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Dolce Vicario di Cristo in terra, abbiamo bisogno di Lei! Lettere aperte al Santo Padre

Ultimo Aggiornamento: 01/09/2012 11:00
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12/01/2011 19:03
 
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Santo Padre, io non ho paura!

Santo Padre, io non ho paura!

di don Alfredo M. Morselli

 

È stato pubblicato, sul quotidiano Il Foglio, in data 10 gennaio 2010, un accorato appello al Santo Padre, riguardante il prossimo incontro inter-religioso che si svolgerà ad Assisi nell’ottobre di quest’anno. In questo appello, gli autori (Francesco Agnoli, Lorenzo Bertocchi, Roberto de Mattei, Corrado Gnerre, Alessandro Gnocchi, Camillo Langone, Mario Palmaro, Luisella Scrosati, Katharina Stolz) esprimono diverse perplessità sull’evento in questione, e le loro preoccupazioni.

Innanzi tutto ho constatato la pacatezza e la correttezza formale dell’intervento, nonché il rispetto per il Santo Padre in esso manifestato. Valuto positivamente che il dibattito si svolga in simile modo.

Ho però, in coscienza, gravi ragioni per dissentire dalle conclusioni degli stimatissimi autori sopra menzionati, e ho motivi per valutare molto positivamente il prossimo incontro inter-religioso di Assisi.

Con l’aiuto della Beata Sempre Vergine Maria, proverò ad esporre le suddette ragioni, non perché mie, ma perché mi sembrano quelle della Chiesa.


Cosa mi induce a salutare con favore il prossimo incontro di Assisi?

Ciò che mi induce a valutare positivamente l’evento di Assisi è sostanzialmente una frase di San Tommaso, il quale insegna che, negli ultimi tempi, l’anticristo sarà avversario di ogni uomo religioso, pur seguace di false religioni: “L’anticristo si prepone a tutte… le modalità di intendere Dio”, anche nel caso Dio “si dica secondo [una qualsiasi] opinione [come nel caso dei falsi dei pagani, delle cui divinità sta scritto] tutti gli dei delle nazioni sono demoni” [1].

Sono convito che i motivi che spingeranno l’anticristo a preporsi ad ogni religione sono gli stessi che spingono - ovviamente in direzione opposta e giusta - Benedetto XVI a ritornare, con la Chiesa Cattolica, ad Assisi, sulle orme di Giovanni Paolo II.

E adesso provo a spiegare quanto affermo.


L’attuale contingenza storica.

Ci troviamo in una fase della storia del mondo dove – per quanto riguarda la religiosità dell’uomo, siamo precipitati in un baratro profondissimo, e – per certi aspetti -, mai visto prima d’ora.

L’antropologo P. W. Schmidt S.D.V.[2] ha potuto scientificamente provare che nel mondo non esiste un popolo primitivo naturalmente a-religioso e che non abbia un qualche riferimento ad un unico Dio supremo – quindi che non sia in qualche modo implicitamente monoteista.

Anche S. Paolo all’areopago poté lodare gli Ateniesi per la loro religiosità: “Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi”[3].

Agli Apostoli bastava annunciare ai pagani quale fosse il Dio vero tra tanti falsi, e spiegare agli Ebrei che il Dio vero è anche Trino, e che Cristo è Dio.

Ma, nel secolo scorso, sulla scena di questo mondo, dopo lunga gestazione, si è levato il grido empio: Dio è morto.[4] E questo grido ha infettato milioni di persone, che vivono non solo nell’ateismo pratico, ma arrivano a condannare ogni fenomeno religioso.

Un importate indicatore di questa patologia sociale è stata la pubblicità pro ateismo sugli autobus di Londra, nell’ottobre 2008. Cartelloni disposti sulle fiancate dei mezzi contenevano la scritta "There's probably no God. Now stop worrying and enjoy your life" (Probabilmente Dio non c’è. Ora smetti di preoccuparti e goditi la tua vita)[5].

In base a quanto detto, ci troviamo oggi di fronte alla necessità di mostrare, - non per fare sincretismo, ma proprio per porre le condizioni per poter scegliere la vera religione - , che innanzi tutto bisogna essere religiosi.

Ed ecco il motivo per cui l’anticristo non sopporterà nessuna religione, nemmeno le false, perché vorrà tagliare l’albero della Verità alla radice. La sua dottrina sarà: “Uomini, non siate religiosi”.


La percezione del dovere di essere religiosi, primo passo per la conversione dell’ateo.

Adesso dobbiamo semplicemente fare ciò che San Paolo e Sant’Ireneo chiamavano ricapitolazione. Ridare al mondo Cristo Capo (Instaurare omnia in Christo) percorrendo a ritroso quella che era stata la via della perdizione.

La Chiesa – mi si perdoni un esempio - sta mettendo i sassolini perché Pollicino possa percorrere a ritroso la via della morte percorsa fino ad oggi.

E la prima indicazione della Chiesa, nel confronto col mondo, è, oggi, giustamente: bisogna essere religiosi.


Dalla religione alla fede

Senza fede è impossibile piacere a Dio[6], scrive San Paolo. Dobbiamo anche dire che mai la Chiesa ha creduto che, in caso di ignoranza invincibile, per salvarsi fosse necessario professare integralmente la religione Cattolica[7].

Esemplare è il caso del centurione Cornelio, le cui preghiere - pur non essendo egli ancora cristiano - erano gradite a Dio[8]: San Tommaso dice che erano gradite perché aveva la fede implicita, a tal punto che non si può dire che fosse infedele:

“Quanto al centurione Cornelio si deve notare che egli non era infedele: altrimenti il suo operare non sarebbe stato accetto a Dio, al quale nessuno può essere gradito senza la fede. Però egli aveva una fede implicita, non ancora rischiarata dalla verità evangelica. Ecco perché gli fu inviato S. Pietro, per istruirlo pienamente nella fede”[9].

In che cosa consiste questa fede implicita: San Tommaso non ha prescritto un minimo materiale (anche se i teologi hanno discusso a lungo su questo punto), ma ha insegnato che a un pur minimo materiale deve corrispondere un massimo formale.

Ogni uomo, per salvarsi, deve fare tutto quello che può per arrivare alla fede vera[10].


La dinamica dell’atto di fede

L’atto di fede è un atto umano, e quindi si può riconoscere in esso un’intenzione, un’esecuzione e una fruizione[11].

L’intenzione della fede è data dalla conoscenza e dalla scelta di rapportarsi al fine (Dio), l’esecuzione è data dalla conoscenza e dalla scelta dei mezzi (gli articoli del Credo), la fruizione è data dal riposo nel fine delle potenze umane implicate nell’atto in questione (la vita soprannaturale del cristiano).

Nell’atto di fede dunque, la scelta del fine coincide con il primo atto di religione, con cui si riconosce la necessità di un essere supremo e della totale dipendenza da lui; la scelta dei mezzi consiste nel prendere atto che gli articoli del Simbolo sono credibili (necessità dell’apologetica e dei preambula fidei!), e che quindi bisogna credere, e così dare alla fede un oggetto conforme al vero (la cosiddetta fides quae, e non solo fides qua e nemmeno solo sentimento religioso).

La fruizione è data da quell’esperienza di cui la Chiesa canta nec lingua valet dicere, nec littera exprimere,[12] quando “l’uomo si abbandona tutto a Dio”[13].


Perché dunque Assisi?

Oggi non basta più, come è bastato fino a 100 anni fa, indicare agli infedeli i mezzi da eleggere per credere (gli articoli del Credo), ma bisogna ribadire a tutto il mondo a-religioso la necessità di rapportarsi al fine ultimo; senza questa prima disposizione, non si potranno mai scegliere i mezzi (la vera religione).

Pio XI nella Mortalium animos diceva di non fare riunioni in cui si potesse pensare che si onora Dio indifferentemente con qualsiasi culto: e condannava “la falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio”.

Assisi è una riunione per mezzo della quale il Papa indica al mondo la necessità di essere religiosi, invita gli uomini ad essere religiosi quanto è loro dato ed essi possono (si suppone, è chiaro, la buona fede), senza dire che tutte le religioni sono buone e lodevoli. E lodevole la virtù di religione praticata come meglio uno può, come il centurione Cornelio, non le false religioni in quanto tali. E quindi non vi è contraddizione tra il presente e il passato.


Lo scandalo.

Lo scandalo (atto che favorisce la caduta in peccato del prossimo) è da evitarsi assolutamente quando è dato oggettivamente (scandalum datum et acceptum), cioè quando si tratta di un atto a sua volta disonesto, che non esaurisce la malizia in se stesso, ma provoca altri peccati.

Lo scandalo è da evitarsi ugualmente per quanto possibile, anche quando è meramente ricevuto (mere receptum), quando cioè non è un atto cattivo in sé, ma può indurre ugualmente i deboli a peccare. Per illustrare come si deve far di tutto per evitare questo tipo di scandalo, si è soliti citare la frase di San Paolo: “Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello”[14], anche se mangiare carne sacrificata agli idoli in sé non è peccato.

Ma i moralisti sono concordi nell’ammettere la liceità dello scandalo mere receptum, quando l’effetto positivo è superiore a quello negativo, e viene ravvisata una certa necessità di porre l’atto, pur scandaloso per i pusilli.

Applichiamo ora ad Assisi questi principi generali.

Si sono verificati – soprattutto nel 1986 – degli atti non solo scandalosi, ma anche disgustosi e peccaminosi, che sono da evitarsi in futuro (polli sgozzati sull’altare di santa Chiara secondo riti tribali e la teca con una statua di Budda posta sopra l’altare della chiesa di san Pietro etc,). Ma questi atti si sono svolti in modo del tutto scollegato dal magistero e dalle azioni del Pontefice.

Tolti questi atti, è lecito porre il presunto scandalo di Assisi?

Visto che si tratta, in ultima analisi, di una valutazione prudenziale, alla fine, sta solo al Papa decidere; il Papa è assistito dallo Spirito Santo anche nelle decisioni pratiche.

È chiaro che non si potrà esigere una definizione per accettare docilmente la decisione ultima, o rifugiarsi nell’aut aut “o infallibile o libera discussione”.


La gente non capisce?

Il Cristianesimo è una siffatta realtà dove per convertire le masse bisogna convertire le persone una per una, e spiegar loro le cose una alla volta.

E come la mettiamo con la ormai famosa povera suora che dopo Assisi ha finalmente capito che tutte le religioni sono uguali? Si fa presto ad usarla come probatio contra Assisim, ma è un po’ più lunga – direi quasi crocifiggente - spiegarle come stanno le cose.

Che fare allora? O non facciamo niente perché la storia si farebbe troppo lunga, oppure cominciamo subito, perché, prima si comincia, prima si finisce.

Il Cielo – non perché ne abbia bisogno, ma perché vuole renderci in un certo modo concause dell’opera della Redenzione – aspetta la nostra risposta. Che l’Immacolata ci prenda per mano e ci faccia compiere la scelta giusta.

Stiatico di San Giorgio di Piano, 11 gennaio 2011.



[1] “Dicitur autem Deus tripliciter. Primo naturaliter. Deut. VI, 4: audi, Israel, dominus Deus tuus, Deus unus est. Secundo opinative. Ps. XCV, 5: omnes dii gentium Daemonia. Tertio participative. Ps. LXXXI, 6: ego dixi: dii estis. Omnibus autem his se praeferet Antichristus.”; Super II Thes., cap. 2, l. 1.

[2] 1868–1954.

[3] At 17, 22.

[4] Csì diceva Pio XII: “nel corso di questi ultimi secoli si è tentata la disgregazione intellettuale, morale e sociale dell’unità nell’organismo misterioso di Cristo. Si è voluta la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l’autorità; e qualche volta anche l’autorità senza la libertà. Questo nemico è diventato sempre più concreto, con un’audacia che Ci lascia stupefatti: Cristo sì, la Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. E infine il grido empio: Dio è morto; o piuttosto Dio non è mai esistito. Ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo su fondamenti che Noi non esitiamo a indicare col dito come i principali responsabili della minaccia che pesa sull’umanità: un’economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio”; All’Unione Uomini di Azione Cattolica (12.10.1952).

[5] Per ulteriori informazioni, vedi news.bbc.co.uk/2/hi/7681914.stm.

[6] Eb 11, 6.

[7] S. Pio X, Catechismo maggiore: “171 D. Ma chi si trovasse, senza sua colpa, fuori della Chiesa, potrebbe salvarsi? R. Chi, trovandosi senza sua colpa, ossia in buona fede, fuori della Chiesa, avesse ricevuto il Battesimo, o ne avesse il desiderio almeno implicito; cercasse inoltre sinceramente la verità e compisse la volontà di Dio come meglio può; benché separato dal corpo della Chiesa, sarebbe unito all’anima di lei e quindi in via di salute”.

[8] At 10, 31-32: “Cornelio allora rispose: "Quattro giorni or sono, verso quest'ora, stavo facendo la preghiera delle tre del pomeriggio nella mia casa, quando mi si presentò un uomo in splendida veste e mi disse: "Cornelio, la tua preghiera è stata esaudita e Dio si è ricordato delle tue elemosine”.

[9] “De Cornelio tamen sciendum est quod infidelis non erat, alioquin eius operatio accepta non fuisset deo, cui sine fide nullus potest placere. Habebat autem fidem implicitam, nondum manifestata evangelii veritate. Unde ut eum in fide plene instrueret, mittitur ad eum Petrus”; S Th. II II q. 10 a. 4 ad 3

[10] “...etiam ad fidem habendam aliquis se praeparare potest per id quod in naturali ratione est; unde dicitur, quod si aliquis in barbaris natus nationibus, quod in se est faciat, deus sibi revelabit illud quod est necessarium ad salutem, vel inspirando, vel doctorem mittendo. Unde non oportet quod habitus fidei praecedat praeparationem ad gratiam gratum facientem; sed simul homo se praeparare potest ad fidem habendam, et ad alias virtutes et gratiam habendam”; In IV Sent., II, d. 28 q. 1, a. 4 ad 4

[11] Una magistrale disamina di questi aspetti dell’atto di fede è svolta in A. Gardeil, La credibilité et l'Apologétique, Paris 1912.

[12] Inno liturgico Iesu dulcis memoria.

[13] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 5; cf. anche S. Pio X: “La fede […] lega tutto l'uomo e lo soggetta al suo supremo Fattore e Moderatore”; Lett. enc. Acerbo nimis, IV.

[14] 1 Cor 8, 13.

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Condividiamo di cuore queste riflessioni di padre Giovanni Scalese dal suo blog senza peli sulla lingua:


Come non detto

Due giorni fa ho pubblicato l’articolo Il “cortile dei gentili” (che era stato scritto nel mese di ottobre per l’Eco dei Barnabiti), nel quale facevo riferimento anche al dialogo interreligioso e allo “spirito di Assisi”, sottolineando le differenze tra il pontificato di Benedetto XVI e quello di Giovanni Paolo II. Fra l’altro, affermavo: «Il 19 aprile 2005 Joseph Ratzinger è diventato Papa Benedetto XVI; e da allora non ci sono state, come era prevedibile, nuove giornate di Assisi». Era sottinteso: Non ci sono state — e non ci saranno piú! — nuove giornate di Assisi.

E invece ieri sono stato smentito: il Papa, durante l’Angelus di Capodanno, ha annunciato che a ottobre si recherà ad Assisi per una nuova Giornata mondiale di preghiera per la pace, in occasione del 25° anniversario della prima, nel 1986. Se devo essere sincero, ci sono rimasto male. Non perché consideri “eretiche” questo tipo di iniziative: è ovvio che i Pontefici, nell’intraprenderle, lo fanno con le migliori intenzioni e mettendo bene in chiaro lo spirito che le deve animare. Ma non è questo il punto.

Il problema è un altro (ed è ricorrente, purtroppo): che cosa “passa” al grande pubblico, di queste iniziative? che cosa rimane nell’immaginario collettivo? L’idea che una religione vale l’altra. Ovviamente il Papa non vuole che passi questo messaggio; ma di fatto è ciò che succede. L’uomo non comunica solo con le parole, ma anche con i gesti. E i gesti, il piú delle volte, sono ambigui. È per questo che vanno spiegati; ma molto spesso anche la spiegazione piú precisa non è sufficiente: talvolta sono necessari gesti di segno opposto per far passare il messaggio giusto.

Mi spiego. Quando la Chiesa, nel Concilio di Trento, si oppose all’uso della lingua volgare nella liturgia o alla comunione sotto le due specie, non lo fece perché tali cose, in sé stesse, fossero cattive (tanto è vero che attualmente noi le pratichiamo senza problemi); ma semplicemente perché esse avrebbero veicolato il messaggio sbagliato: la Messa vale solo se i fedeli capiscono ciò che si dice (agisce ex opere operantis); la comunione sotto una sola specie non è completa. E allora che fece la Chiesa? Spiegò, certo, la retta dottrina (i sacramenti sono efficaci di per sé, agiscono ex opere operato; Cristo è presente nella sua pienezza sotto ciascuna delle specie eucaristiche); ma a ciò aggiunse l’obbligo di celebrare la Messa in latino e di ricevere la comunione sotto la sola specie del pane. A quell’epoca non si parlava di pastorale, ma si aveva un senso pastorale che noi ci sogniamo. Oggi ci riempiamo la bocca di pastorale, ma poi non ci rendiamo conto di quanta confusione possono provocare certe iniziative.

Qualcosa del genere è accaduto anche con il libro-intervista Luce del mondo. Soprattutto dopo la precisazione della Congregazione per la dottrina della fede, si può difficilmente affermare che la risposta del Papa a proposito del preservativo fosse moralmente erronea. Il problema è ancora una volta: qual è il messaggio che è passato alla gente? Che l’uso del profilattico, almeno in certe situazioni, è giustificato. In barba alle reali parole pronunciate dal Papa, alle precisazioni di Padre Lombardi e alle note dottrinali del Sant’Uffizio!

Ma mi veniva da fare anche un’altra considerazione. C’è qualcuno che si chiede se Benedetto XVI e il Card. Ratzinger siano la stessa persona. Talvolta, confesso, me lo sono chiesto anch’io. Ma poi ho allargato la riflessione al passato (ormai comincio a non essere piú tanto giovane), e mi sono accorto che quanto sta accadendo al pontificato di Benedetto XVI è, piú o meno, lo stesso che accadde anche al pontificato di Giovanni Paolo II. Anche allora, quante attese, quante speranze all’inizio del pontificato! E poi, a poco a poco, quel pontificato si appiattí sull’ortodossia del “politicamente corretto”. Ho l’impressione che stia succedendo la stessa cosa anche oggi. Non nascondo di essere stato fra i “tifosi” del Card. Ratzinger durante il conclave (nonostante che molti escludessero in maniera categorica la sua elezione). Non potete immaginare la gioia di vederlo alla loggia di San Pietro quel 19 aprile 2005. Ancora una volta tante attese, tante speranze… E ancora una volta mi pare che si stia compiendo il progressivo adeguamento al “politicamente corretto”. Non vorrei essere frainteso: non sto muovendo accuse né a Giovanni Paolo II né a Benedetto XVI; sto semplicemente facendo una constatazione e cercando di comprendere il motivo che può spiegarla.

Una risposta abbastanza semplice potrebbe essere: beh, man mano che si sale in alto, si ha una visione sempre piú ampia della realtà; certe cose che non si possono capire da soldati semplici, si riescono a capire una volta divenuti ufficiali. Può darsi che sia cosí. 

Non escluderei però che ci possa essere anche una spiegazione d’altro genere, diciamo di carattere “cospirativo” (sono un inguaribile complottista). Nessuno mi toglierà di mente che il Potere cerchi di attuare, nei confronti di ciascun pontificato, una sorta di “normalizzazione”. Che cos’è stato, in fondo, l’attentato a Giovanni Paolo II del 13 maggio 1981? Con Benedetto XVI non si è fatto ricorso alle armi da fuoco, ma ad armi non meno lesive (i processi mediatici): i primi cinque anni di pontificato sono stati un attacco continuo, che non può essere considerato casuale; è ovvio che dietro c’era una regia ben organizzata. 

A un certo punto, sia nel caso di Papa Wojtyla, sia nel caso di Papa Ratzinger, tutto è cambiato. Nel primo caso, la seconda parte del pontificato è stata una continua apoteosi, culminata nel “Santo subito!” dei funerali. Ora, non so se ve ne siate accorti, da qualche tempo le cose stanno cambiando anche per Benedetto XVI: gli attacchi sono improvvisamente cessati; il Corriere della sera sembra diventato un’edizione locale dell’Osservatore Romano e la BBC una sezione staccata della Radio Vaticana. Che cosa è successo? Il Papa sta semplicemente recitando lo stesso copione che era stato scritto per il suo predecessore (visita alle sinagoghe e alle moschee, visita ad Auschwitz e allo Yad Vashem, giornate di preghiera con le altre religioni, ecc.). Cosí va bene: questo è il Papa che piace a chi ha in mano le sorti dell’umanità. A questo punto Benedetto XVI può anche permettersi il lusso di fare il tradizionalista in campo liturgico: un po’ di folclore non guasta...

Che dire? Cosí va il mondo. E forse dobbiamo farci il callo. Dopo tutto, la Chiesa è sopravvissuta a due Giornate di Assisi; volete che non sopravviva alla terza?


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 condividiamo anche quanto riportato da unafides che  riporta un passo integrale dell'allora cardinale Ratzinger..... il quale non può certo contraddire se stesso.....


 leggiamo...

Preghiera multireligiosa e interreligiosa

Nell’epoca del dialogo e dell’incontro delle religioni è sorto inevitabilmente il problema se si possa pregare insieme gli uni con gli altri. A questo proposito oggi si distingue preghiera multireligiosa e interreligiosa. Il modello per la preghiera multireligiosa è offerto dalle due giornate mondiali di preghiera per la pace, nel 1986 e nel 2002, ad Assisi. Appartenenti a diverse religioni si radunano. […] Tuttavia le persone radunate sanno pure che il loro modo di intendere il “divino”, e quindi la loro maniera di rivolgersi a esso, sono così diversi che una preghiera comune sarebbe una finzione, non sarebbe nella verità. Esse si raccolgono per dare un segno del comune anelito [alla pace e alla giustizia, ndr], ma pregano – anche se in contemporanea – in sedi separate, ciascuno a modo proprio. […]


In riferimento ad Assisi – tanto nel 1986 quanto nel 2002 – ci si è chiesti ripetutamente e in termini molto seri se questo sia legittimo. La maggior parte della gente non penserà che si finge una comunanza che in realtà non esiste? Non si favorisce così il relativismo, l’opinione che in fondo siano solo differenze secondarie quelle che si frappongono tra le “religioni”? Non si indebolisce così la serietà della fede, non si allontana ulteriormente Dio da noi, non si consolida la nostra condizione di abbandono? Non si possono accantonare con leggerezza tali interrogativi.

I pericoli sono innegabili, e non si può negare che Assisi, particolarmente nel 1986, da molti sia stato interpretato in modo errato. Sarebbe però altrettanto sbagliato rifiutare in blocco e incondizionatamente la preghiera multireligiosa così come l’abbiamo descritta. A me sembra giusto legarla a condizioni che corrispondano alle esigenze intrinseche della verità della responsabilità di fronte ad una cosa così grande come è l’implorazione rivolta a Dio davanti a tutto il mondo.

Ne individuo due:

1. Tale preghiera multireligiosa non può essere la norma della vita religiosa, ma deve restare solo come un segno in situazioni straordinarie, in cui, per così dire, si leva un comune grido d’angoscia che dovrebbe riscuotere i cuori degli uomini e al tempo stesso scuotere il cuore di Dio.

2. Un tale avvenimento porta quasi necessariamente ad interpretazioni sbagliate, all’indifferenza rispetto al contenuto da credere o da non credere e in tal modo al dissolvimento della fede reale. Perciò avvenimenti del genere devono restare eccezionali, e dunque è della massima importanza chiarire accuratamente in che cosa consistano. Questo chiarimento, in cui deve risultare nettamente che non esistono le “religioni” in generale, che non esiste una comune idea di Dio e una comune fede in Lui, che la differenza non tocca unicamente l’ambito delle immagini e delle forme concettuali mutevoli, ma le stesse scelte ultime – questo chiarimento è importante, non solo per i partecipanti all’avvenimento, ma per tutti quelli che ne sono testimoni o comunque ne sono informati.
 
L’avvenimento deve presentarsi in sé stesso e davanti al mondo in modo talmente chiaro da non diventare dimostrazione di relativismo, perché si priverebbe da solo del suo senso.

Mentre nella preghiera multireligiosa si prega nello stesso contesto, ma separatamente, la preghiera interreligiosa significa un pregare insieme di persone o gruppi di diversa appartenenza religiosa. È possibile fare questo in tutta verità e onestà? Ne dubito.

Comunque devono essere garantite tre condizioni elementari, senza le quali tale pregare diverrebbe la negazione della fede:

1. Si può pregare insieme solo se sussiste unanimità su chi o che cosa sia Dio e perciò se c’è unanimità di principio su cosa sia il pregare: un processo dialogico in cui io parlo a un Dio che è in grado di udire ed esaudire. In altre parole: la preghiera comune presuppone che il destinatario, e dunque anche l’atto interiore rivolto a Lui, vengano concepiti, in linea di principio, allo stesso modo. Come nel caso di Abramo e Melchisedek, di Giobbe e di Giona, dev’essere chiaro che si parla col Dio unico che sta al di sopra degli dèi, col Creatore del cielo e della terra, col mio Creatore. Dev’essere chiaro dunque che Dio è “persona”, vale a dire che può conoscere ed amare; che può ascoltarmi e rispondermi; che Egli è buono ed è il criterio del bene, e che il male non fa parte di Lui. […]

2. Sulla base del concetto di Dio, deve sussistere pure una concezione fondamentalmente identica su ciò che è degno di preghiera e può diventare contenuto di preghiera. Io considero le richieste del Padre nostro il criterio di ciò che ci è consentito implorare da Dio, per pregare in modo degno di Lui. In esse si vede chi e come è Dio e chi siamo noi. Esse purificano la nostra volontà e fanno vedere con che tipo di volontà stiamo camminando verso Dio, e che genere di desideri ci allontana da Lui, ci metterebbe contro di Lui. Richieste che fossero in direzione opposta alle richieste del Padre nostro, per un cristiano non possono essere oggetto di preghiera interreligiosa, e di nessun tipo di preghiera.

3. L’avvenimento deve svolgersi nel suo complesso in modo tale che la falsa interpretazione relativistica di fede e preghiera non vi trovi alcun appiglio. Questo criterio non riguarda solo chi è cristiano, che non dovrebbe essere indotto in errore, ma alla stessa stregua anche chi non è cristiano, il quale non deve avere l’impressione dell’interscambiabilità delle “religioni” e che la professione fondamentale della fede cristiana sia di importanza secondaria e dunque surrogabile. Per evitare tale errore bisogna pure che la fede dei cristiani nell’unicità di Dio e in quella di Gesù Cristo, il Redentore di tutti gli uomini, non sia offuscata davanti a chi non è cristiano.

(tratto da J.Ratzinger, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena, 2003, pagg.110-114)



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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