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Cent'anni fa san Pio X donava la Prima Comunione ai Bambini "Quam singulari Christus amore"

Ultimo Aggiornamento: 29/07/2012 17:38
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08/08/2010 18:06
 
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Cent'anni fa Pio X abbassava l'età per la prima comunione

Gesù e i bambini

                                              

Nel centenario del decreto "Quam singulari Christus amore" (8 agosto 1910) di Pio X, il Papa beatificato nel 1951 e canonizzato nel 1954, pubblichiamo una riflessione del cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

di Antonio Cañizares Llovera

Cento anni fa con il decreto Quam singulari Pio X, seguendo fedelmente gli insegnamenti dei concili Lateranense iv e Tridentino, fissò la prima comunione e la prima confessione dei bambini all'età dell'uso della ragione, cioè intorno ai sette anni. Questa disposizione implicava un cambiamento molto importante nella pratica pastorale e nella concezione abituale di allora, che per diverse ragioni avevano ritardato questo avvenimento così fondamentale per l'uomo.

Con questo decreto Pio X, il grande e santo Papa della pietà e della partecipazione eucaristica, con il desiderio di rinnovamento ecclesiale che ispirò il suo pontificato, insegnò a tutta la Chiesa il senso, il momento, il valore e la centralità della santa Comunione per la vita di tutti i battezzati, compresi i bambini. Nello stesso tempo sottolineava e ricordava a tutti l'amore e la predilezione di Gesù per i bambini poiché egli, oltre a farsi bambino, manifestò il suo amore verso di loro con gesti e parole, al punto di dire: "Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli"; "Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio". Essi sono sempre amici molto speciali del Signore.


Con la stessa predilezione, lo stesso sguardo amorevole e la stessa attenzione e sollecitudine speciale la Chiesa guarda, segue, si prende cura e si preoccupa dei bambini. Per questo, come madre amorevole, auspica che i suoi figli piccoli, i primi nel regno dei cieli, partecipino presto, con la debita disposizione, del dono migliore e più grande che Gesù ci ha lasciato in memoria sua: il suo corpo e il suo sangue, il pane della vita. Grazie alla santa Comunione, Gesù in persona, Figlio unico di Dio, entra nella vita di chi lo riceve e prende dimora in lui.

Non esiste amore più grande, né più grande regalo. Questo è un dono di amore che vale più di ogni altra cosa nella vita di ogni uomo. Essere con il Signore; che il Signore sia in noi, dentro di noi; che ci alimenti e ci sazi; ci prenda per mano e ci guidi; che ci vivifichi e che noi si resti fedeli nella comunione e nell'amicizia con lui: è senza dubbio la cosa più grande, più gratificante, più gioiosa che possa capitare. Come rimandare, allora, per i bambini, questo incontro con Gesù, visto che sono i suoi migliori amici, coloro che sono amati in modo speciale da Dio Padre, oggetto delle cure speciali della Chiesa, madre santa?

La prima comunione dei bambini è come l'inizio di un cammino insieme a Gesù, in comunione con lui: l'inizio di un'amicizia destinata a durare e a rafforzarsi per tutta la vita con lui; l'inizio di un cammino perché con Gesù, uniti senza separarci, procediamo bene e la vita diventa buona e gioiosa; con lui dentro di noi possiamo essere senza dubbio persone migliori. La sua presenza tra noi e con noi è luce, vita e pane nel cammino. L'incontro con Gesù è la forza di cui abbiamo bisogno per vivere con allegria e speranza.
Non possiamo, ritardando la prima comunione, privare i bambini - l'anima e lo spirito dei bambini - di questa grazia, opera e presenza di Gesù, di questo incontro di amicizia con lui, di questa partecipazione singolare di Gesù stesso e di questo alimento del cielo per poter maturare e arrivare così alla pienezza. Tutti, specialmente i bambini, hanno bisogno del pane disceso dal cielo, perché anche l'anima deve nutrirsi, e non bastano le nostre conquiste, la scienza, le tecniche, per quanto importanti siano. Abbiamo bisogno di Cristo per crescere e maturare nelle nostre vite.

Questo è ancora più importante nei momenti che viviamo e lo è in modo speciale per i bambini, la cui grandezza, purezza, semplicità, "santità", attitudine verso Dio e amore che li costituiscono sono per disgrazia di frequente manipolati e distrutti. I bambini vivono immersi in mille difficoltà, circondati da un ambiente difficile che non li incoraggia a essere ciò che Dio vuole da loro; molti, vittime della crisi della famiglia. In questo clima sono ancora più necessari per loro l'incontro, l'amicizia, l'unione con Gesù, la sua presenza e la sua forza. Essi sono, grazie alla loro anima immacolata e aperta, coloro che sono meglio disposti, senza dubbio, a questo incontro.

Il centenario del decreto Quam singulari è un'occasione provvidenziale per ricordare e insistere di prendere la prima comunione quando i bambini abbiano l'età dell'uso della ragione, che oggi sembra addirittura essersi anticipata. Non è dunque raccomandabile la prassi che si sta introducendo sempre più di elevare l'età della prima comunione. Al contrario, è ancora più necessario anticiparla. Di fronte a quanto sta accadendo con i bambini e all'ambiente così avverso in cui crescono, non priviamoli del dono di Dio: può essere, è la garanzia della loro crescita come figli di Dio, generati dai sacramenti dell'iniziazione cristiana in seno alla santa madre Chiesa. La grazia del dono di Dio è più potente delle nostre opere, e dei nostri piani e programmi.

Quando Pio X anticipò l'età della prima comunione, insistette anche sulla necessità di una buona formazione, di una buona catechesi. Oggi dobbiamo accompagnare questa stessa anticipazione dell'età con una nuova e vigorosa pastorale di iniziazione cristiana. Le linee tracciate dal Catechismo della Chiesa cattolica, dal direttorio generale per la catechesi e da quello per le messe dei fanciulli sono una guida imprescindibile in questa pastorale nuova o rinnovata dell'iniziazione cristiana così fondamentale per il futuro della Chiesa, la madre che, con l'aiuto della grazia dello Spirito, genera e fa maturare i suoi figli attraverso i sacramenti dell'iniziazione, la catechesi e tutta l'azione pastorale che l'accompagna.

Non chiudiamo allora le orecchie alle parole di Gesù: "Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite". Egli vuole stare in loro e con loro, perché "ai bambini e a chi è come loro appartiene il regno di Dio".

(©L'Osservatore Romano - 8 agosto 2010)

Cento anni fa il decreto "Quam singulari" sintetizzava il disegno riformatore di Papa Sarto

La rivoluzione eucaristica di Pio X

di Gianpaolo Romanato

Non si comprende il pontificato di Pio X (1903-1914) se non si tiene presente che al centro del suo universo mentale c'era il problema dell'atto di fede. Se la Chiesa è lo strumento della salvezza, l'istituzione ecclesiastica deve servire a conservare e a rinforzare la fede dei cristiani, a salvaguardarne i contenuti, a chiarirne il significato, a tutelarne l'integrità, a garantire la vita sacramentale e di grazia. Durante tutta la sua vita sacerdotale, infatti, trascorsa tra canoniche di paese e curie di provincia, Giuseppe Sarto aveva considerato l'insegnamento del catechismo come il primo e il principale dei suoi doveri. Essendo stato eletto Papa, era naturale che imponesse questa priorità a tutta la Chiesa.
Nascono di qui prima l'enciclica Acerbo nimis (15 aprile 1905), volta a illustrare la fondamentale importanza dell'istruzione religiosa, poi il celebre catechismo, che da lui prese il nome, e quindi il decreto Quam singulari (8 agosto 1910), di cui ricordiamo oggi il centenario della promulgazione, che anticipava verso i sette anni di età la prima comunione dei fanciulli.

Pur condizionata dal contesto teologico del tempo, l'enciclica andava diritta al suo scopo. "La dottrina di Cristo - scrive il Papa - ci disvela Iddio e le infinite perfezioni di Lui con assai maggiore chiarezza che non lo manifesti il lume naturale dell'umano intelletto. Quella stessa dottrina ci impone di onorare Dio con la fede, che è l'ossequio della mente; con la speranza, che l'ossequio della volontà; con la carità, che è l'ossequio del cuore; e per tal guisa lega tutto l'uomo e lo soggetta al suo supremo Fattore e Moderatore".

In poche righe e con poche parole, come nello stile di Giuseppe Sarto, è detto perché l'istruzione religiosa debba essere il centro del centro delle preoccupazioni della Chiesa. E l'enciclica prescriveva infatti norme precise e tassative affinché in ogni parrocchia si desse spazio all'istruzione catechistica, in ogni diocesi si istituissero specifiche scuole di religione. Anche la predicazione dei sacerdoti doveva fondarsi non su "fioriti sermoni", come suggerivano i canoni dell'oratoria sacra del tempo, ma su una solida e sicura esposizione delle verità di fede. Ciò che oggi indichiamo con la parola "evangelizzazione", Pio X definiva più semplicemente e didatticamente "istruzione" sulle "cose divine", prescrivendola ai sacerdoti come loro compito precipuo: "Pel presente scopo meglio è soffermarci su un punto solo, e su di esso insistere, non esservi cioè per chiunque sia sacerdote né dovere più grave né più stretto obbligo di questo. E per fermo chi è il quale neghi che al sacerdote alla santità della vita debba andare congiunta la scienza? Le labbra del sacerdote custodiranno la scienza. E la Chiesa infatti severissimamente la richiede in coloro i quali devono essere assunti al ministero sacerdotale".

La compilazione del catechismo fu perciò quasi il coronamento della missione di governo di Pio X. Nel suo studio Il catechismo di Pio X (Roma, Las, 1988), Luciano Nordera ha documentato con quanto impegno Giuseppe Sarto avesse lavorato, fin dagli anni dell'episcopato a Mantova (1885-1894), perché si giungesse a un catechismo unico, se non universale, almeno italiano. Era stato uno dei primi vescovi ad accorgersi dell'imponenza del fenomeno dell'emigrazione, sia interna sia estera, un fenomeno che divenne drammatico proprio negli anni tra la fine dell'Ottocento e la prima guerra mondiale. Ne aveva percepito tutte le dirompenti conseguenze sociali e culturali, ma anche quelle inerenti la fede.

Da uomo attento ai problemi del proprio tempo, s'era accorto che la crescente mobilità umana, sottraendo la gente all'ambiente tradizionale, alle abitudini di sempre, incideva negativamente sulle credenze religiose, sulla fede, esponendola al rischio di diventare insignificante se non sostenuta da un'adeguata istruzione.
Anche in riferimento a tale problema, perciò, auspicò che si giungesse a predisporre un testo catechistico unificato, cioè una specie di prontuario della fede cui il cristiano potesse far riferimento indipendentemente dal luogo, dall'ambiente e dalle circostanze di vita. In tale auspicio c'era la profonda consapevolezza che una religione complessa come il cattolicesimo doveva porsi in via assolutamente prioritaria l'esigenza di definire con la maggior precisione e chiarezza possibili l'oggetto della propria credenza. Una Chiesa sempre più sola e indifesa non poteva permettersi il lusso di lasciare a se stessa la fede dei battezzati proprio nel momento in cui molti di questi non potevano più contare sul sostegno del tradizionale ambiente di vita.

Ecco allora che con il testo da lui approntato per la diocesi di Roma, le cui periferie erano già allora in drammatiche condizioni di abbandono non solo civile ma anche religioso, "egli si proponeva di dare in mano ai sacerdoti un volume chiaro e completo in cui la precisione delle definizioni dogmatiche non permettesse interpretazioni personali o omissioni". Rispetto al catechismo che Sarto stesso aveva concepito e trascritto diligentemente in un quadernetto autografo quand'era stato parroco a Salzano (1867-1875), un paese di campagna posto nella provincia di Venezia e nella diocesi di Treviso, si nota che la vivacità delle espressioni, l'immediatezza didattica dello schema a domande e risposte, sono state talvolta sacrificate alla necessità della precisione dottrinale.

Ma i limiti che subito vi furono ravvisati (intellettualismo, debolezza di riferimenti biblici, prevalenza delle intenzioni precettistiche) non impedirono a quel catechismo di diventare un punto fermo per diverse generazioni di cristiani. Accanto ai limiti, presentava, infatti, pregi non meno evidenti: precisione concettuale, chiarezza di dottrina, facilità didattica tanto per il sacerdote che doveva usarlo quanto per il fedele che ne doveva fruire. Questo spiega perché, pur essendo stato prescritto come obbligatorio solo nella diocesi di Roma (a partire dal 1905), abbia finito per imporsi non solo in Italia, ma in tutta la Chiesa. D'altronde, lo stesso Pio X era perfettamente consapevole che si trattava di un'opera in fieri, tutt'altro che compiuta e sempre perfettibile.

La prima formulazione subì, infatti, ritocchi e adattamenti vivente ancora il Papa. Probabilmente sarebbe stato il primo a stupirsi della sua durata nel tempo. A suo merito, possiamo aggiungere che il faticoso lavoro di redazione dei nuovi catechismi compiuto dopo il Vaticano ii da intere équipes di specialisti, ha dimostrato quanto sia difficile trasmettere all'uomo moderno il contenuto di fede.

L'intento del Papa di proporre alla Chiesa una vita di fede più solida si accompagnava all'idea che la fede dovesse essere espressa attraverso una pratica liturgica più sobria, meno formale ed esteriore. La riforma della musica sacra e il ripristino del canto gregoriano andavano appunto in questa direzione. Questo complessivo disegno riformatore tanto della lex credendi quando della lex orandi trovarono una specie di sintesi nella sua rivoluzionaria decisione di riavvicinare le anime all'Eucaristia - intesa come il fulcro della vita di fede - incoraggiando e quasi imponendo la pratica della comunione frequente.

Va ricordato che una radicata mentalità di origine giansenistica aveva dissuaso i cristiani dalla pratica eucaristica assidua, quasi che questa fosse il coronamento del cammino verso la perfezione cristiana, piuttosto che la via per raggiungerla, "un premio e non un farmaco all'umana fralezza" scriverà il Papa. Con l'intuizione di quel grande pastore d'anime che era stato e continuò a essere durante il pontificato, Pio X troncò tentennamenti, timori e perplessità, ancora assai diffusi tra i teologi, promuovendo e incoraggiando invece, con il decreto Tridentina synodus del 16 luglio 1905, la pratica opposta: la comunione frequente, anche quotidiana. Cinque anni dopo, con il decreto Quam singulari - del quale, come già ricordato, celebriamo oggi il centenario della pubblicazione - completò il complessivo progetto di riforma della cura d'anime prescrivendo l'anticipazione della prima comunione dei fanciulli verso i sette anni di età, cioè, per usare le sue parole, "quando il fanciullo comincia a ragionare".

Con questi due provvedimenti veniva superata e messa da parte una secolare cultura rigorista per tornare a una prassi già in vigore nei primi secoli cristiani e successivamente ribadita tanto dal concilio Lateranense IV nel 1215 quanto dai decreti del concilio di Trento. Si recuperava insomma una pratica millenaria, posta in ombra solo negli ultimi secoli, scrisse allora "La Civiltà Cattolica", a causa di "usanze inveterate, difetto di idee esatte, trascuratezza". Pietro Gasparri, che in quegli anni lavorava per ordine del Papa alla codificazione del diritto canonico, collocò questo decreto fra gli atti "memorandi" del pontificato, e aggiunse: "Dio volesse che fosse ovunque osservato".

(©L'Osservatore Romano - 8 agosto 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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