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I 7 Vizi Capitali: Superbia, Accidia, Lussuria, Ira, Gola, Invidia, Avarizia e le vere virtù

Ultimo Aggiornamento: 24/01/2016 19:22
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24/11/2011 12:35
 
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L'acedia - Evagrio Pontico


Capitolo 13

L’acedia

L’acedia è una debolezza dell’anima che insorge quando non si vive secondo natura né si fronteggia nobilmente la tentazione. Infatti la tentazione è per un’anima nobile ciò che è il cibo per un corpo vigoroso. Il vento del nord nutre i germogli e le tentazioni consolidano la fermezza dell’anima.
La nube povera d’acqua è allontanata dal vento come la mente che non ha perseveranza dallo spirito dell’acedia. La rugiada primaverile accresce il frutto del campo e la parola spirituale esalta la fermezza dell’anima. Il flusso dell’acedia caccia il monaco dalla propria dimora, mentre colui che è perseverante se ne sta sempre tranquillo. L’acedioso adduce quale pretesto la visita degli ammalati, cosa che garantisce il proprio scopo. Il monaco acedioso è rapido a svolgere il suo ufficio e considera un precetto la propria soddisfazione; la pianta debole è piegata da una lieve brezza e immaginare la partenza distrae l’acedioso. Un albero ben piantato non è scosso dalla violenza dei venti e l’acedia non piega l’anima ben puntellata. Il monaco girovago, secco fuscello della solitudine, sta poco tranquillo e, senza volerlo, è sospinto qua e là di volta in volta. Un albero trapiantato non fruttifica e il monaco vagabondo non dà frutti di virtù. L’ammalato non è soddisfatto da un solo cibo e il monaco acedioso non lo è da una sola occupazione. Non basta una sola femmina a soddisfare il voluttuoso e non è abbastanza una sola cella per l’acedioso.

Capitolo 14

L’occhio dell’acedioso fissa le finestre continuamente e la sua mente immagina che arrivino visite: la porta cigola e quello balza fuori, ode una voce e si sporge dalla finestra e non se ne va da lì finché, sedutosi, non si intorpidisce. Quando legge, l’acedioso sbadiglia molto, si lascia andare facilmente al sonno, si stropiccia gli occhi, si stiracchia e, distogliendo lo sguardo dal libro, fissa la parete e, di nuovo, rimessosi a leggere un po’, ripetendo la fine delle parole, si affatica inutilmente, conta i fogli, calcola i quaternioni, disprezza le lettere e gli ornamenti e infine, piegato il libro, lo pone sotto la testa e cade in un sonno non molto profondo, e infatti, di lì a poco, la fame gli risveglia l’anima con le sue preoccupazioni. Il monaco acedioso è pigro alla preghiera e di certo non pronuncerà mai le parole dell’orazione; come infatti l’ammalato non riesce a sollevare un peso eccessivo, così anche l’acedioso di sicuro non si occuperà con diligenza dei doveri verso Dio: all’uno infatti difetta la forza fisica, all’altro viene meno il vigore dell’anima. La pazienza, il far tutto con molta assiduità e il timor di Dio curano l’acedia. Disponi per te stesso una giusta misura in ogni attività e non desistere prima di averla conclusa, e prega assennatamente e con forza e lo spirito dell’acedia fuggirà da te.


La vanagloria - Evagrio Pontico


Capitolo 15

La vanagloria

La vanagloria è una passione irragionevole e facilmente s’intreccia con tutte le opere di virtù. Un disegno tracciato nell’acqua si confonde, come la fatica della virtù nell’anima vanagloriosa.
Diviene candida la mano nascosta in seno e l’azione che rimane celata risplende di una luce più smagliante. L’edera s’avvinghia all’albero e, quando giunge in alto, ne dissecca la radice, così la vanagloria si origina dalle virtù e non si allontana finché non avrà reciso la loro forza. Il grappolo d’uva, buttato a terra, marcisce facilmente e la virtù, se si appoggia alla vanagloria, perisce. Il monaco vanaglorioso è un lavoratore senza salario: si impegna nel lavoro e non riceve alcuna paga; la borsa bucata non custodisce ciò che vi è riposto e la vanagloria distrugge i compensi delle virtù. La continenza del vanaglorioso è come il fumo del camino, entrambi si disperderanno nell’aria. Il vento cancella l’orma dell’uomo come l’elemosina del vanaglorioso. La pietra lanciata non raggiunge il cielo e la preghiera di chi desidera piacere agli uomini non salirà fino a Dio.

Capitolo 16

La vanagloria è uno scoglio sommerso: se vi urti contro rischi di perdere il carico. Nasconde il suo tesoro l’uomo prudente quanto il saggio monaco le fatiche della sua virtù. La vanagloria consiglia di pregare nelle piazze, colui che invece vi si oppone prega nella sua stanzetta. L’uomo poco assennato rende nota la propria ricchezza e spinge molti a tendergli insidie. Nascondi invece le tue cose: durante il cammino ti imbatterai in lestofanti finché non arriverai alla città della pace e potrai usare i tuoi beni tranquillamente. La virtù del vanaglorioso è un sacrificio consunto e non è certo offerto all’altare di Dio. L’acedia dissolve il vigore dell’anima, mentre la vanagloria fortifica la mente che dimentica Dio, rende robusto l’astenico e il vecchio più forte del giovane, solo finché sono molti i testimoni che assistono a tutto questo: allora saranno inutili il digiuno, la veglia e la preghiera, è infatti la pubblica approvazione che eccita lo zelo. NÉ metterai in vendita le tue fatiche per la fama, né rinuncerai alla gloria futura per essere acclamato. Infatti l’umana gloria si accampa in terra e sulla terra la sua fama si estingue, mentre la gloria della virtù rimane in eterno.



La superbia - Evagrio Pontico


Capitolo 17

La superbia

La superbia è un tumore dell’anima pieno di sangue.
Se matura scoppierà, emanando un orribile fetore. Il bagliore del lampo annuncia il fragore del tuono e la presenza della vanagloria annuncia la superbia. L’anima del superbo raggiunge grandi altezze e da lì cade nell’abisso. Si ammala di superbia l’apostata di Dio ascrivendo alle proprie capacità le cose ben riuscite. Come colui che sale su una tela di ragno precipita, così cade colui che si appoggia alle proprie capacità. Un’abbondanza di frutti piega i rami dell’albero e un’abbondanza di virtù umilia la mente dell’uomo. Il frutto marcio è inutile al contadino e la virtù del superbo non è accetta a Dio. Il palo sostiene il ramo carico di frutti e il timore di Dio l’anima virtuosa. Come il peso dei frutti spezza il ramo così la superbia abbatte l’anima virtuosa. Non consegnare la tua anima alla superbia e non avrai terribili fantasie. L’anima del superbo è abbandonata da Dio e diviene oggetto di gioia maligna per i demoni. Di notte egli si immagina branchi di belve che l’assalgono e di giorno è sconvolto da pensieri di viltà. Quando dorme facilmente sussulta e quando veglia lo spaventa l’ombra di un uccello. Lo stormire delle fronde atterrisce il superbo e il suono dell’acqua spezza la sua anima. Colui che infatti poco prima si è opposto a Dio respingendo il suo soccorso, viene poi spaventato da volgari fantasmi.

Capitolo 18

La superbia precipitò l’arcangelo dal cielo e come un fulmine lo fece piombare sulla terra. L’umiltà invece conduce l’uomo verso il cielo e lo prepara a far parte del coro degli angeli. Di che ti inorgoglisci, o uomo, quando per natura sei melma e putredine, e perché ti sollevi sopra le nuvole? Guarda alla tua natura poiché sei terra e cenere e fra un po’ tornerai alla polvere, ora superbo e tra poco verme. A che pro sollevi il capo che tra non molto marcirà? Grande è l’uomo soccorso da Dio; una volta abbandonato egli riconobbe la debolezza della natura. Nulla possiedi che tu non abbia ricevuto da Dio. Perché dunque ti scoraggi per ciò che appartiene ad altri come se fosse tuo? Perché ti vanti di quel che viene dalla grazia di Dio come se fosse una tua personale proprietà? Riconosci colui che dona e non ti inorgoglire tanto: sei creatura di Dio, non disprezzare perciò il creatore. Dio ti soccorre, non respingere il beneficatore. Sei giunto alla sommità della tua condizione, ma lui ti ha guidato; hai agito rettamente secondo virtù ed egli ti ha condotto. Glorifica chi ti ha innalzato per rimanere al sicuro nelle altezze; riconosci colui che ha le tue stesse origini perché la sostanza è la medesima e non rifiutare per iattanza questa parentela.

Capitolo 19

Umile e moderato è colui che riconosce questa parentela; ma il demiurgo plasmò sia lui sia il superbo. Non disprezzare l’umile: infatti egli è più al sicuro di te: cammina sulla terra e non precipita; ma colui che sale più in alto, se cade, si sfracellerà. Il monaco superbo è come un albero senza radici e non sopporta l’impeto del vento. Una mente senza boria è come una cittadella ben munita e chi vi abita sarà imprendibile. Un soffio di vento solleva la festuca e l’insulto porta il superbo alla follia. Una bolla scoppiata svanisce e la memoria del superbo perisce. La parola dell’umile addolcisce l’anima, mentre quella del superbo è ripiena di millanteria. Dio si piega alla preghiera dell’umile, è invece esasperato dalla supplica del superbo. L’umiltà è la corona della casa e tiene al sicuro chi vi entra. Quando salirai al sommo delle virtù allora avrai molto bisogno di sicurezza. Colui infatti che cade sul pavimento rapidamente si rialza, ma chi precipita da grandi altezze, rischia la morte. La pietra preziosa si addice al bracciale d’oro e l’umiltà umana risplende di molte virtù.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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