Santo Padre, io non ho paura!
di don Alfredo M. Morselli
È stato pubblicato, sul quotidiano Il Foglio, in data 10 gennaio 2010, un accorato appello al Santo Padre, riguardante il prossimo incontro inter-religioso che si svolgerà ad Assisi nell’ottobre di quest’anno. In questo appello, gli autori (Francesco Agnoli, Lorenzo Bertocchi, Roberto de Mattei, Corrado Gnerre, Alessandro Gnocchi, Camillo Langone, Mario Palmaro, Luisella Scrosati, Katharina Stolz) esprimono diverse perplessità sull’evento in questione, e le loro preoccupazioni.
Innanzi tutto ho constatato la pacatezza e la correttezza formale dell’intervento, nonché il rispetto per il Santo Padre in esso manifestato. Valuto positivamente che il dibattito si svolga in simile modo.
Ho però, in coscienza, gravi ragioni per dissentire dalle conclusioni degli stimatissimi autori sopra menzionati, e ho motivi per valutare molto positivamente il prossimo incontro inter-religioso di Assisi.
Con l’aiuto della Beata Sempre Vergine Maria, proverò ad esporre le suddette ragioni, non perché mie, ma perché mi sembrano quelle della Chiesa.
Cosa mi induce a salutare con favore il prossimo incontro di Assisi?
Ciò che mi induce a valutare positivamente l’evento di Assisi è sostanzialmente una frase di San Tommaso, il quale insegna che, negli ultimi tempi, l’anticristo sarà avversario di ogni uomo religioso, pur seguace di false religioni: “L’anticristo si prepone a tutte… le modalità di intendere Dio”, anche nel caso Dio “si dica secondo [una qualsiasi] opinione [come nel caso dei falsi dei pagani, delle cui divinità sta scritto] tutti gli dei delle nazioni sono demoni” .
Sono convito che i motivi che spingeranno l’anticristo a preporsi ad ogni religione sono gli stessi che spingono - ovviamente in direzione opposta e giusta - Benedetto XVI a ritornare, con la Chiesa Cattolica, ad Assisi, sulle orme di Giovanni Paolo II.
E adesso provo a spiegare quanto affermo.
L’attuale contingenza storica.
Ci troviamo in una fase della storia del mondo dove – per quanto riguarda la religiosità dell’uomo, siamo precipitati in un baratro profondissimo, e – per certi aspetti -, mai visto prima d’ora.
L’antropologo P. W. Schmidt S.D.V. ha potuto scientificamente provare che nel mondo non esiste un popolo primitivo naturalmente a-religioso e che non abbia un qualche riferimento ad un unico Dio supremo – quindi che non sia in qualche modo implicitamente monoteista.
Anche S. Paolo all’areopago poté lodare gli Ateniesi per la loro religiosità: “Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi”.
Agli Apostoli bastava annunciare ai pagani quale fosse il Dio vero tra tanti falsi, e spiegare agli Ebrei che il Dio vero è anche Trino, e che Cristo è Dio.
Ma, nel secolo scorso, sulla scena di questo mondo, dopo lunga gestazione, si è levato il grido empio: Dio è morto. E questo grido ha infettato milioni di persone, che vivono non solo nell’ateismo pratico, ma arrivano a condannare ogni fenomeno religioso.
Un importate indicatore di questa patologia sociale è stata la pubblicità pro ateismo sugli autobus di Londra, nell’ottobre 2008. Cartelloni disposti sulle fiancate dei mezzi contenevano la scritta "There's probably no God. Now stop worrying and enjoy your life" (Probabilmente Dio non c’è. Ora smetti di preoccuparti e goditi la tua vita).
In base a quanto detto, ci troviamo oggi di fronte alla necessità di mostrare, - non per fare sincretismo, ma proprio per porre le condizioni per poter scegliere la vera religione - , che innanzi tutto bisogna essere religiosi.
Ed ecco il motivo per cui l’anticristo non sopporterà nessuna religione, nemmeno le false, perché vorrà tagliare l’albero della Verità alla radice. La sua dottrina sarà: “Uomini, non siate religiosi”.
La percezione del dovere di essere religiosi, primo passo per la conversione dell’ateo.
Adesso dobbiamo semplicemente fare ciò che San Paolo e Sant’Ireneo chiamavano ricapitolazione. Ridare al mondo Cristo Capo (Instaurare omnia in Christo) percorrendo a ritroso quella che era stata la via della perdizione.
La Chiesa – mi si perdoni un esempio - sta mettendo i sassolini perché Pollicino possa percorrere a ritroso la via della morte percorsa fino ad oggi.
E la prima indicazione della Chiesa, nel confronto col mondo, è, oggi, giustamente: bisogna essere religiosi.
Dalla religione alla fede
Senza fede è impossibile piacere a Dio, scrive San Paolo. Dobbiamo anche dire che mai la Chiesa ha creduto che, in caso di ignoranza invincibile, per salvarsi fosse necessario professare integralmente la religione Cattolica.
Esemplare è il caso del centurione Cornelio, le cui preghiere - pur non essendo egli ancora cristiano - erano gradite a Dio: San Tommaso dice che erano gradite perché aveva la fede implicita, a tal punto che non si può dire che fosse infedele:
“Quanto al centurione Cornelio si deve notare che egli non era infedele: altrimenti il suo operare non sarebbe stato accetto a Dio, al quale nessuno può essere gradito senza la fede. Però egli aveva una fede implicita, non ancora rischiarata dalla verità evangelica. Ecco perché gli fu inviato S. Pietro, per istruirlo pienamente nella fede”.
In che cosa consiste questa fede implicita: San Tommaso non ha prescritto un minimo materiale (anche se i teologi hanno discusso a lungo su questo punto), ma ha insegnato che a un pur minimo materiale deve corrispondere un massimo formale.
Ogni uomo, per salvarsi, deve fare tutto quello che può per arrivare alla fede vera.
La dinamica dell’atto di fede
L’atto di fede è un atto umano, e quindi si può riconoscere in esso un’intenzione, un’esecuzione e una fruizione.
L’intenzione della fede è data dalla conoscenza e dalla scelta di rapportarsi al fine (Dio), l’esecuzione è data dalla conoscenza e dalla scelta dei mezzi (gli articoli del Credo), la fruizione è data dal riposo nel fine delle potenze umane implicate nell’atto in questione (la vita soprannaturale del cristiano).
Nell’atto di fede dunque, la scelta del fine coincide con il primo atto di religione, con cui si riconosce la necessità di un essere supremo e della totale dipendenza da lui; la scelta dei mezzi consiste nel prendere atto che gli articoli del Simbolo sono credibili (necessità dell’apologetica e dei preambula fidei!), e che quindi bisogna credere, e così dare alla fede un oggetto conforme al vero (la cosiddetta fides quae, e non solo fides qua e nemmeno solo sentimento religioso).
La fruizione è data da quell’esperienza di cui la Chiesa canta nec lingua valet dicere, nec littera exprimere, quando “l’uomo si abbandona tutto a Dio”.
Perché dunque Assisi?
Oggi non basta più, come è bastato fino a 100 anni fa, indicare agli infedeli i mezzi da eleggere per credere (gli articoli del Credo), ma bisogna ribadire a tutto il mondo a-religioso la necessità di rapportarsi al fine ultimo; senza questa prima disposizione, non si potranno mai scegliere i mezzi (la vera religione).
Pio XI nella Mortalium animos diceva di non fare riunioni in cui si potesse pensare che si onora Dio indifferentemente con qualsiasi culto: e condannava “la falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio”.
Assisi è una riunione per mezzo della quale il Papa indica al mondo la necessità di essere religiosi, invita gli uomini ad essere religiosi quanto è loro dato ed essi possono (si suppone, è chiaro, la buona fede), senza dire che tutte le religioni sono buone e lodevoli. E lodevole la virtù di religione praticata come meglio uno può, come il centurione Cornelio, non le false religioni in quanto tali. E quindi non vi è contraddizione tra il presente e il passato.
Lo scandalo.
Lo scandalo (atto che favorisce la caduta in peccato del prossimo) è da evitarsi assolutamente quando è dato oggettivamente (scandalum datum et acceptum), cioè quando si tratta di un atto a sua volta disonesto, che non esaurisce la malizia in se stesso, ma provoca altri peccati.
Lo scandalo è da evitarsi ugualmente per quanto possibile, anche quando è meramente ricevuto (mere receptum), quando cioè non è un atto cattivo in sé, ma può indurre ugualmente i deboli a peccare. Per illustrare come si deve far di tutto per evitare questo tipo di scandalo, si è soliti citare la frase di San Paolo: “Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello”, anche se mangiare carne sacrificata agli idoli in sé non è peccato.
Ma i moralisti sono concordi nell’ammettere la liceità dello scandalo mere receptum, quando l’effetto positivo è superiore a quello negativo, e viene ravvisata una certa necessità di porre l’atto, pur scandaloso per i pusilli.
Applichiamo ora ad Assisi questi principi generali.
Si sono verificati – soprattutto nel 1986 – degli atti non solo scandalosi, ma anche disgustosi e peccaminosi, che sono da evitarsi in futuro (polli sgozzati sull’altare di santa Chiara secondo riti tribali e la teca con una statua di Budda posta sopra l’altare della chiesa di san Pietro etc,). Ma questi atti si sono svolti in modo del tutto scollegato dal magistero e dalle azioni del Pontefice.
Tolti questi atti, è lecito porre il presunto scandalo di Assisi?
Visto che si tratta, in ultima analisi, di una valutazione prudenziale, alla fine, sta solo al Papa decidere; il Papa è assistito dallo Spirito Santo anche nelle decisioni pratiche.
È chiaro che non si potrà esigere una definizione per accettare docilmente la decisione ultima, o rifugiarsi nell’aut aut “o infallibile o libera discussione”.
La gente non capisce?
Il Cristianesimo è una siffatta realtà dove per convertire le masse bisogna convertire le persone una per una, e spiegar loro le cose una alla volta.
E come la mettiamo con la ormai famosa povera suora che dopo Assisi ha finalmente capito che tutte le religioni sono uguali? Si fa presto ad usarla come probatio contra Assisim, ma è un po’ più lunga – direi quasi crocifiggente - spiegarle come stanno le cose.
Che fare allora? O non facciamo niente perché la storia si farebbe troppo lunga, oppure cominciamo subito, perché, prima si comincia, prima si finisce.
Il Cielo – non perché ne abbia bisogno, ma perché vuole renderci in un certo modo concause dell’opera della Redenzione – aspetta la nostra risposta. Che l’Immacolata ci prenda per mano e ci faccia compiere la scelta giusta.
Stiatico di San Giorgio di Piano, 11 gennaio 2011.