. Essi vollero sottoporre a un esame scrupoloso tutti i libri sacri per assicurarsi se tutti “macchiassero le mani” (gli antichi ebrei usavano dire che i libri sacri macchiavano le mani, cioè lasciavano un impronta nella mani, era un modo di dire, che indicata la sacralità dei libri) o se non fosse il caso di escluderne qualcuno dalla lettura sinagogale.
I criteri su cui fu basato il nuovo esame furono tre: antichità del libro, composizione in lingua “sacra” (ebraica o aramaica), conformità alla Legge. Che i farisei abbiano sottoposto il canone a un nuovo esame, si può dedurre dalle discussioni sorte tra il I e il II secolo d.C. intorno al carattere sacro di cinque libri protocanonici. Nessuna discussione è invece riferita intorno ai deuterocanonici. Ma proprio questo silenzio è significativo. I farisei che facevano questo esame dei libri sacri erano ostili ai discendenti di Simone Maccabeo (asmonei), che consideravano come usurpatori dell’antica dinastia davidica e perché avevano parteggiato per i sadducei. Così si spiega come senza discussione alcuna vennero esclusi dall’uso sinagogale i due libri dei Maccabei, e con essi i libri dell’epoca maccabaico-asmonea (o almeno creduti di quel tempo), col pretesto che erano troppo recenti, scritti talvolta in lingua non “sacra” e trovati forse contrastanti con la Legge.
Il fatto stesso che il canone dopo la rottura definitiva con i cristiani fu sottoposto a rianalisi la dice lunga sulla sincerità dei farisei, i quali non accettarono in tronco tutto il N.T. perché non scritto in lingua “sacra” (aramaico o ebraico) e soprattutto perché non riconoscerono il Messia.
Quale autorità gli si può quindi riconoscere dopo la nascita del cristianesimo?
E come si può ritenere gli Ebrei gli unici a poter stabilire il canone non si capisce.

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Da: Soprannome MSNcristiano-cattolico Inviato: 04/12/2002 0.40
Gli Ebrei ebbero il privilegio di avere affidata la Legge e gli oracoli del Signore, ma con la nascita del cristianesimo la loro autorità cessò, i loro occhi non riconobbero il Messia, quindi i libri sacri furono affidati alla Chiesa nascente, ella era la nuova autorità costituita da Cristo, ed ella fissò il canone del N.T. e riconfermò il canone del V.T. rifacendosi alla traduzione dei LXX, gli ebrei persero tutto quello che gli era stato dato, nessuna autorità  ebbero più perché peccarono contro lo Spirito Santo rinnegando Gesù Cristo.
Quindi molti protestanti farebbero bene a rivedere le proprie posizioni,
perché basate sul giudizio di un popolo che ormai da quasi 2000 anni ha perso ogni autorità biblica.
Non ci sarebbe nemmeno bisogno continuare, ma per amore della precisione e della verità continuo a illustrare la storia del canone e dei libri deuterocanonici, per dipanare ogni dubbio in proposito.
Quando avvenne la chiusura del canone ebraico e da chi fu operata?
Verso l’anno 130 a.C. il nipote dell’Ecclesiastico parla di una traduzione “della Legge, dei Profeti e di altri libri”; verso lo stesso periodo il I Mac. parla di “libri sacri”, libri cioè che godono di una particolare venerazione presso il popolo di Israele, mentre vengono proscritti dai pagani Seleucidi;
Il 2 Mac. 2,13 riferisce che tra le attività riorganizzative di Neemia vi fu pure una biblioteca che, probabilmente, con i libri sacri ne comprendeva altri.
Vi furono dei dubbi su quali libri includere anche nei protocanonici perché in Ezechiele furono trovate alcune contraddizioni con la Legge, poi furono trovate contraddizioni interne anche in Ecclesiaste e i Proverbi, o anche il contenuto in apparenza profano per il Cantico, il pericolo di provocare dell’odio contro il popolo giudaico per Ester.
Alcuni sostenevano che questi libri “macchiavano le mani”, altri che bisognava “nasconderli” (cioè escluderli dalla lettura sinagogale). Finì per prevalere l’opinione favorevole alla canonicità.
Alle soglie dell’era cristiana, tra gli Ebrei vi erano ancora esitazioni: il giudaismo palestinese rivela la tendenza a considerare sacri soltanto i libri antichi, scritti soprattutto in ebraico, e non quelli scritti in greco; ma questa è la tendenza dei farisei; ve n’erano pure altre. L’ambiente sadduceo considerava canonico solo il Pentateuco; mentre nella diaspora alessandrina e a Qumràn, forse, si riteneva che la parola di Dio non fosse terminata e si avesse il diritto di attendere ancora un messaggio ispirato. E’ così che nella diaspora si riconosce una vera autorità divina ai deuterocanonici.

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Consiglia Elimina    Messaggio 19 di 23 nella discussione 
Da: Soprannome MSNcristiano-cattolico Inviato: 04/12/2002 0.44
Quanto agli altri per conoscere realmente il loro pensiero è meglio vagliare i loro scritti, perché se alcuni espressero qualche dubbio, ma poi nelle loro opere citano i libri deuterocanonici vuol dire che in definitiva essi li riconoscevano come ispirati, avendo chiarito i loro dubbi in merito.
Concludendo, possiamo affermare che la maggioranza dei Padri non ha alcun dubbio intorno all’ispirazione dei deuterocanonici; solo una minoranza ne dubita in teoria, mentre in pratica se ne serve come dei protocanonici: nei loro dubbi essi riflettono il pensiero giudaico, da cui sono direttamente o indirettamente influenzati; nell’uso pratico attestano la fede della Chiesa.
Nei secoli successivi vi furono anche altri Padri che riportarono dei dubbi, basandosi sulla teoria di Gerolamo, anche l’autorevole Tommaso d’Aquino ebbe delle incertezze, ma se controlliamo le sue opere ci accorgiamo che fa un ampio uso dei deuterocanonici, ma dopo il 1912 nessun dubbio è più ammissibile, perché fu scoperto un documento recante un suo discorso accademico del 1256, dove Tommaso dà la divisione dei libri della Bibbia, e, senza alcuna distinzione e frammisti ai protocanonici, elenca anche i deuterocanonici.
Zwingli essendo egli stesso protestante, della traduzione fatta da Lutero diceva che essa “alterava e corrompeva la parola di  Dio”.
Balgy, famoso teologo anglicano, diceva che i Protestanti ebbero il singolare talento di vedere tutto ciò che essi bramavano di vederci, cioè di far dire alla Bibbia ciò che ognuno voleva.
Tutti sappiamo che la Congregazione dei Testimoni di Geova, con sede centrale a Brooklyn
(New York) ha superato tutti, divenendo, in questo settore, i “falsari della Bibbia”.
Essi costituiscono una setta eccentrica e strana, ed è il prodotto più aberrante del protestantesimo americano.

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Da: Soprannome MSNcristiano-cattolico Inviato: 04/12/2002 0.47
La Bibbia dei fratelli protestanti non è uguale alla nostra, bisogna comunque distinguere tra le varie traduzioni bibliche che usano i protestanti. I testimoni di Geova ad esempio usano una loro traduzione (fatta dalla Società Torre di Guardia) che presenta pesanti e minuziose alterazioni, infatti essi fanno dire alla Scrittura ciò che vogliono loro, ad esempio gli fanno affermare che Gesù non è Dio, e che lo Spirito Santo non è una Persona divina. Gli “evangelici” pentecostali invece hanno la Bibbia quasi uguale alla nostra (cattolica romana), tranne che in alcuni libri che il protestantesimo ha scartato, ritenendoli non ispirati e chiamandoli pertanto “apocrifi”, e che traduce alcuni termini in maniera leggermente differente, ad esempio la Diodati.
I protestanti hanno preferito usare il canone ebraico, nel quale non sono compresi alcuni libri del V.T., questo suscita in me un po’ di stupore, perché mi domando come si fa ad accettare il canone ebraico e quindi considerare esempio corretto da seguire “il canone ebraico” quando è risaputo che gli ebrei non hanno riconosciuto Gesù Cristo come Messia, quindi praticamente i protestanti si affidano al canone dei ciechi, che prima hanno fatto tradurre dai Settanta anche i libri deuterocanonici e poi in seguito allo rottura definitiva con i cristiani avvenuta intorno all’anno
100 d.C. hanno tolto dal loro canone i libri deuterocanonici.
I protestanti seguendo gli ebrei dovrebbero rifiutare pure il Nuovo Testamento, perché non lo fanno?
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Da: cristianocattolico Inviato: 16/12/2002 20.05
Il protestantesimo ha sempre avuto le idee confuse circa l’ispirazione di alcuni Libri Sacri, la Bibbia letta fuori dalla Chiesa e contro di Essa non può che indurre all’errore?
La Chiesa è il prolungamento di Cristo, la bocca di Cristo.
Dice frà Tommaso: “che se la Bibbia non ci avesse lasciato delle norme precise su questo punto fondamentale, non crederei né a Cristo, né ai Vangeli.”
In effetti frà Tommaso ha perfettamente ragione, perché un conto era credere “vedendo”, come al tempo degli Apostoli, nel quale il popolo vedeva e sentiva la loro viva voce e i loro prodigi, un altro conto è invece credere per fede, senza poter parlare direttamente con gli Apostoli e con Gesù.
Quindi è logico che Gesù è la sua Chiesa doveva stabilire delle norme, tramite le quali si poteva provare l’autenticità della Bibbia, in modo tale che se un ateo la mettesse in dubbio chiamandola romanzo fantasioso, o comune libro storico, la Chiesa potesse dimostrare inconfutabilmente l’autenticità della Bibbia, e la sua ispirazione divina.
D’altra parte prima di frà Tommaso, molti altri credenti hanno fatto lo stesso ragionamento.
S. Agostino, che conosceva molto meglio di noi la S. Scrittura, diceva: “Non crederei ai Vangeli se non me lo dicesse la Chiesa”. Un tale maestro ne sapeva certamente più di tanti altri che pretendono di conoscere la Bibbia solo perché vi fanno lunghe e meticolose ricerche, ma col preciso scopo di trovarvi frasi o parole con le quali presumono di confondere i cattolici e di legiferare contro la Chiesa di Cristo.
Innanzitutto vanno fatte le dovute distinzioni tra Antico e Nuovo Testamento, perché la stessa Bibbia le fa.
Facciamo solo un esempio: “Così Dio parla di un’Alleanza nuova, e perciò dichiara superata l’Alleanza precedente. E quando una cosa è antica e invecchiata, le manca poco a scomparire”
(Eb 8,13).
Alcuni fratelli non cattolici si servono di queste speciose ragioni di non distinzione tra l’A. e il N. Testamento, perché con tale metodo, riescono a “trovare” le conclusioni che fan comode, specie quando la dottrina da essi professata incontra gravi difficoltà a confrontarsi con la chiarezza di alcune affermazioni neotestamentarie.
Sappiamo poi che alcuni gruppi protestanti non tengono nel dovuto conto certe norme esegetiche, ormai accettate da tutti gli studiosi e dal Magistero Ecclesiastico. Non tengono sempre conto dei generi letterari, del contesto e, in casi molto importanti neppure del testo (vedi per es. i testimoni di Geova, la cui “Bibbia” offre, agli ingenui seguaci della setta, una traduzione falsata).
E’ facile comprendere che il tal modo la Parola di Dio diventa oggetto utile per sostenere qualsiasi opinione ed offre “ricette pronte” per tutte le risposte.

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Consiglia Elimina    Messaggio 22 di 23 nella discussione 
Da: cristianocattolico Inviato: 16/12/2002 20.07
La lista ufficiale dei libri della Bibbia è detta, fin dal 4° secolo d.C., Canone, in quanto i libri sacri sono norma della fede e della morale.
La differenza (come già detto) tra il canone ebraico dell’A.T. e quello della Chiesa cattolica sta nella mancanza, in quello ebraico, dei seguenti libri: Tobia, Giuditta, 1° e 2° Maccabei, Sapienza, Siracide, Baruc con la lettera di Geremia, alcune parti di Ester e Daniele.
La parola “deuterocanonici” fu introdotta (e accettata dai cattolici) da Sisto Senese nel 1566, dopo il concilio di Trento. Così i libri non contestati furono detti protocanonici, e quelli contestati deuterocanonici.
Quindi come abbiamo detto tutti i libri dell’A.T. furono scritti tra il sec. XV e II sec. a.C.  in ebraico per la maggior parte, ma dei cosiddetti deuterocanonici il testo originale è ignorato o furono scritti in greco.
Della gran parte di questi libri (46), sappiamo che erano accettati già dalla Sinagoga come ispirati, e lo troviamo in tutte le Bibbie ebraiche. Altri invece li conosciamo soltanto nella versione greca detta dei “Settanta”, e sono quelli che chiamiamo appunto deuterocanonici. La loro canonicità, ossia il loro carattere ispirato, fu posta in discussione da alcuni Padri della Chiesa; tuttavia il fatto che gli Apostoli e la Chiesa primitiva li avessero accolti, fece sì che fossero ritenuti ispirati.
Per brevità e chiarezza, i libri comuni ai due canoni si chiamarono protocanonici e quelli esclusi dall’edizione ebraica deuterocanonici, ma il significato di questi termini, nell’accezione ecclesiastica, non va esteso ad una differenza di valore o di autenticità dei due gruppi.
Come già detto la parola greca "canon" significa "regola", "norma" ed è impiegata dal
sec. IV per designare la collezione dei libri sacri. Da allora si parla di libri "canonici" in contrapposizione ai "non canonici". I termini "protocanonici" e "deuterocanonici" sono invece stati inventati da Sisto Senese il quale volle distinguere quelli che concordarono sempre con l'A.T., da quelli sui quali alla fine del 1° secolo dopo Cristo, sorsero delle polemiche e dei dubbi che si protrassero per molti anni. Gli Ebrei e i Protestanti chiamano i libri deuterocanonici "apocrifi", escludendoli dal canone biblico.
Non dovrebbe essere difficile - almeno per chi crede nella divina istituzione della Chiesa - comprendere che, trattandosi di questioni a carattere soprannaturale, la facoltà di dichiarare infallibilmente quale libro sia dotato del carattere dell'ispirazione, e sia perciò da inserirsi nel canone biblico, é soltanto della Chiesa, depositaria della dottrina di Gesù Cristo. Quindi il criterio sicuro e anche logico per conoscere se un libro debba far parte di questa collezione è la tradizione che risalga fino all'età apostolica.

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Consiglia Elimina    Messaggio 23 di 23 nella discussione 
Da: cristianocattolico Inviato: 16/12/2002 20.08

Sta di fatto che i libri, oggi detti deuterocanonici, sono compresi nella versione greca detta dei "Settanta", realizzata da Giudei alessandrini qualche secolo prima di Cristo. Essi erano letti nelle sinagoghe ed erano considerati ispirati. La divergenza come detto nelle prime pagine di questo capitolo è dovuta ad un rigorismo degli scribi e rabbini palestinesi, che non tollerarono alcun libro originariamente in greco, e che anche verso libri composti originariamente in ebraico ed aramaico si mostrarono sospettosi quando non si presentassero come dovuti ad un autore insignito di carisma profetico (cf 1 Macc 4,46; 14,42); cosicché i requisiti indispensabili di un libro sacro furono quasi fissati nella lingua ebraica, nella qualità profetica dell'autore supposto anteriore ad Esdra, e nell'origine palestinese del libro. Tale rigorismo non era condiviso dai Giudei ellenizzati della diaspora (=dispersione, migrazione degli Ebrei fuori la Palestina) che leggevano la Bibbia nella versione greca dei Settanta. Notizie storiche ci assicurano che anche presso i Giudei palestinesi in un primo tempo questi libri, specialmente i più antichi, fossero ammessi. <o:p></o:p>

Quanto a Gesù e agli Apostoli, dalle loro allusioni conservate nel N.T. e dall'uso frequente della versione dei Settanta, risulta in pratica che ritenevano per ispirati anche i "deuterocanonici". Tale è la norma anche dei più antichi Padri, i quali citano o usano indifferentemente le due serie di libri (Clemente, Ippolito, Ireneo, Tertulliano, Clemente Alessandrino, Cipriano). Di modo che, per i primi due secoli non risulta alcuna incertezza circa l'ispirazione e l'autorità dei libri in questione. Solo verso la fine del 2° secolo, le controversie frequenti con i Giudei, che ormai concordemente rigettavano i libri "deuterocanonici", condussero gli apologisti (=difensori della fede) a non desumere i loro argomenti da questi scritti non ammessi dagli avversari. Si trattava di una norma pratica da seguire, più che di un principio teorico.  <o:p></o:p>

Come già detto ne riscontriamo i sintomi in Melitone di Sardi (+160 -180), in Origene, che tuttavia usa i deuterocanonici come libri ispirati. In tempi successivi tale opinione si diffuse più sensibilmente nella Chiesa greca; ad essa si attennero Atanasio, Cirillo di Gerusalemme, Epifanio, Gregorio di Nazianzio, e alcuni altri, sebbene anch'essi in pratica non si mantennero aderenti a quella opinione, giacché non è difficile ritrovare nelle loro opere citazioni di deuterocanonici come libri ispirati. <o:p></o:p>

Allora cominciò a circolare presso i Greci una triplice distinzione di libri della Bibbia: si parlò di libri certi od ammessi da tutti, di libri controversi e di libri spuri o apocrifi. <o:p></o:p>

Con il termine  "controversi" si intendevano i nostri "deuterocanonici". Ma quanto poco fosse radicato il rifiuto di tali libri è confermato dall'accettazione incondizionata di essi da parte di numerosi altri dottori della Chiesa e dalla decisione del Concilio di Costantinopoli del 692, detto Trullano, che sebbene in una forma non del tutto chiara riferì il canone integrale, mantenuto SEMPRE incontrastato nella Chiesa greca, almeno sino al Protestantesimo.

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