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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Verso una riabilitazione di mons. Lefebvre? Noi preghiamo per un SI!

Ultimo Aggiornamento: 10/09/2011 16:01
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01/06/2010 23:26
 
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Verso la 'riabilitazione' di mons. Lefebvre?



Se c'è qualcosa che non ci saremmo aspettati di vedere, quanto meno non così presto, è lo sdoganamento, passateci il termine, dell'arcivescovo Marcel Lefebvre.

Dopo la rivalutazione della figura di Romano Amerio, cauta certo ma inequivoca (con tanto di articolo sull'Osservatore romano e prossimo convegno a San Marino con assistenza episcopale: lui che veniva ostentatamente ignorato o vilmente sbeffeggiato, senza che ci si peritasse di confutarne gli argomenti); si consumerà su mons. Marcel Lefebvre la caduta di un altro tabù culturale dell'editoria cattolica "politicamente corretta"?

Due segnali chiari sono in questo senso. Il primo è la recente pubblicazione di una nuova biografia dell'Arcivescovo francese effettuata da SUGARCO. E fin qua, a dire il vero, nulla di travolgente anche se l'indizio è comunque forte e dimostra un rinnovato interesse per la sua figura, al di fuori dei circoli abituali.

Ma soprattutto, il secondo elemento è l'inattesa pubblicazione del volume intitolato "Santità e Sacerdozio", con testi di mons. Marcel Lefebvre, uscito per i tipi della più che "allineata" casa editrice cattolica Marietti 1820.

Pare inoltre che una ulteriore raccolta di scritti del fondatore della Fraternità San Pio X, sempre sotto l'etichetta di Marietti, sarà nelle librerie cattoliche entro Natale.

Cosa sta succedendo nei saloni della cultura ecclesiastica "ufficiale"? Un nome fino ad oggi impronunciabile e vituperato può finalmente varcare, con l'imprimatur di chi conta, la soglia delle sacre tipografie? Certo passerà ancora molto tempo prima di poter vedere "Accuso il Concilio" fra le pubblicazioni delle edizioni Paoline o de "Il Regno" ma... molto probabilmente i tempi stanno cambiando ed anche questi segnali, apparentemente piccoli, non vanno trascurati.

Leggiamo ad esempio la presentazione del libro Mons. Marcel Lefebvre. Nel nome della verità di Cristina Siccardi, ed. Sugarco, che trovate addirittura nella home page di questa casa editrice. I toni sono particolarmente positivi:

.Monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991), un nome che fa quasi sempre sobbalzare, impronunciabile, se non in alcuni ambienti ristretti, dove è molto amato e molto venerato. Buona parte dell’opinione pubblica cattolica e non l’ha dipinto come un «eretico», come uno «scismatico», uno che desiderava farsi una Chiesa tutta sua... Quanti errori, quante affabulazioni si costruiscono attorno alle persone che pensano, che ragionano, che avanzano verità scomode e perciò divengono loro stesse scomode. scomode come Lefebvre. Conosciuto per lo più come il Vescovo ribelle, monsignor Lefebvre è stato, finora, posto sotto un cono di luce diffamante, non per il suo comportamento di vita, peraltro ineccepibile e altamente virtuoso, da tutti verificabile, ma per la sua forte presa di posizione contro un Concilio pastorale, il Vaticano II, nei cui dettami vedeva e denunciava le conseguenze scristianizzanti e relativistiche che ne sarebbero sorte. Oggi, a distanza di quasi vent’anni dalla sua scomparsa e a quarantacinque dalla chiusura del Concilio stesso, possiamo storicamente avvicinarci a lui con maggiore serenità e senza acrimonia, considerando quest’uomo, meglio, questo sacerdote, non come il nemico di qualcuno, bensì come un impavido e lungimirante soldato di Cristo, paladino dell’integrità della Fede e di Santa Romana Chiesa, del Primato Petrino e dell’Eucaristia. Monsignor Lefebvre, grazie anche ai figli che ha lasciato, i sacerdoti della Fraternità san Pio X, è ancora lì a indicare che nella tradizione, nella dottrina cattolica, nella celebrazione del Santo Sacrificio della Messa di sempre, nella santità sacerdotale stanno le risposte ai problemi di un mondo che si è perso nel suo orgoglio e nella sua vanagloria, detronizzando Cristo Re.

[Modificato da Caterina63 01/06/2010 23:27]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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08/06/2010 21:01
 
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Coi lefebvriani far ecumenismo costa caro thumbnail


ultima immagine di mons. Lefebvre per gli sguardi di questo mondo...









Noi aderiamo con tutto il cuore e con tutta l’anima alla Roma cattolica ...



DICHIARAZIONE DI MONS. MARCEL LEFEBVRE DEL 21 NOVEMBRE 1974

Noi aderiamo con tutto il cuore e con tutta l’anima alla Roma cattolica custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie al mantenimento della stessa fede, alla Roma eterna, maestra di saggezza e di verità.

Noi rifiutiamo, invece, e abbiamo sempre rifiutato di seguire la Roma di tendenza neo-modernista e neo-protestante che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne sono scaturite.

Tutte queste riforme, in effetti, hanno contribuito e contribuiscono ancora alla demolizione della Chiesa, alla rovina del Sacerdozio, all’annientamento del Sacrificio e dei Sacramenti, alla scomparsa della vita religiosa, a un insegnamento neutralista e teilhardiano nelle università, nei seminari, nella catechesi, insegnamento uscito dal liberalismo e dal protestantesimo più volte condannati dal magistero solenne della Chiesa.

Nessuna autorità, neppure la più alta nella gerarchia, può costringerci ad abbandonare o a diminuire la nostra fede cattolica chiaramente espressa e professata dal Magistero della Chiesa da diciannove secoli.

“Se avvenisse - dice San Paolo - che noi stessi o un Angelo venuto dal cielo vi insegnasse altra cosa da quanto io vi ho insegnato, che sia anatema” (Gal. 1,8).

Non è forse ciò che ci ripete il Santo Padre oggi?

E se una certa contraddizione si manifesta tra le sue parole e i suoi atti, così come negli atti dei dicasteri, allora scegliamo ciò che è stato sempre insegnato e non prestiamo ascolto alle novità distruttrici della Chiesa.

Non si può modificare profondamente la lex orandi senza modificare la lex credendi.

Alla messa nuova corrisponde catechismo nuovo, sacerdozio nuovo, seminari nuovi, università nuove, Chiesa carismatica, pentecostale, tutte cose opposte all’ortodossia e al magistero di sempre.

Questa riforma, essendo uscita dal liberalismo e dal modernismo, è tutta e interamente avvelenata; essa nasce dall’eresia e finisce nell’eresia, anche se non tutti i suoi atti sono formalmente ereticali. È dunque impossibile per ogni cattolico cosciente e fedele adottare questa riforma e sottomettersi ad essa in qualsiasi maniera.

L’unico atteggiamento di fedeltà alla Chiesa e alla dottrina cattolica, per la nostra salvezza, è il rifiuto categorico di accettazione della riforma.

Per questo, senza alcuna ribellione, alcuna amarezza, alcun risentimento, proseguiamo l’opera di formazione sacerdotale sotto la stella del magistero di sempre, persuasi come siamo di non poter rendere servizio più grande alla Santa Chiesa Cattolica, al Sommo Pontefice e alle generazioni future.

Per questo ci atteniamo fermamente a tutto ciò che è stato creduto e praticato nella fede, i costumi, il culto, l’insegnamento del catechismo, la formazione del sacerdote, l’istituzione della Chiesa, della Chiesa di sempre e codificato nei libri apparsi prima dell’influenza modernista del Concilio, attendendo che la vera luce della Tradizione dissipi le tenebre che oscurano il cielo della Roma eterna.

Così facendo siamo convinti, con la grazia di Dio, l’aiuto della Vergine Maria, di San Giuseppe, di San Pio X, di rimanere fedeli alla Chiesa Cattolica e Romana, a tutti i successori di Pietro e di essere i fideles dispensatores mysteriorum Domini Nostri Jesu Christi in Spiritu Sancto.

Amen.

+ Marcel Lefèbvre,

21 novembre 1974, nella festa della Presentazione di Maria SS.ma



[Modificato da Caterina63 10/09/2011 16:01]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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29/09/2010 00:38
 
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Mons. Brunero Gherardini, Vescovo e autore di un testo importante sulle interpretazioni del Concilio. fa alcune riflessioni, senza pretese ne presunte chiaroveggenze, sul "domani" della Fraternità di S. Pio X


Durante un amichevole incontro, alcuni amici m’han chiesto quale potrebb’esser il domani della Fraternità S. Pio X, a conclusione dei colloqui in atto fra la medesima e la Santa Sede. Ne abbiam parlato a lungo ed i pareri eran discordi. Per questo esprimo il mio anche per iscritto, nella speranza – se non è presunzione e Dio me ne guardi! - che possa giovare non solo agli amici, ma anche alle parti dialoganti.

Rilevo anzitutto che nessuno è profeta né figlio di profeti. Il futuro è nelle mani di Dio. Qualche volta è possibile preordinarlo, almeno in parte; in altre, ci sfugge del tutto. Bisogna inoltre dare atto alle due parti, finalmente all’opera per una soluzione dell’ormai annoso problema dei “lefebvriani”, che fin ad oggi han lodevolmente ed esemplarmente mantenuto il dovuto silenzio sui loro colloqui. Tale silenzio, però, non aiuta a preveder i possibili sviluppi.

Di “voci”, peraltro, se ne sentono; e non poche. Quale sia il loro fondamento è un indovinello. Prenderò dunque in esame qualcuno dei pareri espressi nell’occasione predetta e dirò poi articolatamente il mio.
  1. Ci fu chi giudicava positivo un recente invito ad “uscire dal bunker nel quale s’è asserragliata durante il postconcilio per difendere la Fede dagli attacchi del neomodernismo”. Fu facile rilevare la difficoltà d’un giudizio a tale riguardo. Che la Fraternità sia stata per alcuni decenni nel bunker è evidente; purtroppo c’è ancora. Non è invece evidente se vi sia entrata da sé, o se vi sia stata da qualcuno, o dagli avvenimenti sospinta. A me pare che, se proprio vogliamo parlare di bunker, sia stato Mons. Lefebvre ad imprigionarvi la sua Fraternità quel 30 giugno 1988, quando, dopo due richiami ufficiali ed una formale ammonizione perché recedesse dal progettato atto “scismatico”, ordinò vescovi quattro dei suoi sacerdoti. Fu, quello, il bunker non dello scisma formalmente inteso, perché pur essendo “rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice” (CJC 751/2), mancò il dolo e l’intenzione di crear un’anti-chiesa, fu anzi determinato dall’amore alla Chiesa e da una sorta di “necessità” incombente per la continuità della genuina Tradizione cattolica, seriamente compromessa dal neomodernismo postconciliare. Ma bunker fu: quello d’una disobbedienza ai limiti della sfida, del vicolo chiuso e senza prospettive d’un possibile sbocco. Non quello della salvaguardia di valori compromessi.

    E’ difficile capire in che senso, “per difendere la Fede dagli attacchi del neomodernismo”, fosse proprio necessario “asserragliarsi in un bunker”. Vale a dire: lasciar libero il passo all’irrompere dell’eresia modernista. E di fatto il passo fu ininterrottamente contrastato. Se pur in una posizione di condanna canonica, e quindi fuori dai ranghi dell’ufficialità ma con la consapevolezza di lavorare per Cristo e per la sua Chiesa, una santa cattolica apostolica e romana, la Fraternità attese anzitutto alla formazione del clero, questo essendo il suo compito specifico, fondò e diresse seminari, promosse e sostenne dibattiti teologici talvolta d’alto profilo, pubblicò libri di rilevante valore ecclesiologico, dette conto di sé mediante fogli d’informazione interna ed esterna: il tutto allo scoperto, dimostrando di quale forza – lasciata purtroppo ai margini - la Chiesa potrebbe avvalersi per la sua finalità d’universale evangelizzazione. Che gli effetti dell’attiva presenza lefebvriana possan esser giudicati modesti o che di fatto non sian molto appariscenti, può dipender da due ragioni:

    • dalla condizione canonicamente abnorme in cui opera,
    • e dalle sue dimensioni; si sa che la mosca tira il calcio che può.

    Ma io son profondamente convinto che proprio per questo si dovrebbe ringraziare la Fraternità la quale, in un contesto di secolarizzazione ormai ai margini d’un’era post-cristiana, ed anche di non dissimulata antipatia verso di essa, ha tenuto e tiene ben alta la fiaccola della Fede e della Tradizione.

  2. Nell’occasione richiamata all’inizio, qualcuno riferì d’una conferenza durante la quale la Fraternità fu invitata ad aver maggior fiducia nel mondo ecclesiale contemporaneo, ricorrendo se necessario a qualche compromesso, perché la “salus animarum” esige – l’avrebbe detto un lefefbvriano – che si corra anche questo rischio. Sì, ma non certamente il rischio di “compromettere” la propria e l’altrui eterna salvezza.

    E’ probabile che le parole tradiscan le intenzioni. O che non si conosca il valore delle parole. Se c’è una cosa che, in materia di Fede, è doveroso evitare, è il compromesso. E il richiamarsi della Fraternità – così come d’ogni autentico seguace di Cristo - al “Sì sì, no no” di Mt 5,37 (Giac 5,12) è l’unica risposta alla prospettiva del compromesso. Il testo citato continua dicendo: “tutto il resto vien dal maligno”: dunque anche e segnatamente il compromesso. Almeno nella sua accezione di rinunzia ai propri principi morali ed alle proprie ragioni di vita.

    A dir il vero, anche a me, da quando i colloqui tra Santa Sede e Fraternità ebbero inizio, era arrivata la voce d’un possibile compromesso. Cioè d’un comportamento indegno, dal quale la stessa Santa Sede immagino che rifugga per prima. Un compromesso su quanto non impegna la confessione dell’autentica Fede, è possibile e talvolta plausibile; non lo è mai ai danni dei valori non negoziabili. Sarebbe oltretutto una contraddizione in termini, perché anche il compromesso è un “negotium”. Ed un negozio a rischio: il naufragio della Fede. Mi ripugna, pertanto, il solo pensare che la Santa Sede lo proponga o l’accetti: otterrebbe molto meno d’un piatto di lenticchie e s’addosserebbe la responsabilità d’un illecito gravissimo. Mi ripugna del pari il pensiero d’una Fraternità che, dop’aver fatto della Fede senza sconti la bandiera della sua stessa esistenza, scivoli sulla buccia di banana del rifiuto della sua stessa ragion d’essere.

    Aggiungo che, a giudicare da qualche indizio forse non del tutto infondato, la metodologia messa bilateralmente in atto non sembra aprire grandi prospettive. E’ la metodologia del punto contro punto: Vaticano II sì, Vaticano II no, o sì se. Cioè a condizione che dall’una o dall’altra parte, o da ambedue, s’abbassi la guardia. Una resa a discrezione? Per la Fraternità il mettersi nelle mani della Chiesa sarebbe l’unico comportamento veramente cristiano, se non ci fosse la ragione per cui nacque e per cui dette vita al suo Aventino. Cioè quel Vaticano II che, specie con alcuni dei suoi documenti sta letteralmente all’opposto di ciò in cui essa crede e per cui opera. Con tale metodologia, non s’intravede una via di mezzo: o la capitolazione, o il compromesso.

    Un esito così esiziale potrebb’esser evitato seguendo una metodologia diversa. Il “punctum dolens” di tutt’il contenzioso si chiama Tradizione. Ad essa è costante il richiamo dell’una e dell’altra parte, che peraltro hanno, della Tradizione, un concetto nettamente alternativo. Papa Wojtyla dichiarò ufficialmente “incompleta e contraddittoria” la Tradizione difesa dalla Fraternità. Si dovrebbe pertanto dimostrar il perché dell’incompletezza e della contraddittorietà, ma ancor più impellente è la necessità che le parti addivengano ad un concetto comune, ossia bilateralmente condiviso. Un tale concetto diventa allora il famoso pettine al quale arrivan tutt’i problemi. Non c’è problema teologico e di vita ecclesiale che non abbia nel detto concetto la sua soluzione. Se, dunque, si continua a dialogare mantenendo, l’una e l’altra parte, il proprio punto di partenza, o si darà vita ad un dialogo fra sordi, o, per dimostrare che non si è dialogato invano, si darà libero accesso al compromesso. Soprattutto se accettasse la tesi dei “contrasti apparenti” perché determinati non da dissensi di carattere dogmatico, ma dalle sempre nuove interpretazioni dei fatti storici, la Fraternità dichiarerebbe la sua fine, miseramente sostituendo la sua Tradizione, ch’è quella apostolica, con la vaporosa ed inconsistente e disomogenea Tradizione vivente dei neomodernisti.

  3. Un’ultima questione trattammo nel nostro amichevole incontro, esprimendo più speranze che previsioni concretamente fondate: il futuro della Fraternità. In argomento è sceso pure, recentemente, il sito “cordialiter blogstop.com”con un’idilliaca anticipazione del roseo domani che già arriderebbe alla Fraternità: un nuovo – nuovo? per ora, non ne ha mai avuto uno – “status” canonico, inizio della fine del modernismo, priorati presi d’assalto dai fedeli, Fraternità trasformata in “superdiocesi autonoma”. Anch’io mi riprometto molto dalla sperata composizione per la quale si sta lavorando, ma con i piedi un po’ più per terra. Tento d’acuire lo sguardo e di vedere che cosa potrebbe domani accadere. Lo specifico della Fraternità, l’ho già ricordato, è la preparazione al sacerdozio e la cura delle vocazioni sacerdotali. Non dovrebbe aprirsi per essa un campo diverso da quello dei Seminari, questo essendo il suo vero campo di battaglia: propri e non propri, nei Seminari assai più che altrove o più che altrimenti potrebbero esprimersi la natura e le finalità della Fraternità.

    Sotto quale profilo canonico? Non è facile prevederlo. Mi pare, comunque, che l’esser una Fraternità sacerdotale dovrebbe suggerirne l’assetto canonico in una forma di “Società Sacerdotale”, sotto il supremo governo della Congregazione “per gl’Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica”. Inoltre, l’aver essa già quattro Vescovi potrebbe suggerire, come soluzione, una “Praelatura” di cui la Santa Sede, al momento opportuno, potrà precisare l’esatta configurazione giuridica. Non mi sembra questo, tuttavia, il problema principale. Più importante è, senza dubbio, sia la composizione all’interno della Chiesa d’un contenzioso poco comprensibile nel tempo del dialogo con tutti, sia la liberalizzazione d’una forza compatta attorno all’idea e all’ideale della Tradizione, perché possa operare non dal bunker ma alla luce del sole e com’espressione viva ed autentica della Chiesa.
27 sett. 2010
Brunero  + vescovo Gherardini

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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14/10/2010 20:37
 
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Sant'Agostino ci parla di Mons. Lefebvre e della San Pio X?



"[...]Spesso la Divina Provvidenza permette anche che, a causa di alcune rivolte troppo turbolente dei carnali, gli uomini buoni siano espulsi dalla comunità cristiana. Ora essi, se sopporteranno pazientemente l’ingiusto affronto per la pace della Chiesa, senza cercare di dar vita a qualche nuovo scisma o eresia, con ciò insegneranno a tutti con quanta autentica disponibilità e con quanta sincera carità si deve servire Dio. È loro intenzione infatti ritornare, una volta cessata la tempesta; oppure – se ciò non è loro concesso sia per il perdurare della tempesta sia per il timore che, con il loro ritorno, ne sorga una simile o più furiosa – non abbandonano la volontà di aiutare coloro che, con i loro fermenti e disordini, ne provocarono l’allontanamento, difendendo fino alla morte, senza ricorrere a segrete conventicole e mediante la loro testimonianza, quella fede che sanno proclamata dalla Chiesa Cattolica. Il Padre, che vede nel segreto, nel segreto li premia. Questo caso sembra raro; gli esempi però non mancano, anzi sono più numerosi di quanto si possa credere. Così la Divina Provvidenza si serve di ogni genere di uomini e di esempi per guarire le anime e formare spiritualmente il popolo. [...]"

Sant’Agostino, De vera religione, 6, 11.

Fraternamente CaterinaLD

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Una riflessione dal Blog Cordialiter - raggiungibile dal titolo - che condividiamo....



Riflessione circa una considerazione del capo dei lefebvriani italiani


Dall'aspetto sembra un tenente della Brigata Paracadutisti “Folgore”, in realtà Don Davide Pagliarani, sempre rivestito con la “divisa” sacerdotale (il glorioso abito talare), è il luogotenente del distretto italiano della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Nel corso di un'intervista in lingua francese rilasciata a settembre a due fedeli transalpini, ha fatto alcune dichiarazioni non prive di interesse. In genere cerco di non scrivere post troppo lunghi perché temo che non vengano letti per intero; pertanto mi soffermo solo su un punto. Il Superiore del distretto italiano ha affermato che attorno alla FSSPX c'è un vasto movimento di sacerdoti e laici che pur non militando in essa, guardano con estrema attenzione a ciò che avviene al suo interno, specialmente al riguardo dei colloqui dottrinali intavolati a Roma. Quel che ha detto Don Pagliarani è vero, anche io ho notato che in Italia c'è tanta gente che guarda ai lefebvriani con molta attenzione, anzi direi con una certa simpatia. Si tratta di molta più gente rispetto a quella che normalmente frequenta le loro cappelle (secondo me il rapporto è di almeno 1 a 20).

Recentemente alcuni lettori del blog mi hanno scritto per chiedermi se non penso di esagerare quando affermo che in caso di erezione canonica della Fraternità, i loro centri di Messa verrebbero “presi d'assalto” dai fedeli in fuga dai parroci modernisti. A parte i toni da “bollettino bellico” che mi diverto a utilizzare, sono sinceramente convinto di ciò che ho detto. Non mi credete? E allora immaginatevi una cittadina con due parrocchie governate da parroci che non credono alla Risurrezione corporale di Cristo, alla verginità perpetua della Madonna, all'eternità dell'inferno, all'importanza della Confessione, e così via (purtroppo non sono pochi i preti di questo genere). Poi immaginate che la Fraternità venga eretta canonicamente con uno staus che le consenta di aprire parrocchie d'ovunque (come avverrà con gli ordinariati anglo-cattolici), e che Mons. Fellay e Don Pagliarani decidano di aprire una parrocchia proprio in quella cittadina. Secondo voi, un fedele laico che ha un minimo di santo timor di Dio, anche se non è legato alla liturgia antica, preferirà frequentare le due parrocchie moderniste, oppure la parrocchia della Fraternità? È chiaro che frequenterà quest'ultima, non solo per la Messa domenicale, ma anche per quanto riguarda le confessioni e il catechismo. Insomma, nel giro di pochi anni ci sarebbe la morte del modernismo per mancanza di rincalzi; si auto-demolirebbe con le sue stesse eresie. Ecco perché desidero ardentemente che i lefebvriani ricevano uno staus canonico “speciale” (tipo “Amministrazione Apostolica”, “Ordinariato Personale” o “Prelatura Personale”) che consenta loro di operare tranquillamente senza preoccuparsi delle persecuzioni moderniste. Non si tratta di ipotesi campate in aria, poiché è risaputo che nel 2000 Mons. Fellay ricevette da un autorevole esponente vaticano la proposta di una super “Amministrazione Apostolica”.

Io penso che la consapevolezza di Don Davide Pagliarani e dei lefebvriani, circa il grande interesse che raccolgono da ambienti esterni alla Fraternità, può facilitare di molto le cose. Se potessi parlare con Mons. Fellay e lo Stato Maggiore della FSSPX, direi loro di non temere di accettare un'eventuale nuova proposta vaticana di erezione canonica. È evidente che i vantaggi per la Fraternità e per tutta la Chiesa Cattolica sarebbero immensi. Può darsi che ci sarà la defezione di qualche elemento, ma per ogni fuoruscita ci saranno molte più adesioni.


Fraternamente CaterinaLD

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25/10/2010 10:56
 
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Benedetto XVI: "Il venerato arcivescovo Lefebvre, quel grand'uomo della Chiesa universale"

L'incontro tra il Papa e mons. Fellay nell'agosto 2005

The Remnant riferisce quanto mons. Fellay, Superiore Generale della Fraternità S. Pio X, ha narrato nel corso di una recente conferenza. Del lungo articolo, in inglese, riportiamo ampio estratto, con le informazioni e i retroscena riferiti dal vescovo lefebvriano. Ci auguriamo che le parole di Fellay e le considerazioni dell'articolista Brian McCall aiutino a comprendere meglio la delicata situazione in cui si trova costretto ad operare il Papa. Non possiamo che far nostro l'appello finale alla preghiera per il Santo Padre.


Al cuore del recente convegno indetto dalla Angelus Press per celebrare il 40° anniversario della fondazione della Fraternità S. Pio X, Sua Eccellenza Mons. Bernard Fellay ha tracciato un'incoraggiante ed esauriente valutazione dello stato della Fraternità, sia passato che futuro. Egli ha dedicato l'ultima mezz'ora del suo discorso ad un esame delle relazioni politiche e legali della FSSPX con le autorità in Roma.

Sua Eccellenza ha fissato il contesto descrivendo la politica del Vaticano come un processo di "contraddizioni". Ha descritto la recente storia delle relazioni S. Sede - FSSPX come un processo consistente nel dire una cosa in pubblico, ma essere costretti a parlare ed agire diversamente all'atto pratico. Ha dato l'impressione di voler mettere sull'avviso i suoi ascoltatori: c'è da aspettarsi che questa dinamica contraddittoria continui in futuro, almeno per quanto è possibile prevedere.

Per aiutarci a capire questa dinamica (posizione ufficiale contro posizione effettiva), Fellay l'ha paragonata all'atteggiamento tenuto dal Vaticano nei confronti della più ampia crisi che ha colpito la Chiesa a partire dal Concilio Vaticano II. La posizione ufficiale è rimasta costante negli ultimi 40 anni: nessuna crisi, stiamo vivendo la "primavera" del Vaticano II. E tuttavia, come documentato da Sua Eccellenza, nelle personali osservazioni di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, possiamo vedere l'implicito riconoscimento da parte del Vaticano di una crisi senza precedenti nella storia della Chiesa, un'apostasia di massa. Ad esempio, Fellay ha additato la recente fondazione del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione come una presa d'atto da parte del Papa di una crisi de facto della fede, malgrado la linea di pensiero ufficiale sia che tutto va bene nella Chiesa postconciliare.

Riferendosi nello specifico alla FSSPX, Fellay ha spiegato che la S. Sede ha sempre seguito, negli anni, una linea di condotta "bicipite": una condotta ufficiale de jure contraddetta da azioni concrete de facto. Ha osservato che la linea ufficiale si trova esemplificata nel documento rilasciato dalla Segreteria di Stato dopo il decreto del 2009 di revoca delle scomuniche dei vescovi della Fraternità. Secondo questo documento, non firmato, la Fraternità non esiste dal punto di vista legale e "non gode di alcun riconoscimento canonico nella Chiesa Cattolica", ed i sacerdoti della FSSPX esercitano il loro ministero "illecitamente". Eppure, il Santo Padre dice parole e compie gesti che vanno nella direzione opposta, al punto di riconoscere spesso come validi e legali l'esitenza ed il ministero dei sacerdoti della Società. [..]

Mons. Fellay ha illustrato l'applicazione di questo "principio di azione" nei confronti della Fraternità mediante una serie di casi reali, alcuni dei quali finora non divulgati.

In primo luogo, ha menzionato la questione delle confessioni amministrate dalla FSSPX. Come molti cattolici sanno, esistono determinati gravi peccati la cui remissione è riservata alla S. Sede. Secondo la legge della Chiesa, un prete che ascolta la confessione di qualcuno che ha commesso uno di questi particolari peccati ha l'obbligo di fare rapporto alla S. Sede entro trenta giorni, per poi ricevere il permesso di dare l'assoluzione ed indicazioni sulla penitenza appropriata da irrogare. Sua Eccellenza ha fatto presente che, di quando in quando, preti della FSSPX hanno udito confessioni di questo tipo, e la notifica richiesta è stata inviata in tutti i casi alla S. Sede. In ciascuno di questi casi, il responso del Vaticano è stato che "tutto era buono e lecito" ed il permesso di assolvere è stato accordato al sacerdote della Fraternità.

Cosa dobbiamo dedurne? Ovviamente, che i preti della FSSPX possono confessare validamente. Se a loro mancasse ogni forma di giurisdizione necessaria per udire confessioni, la S. Sede avrebbe risposto che il penitente aveva bisogno di confessarsi con un sacerdote in possesso della giurisdizone legale per confessare. Per definizione, abbiamo qui a che fare con materia grave e quindi con peccato mortale (ammesso che siano in essere tutte le altre condizioni). Eppure la S. Sede ha replicato che "tutto è buono e lecito". Essa ha così riconosciuto de facto che la FSSPX ha la giurisdizione necessaria per confessare, una posizione che la Fraternità ed un certo numero di esperti di diritto canonico mantengono da anni nell'ambito di quella che è obiettivamente una situazione difficile dal punto di vista legale.

Il secondo esempio citato da Fellay riguarda i sacerdoti che hanno lasciato la FSSPX dopo aver ricevuto l'ordinazione da uno dei suoi vescovi. Secondo la legge e la prassi della Chiesa, un sacerdote che riceve gli Ordini Sacri fuori della Chiesa (ossia da un vescovo che, pur possedendo validamente i poteri episcopali, si è separato dalla Chiesa) è diffidato per sempre, al suo ritorno nella Chiesa, dall'esercitare le facoltà sacerdotali conferitegli nella sua illecita ordinazione. Egli ritiene il carattere indelebile del sacerdozio, ma gli è permanentemente fatto divieto di esercitare le relative facoltà.

Eppure, ha spiegato Fellay, ogni volta che un prete ordinato da un vescovo della Società ha lasciato la Fraternità stessa volendo rimanere sacerdote, la S. Sede gli ha consentito di esercitare il ministero sacerdotale. Ancora una volta, la conclusione legale è inevitabile: i sacerdoti FSSPX non erano stati ordinati "fuori della Chiesa". Anche se non ha fatto nomi, conosciamo i casi dei fondatori della Fraternità S. Pietro, dei preti dell'Istituto del Buon Pastore, dei preti di S. Giovanni Vianney a Compos, Brasile, senza contare la lunga lista di singoli preti ordinati da un vescovo della FSSPX: tutti hanno avuto il permesso di utilizzare i poteri sacerdotali. [..]

Il terzo esempio riferito da Sua Eccellenza era relativo alle ordinazioni programmate in Germania per il Marzo 2009. A quel tempo, i vescovi tedeschi stavano approfittando del tentativo dei media di sabotare la revoca della scomunica ai vescovi della FSSPX con la messa in onda dell'ormai famosa intervista al vescovo Williamson ("casualmente" avvenuta proprio il giorno prima dell'annuncio della storica decisione del Santo Padre). La S. Sede comunicò a Fellay la richiesta che le ordinazioni fossero trasferite in un’altra sede, per allentare la tensione tra il Vaticano e i vescovi di Germania. Nel suo discorso al convegno della Angelus Press, Fellay ha rivelato ulteriori dettagli di questo intervento straordinario.

Il Vaticano chiese a Fellay di trasferire le ordinazioni fuori dalla giurisdizione dei vescovi tedeschi. Se Fellay avesse acconsentito, la Fraternità "sarebbe stata legalmente riconosciuta fino alla Pasqua": questo il patto offerto da un Cardinale del Vaticano [Messainlatino.it è in grado di rivelarvi che si trattava di Castrillòn Hoyos], allo scopo di coprire il periodo di due settimane nel quale sarebbero avvenute le ordinazioni. Fellay ha spiegato di aver chiesto al Cardinale il perché di una simile richiesta, dato che, stando ad un documento allora da poco emesso dalla Segreteria di Stato, la FSSPX "non esisteva nemmeno da un punto di vista legale". Il Cardinale replicò: "il Papa non è di questo avviso".

Come sappiamo, Fellay acconsentì alla richiesta vaticana di trasferire le ordinazioni (dimostrando una volta di più la sua volontà di obbedire al Papa). C'è stata una stupefazione generale nella sala quando ha raccontato questa storia. [..] Gli ho chiesto: "Che senso ha tutto questo? Non c'è precedente di una simile disposizione. Come si può essere legali per due settimane, e poi di nuovo illegali?" Fellay ha scrollato le spalle, e ha risposto che questo aveva detto il Cardinale.

Ah, vivere in tempi interessanti!

Come possiamo interpretare questo evento? Innanzitutto, abbiamo un Cardinale in Vaticano che afferma che il Papa non condivide le affermazioni di un documento che risulta promanato da un organo ufficiale del Vaticano. Il documento rilasciato dalla Segreteria di Stato dice che la FSSPX non esiste nella Chiesa, eppure il Papa è convinto che esista. Indi, il Vaticano accetta di riconoscere temporaneamente la Società in cambio del trasferimento di sede di un rito di ordinazione. Come può il Papa prendere sul serio questa mancanza di riconoscimento legale, se essa può essere offerta come moneta di scambio in questo modo?

Fellay ha provato a dare un senso a queste contraddizioni, ma tutto ciò che ci ha potuto dire è che questa è la realtà che dobbiamo accettare al momento presente. Quella del Vaticano appare una condotta contraddittoria, che oscilla tra "condanna ed ammirazione", ha rimarcato Sua Eccellenza. Egli si mostra convinto che, dove sono in gioco i sentimenti personali di Benedetto XVI, la parola d'ordine è ammirazione per la FSSPX. Ci ha illustrato che, nel suo primo incontro con Papa Benedetto, Sua Santità per due volte ha fatto riferimento a Mons. Lefebvre: la prima al "venerato Arcivescovo Lefebvre" e poi, più avanti nella conversazione, all'"Arcivescovo Lefebvre, quel grand'uomo della Chiesa universale".

Dobbiamo perciò credere che il Papa ritenga venerabile, e grande uomo della Chiesa universale, uno scismatico scomunicato? Sarebbe un nonsenso. L'unica spiegazione logica è che il Papa riconosce nell'Arcivescovo quel fedele figlio della Chiesa che Lefebvre è stato. Stando a Sua Eccellenza, anche il Cardinale Castrillòn Hoyos ha manifestato lo stesso atteggiamento quando, riferendosi all'operato della Società, ha detto: "i frutti sono buoni, quindi lì c'è lo Spirito Santo".

Ora, noi sappiamo che Nostro Signore ci ha lasciato queste parole su chi è e chi non è nella Chiesa: "dai loro frutti li riconoscerete". Lo Spirito Santo non può essere fuori della Chiesa; perciò, se Egli è con la Fraternità, la Fraternità è nella Chiesa. La logica è inconfutabile.

Com'è possibile che il Papa e il Vaticano tengano questa linea: dire una cosa ma farne un'altra? [..] La risposta che ci ha suggerito Sua Eccellenza è che, per ragioni politiche, Benedetto XVI è del parere che, data la situazione della Chiesa di oggi, ed i "lupi" che vi si trovano all'interno, egli non possa riconoscere la FSSPX de jure; però, sapendo che la Fraternità è "dentro la Chiesa" e "portatrice di buoni frutti", egli cerca di riconoscerne la legittimità de facto, per quanto gli è possibile. Come sottolineato da Padre Scott Gardner nella sua precedente conferenza, è l'errore della collegialità che ha impedito la correzione degli errori e degli abusi prodotti dal Concilio. Padre Gardner ha riferito che un Cardinale d'alto rango, parlando con lui, ha ammesso che la collegialità ha effettivamente reso la Chiesa "ingovernabile".

Un cardinale americano ha ammesso con me la stessa cosa, in un colloquio privato a maggio del 2010. Benedetto XVI ha appreso per esperienza personale che, se si spingerà troppo oltre nel "fare la cosa giusta", perderà quella poca influenza che ha sui vescovi di quasi tutto il mondo, riuniti nella loro collegiale disubbidienza e nella mancanza di riguardo per la sua autorità.

Fellay ha illustrato questo punto con esempi concreti. Ha raccontato come, nel 2003, un gruppo di cardinali, incluso Joseph Ratzinger, si incontrò per decidere che cosa fare in merito alla FSSPX e alla Tradizione. Concordarono che si dovesse istituire una amministrazione apostolica per dare legalità canonica e indipendenza ai gruppi tradizionalist. C'era diversità di opinioni se la Fraternità dovesse formare la 'spina dorsale' di questa struttura con altri gruppi uniti ad essa, o se dovesse essere costituita indipendente tra le esistenti comunità Ecclesia Dei.

Quando Benedetto XVI è stato eletto nel 2005, ha iniziato ad applicare questo piano. Fellay ha rivelato maggiori dettagli del suo primo incontro con Sua Santità. L'incontro vedeva la partecipazione anche del Cardinale Castrillon Hoyos e di Padre Schmidberger. Il Papa chiese a Castrillon: "A che punto siamo?" Il cardinale rispose: "Può riconoscere la Fraternità S. Pio X anche oggi. Le ho inviato un documento apposito". Il Papa replicò che aveva ricevuto il documento e lo aveva inoltrato al Consiglio per l'Interpretazione dei Testi Legislativi, per determinare se era "corretto per la Chiesa". Fellay ha osservato che esso doveva contenere qualcosa d'insolito, se era necessario esaminarlo così. Per un qualche motivo, il Papa fu evidentemente ostacolato e fino ad oggi questo documento non ha visto la luce. Perché?

Fellay ha spiegato che nel 2006 i vescovi tedeschi si recarono in Vaticano e si opposero vigorosamente al progetto. E allora cos'ha fatto il Papa? Ha liberalizzato la Messa antica e rimosso la scomunica dei vescovi della FSSPX. Tutti ricordiamo cos'è accaduto al Papa dopo. Letteralmente, l'inferno si è scatenato. Il mondo gli si è girato contro.

Alla conferenza, Mons. Fellay ha pure attirato la nostra attenzione sulla nomina del conservatore Gerhard Maria Wagner come vescovo [ausiliare] di Linz, Austria. Il Papa fu nuovamente attaccato dai media per questa nomina "ultraconservatrice". Evidentemente, il Papa è giunto alla conclusione che provocare la disobbedienza e la ribelione dei vescovi del mondo è un prezzo troppo alto da pagare per dare un riconoscimento de jure alla FSSPX. L'unica soluzione è concedere un riconoscimento de facto, mentre procedono i colloqui Vaticano/FSSPX.

Per inciso, i retroscena di questo incontro del 2005 e del misterioso "documento di riconoscimento" che ne era risultato, mettono a tacere un argomento che è stato usato da molti avversari della Fraternità, i quali sostengono che, benché la Fraternità abbia avuto a suo tempo una giurisdizione di supplenza, l'ha persa quando essa ha "rifiutato l'offerta di giurisdizione ordinaria". Ho sentito questo argomento più di una volta.

Mons. Fellay ha precisato che non gli è mai stata mostrata o presentata una concreta offerta di giurisdizione in occasione di quell'incontro. Ovviamente, non aveva nemmeno visto il documento che il Papa aveva inviato per il controllo. Ci ha detto che quel documento "deve essere stato" inusuale, indicando che ogni conoscenza del suo contenuto era solo deduttiva. Come può qualcuno rifiutare un'offerta di giurisdizione che non gli è mai stata proposta, e che è ora perduta nei recessi di un procedimento vaticano di controllo, grazie all'intervento dell'episcopato tedesco? Quindi, quell'argomento salta. Non è stato mons. Fellay a 'rifiutare di accettare' la giurisdizione ordinaria. Sono i vescovi sleali del mondo che hanno forzato la mano del Papa, impedendogli di firmarla.

Mons. Fellay ha anche attirato l'attenzione su un'indicazione che è possibile cogliere tra le righe del paragrafo conclusivo del decreto di revoca delle scomuniche della FSSPX:

In base alle facoltà espressamente concessemi dal Santo Padre Benedetto XVI, in virtù del presente Decreto, rimetto ai Vescovi Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta la censura di scomunica latae sententiae dichiarata da questa Congregazione il 1° luglio 1988, mentre dichiaro privo di effetti giuridici, a partire dall'odierna data, il Decreto a quel tempo emanato.
Malgrado la prima frase menzioni solo quattro dei sei vescovi colpiti dal precedente decreto, la frase finale afferma chiaramente che esso è ormai "privo di effetti giuridici". Se il decreto che commina la scomunica a Lefebvre e de Castro Mayer non ha più effetti giuridici, la scomunica è revocata anche a loro, senza bisogno di menzionarli per nome (altrimenti si sarebbe potuto specificare: "per questi soli quattro vescovi" o "con l'eccezione dell'Arcivescovo Lefebvre e del Vescovo de Castro Mayer") [argomento giuridicamente deboluccio. Tra l'altro il decreto specifica: "a partire dall'odierna data", escludendo ogni retroattività]. Si è così evitata un'altra, più che probabile, ribellione dei vescovi.

Evidentemente, sono acque pericolose quelle attraverso cui il nostro S. Padre conduce la Barca di Pietro!

Che cosa ci dicono tutte queste nuove informazioni? Ho avuto la netta impressione che Sua Eccellenza stesse sforzandosi di aiutare i fedeli ad essere realistici nelle loro aspettative. Il nostro aiuto è nel nome del Signore, non in un documento legale dal Vaticano, che ha largamente perso il controllo del governo della Chiesa. Nondimeno il Papa sta facendo quello che può per rassicurare i suoi figli più leali ed esortarli a mantenere la rotta. In fatti e parole sta dando continuamente manifestazione della sua volontà. "I frutti sono buoni, quindi lì c'è lo Spirito Santo".

E quindi, mentre infuria la tempesta intorno a lui, il Santo Padre tira diritto. Contro la linea di condotta ufficiale richiesta dai vescovi liberali di tutto il mondo, il Papa va avanti, nelle parole e nei fatti (rimozione della scomunica, convalida delle confessioni, permesso ai sacerdoti ex-FSSPX di continuare ad esercitare il loro ministero, "riconoscimento" della Società per due settimane) come se i sacerdoti della FSSPX fossero validamente e lecitamente impegnati nella cura delle anime per il bene della Chiesa. Non sarebbe più semplice se il Papa riconoscesse ufficialmente per iscritto ciò che ha già manifestato implicitamente? Forse, ma è facile per noi dirlo, nel comodo dei nostri salotti da qualche parte nel mondo.

Ciò che Fellay sta cercando di render chiaro è che vivere con questa dicotomia vaticana di pubblica condanna e silenziosa approvazione, è il sacrificio che Dio sta chiedendo di sopportare oggi ai sacerdoti della Fraternità. [..]

Benedetto XVI sembra chiedere ai vescovi e preti della Fraternità di consentirgli di simulare una pubblica "discordia" con loro, per aiutarlo a trattare con un'intrattabile risma collegiale di vescovi.

La mia impressione è che mons. Fellay abbia accettato di continuare a portare questo pubblico stigma. Cosa può fare il fedele in una simile circostanza? Pregare ed offrire sacrifici affinché preti e vescovi possano sopportare questo per il bene delle anime, della Chiesa intera, e del S. Padre. Quanto tempo durerà? Solo Dio lo sa, ma le circostanze dell'ultimo atto sono chiare: quando il Papa potrà di nuovo governare liberamente la Chiesa e cessare di essere un "prigioniero dei vescovi". Quando quel giorno si leverà, credo che mons. Fellay sia convinto che il papa verserà lacrime di gioia per poter pubblicamente abbracciare i suoi figli leali.

I fedeli possono fare un'altra cosa. Pregare per questo Papa. Pregare che abbia la forza di non scappare davanti ai lupi, come ci ha chiesto di fare nelle sue prime parole come Papa. E' già sotto intenso attacco per il suo riconoscimento de facto della Fraternità. Chiaramente, ha bisogno di ancor più preghiere che mai se dovesse farlo de iure.

[..] Credere che Bernard Fellay voglia "vendere la Tradizione"  per trenta pagine [riferimento ai 30 denari di Giuda] di testo legale di riconoscimento de iure è enorme come pretendere che Marcel Lefebvre cercasse di "vendere la Tradizione" quando anche lui andava a Roma, in continuazione in effetti, e su richiesta del Vaticano, per cercare di risolvere il problema canonico della sua Fraternità in una Chiesa già in crisi un quarto di secolo fa.




*****************************

 Breve riflessione mia:

.... bè, basta sfogliare i tanti interventi dell'allora Razinger sulla questione della FSSPX per comprendere quanto egli avesse sempre difeso le reazioni di mons. Lefebvre nei confronti di DIVIETI ED IMPOSIZIONI che inspiegabilmente andavano minando la sana Dottrina.... se mettessimo uno dietro l'altro il frasario e le spiegazioni di Ratzinger sulla FSSPX si comprende bene che Egli ha sempre avuto un occhio di attenzione e di credibilità....  
Il Papa, oggi, sta cercando di evitare uno scisma assai più vero e più pesante di quello che si volle attribuire alla FSSPX... Ratzinger è sempre stato contrario a definire i seguaci di mons. Lefebvre come eretici o scismatici....il nodo, oggi risolto, vero e proprio fu solo l'ordinazione dei 3 vescovi - tre perchè uno era stato consentito - Ratzinger si rammaricò perchè mons. Lefebvre NON ebbe fiducia in lui al quale il Papa aveva affidato di risolvere i problemi, ma Ratzinger sapeva benissimo che morendo Lefebvre l'unica soluzione era quella di avere dalla sua dei Vescovi affidabili....  
Ratzinger che ben vedeva la fioritura della FSSPX e le vocazioni, voleva per loro una soluzione come quella che poi è nata con la FSSP che infatti nasce alla fine degli anni '80 in favore della Messa antica e di tutta una preparazione Tradizionale....  
ma ebbe molti rifiuti in Vaticano....in sostanza si ritrovò solo con il Papa, ed è triste pensare che ciò non fu sufficiente per dare alla FSSPX ciò che legittimamente chiedeva...  
 
Non dimentichiamo che la stessa FSSP legale e lecita... ha subito un durissimo attacco e costretta a vivere quasi nascostamente per tutto questo tempo, fino all'uscita del MP Summorum Pontificum, fino a tre anni, nessuno conosceva questa realtà eppure aveva già superato i dieci anni di vita.... per quale motivo, credete, il Papa abbia dato loro una Parrocchia? semplicemente perchè NESSUN VESCOVO concedeva loro la gestione di qualche parrocchia.... fino al 2005 nessuno li conosceva e chi ne sentiva parlare, li trattava come fossero della FSSPX....  
 
Non mi meraviglia che il Papa abbia definito mons. Lefebvre "venerabile", mi meraviglia che il Papa non abbia il coraggio di dirlo pubblicamente così da far cessare ogni dubbio.... Wink  
Oggi più che mai abbiamo bisogno di CHIAREZZA E CERTEZZE, e quando ce le abbiamo, non possiamo tenerle nascoste sotto il letto...





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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29/10/2010 22:48
 
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Il martirio della Tradizione

Nella recente biografia “Mons. Marcel Lefebvre Nel Nome della Verità” scritta da Cristina Siccardi, a pag. 281 si citano tre benefattrici sarde, le sorelle Monzitta.

Ma chi erano costoro? La loro storia è simile a tante altre, nelle umiliazioni come nelle sofferenze causate dalla selvaggia e feroce applicazione delle riforme liturgiche. Il repentino passaggio da un rito immemorabile, e anche per questo amato, ad un rito nuovo fin da subito sentito come freddo, estraneo, e rivoluzionario e presentato ed imposto in contrapposizione all’altro scandalizzò e sconvolse l’esistenza anche di queste tre pie donne. Le quali si ritrovarono anch’esse, nella nuova liturgia, come un pesce fuor d’acqua. E se fino al giorno prima levarsi presto per andare a messa era una gioia, divenne subito una tragedia. Esse provavano nella messa nuova una sofferenza mai provata prima, neppure per la morte dei genitori. Riuscirono a “sopravvivere” in queste condizioni per qualche tempo, ma alla fine una scelta si imponeva: andare a messa e tornarne ogni volta sempre più depresse e distrutte, spiritualmente spossate, oppure restarsene a casa. Non avendo la vocazione al martirio queste tre sorelle decisero, con profondo dolore, di non metter più piede in quella chiesa dove erano state battezzate. Continuarono a levarsi presto lo stesso, e a “supplire” la partecipazione alla messa, con il desiderio di esservi e altre pratiche di pietà. Pensavano che una tale pazzia dei preti non poteva durare a lungo. Passarono così mesi ed anni.

Un giorno sentirono al telegiornale che il Papa aveva concesso un indulto per celebrare la messa antica (si tratta della Lettera Quattuor abhinc annos del 1984). Non capirono molto del servizio trasmesso al telegiornale e per cercare di comprendere qualcosa in più acquistarono qualche quotidiano. E capirono che la messa tanto amata poteva essere celebrata nuovamente. Si rivolsero subito al parroco , il quale rispose di non saperne nulla (e quando mai un parroco deve occuparsi di simili notizie!) consigliandole di rivolgersi alla curia diocesana. Queste tre arzille signorine non se lo lasciarono dire due volte e il giorno dopo chiusero la loro piccola bottega, presero l’autobus e si diressero ad Ozieri; andarono in curia e parlarono con un sacerdote che, sulle prime, le ricevette con gentilezza; quando però le sorelle comunicarono il motivo della loro presenza l’atteggiamento di quel sacerdote mutò repentinamente fino a sconfinare nella maleducazione e nell’offesa e tramutandosi in sprezzante arroganza. Non concesse loro neppure di finire di parlare; le rimproverò aspramente per la loro richiesta, dicendo loro che dovevano vergognarsi di aver chiesto una cosa simile!! E dopo averle invitate a confessarsi e a pentirsi, le mandò via in malo modo.

Queste tre sorelle, umiliate e ammutolite, uscirono dagli uffici della curia ed avendo ancora del tempo prima di prendere l’autobus si concessero una mesta passeggiata fermandosi di tanto in tanto davanti a qualche vetrina casa. Fu proprio davanti ad una di queste vetrine che vide il sacerdote che poco prima le aveva letteralmente cacciate dagli uffici della curia, ed evidentemente poco contento di ritrovarsi tra i piedi quelle povere donne le fece oggetto di scherno dicendo loro “ma tornatevene a casa vostra, ché fate meglio”! Le tre sorelle questa volta gli risposero per le rime ricordandogli che erano sulla pubblica via dalla quale lui non aveva né diritto né potere di cacciarle via come invece aveva fatto pocanzi dai locali della curia.

Il viaggio di ritorno a casa fu triste e silenzioso, scandito solo dai Paternostri e dalle Avemarie del rosario sussurrato su un’autobus semivuoto .

Con una tristezza maggiore, dovuta all’improvviso entusiasmo suscitato dalla notizia dell’indulto e all’altrettanto improvvisa negazione di esso da parte della curia diocesana, le tre sorelle continuarono la vita quasi claustrale che conducevano dal 1970, pregando in casa. Passò ancora qualche anno e nel 1988 un’altra notizia appresa al telegiornale le fece sussultare: in quell’anno infatti molto si parlò di Mons. Lefebvre, soprattutto a motivo delle illecite ancorchè valide consacrazioni episcopali. Si attivarono immediatamente per cercare di contattare tale vescovo e dopo un po di tempo riuscirono a comunicare con il priorato italiano della FSSPX , ad Albano, diventando subito benefattrici dell’opera di mons. Lefebvre, felici di aver scoperto un vescovo, fino ad allora sconosciuto, che lottava per la messa di sempre: la loro stessa messa e la loro stessa lotta!

Fu in quella occasione che Mons. Lefebvre decise di andare in Sardegna per ringraziare di persona e più ancora per consolare, quelle tre coraggiose e intrepide sorelle. Ecco quindi che una mattina le tre sorelle sentirono bussare alla porta: era mons.Lefebvre. Lo ospitarono per qualche giorno nella loro casa e allestirono una cappella in una delle stanze dove il vescovo francese celebrò il divin sacrificio in una atmosfera catacombale. La gioia delle tre sorelle per aver nuovamente partecipato alla messa antica fu tale che piansero molto: Dio aveva ascoltato le loro suppliche di non morire senza aver nuovamente partecipato alla Messa di Sempre.

Se l’ostilità diocesana verso queste tre sorelle era notevole prima, si può immaginare quanto aumentò dopo che si diffuse la notizia della visita di mons. Lefebvre.

Per oltre dieci anni, ogni tanto, un sacerdote della FSSPX andava a visitarle, si tratteneva da esse qualche giorno, celebrando il rito antico nella cappellina allestita per mons. Lefebvre e mai disfatta. Poi, con l’età che avanzava si acuirono i problemi di salute che in poco tempo portarono due sorelle a lasciare questa terra. I sacerdoti della FSSPX non furono avvertiti in tempo e i funerali vennero quindi officiati da sacerdoti diocesani ma col rito nuovo, perché la curia, impietosa anche verso i defunti, non volle concedere il rito antico.

              
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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02/11/2010 11:28
 
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Interessante riflessione di padre Giovanni Scalesi dal suo blog Senza peli sulla lingua, raggiungibile dal titolo del testo sottostante, che riflette l'intervista di mons. Fellay sopra riportata:

Benedetto XVI: "Il venerato arcivescovo Lefebvre, quel grand'uomo della Chiesa universale"

L'incontro tra il Papa e mons. Fellay nell'agosto 2005





Il gioco delle parti

così riportato anche da Messainlatino:



Padre Scalese sulla FSSPX: "stupefatto dalla duplicità della Santa Sede"

Padre Scalese ha commentato la recente intervista di mons. Fellay. Le sue osservazioni, in larga parte condivisibili, meritano di essere riprese.


Ho l’impressione che abbiano avuto poca risonanza le rivelazioni fatte dal Vescovo Bernard Fellay in una recente conferenza alla Angelus Press (la casa editrice della FSSPX negli Stati Uniti), in occasione del 40° anniversario della fondazione della Fraternità. Ne ha riferito Brian McCall su The Remnant (traduzione italiana di ampi stralci dell’articolo su Messainlatino.it; a chi conosce l’inglese non posso che consigliare la lettura diretta dell’originale). Io, da parte mia, non faccio che ripensarci; perché tali rivelazioni sovvertono completamente l’idea che ci eravamo fatta della situazione. Finora pensavamo che la Fraternità fondata da Mons. Lefebvre, da quando questi aveva ordinato illecitamente quattro Vescovi, non fosse piú in piena comunione con la Chiesa cattolica. Sapevamo pure che l’attuale Pontefice ha molto a cuore una riconciliazione con i lefebvriani, e per questo ha, prima, liberalizzato la celebrazione della Messa tridentina; ha poi revocato la scomunica ai quattro Vescovi; ha infine iniziato una serie di colloqui volti a superare le divergenze dottrinali e favorire cosí la riconciliazione. Ma, stando alla nota della Segreteria di Stato del 4 febbraio 2009, sapevamo pure che la FSSPX «non gode di alcun riconoscimento canonico nella Chiesa cattolica» e che, di conseguenza, i quattro Vescovi non esercitano lecitamente il loro ministero (lo stesso si poteva pensare dei sacerdoti della Fraternità, illecitamente ordinati da quei Vescovi).

Ed ecco che Mons. Fellay ci rivela che non è vero niente; che la realtà è completamente diversa. Con ciò non voglio dire che non credo al Superiore generale della FSSPX; non c’è nessun motivo per mettere in dubbio le sue parole; quel che racconta non solo è pienamente verosimile, ma è, anzi, l’unica spiegazione plausibile per tanti aspetti che finora rimanevano incomprensibili. Ma la cosa è talmente grossa, che io — confesso — sono rimasto sconvolto. Non che quanto rivelato mi dispiaccia (semmai, conferma la mia posizione sulla questione); rimango però stupefatto dalla duplicità della Santa Sede. Probabilmente, il primo a essere stupefatto è proprio Mons. Fellay, il quale è giunto a concludere che la Santa Sede abbia adottato una politica bifronte in seguito a tutta una serie di esperienze fatte in questi anni.

Le prove che porta sono fondamentalmente tre. La piú convincente mi sembra la prima, riguardante la giurisdizione per l’ascolto delle confessioni: quando i sacerdoti della Fraternità ricorrono alla Santa Sede per i casi riservati, questa non ha nulla da eccepire e concede loro il potere di assolvere, riconoscendo cosí indirettamente la validità delle loro assoluzioni. Personalmente trovo tale argomento fortissimo anche perché dimostra un riconoscimento della Santa Sede da parte della Fraternità: i suoi sacerdoti non si arrogano poteri che non hanno, ma — va detto a loro onore — ricorrono alla Sede Apostolica come farebbe qualsiasi altro sacerdote cattolico.

La seconda prova non mi sembra che abbia grande valore. Mi pare ovvio che se un sacerdote (validamente ordinato) lascia la FSSPX per entrare in una diocesi o in un istituto o in una società che godono di riconoscimento canonico, la Santa Sede lo può tranquillamente dispensare da eventuali irregolarità e impedimenti all’esercizio del ministero. È diverso il caso degli Anglicani: in tal caso la Chiesa non riconosce la validità dei loro ordini, e perciò è necessario essere riordinati per poter svolgere il ministero.

Interessante anche la terza prova, quella di un “riconoscimento temporaneo” della Fraternità, concesso, nel marzo 2009, in cambio dello spostamento delle ordinazioni dalla Germania in Svizzera. La cosa, per quanto possa apparire bizzarra, ha un suo senso. Soprattutto perché, anche in questo caso, si è trattato di un reciproco riconoscimento: la Santa Sede ha riconosciuto la validità e la liceità di quelle ordinazioni; la FSSPX ha riconosciuto l’autorità della Santa Sede, acconsentendo alla richiesta che le veniva rivolta.

Nell’ambito di questa terza rivelazione risulta abbastanza stupefacente l’affermazione attribuita a un porporato vaticano (tutto porta a pensare che si tratti del Card. Castrillón Hoyos), secondo cui il Papa non avrebbe condiviso quanto ufficialmente dichiarato nella nota della Segreteria di Stato del 4 febbraio 2009. Non che una cosa del genere non possa accadere (anzi, ci credo senza esitazioni); ma, secondo me, una cosa del genere non dovrebbe accadere. Ora, se è accaduta, perché è accaduta?

La risposta che azzarda Mons. Fellay è che il Papa non è libero di procedere al riconoscimento della Fraternità ed è costretto a seguire una politica bifronte, perché è condizionato dall’opposizione di alcuni episcopati. A questo proposito, mi permetto di far notare (non ho capito bene se ne abbia parlato Mons. Fellay o se sia una deduzione dell’articolista) che la collegialità in questo caso non c’entra nulla. La collegialità è una cosa seria; non può essere confusa con una subdola opposizione di qualche conferenza episcopale al volere del Santo Padre [qui P. Scalese confonde il piano delle idee con quello della realtà. Nell'iperuranio la collegialità può forse essere leale cooperazione col S. Padre; ma storicamente, dacché il concilio ha idolatrato quel concetto, esso si concretizza in una sempre maggiore indipendenza da Roma, e quindi insubordinazione, degli episcopati organizzati nelle oligarchie parlamentaristiche delle conferenze nazionali]. Di che cosa si tratta? E qui veniamo alla rivelazione secondo me piú esplosiva della conferenza.

A quanto pare, già nel 2005 Benedetto XVI avrebbe avuto intenzione di risolvere la partita con i lefebvriani erigendo per loro una amministrazione apostolica. Pare che il decreto fosse già pronto e avesse solo bisogno di qualche ritocco giuridico. A questo punto sembra che si sia mosso l’episcopato tedesco per bloccare il progetto (minacciando qualcosa?). Sta di fatto che non se ne fece nulla e si passò a quello che ha tanto l’aria di essere un piano alternativo, che è poi ciò che tutti conosciamo: motu proprio Summorum Pontificum, revoca della scomunica, colloqui dottrinali (devo dire sinceramente che, secondo me, tale piano alternativo si è rivelato molto piú problematico di quello originario).

Che il grosso ostacolo alla libertà di azione di Benedetto XVI fosse costituito dagli episcopati di lingua tedesca, lo si era capito da un pezzo. Ma che si fosse arrivati a questo punto, non lo avrei mai sospettato. Ora, stando cosí le cose, c’è da pensare che con questo Papa non si arriverà mai a una soluzione della questione lefebvriana. Si dovrà aspettare un Papa libero da condizionamenti etnici (vedete che, tutto sommato, l’essere italiano per un Papa aveva i suoi vantaggi…) e, nel frattempo, andare avanti con l’attuale “gioco delle parti” [a nostro giudizio l'origine geografica del Papa non c'entra nulla. Non perché è tedesco Benedetto XVI teme i vescovi suoi connazionali. Un papa italiano o indonesiano subirebbe identici condizionamenti, per il timore - molto meno teorico di quanto si immagini - che cinquecento anni dopo si ripeta l'exploit di Lutero (non a caso un tedesco) e si verifichi uno scisma; oppure, più prosaicamente, per paura di un inaridimento delle indispensabili contribuzioni economiche che la chiesa tedesca, ingrassata dalla tassa ecclesiastica, elargisce alla Santa Sede]

Direi però che, nel frattempo, qualche cosa si potrebbe fare. Certamente, come ci ricorda Brian McCall e come lo stesso Benedetto XVI aveva chiesto all’inizio del pontificato, dobbiamo pregare per il Papa, perché il Signore non lo faccia fuggire di fronte ai “lupi”. Ma, oltre a questo, direi che un po’ piú di chiarezza non guasterebbe. Sono d’accordo che in certe situazioni bisogna dare un colpo alla botte e un colpo al cerchio: chi ha una responsabilità non può sempre seguire il proprio istinto, ma deve necessariamente tener conto di tutte le parti in gioco. Non è possibile, per ricucire uno strappo, provocarne uno maggiore. Però non penso che giovino a nessuno le sceneggiate. Io non so se il riferimento di McCall al film A Man for All Seasons sia solo un tentativo personale di interpretazione o se effettivamente esso descriva la realtà. In ogni caso, penso che, se non è possibile oggi giungere a un riconoscimento de jure della FSSPX, ci potrebbero perlomeno essere risparmiate le note della Segreteria di Stato a cui non crede neppure il Papa. In certi casi, sarebbe meglio il silenzio.

Se poi è vero che la FSSPX, a sua volta, riconosce di fatto l’autorità della Santa Sede, anch’essa farebbe bene a evitare certe sterili polemiche (che a questo punto appaiono pura accademia) e a concentrarsi sulla preghiera, lo studio e l’apostolato svolto in piena comunione col Santo Padre. Sapendo che il Papa apprezza il loro lavoro, i lefebvriani dovrebbero, secondo me, ricambiare tale fiducia sostenendo con tutte le forze la sua azione, senza creargli inutili difficoltà.

Fonte: Querculanus



si legga anche qui:
Lettera aperta alla FSSPX di Padre Giovanni Scalese


Apprendo ora questa notizia via Blog di Raffaella... credo faccia comprendere bene le motivazioni della vera resistenza della FSSPX e della prudenza del Papa a tentare di non perderla e di agire anche in modi a noi incomprensibili ma facendo emergere, appunto, chi sono i veri cospiratori...che remano contro entrambi!  
C'è di fatto uno scisma  NON con la FSSPX ma con il mondo progressista cattolico e il Papa sta cercando di risolvere il problema diversamente da come avvenne per Lutero anche perchè a quei tempi il "garante" dello scisma era Lutero, ma oggi chi è il garante? sono molti!!  
 
Papa/ Vescovo Ratisbona: Dopo il Concilio sacerdozio in crisi  
 
Mueller su nuovo volume di opera omnia: Come Riforma protestante  
 
Città del Vaticano, 3 nov. (Apcom)  
 
Dopo il Concilio vaticano II si è verificata "una crisi d'identità del sacerdozio cattolico storicamente paragonabile solo con le conseguenze della riforma protestante del XVI secolo", secondo mons. Gerhard Ludwig Mueller, vescovo tedesco di Ratisbona (Regensburg), che ha presentato oggi in Vaticano il XII volume, in lingua tedesca, dell'opera omnia di Joseph Ratzinger dedicata al sacramento dell'ordine sacerdotale.
  
Il vescovo, molto stimato dal Papa, ha affermato: "Dove crolla il fondamento dogmatico del sacerdozio cattolico, non si estingue soltanto la fonte da cui si alimenta un'esistenza al seguito di Gesù, ma vien meno anche la motivazione a rinunciare al matrimonio per amore del Regno dei Cieli, e con la forza dello Spirito Santo accettare con gioia e convinzione il celibato come un rimando escatologico al futuro mondo di Dio".  
Ratzinger, secondo mons. Mueller, "con gli scritti raccolti nel presente volume, ha indicato una via d'uscita dalla crisi in cui il sacerdozio cattolico era caduto a causa di impostazioni teologiche e sociologiche carenti e di dichiarazioni atte a suscitare, in molti sacerdoti che avevano intrapreso con amore e zelo il loro cammino, una personale insicurezza e sconcerto a proposito del proprio ruolo in seno alla Chiesa".


[Modificato da Caterina63 03/11/2010 15:44]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740733] visto le discussioni suscitate e che susciteranno le parole di Benedetto XVI nel libro intervista che uscirà domani, riporto.... 
 
 ''Su questo punto - dice il Papa nel libro intervista sulla questione della FSSPX e il caso Williamson - il nostro lavoro di comunicazione non e' riuscito bene. Non e' stato spiegato abbastanza bene perche' questi vescovi fossero stati scomunicati e perche' piu', gia' solo per ragioni giuridiche, quella scomunica dovesse essere revocata''
Papa Ratzinger ricorda che ''per il fatto stesso di essere stati conascrati senza il mandato del papa sono stati scomunicati; e per il fatto stesso di avere riconosciuto il papa - anche se non lo seguono ancora in tutto - la loro scomunica e' stata revocata''. 
per papa Ratzinger "sarebbe stato necessario 'separare il caso Williamson dagli altri, ma purtroppo nessuno di noi ha guardato su internet e preso coscienza di chi si trattava''. 
 
**************************

ergo.... 
 
Decade dunque l'esclusività che si era data ad un atto puramente misericordioso del Papa, come in passato si era detto: il Papa compì anche un atto di GIUSTIZIA.... del resto se si dovessero scomunicare tutti quelli che non obbediscono al Papa, la Chiesa resterebbe VUOTA! 
la scomunica è una cosa seria, non può essere data nè per questioni politiche, nè per questioni personali.....e saggiamente dice o direbbe il Papa se le parole virgolettate sono state ben riportate: 
 " e perche'  più, gia' solo per ragioni giuridiche, quella scomunica dovesse essere revocata"


Intanto arriva un Comunicato ufficiale dalla FSSPX per mons. Williamson, che riporto dal blog Messainlatino con il commento finale che condivido:

La FSSPX pronta ad espellere mons. Williamson

COMUNICATO DELLA SEDE GENERALIZIA

Il Superiore generale, mons. Bernard Fellay, ha appreso dalla stampa la decisione di mons. Richard Williamson di revocare, dieci giorni prima del suo processo, l'avvocato incaricato dei suoi interessi per farsi difendere da un avvocato apertamente legato al movimento detto neo-nazista in Germani e ad alcuni dei suoi gruppi.

Mons. Fellay ha intimato l'ordine formale a mons. Williamson di ritornare su questa decisione e di non lasciarsi strumentalizzare da tesi politiche totalmente estranee alla sua missione di vescovo cattolico al servizio della Fraternità S. Pio X.

La disobbedienza a quest'ordine farebbe incorrere mons. Williamson nell'esclusione dalla Fraternità S. Pio X.


Menzingen, le 20 novembre 2010
Abbé Christian Thouvenot, segretario generale


Fonte: Dici

Nostro commento: un ultimatum che immaginiamo sofferto e lacerante, ma quanto mai opportuno. La Fede e la Santa Messa sono troppo importanti per essere confusi, mescolati o anche solo accostati con la politica; non parliamo, poi, quando si tratta di ideologie aberranti ed anticristiane. Per meglio inquadrare questa intimazione, è opportuno sapere che il nuovo avvocato di Williamson, Wolfram Nahrath, già "federale" della Gioventù Vichinga, movimento neonazista messo fuorilegge nel 1994, figlio e nipote di prominenti nazisti, e ora membro del controverso partito nazionaldemocratico, è stato tra l'altro difensore di cinque neonazisti per tentato omicidio nel corso di un'aggressione a un gruppo di punk, nonché di una dozzina di altri estremisti di destra per l'omicidio di un immigrato, Farid Gouendoul. Ora difenderà mons. Williamson...  




Fraternamente CaterinaLD

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 dal libro intervista con Benedetto XVI emerge, sul caso mns. Lefebvre, una visione assai diversa....
in passato, quando il Papa revocò la scomunica, tutti dissero che si trattava esclusivamente di un atto di misericordia....ma Benedetto XVI rompe gli indugi e dice che fu un atto di giustizia, lo definisce addirittura, questa revoca, UN ATTO DOVUTO... Occhiolino e finalmente fa cadere uno dei luoghi comuni: la scomunica non fu data per la negazione del Concilio, il Concilio sia con la scomunica quanto poi la revoca, NON C'ENTRAVA NULLA.... parola di Benedetto XVI


Pag. 41/43:  la questione della revoca della scomunica alla FSSPX (Fraternità Sacerdotale San Pio X)

- La revoca della scomunica è stata un errore?

Benedetto XVI:
Forse è il caso di fare qualche precisazione rispetto alla revoca della scomunica in sé; perchè sono state diffuse moltissime stupidaggini, perfino da presunti dotti teologici.
Non è vero che quei quattro vescovi, come spesso si è voluto sottendere, siano stati scomunicati a causa del loro atteggiamento negativo nei confronti del Concilio Vaticano II.
In realtà erano stati scomunicati perché avevano ricevuto la consacrazione episcopale senza il mandato del Papa.
E quindi si era proceduto secondo il relativo canone vigente, un canone già presente nell'antico Diritto ecclesiastico.
Secondo di esso [sic], la scomunica viene inflitta a coloro, che, senza mandato del Papa, conferiscono ad altri la consacrazione episcopale, ed anche a coloro che si lasciano consacrare.
Furono quindi scomunicati perchè avevano agito contro il Primato.
Esiste una situazione analoga in Cina; anche lì sono stati consacrati dei vescovi senza il mandato del Papa e per questo sono stati scomunicati.
Ora, non appena uno di questi vescovi dichiara di riconoscere il Primato in generale nonchè quello del Pontefice regnante in particolare, la sua scomunica viene revocata perché non più giustificata.
Questo è quello che stiamo facendo in Cina - e speriamo in questo modo di riuscire pian piano a risolvere lo scisma - e così abbiamo agito anche nei casi in questione.
In breve: per il fatto stesso di essere stati consacrati senza il mandato del Papa sono stati scomunicati; e per il fatto stesso di aver riconosciuto il Papa - anche se non lo seguono ancora in tutto - la loro scomunica è stata revocata.
In sé, è un processo giuridico assolutamente normale.
Devo dire a questo proposito che su questo punto il nostro lavoro di comunicazione non è riuscito bene.
Non è stato spiegato abbastanza perchè questi vescovi fossero stati scomunicati e perché poi, già solo per ragioni giuridiche, quella scomunica doveva essere revocata."

- Nell'opinione pubblica nacque l'impressione che Roma trattasse con riguardo gruppi conservatori di destra, mentre riducesse subito al silenzio esponenti liberali e di sinistra.

Benedetto XVI:
Si è trattato semplicemente di una situazione giuridica molto chiara. Il Vaticano II non c'entrava assolutamente nulla; e nemmeno altre posizioni teologiche.
Nel momento in cui questi Vescovi riconoscevano il Primato del Papa, giuridicamente dovevano essere liberati dalla scomunica; senza che per questo mantenessero i loro incarichi nella Chiesa e senza che per ciò stesso fosse accettata la posizione da loro assunta nei riguardi del Concilio Vaticano II".




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Mons. Lefebvre ed il colpo da maestro di Satana...

Fonte: Pontifex.roma.it

http://3.bp.blogspot.com/_k-suC40wajk/TPOnUOE9SiI/AAAAAAAAAQU/f162f9oWpKY/s1600/Dom%2BLefebvre%2Bseminarista%2Bretrato.jpgIl nome Marcel Lefebvre suscita in molti antipatia ed avversione, in realtà, almeno fino a poco prima dello scontro con PaoloVI, è stato considerato in Vaticano per molti decenni uno dei migliori vescovi a livello mondiale della Chiesa Cattolica.

Monsignor Marcel Lefebvre (nato a Tourcoing, Francia, 29 novembre 1905 e morto a  Martigny, Svizzera, 25 marzo 1991) fu ordinato sacerdote nel 1929 e nominato vicario in una parrocchia operaia di Lille. Ben presto, entrò nella Congregazione missionaria dei Padri dello Spirito Santo, partendo per il Gabon nel 1932. Appena giunto in Africa, fu nominato professore di Dogma e di Sacra Scrittura al Gran Seminario di Libreville diventandone il direttore nel 1934.

Nel settembre del 1947, fu consacrato vescovo e nominato Vicario Delegato del Senegal. L’anno successivo fu nominato Delegato Apostolico per tutta l’Africa francese. Rappresentante della Santa Sede in 18 Paesi africani, era
 responsabile di 45 giurisdizioni ecclesiastiche, due milioni di cattolici, 1.400 preti e 2.400 religiose. Nel 1955 divenne il primo arcivescovo di Dakar dove rimase fino al 1962. Al suo ritorno in Francia, monsignor Lefebvre fu messo a capo della piccola diocesi di Tulle, dove rimase pochi mesi poiché eletto Superiore Generale dei Padri dello Spirito Santo. Al Concilio Vaticano II fu uno degli animatori del “Coetus Internationalis Patrum”, un gruppo di 250 vescovi che tentò di opporsi alla corrente progressista.

La sua battaglia contro le novità introdotte dal Concilio lo portò alla fondazione della Fraternità Sacerdotale San Pio X e, in seguito, ad opporsi alle gerarchie vaticane. “I miei collaboratori e io stesso”, diceva, “non lavoriamo contro nessuno, né persone né istituzioni. Lavoriamo per costruire quello che la Chiesa ha sempre fatto e per nessun’altra ragione. Noi siamo legati alla Chiesa Cattolica Romana e noi vogliamo continuare il Sacerdozio della Chiesa Cattolica e Romana. Nient’altro! Noi vogliamo operare per la Chiesa”. In un suo scritto datato 13 ottobre 1973, mons. Lefevre dichiarava: “ La Genesi e più ancora Nostro Signore ci insegnano che Satana è padre della menzogna. Al versetto 44 c. 8 del Vangelo di san Giovanni il Signore apostrofa i Giudei in tal modo: “Il Diavolo è vostro padre e voi volete adempiere ai suoi desideri. Da sempre egli è un omicida che resta al di fuori della Verità, poiché non c’è Verità in lui, la sua parola è menzognera poiché è mentitore per natura, mentitore e padre della menzogna…”. Satana è un omicida nelle persecuzioni sanguinose, padre della menzogna nelle eresie, nelle false filosofie e nei discorsi equivoci che sono alla base delle rivoluzioni, delle guerre mondiali e di quelle civili. Di continuo attacca Nostro Signore nel suo corpo mistico: la Chiesa.

Nel corso della storia si è servito di tutti i mezzi, di cui uno degli ultimi e più terribili è stata l’apostasia ufficiale delle società civili. Il laicismo degli Stati era e continua a essere scandalo incommensurabile per gli animi dei cittadini. Con questo sotterfugio è riuscito, poco a poco, a laicizzare e a far perdere la fede a parecchi membri della Chiesa, al punto che i falsi princìpi di separazione della Chiesa dallo Stato, di libertà delle religioni, di ateismo e dell’autorità che ha la sua origine dai singoli, hanno finito per invadere i seminari e i presbiteri, i vescovadi e perfino il Concilio Vaticano II.

Per far ciò Satana ha inventato delle parole chiave che hanno permesso la penetrazione nel Concilio degli errori moderni e modernisti: la libertà si è introdotta per mezzo della libertà religiosa o delle religione; l’uguaglianza per mezzo della collegialità, che introduce i pincìpi dell’egualitarismo democratico nella Chiesa e, infine la fraternità per mezzo dell’Ecumenismo, che abbraccia tutte le eresie, tutti gli errori e tende la mano a tutti i nemici della Chiesa. “Il colpo da maestro di Satana sarà dunque la diffusione dei princìpi rivoluzionari, introdotti nella Chiesa dall’autorità della Chiesa stessa”, ponendo questa autorità in una situazione di incoerenza e di contraddizione permanente. Fino a quando questo equivoco non sarà chiarito, i disastri si moltiplicheranno in seno alla Chiesa.

Diventata equivoca la liturgia, altrettanto avviene per il sacerdozio e per il catechismo: la Fede che non può reggersi che sulla Verità, si sgretola. La stessa gerarchia della Chiesa vive in un permanente equivoco fra l’autorità personale ricevuta col sacramento dell’Ordine e la Missione di Pietro o del Vescovo e i princìpi democratici. Bisogna riconoscere che l’inganno è stato ben architettato e la menzogna di Satana utilizzata in modo meraviglioso. “Attraverso l’obbedienza la Chiesa si sta distruggendo con le sue stesse mani” e si convertirà al mondo eretico, giudeo e pagano, per mezzo di una Liturgia equivoca, di un catechismo ambiguo, pieno di omissioni e di nuove istituzioni, basate su princìpi democratici.

Gli ordini, i contrordini, le circolari, gli statuti e le ingiunzioni saranno così bene manipolate, così bene orchestrate, sostenute dall’onnipotenza dei mezzi di comunicazione sociale, di ciò che resta dell’Azione Cattolica divenuta filo-marxista, che ogni bravo fedele, ogni buon prete ripeterà, col cuore straziato, ma consenziente: bisogna obbedire. A chi, a che cosa? Non lo si sa con esattezza: alle Conferenze Episcopali? C’è di che perdersi, come nei libri liturgici, nei calendari diocesani, nelle preghiere odierne, ecc. Bisogna obbedire, salvo diventare protestanti, marxisti, atei, buddisti, indifferentismi, poco importa: bisogna obbedire, fra l’apostasia dei preti, l’assenteismo dei vescovi, tranne che per condannare quelli che vogliono conservare la Fede, il matrimonio dei consacrati a Dio, la Comunione dei divorziati, l’intercomunione con gli eretici, ecc ecc. Bisogna obbedire.

I seminari si svuotano, vengono venduti così come i noviziati, le case religiose, le scuole; si sperperano i tesori della Chiesa, i preti profanano la loro veste, il loro linguaggio, la loro anima!... Bisogna obbedire. Lo vogliono Roma, le Conferenze Episcopali, il Sinodo presbiteriale. Lo ripetono i portavoce delle Chiese, dei giornali, delle riviste: aggiornamento, apertura al mondo. Egli ha diritto di essere calpestato, calunniato e privato di tutto ciò che gli era necessario alla vita.
E’ un eretico, uno scismatico e la sola cosa che meriti è la morte. A Satana è veramente riuscito un colpo da maestro: “far condannare coloro che conservano la fede cattolica proprio da chi dovrebbe difenderla e propagarla”. E giunto il momento di ritrovare il comune senso della Fede, la vera obbedienza alla vera Chiesa, nascosta sotto la maschera dell’equivoco e della menzogna. La vera Chiesa, la vera Santa Sede, il Successore di Pietro, i vescovi, in quanto si sottomettono alla Tradizione della Chiesa, non ci chiedono e non possono chiederci di diventare protestanti, marxisti o comunisti.

Dalla lettura di certi documenti, statuti, circolari e catechismi si potrebbe trarre il convincimento di essere sollecitati ad abbandonare la vera Fede in nome del Concilio, di Roma, ecc. ecc. Noi dobbiamo rifiutare di diventare protestanti, di perdere la Fede, di abiurare come ha fatto la società politica dopo gli errori diffusi da Satana nella rivoluzione del 1789. Noi rifiutiamo di abiurare, fosse pure in nome del Concilio, di Roma, delle Conferenze Episcopali.

Al di sopra di tutto noi restiamo aggrappati a tutti i Concili dogmatici, che hanno definito la nostra Fede per l’eternità. Ogni cattolico degno di questo nome deve rifiutare ogni relativismo, ogni evoluzione della sua Fede nel senso che ciò che è evoluzione della sua Fede  nel senso che ciò che è stato solennemente definito nei tempi passati dai Concili non sarebbe più valido oggi e potrebbe essere modificato da un altro Concilio, a maggior ragione se è soltanto pastorale.

La confusione, l’imprecisione, le modifiche dei documenti sulla Liturgia, la fretta nel porla in atto, dimostrano chiaramente che non si tratta di una riforma ispirata dallo Spirito Santo. Tale modo di agire è assolutamente contrario alle abitudini romane di operare sempre “cum consilio et sapientia”. E’ impossibile che lo Spirito Santo abbia ispirato la definizione della Messa , come dell’articolo VII della Costituzione, ed è ancora più incredibile che si sia sentita la necessità  di correggerla immediatamente, confessione, questa, di frode nella più importante realtà della Chiesa: il Santo Sacrifico della Messa. La presenza dei protestanti per la riforma liturgica della Messa, pone un dilemma al quale, lo confessiamo, sembra difficile sottrarsi. O significava che erano invitati a conciliare il loro culto con i dogmi della Santa Messa, oppure si voleva chiedergli ciò che nella Santa Messa, oppure si voleva chiedergli ciò che nella Messa cattolica non trovano di loro gradimento, con lo scopo di evitare il sussistere di una espressione dogmatica inammissibile.

E’ evidente l’adozione di questa seconda soluzione, cosa inconcepibile e non certamente ispirata dallo Spirito Santo. Quando si sa che questa concezione della “Messa normativa” è stata imposta da padre Bugnini sia al Sinodo che alla Commissione per la Liturgia, viene fatto di pensare che c’è Roma e Roma, la Roma eterna nella sua Fede, nei suoi dogmi, nella sua concezione del Sacrificio della Messa e la Roma temporale, influenzata dalle idee del mondo moderno, alla quale influenza non è sfuggito neppure il Concilio- che, per volontà e grazia dello Spirito Santo, è stato voluto soltanto pastorale.

San Tommaso, nella questione sulla correzione fraterna, si domanda se conviene che, talvolta, venga esercitata nei confronti dei superiori. Facendo le debite distinzioni, l’Angelo della Scuola risponde che si deve farlo quando si tratta della Fede. Ora, in coscienza, si può dire che oggi la Fede dei credenti e di tutta la Chiesa non sia gravemente minacciata nella Liturgia, nell’insegnamento del catechismo e nelle istituzioni della Chiesa stessa?

Leggendo e rileggendo san Francesco di Sales, san Bellarmino, san Pietro Canisio e Bossuet ci stupiremo vedendo che essi dovevano lottare contro gli stessi errori. Ma oggi il dramma straordinario sta nel fatto che queste alterazioni della Tradizione vengono da Roma e dalle Conferenze Episcopali; perciò, se si vuole conservare la propria Fede, è giocoforza ammettere che nell’amministrazione romana sta succedendo qualche cosa di fallibilità della Chiesa e del Successore di Pietro; dobbiamo ammettere, del pari la tragica situazione nella quale si trova la nostra Fede cattolica, a causa delle orientazioni e dei documenti che provengono dalla Chiesa, ma la conclusione sarà sempre quella enunciata all’inizio: Satana regna  grazie all’equivoco e all’incoerenza, che sono le sue armi e ingannano gli uomini di poca Fede.

Bisogna chiarire coraggiosamente questo equivoco, per preparare il giorno che la Provvidenza sceglierà per chiarirlo ufficialmente a opera del Successore di Pietro”. Più di qualcuno sostiene che questo papa della Provvidenza sia proprio Benedetto XVI che ha tolto la scomunica ai vescovi ordinati da Mons. Lefebvre e ha dato la possibilità a tutti i sacerdoti che lo volessero di celebrare la santa messa in rito antico cioè in quello tridentino di San Pio V.

Don Marcello Stanzione

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Io non sono che un vescovo della Chiesa cattolica che continua a trasmettere la dottrina.

MONSIGNOR MARCEL LEFEBVRE

OMELIA DELLE CONSACRAZIONI EPISCOPALI

ECÔNE, 30 GIUGNO 1988



  Eccellenza caro monsignor de Castro Mayer, miei carissimi amici, miei carissimi fratelli, eccoci riuniti per una cerimonia certamente storica; innanzi tutto desidero darvi alcune notizie.

La prima vi stupirà forse un po', come ha stupito un po' me stesso. Ieri sera è arrivato un visitatore, un inviato della nunziatura di Berna, con un plico contenente un appello del Santo Padre che metteva semplicemente a mia disposizione una vettura che avrebbe dovuto portarmi ieri sera stessa a Roma, per evitare che facessi oggi queste consacrazioni. E questo senza dirmi né perché né dove dovevo recarmi a Roma. Giudicate voi stessi l'opportunità e la saggezza di questa domanda.

Sono andato a Roma per molti giorni nel corso di quest'anno, anche per settimane, il Santo Padre non mi ha mai invitato ad incontrarlo. Sarei stato certamente felice di vederlo se degli accordi fossero stati definitivi. Ecco dunque questa informazione. Ve la comunico così semplicemente come io stesso l'ho appresa ieri da una lettera della nunziatura.

Ed ora vi suggerisco qualche indicazione riguardo alla cerimonia e al modo per voi di comprendere appieno il suo significato.
I futuri consacrati, i futuri vescovi, hanno già prestato nelle mie mani il giuramento che si trova nel piccolo libro che alcuni di voi hanno senza dubbio acquistato per seguire la cerimonia della consacrazione dei vescovi. Il giuramento è dunque già stato pronunciato, insieme al giuramento antimodernista, come era prescritto una volta per la consacrazione dei vescovi, ed alla professione di fede. Hanno già fatto questi giuramenti e questa professione nelle mie mani dopo il piccolo ritiro che ha avuto luogo a Sierres questi ultimi giorni. Non vi stupite dunque se cominciamo immediatamente con le interrogazioni sulla fede, la fede che la Chiesa domanda a coloro che stanno per essere consacrati.

Vi informo inoltre che dopo la cerimonia potrete domandare la benedizione di questi vescovi e baciare loro l'anello episcopale. Non vi è líuso, nella Chiesa, di baciare le mani del vescovo come si baciano le mani dei sacerdoti novelli, come l'avete fatto ieri. Ma si chiede loro la benedizione e si bacia l'anello.
Infine, avete a vostra disposizione libri e fascicoli che contengono tutti gli elementi che possono farvi ben comprendere perché questa cerimonia, apparentemente fatta contro la volontà di Roma, non è affatto uno scisma. Noi non siamo scismatici. Se la scomunica è stata pronunciata contro i vescovi di Cina, che si sono separati da Roma e che si sono sottomessi al governo cinese, si comprende assai bene perché il Papa Pio XII li abbia scomunicati.

Non si tratta di separaci da Roma e di sottometterci ad un qualche potere estraneo a Roma, né di costituire una sorta di chiesa parallela come hanno fatto per esempio i vescovi di Palmar de Troya in Spagna, i quali hanno nominato un papa ed hanno istituito un collegio di cardinali. Per noi non si tratta affatto di cose simili. Lungi da noi questo miserabile pensiero di allontanarci da Roma. Al contrario, è per manifestare il nostro attaccamento alla Chiesa di sempre, al Papa e a tutti coloro che hanno preceduto questi papi che disgraziatamente dal Concilio Vaticano II hanno creduto di dover aderire a errori gravi che stanno demolendo la Chiesa e distruggendo il sacerdozio cattolico.

Voi troverete proprio in questi fascicoli che mettiamo a vostra disposizione uno studio assolutamente ammirevole fatto dal professore Georg May, direttore del Seminario di Diritto Canonico dell'Università di Magonza in Germania, che spiega meravigliosamente perché ci troviamo nel caso di necessità per venire in aiuto alle vostre anime, in vostro aiuto.
I vostri applausi di poc'anzi penso che non siano una manifestazione puramente naturale, bensì una manifestazione spirituale che traduce la vostra gioia di avere infine dei vescovi e dei sacerdoti cattolici che salvino le vostre anime, che donino alle vostre anime la vita di Nostro Signore Gesù Cristo, con la dottrina, i sacramenti, la fede, il Santo Sacrificio della Messa. Vita di Nostro Signore di cui avete bisogno per andare in Cielo e che sta per scomparire dovunque in questa chiesa conciliare. Essa segue dei sentieri che non sono sentieri cattolici. Essi portano semplicemente all'apostasia. È per questo che noi procediamo a questa cerimonia.

Lungi da me di erigermi a papa. Io non sono che un vescovo della Chiesa cattolica che continua a trasmettere la dottrina. Io penso, e ciò senza dubbio non tarderà, che si possano scrivere sulla mia tomba queste parole di san Paolo: "Vi ho trasmesso ciò che ho ricevuto", semplicemente. Sono il postino che porta una lettera. Non sono io che ho scritto questa lettera, questo messaggio, questa parola di Dio: è Dio stesso, è Nostro Signore Gesù Cristo stesso.

Noi abbiamo trasmesso ciò che abbiamo ricevuto, tramite questi sacerdoti qui presenti e tramite tutti coloro che hanno creduto di dover resistere a questa ondata di apostasia nella Chiesa, conservando la fede di sempre e trasmettendola ai fedeli. Noi non siamo che dei portatori di questa novella, di questo Vangelo che Nostro Signore Gesù Cristo ci ha donato e anche dei mezzi per santificarci: la Santa Messa, la vera Santa Messa, i veri sacramenti che donano realmente la vita spirituale.

Mi sembra di sentire, miei carissimi fratelli, le voci di tutti questi papi da Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, San Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, che ci dicono: "Ma di grazia, di grazia, che state facendo dei nostri insegnamenti, della nostra predicazione, della fede cattolica: volete abbandonarla? Volete lasciarla scomparire da questa terra? Di grazia, di grazia, continuate a conservare questo tesoro che vi abbiamo dato. Non abbandonate i fedeli, non abbandonate la Chiesa! Continuate la Chiesa! Poiché infatti dal Concilio, ecco che le autorità romane adottano e professano ciò che noi abbiamo condannato. Come è possibile questo? Noi abbiamo condannato: il liberalismo, il comunismo, il socialismo, il modernismo, il sillonismo (democratismo cristiano). Tutti gli errori che abbiamo condannato, eccoli ora professati, adottati, sostenuti dalle autorità della Chiesa. È possibile questo? Se non fate qualcosa per continuare questa Tradizione della Chiesa che vi abbiamo trasmesso, tutto sparirà. La Chiesa sparirà. Le anime saranno perdute".

Ci troviamo davanti ad un caso di necessità.
Noi abbiamo fatto di tutto per far sì che Roma comprenda la necessità di ritornare all'attitudine del venerato Pio XII e di tutti i suoi predecessori. Abbiamo scritto. Siamo andati a Roma. Abbiamo parlato. Abbiamo inviato delle lettere, mons. de Castro Mayer ed io stesso, parecchie volte a Roma. Abbiamo tentato con questi colloqui, con tutti i mezzi, di arrivare a far comprendere a Roma che dal Concilio in poi, da questo aggiornamento, questo cambiamento che si è prodotto nella Chiesa non è cattolico, non è conforme alla dottrina di sempre. Questo ecumenismo e tutti questi errori, questo collegialismo, tutto ciò è contrario alla fede della Chiesa e sta distruggendo la Chiesa. È per questo che noi siamo persuasi che, procedendo a queste consacrazioni, oggi obbediamo all'appello di questi papi e di conseguenza all'appello di Dio poiché essi rappresentano Nostro Signore Gesù Cristo nella Chiesa.

"E perché, monsignore - mi si dice - avete interrotto questi colloqui che sembravano tuttavia avere un certo successo?" Precisamente perché nello stesso momento in cui firmavo il protocollo, nello stesso minuto, l'inviato del cardinale Ratzinger, che mi portava questo protocollo da firmare, mi affidava in seguito una lettera nella quale mi chiedeva di domandare perdono per gli errori fatti. Ma se sono nell'errore, se insegno degli errori, è chiaro che devo essere ricollocato nella verità. Nello spirito di quelli che mi hanno inviato questo documento da firmare, attraverso cui riconosco i miei errori, questa stessa proposta equivale a dire: se voi riconoscerete i vostri errori, noi vi aiuteremo a ritornare nella verità. Quale è questa verità per loro se non la verità del Vaticano II, se non la verità di questa Chiesa Conciliare? Di conseguenza è chiaro che per il Vaticano la sola verità che esiste oggi è la verità conciliare, è lo spirito del Concilio, è lo spirito di Assisi. Ecco la verità di oggi. E questa noi non la vogliamo, per nulla al mondo!

È per questo che, constatando la volontà ferma delle autorità romane attuali di annientare la Tradizione e di condurre tutti allo spirito del Vaticano II e allo spirito d'Assisi, abbiamo preferito ritirarci, evidentemente, e dire: non possiamo! E impossibile. Non era possibile metterci sotto l'autorità del cardinal Ratzinger, presidente della commissione romana che doveva dirigerci: ci saremmo messi nelle sue mani, e di conseguenza nelle mani di coloro che vogliono riportarci allo spirito del Concilio ed allo spirito d'Assisi: questo non era possibile. È per questo che ho inviato una lettera al papa dicendogli molto chiaramente: non possiamo; malgrado tutti i desideri che abbiamo di essere in piena comunione con Voi. Visto questo spirito che regna adesso a Roma e visto che volete comunicarcelo, preferiamo continuare nella Tradizione, conservare la Tradizione, aspettando che questa Tradizione ritrovi il suo posto tra le autorità romane, nello spirito delle autorità romane.

Questo stato di cose durerà quanto il Buon Dio ha previsto, non sta a me sapere quando la Tradizione ritroverà i suoi diritti a Roma, ma penso che è mio dovere dare i mezzi per fare quella che chiamerei operazione sopravvivenza, operazione sopravvivenza della Tradizione. Oggi, in questo giorno, si realizza l'operazione sopravvivenza. E se io avessi fatto questa operazione con Roma continuando gli accordi che avevamo firmato e seguendo la messa in opera di questi accordi, avrei realizzato l'operazione suicidio. Non c'è possibilità di scelta: dobbiamo sopravvivere! Ed è per questo che oggi, consacrando questi vescovi, sono persuaso di continuare a far vivere la Tradizione, vale a dire la Chiesa Cattolica.

Voi sapete bene, miei carissimi fratelli, sapete bene che non possono esserci sacerdoti senza vescovi. Tutti questi seminaristi qui presenti, se domani Dio mi chiamerà - e questo avverrà senza dubbio tra non molto - da chi riceveranno il sacramento dell'Ordine? Dai vescovi conciliari, i cui sacramenti sono tutti dubbi perché non si sa esattamente quali siano le loro intenzioni? Non è possibile. Ora, quali sono i vescovi che hanno conservato la Tradizione, che hanno conservato i sacramenti tali e quali la Chiesa li ha amministrati da venti secoli fino al Concilio Vaticano II? Ebbene siamo monsignor de Castro Mayer e io stesso. Io non posso farci nulla ma è così. E dunque molti seminaristi si sono affidati a noi, hanno sentito che qui c'era la continuità della Chiesa, la continuazione della Tradizione. E dunque sono venuti nei nostri seminari, malgrado le difficoltà che hanno incontrato, per ricevere una vera ordinazione sacerdotale, e per poter offrire il vero Sacrificio del Calvario, il vero Sacrificio della Messa e darvi i veri sacramenti, la vera dottrina, il vero catechismo: ecco lo scopo di questi seminari.

E dunque non posso in coscienza lasciare orfani questi seminaristi. Non posso lasciare anche voi orfani, scomparendo senza fare niente per l'avvenire. Non è possibile. Sarebbe contrario al mio dovere. È per questo che abbiamo scelto, con la grazia di Dio, dei sacerdoti della nostra Fraternità che ci sono sembrati i più idonei e che allo stesso tempo si trovano in situazioni ed in funzioni che permettono loro di compiere più facilmente il loro ministero episcopale, di amministrare la cresima ai vostri figli e di poter infine conferire le ordinazioni nei nostri diversi seminari.

Così io credo che con la grazia di Dio noi, monsignor de Castro Mayer ed io, con questa consacrazione, avremo dato i mezzi ai cattolici che lo desiderano di mantenersi nella Chiesa dei loro genitori, dei loro nonni, dei loro antenati; questa Chiesa per la quale sono state fondate le vostre parrocchie, sono state costruite tutte queste belle chiese dotate di altari maestosi, spesso distrutti per mettere al loro posto una tavola, manifestando così il cambiamento radicale che si è attuato a partire dal Concilio riguardo al Santo Sacrificio della Messa che è il cuore della Chiesa e che è anche lo scopo del sacerdozio.

E dunque vogliamo ringraziarvi di essere venuti numerosi per incoraggiarci nel compimento di questa cerimonia. Noi ci volgiamo verso la Vergine Maria. Voi sapete bene, miei carissimi fratelli - è stato detto - che Leone XIII, in seguito ad una visione profetica che ebbe, ha affermato che un giorno la Sede di Pietro sarebbe stata la sede dell'iniquità. Lo dice in uno dei suoi esorcismi, nell'"Esorcismo di Leone XIII". Questo avviene già oggi? Oppure domani? Non so. Ma in ogni caso è stato annunciato. L'iniquità può essere molto semplicemente l'errore.

L'errore é un'iniquità: non professare più la Fede di sempre, non professare la Fede cattolica, è un grave errore; se esiste un'iniquità massima, è proprio questa! E credo veramente di poter dire che non c'è stata mai un'iniquità più grande nella Chiesa della giornata di Assisi, la quale è contraria al primo Comandamento di Dio ed è contraria al primo articolo del Credo! E incredibile che si sia potuta realizzare una cosa simile nella Chiesa davanti agli occhi di tutta la Chiesa stessa così umiliata! Non abbiamo mai subìto una umiliazione simile. Potrete tra l'altro trovare tutto questo nel piccolo libro di don Le Roux, che è stato pubblicato appositamente per darvi dei ragguagli sulla situazione romana odierna.

E non soltanto il buon Papa Leone XIII ha profetizzato queste cose, ma anche la Madonna. Recentemente il sacerdote priore di Bogotà in Colombia mi ha portato un libro sulle apparizioni di Nostra Signora del "Buen Suceso", del Buon Successo, alla Quale è dedicata una chiesa, una grande chiesa in Ecuador, a Quito, capitale dell'Ecuador. Di queste apparizioni è stata privilegiata una religiosa del convento di Quito, poco dopo il Concilio di Trento, dunque alcuni secoli fa come vedete. Ebbene, la Santissima Vergine ha lasciato a questa religiosa alcune profezie concernenti il XX secolo (il messaggio è stato tramandato per iscritto; l'apparizione stessa è stata riconosciuta, riconosciuta da Roma, riconosciuta dalle autorità ecclesiastiche poiché si è costruita una magnifica chiesa per la Vergine, il viso della Quale - dicono gli storici - è stato terminato miracolosamente: l'artista stava per scolpire il volto della Vergine quando lo ha trovato miracolosamente compiuto. Questa Vergine miracolosa è dunque onorata con una devozione particolare dai fedeli dell'Ecuador). Ella ha detto esplicitamente: durante il XIX secolo e la maggior parte del XX secolo degli errori si propagheranno sempre più fortemente nella Santa Chiesa, e metteranno la Chiesa in una situazione di assoluta catastrofe, di catastrofe! I costumi si corromperanno e la fede si estinguerà. Il che noi non possiamo non constatarlo.

Mi scuso di continuare il racconto di questa apparizione, ma parla di un prelato che si opporrà assolutamente a questa ondata di apostasia e a questa ondata di empietà preservando il sacerdozio, formando dei buoni sacerdoti. Farete voi l'applicazione, io non voglio farla. Io stesso sono rimasto stupefatto leggendo queste righe, non posso negarloÖ È scritto, è stampato, è consegnato negli archivi di questa apparizione.
Inoltre voi conoscete bene le apparizioni di La Salette, in cui la Madonna dice che Roma perderà la Fede, che ci sarà un'eclissi a Roma; eclissi: considerate cosa possa significare da parte della Santa Vergine questa espressione.

E poi, infine, il segreto di Fatima, che è più vicino a noi. Certamente il terzo segreto di Fatima deve fare allusione a queste tenebre che hanno invaso Roma, queste tenebre che invadono il mondo a partire dal Concilio. Ed è proprio per questo, senza dubbio, che il papa Giovanni XXIII ha pensato fosse meglio non pubblicare il segreto, dal momento che avrebbe dovuto prendere delle misure in relazione ad esso e che ormai non si sentiva forse più capace di cambiare completamente gli orientamenti che cominciava a prendere in vista del Concilio e per il Concilio. Ecco dei fatti sui quali, io penso, possiamo fare affidamento.
Allora noi ci rimettiamo alla Provvidenza; siamo persuasi che Dio sa ciò che fa.

Quando il cardinal Gagnon ci ha visitato 14 anni dopo la prima visita di Roma (pur essendo stati sospesi e definiti fuori dalla comunione con Roma, contro il papa, ribelli, dissidenti per questi 14 anni), ha riconosciuto egli stesso che ciò che facciamo sarà senza dubbio ciò che sarà necessario fare per la nuova ricostruzione della Chiesa; poi ha assistito in prima persona, secondo il cerimoniale pontificale, alla Messa che celebravo l'8 dicembre per il rinnovo delle promesse dei nostri seminaristi, quantunque io sia (ufficialmente) sospeso a divinis, e non dovrei più amministrare i sacramenti; dunque, dopo 14 anni ci viene detto gentilmente: avete fatto bene! Dunque abbiamo fatto bene a resistere.

Ebbene, sono persuaso che oggi siamo nelle stesse circostanze. Compiamo un atto di apparente disubbidienza; purtroppo i media non ci aiutano in questo senso...poiché senza dubbio desiderano - per quanto possono - fare titolo sui giornali: lo scisma, la scomunica,... per quanto ci riguarda noi siamo persuasi che tutte queste accuse di cui siamo oggetto sono nulle, assolutamente nulle! È per questo che non ne teniamo assolutamente conto. Così come non abbiamo tenuto conto della sospensione e abbiamo finito per ricevere le felicitazioni della Chiesa, della stessa Chiesa progressista, ugualmente tra qualche anno (io non lo so, Dio solo conosce il numero degli anni necessari perché venga il giorno in cui la Tradizione ritrovi i suoi diritti a Roma) saremo abbracciati dalle autorità romane che ci ringrazieranno di aver mantenuto la fede nei seminari, nelle famiglie, nelle città, nei paesi, nei nostri conventi, nelle nostre case religiose per la più grande gloria di Dio e per la salvezza delle anime.

Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Così sia.

CHIARIMENTI SULLE CONSACRAZIONI EPISCOPALI CONFERITE DA MONS. LEFEBVRE DA PARTE DI UN GRUPPO DI TEOLOGI DI MONS. DE CASTRO MAYER

1. Necessità

Davanti alla crisi attuale senza precedenti nella storia della Chiesa, crisi della fede e della morale; davanti al progressismo che non è altro che il modernismo infiltratosi fin nelle più alte cariche della Chiesa; davanti alla deplorevole apostasia generalizzata dei preti e dei vescovi, è di estrema necessità e di massima urgenza avere dei vescovi fedeli alla Tradizione.
Necessità, per la conservazione e la trasmissione pura e integra del deposito della fede e per l'ordinazione di sacerdoti che garantiscano la continuità della celebrazione del Santo Sacrificio della Messa e dell'amministrazione dei sacramenti.
Urgenza, perché sono più di vent'anni che questa crisi dura senza alcuna prospettiva di cambiamento da parte delle autorità attuali: è impossibile attendere oltre.
I teologi insegnano (Cfr. Dom Grea, La Costituzione divina della Chiesa, cap. sull'Azione straordinaria dell'Episcopato, p. 240-264) che, per realizzare una consacrazione episcopale senza mandato pontificale, sono necessarie due condizioni:

1. Che ci sia una situazione che metta in pericolo l'esistenza stessa della religione in una parte considerevole della cristianità.

La crisi della fede è oggi universale: l'apostasia occupa tutti i campi, tutti i settori della Chiesa. Come ha dichiarato Dom Manuel Pestana, vescovo di Anapolis (Brasile) in una recente intervista (Jornal do Brasil dell'11.3.1988), quantunque egli non abbia affatto la nostra posizione: "Io credo che abbiamo ormai passato i limiti del tollerabile... Non è soltanto il fumo di Satana che è entrato nella Chiesa da una fessura nascosta come diceva il Santo Padre Paolo VI: ma è piuttosto passando attraverso le grandi porte che il diavolo è interamente presente nelle più alte sfere della gerarchia, per mezzo dei suoi fedeli seguaci".

2. Che vi sia impossibilità di ricorrere alle autorità competenti.

L'impossibilità di ricorrere alle autorità competenti è evidente. In effetti, si constata dolorosamente la cooperazione di Roma alla distruzione generale della fede cattolica. Come ha affermato mons. Lefèbvre (omelia del 29.06.1987), Roma vuole edificare attualmente il Pantheon di tutte le religioni come hanno fatto gli imperatori pagani. Come ricorrere a Roma se Roma sostiene il male? Se è Roma che ha realizzato il deplorevole incontro di tutte le religioni ad Assisi, invitando inoltre ciascuna di esse ad invocare il proprio falso dio? Ciò fu, incontestabilmente, un'ingiuria a Dio, una negazione della necessità della redenzione, una mancanza di giustizia e di carità nei confronti degli infedeli, uno scandalo per i cattolici e un tradimento della missione della Chiesa e di Pietro. Come dunque ricorrere a Roma per mantenere la Tradizione? Si realizza sotto i nostri occhi la triste profezia della Madonna a La Salette: "Roma perderà la fede...".
Noi facciamo nostre le parole di mons. Lefèbvre: "Noi aderiamo con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima alla Roma cattolica, custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie al mantenimento di questa stessa fede, alla Roma eterna, maestra di saggezza e di verità. Noi rifiutiamo al contrario, e l'abbiamo sempre rifiutata, la Roma di tendenza neo-modernista e neo-protestante che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e, dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne sono uscite".

2. "L'Accordo"

Abbiamo sempre desiderato la pace e l'unione. È mons. Lefèbvre stesso che ha domandato un visitatore a Roma. Ma l'accordo desiderato non potrebbe realizzarsi se non mantenendo la nostra identità, fondata sulla dottrina tradizionale della Chiesa. In caso contrario, esso sarebbe fragile e superficiale.
La Santa Sede ha inviato un visitatore nella persona del cardinale Edouard Gagnon. Dopo un minuzioso esame delle opere della Fraternità San Pio X, il cardinale non ha avuto, l'8 dicembre 1987, che elogi verso l'arcivescovo e la sua opera: "Io voglio dire che siamo stati colpiti ovunque. Nutriamo una grande ammirazione per la pietà della persone, per l'attualità e l'importanza delle opere, soprattutto per quel che riguarda la catechesi, la formazione, l'amministrazione dei sacramenti. Di certo, abbiamo in mano tutto ciò che è necessario per fare un rapporto molto positivo" (Fideliter, n. 62, marzo-aprile 1988, p. 29).
Ora, quest'opera sacerdotale lodata e ammirata dal papa, opera che conta centinaia di sacerdoti e di seminaristi, un gran numero di religiosi, di priorati, di scuole, di seminari ecc... non può sussistere se non le sono concessi dei vescovi secondo la Tradizione.

Perché è stata rifiutata a mons. Lefèbvre l'autorizzazione alla consacrazione? Il motivo risiede nella fedeltà alla Tradizione: egli non vuole coinvolgere la sua Fraternità nell'attuale autodemolizione della Chiesa.
Tessere l'elogio e la difesa di un'opera ed in seguito condannarla a morte rifiutandole dei vescovi, significa rifare il gesto di Pilato che ha dichiarato l'innocenza di Gesù e l'ha condannato alla croce. E questo avviene nel momento in cui il Vaticano ha appena dato un certificato pubblico di buone intenzioni al comunista (ateo e materialista) Mikhaîl Gorbatchev! (Cfr. O Globo del 10.06.1988, p. 15).
I giornali europei hanno da poco annunciato l'ordinazione sacerdotale del pastore protestante Max Thurian, conferita dal cardinale Ursi di Napoli, senza che il primo abbia fatto una qualsiasi abiura delle sue eresie (Le Monde del 12.05.1988; La Croix dell'11.05.1988; Présent del 19.05.1988).
Jean Guitton, grande amico e confidente di Paolo VI, si lamentava: "Come posso far comprendere ai miei amici separati che la nostra Chiesa sia così accogliente nei loro confronti, quando essi la vedono così dura nei confronti di alcuni fedeli?... È difficile aprire le braccia a quelli che sono al di fuori e chiuderle a quelli che sono dentro..." ("Silence sur l'essentiel", p. 42).
Quale contraddizione può esserci più grande di questa: apertura e comprensione per i nemici della Chiesa da una parte; castighi per quelli che vogliono restare fedeli, dall'altra?

3. Scisma

Scisma vuol dire rottura. Rottura con la Chiesa e con il suo capo, il papa. Questo nel caso, evidentemente, che il papa sia con la Chiesa. Ora, rompere con chi ha rotto con la Tradizione non è scisma, ma fedeltà. Non si può avere un'unione di carità con qualcuno che ha rotto con l'unità della fede della Chiesa. Allo stesso modo, rivoltarsi contro dei nemici invasori della patria, non costituisce una ribellione ma un atto di patriottismo.
San Roberto Bellarmino dice: "Così come è lecito resistere a un pontefice che aggredisce i corpi, è ugualmente lecito resistere a chi aggredisce le anime... e soprattutto a chi potrebbe tentare di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli non facendo ciò che ordina e impedendo l'esecuzione della sua volontà" (De Rom. Pont., Lib.II, c. 29).

La Storia della Chiesa registra diversi esempi di santi che, per rimanere fedeli, hanno resistito all'autorità ecclesiastica prevaricatrice. Così San Goffredo d'Amiens, San Ugo di Grenoble e Guy di Vienna (divenuto più tardi Papa Callisto II) hanno scritto a Papa Pasquale II che tentennava riguardo alla questione delle investiture: "Se, come noi assolutamente non crediamo, voi sceglieste un'altra via e rifiutaste di confermare le decisioni di nostra paternità - che Dio non voglia! - ci costringereste ad allontanarci dalla vostra obbedienza" (apud Bouix, Tract. de Papa, T.II p. 650).

4. Scomunica

Le pene canoniche suppongono un delitto, un peccato grave. Ora, è forse un delitto o un peccato essere fedeli alla Tradizione? Inoltre, le leggi della Chiesa, come qualsiasi altra legge, sono un'ordinazione della ragione promulgata in vista del bene comune. Le leggi non sono arbitrarie né possono essere utilizzate arbitrariamente.
Così, non può esserci consacrazione senza mandato pontificale, ma d'altra parte, il papa non può rifiutare questo mandato senza motivo proporzionato. Anzi, al contrario, è sua missione e suo dovere vegliare a che si abbiano dei vescovi per la trasmissione della vera dottrina e la conservazione dei sacramenti. Ancora peggio è rifiutare l'autorizzazione a causa del nostro attaccamento alla Tradizione.

Qualsiasi conferenza episcopale, anche quelle che favoriscono l'errore, ottiene facilmente l'autorizzazione per consacrare dei vescovi. Perché la Fraternità, riconosciuta dall'inviato del papa come opera di Dio per la restaurazione della Chiesa, si vede rifiutare questa autorizzazione?
La conservazione della fede e la salvezza delle anime sono la legge suprema della Chiesa (Cfr. canone 1752). Essendo suprema, tutte le altre leggi disciplinari le sono sottomesse.

Sant'Atanasio, nel IV secolo, non ha obbedito a papa Liberio che favoriva l'eresia ariana. A causa di ciò il papa l'ha scomunicato (Cfr. DZS, 238 Ep. Studens Paci). Tanto l'ordine dato quanto la scomunica portata sono arbitrari. Per tale motivo essi sono stati senza effetto. Sant'Atanasio non è stato scismatico. Mentre il Papa Liberio è passato alla storia come un indulgente verso l'eresia, Sant'Atanasio è stato canonizzato dalla Chiesa. Egli è in cielo. È questo che importa.

Che quelli che dicono di preferire sbagliarsi con il papa meditino queste pagine della storia della Chiesa:
"Quando il veleno ariano ebbe contaminato non una piccola regione ma il mondo intero, quasi tutti i vescovi latini cedettero all'eresia, alcuni costretti con la violenza, altri sedotti con la frode. Una specie di nebbia offuscò allora le menti, per cui non era possibile distinguere la via da seguire. Per essere al riparo da questa peste contagiosa il vero e fedele discepolo di Cristo dovette preferire l'antica fede a queste false novità"
 (San Vincenzo da Lerino, Commonitorium).



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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09/01/2011 11:08
 
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[SM=g1740733] Cristina Siccardi presenta e spiega il suo libro su mons. Lefebvre


18° CONVEGNO DI STUDI CATTOLICI,
sotto la presidenza di MONS. BERNARD FELLAY,
Superiore Generale della
Fraternità Sacerdotale San Pio X,
sul tema:

La Fraternità San Pio X
1970-2010
Quarant’anni di battaglia
al servizio della Chiesa

www.gloria.tv/?media=119233



[SM=g1740722]

Alessandro Gnocchi: "Ermeneutica della continuità o continuità dell'ermeneutica? La Tradizione …

www.gloria.tv/?media=119206



[SM=g1740733]


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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Convegno sulla Tradizione a Parigi: la relazione della prof.ssa Siccardi






Con molto piacere e riconoscenza pubblichiamo questa relazione sul convegno parigino inviataci dalla dottoressa Cristina Siccardi, che al convegno stesso ha partecipato come relatrice. Autrice della più nota biografia italiana dedicata al fondatore della FSSPX, ella ha avuto modo in quell'occasione di narrare come il suo interesse per mons. Marcel Lefebvre sia nato dallo studio storico della figura del papa Paolo VI. Il quale considerò il caso Lefebvre una spina dolorosa del suo pontificato e, molto legato alla cultura francese, finì col prendere le parti dei vescovi di quel paese, avversari spietati del confratello che osava attenersi con ostinazione alle certezze di sempre. Un Papa, peraltro, che seppe anche accorgersi delle derive e della rovina, come attesta il suo famoso discorso sul fumo di Satana; ma poco riuscì a compiere per opporvisi: un pontefice dagli occhi bene aperti e le mani legate, secondo la definizione di Romano Amerio. Mons. Lefebvre, per contro, si vide costretto alla non verde età di 65 anni, per amore della Chiesa, della S. Messa e del Sacerdozio, ad opporsi a tutto e a tutti: un destino che è stato proprio anche di grandi figure della Chiesa, come S. Atanasio, S. Caterina da Siena, S. Giovanna d'Arco. Perché, secondo una frase del grande teologo Garrigou-Lagrange, citata dalla dott.ssa Siccardi nella relazione, "La Chiesa è intransigente in linea di principio perché crede, è tollerante nella pratica perché ama. I nemici della Chiesa sono tolleranti in linea di principio perché non credono, e intransigenti nella pratica perché odiano".
Enrico


Da sin. a destra: don D. Pagliarani, l'abbé A. Lorains e don E. du Chalard


Il decimo Congresso Teologico del Courrier de Rome, dal titolo "La Tradizione: una soluzione alla crisi della Chiesa?", svoltosi a Parigi il 7-8-9 gennaio 2011 alla Maison de la Chimie (28 rue Saint-Dominique), ha avuto un notevole successo di pubblico, un pubblico attento e qualificato, che ha seguito i lavori proposti di giorno in giorno da docenti, studiosi, intellettuali di varie nazionalità. La sintesi del Congresso, di altissimo livello storico, filosofico, teologico e di precisa ponderazione sullo stato attuale della Chiesa, si può riassumere nel volgere il suo titolo dalla forma interrogativa a quella affermativa, mutando l’articolo indeterminativo in quello determinativo: la Tradizione è la soluzione alla crisi della Chiesa.

La prima giornata, dopo aver precisato lo stato della questione (padre Alain Lorans), ha analizzato la crisi ariana (padre Laurent Biselx), quella protestante (padre Nicolas Portail), quella susseguente alla Rivoluzione Francese (professor Jean de Viguerie), quella modernista (padre Claude Boivin) e quella postconciliare (padre Niklaus Pfluger). È emerso come, in tutti i casi in cui la Chiesa è uscita dalla sua crisi, lo ha fatto soltanto con un ritorno alla Tradizione precedente al momento drammatico affrontato. Questo ritorno non è stato un semplice riportare indietro le lancette dell’orologio della storia (operazione dannosa, oltre che impossibile), ma da esso è sempre scaturito un progresso, che ha reso la dottrina cattolica più capace di rispondere alle false obiezioni a lei poste dai movimenti ereticali all’origine di ogni singola crisi.

Sempre alla storia della Sposa di Cristo si può applicare il consiglio che sant’Ignazio di Loyola, nei suoi esercizi spirituali, dà ad ogni singolo fedele: "In tempo di desolazione non si deve mai fare mutamento ma restare fermo e costante nei propositi e nella determinazione in cui si stava nel giorno precedente a tale desolazione, o nella determinazione in cui si stava nell'antecedente consolazione. Come infatti nella consolazione ci guida e consiglia di più il buono spirito, così nella desolazione il cattivo, con i cui consigli non possiamo prendere la giusta strada" (Regola 318). I progressi ed i mutamenti avverranno quando la crisi (desolazione) sarà passata e la Chiesa sarà tornata alla Tradizione (consolazione) precedente.

Nella seconda giornata si è esaminato in che modo la Tradizione possa curare i mali della crisi presente. Si è partiti dal confronto razionale tra Tradizione e pensiero moderno (padre Jean-Michel Gleize), approfondendo le radici teologico-dottrinali dell’irrazionalismo contemporaneo ed il loro affondare nella negazione del giusto ordine trinitario, conseguente alla negazione del Filioque (il procedere dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio), vale a dire negando la necessaria precedenza della verità rispetto all’amore, approfondimento e spiegazione di quanto detto in merito da Romano Amerio nel suo capolavoro Iota Unum (padre François Knittel). Di questo tema e, soprattutto, delle sue conseguenze sull’attuale diffusione del relativismo, troviamo ampi accenni nell’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI.

Ampia è poi stata la trattazione del rapporto fra Concilio Vaticano II e Magistero della Chiesa, non tanto per ciò che concerne i suoi contenuti, quanto, invece, per ciò che riguarda il suo stesso modo di porsi, il suo legame con il divenire storico, il suo linguaggio innovativo e caratteristico degli anni Sessanta del secolo passato, il suo lasciarsi plasmare, da un punto di vista formale, dal caratteristico spirito di quel decennio, del suo rifuggire da ogni definizione, anche solo terminologica (padre Davide Pagliarani). Su questo stesso tema, ma concentrato sulla pastoralità del Concilio, corre l’obbligo di segnalare il magistrale intervento di monsignor Brunero Gherardini al Convegno organizzato dai Francescani dell’Immacolata, tenuto il 16-17-18 dicembre 2010 a Roma ed intitolato "Il Vaticano II: un Concilio pastorale. Un’analisi storico-filosofico-teologica".

L’assoluta necessità del ritorno alla Tradizione è emersa, per usare un gergo fotografico, in negativo dalla brillante relazione del dottor Francesco Colafemmina sull’eclissarsi dello stesso concetto di bello nell’arte sacra, a mano a mano che la committenza ecclesiastica si allontanava dal richiamo dottrinale della Tradizione: se la bellezza se ne va con la Tradizione, con essa, inevitabilmente, dovrà tornare.

Particolarmente toccante, nella sua lucida disamina, è risultata la relazione di padre Yannick Escher, il quale ha portato la sua testimonianza di prete che ritrova le ragioni e la gioia del proprio sacerdozio nel ritorno alla Tradizione, illustrando, una per una, le strade che gli si aprivano dinanzi.

La giornata si è chiusa ascoltando una tavola rotonda con il dottor Alessandro Gnocchi (autore con il professor Mario Palmaro di testi coraggiosi, quanto autorevoli, sulla crisi della Chiesa e sulla Tradizione), padre Emmanuel du Chalard e padre Alain Lorans, a riguardo della situazione, in rapido mutamento, della Chiesa in Italia e, conseguentemente, a Roma. Come segni tangibili di speranza, sono stati citati, tra gli altri, gli ultimi libri di monsignor Gherardini e il volume Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta di Roberto de Mattei, oltre al già ricordato Convegno dei Francescani dell’Immacolata.

Il Congresso teologico si è congedato con la lunga quanto appassionante intervista di padre Alain Lorans a monsignor Bernard Fellay. Il Superiore generale della Fraternità San Pio X ha illustrato che cosa sia un prete, quale debba essere la sua identificazione con nostro Signore Gesù Cristo, quanto ciò che in un laico è un ""semplice" peccato" diventi, in un sacerdote, "vero e proprio sacrilegio"… L’amore per Cristo e per la sua Chiesa acquisisce, nelle parole del Vescovo, un senso unicamente sacerdotale, perdendo ogni connotazione terrena… nell’orizzonte di un prete così delineato non c’è spazio per altro che per Dio e per il Paradiso, per sé e per i fedeli a lui affidati. Ecco che, alla domanda su quale sia il contributo della Fraternità San Pio X alla Chiesa, la risposta del Superiore generale non poteva che essere quella di difendere il sacerdozio di sempre, affinché Dio mandi "molti santi sacerdoti".

Cristina Siccardi
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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25/01/2011 11:53
 
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Il Vescovo di Nizza visita la casa della FSSPX

Un cortese lettore ci segnala che il sito della diocesi di Nizza, (Provenza, Francia) ha pubblicato la notizia che durante la sua visita pastorale nella parrocchia centrale del Beato Giovanni XXIII, il vescovo di Nizza, Mons Louis Sankalé (in clergyman e non in borghese: per un vescovo francese è già molto) ha visitato oltre agli oratori, ai centri religiosi, alle confraternite dei Penitenti, del Semeuse, del Cimitero del Castello, oltre alla Legione Straniera, a molti tra abitanti e negozianti, anche la casa della Fraternità di San Pio X, accolto dal superiore p. Moulin (col quale si è intrattenuto per la prima volta, in amabile colloquio).
Sembra essere la prima volta di un vescovo francese entrato in una casa della Fraternità.
E comunque è un gesto significativo!

Roberto


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03/02/2011 10:26
 
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Intervista a don E. Du Chalard

Presentiamo il resoconto di un interessante colloquio con uno dei primi collaboratori di mons. Marcel Lefebvre. Don Emanuel Du Chalard, noto per essere stato il pioniere della presenza FSSPX in Italia e per aver sempre mantenuto contatti diplomatici informali fra la Fraternità e Roma, ci descrive alcuni aspetti della personalità del fondatore, uscendo, forse per la prima volta, dal suo proverbiale ed umile riserbo.
Ringraziamo l'autore per averci concesso facoltà di pubblicarlo interamente.

*




INTERVISTA A DON EMANUEL DU CHALARD



a cura di Marco BONGI

DOMANDA 1 - Don Emanuele, Lei è stato uno dei primi sacerdoti ordinati da mons. Lefebvre dopo la fondazione della FSSPX. Gli è poi stato vicino per molti anni. Ci può brevemente descrivere la sua personalità nella vita quotidiana, al di là dei momenti pubblici?

Prima di tutto mons. Lefebvre fu per noi un padre e un esempio. Sempre attento a tutto anche ai più piccoli dettagli. Voleva che il seminario fosse semplice ma pulito e ordinato. Viveva in seminario come noi, seguiva lo stesso orario, era sempre presente a tutte le preghiere comunitarie, prendeva i pasti in refettorio con i seminaristi, non chiedeva mai niente di speciale per lui. D’altra parte non gli piacevano i favoritismi. Era molto attento alle persone, sempre pronto ad ascoltare i seminaristi, si poteva andare a trovarlo nel suo ufficio quando si voleva, sembrava che non avesse mai altre cose da fare. Fu un esempio di disponibilità. Aveva sempre una grande attenzione per gli ospiti, una conversazione gradevole e gli piaceva l’umorismo o la battuta. Trasmetteva un senso di gioia oltre che di pace e serenità. Era un uomo buono, ma era soprattutto un sacerdote e un vescovo vicino a tutti. Per vederlo o avere un appuntamento non era difficile: non aveva un segretario privato, si gestiva tutto da solo, appuntamenti, corrispondenza, organizzazione dei viaggi.
Il suo stile di vita fu un esempio per noi tutti. E possiamo serenamente affermare che la Fraternità San Pio X ha improntato il suo modo di vivere più sull'esempio del suo fondatore che traendolo dal suo insegnamento.


D. 2 - Ci può raccontare qualche aneddoto inedito da lei vissuto accanto a mons. Lefebvre?

Non saprei, ma posso affermare che più ho conosciuto e frequentato mons. Lefebvre, soprattutto nel contesto romano, più mi sono reso conto che era davvero un grande uomo di Chiesa. Ben pochi hanno avuto la sua esperienza maturata dalle responsabilità ricevute. Conosceva la Curia Romana e i suoi meccanismi alla perfezione. Praticamente, per una ragione o per un'altra, aveva frequentato tutti i dicasteri vaticani. Non solo conosceva bene la Chiesa e i suoi problemi ma aveva di essa una visione di fede e soprannaturale. Tutto ciò faceva di lui un ecclesiastico di gran statura.


D 3 - Lei accompagnò spesso mons. Lefebvre nelle sue visite in Vaticano. Con quale animo venivano vissuti tali momenti, come si conciliava in lui l'amore per la Roma cattolica ed il desiderio di difendere la dottrina di sempre, spesso contraddetta dalle medesime autorità?

Mons. Lefebvre aveva consacrato la sua vita per la Chiesa, per Roma, per il Papato, viveva per essa e per Lui servire la Chiesa voleva dire salvare le anime. Per questo la crisi post-conciliare fu da lui vissuta come un dramma. Il senso missionario era iscritto profondamente nella sua anima. Possiamo dire che la sua reazione davanti alla crisi della Chiesa fu determinata dalla consapevolezza di quali fossero i veri bisogni anime. Se la fede non è più trasmessa, le anime non possono salvarsi.
Mi ricorderò sempre della sua reazione all’annuncio della prima giornata di Assisi dell’ottobre 1986. Di passaggio ad Ecône, ero nel suo ufficio, e gli dissi quello che si sussurrava su questo progetto. Egli si mise la testa fra le mani e disse con tono molto addolorato: “E’ la distruzione della missione”. Era la sua anima profondamente missionaria chi reagiva.
Ho sempre constatato in lui un grande rispetto per la gerarchia ecclesiastica. Forse la sua timidezza e anche questo rispetto, facevano sì che se un cardinale nella conversazione affermava un errore o diceva cose sbagliate, generalmente monsignore taceva e non parlava più. Per lui era inconcepibile che un uomo di Chiesa potesse parlare così. E uscito dall’incontro mi diceva “Ma come è possibile che il cardinale possa affermare queste cose!” Era sbalordito.

Fu per lui una tragedia certamente il trovarsi in opposizione con Roma e con il Papa. Lui che per decenni fu incoraggiato dal Papa per il suo apostolato in Africa, non concepiva come non potesse più lavorare nello stesso spirito e con lo stesso zelo. Qualche cosa era cambiato con il Concilio. In tali situazioni fu solo la sua gran fede a guidarlo, e fu una fede fino all’eroismo. Pagò con la sua persona.
Nella fede infatti c’è un ordine. La Chiesa è al servizio della Verità (Verità soprannaturale), la Chiesa è la guardiana della Verità, non fa la Verità e non può cambiarla. Poi essa deve trasmetterla nella sua integralità. La Chiesa è anche al servizio delle anime, e ha la responsabilità della loro salvezza. Tutto il resto deve essere ordinato in funzione della Fede e della salvezza delle anime.
Furono questi concetti che guidarono monsignor Lefebvre in questi anni di difficoltà con Roma. Egli era persuaso che un giorno Roma ringrazierà la Fraternità per la sua difesa della fede e per tutti i sacrifici fatti. Io personalmente sono convinto che un giorno la Chiesa riconoscerà la fede eroica di questo vescovo.


D 4 - Lei fu accanto a mons. Lefebvre anche nel momento in cui decise di ordinare i quattro vescovi della FSSPX. Come vennero vissuti quei giorni? Quale fu il fatto decisivo che lo portò a questa difficile scelta?

Non fui il solo sacerdote a seguire da vicino questo momento delicato dell'esistenza di monsignore e della vita interna alla Fraternità. penso che padre Franz Schmidberger, che era allora il Superiore Generale e i quattro che furono consacrati Vescovi, potrebbero testimoniare meglio di me. Ci furono essenzialmente tre tappe per questo cammino: la decisione di consacrare, quando farlo e infine la consacrazione stessa.
La prima tappa fu lungamente preparata con una riflessione personale sulla crisi della Chiesa. molto probabilmente chiese pareri a persone competenti e soprattutto pregò molto. Si sa, ad esempio, che per almeno un anno monsignore si alzò tutte le notti per pregare un’ora davanti al Santissimo Sacramento allo scopo di avere le grazie necessarie per capire quello che doveva fare. L’ho sentito dire: “Potrei lasciare le cose come sono, e poi Il Signore provvederà per il futuro della Fraternità, ma il Signore mi potrebbe dire anche il giorno del giudizio: ha fatto tutto quello che poteva come vescovo?” Al mio umile avviso sarebbe sbagliato pensare che monsignore abbia preso questa decisione solo per la Fraternità e il suo avvenire.
Certamente, egli vedeva piuttosto il bisogno della Chiesa in generale e ritenne, in coscenza, che questo passo era necessario per un ritorno della Tradizione, specialmente attraverso il rinnovamento di un sacerdozio autentico.
Questa fu la prima tappa e, una volta presa la decisione, ci fu per lui come un senso di sollievo perché aveva capito con chiarezza che quella era la volontà del Signore.

La seconda tappa riguardò il quando procedere a tali consacrazioni episcopali. La soluzione del problema venne a seguito di una successione di avvenimenti. Prima volle ancora tentare con Roma la possibilità di vedere che cosa si potesse fare: incontri con il cardinale Ratzinger, poi visita canonica con il cardinale Gagnon, quindi la commissione fra la Santa Sede e la Fraternità, infine il famoso protocollo del 5 maggio 88.
Tutto ciò non avrebbe tuttavia permesso di continuare con serenitàla sua opera, anche se monsignore riconosceva che nel protocollo la Santa Sede faceva delle concessioni importanti come l’uso dei libri liturgici tradizionali.
Certamente inoltre un fatto non secondario era la sua età avanzata. Capiva che non poteva più continuare a viaggiare per impartire le Cresime e fare le ordinazioni. E così prese la decisione di consacrare quattro vescovi il 30 giugno 1988.
La terza tappa la conosciamo tutti. Fu vissuta con un po’ di tensione, a causa di alcune minacce e della gran folla di giornalisti venuti da tutto il mondo.
Aggiungo, a tal proposito, due considerazioni. La prima concerne la serenità e la pace che ha accompagnato monsignore in tutte e tre le tappe e che seppe sempre comunicare a quelli che gli erano vicino. L’altra considerazione riguarda la sua determinazione. Una volta presa una decisione, più niente lo fermava. Prima delle consacrazioni ha avuto tante pressioni da Roma e da altri ambienti, affinché rinunciasse. Questo mi ricorda come avesse mantenuto il medesimo comportamento in occasione della conferenza tenuta nel giugno 1977 a Roma, nel palazzo della principessa Pallavicini. All’epoca ci fu una forte pressione mediatica dei giornali italiani, e delle visite di diverse personalità, ma niente e nessuno lo avevano fermato. Non era un uomo precipitoso nelle sue decisioni. Quando però le decisioni erano state assunte, soprattutto se erano sofferte, più niente lo fermava.


D 5 - E' vero che l'incontro di Assisi del 1986 rappresentò un elemento importante che spinse mons. Lefebvre alla scelta delle consacrazioni episcopali?

Non direi che l’incontro d’Assisi fu l’elemento decisivo. Esso rappresentò piuttosto un segno evidente, e sotto gli occhi di tutti, della gravità della crisi. Indicava infatti con chiarezza dove potevano portare le novità del Concilio Vaticano II. L’Osservatore Romano all’epoca aveva giustificato Assisi con il Concilio. Ecco dove portava la famosa libertà religiosa e l’ecumenismo del Concilio, al di là di tutte le interpretazioni artificiose che si intesero dare a tale evento.
In fin dei conti la crisi attuale porta all’apostasia e ciò che viviamo oggi, la rende ancora più evidente che nel 1988.


D 6 - Mons. Lefebvre le parlò mai del suo incontro con padre Pio? Alcuni autori in proposito raccontano che in tale occasione il santo di Pietralcina rimproverò mons. Lefebvre, altri lo negano. Lei ne sa qualcosa di più?

Monsignore era molto discreto su tutto quello che aveva fatto e faceva. Ma su questo punto, ci ha precisato che l’incontro fu molto breve. Chiese a Padre Pio di pregare per il capitolo generale della congregazione dei missionari dello Spirito Santo della quale era allora il Superiore Generale. Era infatti molto preoccupato e chiese una benedizione. La risposta di Padre Pio fu: E’ lei che deve benedirmi. Non ci furono altre parole. Contro le dicerie sul fatto che padre Pio avrebbe detto che monsignore sarebbe stato all'origine di uno scisma, abbiamo potuto avere la testimonianza dei due sacerdoti che l’avevano accompagnato a San Giovanni Rotondo. Tali testimonianze confermano quello che monsignore ha sempre detto su questo incontro.


D 7 - Anche nei momenti più difficili mons. Lefebvre mantenne rapporti di amicizia con alcuni alti prelati. Ci può dire qualcosa in proposito, specialmente rispetto al suo successore a Dakar il card. Thiandum e al card. Siri?

Monsignore fu sempre rispettato da molti prelati a Roma. Da una parte per gli incarichi che aveva svolto: arcivescovo di Dakar, Delegato Apostolico per tutta l’Africa francese, poi Superiore Generale dei Padri dello Spirito Santo, congregazione questa che contava allora cinquemila membri. Egli compì un lavoro enorme, è un fatto che nessuno può negare. Fu rispettato anche perché era un uomo integro, non ricattabile, coerente e poi parecchi sapevano che in fondo aveva ragione, mentre loro non avevano avuto il suo coraggio per delle questioni di opportunità. Essere criticato, ingiuriato, disprezzato, umiliato, condannato, considerato come fuori della Chiesa, scomunicato, e accettarlo per amore di Gesù Cristo e della sua Chiesa non è dato a tutti.
Il Cardinale di Dakar, mons. Thiandium fu certamente uno dei più coraggiosi. Aveva una grande ammirazione per monsignore, gli doveva tutto, sacerdozio, episcopato e possiamo dire anche cardinalato in quanto, in un certo senso, gli aveva preparato la strada. Non fu soltanto per questo che il cardinale stimava mons. Lefebvre; conosceva le sue qualità e l’aveva visto all’opera a Dakar. So che il cardinale è intervenuto presso Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II in favore di mons. Lefebvre. In occasione del Sinodo sulla famiglia aveva organizzato un incontro fra il cardinal Ratzinger, mons. Lefebvre e lui stesso. Ci furono anche alcuni incontri con il cardinale Siri, ma non saprei dire in quale clima sisvolsero.
Poi, fu sempre ricevuto dai cardinali Oddi e Palazzini.


D 8 - A quanto le risulta mons. Lefebvre ebbe esperienze mistiche?

Se certamente monsignore fu un uomo molto aperto, amabile e di facile approccio, era però molto discreto su quello che aveva fatto per esempio in Africa. Raccontava volentieri delle storie di avventure nella savana ma non il suo operato. Un giorno ho chiesto a sua sorella carmelitana, Madre Marie Christiane se sapesse qualche cosa dell’apostolato in Africa, mi ha risposto: ogni volta che ho chiesto a mio fratello notizie su quello che faceva come missionario o vescovo, lui cambiava discorso.
Essendo stato lui sempre molto riservato circa la sua persona, sarei incapace di dire se ha avuto esperienze mistiche. So con certezza che pregava molto soprattutto quando aveva delle difficoltà da risolvere, e d’altra parte di quel sogno nella cattedrale di Dakar sulla restaurazione del sacerdozio al quale fa allusione all’inizio dell’Itinerario Spirituale, libro che consideriamo un po’ come il suo testamento. Che tipo di sogno era però non lo sappiamo.

D 9 - Alcuni giornalisti hanno sostenuto che mons. Lefebvre, negli ultimi giorni di vita, fosse angosciato e, in un certo senso, "pentito" di alcuni suoi gesti. Le risulta? Quando fu l'ultima volta che lo vide?

Da quello che io posso sapere, monsignore non si è mai pentito di quello che ha fatto. Personalmente ho avuto la grazia di passare una settimana con lui un mese prima della sua morte, tre giorni in Sardegna e tre giorni in Toscana. Lo ho ancora visto in ospedale a Martigny, per un'ora, una settimana prima della sua scomparsa e prima dell’intervento chirurgico a cui fu sottoposto. Posso testimoniare che era molto sereno, mi ha parlato della Fraternità, dei fedeli e più volte a anche scherzato.


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La storia del “cavaliere bianco senza paura” che non ha negato la chiamata del Signore


di Francesco Colafemmina


La relazione della professoressa Siccardi, letta a conclusione del decimo Congresso Teologico del Courrier de Rome organizzato dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X a Parigi agli inizi del gennaio scorso, si configura come un’approfondita ed accorata testimonianza di vita cattolica.

Sì, perché l’incontro con la comunità di Sacerdoti e fedeli legati alla Tradizione, alla messa "gregoriana", alla teologia e all’ecclesiologia preconciliare, si rivela una testimonianza di vita e non semplicemente d’intellettuale apertura a questo o quel leggendario riverbero del passato.

La Tradizione è viva ed è cattolica, nonostante siano in molti i cattolici che stando con tutti e due i piedi nella Chiesa, cercano di sfruttare ogni minima smagliatura all’interno della Fraternità San Pio X per denunciarvi il settarismo, il "protestantesimo" gallicano che vi sarebbe presente. E invece anche quelle smagliature sono fenomeni cattolici, ossia universali, perché mirano alla ricostituzione di un’unità piena tra l’essenza della Chiesa e la sua comunicazione al mondo. Ma andiamo per gradi.

Ciò che più colpisce in questa testimonianza è forse apprendere che l’interesse della Siccardi per Monsignor Lefebvre nasce a seguito dello studio biografico su Papa Paolo VI. Sarà infatti sotto il papato di Montini che si compirà la fondazione del "Seminario selvaggio" di Ecône. E Montini invierà quale suo emissario da Lefebvre il filosofo Jean Guitton, comunicandogli le seguenti parole: "Se andate ad Ecône dite che le mie braccia sono spalancate per riceverli tutti!". Questa frase ha talmente incuriosito la biografa di Paolo VI, da indurla a conoscere realmente la comunità fondata da Lefebvre: "Con un simile padre, pensavo, ci dovevano essere dei figli davvero speciali… E li ho incontrati nel 2006, recandomi, assieme a mio marito e ai miei figli, al priorato di Montalenghe e conoscendo personalmente i sacerdoti della Fraternità. Mi si è allora presentato un mondo che pensavo fosse scomparso e che potevo fino ad allora avvicinare solo attraverso la lettura, lo studio, i miei libri, un mondo spirituale al quale sentivo di esser sempre appartenuta: la mia anima, infine, aveva trovato la sua dimora."

Nasce così il progetto di realizzare una biografia di Monsignor Lefebvre, un lavoro attraverso il quale emergeranno le profonde differenze fra le personalità di Montini e del fondatore della FSSPX.

Anzitutto quelle risalenti alla loro formazione: Lefebvre formato nel Seminario francese di Santa Chiara a Roma sotto la direzione di Padre Henri Le Floch, uomo di sana dottrina; Montini invece esonerato dallo studio in Seminario per ragioni di salute e molto influenzato dall’Oratorio della Pace e da Monsignor Giulio Bevilacqua.

Poi quelle del carattere: Lefebvre deciso, determinato, fermo, Montini più influenzabile, fragile ma allo stesso tempo irremovibile una volta prese le sue decisioni.

E ancora quelle della vita politica: il padre di Montini sarà tra i fondatori del Partito Popolare a Brescia, e Montini verrà influenzato dall’ "aria nuova della Fede incarnata": "ossia l’idea che la Fede sia in sostanza nella vita della Chiesa, intesa come il popolo di Dio, con il risultato di un ruolo importantissimo della vita politica quale espressione di questo sentimento". Al contrario per Lefebvre, la Fede essendo inalterabile, ne discende che è solo a partire da essa che si effettueranno scelte politiche. La Fede è infatti inalterabile.

Si giunge pertanto al confronto storico che vide in qualche modo opporsi queste due anime. E il giudizio della Siccardi è piuttosto tranchant: "Paolo VI è stato sempre attratto dalla figura di Mons. Lefebvre perché lui rappresentava la Tradizione della Chiesa, e questa attrazione, questo appello molto forte alle sue funzioni di guida e di pastore, crearono in lui la reazione violenta caratteristica di colui che è incapace di sovrastare le sue debolezze e accusa coloro che non ne sono afflitti."

Lefebvre è piuttosto "la voce della coscienza" di Paolo VI, colui che identifica le crepe attraverso le quali il "fumo di Satana è entrato nel Tempio" e non si accontenta di registrarne l’esistenza, ma combatte seguendo sempre l’appello del Signore. E’ solo in ragione della giusta battaglia di Lefebvre che "la sua opera si sviluppa nel mondo per quarant’anni e continua a portare buoni frutti". Egli è il "cavaliere bianco senza paura che non ha negato la chiamata del Signore".

A distanza di tutti questi anni nuovi scenari sembrano attribuire sempre maggiore importanza alla testimonianza di Monsignor Lefebvre e alla sua opera. E nonostante la scomunica, vissuta con sofferenza, da un Vescovo che agiva con coerenza nella preservazione della sana dottrina e del suo mandato (tanto da far incidere sulla sua tomba: "Ciò che ho trasmesso è ciò che ho ricevuto" 1 Cor.11,23), Lefebvre è sempre rimasto legato alla Romanità, alla Cattolicità della Chiesa. Citando, infatti, un’omelia di Mons. Fellay, la professoressa Siccardi ricorda "che non esiste uno spirito della Fraternità. Lo spirito proprio della Fraternità è lo spirito della Chiesa. (…) Ed è per questo che Monsignor Lefebvre ha semplicemente ripreso ciò che la Chiesa ci dona. Ciò su cui dovrebbe essere centrata: la Messa. E’ il fondamento, la fonte di ogni grazia, di ogni santificazione. E’ davvero il rimedio, il rimedio a questa crisi."

Ecco quindi svelato il messaggio: la Fraternità Sacerdotale fondata da Lefebvre ha il compito di trasmettere alla Chiesa il tesoro cui essa ha rinunciato in un periodo storicamente dato e, se vogliamo, al di là del Concilio, mentre lo Spirito Santo non operava più nel consesso dei Vescovi di tutto il mondo. La messa, riformata da una commissione di uomini, "riscritta a tavolino" come Ratzinger più volte ha ripetuto, si è rivelato uno dei più forti cedimenti della cattolicità alla modernità, all’antropocentrismo, ad un ecumenismo sterile e a senso unico. Il recupero del tesoro del passato, reso possibile dalla clemenza e dalla saggezza di Papa Benedetto XVI, consentirà alla Chiesa di sentirsi più vicina a se stessa, alla sua identità e alle sue radici. Ma la missione non è compiuta. Perché dalla messa si dipanano quelle trame che intessono di autenticità la vita cattolica. Il valore della testimonianza della professoressa Siccardi risiede, a mio parere, proprio in questa capacità di evocare la vita cattolica della Fraternità, lo spirito ampio e vivo di Monsignor Lefebvre che non era legato ai pizzi e merletti del rito antico, che non guardava al latino idolatrando un ritualismo sterile e scollegato dall’autentico viver cattolico, ma che nel rito poneva il culmine dell’intera essenza del cattolico. Una fede inautentica, mutilata, ambigua, può celebrare centinaia di messe, ma pur permanendo l’azione salvifica della messa, essa non sarà pienamente operante nelle anime. Così quell’affezione rituale finirà per svanire, per scolorare appena la moda si estinguerà. Solo una messa intesa qual culmine di un intero vivo e organico esser cristiani, può avere lunga durata, fino alla fine dei tempi. E in ciò sta la sfida che tutto il mondo "tradizionalista" dovrebbe raccogliere. Una sfida incarnata dall’autenticità della fede vissuta dalle famiglie della Fraternità, dai suoi sacerdoti, dall’esempio sempre attuale di Monsignor Marcel Lefebvre. Solo così potremo rileggere con convinzione e spirituale comunione le parole pronunciate da Lefebvre il 23 Settembre del 1979 e citate dalla professoressa Siccardi, a conclusione della sua relazione:

"Pe la gloria della Santissima Trinità,
per l’amore di Nostro Signore Gesù Cristo,
per la devozione alla Santissima Vergine Maria,
per l’amore della Chiesa,
per l’amore del Papa,
per l’amore dei Vescovi, dei sacerdoti e di tutti i fedeli,
per la salvezza del mondo,
per la salvezza delle anime,
preservate questo testamento di Nostro Signore Gesù Cristo!
Preservate il sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo!
Preservate la messa di sempre!"

******************************************



Smile  non per spirito di femminismo, ma per concordia che mi piace come ha scritto la figura di mons. Lefebvre, la Cristina Siccardi....  
e dalle riflessioni di Francesco nel testo mi vien da pensare che come noi siamo invitati dal Pontefice a RILEGGERE il Concilio nel modo corretto, lo stesso possa e deve fare anche la FSSPX, rileggendo il suo ispiratore che mai volle muovere guerra contro il Pontefice, nè men che meno giudicarlo e condannarlo.... al contrario, fondare una Fraternità PER METTERLA AL SUO SERVIZIO E DELLA CHIESA....  
Wink  


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Un prete chiamato Lefebvre

di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

“Monsignor Lefebvre era più che un amico, un fratello, una vera guida spirituale per me, scevro da ogni materialismo, un uomo che adoravo. (…) Le confesso che ero un pellegrino fedele di Ecône. Non mangerò più al suo fianco, in mezzo ai suoi parrocchiani di ogni nazionalità. E mentre mi benediceva, pregando per me in mezzo a tutta quella gente, ai fedeli venuti da ogni angolo del mondo, amava presentarmi come un musulmano senegalese, così che io ne andavo fiero ed ero contento. Una bella persona, di un’intelligenza viva e che non aveva amore che per Dio e per Gesù”.
 Firmato Ababacar Sadikhe Thiam, musulmano, in data 26 marzo del 1991 e inviato al vescovo di Dakar, cardinale Hyacinthe Thiandoum.

Il Marcel Lefebvre di cui parla Ababacar Sadikhe Thiam non è un omonimo, è proprio lui, il “vescovo tradizionalista”, il “vescovo ribelle”, il “vescovo scismatico”. Fa un certo effetto scoprire che l’elogio funebre più bello per il difensore della Messa antica e della tradizione cattolica, per il nemico di quel falso ecumenismo che equipara tutte le religioni, per il sostenitore della regalità sociale di Cristo lo abbia scritto un seguace di Maometto.

Come un cavaliere medioevale, anche il vescovo Lefebvre aveva il suo amico musulmano, che invitava a pranzo al suo tavolo, che esibiva senza imbarazzi ai suoi fedeli a Ecône, che benediceva. Ma nella società plasmata dai mass media la storia è fatta dai titoli di giornale, e così è nata la leggenda del “vescovo ribelle”, che prese corpo il 29 agosto 1976, il giorno in cui monsignor Lefebvre, già sospeso a divinis per la sua opposizione alle innovazioni postconciliari, celebrò pubblicamente a Lilla una Messa in rito romano antico. “Nuovo passo verso lo scisma”, “Il tempo delle sfide a Roma è superato: siamo alla prova di forza”, “Monsignor Lefebvre sfida oggi Paolo VI con la Messa proibita”. Una presa d’atto sbrigativa che trasformò subito il cliché in moneta corrente.

Eppure, proprio quel 29 agosto 1976, durante l’omelia, il cosiddetto “vescovo ribelle” spiegò benissimo la natura di quanto stava accadendo. “Io non sono né ho mai sognato di definirmi ‘il capo dei tradizionalisti’. (…) Perché? Perché anch’io sono un semplice cattolico. (…) Ho, come voi, le medesime reazioni davanti alla distruzione della Chiesa, davanti alla distruzione della nostra fede, davanti alle rovine che s’accumulano sotto i nostri occhi”. Un semplice cattolico, scritto così, senza virgolette. Quanto sarebbe stato più facile comprendere la sua azione, il suo pensiero, la sua dottrina, la sua fede se qualcuno, allora, avesse considerato il “vescovo ribelle” un semplice cattolico.

Ma gli anni Settanta, forgiati nella fucina dell’ideologia conciliare non prevedevano la categoria di “semplice cattolico”. Una “Nuova chiesa” aveva sostituito una “Vecchia chiesa”: si apparteneva all’una o all’altra, i buoni a quella “Nuova” e i cattivi a quella “Vecchia”.

In virtù di questo schema, la totalità dei progressisti, buona parte dei conservatori e persino non pochi tradizionalisti si sono abbandonati a una lettura del “fenomeno Lefebvre” prigioniera in vario modo del mito del Concilio. Con duemila anni di vita e di dottrina a disposizione hanno giudicato quegli eventi guardandoli dal buco della serratura del triennio 1962-‘65. Tutti accomunati dalla convinzione che i “rigurgiti passatisti” si sarebbero estinti per semplice via anagrafica. Bastava attendere. Tanto più quando la scomunica latae sententiae colpì nel 1988 il vescovo francese, monsignor Antonio De Castro Mayer e i quattro vescovi da loro consacrati al fine di garantire la sopravvivenza della Fraternità Sacerdotale San Pio X fondata da Lefebvre. E il tentativo di soffocare il “fenomeno tradizionalista” finì per dargli una fisionomia precisa e riconoscibile e fortemente identitaria e non sempre mansueta.

In questo stagno, è piombato di recente un libro di Cristina Siccardi. Una studiosa che si è imbattuta nel vescovo francese lavorando alla vita di Paolo VI e ne ha tratto un volume edito da Sugarco con il titolo “Monsignor Marcel Lefebvre. Nel nome della Verità”, senza per questo mettere in discussione la definizione di Papa della luce che sta nel sottotitolo della sua biografia di Montini. E’ difficile raccontare la storia di questo prelato senza dividerla, almeno per comodità, tra un prima e un dopo il Concilio. Sarebbe anche sbagliato concettualmente trascurare questo spartiacque.

Ma, come mostra la Siccardi, c’è una cifra che lega ogni momento la vita di Lefebvre, dall’entrata in seminario alla morte, è la romanità, che il giovane Lefebvre impara ad amare al seminario francese Santa Chiara di Roma. Romanità e santità sacerdotale. Ordinato nel 1929, viene assegnato come vicario alla parrocchia di Le Marais a Lomme, una piccola borgata operaia a ovest di Lille e lì scopre che proprio questo i fedeli chiedono a un prete: “I parrocchiani” ricorderà molti anni dopo “giudicano la religione secondo il loro sacerdote. (…) Cos’è che convince la gente della verità della Chiesa? E’ la santità. Questa si vede. Bisogna che le persone sappiano che il sacerdote è un uomo di Dio e non un mediocre paesano, imborghesito, pronto come gli altri a prendersi le sue vacanze, un uomo che ha un impiego e basta”.

Con questo ideale di prete, entra nella famiglia religiosa dei Padri dello Spirito Santo e diventa missionario. Nel 1932 parte per il Gabon. Viaggia per i villaggi del Continente nero, si occupa di anime, soccorre i corpi, celebra Messa, confessa, distribuisce l’Eucaristia, celebra matrimoni, battezza adulti e neonati. In una parola, evangelizza. E, siccome evangelizza, civilizza. Siccome sana le anime, cura i corpi, rende più umana la vita di uomini che a fatica sospettavano di esserlo. Arrivato in visita ai cantieri del lago Gomè, ottiene il permesso di riunire gli operai per la Messa e per le confessioni. Poi va dal capocantiere e lo sbatacchia per le condizioni di lavoro: “Il reclutamento è abominevole e vergognoso, si tratta davvero di schiavitù. Le condizioni di lavoro, di paga, le abitazioni sono deplorevoli, soprattutto nelle miniere. Gli indigeni sono in grado di lavorare bene, purché abbiano l’ambiente e l’atmosfera del villaggio, e il conforto religioso che desiderano”.

Quando, nel 1943, viene nominato superiore della missione di Lambarené, conosce il medico tedesco della vicina missione luterana, che si chiama Albert Schweitzer. La missione cattolica collabora con quella protestante trasportando i materiali che servono alla costruzione dell’ospedale e il dottor Schweitzer si reca alla missione di padre Lefebvre per curare i religiosi malati. Il medico alsaziano, grande appassionato di Bach, nelle feste suona l’organo della chiesa di San Francesco Saverio, mentre padre Marcel celebra la Messa. Gli indigeni assistono rapiti allo spettacolo di quelle liturgie, accompagnate da Bach o dal canto gregoriano. “Riunire tutti intorno all’altare” annota padre Lefebvre “questo è lo scopo del sacerdote. Così, in missione la prima cosa da fare nella zona è costruire una chiesa. (…) bisogna vedere come gli indigeni sono felici della bellezza e della grandezza della loro chiesa, perfino quando si trovano nella miseria più nera”. Il miracolo di un sorriso più forte della miseria cantato in gregoriano da gente che, poco più tardi, verrà indotta da missionari malati di inculturazione a tornare ai costumi tribali che aveva volentieri abbandonato.

Nel giugno del 1944, Lefebvre si trova in Gabon quando viene raggiunto dalla notizia della morte di suo padre. Ne parla il giornale Nord Libre, subito dopo che gli americani sono sbarcati in Normandia: René Lefebvre è morto il 4 marzo del 1944 nel campo di concentramento KZ di Sonnenburg, nel Brandeburgo. La sua ultima lettera alla famiglia porta la data del 9 settembre 1941, e dice: “Sapete che io muoio da cattolico francese, monarchico, perché per me è con l’istituzione di monarchie cristiane che l’Europa, il mondo intero possono trovare stabilità, la pace autentica”.

Una lezione sulla rilevanza sociale della fede che padre Marcel trasmette volentieri ai giovani seminaristi che gli sono affidati: “Non vi infiacchite, non vi dividete, studiate bene la morale sociale. State in guardia dall’essere ‘tutti per il popolo’ a priori, e dall’essere per ‘coloro che possiedono ricchezze’ a priori. Entrambi esistono ed esisteranno sempre”. In refettorio fa leggere durante i pasti la lettera Testem benevolentiae di Leone XIII sull’americanismo, e i testi di Pio X, dall’enciclica Pascendi Dominici Gregis alla Lettera ai vescovi francesi intorno al Sillon.

Nel 1947, a quarantadue anni, Lefebvre viene creato vescovo, e mandato a Dakar, poche decine di migliaia di cattolici in mezzo a tre milioni di musulmani. Come motto episcopale sceglie “Et nos credidimus caritati”, e noi abbiamo creduto alla carità, mentre il suo comandamento operativo è un cattolicissimo e praticissimo “non perdere tempo”. Dotato di “zelo missionario” viene nominato da papa Pio XII suo rappresentante per tutte le colonie francesi, riconoscendogli di “aver governato prudentemente, saggiamente e attivamente il vicariato apostolico di Dakar”.

Poi arrivano i favolosi anni Sessanta e Lefebvre diventa suo malgrado il simbolo di una crisi interna alla Chiesa di cui parlerà il mondo intero. Membro della Commissione preparatoria del Concilio, giudica positivamente i risultati di questa fase preliminare. Ma nota quasi subito che vi sono teologi e vescovi che hanno in mente cambiamenti sostanziali alla dottrina cattolica. Si tenta di rompere con la tradizione della Chiesa. Il vescovo francese non è solo non è solo e dà vita al Coetus Internationalis Patrum, rappresentativo di 450 padri conciliari. Si deve a una petizione del Coetus se nel 1965 Paolo VI, contro il parere negativo della commissione teologica, proclamerà “Mater Ecclesiae” la Vergine Maria, con un motu proprio che riaffermerà il primato papale sul Concilio.

“E’ impossibile andare blaterando che solamente le applicazioni postconciliari sono cattive” dice più tardi. “Le ribellioni del clero, la contestazione dell’autorità pontificia, tutte le stravaganze della liturgia e della nuova teologia, la desertificazione delle chiese, non avrebbero dunque nulla a vedere, come si è affermato anche di recente, con il Concilio? Ma andiamo!”. Ma è pronto a riconoscere i meriti di Paolo VI, che il 30 giugno del 1968 proclama sul sagrato di San Pietro lo stupendo Credo del popolo di Dio: “Un atto che dal punto di vista dogmatico è più importante di tutto il Concilio”. Un gruppo di seminaristi, gli chiede di fare qualcosa per la loro formazione cattolica e nasce la Fraternità Sacerdotale San Pio X, stimata, apprezzata e riconosciuta dalla Chiesa e poi soppressa.

Poi, è un correre di gran carriera fino alla morte, il 25 marzo 1991, passando per sospensione a divinis, scomunica latae sententiae, accuse di scisma e demonizzazioni. Tutto vissuto attraverso una convinzione espressa con lucidità dolente fin dall’omelia della Messa di Lille: “Ora io faccio (…) un’opera in tutto simile a quella che ho compiuto per trent’anni ed ecco che, improvvisamente, sono sospeso a divinis, magari fra un po’ scomunicato, separato dalla Chiesa, rinnegato, che so? E’ possibile? Forse che quello che ho fatto per trent’anni era pure suscettibile  d’una sospensione a divinis? Penso, al contrario, che se in passato io avessi preparato dei seminaristi come lo si fa oggi nei nuovi seminari, io sarei stato scomunicato. Se allora avessi insegnato il catechismo che s’insegna nelle scuole, mi avrebbero considerato eretico. E se avessi detto la Santa Messa come la si dice ora, mi avrebbero considerato sospetto d’eresia, fuori dalla Chiesa. A questo punto io non comprendo più. Qualcosa ha cambiato la Chiesa ed è a ciò che voglio giungere…”.

Due degli atti più importanti del pontificato di Benedetto XVI siano il motu proprio Summorum Pontificum con cui ha ridato cittadinanza alla Messa in rito antico e la revoca del decreto di scomunica del 1988. Due atti talmente eversivi rispetto al pensiero dominante da non limitarsi far pensare a un futuro imprevedibile sino a poco tempo fa, e addirittura da imporre una rilettura del passato. Quando si rilegge il passato, crollano i muri, e, soprattutto, mutano le fisionomie degli uomini. Allora certe espressioni inquiete del Lefebvre degli ultimi tempi additate troppe volte come segno di durezza del cuore potranno essere lette per ciò che erano veramente, sofferenza per le condizioni della Chiesa sul corpo di un vescovo aggredito dal cancro.


Fonte: Il Foglio 1 marzo 2011
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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13/03/2011 23:50
 
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La Tradizione è l’anima della Chiesa

Vi trasmetto quello che ho ricevuto
di Cristina Siccardi

La Tradizione è l’anima della Chiesa, la linfa vitale e santificante, dalla quale nessun cattolico può prescindere. La Tradizione della Chiesa, orale e scritta, tutta intera, non parziale, non a frammenti, custodisce la Verità lasciata in eredità da Cristo, l’Unto di Dio, il Sacerdote salito e morto sulla Croce per la salvezza di ciascuno. A questa Tradizione ha sempre fatto riferimento Monsignor Marcel Lefebvre che riuscì, con la sua inossidabile, inscalfibile Fede e per speciale grazia divina, a diagnosticare le cause della crisi della Chiesa e, come un buon medico, a consegnare ai suoi contemporanei e alle generazioni future la terapia corretta per la guarigione.

Nel testo recentemente uscito in libreria Vi trasmetto quello che ho ricevuto. Tradizione perenne e futuro della Chiesa (Sugarco, € 18,80), curato da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, Monsignor Lefebvre illustra con Fede e sapienza, con lucidità e chiarezza, le ragioni essenziali della Tradizione: essa non è realtà chiusa in se stessa e nel suo passato, con i suoi insegnamenti, i suoi riti, le sue preghiere; non è una suggestione per pochi e sparuti nostalgici, bensì la vita perenne della Chiesa, quella che non è legata ad un periodo storico preciso e si esaurisce in esso, ma è il cuore pulsante della Sposa di Cristo dal quale si dipartono tutte le arterie che irrorano l’unica religione vera, come la proclamò è la cantò sant’Agostino d’Ippona (354-430) e l’altro convertito, lontano nel tempo e nello spazio, ma non nella comunione di santità, il Beato John Henry Newman (1801-1890), il valoroso e impavido pastore che dichiarò guerra aperta, nel XIX secolo, al liberalismo come la dichiarerà, nel secolo successivo, il paladino della Tradizione, Monsignor Marcel Lefebvre.

La Rivelazione venne comunicata oralmente da Cristo ai Dodici, con il compito di trasmetterla ovunque e di generazione in generazione. Afferma Monsignor Lefebvre: «Da quella promessa fino ai giorni nostri la storia della misericordia di Dio verso l’umanità è la storia dell’antico e del nuovo Testamento e pertanto tutta la storia della Chiesa. Lo Spirito soffia dove vuole e si sceglie, per venire in soccorso alla Chiesa in pericolo, Pontefici e umili fedeli, prìncipi e pastorelle. […] lo Spirito Santo non potrà che far eco a Nostro Signore. Per questo, seppure con modalità esteriori diverse, coloro che Egli ha scelto hanno ripetuto e fatto le medesime cose, si sono nutriti alle stesse fonti per rendere vitalità alla Chiesa. Sant’Ilario, san Benedetto, sant’Agostino, sant’Elisabetta, san Luigi, santa Giovanna d’Arco, san Francesco d’Assisi, sant’Ignazio, il santo curato d’Ars, santa Teresa del Bambin Gesù […]. Tutti tennero in grande stima i sacramenti e particolarmente l’Eucaristia e il Santo Sacrificio della Messa. Tutti manifestarono il distacco dai beni di questo mondo e lo zelo per la salvezza dei peccatori. Non avevano nulla di più caro che la gloria di Dio, di Nostro Signore Gesù Cristo, l’onore della Sua unica Chiesa. La Sacra Scrittura era loro familiare e veneravano la Tradizione della Chiesa espressa nelle professioni di fede, nei Concili e nei catechismi, dove si trova l’autentica dottrina trasmessa dagli apostoli» (pp. 77-78).

La giovinezza della Tradizione

Come il Figlio di Dio appartiene a tutti i tempi, anche la Tradizione appartiene a tutte le generazioni, ecco la giovinezza perenne della Chiesa, Sposa di Cristo, infatti, scrive ancora Monsignor Lefebvre, ricordando san Paolo: «Jesus Christus heri, hodie et in saecula», «Gesù Cristo ieri, oggi e per tutti i secoli» (Eb 13,8) e ciò che è eterno non passa, perché “è”.

Tuttavia la Chiesa militante cammina e allora «può accadere che il messaggio si attenui, che i nemici della Chiesa riescano a soffocare la buona semente, che la negligenza dei pastori attenui la fede, che i costumi si corrompano, la cristianità presti un orecchio benevolo alle critiche ironiche di questo mondo perverso» (p. 79), dove Satana non minaccia soltanto ciò che sta fuori dalla Chiesa, ma cerca con violenza di insinuarsi anche all’interno nel tentativo che essa si autodemolisca: «Allora i rinnovamenti si impongono; ma sull’esempio di Nostro Signore che è l’eco del Padre, dello Spirito Santo che è l’eco del Figlio, gli apostoli non hanno mai cessato di ripetere ai loro discepoli: ricordate ciò che vi è stato detto, rimanete nella dottrina che vi è stata insegnata, conservate il deposito della fede, non vi lasciate raggirare dai falsi profeti, mentitori, figli di perdizione, destinati al fuoco eterno con tutti coloro che li seguono. Rileggiamo le epistole di san Paolo a Timoteo e a Tito, le epistole di san Pietro, di san Giacomo, di san Giovanni.

Se si cerca in san Giovanni Crisostomo (344/354-407 begin_of_the_skype_highlighting              344/354-407      end_of_the_skype_highlighting), in sant’Ilario di Poitiers (315 ca-367), in sant’Agostino il loro criterio di giudizio sugli errori del loro tempo, si osserva che essi ritornano sempre a ciò che hanno insegnato coloro che avevano udito parlare gli apostoli o i loro testimoni diretti, e soprattutto a ciò che avevano insegnato coloro che si erano succeduti sulle cattedre degli apostoli, in particolare sulla cattedra di Pietro» (p.79).

In queste pagine emerge tutto l’amore di monsignor Lefebvre per Roma, patria dell’integra Tradizione, la città scelta da Gesù per la propagazione della Tradizione: «Domine, quo vadis?» («Signore dove vai?») gli chiese Pietro quando proprio da Roma era tentato, per paura, di fuggire e il Signore, guardandolo, gli rispose: «Venio Romam iterum crucifigi» («Vengo a Roma a farmi crocifiggere di nuovo»). A Roma dunque, non più a Gerusalemme.

Ogni volta che la Chiesa è stata ferita e colpita, si è sempre risollevata grazie alla regola d’oro della Tradizione e, anche oggi, afferma Monsignor Lefebvre, occorre fare riferimento all’aureo filo della fedele e incorrotta trasmissione: «Bisogna dunque ritornare alla regola d’oro di tutta la Tradizione, sia per la fede che per i costumi» (p. 81).

La Santa Messa e la santità sacerdotale

In questo salutare e reviviscente ritorno alla Tradizione sono essenziali due elementi: la Santa Messa di sempre, dove si rinnova il Santo Sacrificio del Signore Gesù e i sacerdoti. Alla Santa Messa Monsignor Lefebvre non ha rinunciato, incurante dei costi personali pagati e pagandi, quella Messa liberalizzata nel 2007, dopo decenni di persecuzione, dal Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI.

Diceva il Vescovo che comprese che dalla salvaguardia della Santa Messa di sempre avrebbe trovato giovamento il Credo dei fedeli: «Contemplare la Santa Messa significa contemplare Gesù sulla croce. ContemplarLo come ha fatto la Madonna, che stava accanto a Lui, e vedere in quella croce il culmine dell’amore di Dio per noi. Potremmo definire Gesù come l’amore spinto fino al sacrificio di sé, che è il sacrificio supremo. È proprio questo, Nostro Signore: l’amore per il Padre e l’amore per il prossimo spinto fino al sacrificio supremo, fino all’ultima goccia del Suo sangue. È questa la più grande manifestazione dell’amore di Gesù per il Padre e per noi» (pp. 208-209).

Monsignor Lefebvre non ha rinunciato neppure alla santità sacerdotale per la quale ha speso immense energie; al fine di custodirla e diffonderla ha fondato un Seminario, che ha mantenuto i parametri della formazione preconciliare, ma ha anche dato vita ad un’istituzione, la Fraternità Sacerdotale San Pio X. Ecco dunque che «senza alcuna ribellione, noi proseguiamo la nostra opera di formazione sacerdotale alla luce del magistero di sempre, persuasi di non poter rendere miglior servizio alla santa Chiesa cattolica, al Sommo Pontefice e alle generazioni future. “Se accadesse”, dice san Paolo, “che noi stessi o un angelo venuto dal cielo vi insegnassimo cose diverse da ciò che vi ho insegnato, che sia anatema”. San Paolo si fa anatema lui stesso qualora insegni delle novità, qualora insegni qualcosa che non ha insegnato un tempo» (p. 84), che non è stato trasmesso, quindi, dalla Tradizione…

Il tentativo di calpestare la Tradizione

Nel Concilio Vaticano II si è tentato, a volte con prepotenza, a volte con blandizia e furberia, di lasciare alle spalle la Tradizione, come se la Chiesa dovesse liberarsi da una zavorra, da un ferro vecchio: il mondo moderno, “emancipato” e “intelligente”, scientista e amante del progresso, lo esigeva, lo pretendeva. Il Concilio pastorale del XX secolo, il primo della storia della Chiesa con questa caratterizzazione, volle provare a dialogare con il mondo contemporaneo, con le sue filosofie e le sue prassi, con la sua religione antropocentrica, come lucidamente chiarito da Paolo VI (1897-1978) nell’allocutio di chiusura del Concilio stesso (7 dicembre 1965). Dichiara Monsignor Lefebvre: «Una minoranza liberale fra i padri del Concilio e soprattutto fra i cardinali fu attivissima, molto organizzata, e quanto mai appoggiata da una pleiade di teologi modernisti e da numerosi segretari. Basta pensare all’enorme produzione di pubblicazioni dell’IDOC [rivista teologica di «documentazione trans-confessionale per il rinnovamento religioso e umano»], sovvenzionata dalle Conferenze episcopali tedesca e olandese. Essi ebbero gioco facile nel chiedere costantemente l’adattamento della Chiesa all’uomo moderno, cioè all’uomo che vuole liberarsi da tutto, nel presentare la Chiesa come inadatta, impotente, e nel far battere il petto ai predecessori. La Chiesa viene presentata altrettanto colpevole che i protestanti e gli ortodossi delle separazioni di una volta. Essa deve chiedere perdono agli attuali protestanti» (p. 96).

In questa atmosfera di ebbrezza di liberazione si tennero i lavori del Concilio Vaticano II, un’atmosfera alla quale si oppose, con temerarietà, il Vescovo Marcel Lefebvre, che votò la maggioranza dei documenti conciliari, ma che si oppose fermamente a quelle novità di chiarissimo carattere liberale. «… io non sono né mai ho sognato di definirmi “il capo dei tradizionalisti”. Altri hanno affermato questo, anche a Roma, ma io non lo sono affatto. Perché anch’io sono un semplice cattolico» (p. 100) e come semplice cattolico, come sacerdote e come Vescovo, Monsignor Lefebvre si attenne ai principi dettati dal grande difensore della Tradizione, san Vincenzo di Lérins (?-450 ca), il quale scrisse, ben conoscendo il pericolo delle eresie:

«Cosa farà il cristiano cattolico se qualche piccola parte della Chiesa si staccherà dalla comunione, dalla fede universale? Quale altra decisione prendere, se non preferire alla parte cancrenosa e corrotta il corpo nel suo insieme che è sano? E se qualche altro nuovo contagio cerca di avvelenare non più una piccola parte della Chiesa, ma tutta quanta, allora sarà sua massima cura attenersi all’antico, che evidentemente non può essere sedotto da alcuna novità menzognera» (san V. di Lérins, Commonitorium). Sulla base di tale principio Monsignor Lefebvre trovò il coraggio di parlare ad alta voce e di difendere la Tradizione considerando questa resistenza «il più grande servizio che possiamo rendere alla Chiesa e al successore di Pietro» (p. 117).

Cristo è il Re

Il ritorno alla Croce è basilare: Cristo ha regnato attraverso la Croce, perché quella Croce ha vinto il peccato, ha vinto il demonio, ha vinto la morte, perciò «… la Vergine Maria, ai piedi della croce, ve lo ripete. Ella, col cuore trafitto, colmo di sofferenze e di dolore, ma ugualmente pieno di gioia nell’unirsi al sacrificio del suo divin Figlio, vi ripete: “Siate cristiani, siate cattolici”. Non lasciamoci allettare da tutte le idee mondane, da tutte le correnti del mondo che trascinano verso il peccato e l’inferno. Se vogliamo andare in cielo, dobbiamo seguire Gesù, portare la nostra croce e seguirLo; imitarLo nella Sua croce, nella Sua sofferenza, nel Suo sacrificio» (p. 123).

Monsignor Lefebvre, nella tempesta delle idee rivoluzionarie e nella bramosia delle novità, scelse di continuare nel terreno arato in venti secoli di Cristianesimo e definì tale decisione: «operazione sopravvivenza della Tradizione» (p. 149).

Occorre, spiega ancora, custodire il Testamento di Gesù Cristo: la Santa Messa, fondata sul sacrificio, che è «tutto per Dio» (p. 122), perciò, con afflato mistico, grida: «per la gloria della Santissima Trinità, per l’amore di Nostro Signore Gesù Cristo, per la devozione alla Santissima Vergine Maria, per l’amore della Chiesa, per l’amore del Papa, per l’amore dei vescovi, dei sacerdoti, di tutti i fedeli, per la salvezza del mondo… custodite il testamento di Gesù Cristo, custodite il Sacrificio di Nostro Signore! Conservate la Messa di sempre!» (p.125).

La concezione e la spiritualità di monsignor Lefebvre sul Santo Sacrificio sono riconducibili a quelle del santo Curato d’Ars (1786-1859) e di padre Pio da Pietrelcina (1887-1968): «Nella Messa e sulla croce la Vittima e il Sacerdote principale sono identici. La Vittima è il “Cristo stesso”, è presente sotto le specie del pane e del vino» (p. 162).

Tutte le sublimi chiese che sono state edificate nel tempo sono state innalzate per questa Santa Messa e per questa Messa sono stati formati sacerdoti degni di tale compito, con Fede autentica, in Grazia di Dio, dove vita naturale e vita soprannaturale si incontrano felicemente e si fondono l’una nell’altra. Non è semplice, ma possibile, infatti se «veramente noi viviamo con Dio, se veramente siamo con il Signore e ci abbandoniamo a Lui, stiamo sicuri che Egli, giorno per giorno, ci indicherà la via da seguire. […] se restiamo tra le braccia di Dio saremo senz’altro sicuri di essere Suoi figli obbedienti e intimamente uniti a Lui» (p. 189).

Materialismo, liberalismo, indifferentismo, latitudinarismo… hanno infettato la società, dove tutti i culti delle più svariate religioni sono stati posti sullo stesso piano della Fede cattolica. Nessuno sembra più credere alla regalità di Gesù Cristo, ma il giorno in cui Egli tornerà «improvvisamente sulle nuvole del cielo, costoro saranno costretti a dire: “Ah! Egli è Re davvero. Noi non pensavamo che fosse possibile”. Sì, Nostro Signore è Re ed Egli solo sarà Re: non ve ne saranno altri. La gente non ci crede, come se fosse una favola. Essi vivono in un tale liberalismo, in un così diffuso laicismo, da esserne profondamente contagiati. Sono impastati di materialismo. Perciò non si pone più Gesù al posto che Gli spetta». (p. 193). Come non ricordare in queste affermazioni le parole dell’Evangelista Matteo, il quale descrive ciò che accadde sul Calvario quando Gesù spirò sulla Croce? «Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”» (Mt 27, 51-54 ).

L’amore per Roma

La salvezza delle anime, «salus animarum suprema lex», come insegna san Tommaso (Cfr. Quaestiones quodlibetales, XII, q.16, a. 2; anche Codice di Diritto canonico 1983, can. 1752), stava in cima ai pensieri del Vescovo che, simile all’aquila quando plana nelle altezze, riuscì a mantenere una visione globale della situazione che veniva a crearsi. Rimase, così, fuori dalla pandemia liberaleggiante e, conservando umiltà e semplicità, riuscì a trasmettere tutto ciò che aveva ricevuto: integrità della Fede di Santa Romana Chiesa, primato petrino, dottrina cattolica, celebrazione del Santo Sacrificio di sempre, santità sacerdotale.

Chiarissimo da queste pagine, che trasudano Amore per la Trinità, per Maria Santissima, per i Santi, tutto il suo attaccamento per Roma: egli soffre che i massoni, cercando di distruggere la Chiesa, la relegarono nella Città del Vaticano, ma gioisce ogni volta che la raggiunge. Considerava, infatti, elemento imprescindibile, sia per i seminaristi che per i sacerdoti della Fraternità San Pio X, chiamati a «mai dimenticare» (p. 215), l’influenza romana sulla «nostra spiritualità, sulla nostra liturgia e anche sulla nostra teologia» (p. 215). Roma è sede di Pietro e monsignor Lefebvre rammenta il verso di Dante (1265-1321): «Onde Cristo è romano» (Purgatorio, XXXII, 102), perciò il Vescovo arriva alla determinazione che non si può essere «cattolici senza essere romani». Il Cristianesimo, per volontà di Dio, è stato colato nello stampo romano, quindi non «dimentichiamolo mai: spetta anche a noi custodire questa tradizione romana voluta dal Signore» (p. 216).

Monsignor Lefebvre, che dispiegò tutte le sue qualità e le sue energie per il trionfo della Verità, combatté con umiltà, evitando gli eccessi, anzi egli raccomandava la pacatezza e la tranquillità, lasciando perdere ogni tipo di sterile polemica perché, sosteneva, «non lavoriamo contro nessuno, né persone né istituzioni» (p. 231). Egli, con i suoi figli, quelli fedeli, lavorò e lavora non per distruggere, ma per costruire.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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25/03/2011 15:39
 
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Ventennale della morte di mons. Lefebvre


Sono trascorsi già vent'anni da quel 25 marzo 1991, Festa dell'Annunciazione, giorno nel quale si concluse l'esistenza terrena dell'Arcivescovo Marcel Lefebvre. Due decenni certamente non sono nulla se rapportati alla bimillenaria storia della Chiesa, non sono pochi, tuttavia, se considerati nell'ottica della nostra umanità, specialmente in quest'epoca contemporanea dove tutto sembra accelerare, dalla comunicazione ai trasporti, dalle mode effimere in campo artistico, al linguaggio "pastorale" sempre mutevole dei documenti magisteriali.

Potrebbe allora apparire anacronistico o velleitario soffermarsi a ricordare la vita di quest'uomo senza dubbio "diverso" ed in netto contrasto con tutti gli orientamenti più moderni ed attuali del mondo che ci circonda. La sua memoria sembrò allora destinata ad un inesorabile oblìo: fascista ed oscurantista per i laicisti, disobbediente e scismatico per i cattolici, intollerante ed antisemita per gli ebrei, quantomeno presuntuoso e nostalgico per quasi tutti. Scomunicato dalla Chiesa e dal mondo! Destino davvero insolito questo se è vero, come è vero, che queste due entità dovrebbero, secondo quanto insegnato dal Vangelo, sempre opporsi l'una all'altra senza poter condividere nè gli amici nè i nemici.

Ma le profezie di allora, che preannunciavano una "damnatio memoriae" o quanto meno un rapido oblìo sembrano oggi tutt'altro che compiute. In questo ventesimo anniversario sicuramente torneranno a confrontarsi aspramente coloro che, nel rapportarsi alla sua figura storica, ne mettono in evidenza critica solo l'aspetto dell'apparente disobbedienza, e gli altri, non pochi in verità, che tendono sempre più a sottolinearne il coraggio e la lungimiranza nel mezzo di una crisi del cattolicesimo senza precedenti.

Tutto questo è scontato e facilmente prevedibile. Esistono però alcuni aspetti, ovvi e forse proprio per questo ignorati dai più, che non possono essere sottovalutati a cuor leggero da un osservatore che intenda essere sereno ed imparziale.

In primo luogo non si può negare che la figura di mons. Lefebvre, a venti anni dalla sua scomparsa, continua a suscitare interesse e dibattito. Il suo nome non può lasciare indifferenti. Basta scrivere un articolo su di lui o sulla congregazione religiosa che ha lasciato, e subito si scatenano gli animi di estimatori ed oppositori irriducibilmente contrapposti.

Se guardiamo infatti i commenti sui blog vicini al mondo della tradizione cattolica non è difficile rendersi ben conto di tale realtà. Ma anche il mondo laicista si mostra particolarmente sensibile ogni volta che, direttamente o indirettamente, è costretto ad occuparsi di questo personaggio pericoloso. La sollevazione mediatica, certo ben architettata, messa in scena in occasione della revoca delle scomuniche nel 2009, testimonia ampiamente dell'importanza attribuita in determinati ambienti alla "questione tradizionalista" di cui, volenti o nolenti, l'arcivescovo francese continua ad incarnare l'emblema ad ogni latitudine. Mons. Lefebvre dunque come segno di contraddizione? Nominarlo in senso positivo significa, in altre parole, provocare reazioni simili a quelle avutesi, a suo tempo, con padre Pio o, ancora adesso, per la ventilata beatificazione di Pio XII.

Quanto fino ad ora considerato però è un fatto che, più o meno, si è mantenuto costante dal 1991 ai giorni nostri. Più stupefacente appare invece il risveglio di attenzione culturale verificatosi negli ultimi anni sia verso le vicende della sua vita come anche nei confronti delle idee professate.

A partire dalla biografia pubblicata l'anno scorso da Cristina Siccardi, sono poi usciti in libreria altri volumi dedicati ad aspetti specifici dell'opera di mons. Lefebvre. Si sono mossi in tal senso anche editori insospettabili di eresia come Marietti.

Ma l'attualità del personaggio la si può altresì misurare anche in relazione al recente dibattito sul valore magisteriale dei documenti emanati dal Concilio Vaticano II e alla ricostruzione storiografica della grande assise ecclesiale degli anni '60.

In tale prospettiva i riferimenti ai discorsi ed agli scritti dell'ex superiore dei padri Spiritani si rivelano quanto mai centrali e ricchi di implicazioni dottrinali.

Confrontando infine la maggior parte delle previsioni del 1991 rispetto alle risultanze odierne appare di tutta evidenza la fallacità di molti osservatori del tempo i quali, tuttavia, anche oggi non perdono spesso il vizio di voler pontificare senza il benchè minimo ripensamento autocritico. La Fraternità San Pio X, tanto per fare un esempio, si è rafforzata e non disgregata. Sono nate sì alcune congregazioni uscite dal suo seno ma, complessivamente, la FSSPX appare assai più solida e credibile rispetto ad allora.

La Tradizione inoltre continua ad attrarre un gran numero di giovani in barba a tutti coloro che accusavano mons. Lefebvre di "nostalgie" adatte solo a vecchi incartapecoriti e prossimi all'estinzione fisica. Chi si sta invece estinguendo è caso mai la figura patetica del prete-operaio, prete-animatore, prete-aggiornato: basta dare uno sguardo alle statistiche sulle ordinazioni in Europa!

E che dire infine della S.Messa di sempre, vera e propria "bandiera" della lotta di mons. Lefebvre? Sento ancora nelle orecchie i risolini di compatimento di certi grandi sociologi della religione: La Messa Tridentina, a loro qualificato giudizio, non aveva futuro. Rimanere attaccati a questo rito del passato significava non rispettare il Papa e, soprattutto, peccare di estetismo fine a sè stesso.

Il "Summorum Pontificum" dunque, specialmente nei passaggi che sanciscono che l'ahntico rito non è mai stato abrogato, ha rappresentato una grande vittoria per mons. Lefebvre. Una vittoria che crediamo egli abbia potuto vedere dal cielo. Speriamo quindi di poter leggere, in occasione di questo ventesimo anniversario, altre previsioni come quelle del passato. Ci sarà probabilmente da divertirsi anche nel 2031!

Marco Bongi

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Ricordo sempre mons. Lefebvre nelle mie preghiere, anche con gratitudine a Dio per averlo donato alla Chiesa.....  
dedico a Lui ed alla FSSPX il seguente video della Festa dell'Annunciazione:  
http://www.gloria.tv/?media=139773   
il canto di sottofondo, appropriato, è l'antifona:  
 
Embarassed  Stabat Mater dal verso:  
 
Vidit suum dulcem natum  
moriéntem desolátum,  
dum emísit spíritum.
 
 
Vide il suo dolce Figlio  
che moriva, abbandonato da tutti,  
mentre esalava lo spirito.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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03/04/2011 23:21
 
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[SM=g1740733] Registrazione dell’importante conferenza di presentazione del libro “Monsignor Lefebvre. Nel nome della verità” Sugarco Edizioni, tenuta dall’autrice, dottoressa Cristina Siccardi, a Sansicario (TO), il 15 agosto scorso.

L’importanza di questo documento sta nel fatto che, da esso, emergono, in maniera chiarissima e sintetica, l’attuale posizione della Fraternità Sacerdotale San Pio X e le sue prospettive di sviluppo ed azione futura, oltre che la sua strategia di medio termine. Tutte cose non solo non smentite, ma autorevolmente avallate dagli alti esponenti della Fraternità stessa presenti; avallo reso ancor più evidente dal fatto che la presente registrazione è stata messa in rete sul sito italiano dei figli di Monsignor Lefebvre (www.sanpiox.it). Molto toccante e praticamente inedito, poi, è il modo in cui viene affrontato il rapporto tra il Vescovo francese e Paolo VI.

it.gloria.tv/?media=95647



[SM=g1740722]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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