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13 luglio Incontro con mons. Ravasi sull'Arte Sacra (bellissimo intervento di Francesco Colafemmina)

Ultimo Aggiornamento: 28/09/2010 11:57
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13/07/2010 23:22
 
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LA DECADENZA DELL'ARTE E DELL'ARCHITETTURA SACRA: UNA RIVOLUZIONE DA FERMARE AL PIU' PRESTO!



Cari amici, si è svolto oggi a Roma l'incontro alla presenza di Mons. Ravasi sui temi a noi cari. Purtroppo non ho potuto partecipare per un impegno di lavoro improvviso che mi ha portato a Londra... Ad ogni modo la mia presenza c'è stata sottoforma del contributo che è stato distribuito ai partecipanti dall'amico Manuel Grillo e che trovate qui sotto. Un resoconto dell'incontro - per quanto ne ho capito non particolarmente entusiasmante - sarà pubblicato a breve.

Ecco il testo del mio intervento:

LA DECADENZA DELL'ARTE E DELL'ARCHITETTURA SACRA:
UNA RIVOLUZIONE DA FERMARE AL PIU' PRESTO!

di Francesco Colafemmina

Lassù in alto, sulla montagna
C'è una chiesetta solitaria.
La sua campana non suona,
E non vi canta neppure un prete.

Una sola candela
E una croce di pietra
Sono il solo ornamento
Della povera chiesetta.

Ma il viandante che passa
Si ferma e s'inginocchia
E con gran devozione
Bacia la sua bianca croce.

Anghelos Vlàchos

Introduzione

Per formulare un pur breve discorso intorno all’odierna condizione delle arti e dell’architettura sacra, credo sia necessario partire da una premessa largamente condivisa: le arti liturgiche e l’architettura chiesastica vivono oggi uno dei più gravi periodi di crisi nella storia del Cattolicesimo.

Consapevoli di una tale oggettiva realtà, non possiamo far altro che cercare di individuare le ragioni di una simile crisi, svilupparne una critica fondata e formulare, infine, delle proposte che consentano alla nostra Chiesa di ritornare ad esser autentico faro del bello per mezzo del quale risplende la Verità di Cristo.
 

Anche se tutti possiamo convenire sull’attuale decadenza delle arti sacre, probabilmente a non tutti noi è chiaro il senso di questo termine: decadenza. Decade ciò che per processo fisico e naturale passa da una condizione di pienezza, di fiorita vigoria, ad un’altra miseranda, fatta di vecchiaia e deperimento. Le arti e l’architettura sacre sembrano invece decadere per un atto volitivo e programmatico, non per inerzia o fisica reazione. E siccome gli atti di volontà nella Chiesa sono eminentemente personali e non impersonali o stratificati in ciò che siamo soliti definire “tradizione” è agli uomini che ci tocca guardare.

Per leggere il seguito clicca qui!

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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16/07/2010 18:42
 
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Nel piedino del Bambino Gesù

Il segno di Babinski


di Marcello Celestini
Primario Fisiatra Ospedale Santo Spirito di Roma

Il visitatore della Galleria Palatina di Firenze che si pone di fronte a uno dei quadri più celebri al mondo, la cosiddetta Madonna della seggiola di Raffaello, rimarrà sicuramente attratto dall'immagine del Bambino Gesù che sprofondato nell'abbraccio della sua Mamma presenta a noi i suoi piedini nudi. Estremità graziose e paffute con una caratteristica che il clinico specialista subito riconoscerà. Il Bambino Gesù di Raffaello presenta quello che nella terminologia medica si chiama "segno di Babinski"
.

Il riflesso plantare di estensione nel neonato è infatti noto come riflesso di Babinski, dal nome del neuropsichiatra di origine polacca che lo ha descritto. Consiste nel neonato nella normale risposta alla stimolazione della parte laterale della superficie plantare del piede con l'estensione dell'alluce e lo sventagliamento delle altre dita del piede. Nel novanta per cento dei casi per provocare una flessione delle dita è sufficiente il solo sfioramento con l'unghia lungo il margine plantare esterno.

L'estensione dell'alluce su stimolazione nel neonato non è sintomo di patologia, come lo è invece nell'adulto. In tal caso infatti è espressione di una risposta anomala agli stimoli nocivi, dovuta al mancato controllo dello stimolo da parte dei centri nervosi lesionati, così come avviene negli accidenti vascolari cerebrali (ictus cerebri).

Nel neonato il segno di Babinski è presente sin dal primo anno di vita, in particolare nel primo semestre, per l'incompleta mielinizzazione del tratto cortico spinale. Com'è noto, la mielina costituisce la guaina di proteine e lipidi complessi che ricopre e protegge le fibre nervose. Il processo di mielinizzazione inizia nel secondo trimestre di gravidanza e termina nell'età adulta dopo la nascita. La più rapida fase del processo avviene nei primi sei mesi di vita postnatale. Durante la vita fetale la deposizione della mielina avviene dapprima prossimalmente, cioè al di sopra della cellula nervosa e in seguito progredisce distalmente, verso l'assone, nella direzione di maggior flusso di informazione nervosa.

Nelle fibre del sistema nervoso centrale viene deposta solo nel terzo trimestre, pertanto il tratto cortico spinale che porta le informazioni nervose inizia a mielinizzarsi intorno alla trentaseiesima settimana di gestazione. Poiché gli assoni delle estremità inferiori sono i più lunghi, il processo di mielinizzazione si completa alla fine del secondo anno di vita del bambino.

Il particolare riflesso plantare dei neonati è stato rappresentato spesso dai pittori italiani del Quattrocento e del Cinquecento. Molto è stato scritto sulle facoltà intuitive e percettive dell'artista, qualcuno ha parlato persino di un "terzo occhio", nel senso che il grande artista, sia esso letterato, pittore o musicista, riesce ad antivedere e a rappresentare cose e sentimenti che dopo di lui diventeranno a tutti noti e da tutti condivisi. In un certo senso il riflesso plantare del neonato che la medicina ha correttamente studiato in tempi recenti, era dagli artisti dei secoli passati già visto e rappresentato non come anomalia anatomica quanto piuttosto come graziosa eccentricità del corpicino infantile.

Un artista che l'ha ben rappresentato è certamente Sandro Botticelli ad esempio nell'opera Madonna con Bambino e angeli, ma vi sono precedenti più antichi.

Intorno agli anni 1320-1330, i fratelli Lorenzetti, Ambrogio nella Madonna del latte del Seminario di Siena e anche Pietro nel polittico dell'altare maggiore della Pieve di Arezzo, raffigurano il Gesù Bambino vestito di una tunichetta ma con le gambe nude e gli alluci dei piedini in estensione.
È una grande novità rispetto all'arte bizantina nella quale il Bambino Gesù veniva dipinto completamente vestito perché, come dettavano i Padri della Chiesa e come riportato nel volume di Margherita e Lucetta Scaraffia Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia (Bari, Laterza, 2008) "la parte superiore del corpo di Gesù rappresentava la sua divinità, i piedi e la parte inferiore la sua umanità.

Alla fine del Duecento i pittori italiani che raffigurano la Madonna con Bambino iniziano gradualmente a rappresentare anche le gambe del Bambino e poco dopo l'inizio del xiv secolo si arriva a rappresentarlo nella sua nudità, spostando così l'attenzione sulla sua natura umana, fino a raggiungere una totale rappresentazione naturalistica che comprende l'ostentatio genitalium".

In questo nuovo linguaggio figurativo numerosi artisti, senza avere alcuna cognizione di fisiologia umana o di studi specifici di anatomia, attraverso la rappresentazione del naturale, dipingono il Bambino Gesù nudo in grembo alla Madonna e colgono nei piedini la presenza del segno di Babinski.

Ciò è evidente nel frammento di affresco datato al 1493 eseguito dal Pinturicchio per l'appartamento di Papa Alessandro vi Borgia, nel quale il Gesù Bambino raffigurato mostra un nettissimo riflesso plantare di sventagliamento nel piedino destro, stimolato dalla mano di un santo. Anche Leonardo da Vinci, nella celebre Madonna del Garofano (1478), rappresenta Gesù nudo con l'estensione di tutti e due gli alluci dei piedi.

Il Verrocchio infine nella Madonna con Bambino tra due angeli, eseguita tra il 1476 e il 1478, dipinge tutti e due gli alluci addirittura in iper-estensione.

Dopo il concilio di Trento le immagini del Gesù Bambino nudo saranno ritenute non conformi e il naturalismo rappresentativo verrà a poco a poco abbandonato. Così come l'immagine del riflesso plantare del neonato che molti secoli dopo la medicina interpreterà e codificherà nella semeiotica clinica come il "segno di Babinski".



(©L'Osservatore Romano - 17 luglio 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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28/09/2010 11:57
 
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L'ARTE ECCLESIASTICA DOPO IL POSTMODERNISMO


Cari amici, pubblico oggi la mia traduzione di un interessante contributo della studiosa irlandese Janet Rutherford recentemente apparso su The Institute for Sacred Architecture. Lo reputo un articolo molto interessante perché inquadra con viva lucidità la trama ideale e teologica che dovrebbe sottendere all'edificazione di una nuova architettura ed arte sacra nel segno della continuità della tradizione cattolica e slegata dalle ideologie estetiche profane. Ringraziando l'editore dell'Institute for Sacred Architecture e la dottoressa Rutherford vi auguro una buona lettura!


di Janet Rutherford

"L'antica arte cristiana dovrebbe risorgere a nuova vita: nel suo spirito, non nelle sue forme"
- Peter Lenz, L'Estetica di Beuron

C'è un futuro per l'arte ecclesiastica che continui le tradizioni del passato, senza essere meramente imitativa: riciclare stili e modelli passati?
Io vorrei suggerire che sì, esiste, ma che soltanto attraverso la riscoperta dei principi sui quali si fondava l'arte del passato, gli artisti avranno la necessaria consapevolezza per poter creare un'arte del futuro. L'architettura occidentale è naturalmente basata su principi geometrici e fisici noti sin dall'antichità. Per questa ragione architetti che vogliano continuare a progettare secondo la tradizione gotica o classica possono farlo creativamente, senza ridursi semplicemente a copiare edifici esistenti. Di contro, l'arte decorativa è in uno stato di crisi. Gli arbitri della moda artistica hanno deliberatamente sottratto agli studenti di arte i principi dell'estetica occidentale, più o meno come a molti bambini degli anni sessanta non si è mai insegnata la pronuncia o la punteggiatura.
A meno che gli artisti in Occidente non re-imparino i principi estetici classici, saremo lasciati morire d'inedia nel grande vuoto bianco del minimalismo, come esemplificato dal "rinnovato" monastero di Novy Dvur nella Repubblica Ceca, lasciato in eredità ai posteri da John Pawson.


Estetica e Simbolismo sacramentale nei Padri della Chiesa

Per creare arte ecclesiastica, tuttavia, la conoscenza dell'estetica e dei principi di composizione non basta. Perché nel contesto della teologia, e quindi della liturgia, l'estetica non è un soggetto isolato. Come i Pitagorici e i Platonici dell'antichità, i padri della Chiesa consideravano l'estetica come la chiave di volta dell'intera struttura dottrinale e simbolica della teologia - da non separare, per esempio, dalla teologia morale e sacramentale, o dal simbolismo della liturgia. Per tale ragione formare un'arte sacra per il futuro è solo in parte una questione di insegnamento agli studenti dei principi compositivi classici.
Molto più fondamentalmente è un processo che coinvolge la comprensione, da parte di ciascuna persona coinvolta nelle decisioni sulla decorazione delle chiese, della teologia sacramentale e liturgica di cui l'estetica Cristiana non è che una parte. Una parte di vitale importanza sulla quale i padri hanno molto da insegnarci, a seguito della prima grande controversia iconoclasta dei secoli ottavo e nono. Sebbene la crisi in sé abbia riguardato per lo più le chiese dell'est, essa condusse allo sviluppo di una teologia estetica che circonda il Settimo Concilio Ecumenico e costituisce dunque un ottimo punto di partenza.

La Cappella recentemente dedicata nel Monastero di Nový Dvůr nella Repubblica Ceca


Il fondamentale principio iconografico derivante dagli eventi che circondarono il Settimo Concilio Ecumenico (787) è che la rappresentazione di immagini in una chiesa cristiana non solo è possibile, ma è necessaria. Creando immagini di Cristo e dei Santi, affermiamo infatti l'unità della Persona di Cristo e la piena realtà della sua natura umana Incarnata.
Questo importante principio sicuramente necessita di essere urgentemente riaffermato oggi. Invero, la cappella del monastero di Novy Dvur sarebbe stata probabilmente pienamente approvata dagli imperatori iconoclasti dell'ottavo secolo, che sostenevano che le uniche cose materiali dotate di carattere sacramentale fossero solo gli elementi eucaristici, e che l'unico simbolo cristiano consentito fosse la croce. Gli unici oggetti sacri di questa cappella sono infatti la riserva eucaristica nel tabernacolo e la croce sull'altare. La necessità dottrinale delle immagini di Cristo e dei Santi nelle chiese è parte dell'ortodossia cristiana, ed è su queste basi che dobbiamo cominciare a costruire.


L'unità essenziale di Architettura, Arte e Liturgia

Un altro principio importante nato dalla crisi iconoclasta fu quello in base al quale ci dovrebbe essere una unità essenziale fra l'edificazione della chiesa, la sua arte interna, e il simbolismo del rito che racchiudono. Nelle chiese ortodosse questa unità è rappresentata in parte da ciascuna immagine che occupa un posto determinato nell'intero schema interno di una chiesa, così come ogni stanto ed essere celeste occupa un posto particolare nel regno dei cieli. Ma non sto suggerendo che lo schema delle chiese ortodosse debba essere imposto alle chiese occidentali. Uno schema organizzativo fornisce una narrativa che si dispiega man mano che gli occhi si muovono all'interno di una chiesa. La pianta centrale delle chiese ortodosse (derivante dagli antichi martyria), con la sua navata quadrata, combinata con una cupola centrale, attira l'occhio lungo uno schema differente da quello della pianta cruciforme di molte chiese occidentali. Naturalmente ci sono anche chiese a pianta centrale neoclassiche nelle quali lo schema gerarchico dell'iconografia bizantina è sempre stato appropriato, muovendo lo sguardo intorno e dentro la cupola. Ma anche qui, l'esistenza di una iconostasi e conseguentemente l'invisibilità del santuario nelle chiese ortodosse rende inappropriata l'adozione pedissequa del loro modello. In una chiesa a pianta cruciforme l'occhio si sposta dalla navata fino al santuario e infine al muro orientale; e l'organizzazione dell'iconografia dovrebbe seguire questo schema. Il principio dell'integrità iconografica non implica dunque l'imposizione di uno schema particolare in tutte le chiese, ma coinvolge la comprensione del simbolismo sottostante sia la liturgia che l'architettura chiesastica.

Il principio importante è chi ancora quello secondo cui l'architettura e l'arte di una chiesa dovrebbero affermare la completa unità della natura umana e divina di Cristo, così come essa è racchiusa nella liturgia eucaristica. L'iconografia ortodossa fa ciò attraverso la creazione di immagini bidimensionali (che suggeriscono la natura celeste del corpo risuscitato), ma usando al contempo il linguaggio simbolico della "scrittura delle icone" per insegnare la natura umana di Cristo e l'autentica vulnerabilità incarnata.
Affermare entrambe le nature di Cristo significa anche coinvolgere la comprensione di due simbologie complementari della liturgia ortodossa. Da una parte, siamo chiamati a ricordare (anamnesis) la vita terrena di Cristo, il suo ministero, il sacrificio e la resurrezione. Ma siamo anche chiamati a vedere il posto che l'Incarnazione e Resurrezione di Cristo hanno nell'intera storia della salvezza, dalla Creazione fino al banchetto escatologico.
Su questo principio, quindi, possiamo decidere l'organizzazione dell'iconografia in base a un dato tipo di architettura chiesastica. Il contenuto di questa iconografia è aperto ad un vasto campo di scelta e inevitabilmente sarà informato dalla dedicazione della chiesa. Il punto è che tutte le immagini dovrebbero essere coerenti con un unificato simbolismo che suggerisca una o l'altra (se non entrambe) queste due narrazioni simboliche: quella della vita di Cristo (e dei suoi Santi) e quella della storia della salvezza come un tutt'uno. Se questi principi vengono adottati, l'unica prescrizione è che, in qualunque narrazione, l'altare simbolizzi la Passione. Ovunque l'occhio cominci il suo viaggio, quando arriva all'altare sarà giunto alla Passione, sia nell'ambito della storia della vita di Cristo, sia in quello dell'intera storia della salvezza. Immagini della Resurrezione, Ascensione, Cristo intronizzato nella gloria, il banchetto escatologico etc. sarebbero quindi assai appropriate ovunque l'occhio naturalmente si volga: il muro orientale o il soffitto (se non entrambi).

Nostra Signora Sede della Sapienza nel santuario della Chiesa dell'Annunciazione a Praga-Smíchov, nella Beuron School.


La forma e lo stile della raffigurazione artistica

Partendo dalla necessità sia di avere un'arte integrata con l'architettura e di dare uguale giustizia alla natura divina ed umana di Cristo, potremmo chiederci: quale forma o stile della rappresentazione architettonica e artistica è appropriato per una data chiesa? Muovendo dal principio dell'integrità simbolica, vorrei farne discendere il principio della complementarietà stilistica. Una volta affermata l'unità delle nature divina ed umana di Cristo nel simbolismo dello schema organizzativo della raffigurazione, abbiamo la necessità di creare spazi liturgici nei quali si possa rendere culto a Dio come un popolo completamente integrato ossia, con la facoltà della ragione come anche con l'intuizione, o con pensieri e sentimenti. Proprio come affermiamo l'integrità di Cristo come una Persona, umana e divina, così, per conformarci a questa immagina, abbiamo bisogno di avvicinarci a Dio come esseri umani integrali, i cui pensieri siano informati dai sentimenti e i cui sentimenti siano ragionevoli. Qui possiamo basarci sugli insegnamenti del padre della Chiesa del quinto secolo, Diadoco di Photike. Egli credeva che come risultato della Caduta di Adamo ed Eva, i nostri sentimenti si siano disconnessi dalla ragione; e che solo l'Incarnazione e la Resurrezione di Cristo abbiano reso possibile all'essere umano il recupero della propria integrità. Ciò mi sembra molto vicino al pensiero di Benedetto XVI sulla necessaria integrità del pensiero e dei sentimenti. Il culto divino con le sole nostre menti significherebbe ridurre noi stessi allo stato degli iconoclasti, ossia dividerci in due e allo stesso tempo negare l'unità delle nature divina ed umana di Cristo.
Da un altro lato, basandoci solo sulle nostre emozioni, potremmo andare a finire dovunque, dal momento che non saremmo in grado di formulare giudizi critici sull'innata bontà o malvagità di ciò verso cui ci muovono i nostri stessi sentimenti. La forma architettonica dell'edificio, quindi, assieme allo schema e alla tipologia delle sue raffigurazioni, dovrebbe, come unità simbolica, condurci come un tutt'uno, come persone integrali, alla completa attenzione di ciò che sta accadendo nella liturgia.

Credo che se la si vede in questo senso, lo stile architettonico e artistico di una chiesa dovrebbe finire per essere complementare piuttosto che identico, agevolando l'unità delle nostre nature razionali ed intuitive in una attenzione integrale verso Dio, come un unico popolo. Una via per far ciò potrebbe consistere nella combinazione di un'arte realistica ed emotiva con un'architettura che sia ordinata e simmetrica, e in tal senso "razionale". L'architettura neoclassica combinata con un'arte altamente rappresentativa, come la si può trovare in numerose chiese dell'Alto Rinascimento, è un esempio di questa soluzione.

L'architettura gotica, d'altro canto, è sempre stata tesa all'elevazione dell'immaginazione e dello spirito nei reami della contemplazione inaccessibili al ragionamento verbale. Sul principio della complementarietà vorrei quindi arguire che nelle chiese neogotiche l'arte più appropriata sarebbe quella figurativa ma non rappresentativa, un po' come l'arte idealizzata e "astratta" del medioevo.

Ma dobbiamo restare soltanto con la possibilità di replicare stili medievali e rinascimentali? E' precisamente attraverso una comprensione dei principi di integrità e complementarietà che il progettista può essere libero di esplorare un'ampia varietà di idiomi artistici per creare appropriati spazi liturgici: uno che incorpori il simbolismo della vita di Cristo e la storia della salvezza e integri, per far questo, l'arte rappresentativa che può essere applicata ad una architetture austera e simmetrica. Il problema più pressante è conoscere il modo per creare una moderna arte idealizzata per completare emotivamente un'architettura edificante. Ciò di cui abbiamo bisogno è un'arte occidentale che racchiuda gli stessi principi che si ritrovano nell'iconografia orientale, pur rimanendo nel solco della tradizione artistica occidentale. Non sto quindi suggerendo una pedissequa adozione dei principi compositivi dell'iconografia ortodossa. Questa iconografia necessita di esser letta da coloro che sono nutriti dalla tradizione ortodossa. Non può semplicemente esser estrapolata dal suo contesto e inserita in un'altra cultura ecclesiologica (particolarmente tenendo conto del significato sacramentale che l'arte ha nell'Ortodossia e che non ha nell'Occidente).

L'uso di un'unica composizione prospettica, per esempio, è caratteristicamente occidentale, e credo che dovrebbe continuare ad essere normativo. Ma vi sono principi compositivi comuni all'arte idealizzata sia dell'oriente che dell'occidente, ed è su queste basi che una nuova arte può essere creata. Per convenienza chiamerò questa nuova arte geometrica appropriata per chiese gotiche non "bizantina" e nemmeno "medievale", ma "platonica", dal momento che sarà composta su principi euclideo/platonici combinati con l'uso di un'unica prospettiva. Ma non sarà, come l'arte bizantina e medievale, altamente modellata ma sembrerà relativamente "piana" (o nel caso della scultura "rigida"). Perciò da dove dovremmo cominciare il nostro viaggio attraverso la moderna arte chiesastica platonica?


La Madre di Dio intronizzata nella Gloria con San Benedetto e Santa Scolastica.
Cappella di San Mauro, Beuron, Germania. Architetto Desiderius Lenz, artista Gabriel Wüger.
Foto: Andreas Praefcke


Peter Lenz e l'Estetica di Beuron

A coloro che auspicano lo sviluppo dell'iconografia interna delle chiese neoclassiche, lascio le seguenti osservazioni e il suggerimento che un'arte completamente modellata, naturalistica, composta in complessi schemi dinamici, sarebbe il migliore punto di partenza, perché completerebbe l'ordine e la simmetria dell'architettura. Ma vorrei concentrarmi sul futuro dell'arte neo gotica. Gli ideali medievali dell'arte neo gotica e della sua architettura furono parte del più ampio movimento del romanticismo europeo. Il Tractarian Movement della Chiesa d'Inghilterra fu parte di tale movimento, e la conversione di Pugin al Cattolicesimo lasciò alla Britannia il neo gotico come influenza dominante per le chiese cattoliche e anglicane. Dall'Inghilterra si diffuse per tutta l'Europa e l'Impero Britannico. Nel mezzo del diciannovesimo secolo lo scultore e pittore Peter (dopo i voti, Desiderius) Lenz, il cui iniziale apprendistato consisteva nella realizzazione di mobili neogotici, si stufò dell'arte rinascimentale. Attraverso lo studio dell'arte classica e dell'arte paleocristiana egli scoprì esattamente ciò che l'artista Jay Hambidge avrebbe scoperto agli inizi del XX secolo: i principi della geometria euclidea sottostanno all'arte egizia, greca e in parte a quella bizantina. Significativamente, sia Lenz che Hambidge, con i loro occhi di esperti artisti, per primi scrutarono questi elementi geometrici nella composizione nello studio dei vasi greci. Ciò che trovarono furono applicazioni della sezione aurea (basata sul p greco) all'area e al volume, che non erano note ai pensatori del rinascimento, giacché traducendo gli scritti euclidei e platonici in latino, la parola che sta per "area" era stata tradotta male come "linea". La riscoperta della radice quadrata rivelò i principi compositivi degli schemi egizi e greci. Ma mentre Hambidge continuò le sue ricerche per incorporare i principi di phyllotaxis, e giunse a concentrarsi sulla simmetria dinamica sia delle radici quadrate che della spirale logaritmica, Lenz fu sopraffatto dalle proporzioni presenti nelle raffigurazioni dell'arte egizia. La sua reazione fu così forte che costituì per lui una sorta di conversione artistica. Rigettò l'arte naturalistica del Rinascimento e si convinse di aver trovato il canone universale della proporzione che era stato presente nell'arte cristiana delle origini, ma che si era perso nelle generazioni successive. Allo stesso tempo rimase legato all'estetica medievale che comprendeva sia l'architettura gotica che l'arte piana. Il risultato artistico del pensiero di Lenz può essere osservato nei suoi stessi lavori presso la Scuola di Beuron. I suoi principi possono essere ritrovati nell'incompiuta Estetica di Beuron.
Lenz fu per molti versi un visionario, simile a William Blake, e il suo canone è così esoterico che è difficile comprenderne i principi. Ma la presenza nella sua arte delle radici quadrate (particolarmente √5, importante anche per Hambidge per la sua speciale relazione con la sezione aurea), assieme alla composizione simmetrica e alla rappresentazione astratta sempificata è un fatto ovvio. Su queste basi, se non interamente sul canone di Lenz, può basarsi una futura arte platonica.

E' significativo che, proprio come Pitagora scoprì il rapporto 1:0.618 notando inizialmente la relazione fra le relative lunghezze delle corde di uno strumento musicale e poi il loro tono, allo stesso modo Lenz fu assorbito dalla relazione fra queste relazioni sperimentando musicalmente con uno strumento monocorde. Fu infatti condotto inizialmente al monastero benedettino di Beuron attraverso il libro Choral Music and Liturgy di Benedikt Sauter, che aveva trascorso del tempo a Solesmes ed era convinto che vi fossero degli intrinseci principi di unità armonica che rappresentano le universali relazioni numeriche.

Questo è un dato tipico del Platonismo, e attraverso la sua diffusa lettura di autori platonici sia pagani che cristiani (in particolare S.Agostino) Lenz si convinse che gli universali espressi nel canto di Solesmes e Beuron erano gli autentici principi che egli cercava di incorporare nella propria arte. Per Platone e coloro che seguirono nella sua tradizione, l'arte più pura era infatti quella che più integralmente si conformava ai grandi e fondamentali principi geometrici sottostanti la realtà: non l'osservazione precisa e la rappresentazione di oggetti naturalistici, obiettivo più tardi ripreso nell'arte Rinascimentale. Ciò che sia Sauter e Lenz stavano facendo era infatti una riscoperta del credo pitagorico di Platone, in base al quale ci sarebbero principi geometrici intrinseci in tutte le cose, e le cui caratteristiche formali possiedono anche un potenziale effetto morale. Infatti gli antichi "modi" (scale) della musica greca, sui quali si basano anche i "toni" del canto bizantino ortodosso, si riteneva avessero la capacità di influenzare la gente, quando si suonava: una teoria condivisa da molti Padri della Chiesa.


Albert Gleizes e l'arte platonica del XX secolo

L'eredità teoretica di Lenz raggiunse un vasto uditorio a seguito della traduzione dell'Estetica di Beuron in francese, da parte dell'artista Paul Sérusier, allievo di Gaugin. Sérusier diede inoltre maggiori spiegazioni pratiche degli scritti piuttosto oscuri di Lenz nel suo ABC de la Peinture(1921).
Attraverso i lavori di Sérusier, le teorie di Lenz sia sull'arte liturgica che sulla musica vennero all'attenzione dell'artista Alber Gleizes. Gleizes era convinto come Lenz del carattere fondamentalmente sacro dell'arte platonica proporzionata. Concordava inoltre sul fatto che il medesimo rapporto platonico scorresse anche nel canto gregoriano. A questo punto emersero le tensioni tra tradizione Aristotelica e Platonica. Semplificando potremmo dire che la differenza Platonismo e Aristotelismo si manifesta nella nostra distinzione fra arti e scienze. Il processo noetico dei platonici tende alla sintesi di diverse osservazioni in un tutt'uno. Ciò coinvolge l'identificazione dei principi universali sottostanti, come fa ad esempio l'arte bizantina/ortodossa, e che Lenz e Gleizes hanno cercato di realizzare. Gli aristotelici invece preferiscono identificare, analizzare e categorizzare separatamente oggetti e fenomeni. Gleizes credeva che la dicotomia Platonico/Aristotelica fosse rappresentata dal canto gregoriano benedettino "platonico" e dall'arte di Beuron, in contrasto con l'approccio Aristotelico/Tomistico domenicano all'arte, rappresentato da Padre Pie-Raymond Régamey, che fu responsabile della commissione di chiese ed opere d'arte ad artisti come Henri Matisse e Le Corbusier. Il mancato apprezzamento di Régamey per l'arte di Gleizes era invero parte del suo più generale disprezzo per la tradizione artistica di Beuron e sintomo di una più diffusa ostilità tomistica nei riguardi del platonismo.

Ma mantenendo il principio di complementarietà che ho messo in evidenza, suggerisco che la tensione fra le tradizioni Platonica ed Aristotelica potrebbero essere viste come una manifestazione umana della "schizofrenia" descritta da Diadochos di Photike: la disgiunzione fra la capacità analitica razionale dell'essere umano e la sua abilità di sintetizzare le percezioni in un tutto unico. Sul principio di complementarietà, come l'ho descritto, vorrei arguire che l'arte scientifica rinascimentale, con le sue basi nell'osservazione della natura, non dovrebbe essere guardata come una antitesi all'astratta arte platonica, ma piuttosto come un suo complemento. Dovrebbero essere invece utilizzate entrambe nelle chiese i cui stili architettonici siano loro complementari. Combinando il principio di complementarietà con uno schema globale che segua la narrazione della vita di Cristo o della storia della salvezza, si soddisferebbe il principio della necessaria unità simbolica di architettura, arte e liturgia.

La cupola della chiesa greco-ortodossa di Cardiff, Wales
Foto: Martin Crampin


Il futuro dell'arte ecclesiastica in Occidente

Perciò come dobbiamo procedere per creare un'arte platonica per l'oggi? L'autentica domanda è erronea e deriva dal postmodernismo. Siamo stati forzati in un così alto grado di autocoscienza storica che siamo stati resi capaci di sentire "troppo forte" l'appartenenza alla nostra epoca. Ma tutta l'arte deve riflettere il periodo storico al quale l'artista appartiene, finché è basata su principi compresi e non si tratta di una semplice copia di stili del passato. Una volta che gli artisti abbiano compreso i principi e la teologia che sottostanno all'arte del passato, non possono far altro che creare un'arte che sia "propria del loro tempo". Questo fenomeno può essere invero osservato in molte nuove chiese ortodosse. La loro architettura e i loro principi iconografici non sono cambiati sin dal XIV secolo, ma nessuno guardando, ad esempio, la chiesa di San Nicola a Cardiff, potrebbe dubitare che sia stata realizzata in un tempo precedente il XX secolo.

Dunque dobbiamo tornare al passato, studiare la grande arte sia del Rinascimento che della tradizione Platonica, per poter creare un'arte nuova da incorporare nelle chiese di oggi. Ma solo la conoscenza dei principi estetici e del simbolismo liturgico dell'arte del passato potrà renderci capaci di catturarne lo spirito, sì da poterne avere una nuova forma per il futuro.


L'interno della chiesa ortodossa di San Nicola a Cardiff, Wales.
Foto: Martin Crampin


Pubblicato da Francesco Colafemmina

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