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Lettera aperta a mons. Williamson

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2012 18:33
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31/01/2011 12:41
 
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La torta di Mons. Williamson e altri pasticci

La torta di Mons. Williamson e altri pasticci

di don Alfredo Morselli


Don Girolamo se ne stava, dopo cena, comodamente seduto in poltrona, vicino alla sua stufa a legna; era stanco e felice, dopo una faticosa giornata di lavoro pastorale.

Non era riuscito ancora a controllare la posta; finalmente, prima di andare a letto, aveva ora un po’ di tempo per scartabellare la pila di buste e di involucri vari, quotidiano omaggio del postino.

– Accidenti, quante bollette – pensava, mentre riconosceva sulle buste i loghi della varie compagnie di gas-acqua-telefono, infausti presagi di pagamenti da fare.

Mise sotto la statua di San Giuseppe – suo validissimo collaboratore per questioni di questo genere – le bollette, e direttamente nella stufa la pubblicità, accuratamente mondata dagli involucri di cellophane.

Quella sera, compiuta siffatta divisione escatologica della posta, era sopravvissuto un bustone, che non conteneva né una bolletta né un depliant: al suo interno, c’era niente meno che l’ultimo numero di Duri e Puri, bollettino del Gruppo Tradizionalisti incavolati del Regno d’Italia.

Don Girolamo aprì incuriosito la busta, estrasse il giornalino e cominciò a sfogliarlo: trovò, tra vari titoli del tipo Basta!, Massoni!, Che schifo! Porci!, un’intervista rilasciata da S.E. Rev. ma Mons. Richard Williamson, uno dei quattro vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X.

In quell’intervista, il presule inglese paragonava il Concilio ad una torta parzialmente avvelenata. Il paragone gli serviva per sostenere che, anche se non tutte le affermazioni contenute nei documenti del Vaticano II erano erronee, il Concilio sarebbe stato da rifiutare ugualmente in toto: proprio come si butterebbe via tutta una torta avvelenata, anche se il veleno fosse sparso solo qui o là.

– Se fossero vere le premesse, sarebbero vere anche le conclusioni – pensò don Girolamo.

E così continuò a riflettere su quel curioso paragone: – Ma perché le condizioni non possono essere vere? Perché la pasticcera che prepara le torte del magistero è una Mamma particolare: si chiama Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana, e le ciambelle le riescono sempre bene, perché gode dell’assistenza formidabile dello Spirito Santo.

Questa Mamma provvede sempre e in ogni momento ai propri figlioli in diverse modalità: nelle grandi feste prepara delle buonissime torte straordinarie, definendone solennemente la ricetta. Inoltre, siccome non si mangia solo due o tre volte ogni secolo, ma due o tre volte al giorno, questa buona Madre è sempre intenta a sfornare ottime torte ordinarie: encicliche, discorsi, catechismi, udienze, la dottrina sociale della Chiesa etc. etc.

Lo Spirito Santo non lascia mai sola questa Mamma, anche nella preparazione delle torte ordinarie, e così tutto va sempre per il meglio –.

E dopo aver così riassunto la sua elementare ecclesiologia, piena di buon senso, cambiò repentinamente l’oggetto dei suoi pensieri, spaventato dall’ora già tarda.

– Sarà meglio che vada a dire il breviario… Cuor di Gesù! Sono rimasto a sesta: ho ancora nona, vespri e compieta. San Giovanni Maria Vianney, aiutatemi a voi a non addormentarmi, mentre finisco l’ufficio. –

Fuori c’era un freddo cane, su quella poltrona si stava troppo comodi, il caldino della stufa rassomigliava ad una consolazione spirituale… e così, nonostante la preghiera al Curato d’Ars fosse stata fatta con gran fervore, non bastò ad ottenere la grazia implorata.


Deus in adiutorium… Rerum Deus tenax vigor … furono tutto quello che il povero don Girolamo riuscì a dire prima di cadere in braccio a Morfeo.

E così il nostro parroco – non vi ho ancora detto che era arciprete di Roccacannuccia minore, uno sperduto paesello di montagna (il TomTom non lo aveva neppure inserito nelle mappe), dove era stato mandato “a farsi passare le nostalgie del passato” (erano queste le parole che, sogghignando, il Vicario generale aveva rivolto, trent’anni prima, ad alcuni suoi protetti, spiegando i motivi di quella designazione)… ebbene il nostro arciprete si trovò, d’un tratto, in una meravigliosa pasticceria.

Dietro al banco c’era una Signora anziana, ma bellissima: era quella Mamma che don Girolamo si era immaginato prima, nella sua elementare confutazione della metafora della torta di Mons. Williamson.

La Mamma era tutta intenta a preparare un gran tortone, composto da sedici parti, che volle chiamare pastorale; quando la torta fu ultimata, successe – per la prima volta da quando la pasticceria era stata aperta – che all’assaggio del tortone, tutti i clienti furono colpiti da una dissenteria fulminante. Non si faceva a tempo a mangiare anche un solo piccolo pezzo di questa torta, che subito si veniva colti da stimoli incontenibili. Tutta la città si trovò colta da violentissimi dolori di pancia e conati di vomito irrefrenabili.

La maggioranza, colpita anche ai centri nervosi, riteneva questo penoso stato una nuova primavera, benché ci si trovasse in pieno inverno; ma in alcuni buoni cristiani rimasti lucidi, si insinuò il pensiero che la dissenteria fosse una conseguenza diretta della torta.

Alcuni buoni figli di questa Madre, nel sincero desiderio di soccorrerla e di evitarle guai, pensarono di sottoporre la torta incriminata a una sorta di Prova del cuoco.

– Qui c’è un discorso da fare – si dissero l’un l’altro. Esaminiamo questa torta alla luce della tradizione gastronomica. Assaggiamo le varie parti della torta e, laddove trovassimo che gli ingredienti non sono quelli con cui la Mamma ha sempre fatto le altre torte, ne conchiuderemo che la Mamma si è sbagliata: la Mamma è sempre la Mamma, ma – nella preparazione delle torte ordinarie –, non è sempre infallibile. E allora dovremmo metterla di fronte alle sue responsabilità.

Si riunirono per tre giorni a Roma, e cominciarono ad assaggiare il tortone: chi metteva il dito nella zona della panna e poi se lo portava alla bocca piluccandolo, chi esplorava la zona della nutella, chi i confetti sparsi qua e là… E mentre con un dito assaggiavano la torta, discettando circa le varie ipotesi, con l’altro sfogliavano il Denzinger–Artusi, il gran ricettario della tradizione gastronomica sicura.

E qui cominciò a sorgere in loro qualche dubbio. Infatti tra le regole generali del Denzinger–Artusi, erano ben evidenziate le seguenti parole: il Signor Pietro non è giudicato da nessuno.

Il Signor Pietro era l’Amministratore Delegato della pasticceria, e la Santa Madre gli aveva affidato tutte le chiavi del negozio (anche quelle del piano di sopra), ed era noto a tutti che aveva prerogative di infallibilità. Questa infallibilità non scattava sempre in automatico, ma cominciava a diventare un problema serio quando qualcuno avesse dovuto dichiarare l’ipotetico errore del Sig. Pietro.

Infatti, chi avrebbe potuto giudicare tra il Signor Pietro e la Tradizione gastronomica? Chi era in grado di dichiarare una reale opposizione tra loro? Sarebbe stato necessario un giudice superiore al Sig, Pietro. Ma questo personaggio non era stato previsto dal Fondatore della pasticceria.

A tutti poi ripugnavano le tesi neo-conciliariste dei pasticceri della scuola di Bologna, secondo le quali un concilio di cuochi era superiore al Sig. Pietro, e quindi, a fortiori, nessuno avrebbe potuto trascinare Pietro di fronte al tribunale della Tradizione: questo sarebbe divenuto in realtà il tribunale della ragione di una elite autonominatasi ed autoaccreditatasi a verificare la coerenza del Sig. Pietro con la tradizione stessa: non enim qui se ipsum commendat ille probatus est, sed quem Dominus commendat!

Inoltre il Denzinger–Artusi, impietosamente, mostrava che non infallibile non voleva dire assolutamente opinabile!

Un Amministratore delegato del Passato, in una raccolta di gravi errori da evitarsi, chiamata Sillabo, aveva infatti condannato la seguente ricetta:


“L’obbligo al quale sono assolutamente vincolati i maestri e gli scrittori cattolici, si restringe soltanto a quelle cose che dall’infallibile giudizio della chiesa sono proposte come dogmi di fede da credersi da tutti” (Prop. 22).

E ancora, in una gran riunione di pasticceri al club Vaticano I, l’Amministratore delegato e i pasticceri avevano insieme stabilito che:


“Con fede divina e cattolica, si deve credere tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata, e che la chiesa propone di credere come divinamente rivelato sia con un giudizio solenne, sia nel suo magistero ordinario e universale” (Cost. dogm. Dei Filius).

Un altro Amministratore, più recentemente, aveva insegnato che:


“Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i pontefici non vi esercitano il potere del loro magistero supremo. Infatti questi insegnamenti sono del magistero ordinario, di cui valgono pure le parole: «Chi ascolta voi, ascolta me» [Lc 10,16]; e per lo più, quanto viene proposto e inculcato nelle encicliche, è già per altre ragioni patrimonio della dottrina cattolica.

Se poi i sommi pontefici nei loro atti emanano di proposito una sentenza in materia finora controversa, è evidente per tutti che tale questione, secondo l’intenzione e la volontà degli stessi pontefici, non può più costituire oggetto di libera discussione fra i teologi”. (Pio XII, Lett. enc. Humani Generis, 12-8-1950)


Si resero dunque conto che il fatto che il tortone fosse stato indebitamente soprelevato al rango di super-torta – quasi un nuovo inizio dell’arte culinaria –, non li autorizzava all’errore contrario, che era quello di abbassarlo al rango di ricetta opinabile su cui ogni pasticcere può emettere la sua sentenza.

Ma come spiegare allora la dissenteria generale che aveva colpito tutti coloro che avevano mangiato anche solo un minuscolo pezzo del tortone? Compresero che il veleno non era dentro la torta, ma nel piatto in cui la torta era stata prima fatta a pezzi, e poi servita ai clienti, da dipendenti traditori, fatti assumere fraudolentemente nella pasticceria dal più agguerrito concorrente del Sig. Pietro.

Questi commessi erano numerosissimi e da secoli stavano lavorando dentro la pasticceria, cercando vanamente di portarla al fallimento. Questa volta ci erano andati molto vicini, ma non erano riusciti a prevalere (come, del resto, aveva promesso lo stesso Fondatore della pasticceria).

Allora i pasticceri, che avevano sottoposto il tortone alla Prova del cuoco rientrarono in se stessi, e dissero nel loro cuore: – Tornerò da mio padre! –.

E così tornarono a casa, dove ad attenderli c’era il signor Pietro in persona, il quale li abbracciò e li fece entrare in una grande sala, con un largo tavolo quadrato, con anfore, fiori e candelieri. Entrando nella sala i pasticceri urlarono terrorizzati. Il Signor Pietro si stupì, ma capì subito dove era il problema:

– No, ragazzi, non è un’aula dei neocatecumenali, è proprio una sala da pranzo normale! Su sedetevi e state in pace… –

L’allegro vociare della brigata, ricomposta in pieno accordo, fu interrotto da un colpo secco, simile a un busso. Il breviario di don Girolamo, appesantito da una bellissima rilegatura in cuoio, gli era scivolato dalle mani ed era caduto sul vecchio pavimento in legno: il rumore aveva destato il buon parroco da quel pur sacrosanto appisolamento.

Don Girolamo raccolse il libro: era aperto nella pagina che più di ogni altra gli dava consolazione: la tabella delle feste mobili. Eh sì, proprio quella, con la data della Pasqua segnata fino al 2050.

Per anni il buon arciprete aveva recitato l’antico breviario, usando vecchie copie dei suoi predecessori, e la tabella si fermava al massimo agli anni ’90. Ma da qualche anno erano iniziate le ristampe, e così la tabella fino al 2050 era un piccolo segno che il nuovo inizio non sarebbe stato un fuoco di paglia: certo, la battaglia sarebbe stata durissima, ci sarebbe voluta ancora tanta pazienza, ma la prossima vittoria era ormai certa.

Don Girolamo chiuse il breviario e si incamminò verso la chiesa, dove il freddo e un duro inginocchiatoio lo avrebbero aiutato a completare l’ufficio, al sicuro dalle insidie di Morfeo.

E, mentre scendeva le scale, alzando lo sguardo come suo solito verso un’immagine dell’Immacolata, una preghiera gli sgorgò dal cuore:

– Madre santissima, lo so che Voi avete il potere di far sì che i bei sogni divengano realtà: non merita forse questo sogno il Vostro intervento? –


**********************************************

 Caro Don Alfredo,  
questa lettura mi giunge provvidenziale....  
da ieri sto male, ho seri problemi di salute altalenanti, il Signore spesso mi mette a dura prova, il fisico non regge più tanto bene, ma sembra voglia soppravvivere a tutti i costi....e non posso che fare accostamenti provvidenziali e bilaterali a quanto hai riflettuto...  
il tuo racconto mi ha commossa e credimi, sto lacrimando per come mi hai offerto questa grande Pasticcera, la mia mata Madre Chiesa che sopporta anche per me, i duri colpi della Passione... non si tratta di mero sensazionalismo o emozionalismo, ho già perduto la mia mamma biologica, ma ho sempre ritenuto la Chiesa la mia vera Madre perchè grazie a Lei dall'età di tre anni sono stata affidata alle sue amorevoli cure attraverso le suore Domenicane....  
Anche loro subirono il fascino del "vento del Concilio".... eppure non mi hanno mai fatto deviare dal Cuore di questa Madre....  
Qui, in questo CUORE ho conosciuto le persone più belle come padre Raimondo Spiazzi O.P. e tante altre come suor Franceschina che mi ha insegnato la devozione alle Tre Ave Maria.... e tante altre che ora mi attendono nella Patria Eterna, nella Chiesa Trionfante, ne son certa, e stanno facendo il tifo per me.... perchè non mi perda in questa valle di lacrime...  
 
Ai miei figli dico sempre, e gliel'ho lasciato scritto in un testamento, visto che ho già avuto anche un infarto: qualsiasi cosa accada e vi accada nella vita, vi supplico! NON ABBANDONATE MAI LA CHIESA e non mettetevi mai contro questa Santa Madre.... AMATELA come amate me....e di più ancora.... Durante le prove più dure, ATTACCATEVI ancora di più all'amato Pontefice, non avrete altro sostegno nella vita che la santa Madre Chiesa e il Dolce Vicario di Cristo in terra....  
 
Grazie Don Alfredo!!  
La ricordo sempre nel Rosario quotidiano....lei e tutti i Sacerdoti!  
 
*********  
 
Mons. Williamson,  
non si rinchiuda in un vortice, in una spirale di astosità, rilegga lo scopo progettuale della Fraternità voluta da mons. Lefebvre.... egli mai si mise nelle posizioni così estreme alle quali lei è giunto....  
Le "chiavi" furono consegnate a Pietro e agli apostoli CON Pietro, ma singolarmente solo a Pietro....DIAMO FIDUCIA AL LEGITTIMO PIETRO... diamo fiducia alla MADRE CHIESA....  
 
Santa Caterina da Siena stessa ci insegna che il problema non è nel denunciare gli errori, ma nel sostenere LE DIVISIONI.... per ogni errore che Ella denunciava, concludeva anche con l'incoraggiamento a restare uniti al Dolce Vicario di Cristo in terra, concludeva con un appello ALL'UNITA' ai Vescovi.... e questo genere di appelli è completamente assente nei suoi reclami....  
Prego per Lei....




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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