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Unione superiori generali e la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata

Ultimo Aggiornamento: 23/04/2012 15:31
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27/05/2010 18:29
 
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L'assemblea dell'Unione superiori generali

La fede
e la sfida nichilista


Si conclude venerdì 28 a Roma la 75ª assemblea semestrale dell'Unione superiori generali sul tema "L'Europa interpella la vita consacrata:  situazioni e implicanze". Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento, dal titolo "La fede speranza per l'Europa?",  che ha inaugurato i lavori di giovedì 27.


di Mauro Magatti
Università Cattolica del Sacro Cuore

L'Europa sta attraversando una transizione difficile:  la combinazione di declino demografico, rallentamento economico e fragilità politico-istituzionale costituisce una miscela micidiale che rischia di spingere l'Europa v

erso un mesto declino. Il risultato è che, in Europa, l'emozione prevalente oggi è la paura. Paura del futuro e paura dell'altro. Ora, il rischio di declino e il diffondersi di sentimenti negativi non possono lasciare indifferenti le Chiese, visto l'intimo legame storico tra Europa e cristianesimo. Senza escludere la vivacità di comunità d'altri continenti, tocca certamente alle Chiese del Vecchio continente sforzarsi di trovare parole e elaborare pratiche capaci di rispondere alle tante domande inevase di questo tempo.

La mia tesi è che l'Europa è progressivamente sprofondata in una spirale nichilistica, dove però il vuoto di valori e il libero affermarsi della volontà di potenza si esprimono nella forma molto più subdola e invisibile di un "nichilismo sorridente" che si compiace di smontare tutto quello che prova a sussistere, con scarsissima capacità di presa in carico dei problemi del presente e del futuro.

Si tratta di una cultura di piccolo cabotaggio, che orienta le proprie energie verso l'affermazione di sé nei piccoli giochi della vita relazionale e istituzionale, sempre meno capace di interrogarsi sul senso - e quindi sul valore - di quello che sta facendo.

La rinascenza dell'Europa, io credo, ha a che fare con queste sfide. Sfide che interpellano profondamente la coscienza cristiana. Rispetto a esse, mi domando:  qual è la vera identità cristiana dell'Europa?
 
È l'affermazione di principio che il Vecchio continente è cristiano oppure è la capacità di pensare e costruire un continente che ospita, a un livello più maturo, il germe cristiano? Non è forse il nostro compito quello d'essere lievito della pasta, perché appunto la pasta cresca? Non è questo il modo tipico del cristiano di fare la storia, un modo che non passa dalla conquista del potere, ma dalla sua capacità di generare pensiero e pratiche che costruiscono la strada stessa sulla quale poi si cammina? Non è forse questa la parte migliore della nostra storia millenaria?

Invece di considerare con paura il passaggio che stiamo vivendo, le Chiese sono chiamate ad avere l'audacia di reincarnare la fede nella temperie del tempo presente, scorgendo le opportunità nascoste nelle pieghe dell'esperienza contemporanea, in modo così da favorire una nuova "risorgenza" dell'Europa. Senza alcun dubbio, il passaggio storico segna una nuova chiamata alla fede, anche se non sappiamo davvero dire se e come potremo farvi fronte.

Quello che intanto possiamo fare è sforzarci di capire che la situazione nella quale ci troviamo è figlia della cristianità e della sua idea di uomo. Proprio per questo, la cristianità ha ancora molto da dire a riguardo.

Negli ultimi decenni, nella vecchia Europa sono crollate molte delle sue autorità. Per una società antica e stratificata, ciò non può che aver costituito un trauma dal quale ancora la società europea non si è ripresa.

Per molti aspetti, ci troviamo in quella condizione che gli psicanalisti chiamano la "perdita del nome del padre". Tale condizione ha i suoi pericoli, dato che può preludere al caos, alla disorganizzazione morale, alla disgregazione, alla fine della fede. Mi piace, invero, pensare che ciò che stiamo vivendo non sia altro che una fase adolescenziale della libertà:  sempre più distintamente capiamo che la lunga storia moderna della libertà diventa realtà, ma è allo stesso tempo sempre più chiaro che non riusciamo bene a capire che cosa questa condizioni significhi. Specie in Europa, non siamo più capaci di dire a che cosa può servire questa libertà. Non siamo più capaci di orientare, di spendere la nostra libertà per qualche cosa di positivo. Mi sembra proprio questo fallimento l'elemento che contraddistingue, in modo particolarissimo, l'Europa.

Se partiamo dal presupposto che la cristianità, qui in Europa, sia stata la vera culla della libertà moderna, allora diventa più chiaro capire cosa vuol dire sostenere che tocca ai cristiani - più che a chiunque altro - trovare una risposta. Il crollo dei sistemi tradizionali di autorità indubbiamente lascia un vuoto e suscita delle ben comprensibili paure. Ma personalmente non credo che la soluzione stia nel loro improbabile ristabilimento - non se ne vedono i segni e potrebbe essere molto pericoloso.

La via che credo si debba e si possa percorrere per superare la deriva nichilista che avvolge l'Europa, sta invece nell'aiutare a capire che, per essere uomini liberi adulti, il segreto sta nel riconoscere che non si può vivere da fratelli senza Dio. E questo perché ci si rende conto che, per non rimanere condannati al regime delle equivalenze, occorre riconoscere che il valore non può che essere una dismisura.

L'uscita dal nichilismo passa dal correre il rischio della fede e dall'agape:  entrambi elementi che interrompono l'equivalenza dello scambio, ma la interrompono secondo l'ottica esattamente cristiana del dono e della grazia (gratuità). Naturalmente l'idea di fede a cui faccio riferimento non è quella ottusa e irragionevole del fondamentalista, che è un pericolo per il mondo nel quale viviamo. È piuttosto la fede che consiste nello sporgersi, dentro la concretezza della vita, verso un'eccedenza che è, fondamentalmente, apertura dell'essere. Non, dunque, una fede cieca, ma una fede che impara dal passato, che scorge i segni d'una vicinanza e che ama dialogare con la ragione.

Una fede capace di fare esistere il bene - cioè il buono, il bello e il vero - e in questo modo capace di rispondere all'obiezione di Nietzsche sulle grandi parole che non trovano seguito nella realtà. Una fede che in questo modo è sin dall'inizio impastata con la vita e che proprio per questo è capace, nei suoi limiti, di dar corpo a ciò che afferma. Una fede dunque che non è dimentica dell'importanza della ragione, ma che è prima di tutto e fondamentalmente vita - cioè esperienza incarnata. Lasciatemi dire che gli ordini religiosi hanno il compito di attestare questa possibile "interruzione" che costituisce la premessa per una nuova "rinascenza" dell'Europa.

Il mio augurio è che, proprio qui nel Vecchio continente, essi continuino a essere, negli anni che verranno, le avanguardie - sul piano della fede, delle relazioni, delle istituzioni - del modo in cui potremo vincere, una volta per tutte, la sfida nichilista alla quale, come europei contemporanei, siamo assoggettati.



(©L'Osservatore Romano - 28 maggio 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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