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Convegno della Diocesi di Roma, intervento magisteriale del Santo Padre

Ultimo Aggiornamento: 12/06/2012 16:22
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15/06/2010 20:20
 
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Nella basilica lateranense

Il Papa apre il convegno
della diocesi di Roma



Centralità dell'Eucaristia domenicale e testimonianza della carità.

Su questi due temi si è svolta in questo anno pastorale la verifica all'interno delle comunità parrocchiali della diocesi di Roma.

Confronti, dibattiti, riflessioni, suggerimenti che hanno avuto inizio il 14 settembre 2009, nella basilica di San Giovanni in Laterano, durante l'incontro del presbiterio diocesano con il cardinale vicario. A distanza di quasi un anno è giunto il momento di trarre le conclusioni, di sintetizzare le proposte, di vagliare le indicazioni.
Questa attenta analisi verrà compiuta durante il convegno diocesano sul tema
"Si aprirono loro gli occhi, lo riconobbero e lo annunziarono. L'Eucaristia domenicale e la testimonianza della carità", che si svolge nei giorni 14, 15 e 16 giugno, nella basilica lateranense.

L'importanza dell'avvenimento è sottolineata dalla presenza di Benedetto XVI, che dà inizio al convegno nella serata di martedì 15. Dopo la preghiera introduttiva e l'invocazione dello Spirito Santo con il canto del Veni Creator Spiritus, viene letto un brano del magistero pontificio. Quindi, dopo un breve saluto rivoltogli dal cardinale vicario, il Papa pronuncia il suo intervento.

Nel corso delle giornate verrà presentato alle oltre 300 parrocchie e alle realtà ecclesiali quanto emerso durante gli incontri svoltisi a livello di prefetture, di cappellanie, di associazioni e movimenti, di università e di comunità di migranti. Già all'apertura del convegno diocesano dello scorso anno, il 26 maggio 2009, il Papa aveva offerto indicazioni e linee guida su cui riflettere per riscoprire l'importanza dell'Eucaristia domenicale e il suo legame con la testimonianza della carità. Nelle varie parrocchie si è constatata, in particolare, una disaffezione dei fedeli alla messa domenicale, ma è stata anche ribadita l'importanza della partecipazione per attingere forza e stimolo per diventare missionari e testimoni di quella carità che trova nel corpo di Cristo la sua sorgente. L'Eucaristia diventa così "scuola dell'amore" per mettersi al servizio dei poveri, dei malati e dei sofferenti.


(domani inseriremo testo integrale ed eventuali foto)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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APERTURA DEL CONVEGNO ECCLESIALE DELLA DIOCESI DI ROMA SUL TEMA: «"SI APRIRONO LORO GLI OCCHI, LO RICONOBBERO E LO ANNUNZIARONO". L’EUCARESTIA DOMENICALE E LA TESTIMONIANZA DELLA CARITÀ»

(15-17 GIUGNO 2010)

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica di San Giovanni in Laterano
Martedì, 15 giugno 2010

Cari fratelli e sorelle!

Dice il Salmo: “Ecco, com’è bello e com’è dolce / che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133,1). È proprio così: è per me motivo di profonda gioia ritrovarmi con voi e condividere il tanto bene che le parrocchie e le altre realtà ecclesiali di Roma hanno realizzato in questo anno pastorale. Saluto con fraterno affetto il Cardinale Vicario e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha indirizzato e per l’impegno che quotidianamente pone nel governo della Diocesi, nel sostegno ai sacerdoti e alle comunità parrocchiali. Saluto i Vescovi Ausiliari, l’intero Presbiterio e ciascuno di voi. Rivolgo un pensiero cordiale a quanti sono ammalati e in particolari difficoltà, assicurando loro la mia preghiera.

Come ha ricordato il Cardinale Vallini, ci stiamo impegnando, dallo scorso anno, nella verifica della pastorale ordinaria. Questa sera riflettiamo su due punti di primaria importanza: “Eucaristia domenicale e testimonianza della carità”. Sono a conoscenza del grande lavoro che le parrocchie, le associazioni e i movimenti hanno realizzato, attraverso incontri di formazione e di confronto, per approfondire e vivere meglio queste due componenti fondamentali della vita e della missione della Chiesa e di ogni singolo credente. Ciò ha anche favorito quella corresponsabilità pastorale che, nella diversità dei ministeri e dei carismi, deve sempre più diffondersi se desideriamo realmente che il Vangelo raggiunga il cuore di ogni abitante di Roma. Tanto è stato fatto, e ne rendiamo grazie al Signore; ma ancora molto, sempre con il suo aiuto, rimane da fare.

La fede non può mai essere presupposta, perché ogni generazione ha bisogno di ricevere questo dono mediante l’annuncio del Vangelo e di conoscere la verità che Cristo ci ha rivelato.

La Chiesa, pertanto, è sempre impegnata a proporre a tutti il deposito della fede; in esso è contenuta anche la dottrina sull’Eucaristia – mistero centrale in cui “è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua” (Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum ordinis, 5) –; dottrina che oggi, purtroppo, non è sufficientemente compresa nel suo valore profondo e nella sua rilevanza per l’esistenza dei credenti.

Per questo è importante che una conoscenza più approfondita del mistero del Corpo e del Sangue del Signore sia avvertita come un’esigenza dalle diverse comunità della nostra diocesi di Roma. Al tempo stesso, nello spirito missionario che vogliamo alimentare, è necessario che si diffonda l’impegno di annunciare tale fede eucaristica, perché ogni uomo incontri Gesù Cristo che ci ha rivelato il Dio “vicino”, amico dell’umanità, e di testimoniarla con una eloquente vita di carità.

In tutta la sua vita pubblica Gesù, mediante la predicazione del Vangelo e i segni miracolosi, ha annunciato la bontà e la misericordia del Padre verso l’uomo. Questa missione ha raggiunto il culmine sul Golgota, dove Cristo crocifisso ha rivelato il volto di Dio, perché l’uomo, contemplando la Croce, possa riconoscere la pienezza dell’amore (cfr BENEDETTO XVI, Enc.
Deus caritas est, 12). Il Sacrificio del Calvario viene mistericamente anticipato nell’Ultima Cena, quando Gesù, condividendo con i Dodici il pane e il vino, li trasforma nel suo corpo e nel suo sangue, che poco dopo avrebbe offerto come Agnello immolato.

L’Eucaristia è il memoriale della morte e risurrezione di Gesù Cristo, del suo amore fino alla fine per ciascuno di noi, memoriale che Egli ha voluto affidare alla Chiesa perché fosse celebrato nei secoli. Secondo il significato del verbo ebraico zakar, il “memoriale” non è semplice ricordo di qualcosa che è avvenuto nel passato, ma celebrazione che attualizza quell’evento, in modo da riprodurne la forza e l’efficacia salvifica.

Così “si rende presente e attuale il sacrificio che Cristo ha offerto al Padre, una volta per tutte, sulla Croce in favore dell’umanità” (
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, 280). Cari fratelli e sorelle, nel nostro tempo la parola sacrificio non è amata, anzi essa sembra appartenere ad altre epoche e a un altro modo di intendere la vita. Essa, però, ben compresa, è e rimane fondamentale, perché ci rivela di quale amore Dio, in Cristo, ci ama.

Nell’offerta che Gesù fa di se stesso troviamo tutta la novità del culto cristiano. Nell’antichità gli uomini offrivano in sacrificio alle divinità gli animali o le primizie della terra. Gesù, invece, offre se stesso, il suo corpo e l’intera sua esistenza: Egli stesso in persona diventa quel sacrificio che la liturgia offre nella Santa Messa.

Infatti, con la consacrazione il pane e il vino diventano il suo vero corpo e sangue. Sant’Agostino invitava i suoi fedeli a non soffermarsi su ciò che appariva alla loro vista, ma ad andare oltre: “Riconoscete nel pane – diceva – quello stesso corpo che pendette sulla croce, e nel calice quello stesso sangue che sgorgò dal suo fianco” (Disc. 228 B, 2). Per spiegare questa trasformazione, la teologia ha coniato la parola “transustanziazione”, parola che risuonò per la prima volta in questa Basilica durante il IV Concilio Lateranense, di cui fra cinque anni ricorrerà l’VIII centenario. In quell’occasione furono inserite nella professione di fede le seguenti espressioni: “il suo corpo e il suo sangue sono contenuti veramente nel sacramento dell’altare, sotto le specie del pane e del vino, poiché il pane è transustanziato nel corpo, e il sangue nel vino per divino potere” (DS, 802).

È dunque fondamentale che negli itinerari di educazione alla fede dei bambini, degli adolescenti e dei giovani, come pure nei “centri di ascolto” della Parola di Dio, si sottolinei che nel sacramento dell’Eucaristia Cristo è veramente, realmente e sostanzialmente presente.

La Santa Messa, celebrata nel rispetto delle norme liturgiche e con un’adeguata valorizzazione della ricchezza dei segni e dei gesti, favorisce e promuove la crescita della fede eucaristica.

Nella celebrazione eucaristica noi non inventiamo qualcosa, ma entriamo in una realtà che ci precede, anzi che abbraccia cielo e terra e quindi anche passato, futuro e presente.

Questa apertura universale, questo incontro con tutti i figli e le figlie di Dio è la grandezza dell’Eucaristia: andiamo incontro alla realtà di Dio presente nel corpo e sangue del Risorto tra di noi. Quindi, le prescrizioni liturgiche dettate dalla Chiesa non sono cose esteriori, ma esprimono concretamente questa realtà della rivelazione del corpo e sangue di Cristo e così la preghiera rivela la fede secondo l’antico principio lex orandi - lex credendi. E per questo possiamo dire che “la migliore catechesi sull’Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata” (BENEDETTO XVI, Esort. ap. post-sinod.
Sacramentum caritatis, 64). È necessario che nella liturgia emerga con chiarezza la dimensione trascendente, quella del Mistero, dell’incontro con il Divino, che illumina ed eleva anche quella “orizzontale”, ossia il legame di comunione e di solidarietà che esiste fra quanti appartengono alla Chiesa. Infatti, quando prevale quest’ultima non si comprende pienamente la bellezza, la profondità e l’importanza del mistero celebrato. Cari fratelli nel sacerdozio, a voi il Vescovo ha affidato, nel giorno dell’Ordinazione sacerdotale, il compito di presiedere l’Eucaristia. Abbiate sempre a cuore l’esercizio di questa missione: celebrate i divini misteri con intensa partecipazione interiore, perché gli uomini e le donne della nostra Città possano essere santificati, messi in contatto con Dio, verità assoluta e amore eterno.

E teniamo anche presente che l’Eucaristia, legata alla croce alla risurrezione del Signore, ha dettato una nuova struttura al nostro tempo. Il Risorto si era manifestato il giorno dopo il sabato, il primo giorno della settimana, giorno del sole e della creazione.

Dall’inizio i cristiani hanno celebrato il loro incontro con il Risorto, l’Eucaristia, in questo primo giorno, in questo nuovo giorno del vero sole della storia, il Cristo Risorto. E così il tempo inizia sempre di nuovo con l’incontro con il Risorto e questo incontro dà contenuto e forza alla vita di ogni giorno. Perciò è molto importante per noi cristiani, seguire questo ritmo nuovo del tempo, incontrarci col Risorto nella domenica e così “prendere” con noi questa sua presenza, che ci trasformi e trasformi il nostro tempo. Inoltre, invito tutti a riscoprire la fecondità dell’adorazione eucaristica: davanti al Santissimo Sacramento sperimentiamo in modo del tutto particolare quel “rimanere” di Gesù, che Egli stesso, nel Vangelo di Giovanni, pone come condizione necessaria per portare molto frutto (cfr Gv 15,5) ed evitare che la nostra azione apostolica si riduca a uno sterile attivismo, ma sia invece testimonianza dell’amore di Dio.

La comunione con Cristo è sempre anche comunione con il suo corpo che è la Chiesa, come ricorda l’apostolo Paolo dicendo: “Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1Cor 10,16-17).

È, infatti, l’Eucaristia che trasforma un semplice gruppo di persone in comunità ecclesiale: l’Eucaristia fa Chiesa. È dunque fondamentale che la celebrazione della Santa Messa sia effettivamente il culmine, la “struttura portante” della vita di ogni comunità parrocchiale.

Esorto tutti a curare al meglio, anche attraverso appositi gruppi liturgici, la preparazione e la celebrazione dell’Eucaristia, perché quanti vi partecipano possano incontrare il Signore. È Cristo risorto, che si rende presente nel nostro oggi e ci raduna intorno a sé. Nutrendoci di Lui siamo liberati dai vincoli dell’individualismo e, per mezzo della comunione con Lui, diventiamo noi stessi, insieme, una cosa sola, il suo Corpo mistico. Vengono così superate le differenze dovute alla professione, al ceto, alla nazionalità, perché ci scopriamo membri di un’unica grande famiglia, quella dei figli di Dio, nella quale a ciascuno è donata una grazia particolare per l’utilità comune. Il mondo e gli uomini non hanno bisogno di un’ulteriore aggregazione sociale, ma hanno bisogno della Chiesa, che è in Cristo come un sacramento, “cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
Lumen gentium, 1), chiamata a far risplendere su tutte le genti la luce del Signore risorto.

Gesù è venuto per rivelarci l’amore del Padre, perché “l’uomo senza amore non può vivere” (GIOVANNI PAOLO II, Enc.
Redemptor hominis, 10). L’amore è, infatti, l’esperienza fondamentale di ogni essere umano, ciò che dà significato al vivere quotidiano. Nutriti dall’Eucaristia anche noi, sull’esempio di Cristo, viviamo per Lui, per essere testimoni dell’amore. Ricevendo il Sacramento, noi entriamo in comunione di sangue con Gesù Cristo. Nella concezione ebraica, il sangue indica la vita; così possiamo dire che nutrendoci del Corpo di Cristo noi accogliamo la vita di Dio e impariamo a guardare la realtà con i suoi occhi, abbandonando la logica del mondo per seguire quella divina del dono e della gratuità.

Sant’Agostino ricorda che durante una visione gli parve di udire la voce del Signore, il quale gli diceva: “Io sono il nutrimento degli adulti. Cresci, e mi mangerai, senza per questo trasformarmi in te, come il nutrimento della tua carne; ma tu ti trasformerai in me” (cfr Confessioni VII,10,16).

Quando riceviamo Cristo, l’amore di Dio si espande nel nostro intimo, modifica radicalmente il nostro cuore e ci rende capaci di gesti che, per la forza diffusiva del bene, possono trasformare la vita di coloro che ci sono accanto. La carità è in grado di generare un cambiamento autentico e permanente della società, agendo nei cuori e nelle menti degli uomini, e quando è vissuta nella verità “è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera” (BENEDETTO XVI, Enc.
Caritas in veritate, 1). La testimonianza della carità per il discepolo di Gesù non è un sentimento passeggero, ma al contrario è ciò che plasma la vita in ogni circostanza. Incoraggio tutti, in particolare la Caritas e i Diaconi, a impegnarsi nel delicato e fondamentale campo dell’educazione alla carità, come dimensione permanente della vita personale e comunitaria.

Questa nostra Città chiede ai discepoli di Cristo, con un rinnovato annuncio del Vangelo, una più chiara e limpida testimonianza della carità. È con il linguaggio dell’amore, desideroso del bene integrale dell’uomo, che la Chiesa parla agli abitanti di Roma. In questi anni del mio ministero quale vostro Vescovo, ho avuto modo di visitare vari luoghi dove la carità è vissuta in modo intenso. Sono grato a quanti si impegnano nelle diverse strutture caritative, per la dedizione e la generosità con le quali servono i poveri e gli emarginati. I bisogni e la povertà di tanti uomini e donne ci interpellano profondamente: è Cristo stesso che ogni giorno, nei poveri, ci chiede di essere sfamato e dissetato, visitato negli ospedali e nelle carceri, accolto e vestito.

L’Eucaristia celebrata ci impone e al tempo stesso ci rende capaci di diventare, a nostra volta, pane spezzato per i fratelli, venendo incontro alle loro esigenze e donando noi stessi. Per questo una celebrazione eucaristica che non conduce ad incontrare gli uomini lì dove essi vivono, lavorano e soffrono, per portare loro l’amore di Dio, non manifesta la verità che racchiude.

Per essere fedeli al mistero che si celebra sugli altari dobbiamo, come ci esorta l’apostolo Paolo, offrire i nostri corpi, noi stessi, in sacrificio spirituale gradito a Dio (cfr Rm 12,1) in quelle circostanze che richiedono di far morire il nostro io e costituiscono il nostro “altare” quotidiano. I gesti di condivisione creano comunione, rinnovano il tessuto delle relazioni interpersonali, improntandole alla gratuità e al dono, e permettono la costruzione della civiltà dell’amore. In un tempo come il presente di crisi economica e sociale, siamo solidali con coloro che vivono nell’indigenza per offrire a tutti la speranza di un domani migliore e degno dell’uomo. Se realmente vivremo come discepoli del Dio-Carità, aiuteremo gli abitanti di Roma a scoprirsi fratelli e figli dell’unico Padre.

La natura stessa dell’amore richiede scelte di vita definitive e irrevocabili. Mi rivolgo in particolare a voi, carissimi giovani: non abbiate paura di scegliere l’amore come la regola suprema della vita. Non abbiate paura di amare Cristo nel sacerdozio e, se nel cuore avvertite la chiamata del Signore, seguitelo in questa straordinaria avventura di amore, abbandonandovi con fiducia a Lui! Non abbiate paura di formare famiglie cristiane che vivono l’amore fedele, indissolubile e aperto alla vita! Testimoniate che l’amore, così come lo ha vissuto Cristo e lo insegna il Magistero della Chiesa, non toglie nulla alla nostra felicità, ma al contrario dona quella gioia profonda che Cristo ha promesso ai suoi discepoli.

La Vergine Maria accompagni con la sua materna intercessione il cammino della nostra Chiesa di Roma. Maria, che in modo del tutto singolare visse la comunione con Dio e il sacrificio del proprio Figlio sul Calvario, ci ottenga di vivere sempre più intensamente, piamente e consapevolmente il mistero dell’Eucaristia, per annunciare con la parola e la vita l’amore che Dio nutre per ogni uomo. Cari amici, vi assicuro la mia preghiera e imparto di cuore a tutti voi la Benedizione Apostolica.

Grazie.



Pope Benedict XVI prays as he leads a catholic meeting in Saint John's in Lateran Basilica in Rome June 15, 2010.

Pope Benedict XVI greets a woman as he arrives to lead a Catholic meeting in Saint John's in Lateran Basilica in Rome June 15, 2010.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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25/06/2010 14:00
 
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L’eucaristia domenicale e la testimonianza della carità.


La sera di martedì 15 giugno, per la seconda volta in pochi giorni, Benedetto XVI ha riportato in uso a proposito dell’eucaristia una parola fuori moda, ma dogmaticamente pregnante: “transustanziazione”.

L’ha fatto introducendo – da vescovo di Roma – un convegno della diocesi su “L’eucaristia domenicale e la testimonianza della carità”, nella basilica di San Giovanni in Laterano.

Dopo aver premesso che la dottrina sull’eucaristia “oggi, purtroppo, non è sufficientemente compresa nel suo valore profondo e nella sua rilevanza per l’esistenza dei credenti”, papa Joseph Ratzinger ha detto:

Nell’offerta che Gesù fa di se stesso troviamo tutta la novità del culto cristiano. [...] Egli stesso in persona diventa quel sacrificio che la liturgia offre nella santa messa. Infatti, con la consacrazione il pane e il vino diventano il suo vero corpo e sangue. Sant’Agostino invitava i suoi fedeli a non soffermarsi su ciò che appariva alla loro vista, ma ad andare oltre: ‘Riconoscete nel pane – diceva – quello stesso corpo che pendette sulla croce, e nel calice quello stesso sangue che sgorgò dal suo fianco’. Per spiegare questa trasformazione, la teologia ha coniato la parola ‘transustanziazione’, parola che risuonò per la prima volta in questa basilica durante il IV Concilio Lateranense, di cui fra cinque anni ricorrerà l’ottavo centenario. In quell’occasione furono inserite nella professione di fede le seguenti espressioni: ‘il suo corpo e il suo sangue sono contenuti veramente nel sacramento dell’altare, sotto le specie del pane e del vino, poiché il pane è transustanziato nel corpo, e il sangue nel vino per divino potere’. È dunque fondamentale che negli itinerari di educazione alla fede dei bambini, degli adolescenti e dei giovani, come pure nei ‘centri di ascolto’ della Parola di Dio, si sottolinei che nel sacramento dell’eucaristia Cristo è veramente, realmente e sostanzialmente presente”.

Passando poi dalla dogma della transustanziazione alla sua attuazione e celebrazione nella liturgia, Benedetto XVI ha così proseguito, rivolto a sacerdoti e fedeli spesso inclini a modernismi assembleari “creativi”:

Nella celebrazione eucaristica noi non inventiamo qualcosa, ma entriamo in una realtà che ci precede, anzi che abbraccia cielo e terra e quindi anche passato, futuro e presente. Questa apertura universale, questo incontro con tutti i figli e le figlie di Dio è la grandezza dell’eucaristia: andiamo incontro alla realtà di Dio presente nel corpo e sangue del Risorto tra di noi. Quindi, le prescrizioni liturgiche dettate dalla Chiesa non sono cose esteriori, ma esprimono concretamente questa realtà della rivelazione del corpo e sangue di Cristo e così la preghiera rivela la fede secondo l’antico principio ‘lex orandi, lex credendi’. E per questo possiamo dire che ‘la migliore catechesi sull’eucaristia è la stessa eucaristia ben celebrata’. È necessario che nella liturgia emerga con chiarezza la dimensione trascendente, quella del mistero, dell’incontro con il divino, che illumina ed eleva anche quella ‘orizzontale’, ossia il legame di comunione e di solidarietà che esiste fra quanti appartengono alla Chiesa. Infatti, quando prevale quest’ultima non si comprende pienamente la bellezza, la profondità e l’importanza del mistero celebrato”.

Ha detto inoltre il papa che anche il calendario va messo in pari:

“Teniamo anche presente che l’eucaristia ha dettato una nuova struttura al nostro tempo. Il Risorto si era manifestato il giorno dopo il sabato, il primo giorno della settimana, giorno del sole e della creazione. Dall’inizio i cristiani hanno celebrato il loro incontro con il Risorto, l’eucaristia, in questo primo giorno, in questo nuovo giorno del vero sole della storia, il Cristo Risorto. E così il tempo inizia sempre di nuovo con l’incontro con il Risorto e questo incontro dà contenuto e forza alla vita di ogni giorno. Perciò è molto importante per noi cristiani, seguire questo ritmo nuovo del tempo, incontrarci col Risorto nella domenica e così ‘prendere’ con noi questa sua presenza, che ci trasformi e trasformi il nostro tempo”.

Da ultimo, Benedetto XVI ha esortato a far sì che “la celebrazione della santa messa sia effettivamente il culmine, la ’struttura portante’ della vita di ogni comunità parrocchiale” e l’anima delle opere di carità, senza le quali “non manifesta la verità che racchiude”.

Il
testo integrale del discorso è nel sito del Vaticano.

Sulla transustaziazione, vedi tre post più sotto la riflessione di
Francesco Arzillo in occasione della festa del “Corpus Domini”.


(fonte: sandro magister)
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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10/06/2011 18:10
 
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A un anno di distanza......


A colloquio con il cardinale vicario Vallini alla vigilia del convegno diocesano

Per Roma
con fiducia e determinazione

 

di FABRIZIO CONTESSA

Fiducia e determinazione. Nel guardare alle sfide del presente. E nell'affrontare le difficoltà e le insidie che inevitabilmente riserva il futuro. Alla vigilia del convegno diocesano - tradizionale tappa pastorale prima della sosta estiva - che si aprirà la sera di lunedì 13 nella basilica di San Giovanni in Laterano con l'intervento di Benedetto XVI, il cardinale vicario Agostino Vallini anticipa in una conversazione con "L'Osservatore Romano" le linee portanti dell'assise ecclesiale. Facendosi anche interprete dei sentimenti dell'intera comunità diocesana che sarà chiamata a confrontarsi su un tema così fondamentale come quello dell'iniziazione cristiana.

Tema che è parte, certamente non secondaria, di quella emergenza educativa su cui tante volte si è soffermato il Papa. E, appunto, "fiducia" e "determinazione", secondo il porporato, sono in certo senso le parole d'ordine, la prospettiva ideale con la quale è bene porre mano al lavoro pastorale. Il cardinale Vallini sottolinea infatti come "anche Roma, anche la diocesi del Papa è partecipe di tutti quei mutamenti culturali che attraversano l'intera società occidentale. Con tutte le conseguenze apportate da fenomeni ben conosciuti come il secolarismo e la globalizzazione".

E le ricadute ovviamente riguardano la tenuta della famiglia e la pratica religiosa, ma anche i rapporti tra le persone, con una società che diventa sempre più violenta, l'emergere di nuove povertà, l'insicurezza economica, soprattutto un senso d'insicurezza e di paura nei riguardi del futuro.

In questo senso, Roma è diventata davvero, da tempo, terra di missione. "Il magistero di Benedetto XVI - come quello del beato Giovanni Paolo II - continuamente ci richiama all'impegno senza riserve. C'è bisogno di una continua revisione del nostro cammino pastorale. Per questo la nostra diocesi ormai da tre anni è impegnata in una verifica pastorale dell'ultimo decennio che mette a tema gli ambiti fondamentali della pastorale ordinaria: la celebrazione dell'Eucaristia domenicale, la testimonianza della carità, l'iniziazione cristiana, la pastorale familiare e quella giovanile". L'anno scorso sono stati esaminati i primi due ambiti, lunedì prossimo, con il convegno pastorale 2011, appunto alla presenza del Santo Padre, si aprirà la verifica - che si concluderà con il convegno del 2012 - sull'iniziazione cristiana: "La gioia di generare alla fede nella Chiesa di Roma".

Sarà l'occasione per interrogarsi su "come la nostra Chiesa e in particolare le parrocchie trasmettono la fede alle nuove generazioni. Ma lo faremo sulla base di esperienze, testimonianze che tengono conto di una realtà complessa, articolata. Insomma, le sfide del momento sono impegnative, ma la comunità ecclesiale le affronta con fiducia e determinazione".

Nel corso del convegno toccherà a monsignor Andrea Lonardo, direttore dell'Ufficio catechistico diocesano, presentare una "fotografia" della situazione dell'iniziazione cristiana a Roma, presentando una sintesi dei questionari fatti giungere dai parroci in Vicariato. Dati che metteranno in luce le difficoltà - per esempio per quanto riguarda i giovani che si accostano al sacramento della Confermazione - ma anche i motivi di conforto come il numero crescente di adulti che chiede il battesimo.

In proposito il cardinale vicario tiene a sottolineare come "la realtà non è tutta a tinte fosche. Certo, anche i ripetuti interventi del Santo Padre partono da questa constatazione, dalla difficoltà che oggi s'incontra nel processo di trasmissione e dell'educazione alla fede. Ma accanto a tutto ciò c'è anche una realtà viva fatta di parrocchie, associazioni, movimenti, come anche di singoli fedeli, che quotidianamente testimoniano la fede e raccolgono gli appelli del Santo Padre. E tutto questo quasi mai trova spazio nei giornali". In questo senso - ha scritto monsignor Lonardo presentando il convegno sul settimanale diocesano "Roma Sette" di domenica 5 giugno - "la domanda più importante non è quanti frequentano la Chiesa al termine di un cammino. La domanda decisiva è piuttosto se la fede è talmente bella e grande da avere il potere di rendere l'uomo migliore". Lo sguardo si sposta allora sull'efficacia del percorso educativo. Una proposta, rivolta ai ragazzi e alle loro famiglie, che deve saper coniugare l'aspetto dell'esperienza con quello della chiarezza espositiva. Si comprende così come il convegno, in realtà, non riguardi i soli addetti ai lavori (sacerdoti, religiosi e religiose, catechisti) bensì si rivolga anche all'intera società, alla famiglia, alla scuola. Perché ognuna di queste realtà contribuisce, per parte che le è propria, all'educazione delle nuove generazioni.

E perché la fede cristiana è anche uno straordinario fattore di crescita civile e sociale. "Basti pensare - afferma ancora il porporato - al ruolo decisivo delle parrocchie e degli oratori nei quartieri di periferia, che diventano dei veri punti di riferimento e di coesione sociale, oltre che religiosa. Affiancando le famiglie nell'educazione dei bambini e dei giovani, promuovendo iniziative di solidarietà, assistendo anziani, malati, poveri. Senza le parrocchie la città sarebbe peggiore".
Certo - sottolinea il cardinale - si è di fronte a una realtà che negli ultimi anni ha subito rapide e profonde trasformazioni. Anche a Roma è cambiata, per esempio rispetto ai primi anni Novanta, la connotazione del fenomeno migratorio. E tutto questo apre nuovi scenari anche sul fronte della pastorale. "Il numero degli immigrati, per esempio, era molto minore; l'immigrazione era interna, cioè prevalentemente dalle diverse regioni italiane. E gli immigrati di oggi, ovviamente, non sono tutti cattolici. Ci sono cristiani di altre confessioni, come gli ortodossi, arrivati dall'Est europeo dopo la caduta della cortina di ferro. O i musulmani, sbarcati dall'Africa e dell'Asia".

Ma cambiamenti profondi hanno riguardato anche il cosiddetto mercato del lavoro. E a farne le spese sono state le famiglie e soprattutto le giovani coppie, che in maniera sempre più numerosa rinviano o, addirittura, rinunciano al matrimonio. "Attendiamo da anni - ricorda il cardinale Vallini - politiche famigliari che sostengano le famiglie, soprattutto le nuove famiglie, e aprano ai giovani il mondo del lavoro. Chi non ha lavoro o ha un lavoro precario difficilmente rischia un passo così impegnativo come il mettere su famiglia. Pagare un affitto è oggi diventata quasi un'impresa impossibile". Discorso analogo per l'apertura alla vita, con il numero delle nascite in continuo calo. "Tutto questo avviene perché le persone hanno sempre meno fiducia nel futuro. Mancano i figli perché non si perseguono politiche adeguate che, per esempio, consentano alla madre di poter seguire la famiglia, di dedicarsi con serenità alla costruzione della propria famiglia. Visitando le parrocchie incontro giovani che me lo dicono chiaramente". Insomma, conclude il cardinale vicario, le sfide del momento sono certamente "impegnative", ma "la comunità ecclesiale le affronta con fiducia e determinazione".



(©L'Osservatore Romano 11 giugno 2011)

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Il Papa: Se gli uomini dimenticano Dio è anche perché spesso si riduce la persona di Gesù a un uomo sapiente e ne viene affievolita se non negata la divinità. Questo modo di pensare impedisce di cogliere la novità radicale del Cristianesimo, perché se Gesù non è il Figlio unico del Padre allora nemmeno Dio è venuto a visitare la storia dell’uomo. L’incarnazione, invece, appartiene al cuore del Vangelo!

Pope Benedict XVI attends a meeting at St. John Basilica in Rome June 13, 2011.


L'indirizzo d'omaggio del cardinale Agostino Vallini

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APERTURA DEL CONVEGNO ECCLESIALE DELLA DIOCESI DI ROMA NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO, 13.06.2011

Alle ore 19.30 di questa sera, il Santo Padre Benedetto XVI si reca nella Basilica di San Giovanni in Laterano dove inaugura il Convegno ecclesiale che conclude l’anno pastorale della Diocesi di Roma e che ha per tema: "Si sentirono trafiggere il cuore" (At 2, 37). La gioia di generare alla fede nella Chiesa di Roma (13-16 giugno 2011).
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre rivolge ai presenti:

                                                                Pope Benedict XVI blesses the faithfuls during his meeting with the Diocese of Rome at the San Giovanni in Laterano Basilica in Rome, on June 13, 2011.

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Con animo grato al Signore ci ritroviamo in questa Basilica di San Giovanni in Laterano per l’apertura dell’annuale Convegno diocesano. Rendiamo grazie a Dio che ci consente questa sera di fare nostra l’esperienza della prima comunità cristiana, la quale "aveva un cuore solo e un’anima sola" (At 4,32).
Ringrazio il Cardinale Vicario per le parole che tanto cortesemente e cordialmente mi ha rivolto a nome di tutti e porgo a ciascuno il mio saluto più cordiale, assicurando la mia preghiera per voi e per coloro che non possono essere qui a condividere questa importante tappa della vita della nostra Diocesi, in particolare per coloro che vivono momenti di sofferenza fisica o spirituale.

Ho appreso con piacere che in questo anno pastorale avete cominciato a dare attuazione alle indicazioni emerse nel Convegno dell’anno passato, e confido che anche in futuro ogni comunità, soprattutto parrocchiale, continui ad impegnarsi a curare sempre meglio, con l’aiuto offerto dalla Diocesi, la celebrazione dell’Eucaristia, particolarmente quella domenicale, preparando adeguatamente gli operatori pastorali e adoperandosi affinché il Mistero dell’altare sia vissuto sempre più quale sorgente da cui attingere la forza per una più incisiva testimonianza della carità, che rinnovi il tessuto sociale della nostra città.

Il tema di questa nuova tappa della verifica pastorale, "La gioia di generare alla fede nella Chiesa di Roma – L’Iniziazione Cristiana", si collega con il cammino già compiuto. Infatti, ormai da parecchi anni la nostra Diocesi è impegnata a riflettere sulla trasmissione della fede.

Mi torna alla memoria che, proprio in questa Basilica, in un intervento durante il Sinodo Romano, citai alcune parole che mi aveva scritto in una piccola lettera Hans Urs von Balthasar: "La fede non deve essere presupposta ma proposta". E’ proprio così. La fede non si conserva di per se stessa nel mondo, non si trasmette automaticamente nel cuore dell’uomo, ma deve essere sempre annunciata.

E l’annuncio della fede, a sua volta, per essere efficace deve partire da un cuore che crede, che spera, che ama, un cuore che adora Cristo e crede nella forza dello Spirito Santo! Così avvenne fin dal principio, come ci ricorda l’episodio biblico scelto per illuminare la verifica pastorale. Esso è tratto dal 2° capitolo degli Atti degli Apostoli, nel quale san Luca, subito dopo aver narrato l’evento della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste, riporta il primo discorso che san Pietro rivolse a tutti. La professione di fede posta alla conclusione del discorso – "Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso" (At 2,36) – è il lieto annuncio che la Chiesa da secoli non cessa di ripetere ad ogni uomo.

A quell’annuncio - leggiamo negli Atti degli Apostoli - tutti «si sentirono trafiggere il cuore» (2,37). Questa reazione fu generata certamente dalla grazia di Dio: tutti compresero che quella proclamazione realizzava le promesse e faceva desiderare a ciascuno la conversione e il perdono dei propri peccati.

Le parole di Pietro non si limitavano ad un semplice annuncio di fatti, ne mostravano il significato, ricollegando la vicenda di Gesù alle promesse di Dio, alle attese di Israele e, quindi, a quelle di ogni uomo. La gente di Gerusalemme comprese che la risurrezione di Gesù era in grado ed è in grado di illuminare l’esistenza umana. E in effetti da questo evento è nata una nuova comprensione della dignità dell’uomo e del suo destino eterno, della relazione fra uomo e donna, del significato ultimo del dolore, dell’impegno nella costruzione della società. La risposta della fede nasce quando l’uomo scopre, per grazia di Dio, che credere significa trovare la vita vera, la "vita piena".

Uno dei grandi Padri della Chiesa, Sant’Ilario di Poitiers, ha scritto di essere diventato credente nel momento in cui ha compreso, ascoltando il Vangelo, che per una vita veramente felice erano insufficienti sia il possesso, sia il tranquillo godimento delle cose e che c’era qualcosa di più importante e prezioso: la conoscenza della verità e la pienezza dell’amore donati da Cristo (cfr De Trinitate 1,2).

Cari amici, la Chiesa, ciascuno di noi, deve portare nel mondo questa lieta notizia che Gesù è il Signore, Colui nel quale la vicinanza e l’amore di Dio per ogni singolo uomo e donna, e per l’umanità intera si sono fatti carne. Questo annuncio deve risuonare nuovamente nelle regioni di antica tradizione cristiana. Il beato Giovanni Paolo II ha parlato della necessità di una nuova evangelizzazione rivolta a quanti, pur avendo già sentito parlare della fede, non apprezzano, non conoscono più la bellezza del Cristianesimo, anzi, talvolta lo ritengono addirittura un ostacolo per raggiungere la felicità. Perciò oggi desidero ripetere quanto dissi ai giovani nella Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia: "La felicità che cercate, la felicità che avete diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth, nascosto nell’Eucaristia"!

Se gli uomini dimenticano Dio è anche perché spesso si riduce la persona di Gesù a un uomo sapiente e ne viene affievolita se non negata la divinità. Questo modo di pensare impedisce di cogliere la novità radicale del Cristianesimo, perché se Gesù non è il Figlio unico del Padre, allora nemmeno Dio è venuto a visitare la storia dell’uomo, abbiamo solo idee umane di Dio. L’incarnazione, invece, appartiene al cuore del Vangelo!

Cresca, dunque, l’impegno per una rinnovata stagione di evangelizzazione, che è compito non solo di alcuni, ma di tutti i membri della Chiesa. L'evangelizzazione ci fa sapere che Dio è vicino: Dio ci è mostrato. In quest’ora della storia, non è forse questa la missione che il Signore ci affida: annunciare la permanente novità del Vangelo, come Pietro e Paolo quando giunsero nella nostra città? Non dobbiamo anche noi oggi mostrare la bellezza e la ragionevolezza della fede, portare la luce di Dio all’uomo del nostro tempo, con coraggio, con convinzione, con gioia? Molte sono le persone che ancora non hanno incontrato il Signore: ad esse va rivolta una speciale cura pastorale. Accanto ai bambini e ai ragazzi di famiglie cristiane che chiedono di percorrere gli itinerari dell’iniziazione cristiana, ci sono adulti che non hanno ricevuto il Battesimo, o che si sono allontananti dalla fede e dalla Chiesa. E’ un’attenzione pastorale oggi più che mai urgente, che chiede di impegnarci con fiducia, sostenuti dalla certezza che la grazia di Dio sempre opera, anche oggi, nel cuore dell’uomo. Io stesso ho la gioia di battezzare ogni anno, durante la Veglia pasquale, alcuni giovani e adulti, e incorporarli nel Corpo di Cristo, nella comunione col Signore e così nella comunione con l'amore di Dio.

Ma chi è il messaggero di questo lieto annuncio? Sicuramente lo è ogni battezzato. Soprattutto lo sono i genitori, ai quali spetta il compito di chiedere il Battesimo per i propri figli. Quanto grande è questo dono che la liturgia chiama "porta della nostra salvezza, inizio della vita in Cristo, fonte dell’umanità nuova" (Prefazio del Battesimo)! Tutti i papà e le mamme sono chiamati a cooperare con Dio nella trasmissione del dono inestimabile della vita, ma anche a far conoscere Colui che è la Vita e la vita non è realmente trasmessa se non si conosce anche il fondamento e la fonte perenne della vita.

Cari genitori, la Chiesa, come madre premurosa, intende sostenervi in questo vostro fondamentale compito. Fin da piccoli, i bambini hanno bisogno di Dio, perché l'uomo dall'inizio ha bisogno di Dio, ed hanno la capacità di percepire la sua grandezza; sanno apprezzare il valore della preghiera - del parlare con questo Dio - e dei riti, così come intuire la differenza fra il bene ed il male. Sappiate, allora, accompagnarli nella fede, in questa conoscenza di Dio, in questa amicizia con Dio, in questa conoscenza della differenza tra il bene e il male. Accompagnateli nella fede sin dalla più tenera età.

E come coltivare poi il germe della vita eterna a mano a mano che il bambino cresce? San Cipriano ci ricorda: "Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre". Ed è perciò che non diciamo Padre mio, ma Padre nostro, perché solo nel "noi" della Chiesa, dei fratelli e sorelle, siamo figli.

Da sempre la comunità cristiana ha accompagnato la formazione dei bambini e dei ragazzi, aiutandoli non solo a comprendere con l’intelligenza le verità della fede, ma anche a vivere esperienze di preghiera, di carità e di fraternità. La parola della fede rischia di rimanere muta, se non trova una comunità che la mette in pratica, rendendola viva ed attraente, come esperienza della realtà della vera vita. Ancora oggi gli oratori, i campi estivi, le piccole e grandi esperienze di servizio sono un prezioso aiuto per gli adolescenti che compiono il cammino dell’iniziazione cristiana, a maturare un coerente impegno di vita. Incoraggio, quindi, a percorrere questa strada che fa scoprire il Vangelo non come un’utopia, ma come la forma piena e reale dell’esistenza. Tutto ciò va proposto in particolare a coloro che si preparano a ricevere il sacramento della Cresima, affinché il dono dello Spirito Santo confermi la gioia di essere stati generati figli di Dio. Vi invito dunque a dedicarvi con passione alla riscoperta di questo Sacramento, perché chi è già battezzato possa ricevere in dono da Dio il sigillo della fede e diventi pienamente testimone di Cristo.

Perché tutto questo risulti efficace e porti frutto è necessario che la conoscenza di Gesù cresca e si prolunghi oltre la celebrazione dei Sacramenti. È questo il compito della catechesi, come ricordava il beato Giovanni Paolo II, che scrisse: "La specificità della catechesi, distinta dal primo annuncio del Vangelo, che ha suscitato la conversione, tende al duplice obiettivo di far maturare la fede iniziale e di educare il vero discepolo di Cristo mediante una conoscenza più approfondita e più sistematica della persona e del messaggio del nostro Signore Gesù Cristo" (Esort. ap. Catechesi tradendae, 19).

La catechesi è azione ecclesiale e pertanto è necessario che i catechisti insegnino e testimonino la fede della Chiesa e non una loro interpretazione.

Proprio per questo è stato realizzato il Catechismo della Chiesa Cattolica, che idealmente questa sera riconsegno a tutti voi, affinché la Chiesa di Roma possa impegnarsi con rinnovata gioia nell’educazione alla fede. La struttura del Catechismo deriva dall’esperienza del catecumenato della Chiesa dei primi secoli e riprende gli elementi fondamentali che fanno di una persona un cristiano: la fede, i Sacramenti, i comandamenti, il Padre nostro.


Per tutto questo è necessario educare anche al silenzio e all’interiorità. Confido che nelle parrocchie di Roma gli itinerari di iniziazione cristiana educhino alla preghiera, perché essa permei la vita ed aiuti a trovare la Verità che abita il nostro cuore. E la troviamo realmente nel dialogo personale con Dio. La fedeltà alla fede della Chiesa, poi, deve coniugarsi con una "creatività catechetica" che tenga conto del contesto, della cultura e dell’età dei destinatari. Il patrimonio di storia e arte che Roma custodisce è una via ulteriore per avvicinare le persone alla fede: molto ci parla della realtà della fede qui a Roma. Invito tutti a fare tesoro nella catechesi di questa "via della bellezza" che conduce a Colui che è, secondo S. Agostino, la Bellezza tanto antica e sempre nuova.

Cari fratelli e sorelle, desidero ringraziarvi per il vostro generoso e prezioso servizio in questa affascinante opera di evangelizzazione e di catechesi. Non abbiate paura di impegnarvi per il Vangelo! Nonostante le difficoltà che incontrate nel conciliare le esigenze familiari e del lavoro con quelle delle comunità in cui svolgete la vostra missione, confidate sempre nell’aiuto della Vergine Maria, Stella dell’Evangelizzazione. Anche il Beato Giovanni Paolo II, che fino all’ultimo si prodigò per annunciare il Vangelo nella nostra città ed amò con particolare affetto i giovani, intercede per noi presso il Padre. Mentre vi assicuro la mia costante preghiera, di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica.
Grazie per la vostra attenzione.

                                       Pope Benedict XVI looks on during his meeting with Diocese of Rome at the San Giovanni in Laterano Basilica in Rome, on June 13, 2011.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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09/06/2012 14:36
 
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L'11 giugno Benedetto XVI aprirà nella Basilica Lateranense il Convegno ecclesiale della diocesi di Roma sulla riscoperta della bellezza del battesimo

 
Anche quest’anno sarà Benedetto XVI ad aprire la serata inaugurale del Convegno ecclesiale diocesano, lunedì 11 giugno alle 19.30 nella Nasilica di San Giovanni in Laterano, sul tema "Andate e fate discepoli, battezzando e insegnando (Mt 28, 19-20). Riscopriamo la bellezza del battesimo".

La serata di lunedì aprirà una tre giorni di incontro, confronto e scambio, fino al 13 giugno, alla quale sono chiamati a partecipare sacerdoti, religiosi e fedeli laici di tutte le parrocchie di Roma. Dopo l’Eucaristia domenicale e la testimonianza della carità, "l’ambito pastorale che impegna la comunità cristiana a generare la fede - si legge in una nota del cardinale vicario Agostino Vallini - prenderà in esame la prima tappa dell’iniziazione cristiana, quella battesimale".

Nella prima serata, dopo il saluto introduttivo del card. Vallini e il discorso del Santo Padre, prenderà la parola mons. Crispino Valenziano, del Pontificio Istituto Liturgico Sant’Anselmo, consultore della Pontificia commissione per i beni culturali, che parlerà della bellezza del battesimo partendo dall’iconografia del Battistero e della Basilica lateranense. La seconda serata, martedì 12, prevede la relazione del card. Vallini, che prenderà le mosse dalle verifiche sul tema del battesimo spedite dalle parrocchie al Vicariato nei mesi scorsi.

Chiuderà la serata mons. Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, che presenterà il sussidio per la pastorale battesimale, disponibile da fine luglio per la formazione dei catechisti, in vista del prossimo anno pastorale. Mercoledì 13 giugno i lavori si concluderanno nelle prefetture, dove si svolgeranno assemblee per un primo confronto programmatico rispetto alle indicazioni emerse nelle prime due serate del convegno. I fedeli, provenienti da tutte le parrocchie di Roma, potranno accedere in basilica dall’ingresso di piazza di Porta San Giovanni con il pass, gratuito, che può essere ritirato fino a lunedì mattina presso la Segreteria Generale del Vicariato.


Zenit

www.diocesidiroma.it

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/06/2012 16:15
 
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Straordinario intervento del Santo Padre sul Battesimo: Conosciamo anche oggi un tipo di cultura in cui non conta la verità; anche se apparentemente si vuol fare apparire tutta la verità, conta solo la sensazione e lo spirito di calunnia e di distruzione. Una cultura che non cerca il bene, il cui moralismo è, in realtà, una maschera per confondere, creare confusione e distruzione. Contro questa cultura, in cui la menzogna si presenta nella veste della verità e dell’informazione, contro questa cultura che cerca solo il benessere materiale e nega Dio, diciamo «no»

 
STRAORDINARIA LECTIO DEL SANTO PADRE: VIDEO INTEGRALE


Il saluto del cardinale Vallini al Papa in apertura del Convegno diocesano




APERTURA DEL CONVEGNO ECCLESIALE DELLA DIOCESI DI ROMA NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO, 11.06.2012


Alle ore 19.30 di questa sera, il Santo Padre Benedetto XVI si è recato nella Basilica di San Giovanni in Laterano dove ha inaugurato il Convegno ecclesiale che conclude l’anno pastorale della Diocesi di Roma e che ha per tema: "Andate e fate discepoli, battezzando e insegnando (Mt 28, 19-20). Riscopriamo la bellezza del Battesimo" (11-13 giugno 2012).
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:


DISCORSO DEL SANTO PADRE 


Eminenza,
cari fratelli nel Sacerdozio e nell’Episcopato,
cari fratelli e sorelle,


per me è una grande gioia essere qui, nella Cattedrale di Roma con i rappresentanti della mia diocesi, e ringrazio di cuore il Cardinale Vicario per le sue buone parole.
Abbiamo già sentito che le ultime parole del Signore su questa terra ai suoi discepoli, sono state: «Andate, fate discepoli tutti i popoli e battezzateli nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo» (cfr Mt 28,19). 


Fate discepoli e battezzate. Perché non è sufficiente per il discepolato conoscere le dottrine di Gesù, conoscere i valori cristiani? Perché è necessario essere battezzati? Questo è il tema della nostra riflessione, per capire la realtà, la profondità del Sacramento del Battesimo.


Una prima porta si apre se leggiamo attentamente queste parole del Signore. La scelta della parola «nel nome del Padre» nel testo greco è molto importante: il Signore dice «eis» e non «en», cioè non «in nome» della Trinità – come noi diciamo che un vice prefetto parla «in nome» del prefetto, un ambasciatore parla «in nome» del governo: no. Dice: «eis to onoma», cioè una immersione nel nome della Trinità, un essere inseriti nel nome della Trinità, una interpenetrazione dell’essere di Dio e del nostro essere, un essere immerso nel Dio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, così come nel matrimonio, per esempio, due persone diventano una carne, diventano una nuova, unica realtà, con un nuovo, unico nome.
Il Signore ci ha aiutato a capire ancora meglio questa realtà nel suo colloquio con i sadducei circa la risurrezione. I sadducei riconoscevano dal canone dell’Antico Testamento solo i cinque Libri di Mosè e in questi non appare la risurrezione; perciò la negavano. Il Signore, proprio da questi cinque Libri dimostra la realtà della risurrezione e dice: Voi non sapete che Dio si chiama Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe? (cfr Mt 22,31-32). Quindi, Dio prende questi tre e proprio nel suo nome essi diventano il nome di Dio. Per capire chi è questo Dio si devono vedere queste persone che sono diventate il nome di Dio, un nome di Dio, sono immersi in Dio. E così vediamo che chi sta nel nome di Dio, chi è immerso in Dio, è vivo, perché Dio – dice il Signore – è un Dio non dei morti, ma dei vivi, e se è Dio di questi, è Dio dei vivi; i vivi sono vivi perché stanno nella memoria, nella vita di Dio. E proprio questo succede nel nostro essere battezzati: diventiamo inseriti nel nome di Dio, così che apparteniamo a questo nome e il Suo nome diventa il nostro nome e anche noi potremo, con la nostra testimonianza – come i tre dell’Antico Testamento –, essere testimoni di Dio, segno di chi è questo Dio, nome di questo Dio.
Quindi, essere battezzati vuol dire essere uniti a Dio; in un’unica, nuova esistenza apparteniamo a Dio, siamo immersi in Dio stesso. Pensando a questo, possiamo subito vedere alcune conseguenze.


La prima è che Dio non è più molto lontano per noi, non è una realtà da discutere – se c’è o non c’è –, ma noi siamo in Dio e Dio è in noi. La priorità, la centralità di Dio nella nostra vita è una prima conseguenza del Battesimo. Alla questione: «C’è Dio?», la risposta è: «C’è ed è con noi; centra nella nostra vita questa vicinanza di Dio, questo essere in Dio stesso, che non è una stella lontana, ma è l’ambiente della mia vita». Questa sarebbe la prima conseguenza e quindi dovrebbe dirci che noi stessi dobbiamo tenere conto di questa presenza di Dio, vivere realmente nella sua presenza.


Una seconda conseguenza di quanto ho detto è che noi non ci facciamo cristiani. 


Divenire cristiani non è una cosa che segue da una mia decisione: «Io adesso mi faccio cristiano». Certo, anche la mia decisione è necessaria, ma soprattutto è un’azione di Dio con me: non sono io che mi faccio cristiano, io sono assunto da Dio, preso in mano da Dio e così, dicendo «sì» a questa azione di Dio, divento cristiano. Divenire cristiani, in un certo senso, è passivo: io non mi faccio cristiano, ma Dio mi fa un suo uomo, Dio mi prende in mano e realizza la mia vita in una nuova dimensione. Come io non mi faccio vivere, ma la vita mi è data; sono nato non perché io mi sono fatto uomo, ma sono nato perché l’essere umano mi è donato. Così anche l’essere cristiano mi è donato, è un passivo per me, che diventa un attivo nella nostra, nella mia vita. E questo fatto del passivo, di non farsi da se stessi cristiani, ma di essere fatti cristiani da Dio, implica già un po’ il mistero della Croce: solo morendo al mio egoismo, uscendo da me stesso, posso essere cristiano.


Un terzo elemento che si apre subito in questa visione è che, naturalmente, essendo immerso in Dio, sono unito ai fratelli e alle sorelle, perché tutti gli altri sono in Dio e se io sono tirato fuori dal mio isolamento, se io sono immerso in Dio, sono immerso nella comunione con gli altri. 


Essere battezzati non è mai un atto solitario di «me», ma è sempre necessariamente un essere unito con tutti gli altri, un essere in unità e solidarietà con tutto il Corpo di Cristo, con tutta la comunità dei suoi fratelli e sorelle. Questo fatto che il Battesimo mi inserisce in comunità, rompe il mio isolamento. Dobbiamo tenerlo presente nel nostro essere cristiani.
E finalmente, ritorniamo alla Parola di Cristo ai sadducei: «Dio è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe» (cfr Mt 22,32), e quindi questi non sono morti; se sono di Dio sono vivi. Vuol dire che con il Battesimo, con l’immersione nel nome di Dio, siamo anche noi già immersi nella vita immortale, siamo vivi per sempre. Con altre parole, il Battesimo è una prima tappa della Risurrezione: immersi in Dio, siamo già immersi nella vita indistruttibile, comincia la Risurrezione. Come Abramo, Isacco e Giacobbe essendo «nome di Dio» sono vivi, così noi, inseriti nel nome di Dio, siamo vivi nella vita immortale. Il Battesimo è il primo passo della Risurrezione, l’entrare nella vita indistruttibile di Dio.

Così, in un primo momento, con la formula battesimale di san Matteo, con l’ultima parola di Cristo, abbiamo visto già un po’ l’essenziale del Battesimo. Adesso vediamo il rito sacramentale, per poter capire ancora più precisamente che cosa è il Battesimo.
Questo rito, come il rito di quasi tutti i Sacramenti, si compone da due elementi: da materia – acqua – e dalla parola. Questo è molto importante. 
Il cristianesimo non è una cosa puramente spirituale, una cosa solamente soggettiva, del sentimento, della volontà, di idee, ma è una realtà cosmica. Dio è il Creatore di tutta la materia, la materia entra nel cristianesimo, e solo in questo grande contesto di materia e spirito insieme siamo cristiani. 
Molto importante è, quindi, che la materia faccia parte della nostra fede, il corpo faccia parte della nostra fede; la fede non è puramente spirituale, ma Dio ci inserisce così in tutta la realtà del cosmo e trasforma il cosmo, lo tira a sé. E con questo elemento materiale – l’acqua – entra non soltanto un elemento fondamentale del cosmo, una materia fondamentale creata da Dio, ma anche tutto il simbolismo delle religioni, perché in tutte le religioni l’acqua ha qualcosa da dire. 
Il cammino delle religioni, questa ricerca di Dio in diversi modi – anche sbagliati, ma sempre ricerca di Dio – diventa assunta nel Sacramento. Le altre religioni, con il loro cammino verso Dio, sono presenti, sono assunte, e così si fa la sintesi del mondo; tutta la ricerca di Dio che si esprime nei simboli delle religioni, e soprattutto – naturalmente – il simbolismo dell’Antico Testamento, che così, con tutte le sue esperienze di salvezza e di bontà di Dio, diventa presente. Su questo punto ritorneremo.

L’altro elemento è la parola, e questa parola si presenta in tre elementi: rinunce, promesse, invocazioni. Importante è che queste parole quindi non siano solo parole, ma siano cammino di vita. 
In queste si realizza un decisione, in queste parole è presente tutto il nostro cammino battesimale – sia pre-battesimale, sia post-battesimale; quindi, con queste parole, e anche con i simboli, il Battesimo si estende a tutta la nostra vita. Questa realtà delle promesse, delle rinunce, delle invocazioni è una realtà che dura per tutta la nostra vita, perché siamo sempre in cammino battesimale, in cammino catecumenale, tramite queste parole e la realizzazione di queste parole. Il Sacramento del Battesimo non è un atto di un’ora, ma è una realtà di tutta la nostra vita, è un cammino di tutta la nostra vita. In realtà, dietro c’è anche la dottrina delle due vie, che era fondamentale nel primo cristianesimo: una via alla quale diciamo «no» e una via alla quale diciamo «sì».

Cominciamo con la prima parte, le rinunce

Sono tre e prendo anzitutto la seconda: «Rinunciate alle seduzioni del male per non lasciarvi dominare dal peccato?». Che cosa sono queste seduzioni del male? Nella Chiesa antica, e ancora per secoli, qui c’era l’espressione: «Rinunciate alla pompa del diavolo?», e oggi sappiamo che cosa era inteso con questa espressione «pompa del diavolo». 
La pompa del diavolo erano soprattutto i grandi spettacoli cruenti, in cui la crudeltà diventa divertimento, in cui uccidere uomini diventa una cosa spettacolare: spettacolo, la vita e la morte di un uomo. Questi spettacoli cruenti, questo divertimento del male è la «pompa del diavolo», dove appare con apparente bellezza e, in realtà, appare con tutta la sua crudeltà. 
Ma oltre a questo significato immediato della parola «pompa del diavolo», si voleva parlare di un tipo di cultura, di una way of life, di un modo di vivere, nel quale non conta la verità ma l’apparenza, non si cerca la verità ma l’effetto, la sensazione, e, sotto il pretesto della verità, in realtà, si distruggono uomini, si vuole distruggere e creare solo se stessi come vincitori. Quindi, questa rinuncia era molto reale: era la rinuncia ad un tipo di cultura che è un’anti-cultura, contro Cristo e contro Dio. Si decideva contro una cultura che, nel Vangelo di san Giovanni, è chiamata «kosmos houtos», «questo mondo». Con «questo mondo», naturalmente, Giovanni e Gesù non parlano della Creazione di Dio, dell’uomo come tale, ma parlano di una certa creatura che è dominante e si impone come se fosse questo il mondo, e come se fosse questo il modo di vivere che si impone. 

Lascio adesso ad ognuno di voi di riflettere su questa «pompa del diavolo», su questa cultura alla quale diciamo «no». Essere battezzati significa proprio sostanzialmente un emanciparsi, un liberarsi da questa cultura. 
Conosciamo anche oggi un tipo di cultura in cui non conta la verità; anche se apparentemente si vuol fare apparire tutta la verità, conta solo la sensazione e lo spirito di calunnia e di distruzione. Una cultura che non cerca il bene, il cui moralismo è, in realtà, una maschera per confondere, creare confusione e distruzione. Contro questa cultura, in cui la menzogna si presenta nella veste della verità e dell’informazione, contro questa cultura che cerca solo il benessere materiale e nega Dio, diciamo «no». 

Conosciamo bene anche da tanti Salmi questo contrasto di una cultura nella quale uno sembra intoccabile da tutti i mali del mondo, si pone sopra tutti, sopra Dio, mentre, in realtà, è una cultura del male, un dominio del male. E così, la decisione del Battesimo, questa parte del cammino catecumenale che dura per tutta la nostra vita, è proprio questo «no», detto e realizzato di nuovo ogni giorno, anche con i sacrifici che costa opporsi alla cultura in molte parti dominante, anche se si imponesse come se fosse il mondo, questo mondo: non è vero. E ci sono anche tanti che desiderano realmente la verità.

Così passiamo alla prima rinuncia: «Rinunciate al peccato per vivere nella libertà dei figli di Dio?». Oggi libertà e vita cristiana, osservanza dei comandamenti di Dio, vanno in direzioni opposte; essere cristiani sarebbe come una schiavitù; libertà è emanciparsi dalla fede cristiana, emanciparsi – in fin dei conti – da Dio. La parola peccato appare a molti quasi ridicola, perché dicono: «Come! Dio non possiamo offenderlo! Dio è così grande, che cosa interessa a Dio se io faccio un piccolo errore? Non possiamo offendere Dio, il suo interesse è troppo grande per essere offeso da noi». Sembra vero, ma non è vero. Dio si è fatto vulnerabile. Nel Cristo crocifisso vediamo che Dio si è fatto vulnerabile, si è fatto vulnerabile fino alla morte. Dio si interessa a noi perché ci ama e l’amore di Dio è vulnerabilità, l’amore di Dio è interessamento dell’uomo, l’amore di Dio vuol dire che la nostra prima preoccupazione deve essere non ferire, non distruggere il suo amore, non fare nulla contro il suo amore perché altrimenti viviamo anche contro noi stessi e contro la nostra libertà. E, in realtà, questa apparente libertà nell’emancipazione da Dio diventa subito schiavitù di tante dittature del tempo, che devono essere seguite per essere ritenuti all’altezza del tempo.

E finalmente: «Rinunciate a Satana?».
Questo ci dice che c’è un «sì» a Dio e un «no» al potere del Maligno che coordina tutte queste attività e si vuol fare dio di questo mondo, come dice ancora san Giovanni. Ma non è Dio, è solo l’avversario, e noi non ci sottomettiamo al suo potere; noi diciamo «no» perché diciamo «sì», un «sì» fondamentale, il «sì» dell’amore e della verità. Queste tre rinunce, nel rito del Battesimo, nell’antichità, erano accompagnate da tre immersioni: immersione nell’acqua come simbolo della morte, di un «no» che realmente è la morte di un tipo di vita e risurrezione ad un’altra vita. Su questo ritorneremo. 

Poi, la confessione in tre domande: «Credete in Dio Padre onnipotente, Creatore; in Cristo e, infine, nello Spirito Santo e la Chiesa?». Questa formula, queste tre parti, sono state sviluppate a partire dalla Parola del Signore «battezzare in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»; queste parole sono concretizzate ed approfondite: che cosa vuol dire Padre, cosa vuol dire Figlio – tutta la fede in Cristo, tutta la realtà del Dio fattosi uomo – e che cosa vuol dire credere di essere battezzati nello Spirito Santo, cioè tutta l’azione di Dio nella storia, nella Chiesa, nella comunione dei Santi. 

Così, la formula positiva del Battesimo è anche un dialogo: non è semplicemente una formula. Soprattutto la confessione della fede non è soltanto una cosa da capire, una cosa intellettuale, una cosa da memorizzare - certo, anche questo - tocca anche l’intelletto, tocca anche il nostro vivere, soprattutto. E questo mi sembra molto importante. Non è una cosa intellettuale, una pura formula. E’ un dialogo di Dio con noi, un’azione di Dio con noi, e una risposta nostra, è un cammino. La verità di Cristo si può capire soltanto se si è capita la sua via. Solo se accettiamo Cristo come via incominciamo realmente ad essere nella via di Cristo e possiamo anche capire la verità di Cristo. La verità non vissuta non si apre; solo la verità vissuta, la verità accettata come modo di vivere, come cammino, si apre anche come verità in tutta la sua ricchezza e profondità. Quindi, questa formula è una via, è espressione di una nostra conversione, di un’azione di Dio. E noi vogliamo realmente tenere presente questo anche in tutta la nostra vita: che siamo in comunione di cammino con Dio, con Cristo. E così siamo in comunione con la verità: vivendo la verità, la verità diventa vita e vivendo questa vita troviamo anche la verità.

Adesso passiamo all’elemento materiale: l’acqua. E’ molto importante vedere due significati dell’acqua. Da una parte, l’acqua fa pensare al mare, soprattutto al Mar Rosso, alla morte nel Mar Rosso. Nel mare si rappresenta la forza della morte, la necessità di morire per arrivare ad una nuova vita. Questo mi sembra molto importante. 

Il Battesimo non è solo una cerimonia, un rituale introdotto tempo fa, e non è nemmeno soltanto un lavaggio, un’operazione cosmetica. E’ molto più di un lavaggio: è morte e vita, è morte di una certa esistenza e rinascita, risurrezione a nuova vita. Questa è la profondità dell’essere cristiano: non solo è qualcosa che si aggiunge, ma è una nuova nascita. 
Dopo aver attraversato il Mar Rosso, siamo nuovi. Così il mare, in tutte le esperienze dell’Antico Testamento, è divenuto per i cristiani simbolo della Croce. Perché solo attraverso la morte, una rinuncia radicale nella quale si muore ad un certo tipo di vita, può realizzarsi la rinascita e può realmente esserci vita nuova. Questa è una parte del simbolismo dell’acqua: simboleggia - soprattutto nelle immersioni dell’antichità - il Mar Rosso, la morte, la Croce. Solo dalla Croce si arriva alla nuova vita e questo si realizza ogni giorno. Senza questa morte sempre rinnovata, non possiamo rinnovare la vera vitalità della nuova vita di Cristo.

Ma l’altro simbolo è quello della fonte. L’acqua è origine di tutta la vita; oltre al simbolismo della morte, ha anche il simbolismo della nuova vita. Ogni vita viene anche dall’acqua, dall’acqua che viene da Cristo come la vera vita nuova che ci accompagna all’eternità.


Alla fine rimane la questione - solo una parolina – del Battesimo dei bambini


E’ giusto farlo, o sarebbe più necessario fare prima il cammino catecumenale per arrivare ad un Battesimo veramente realizzato? E l’altra questione che si pone sempre è: «Ma possiamo noi imporre ad  un bambino quale religione vuole vivere o no? Non dobbiamo lasciare a quel bambino la scelta?». 
Queste domande mostrano che non vediamo più nella fede cristiana la vita nuova, la vera vita, ma vediamo una scelta tra altre, anche un peso che non si dovrebbe imporre senza aver avuto l’assenso del soggetto. La realtà è diversa. 
La vita stessa ci viene data senza che noi possiamo scegliere se vogliamo vivere o no; a nessuno può essere chiesto: «vuoi essere nato o no?». La vita stessa ci viene data necessariamente senza consenso previo, ci viene donata così e non possiamo decidere prima «sì o no, voglio vivere o no». 
E, in realtà, la vera domanda è: «E’ giusto donare vita in questo  mondo senza avere avuto il consenso – vuoi vivere o no? Si può realmente anticipare la vita, dare la vita senza che il soggetto abbia avuto la possibilità di decidere?». Io direi: è possibile ed è giusto soltanto se, con la vita, possiamo dare anche la garanzia che la vita, con tutti i problemi del mondo, sia buona, che sia bene vivere, che ci sia una garanzia che questa vita sia buona, sia protetta da Dio e che sia un vero dono. Solo l’anticipazione del senso giustifica l’anticipazione della vita. 

E perciò il Battesimo come garanzia del bene di Dio, come anticipazione del senso, del «sì» di Dio che protegge questa vita, giustifica anche l’anticipazione della vita. Quindi, il Battesimo dei bambini non è contro la libertà; è proprio necessario dare questo, per giustificare anche il dono – altrimenti discutibile – della vita. Solo la vita che è nelle mani di Dio, nelle mani di Cristo, immersa nel nome del Dio trinitario, è certamente un bene che si può dare senza scrupoli. E così siamo grati a Dio che ci ha donato questo dono, che ci ha donato se stesso. 

E la nostra sfida è vivere questo dono, vivere realmente, in un cammino post-battesimale, sia le rinunce che il «sì» e vivere sempre nel grande «sì» di Dio, e così vivere bene.
Grazie.






























[Modificato da Caterina63 12/06/2012 16:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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