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Discorsi di Paolo VI alla Sacra Rota

Ultimo Aggiornamento: 31/03/2010 15:25
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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
ALLA SACRA ROMANA ROTA IN OCCASIONE
DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

Giovedì, 31 gennaio 1974

Veneratissimo Monsignor Decano!

Ancora una volta noi abbiamo il piacere di riceverla ufficialmente, in occasione dell’apertura, sebbene praticamente già da qualche tempo avvenuta, del nuovo anno giuridico del nostro Tribunale della Sacra Romana Rota, insieme con l’insigne collegio dei prelati uditori che lo compongono e con quanti officiali vi prestano l’opera loro, circondati dall’illustre ed eletta schiera degli avvocati e dei procuratori, che vi esercitano le loro funzioni.

Alla compiacenza, che questo incontro ci procura, si aggiunge quella delle nobili e schiette parole con le quali ella, monsignore, ha testé voluto presentare a noi cotesto Sacro Tribunale mettendo in rilievo, piuttosto che l’opera da esso svolta, e le gravi, complesse, prementi questioni, oggi interessanti l’attività giudiziaria del foro canonico, lo spirito con cui l’esercizio di cotesto ministero - perché tale esso è - viene compiuto con l’ansia della perfezione, la consapevolezza delle difficoltà, l’attesa dell’annunciata revisione legislativa, per cui l’amministrazione della giustizia si fa, ad un tempo, più ardua e più meritoria.

Ed è a cotesto spirito che noi oggi fermeremo la nostra attenzione, vogliamo dire il nostro encomio ed il nostro incoraggiamento, volendo, da un lato, significare quanto ci sia gradita l’espressione di codesti sentimenti e di codesti propositi, e desiderando, d’altro lato, esaltare la persona di chi alla magistratura ha dedicato la propria vita, ancor prima di considerare i problemi obiettivi della sua professione.

E basti a noi, in questa occasione, corrispondere a codesta previa considerazione dell’ordine giudiziario, la quale riguarda la persona del giudice, nell’intento di rendere omaggio al carattere sacro di chi ne possiede l’autorità e ne esercita, ancor più che la funzione, la missione, non potendosi disgiungere dall’esercizio della vostra attività un riferimento al suo carattere religioso. Diciamo cosa a voi tutti ben nota, e penetrata nell’intimità e nella profondità della vostra coscienza; ma non è certo mai vano farvi richiamo, quando, da un lato, l’origine e la natura di tale carattere sacro toccano le frontiere del divino e perciò del trascendente e del misterioso, e dall’altro la mentalità moderna tende a ridurre a dimensioni puramente razionaliste l’ambito del diritto, e a compiti puramente professionali, non diversi da quelli delle comuni attività profane, l’esercizio dell’autorità giudiziaria.

Sacra è la vostra missione, perché a voi devoluta dalla nostra autorità apostolica. È dall’investitura della nostra potestà sacerdotale e pontificia, che a voi deriva la magistratura che vi fa giudici, cioè maestri, custodi, interpreti, operatori della legge divina ed umana, che governa la Chiesa, cioè il Popolo di Dio.

Tanta è la dignità, tanta l’autorità del giudice ecclesiastico, che, come ognuno ricorda, San Paolo, ai primordi della legislazione costituzionale ecclesiastica, quasi con enfasi reclama l’esistenza e l’azione del «santo», cioè del membro della comunità cristiana, chiamato a partecipare all’autorità stessa di Cristo e dell’apostolo (1 Cor. 6, 4), per giudicare un membro indegno della comunità cristiana, anzi per assurgere un giorno a sentenziare con Cristo, al quale il Padre ha affidato ogni giudizio (Io. 5, 22 e 27), perfino sugli angeli (1 Cor. 6, 3).

Avere coscienza di questa altissima dignità, di questa associazione alla potestà di Cristo, supremo Giudice, meditarla, risvegliarla, come ogni ministro «dispensatore dei misteri di Dio» (Cfr. 1 Cor. 4, 1; 2 Cor. 6, 4) è esortato a fare ad alimento della propria spiritualità sacerdotale, così il Giudice ecclesiastico, non per gonfia e fatua ambizione, ma per ossequio al carattere divino della potestà che a lui è commessa, deve fare, quasi ripiegandosi in umiltà dentro di sé, per attingere la forza d’essere poi pari alla pericolosa grandezza del suo sovrumano mandato.

Del resto il senso sacrale della funzione giudiziaria ha sempre accompagnato nel processo storico della civiltà coloro che tale funzione hanno esercitato, ovvero su di essa hanno saggiamente discorso.

Accenniamo, a prova di ciò, ad un’erudita, e certo a voi notissima, citazione di Ulpiano, rievocata dal nostro venerato Predecessore Papa Pio XII, in un memorabile discorso su la professione giuridica, e riferita, sì, alla giurisprudenza, ma con quale ripercussione religiosa ai suoi cultori! Ecco: divinarum atque humanarum remuz notitia, iusti atque iniusti scientia (PIO XII, Discorsi, XI, 261).

E per corroborare questo senso religioso, che deve penetrare la coscienza del magistrato, ci possiamo valere della testimonianza d’un illustre maestro del foro civile italiano, da non molto tempo scomparso, Piero Calamandrei: «Mi convinco sempre più che tra il rito giudiziario e il rito religioso esistono parentele storiche molto più strette di quanto non indichi l’uguaglianza della parola . . . La sentenza in origine era un atto sovrumano, il giudizio di Dio; le difese erano preghiere . . .».

E poi: «Nell’ordine giudiziario affluivano un tempo dalle Università i giudici migliori, richiamati non dalla speranza di lauti guadagni, . . . . ma dall’alta considerazione di cui la magistratura godeva nella pubblica opinione e soprattutto dall’attrattiva che su certi spiriti religiosi ha sempre esercitato l’austera intimità di questo ufficio, in cui il giudicare gli altri implica in ogni istante il dovere di fare i conti colla propria coscienza» (CALAMANDREI P. Elogio, pp, 249, 251).

Questa reminiscenza di letteratura giudiziaria dovrebbe essere qui accompagnata dall’apologia della superlativa integrità morale con cui l’ufficio vostro deve essere esercitato, in ogni suo atto, in ogni suo aspetto. Ma siamo dispensati dal farla dalla stima che noi nutriamo verso le vostre persone e verso l’intero Tribunale della Sacra Rota. La nostra lode e la nostra esortazione sorreggono la testimonianza che voi date, anche su questo capitolo essenziale, della vostra attività, che impegna non poche virtù specifiche d’ordine professionale e che impone interiormente ed esteriormente uno stile di severità, di disinteresse, di magnanimità forte e paziente, a cui la vostra sensibilità cristiana aggiunge umile, ma irradiante splendore.


Voi procurate sempre di personificare la figura ideale del Giudice cattolico; e noi godiamo del prestigio, oggi si dice della credibilità, che deriva da ciò alla Chiesa e alla Curia Romana in modo particolare. Codesta linea spirituale e morale, che configura le vostre persone e il vostro Tribunale, non risolve, ben lo sappiamo, i problemi antichi e nuovi della vostra nobile, ma delicata e complicata, attività giudiziaria. Anzi sovente li rende più complessi e pungenti, come Io sono oggi, ad esempio, quelli del rapporto fra coscienza e legalità, problema psicologico; ovvero del rapporto fra legge vigente e evoluzione civile, problema sociologico; oppure del rapporto fra lo ius conditum e lo ius condendum, problema storico.

Ma educatori come voi siete alla scuola della legge, cioè del dovere, dell’ordine in funzione dei principii generali del diritto, del bene pubblico e del dinamismo giuridico verso il bene comune, voi non trovate insolubili tali problemi, ricordando, da un lato, certi valori assoluti dell’obbligazione morale, come il timor di Dio e l’amore evangelico, il rispetto alla verità, la dignità della vita e della persona umana, l’inviolabilità ‘della coscienza formata, la pace fra gli uomini, e così via; e, dall’altro, vorrete considerare la soverchia facilità con la quale l’uomo moderno, che tanto fieramente rivendica la propria libertà, sia poi intimamente tentato, e talora vulnerato da un relativismo sistematico, che lo piega alle scelte più facili della situazione, della demagogia, della moda, della passione, dell’edonismo, dell’egoismo, così che esteriormente tenta di impugnare la «maestà della legge», e interiormente, quasi senza avvedersi, sostituisce all’impero della coscienza morale il capriccio della coscienza psicologica.

E giudici, come parimente voi siete, dell’operare altrui, ma non giudici della legge, che a voi solo è consegnata per la sua razionale e normale applicazione, voi saprete sapientemente conservare alla legge - alla legge della Chiesa, pensate sempre! - l’osservanza provvida e sostanziale che le è dovuta, temperandone quando e come è possibile, l’eventuale eccessiva gravità con quell’umano senso pastorale, ch’è proprio del giudice operante in virtù del ministero cristiano.

Quanto diciamo vorrebbe confortare in voi la coscienza nella missione che la Chiesa vi affida, e per ciò stesso la fiducia nella sua legislazione, sia perché essa è dettata da criteri superiori attinti alle sorgenti teologiche, e sia anche perché sperimentata da una tradizione secolare incardinata su la profonda e autentica scienza dell’uomo, e orientata verso la sua trascendente salvezza.

Sì, fiducia nella legislazione della Chiesa.
Non possiamo a questo proposito, e concludendo queste semplici parole, nascondere la sorpresa non solo da noi provata per l’eco anche a noi giunta di alcune espressioni di critica, eccessiva nelle forme e non del tutto fondata nella sostanza, circa la presente legislazione canonica sul matrimonio, pronunciate da persona molto autorevole e in una sede e in un’occasione quant’altre mai degne di più riverente e obiettivo linguaggio.

È noto l’episodio; e vi accenniamo appena, affinché anche voi, esperti e interessati quali siete nella materia, sappiate che noi non possiamo condividere alcuni giudizi ivi pronunziati sulla disciplina vigente della Chiesa, su tema di tanta importanza.

Vero è che alle note negative del discorso seguono quelle positive delle quali prendiamo nota con leale riconoscenza. Ma a noi pare che i valori affermati in queste seconde, piuttosto che confermare le prime, le rettificano; così che il risultante giudizio di merito sulla vigente legge canonica del matrimonio merita per essa ancor oggi fiducia, come interprete e tutrice di norme sacre e fondamentali per l’uomo, per il matrimonio, per la famiglia, per la società, anche se, conforme alle dottrine del recente Concilio, tali norme speriamo presto saranno formulate in più completa e moderna legislazione.

Proseguite pertanto con fiducia nella vostra saggia e meritoria attività, con la nostra Apostolica Benedizione.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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