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Montecassino: la Bibbia, l'abate Desiderio e la riforma di Gregorio VII

Ultimo Aggiornamento: 06/04/2010 21:00
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06/04/2010 20:59
 
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Montecassino, l'abate Desiderio e la riforma di Gregorio VII

Una Bibbia gigante per sostenere Roma


L'università di Ginevra ha ospitato il colloquio internazionale "Les Bibles atlantiques. Le manuscript biblique à l'époque de la réforme ecclésiastique du xi siècle" organizzato in collaborazione con il Centro storico benedettino italiano e con l'università di Cassino. Pubblichiamo ampi stralci di uno degli interventi.

di Mariano Dell'Omo


Il codice Cassinense 515 in un unico volume costituisce l'unica Bibbia atlantica oltre che il primo esempio conosciuto di Bibbia integrale che si conservi nell'archivio di Montecassino - nessuna Bibbia completa ci è pervenuta in beneventana, ma solo singoli libri o gruppi di libri - e, non a caso, il primo testimone di una Bibbia completa, questa volta prodotta a Montecassino, il Cassinense 557, è vergato, in parte dallo scriba Ferro, in una tarda carolina, databile intorno al 1160, quasi un secolo dopo quel 1075 intorno al quale è databile la Bibbia atlantica di Montecassino.

L'unicità di questa Bibbia nel contesto stesso dell'universo librario cassinese non può essere compresa nell'orizzonte di altre unicità, che appartengono all'identità storica del monastero di quel particolare momento, l'aureum patris Desiderii saeculum, come lo chiama Pietro Diacono. Chi scrive a suo tempo, a conclusione dell'analisi paleografica e di quella della decorazione, notava come riposizionare il Cassinense 515 intorno al sesto-settimo decennio del secolo - come ritiene Larry Ayres - significa anche imbattersi nel problema dell'eventuale rapporto tra questa Bibbia e la committenza libraria nella Montecassino di quegli anni, dominata dalla personalità dello stesso Desiderio, che ha guidato il monastero dal 1058 al 1087.

Non a caso, proprio a Desiderio Ayres ha esplicitamente ipotizzato di collegare la realizzazione di un manoscritto come il Barberiniano latino 587, la Bibbia di Santa Cecilia, appunto la chiesa della quale l'abate fu cardinale presbitero a partire dal 1059. Appena due giorni dopo la sua ordinazione e incardinazione, l'8 marzo 1059, Papa Niccolò ii lo nominava archimandrita, quindi suo delegato per la riforma di tutti i monasteri da Roma fino alla Calabria; erano questi gli inizi di una nuova politica che ebbe appunto come importante mediatore Desiderio e che coniugava all'alleanza con i capi normanni il pieno sviluppo al sud degli obiettivi religiosi del papato riformatore.

"Bibbia e riforma gregoriana" è il sintagma che Jean Leclercq adottava per un suo articolo apparso nel 1966, inteso appunto a chiarire le ragioni di una nuova valorizzazione delle Scritture in un momento cruciale della storia della Chiesa di Roma. Il passaggio a un altro sintagma promosso da Bartoli Langeli è facile:  da "Bibbia e riforma gregoriana" a "Bibbie gregoriane", appunto le nostre, nel loro formato gigante e nella loro scrittura che si tipizza come "scrittura delle scritture", per citare la formula usata da Paola Supino Martini, o come "minuscola riformata" nella definizione più tecnica ma altrettanto carica di valenza ideologica che le dà Bernhard Bischoff.

Queste Bibbie rispondono pertanto a un obiettivo preciso e del tutto coerente con il programma del Pontificato di Gregorio VII, "la costituzione della Chiesa romana come Chiesa universale - lo sottolineava Bartoli Langeli nel suo saggio del 1994 apparso nella Storia d'Europa, su "Scritture e libri" - passava anche attraverso il rilancio della Bibbia completa (in uno o più volumi), la circolazione di un testo unico delle Scritture approvato e diffuso dalla Sede romana. "Lo stesso anonimato delle Bibbie atlantiche - continua Bartoli Langeli - un anonimato anche grafico grazie al rifiuto di ogni caratterizzazione locale, stava a significare una universalità assoluta e pura, non condizionata da elementi estrinseci".

In tale prospettiva la presenza del tutto eccezionale di una Bibbia atlantica a Montecassino, in una scrittura del tutto estranea allo scriptorium cassinese letteralmente pervaso dalla beneventana - nonostante eccezioni in carolina - può trovare la sua sola giustificazione, seppure non suffragata da prove documentarie, nell'attività e nella committenza libraria di Desiderio, la cui refrattarietà a scelte grafiche diverse da quella beneventana può anzi ancor più rafforzare l'ipotesi che proprio l'eccezionalità del contenuto e della finalità di tali Bibbie lo abbia spinto a dotarsene anche per il suo monastero.

Il luogo che più di altri in certi momenti fu di sostegno a Gregorio VII non poteva non arricchirsi di un volume che costituiva anche una sorta di status symbol per il centro religioso che lo possedeva:  segno di un rango, di un'appartenenza, di una scelta, di un' ideologia. Desiderio era al vertice di un ambiente che già in passato aveva dimostrato nei confronti dei programmi riformatori o di restaurazione promossi da Roma di sapersi schierare con tali indirizzi, in particolare nel campo della liturgia.

La cifra comune all'intera storia della cultura cassinese nella seconda metà del secolo xi, o meglio il "nuovo fascino", l'irresistibile attrazione di Roma e dei classici, che a Montecassino trova un terreno fertile non solo in letterati puri come Alfano e Guaiferio ma anche - e in grande misura - in intellettuali "forti" come Alberico, o engageés come Amato, che con l'Historia Normannorum mira a legittimare dinanzi a Roma stessa i normanni prima malfattori, poi benefattori di Montecassino e dei Papi; o ancora intellettuali che si fanno voce del monastero sia pure in tempi, con caratteristiche e valore differenti, come i cronisti - ma non solo cronisti - Leone Marsicano e Pietro Diacono. Di Alfano basti qui ricordare il carme 37 in esametri dattilici leonini dedicato a san Pietro, Alma dies, ove traspare manifestamente il connubio tra la Roma antica e la nuova Roma cristiana che dall'universalità della missione petrina trae sempre nuova linfa di riforma, di renovatioAlma dies rutilat toto celeberrima mundo, / sanguine quam Petrus proprio decoravit in aevum. / Ardua purpureis tinguntur templa triumphis (...) / Iam cape Romanum consul Caesarque senatum; / ecce tibi cunctus servit sub sidere mundus. Dove consul e Caesar, come già sottolineava Percy Ernst Schramm, da titoli pagani acquistano un nuovo e più vivo significato in riferimento a Pietro.

Di Amato si segnala particolarmente il Poema su san Pietro Apostolo:  mi limito qui a sottolinearne la colorazione politica, rispecchiando esso perfettamente l'ideologia dei cassinesi, di Desiderio in modo speciale, circa la preminenza tutta "gregoriana" del Papato su ogni altro potere, nonché sul suo ruolo politico-religioso:  un'angolatura che certo meriterebbe più attenzione, specialmente in considerazione del fatto che questa epopea petrina versificata in esametri appare fortemente segnata dalla lotta con Simon Mago alla quale è dedicata buona parte del quarto e ultimo libro.
Evidentemente va più marcato il fatto che il Poema di Amato dedicato a Papa Gregorio, si inserisce a pieno titolo nell'orizzonte militante di quegli anni, al punto che Herbert Edward John Cowdrey non ha esitato a riconoscere nell'opera "forse il più radicale attacco alla simonia pubblicato sotto il pontificato di Gregorio VII".

Ed è appunto in questo orizzonte che si iscrive l'attività poetica e innografica nella quale la scuola cassinese sembra manifestare una vitalità ignota ad altri centri monastici:  ne è espressione il celeberrimo inno O Roma nobilis, che sia o meno opera di un cassinese - trasmessoci in due soli codici non a caso entrambi in beneventana di origine cassinese (il Cassinense 318, secolo xi ex., e il Vaticano latino 3227, secolo xii in.) - dedicato ai santi Pietro e Paolo, in cui liturgia e poesia concorrono all'unisono con le esigenze della contemporanea politica ecclesiastica incentrata su riforma della Chiesa e centralità del ruolo di Pietro e dei suoi successori, vescovi di Roma.

Ulteriore ed emblematico esempio della versatilità cassinese nell'accompagnare il processo di riforma promosso da Roma è il modo in cui Montecassino si lascia coinvolgere in una questione spinosa come l'affaire berengariano, nel quale la sensibilità verso la Parola di Dio doveva necessariamente sposarsi con un bagaglio non solo teologico ma anche retorico e filosofico insieme, capace di contrastare Berengario di Tours. Desiderio accetta la sfida o meglio l'impegno al coinvolgimento di Montecassino, che evidentemente gli doveva essere chiesto dall'entourage curiale, cioè dal Papa stesso, e qui emerge l'opera di Alberico. In questa vicenda egli si segnala davvero come il letterato cassinese al servizio della riforma, il più conforme al modello di intellettuale "forte", cioè professionalmente impegnato a trasmettere mediante un'attrezzatura pedagogica la sua abilità di studio nell'ambito di una scuola, ed è proprio quello che gli vale la partecipazione alla controversia che si svolge nel sinodo romano del 1079.

Per tale occasione egli scrive, come ci informa Pietro Diacono, un trattato De corpore Domini adversus Berengarium. Quest'opera, fino a oggi considerata perduta, secondo Charles Radding e Francis Newton è invece da identificare con il libellus conservato nel manoscritto 106 della University Library di Aberdeen, prima attribuito a Berengario di Venosa, e di cui nel 2003 gli stessi studiosi hanno dato un'edizione completa.

Ora qui interessa più che confermare i loro validi argomenti, soffermarsi su due punti:  il primo, che cioè Alberico con quest'opera dall'ambito più propriamente tecnico-professionale com'è riflesso dai suoi Flores rhetorici o Dictaminum radii, passi a quello di una letteratura impegnata, militante al servizio della Riforma gregoriana; il secondo, che egli può impegnarsi a ciò, perché dotato non solo di un bagaglio teologico e patristico, ma anche, e in pari misura, di un armamentario filosofico e dialettico che doveva essere notevole, e che nel trattato De corpore Domini si riflette ad esempio nell'esplicita citazione dei Topica (25-26) di Cicerone, non a caso contenuti in un manoscritto di origine cassinese, l'Ottoboniano latino 1406, una raccolta di testi di dialettica comprendente l'Isagoge di Porfirio, i Praedicamenta e il Periermeneias di Aristotele nella traduzione di Boezio, i Topica appunto di Cicerone, i trattati boeziani De syllogismis categoricis e De syllogismis hypoteticis e, ancora, il Liber divisionum.

Su questa sottile linea di confine tra campi letterari distinti, dialettica e teologia insieme a difesa della fede sacramentale eucaristica, Alberico non solo realizza la sua piena maturità intellettuale e letteraria, ponendosi nel contempo al servizio della Chiesa gregoriana e di Montecassino che la sostiene con il suo abate Desiderio, ma contribuisce anche, probabilmente in modo decisivo insieme ad altri teologi come il monaco normanno Guitmondo, nella professione di fede infine sottoscritta da Berengario l'11 febbraio del 1079, dove lo scolastico di Tours riconosce il carattere sostanziale (substantialiter converti) della trasformazione eucaristica.

La presenza a Montecassino di una delle prime Bibbie atlantiche, presenza corroborata anche da altri manoscritti usciti probabilmente dallo stesso ambiente scrittorio come il Cassinense 87 recante i Moralia in Iob (unico codice gigante paragonabile al Cassinense 515) sembra dunque mostrare come Desiderio abbia condiviso sin dall'inizio questo fenomeno della produzione libraria al servizio della Riforma, al pari di altre Chiese italiche e non.

Ma a Montecassino la riforma promossa da Roma trova un interlocutore, un collaboratore, un protagonista di portata universale, capace di intervenire a più livelli, quello politico, per l'alleanza con i normanni e l'equilibrato atteggiamento nei confronti del potere imperiale, un fattore divenuto via via sempre più imbarazzante nell'intreccio diplomatico; quello pastorale, per la presenza di una vasta rete di chiese e dipendenze cassinesi sparse in tutta l'Italia centromeridionale, evidentemente fedeli a Roma; quello liturgico, come denota l'impulso al nuovo Pontificale Romano; quello agiografico:  si pensi solo a Guaiferio, Leone Marsicano, Giovanni di Gaeta futuro Papa Gelasio ii; quello della trasmissione di testi classici; quello più propriamente culturale, di cui Alberico sembra essere il simbolo più eloquente, nel senso cioè di una autorevolezza intellettuale del tutto singolare che gli veniva dalla sua formazione retorica, che lo agevolò nel confronto con Berengario.

Lo sottolinea Brian Vickers:  quella di Alberico non fu una pura retorica da esercitazione scolastica, quanto piuttosto una "retorica militante", di volta in volta tendente all'enfasi ovvero al suo opposto, la attenuatio, la semplicità di stile, proprio come scrive Alberico nei Flores rhetorici, insegnando a impiegare le parole con "sprezzatura", quasi per minimizzare, respingere e abbattere il ragionamento dell'avversario (servandum est hoc (...) ut quod alter celebrat, alter si negare non potest, attenuando, depravando supprimat).

Sembra quasi di vederlo, e con lui l'abate Desiderio, al sinodo romano del 1079, entrambi protagonisti di una delle tappe cruciali del percorso di riforma intrapreso dalla Chiesa di Roma verso una nuova centralità del Verbum Dei:  Parola che si annunzia (la Scrittura), Parola che si fa presenza reale nello Spirito (l'Eucaristia). E questo allarga notevolmente l'orizzonte, e fa della Bibbia atlantica di Montecassino un tassello, sia pure preziosissimo, di un mosaico culturale e ideologico ben più vasto e complesso.


(©L'Osservatore Romano - 6-7 aprile 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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