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La Santa Eucaristia (brevi lezioni sulla Dottrina)

Ultimo Aggiornamento: 11/03/2013 11:16
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Ringraziando il sito-Blog della Fraternità san Pietro (FSSP) a Venezia, pubblichiamo quanto segue:



Le lezioni di dottrina: "La Santa Eucarestia". Parte I

tratto da La Santa Eucarestia secondo la dottrina cattolica di Padre Konrad zu Loewenstein.



INTRODUZIONE

La Santa Eucarestia è uno dei sette sacramenti della Chiesa. Il termine 'Santa Eucarestia' ha due sensi: Il Santissimo Sacramento dell'Altare e la Santa Messa. Nel primo senso la Santa Eucarestia viene considerata di per Se Stessa, e nel secondo senso viene considerata in quanto offerta.


I

IL SANTISSIMO SACRAMENTO ELL'ALTARE

In quanto sacramento, il Santissimo Sacramento:

  • 1) è un segno della grazia
  • 2) ci dà la grazia
  • 3) fu istituito da Gesù Cristo Stesso.
in particolare:

  • 1) il Santissimo Sacramento è un segno della grazia nel senso che le speci consacrate sono un segno del Corpo e Sangue di Cristo che contengono;
  • 2) il Santissimo Sacramento ci dà la grazia sovranaturale: non solo questo però, ma anche l'Autore della Grazia, ossia nostro Signore Gesù Cristo;
  • 3) questo scramento fu istituito da nostro Signore Gesù Cristo con le parole di consacrazione assieme a quelle del mandato: 'Fate questo in memoria di me' - parole con le quali ha istituito anche il sacramento dell'ordine, ossia il sacerdozio.

Questo sacramento si chiama Santissimo proprio perchè è Gesù Cristo Stesso.

Vogliamo adesso guardare il Santissimo Sacramento da vicino: prima come Presenza Reale, poi come Santa Comunione.


A) LA PRESENZA REALE

La dottrina della Presenza Reale è che nel Santissimo Sacramento nostro Signore Gesù Cristo è realmente presente, o più precisamente il SS. Sacramento è Gesù Cristo Stesso sotto le apparenze di pane e di vino.

Questo è un dogma cattolico che come gli altri dogmi sulla Santa Eucarestia viene definito nel Sacro Concilio di Trento (1545-1563). I dogmi cattolici sono le verità rivelate immediatamente da Dio che la Chiesa propone infallibilmente da credere come tali. Insieme costituiscono la fede.

Il dogma della Presenza Reale vien definito con le parole seguenti: 'Se qualcuno negasse che del Santissimo Sacramento dell'Eucarestia è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente il Corpo e Sangue assieme all'anima e alla Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo e dunque il Cristo totale, ma dicesse che esso è solo come segno, figura o virtù, Sia Anatema'. (Trento S. XIII canone 1)
(Si quis negaverit, in sanctissime Eucharistiae sacramento conteneri vere, realiter, et substantialiter Corpus et Samguinem una cum Anima er Divinitate Domini nostri Jesu Christi, ac proinde totum Christum; sed dixerit tantummodo esse in eo ut in signo, vel figura, aut virtute: Anathema Sit.)

Al cuore della Santa Messa sta la Consacrazione o 'Trasustanziazione'. il Sacerdote dice parole sul pane e sul vino che li trasformano nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo così che il nostro Signore Gesù Cristo è reso presente realmente sull'altare. Prima della Consacrazione c'è pane e vino; dopo la Consacrazione c'è Gesù Cristo: Corpo, Sangue, Anima e Divinità. il pane e il vino non esistono più, ma Gesù Cristo solo, e sola apparenza di pane e vino: gli accidenti o qualità: grandezza, estensione, peso ,forma, colore, gusto, odore: questi accidenti esistono senza soggetto, senza sostanza, tramite un miracolo di Dio. Non esistono né nel pane né nel vino, non esistono neanche in Gesù Cristo, ma esistono senza soggetto, senza sostanza. L'unica sostanza che esiste è Gesù Cristo stesso sotto la loro apparenza.


Non è che Gesù Cristo esista in o sotto il pane: questa è l'eresia di Martin Lutero che si schiama 'Consustanziazione'. Non è che il pane sia simbolo di Gesù Cristo: questa è l'eresia di Zwingli. Non è nemmeno che il pane sia una virtù di Gesù Cristo, che ci dia una forza spirituale: l'eresia di Calvino. Ma il pane e il vino sono divenuti Gesù Cristo nella Presenza Reale e non esistono più.


Questo dogma della Chiesa si basa soprattuto su due passi del nuovo testamento: il primo passo consiste nel discorso del Signore sulla Santa Eucarestia in San Giovanni 6, di cui citeremo i versetti 51 - 58: 'Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Il secondo passo, o piuttosto la serie di passi sulla Presenza Reale consiste nelle parole di consacrazione rapportate nei vangeli di San Matteo, San Marco, San Luca e nella prima Epistola ai Corinzi.
Sant'Agostino esclama: 'Dio essendo onnipotente non potè dare di più. Essendo sapientissimo non seppe dare di più. Essendo ricchissimo non ebbe da dare di più.' San Francesco d'Assisi dice: 'l'uomo deve tremare, il mondo fremere, il cielo intero deve essere commosso quando sull'altare tra le mani del Sacerdote appare il Figlio di Dio'. (Le citazioni dei santi vengono dal libro 'Gesù Eucaristico Amore' di Padre Manelli).


CONSEGUENZE PRATICHE


La chiesa non è né un museo, né un luogo d'incontro: è la Casa di Dio, la Porta del Paradiso, perché il Signore nostro Gesù Cristo è Realmente Presente nella chiesa: così realmente come lo fu a Nazaret e lo è nel cielo. Dobbiamo comportarci, dunque, con il più grande rispetto quando siamo alla Sua presenza.


Quando si entra in chiesa e quando si esce da essa, si prende l'acqua santa e si fa un segno di croce lentamente e con raccoglimento e si fa una genuflessione. Si fa una genuflessione anche quando si passa davanti al Santissimo e quando si arriva al proprio banco. Non si parla in chiesa. Se si deve comunicare qualche cosa ad altri in chiesa in maniera urgente, si parla a voce bassa. Il tipo di genuflessione che si fa in chiesa dipende da dove si trova il Santissimo: se è nel Tabernacolo, si fa una genuflessione semplice; se è esposto, si fa una genuflessione doppia con inchino profondo.

Alla Consacrazione, quando (nelle parole di San Francesco) "appare il Figlio di Dio tra le mani del sacerdote", i fedeli devono essere in ginocchio; anche quando il celebrante alza l'ostia colle parole "Ecco l'Agnello di Dio"



Finis partis I.
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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METODO PER ASSISTERE ALLA SANTA MESSA UNENDOSI ALLO SPIRITO DEL SANTO SACRIFICIO secondo gli scritti di San Pier Giuliano Eymard





PRIMA PARTE


Mentre il Sacerdote prega ai piedi dell’altare e si

umilia delle sue colpe, confessate innanzi a Dio i

vostri peccati, e adorate in spirito di umiltà, onde

assistere meno indegnamente al Santo Sacrificio.

All’Introito, (Riti di introduzione) considerate

gli ardenti desideri dei Patriarchi e dei Profeti ed

unitevi ad essi per desiderare la venuta e il regno

di Gesù Cristo in voi.

Al Gloria, unitevi agli Angeli per lodare Dio e

ringraziarLo del mistero dell’Incarnazione.

Agli Oremus, (Orazioni) unite le vostre

intenzioni e domande a quelle della Chiesa;

adorate il Dio di infinita bontà, dal quale viene

ogni dono.

All’Epistola, (le letture) ascoltatela come se

udiste la predicazione di un Profeta o di un

Apostolo: adorate la santità di Dio.

Al Vangelo, ascoltate Gesù Cristo Stesso che vi

parla, e adorate la divina Verità.

Al Credo, recitatelo con sentimento di viva fede:

unite la vostra professione di fede pronto a

morire per sostenere tutte le verità del Simbolo.

SECONDA PARTE






All’Offertorio, unite le vostre intenzioni a quelle

del Sacerdote, e offrite il Sacrificio secondo i

suoi quattro fini:

1) come omaggio di adorazione perfetta,

presentando all’Eterno Padre le adorazioni del

Suo Figlio Incarnato, e unendo alle medesime e a

quelle di tutta la Chiesa le vostre; offrite voi

stesso insieme con Gesù Cristo, per amarLo e

servirLo;

2) come omaggio di ringraziamento, che offrite

all’Eterno Padre per ringraziarLo dei meriti,

delle grazie e della gloria di Gesù Cristo, dei

meriti e della gloria della Santissima Vergine e di

tutti i Santi, come pure di tutti i benefici che

avete ricevuto e riceverete per i meriti dello

Stesso Divin Figlio;

3) come ostia di propiziazione, offrendola in

soddisfazione per tutti i vostri peccati ed in

espiazione per tante empietà che si commettono

sulla terra; ricordate all’Eterno Padre che non

potrebbe ricusarvi cosa alcuna, avendovi dato il

Suo Figlio che fra poco Gli starà innanzi

sull’altare come vittima per i peccati nostri e di

tutti gli uomini;

4) quale sacrificio di impetrazione od ostia di

preghiera, offrendoLo al Divin Padre come il

pegno che Egli Stesso ci ha dato del Suo amore,

affinchè possiamo attendere da Lui con fiducia

tutti i beni spirituali e temporali; esponete i vostri

bisogni in particolare, e soprattutto domandate

la grazia di correggervi del vostro difetto

dominante.

Alla Lavanda, purificatevi con la contrizione

per divenire una vera ostia di lode, accetta a Dio,

capace di attirare i Suoi sguardi di compiacenza.

Al Prefazio, (liturgia eucaristica) unitevi al

concerto della corte celeste, per lodare, benedire

e glorificare il Dio tre volte santo per tutti i Suoi

doni di grazia e di gloria e soprattutto per averci

redenti per mezzo di Gesù Cristo.

Al Canone, (preghiera eucaristica) unitevi

all’amore e alla devozione di tutti i Santi della

Legge nuova, per celebrare degnamente questa

nuova incarnazione ed immolazione che sta per

operarsi alla parola del Sacerdote.

Pregate l’Eterno Padre di benedire questo

Sacrificio, di averLo per gradito, e benedire in

Esso tutti gli altri sacrifici di virtù, di santità che

Gli andrete offrendo.

Alla Consacrazione, mentre il Sacerdote,

circondato da una moltitudine di Angeli, si

inchina profondamente per riverenza all’azione

divina che sta per compiere; mentre operando e

parlando divinamente in persona di Gesù Cristo

Stesso consacra il pane e il vino nel Corpo e nel

Sangue dell’Uomo-Dio rinnovando il mistero

della Cena, venerate il potere inaudito dato al

Sacerdote in vostro favore.

Poi, quando alla parola del Sacerdote Gesù si è

fatto presente sull’altare, adorate l’Ostia

Sacrosanta, il Divin Sangue di Gesù Cristo che

implora misericordia per voi; ricevete su di voi,

come Maddalena ai piedi della Croce, il Sangue

che stilla dalle piaghe di Gesù.

Offrite la Vittima Divina alla giustizia di Dio,

per voi e per tutto il mondo; e per intenerire il

Cuore di Dio sulle vostre miserie e aprire su di

voi la sorgente dell’infinita bontà di Dio, offritela

alla Sua divina infinita Misericordia.

OffriteLa alla Divina Bontà perché ne applichi i

frutti di luce e di pace alle anime penanti nel

Purgatorio, e perché il Divin Sangue ne spenga le

fiamme e le renda degne del Paradiso

compiendone la purificazione.

Al Pater Noster, ditelo in unione con Gesù

Cristo in croce che perdona ai Suoi nemici;

perdonate voi pure con tutto il cuore e

sinceramente a tutti quelli che vi hanno offeso.

Al Libera Nos, (Padre Nostro) domandate per

l’intercessione di Maria e di tutti i Santi di essere

liberati da tutti i peccati e mali presenti, passati efuturi, come pure dalle occasioni pericolose.

All’Agnus Dei, percuotetevi il petto come i

carnefici convertiti sul Calvario; poi

raccoglietevi in un atto di fede, di umiltà e di

fiducia, di amore e di desiderio, per ricevere

Gesù Cristo.



TERZA PARTE





Alla Comunione, apritevi per ricevere l’Ostia

Divina (Gesù) nell’intimo del vostro cuore; per

partecipare al Santo Sacrificio della Messa; e per

unirvi con il Vostro Dio, fonte di ogni delizia.

Datevi completamente a Lui come Lui si dà

completamente a Voi, affinchè siate uniti e fusi

con Lui come due ceri sciolti l’uno nell’altro.

Se non fate la Comunione sacramentale, a causa

di un peccato grave, comunicatevi facendo gli

atti seguenti: concepite (esprimete) un vivo

desiderio di essere uniti a Gesù Cristo,

riconoscendo il bisogno di vivere della Sua vita.

Fate un atto di contrizione perfetta di tutti i vostri

peccati, considerando specialmente la bontà e la

santità di Dio. Ricevete in spirito Gesù Cristo

nell’intimo della vostra anima, domandandoGli

la grazia di vivere unicamente per Lui.

Ringraziate il Nostro Signore di avervi concesso di

assistere alla Santa Messa e di fare la Comunione

Sacramentale o spirituale.

Al Ringraziamento, fate il proposito di offrire

un determinato omaggio, un sacrificio, un atto di

virtù.

Alla Benedizione, domandate infine a Gesù la

benedizione per voi e per tutti i vostri congiunti

ed amici.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Le lezioni di dottrina: "La Santa Eucarestia". Parte II

LA SANTA COMUNIONE



Avendo brevemente considerato il Santissimo Sacramento nella presenza reale, consideriamoLo adesso nella Santa Comunione.

La Santa comunione è ancora un miracolo: la fusione del Corpo, Sangue, dell'Anima e Divinità di Gesù Cristo con noi. Il motivo di questa unione è l'amore di Gesù Cristo verso noi, perché l'amore cerca l'unione. Il Signore è già con noi nel Tabernacolo di ogni chiesa del mondo, ma l'unione nella Santa Eucarestia è un unione ancora più intima. 'L'Eucarestia' , esclama san Pier Giuliano Eymard, 'è la suprema manifestazione dell'Amore di Gesù, dopo di essa non c'è più che il cielo'.


San Cirillo di Alessandria, padre della Chiesa, si serve di tre immagini per illustrare la fusione di amore con Gesù nella Santa Comunione: 'Chi si comunica è santificato, divinizzato nel suo corpo e nella sua anima nel modo con cui l'acqua messa sul fuoco diventa bollente; la comunione opera come il lievito che, immerso ella farina, fermenta tutta la massa; nello stesso modo che fondendo insieme due ceri, la cera risulterà l'una nell'altra, così io credo che chi si ciba della carne e del sangue di Gesù è con Lui fuso per tale partecipazione e si trova ad essere egli in Cristo e Cristo in lui'.


CONSEGUENZE PRATICHE.


I) La Comunione in istato di grazia.


Solo i fedeli in istato di grazia si comunicano. In istato di peccato mortale (come la mancanza alla Santa Messa Domenicale o l'impurezza - con altrui o da solo-) sarebbe un secondo peccato mortale, ossia un sacrilegio. Sarebbe come ricevere Iddio in una caverna oscura e fetida, che è l'anima nello stato di morte spirituale. San Paolo dice chiaramente nella prima epistola ai Corinzi 11,27-30: "perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. ciascuno, pertanto esamini e stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del, Signore, mangia e beve la propri condanna. E' per questo che tra voi ci sono molti malati e infermi, e un buon numero sono morti". Chi è in istato di peccato mortale deve recarsi al Sacramento della Confessione. Così è sicuro di essere perdonato. Il semplice atto di dolore non dà questa sicurezza.


II) La Comunione sulla lingua.


Già nel sesto secolo con più profonda conoscenza della Presenza Reale, la Chiesa aveva stabilito che la Santa Comunione dovesse essere ricevuta sulla lingua. Nel nono secolo era prescritto per la chiesa universale. Il Papa Paolo VI ha ribadito questa pratica (in Memoriale Domini del 1967) e il Papa Giovanni Paolo II ha scritto ( nella sua lettera Dominicae Caene del 1980) che toccare il Santissimo Sacramento è "un privilegio degli ordinati". Più tardi, però, in seguito a disubbidienza di un parte del clero di Olanda e altrove nell'Europa centrale, concedette la pratica della comunione sulla mano per il nuovo rito, pur con riluttanza e provando a limitarla. Il Papa attuale, Benedetto XVI favorisce la pratica tradizionale.

I fedeli che assistono alla Santa Messa secondo il rito nuovo sono liberi di scegliere come sentono, ma la pratica della Comunione sulla lingua è da raccomandare:

1) per mostrare un maggior rispetto verso il Santissimo;

2) per salvaguardare la Fede nella Presenza Reale (ricordando che la Comunione nella mano fu introdotta nell'epoca moderna dai riformatori esplicitamente per distruggere la Fede nella Presenza Reale o, come lo esprime Martin Bucer nella sua "Censura" (ca.1550): "per abolire [...] qualsiasi forma di adorazione-del-pane");

3) per evitare che il Santissimo venga sottratto dalla Chiesa per motivi sacrileghi, per capriccio o per pura ignoranza;

4) per evitare che anche il più piccolo frammento del Santissimo cada per terra, poiché la Chiesa insegna che il Signore è presente interamente anche in esso: "Cristo esiste totale e intero sotto la specie del pane e sotto qualsiasi parte della specie, esiste totale altrettanto sotto la specie del vino e sotto le sue parti". (Trento S. XIII cap.3) "Totus enim et integer Christus sub panis specie et sub quavis ipsius parte, totus enim sub vini specie et sub eius partibus exsistit".

La pratica del ricevere il Santissimo Sacramento in ginocchio, quando è possibile, o almeno dopo una genuflessione, è anche da raccomandare, altrettanto per motivi di rispetto.

III) Il Ringraziamento.

San Giovanni d'Avila, Sant'Ignazio di Loyola, San Luigi Gonzaga facevano il ringraziamento in ginocchio per due ore. San Luigi Grignon de Monfort dopo la Santa Messa si fermava almeno una mezz'ora e non c'era preoccupazione o impegno che valesse a farglielo omettere, poiché diceva: "Non darei questa ora del ringraziamento neppure per un'ora di Paradiso". L'Apostolo San Paolo ha scritto nella sua prima lettera ai Corinzi (6,20): "Glorificate e portate Dio nel vostro corpo": Ebbene non c'è tempo in cui queste parole le realizziamo alla lettera come nel tempo subito dopo la Santa Comunione.

Ricordiamo l'esempio di San Filippo Neri, che fece accompagnare da due chierichetti con le candele accese quel tale che usciva di Chiesa appena fatta la Santa Comunione.

Poiché il Signore rimane nel nostro corpo per quindici o venti minuti dopo la Santa Comunione, non è questo il momento di chiacchierare né dentro, né fuori la Chiesa. Anzi è opportuno e molto salutare fare un ringraziamento che duri almeno un quarto d'ora.

Infine facciamo il possibile per adorare e ringraziare il nostro Signore Gesù Cristo adeguatamente e degnamente, e per testimoniare la nostra Fede nella Sua Presenza Reale in quest'epoca, in cui Lui è talmente ignorato, trascurato, disprezzato e oltraggiato.

Finis partis II.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Le lezioni di dottrina: "La Santa Eucarestia". Parte III

LA SANTA MESSA


Avendo meditato sul Santissimo Sacramento di per Se Stesso nella Presenza Reale e nella Santa Comunione, vogliamo meditare ora su di esso in quanto offerto, o, in altre parole, nella Santa Messa.

Chi si rende conto che nella Santa Messa nostro Signore Gesù Cristo è Realmente Presente e viene consumato dal Suo popolo, riterrebbe forse che l'essenza della Santa Messa sia proprio questo ossia la venuta del Signore sull'altare e la Santa Comunione. Ma questo non è vero. Cos'è dunque la Santa Messa?


A) LA SANTA MESSA E' UN SACRIFICIO



1) LA SANTA MESSA E' UN SACRIFICIO VERO E PROPRIO


Il Concilio di Trento insegna che la Santa Messa è un sacrifico vero e proprio. Questo è un dogma di Fede, de Fide, che viene definito dal Concilio di Trento con le parole seguenti: "Se qualcuno dicesse che nella Messa non venga offerto a Dio un sacrificio vero e proprio, Sia Anatema. Si quis dixerit, in Missa non offeri Deo verum et proprium sacrificium...Anathema Sit." (Trento S.XXII Canone 1). Questo dogma si basa su diversi passi della Sacra Scrittura, di cui citeremo solo due: il primo dall'Antico Testamento, il secondo dal Nuovo.


Il primo passo si trova nel libro di Malachia 1, 10: "Non mi compiaccio di voi, dice il Signore degli eserciti, non accetto l'offerta delle vostre mani! Poiché dall'oriente e dall'occidente grande è il mio nome fra le gente e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e un'oblazione pura...". Qui Dio parla dell'abolizione del culto sacrificale degli ebrei e lo sostituisce con un nuovo culto. Questo è la Santa Messa, perché la Santa Messa è in ogni luogo, ed è un'oblazione pura perché l'offerta e il sacerdote di questo culto sono nostro Signore Gesù Cristo.


Il secondo passo si trova nel Vangelo di San Luca nel rapporto dell'ultima Cena. Questo passo, o piuttosto un paio di passi, esprime la natura sacrificale del dono di Se Stesso di Gesù Cristo. La esprimono nelle parole "Corpo che viene dato per voi" e "Sangue che sarà versato per voi" (Luca 22, 19-20).


2) IL SACRIFICIO DELLA MESSA E' IDENTICO AL SACRIFICIO DELLA CROCE



La Santa Messa è un sacrificio dunque; ma cos'è questo sacrificio? Il Concilio di Trento insegna che il Sacrificio della Messa è identico al Sacrificio della Croce. Questo è un ulteriore dogma della Fede che viene definito nel concilio con le parole seguenti: "Infatti è una sola e medesima vittima, e Colui che ora offre il sacrificio per il ministero dei sacerdoti è Quello Stesso che si offrì allora sulla croce, essendo differente soltanto la maniera di offrire. Una enim eademque est hostia, idem nunc offerens sacerdotum ministerio, qui se ipsum tunc in cruce obtulit, sola offerendi ratione diversa." (Trento S.XXII Cap.2).



Procediamo adesso ad esporre brevemente questo dogma. La Vittima sulla Croce era Gesù Cristo, e la Vittima offerta nella Santa Messa è anche Gesù Cristo, ossia sotto l'apparenza del pane e del vino. Il sacerdote che la offrì sulla Croce era Gesù Cristo e il Sacerdote che la offre nella Santa Messa è altrettanto Gesù Cristo, ossia tramite il Celebrante. Nella Santa Messa c'è dunque la stessa Vittima del Calvario e lo stesso Sacerdote del Calvario. La stessa Vittima, lo stesso Sacerdote: lo stesso Sacrificio. Dunque il Sacrificio della Messa è identico al Sacrifico del Calvario. Solo la maniera di offrire è diversa: sulla Croce il Sacrificio era cruento; nella Santa Messa è incruento.



3) IL SACRIFICIO DELLA MESSA CONSISTE SOLO NELLA CONSACRAZIONE



Se questo non è dogma, è l'opinione comune dei teologi, compreso San Tommaso d'Aquino. Ma come dobbiamo intenderla? La morte del Signore è avvenuta per mezzo della separazione del suo Sacratissimo Corpo e del suo Preziosissimo sangue. Questa morte, questa separazione, è resa presente nella Santa Messa durante la Consacrazione separata del pane e del vino. Nella Santa Messa il Corpo e il Sangue del Signore vengono separati, così la sua Morte, il Suo Sacrificio, il Sacrificio del Calvario viene reso presente.

San Gregorio Nazianzeno (epistola 161) dice che il Sacerdote separa con taglio incruento il Corpo e il Sangue de Signore, usando la voce come una spada.

Paragoniamo questa dottrina, brevemente con la dottrina di Martin Lutero.
  1. egli mantiene che c'è la Presenza Reale;
  2. ma la intende in modo sbagliato, secondo la sua tesi della consustanziazione, come abbiamo visto prima;
  3. mantiene che la Presenza Reale sussista solo durante la Santa Messa;
  4. quanto all'essenza della Santa Messa, nega che la Messa sia un sacrificio. Dice che non c'è che un Sacrificio: il Sacrificio della Croce; per questo nega che la Santa Messa sia un Sacrificio, perché sarebbe un Sacrificio oltre a quello della Croce. La Chiesa Cattolica insegna anche che non c'è che un Sacrificio, quello della Croce;ma insegna che questo Sacrificio, come abbiamo visto, è identico a quello della Santa Messa. Dunque, la Santa Messa non è un Sacrificio oltre a quello della Croce.
  5. Martin Lutero sostituisce la Santa Messa con un servizio liturgico che chiama 'La Cena'.




 

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Lezioni di Dottrina: "La Santa Eucarestia" ultima parte

IL FRUTTO DELLA SANTA MESSA




La morte del Signore in Croce guadagna la grazia sovannaturale e la Santa Messa la applica. La applica per tre fini:


  1. il bene della Chiesa intera: la chiesa purgante,la Chiesa militante e la Chiesa trionfante;
  2. il bene di coloro per cui la Santa messa viene specificamente celebrata:
  3. il bene del celebrante e dei fedeli assistenti.

Il bene ricevuto dipende dalle disposizioni di coloro che lo pregano e lo ricevono.


Quanto a queste grazie in genere, Santa Teresa d'Avila dice:'Senz la Santa messa che cosa sarebbe di noi? Tutto perirebbe quaggiù, perchè soltanto Essa può fermare il braccio di Dio'. S.Alfonso Maria de'Liguori dice: 'Senza la Messa, la terra sarebbe da molto tempo annientata a causa dei peccati degli uomini'.


E San Pio da Petralcina dice: 'Sarebbe più facile che la terra si reggesse senza sole, anzichè senza la Santa Messa'.


Quanto al bene recato per le anime defunte, San Girolamo dice: 'per ogni Messa devotamente ascoltata, molte anime escono dal purgatorio per volarsene al cielo'.


quanto alle grazie applicate agli assistenti, San Bernardo dice: 'Si merita più ascoltando devotamente una Santa Messa che non il distribuire ai poveri tutte le proprie sostanze e col girare peregrinando su tutta la terra'.


Sant'Agostino dice: 'Tutti i passi che uno fa per recarsi ad ascoltare la santa essa sono da un angelo numerati e sarà concesso da Dio un sommo premio per questa vita e nell'eternità'.


'Assicurati, disse il Signore a Santa Gertrude, che a chi ascolta devotamente la Santa Messa, Io manderò negli ultimi istanti della sua vita tanti dei miei Santi per confortarlo e proteggerlo, quante saranno le Messe da lui be ascoltare'.


CONSEGUENZE PRATICHE


1) Assiduità


la prima conseguenza è che dobbiamo assistere alla Santa Messa quanto più spesso che è possibile.San Leonardo da Porto Maurizio esortava: 'O popoli ingannati che fate voi? Perchè non correte alle Chiese per ascoltare quante più Messe potete? Perchè non imitate gli Angeli che, quando si celebra la Santa Messa, scendono a schiere dal Paradiso e stanno attorno ai nostri Altari in adorazione per intercedere per noi?'


2) Disposizione adatta


La seconda conseguenza pratica è assistere con la disposizione più adatta. E più grande è l'amore di coloro che vi partecipano, più grande è la grazia e il merito. Questo amore si deve indirizzare verso il Signore Sacrificato sulla Croce che è proprio il cuore della Santa Messa. Nel suo libro 'Gesù Eucaristico Amore' Padre Manelli scrive che la vera partecipazione attiva alla Santa Messa è quella che ci rende vittime immacolate come Gesù, che ottiene lo scopo, nelle parole del Papa Pio XII, di 'riprodurre in noi i lineamenti dolorosi di Gesù'.


la pratica spirituale classica all'offertorio è di offrire se stessi a Dio Padre con l'offerta del pane e del vino, alla Consacrazione di immolare se stessi a lui con l'oblazione del Corpo e Sangue del Signore.


Nelle parole dello stesso Padre Manelli: 'Del resto come rimanere indifferenti di fronte alla Crocifissione e morte di Gesù? non saremo mica come gli Apostoli addormentati nel Getsemani e tantomeno come i soldati che , ai piedi della Croce, pensavano al gioco dei dadi, incuranti degli spasmi di Gesù morente?'


San Giovanni Bosco si lamentava di 'tanti Cristiani che stanno in chiesa volontariamente distratti, senza modestia, senza attenzione, senza rispetto, in piedi, guardando qua e là. Costoro non assistono al Divino Sacrificio come Maria e Giovanni, ma come i giudei, mettendo un altra volta Gesù in Croce'.


Guardiamo la Madonna, San Giovanni Evangelista, Santa Maria Maddalena, e le pie donne ai piedi della Croce. Loro sono il nostro modello di partecipazione al Santo sacrificio della Messa: per la gloria di Dio e la salvezza dell'anima nostra.


Amen.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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06/02/2011 13:12
 
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Eucaristia sintesi del mistero cristiano. Lì dove è scritto il destino dell'uomo (Biffi)

Eucaristia sintesi del mistero cristiano

Lì dove è scritto il destino dell'uomo

di mons.Inos Biffi

Nell'epoca patristica non riscontriamo discussioni sull'Eucaristia. Queste appariranno più tardi, nel secolo ix e soprattutto a partire dal secolo xi, quando si tratterà di precisare in che senso il pane e il vino sono segni del Corpo e del Sangue di Cristo e la loro conversione, sempre affermata nella Chiesa, verrà espressa col concetto e il termine di «transustanziazione».
Per i Padri era talmente pacifica la dottrina eucaristica, da rappresentare la giustificazione di altre e fondamentali verità di fede, e quindi il criterio dell'ortodossia.

Così particolarmente in Ireneo di Lione. Contro gli gnostici egli osservava l'incoerenza di credere nella mutazione -- operata da Cristo col suo rendimento di grazie e con la sua parola -- del pane «cosa creata» e del vino «prodotto di questa nostra creazione» e insieme negare la bontà del mondo materiale; oppure l'altra incoerenza di rigettare la risurrezione della carne, quando, nutrendosi nell'Eucaristia del Corpo e del Sangue di Cristo, i nostri corpi corruttibili ricevono il pegno dell'incorruttibilità.
Di fatto, il declinare della fede, la perdita della sua perspicuità, si riflettono nell'Eucaristia; così come, per converso, l'appannarsi dell'ortodossia eucaristica è un chiaro indice dell'oscurarsi di altri sostanziali contenuti del Credo.

Accenniamo qui ai misteri cristiani -- che è poi tutto il dogma -- coinvolti e professati nella celebrazione dell'Eucaristia, quando questa sia concepita in conformità alla Tradizione.

Anzitutto, in essa viene proclamato il valore, universale e assoluto, del sacrificio della Croce, che, avvenuto nella storia, prosegue gloriosamente nella sua inesausta efficacia salvifica in ogni tempo e spazio. La memoria eucaristica è un annuncio continuo della signoria del Crocifisso risuscitato e glorioso, assiso alla destra del Padre, unico redentore e fonte incessante dello Spirito. Essa è segno dell'inarrestabile carità di Gesù, che si dona al Padre e agli uomini, della sua adorazione e della sua intercessione.

Ed è segno della Chiesa che, obbediente e fedele al mandato di Gesù, si raccoglie e si ritrova intorno a lui, seduta alla sua mensa, nella consapevolezza di essere nata dal suo sacrificio pasquale e di essere continuamente nutrita dalla comunione al suo corpo immolato e al suo sangue versato per la remissione dei peccati.

Così, ogni Eucaristia, col mistero di Cristo, diffonde il mistero della Chiesa quale opera sua e sacramento della sua presenza nel mondo.

Al convito eucaristico riusciamo a scoprire la profonda identità della Chiesa. E insieme risalta l'identità dell'uomo, ideato a immagine di Cristo, predestinato a essere conforme a lui, e perciò a rivivere i suoi eventi di morte e di risurrezione.

Nell'Eucaristia è iscritto il destino dell'uomo; in essa è percepibile la ragione per la quale è stato creato, e di conseguenza lo stile di vita che è chiamato a seguire per poter raggiungere il suo fine ultimo, ossia la partecipazione alla medesima condizione di gloria di Cristo.

Per questo il cristiano, in gioiosa docilità al comando di Gesù, mangia il pane vivo che viene dal cielo, e che è la sua Carne, e beve al calice che egli gli porge, e che contiene il suo Sangue, diventando così, per usare le parole di Cirillo di Gerusalemme, «con corporeo» e «consanguineo» di Cristo.

Anche soltanto da questi brevi cenni l'Eucaristia appare la sintesi e la convergenza sacramentale del mistero cristiano. Ma la prima condizione per accorgersene è di esplorarla attentamente e in profondità, per coglierne tutti i riferimenti, o meglio tutte le dimensioni in essa obiettivamente incluse.

Nell'Eucaristia c'è la cristologia e l'ecclesiologia; ci sono gli altri sacramenti; c'è l'antropologia e ci sono «le ultime cose»; c'è la pienezza della grazia e della misericordia, e il «pegno della gloria futura». D'altra parte, essa venne istituita dal Signore al compimento della sua vita e al consumarsi del suo amore (cfr. Giovanni, 13, 1) e da lui lasciata come per testamento ai suoi discepoli e alla sua Chiesa.

Come per una mutua, inscindibile, coesione, alla luce dell'ortodossia cristiana si comprende l'Eucaristia: quando questa ortodossia si annebbia, divengono precari nella Chiesa anche la sostanza e il significato del sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo; quando subentrano l'inaffezione e la trascuratezza per la «mensa del Signore», a patirne è l'intero dogma, che fatalmente perde il suo vigore, la sua credibilità, il suo «mistero».

Ma, per fermarsi sull'Eucaristia: non basta conservarne la retta intelligenza. Occorre curarne e rendere perspicua la sua celebrazione, farne diventare luminosi i segni e trasparente la liturgia ed esaltarne i simboli. I riti eucaristici, come in generale tutti i riti sacramentali, sono la verità cristiana orante. Una comunità dove ben si celebri è una comunità dove ben si crede.

(©L'Osservatore Romano - 5 febbraio 2011)


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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06/02/2011 17:33
 
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Omelia Padre Konrad zu Loewenstein del 6 febbraio 2011

In nomine Patris, et Filii, et Spiritui Sancti.

Queste ultime Messe, dopo l'Epifania prima del secondo ciclo dell'Anno liturgico, che va fino a Pasqua, le sante Messe cominciano con le parole  " Adoráte Deum, omnes Angeli eius "  e voglio cogliere l'occasione per parlare dell'Adorazione.
Uno scrittore francese ha detto una volta: che si potrebbero risolvere tutti i problemi del mondo se l'uomo facesse una cosa sola, e questa cosa è adorare Dio. Questo è lo scopo della creazione dell'Uomo e degli Angeli.

Questo scopo si raggiunge in parte già sulla terra, ma nella sua pienezza nel cielo, l'Adorazione è l'onore manifestato ad un Altro in virtù della Sua eccellenza superiore, per mostrare la propria sottomissione a Lui.
L'Adorazione è sia interna, cioè mentale, sia esterna cioè corporale. L'Adorazione interna è più importante di quella esterna, ma tutte e due sono dovute a Dio dall'uomo perchè l'uomo è composto  dalla mente e dal corpo, e deve adorare Iddio pienamente, ossia con mente e anima altrettanto. Di fatti l'atto esterno di adorazione è necessario per eccitare il nostro affetto per sottomettersi a Dio, e l'adorazione interna, se è autentica, ci preme a manifestarla in gesti esterni.

L'obbligo di adorare Dio è la conseguenza della Sua eccellenza superiore, anzi, in infinita che esige la nostra pienissima sottomissione. Questo obbligo viene stesso dal primo Comandamento: "Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio avanti a me", perchè questo Comandamento ci ordina di adorare Lui solo come nostro supremo Signore, viene espresso ugualmente nel Deuteronomio con le parole citate dal nostro Signore Gesù Cristo + a Satana: "adora il Signore Dio tuo, e a Lui solo rendi culto" (cfr. Tentazioni di Gesù + nel deserto, riportate nei vangeli di: Matteo 4,1-11, Marco 1,12-13 e Luca 4,1-13).

L'Adorazione si rende a Dio in tutti gli atti del culto divino, e in un senso particolare nel culto del Santissimo Sacramento e che, per ricordare, non è ne segno, ne figura, ne virtù (come hanno preteso gli eretici), non è pane che contiene Dio, come tutte le cose contengono Dio, non è pane benedetto, non è  pane sacro, non è neanche la divinità sotto le apparenze di pane, ma Gesù Cristo + sotto l'apparenza di pane nella Sua divinità e la sua umanità diventato Sangue ed Anima, per questo il Santissimo Sacramento esige il culto particolare dell'adorazione.

Per ricordare quando il Santissimo Sacramento è esposto, si fa una doppia genuflessione e un inchino di testa profondo entrando in chiesa, passando davanti al Sacramento e lasciando la chiesa; quando il Sacramento è nel Tabernacolo si fa una genuflessione semplice entrando, passando e uscendo, si prende l'acqua benedetta si fa un segno di Croce + venendo e partendo, e non si parla, se si deve comunicare qualche cosa ad altrui nella chiesa, si fa a voce bassa.

In questo riguardo, carissimi fedeli, non possiamo non accennare alla mancanza di adorazione da parte dei fedeli moderni, purtroppo anche membri del clero, intermediari che siamo fra Dio e l'uomo, entrando in chiesa passando davanti al Santissimo senza il minimo segno di rispetto, parlando a voce alta come se fossero in un luogo di incontro pubblico, o in un museo, anche al telefonino e, carissimi amici, ricevendo la santissima Eucarestia dopo esser mancati alla santa Messa domenicale, o alla santa purezza con altrui o da soli....

La Santa Eucarestia è, come scrive Romano Amerio: il fastigio del sacro, il mezzo per cui tutte le anime vengono condotte indietro all'Uno Dio, che è la loro origine, non c'è niente che è più grande, più glorioso, ne più prezioso sulla terra, se abbiamo trascurato la Santissima Eucarestia, abbiamo trascurato tutto!

L'atto principale dell'Adorazione è il Sacrificio nel quale la sottomissione dell'uomo a Dio viene espressa, nel senso stretto, nella distruzione di una cosa sensibile che rappresenta l'uomo stesso, così l'uomo riconosce la perfezione infinita e la maestà dell'Essere Divino, il Suo sovrano dominio sopra l'uomo, che è venuto all'esistenza che esiste e che è stato salvato per mezzo Suo.

La distruzione della cosa sensibile rappresenta l'offerta definitiva a Dio della vita e di tutto l'essere dell'uomo il suo corpo, la sua anima, la sua intelligenza e la sua volontà e tutto ciò che è. Il Sacrificio perfetto, l'atto di Adorazione perfetto è quello del Calvario, perchè è il Sacrificio di Dio a Dio, il puro e il perfetto Sacrificio, il Sacrificio per eccellenza. Questo Sacrificio viene perpetuato nel santo Sacrificio della Messa che è lo stesso Sacrificio. A questo Sacrificio l'uomo partecipa: il celebrante in modo sacramentale e spirituale, il fedele in modo spirituale. La partecipazione spirituale a questo Sacrificio consiste nel sacrificare se stessi in unione col santo Sacrificio del Calvario. Quanto sublime è la nostra vocazione cattolica, non è per niente che siamo obbligati ad assistere alla Santa Messa ogni settimana!

Adoriamo dunque Dio durante la Santa Messa, e ogni giorno col sacrificio di noi stessi e di tutta la nostra vita, tutta la nostra persona, le gioie e le pene, affinchè un giorno possiamo adorarLo +  pienamente in Cielo con gli Angeli, secondo lo scopo unico della nostra creazione.

In nomine Patris, et Filii, et Spiritui Sancti.

Sia lodato Gesù Cristo +





 

Riporre il Santissimo sull'altare maggiore


da Cordialiter:

[Brano tratto dal discorso pronunciato il 12-10-2005 dal Cardinale Janis Pujats al Sinodo dei Vescovi sull'Eucarestia]

Nelle chiese parrocchiali, luogo particolarmente adatto (sul presbiterio) per il Santissimo è l’altare maggiore che ospita il tabernacolo. In questo caso, l’altare maggiore con il suo retablo è veramente il trono di Cristo Re ed attrae a sé gli occhi di tutti coloro che sono in chiesa.

La presenza del Santissimo nell’area principale della chiesa dà ai fedeli l’occasione di adorare Dio anche al di fuori del sacrificio della Messa (ad esempio nell’intervallo di tempo tra gli uffici divini). Essi vengono infatti in chiesa per pregare, non per conversare. Prima della Comunione, è compito dei sacerdoti invitare i fedeli alla confessione individuale dei peccati.
 
Il luogo migliore per la confessione dei fedeli è il confessionale, collocato in chiesa e costruito con una grata fissa tra il confessore e il penitente. Nella misura in cui è possibile, i sacerdoti devono favorire le condizioni affinché i fedeli accedano alla Penitenza: se infatti gli uomini vivono e muoiono nei peccati, è vano ogni altro sforzo pastorale.

È opportuno riservare ogni giorno un tempo alla confessione, in ore prestabilite, in particolare prima della Messa. Se vogliamo veramente rinnovare la vita spirituale del popolo, ci è consentito lasciare il confessionale solo dopo che l’ultimo penitente ha ricevuto il perdono. [...] In generale, occorre eliminare l’abuso di accedere alla Comunione senza il sacramento della Penitenza.

Nel passato, vi era l’abitudine, durante la Messa, di andare in processione alla Comunione, ma col passare del tempo questa prassi fu giustamente respinta per un motivo pastorale. Come sappiamo, in chiesa il popolo ha un comportamento collettivo: tutti rispondono alle parole del sacerdote, tutti, seduti, ascoltano le letture della Sacra Scrittura, tutti stanno in piedi per il Vangelo, tutti si inginocchiano alla consacrazione e, (cosa che ci addolora!), tutti si alzano per partecipare in processione alla Comunione - tra questi anche il fariseo e il pubblicano, il penitente e il non penitente.
I singoli fedeli hanno timore di astenersi da questa processione, poiché in tal modo si espongono pubblicamente come indegni. Questa è la causa per cui questo abuso è prevalso così presto. Che cosa occorre fare? Bisogna rinnovare la consuetudine di accedere individualmente alla Comunione per preservare la libertà di coscienza. La Messa è un’azione comune, ma la Comunione rimanga individuale.



*************************************

 spieghiamo le parole del cardinale appena lette:
in sostanza è come se oggi si andasse alla Comunione, in processione appunto, come richiamati da una ABITUDINE verso la quale non ci possa astenere perchè "tutti mi guardano!"...sic!!
L'Eucarestia, la Comunione, non è un diritto, e vi si accede solo se IN STATO DI GRAZIA....
il concetto di INDIVIDUALE sta appunto in quell'esame di coscienza PRIVATO, PERSONALE DI CIASCUNO E NON NELL'ASSOLUZIONE COMUNITARIA DELL'ASSEMBLEA, ergo, si accede solo se in stato di grazia e non perchè, in processione "così fan tutti"....

Infatti, nella Messa di sempre si accedeva alle balaustre, IN GINOCCHIO..(forma così INDIVIDUALE)... il sacerdote, conoscendo spesso i propri fedeli, a volte passava oltre se questi non era in grazia di Dio....evitando che egli si potesse macchiare di un peccato maggiore: prendere l'Eucarestia in grave stato di peccato anche mortale... e spesso i fedeli, impegnati a guardare avanti se stessi, avendo l'Altare e non la fila processuale, non si accorgevano se l'altro non riceveva la Comunione....
Tale forma individuale è decisamente da riproporre, ed è decisamente più DISCRETA ed aiuta il fedele ad un incontro molto più personale con Gesù-Ostia-Santa....






[Modificato da Caterina63 06/02/2011 17:56]
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20/02/2011 19:55
 
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[SM=g1740738] Servizio di 12PORTE www.12porte.tv

Il mistero dell'Eucaristia nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Corpus Domini

it.gloria.tv/?media=6780




[SM=g1740717]



[SM=g1740750] [SM=g1740752]



[SM=g1740717] Lasciamoci guidare da san Tommaso d'Aquino per trovare le parole più adatte per contemplare il Mistero dei Misteri....
Buona meditazione a tutti!

it.gloria.tv/?media=140870

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org

I due Inni Eucaristici:
Tu sole Vivo per me e t'Adoriam Ostia Divina, sono
del Coro di Don Bellani
cliccare qui per saperne di più:
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...




[SM=g1740738]


[SM=g1740753]

[Modificato da Caterina63 30/03/2011 16:28]
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26/06/2011 09:14
 
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CARD. RANJITH: TEOLOGIA DELL'ADORAZIONE EUCARISTICA. RISPOSTA ALLE OBIEZIONI



Presentiamo un estratto della dissertazione che S.E.R. il Card. Albert Malcolm Ranjith, Arcivescovo di Colombo (Sri Lanka), ha tenuto al Convegno "Adoratio2011" (Roma, 20 - 23 giugno 2011). L’intervento completo lo potete trovare qui.





del Card. Malcolm Ranjith
“Quando siamo davanti al SS. mo Sacramento, invece di guardarci attorno, chiudiamo gli occhi e la bocca; apriamo il cuore; il nostro buon Dio aprirà il suo; noi andremo a Lui. Egli verrà a noi, l’uno chiede, l’altro riceve; sarà come un respiro che passa dall’uno all’altro”, queste erano le parole con le quali il curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney, cercava di spiegare l’adorazione (Il piccolo Catechismo del Curato d’Ars, Tan Books & Publishers, Inc. Rockford, Illinois, 1951, p.42).

1. Adorazione è stare dinanzi a Dio onnipotente in un atteggiamento di silenzio, potente espressione di fede: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam.3,10). E’ davvero inspiegabile in termini umani. Papa Benedetto XVI ha spiegato il significato di adorazione come una proskynesis, “il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire”, e come ad – oratio “contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore” (Omelia del 21 agosto 2005 a Marienfeld, Colonia). E’ tale processo di presenza davanti a Dio che ci trasforma. San Paolo, parlando di coloro che si volgono verso il Signore come fece Mosè, dichiara: “quando ci volgeremo verso il Signore, il velo sarà tolto…e noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati (meta morfoumetha) in quella medesima immagine, di gloria in gloria” (2 Cor. 3,16.18). E’ interessante notare che il verbo usato qui è lo stesso usato per spiegare la trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor (metemorfothè).

La presenza dell’adorante dinanzi a Dio lo trasforma. Ciò è mirabilmente espresso in quelle parole del libro dell’Esodo: “quando Mosè scese dal monte Sinai con le due tavole della Testimonianza nelle mani, non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Yahweh. Ma Aronne e tutti gli israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui” (Es. 34, 29-30). E’ come quando qualcuno si mette a fissare intensamente un tramonto; dopo un po’ di tempo, anche il suo volto assume un colorito dorato.
[…]
OBIEZIONI ALL’ADORAZIONE
[…]
Papa Paolo VI, da parte sua, era seriamente preoccupato riguardo a una certa tendenza nella Chiesa, successiva al Concilio Vaticano II, di attenuazione di fede sulla sostanza dell’Eucaristia, in particolare sulla transustanziazione e sulla presenza permanente. Egli dichiarò: “ben sappiamo che… ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione..” (Mysterium Fidei 10). E continua il papa: “non possiamo approvare le opinioni che essi esprimono e sentiamo il dovere di avvisarvi del grave pericolo di quelle opinioni per la retta fede” (ibid 14).

Il papa, durante la cui vita si svolse la maggior parte del Concilio Vaticano II, affermava: “la costante istruzione impartita dalla Chiesa ai catecumeni, il senso del popolo cristiano, la dottrina definita dal Concilio di Trento e le stesse parole con cui Cristo istituì la SS.ma Eucaristia ci obbligano a professare che ‘l’Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo, che ha patito per i nostri peccati e che il Padre per sua benignità ha risuscitato’ (S. Ignazio di Antiochia, Epistola ai smirnesi 7,1; PG 5,714). Alle parole del martire sant’Ignazio, Ci piace aggiungere le parole di Teodoro di Mopsuestia, in questa materia testimone attendibile della fede della Chiesa: ‘Il Signore, egli scrive, non disse: questo è il simbolo del mio corpo e questo è il simbolo del mio sangue, ma: questo è il mio corpo e il mio sangue, insegnandoci a non considerare la natura della cosa presentata, ma a credere che essa con l’azione di grazia si è tramutata in carne e sangue’” (Mysterium fidei 44). In effetti, l’intera enciclica di Paolo VI è una solida difesa della retta fede della Chiesa sulla SS.ma Eucaristia. Inoltre, nella solenne professione di fede del 30 giugno 1968, egli affermò che “ogni spiegazione teologica che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica, deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino han cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù ad essere realmente dinanzi a noi sotto le specie sacramentali del pane e del vino” (25, AAS60 (1968) 442-443).

Di conseguenza, il Papa sollecita i vescovi “affinché questa fede… rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura e integra nel popolo” e “promoviate il culto eucaristico, a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà” (Mysterium fidei 65).

Risulta chiaro dunque che le obiezioni all’adorazione eucaristica basate su una contestazione o una falsa interpretazione della fede e dottrina ecclesiali, sono disapprovate e fermamente respinte.
2. Il Santo Padre, papa Benedetto XVI, nella Esortazione apostolica post-sinodale “Sacramentum Caritatis”, parla di un’opinione che si era diffusa “mentre la riforma liturgica conciliare muoveva i primi passi”, secondo cui “l’intrinseco rapporto tra la santa Messa e l’adorazione del SS.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito”. Dichiara il papa, “un’obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato” (Sacr. Car. 66). Una situazione scaturita probabilmente da qualche influsso della teologia protestante, dal momento che tracce di tale errore riflettono quanto avvenuto durante la riforma protestante. Quasi tutti i riformatori contraddicevano la dottrina tridentina sulla presenza permanente e transustanziata di Cristo nel pane e vino consacrati, riducendolo a un mero fatto simbolico, affermando peraltro che l’Eucaristia era solo una cena conviviale, ma non un sacrificio riattualizzato, per cui veniva meno l’adorazione. Benché Lutero, Zwingli, Melantone e Giovanni Calvino avessero prospettive particolari tra loro a volte contraddittorie, in genere la loro interpretazione dell’Eucaristia era in contrasto con la teologia cattolica del tempo. Lutero sosteneva che la presenza reale si limitava alla ricezione della Santa Comunione (in usu, non extra).

Infatti i luterani credono nella presenza reale solo tra la consacrazione e la Santa Comunione. Posizione che fu fermamente condannata dal Concilio di Trento, che decretò che “se qualcuno dirà che, una volta terminata la consacrazione, nel mirabile sacramento dell’Eucaristia non vi sono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, ma che vi sono solo durante l’uso, mentre lo si riceve, ma né prima né dopo; e che nelle ostie o particole consacrate, che si conservano o avanzano dopo la comunione, non rimane il vero corpo del Signore: sia anatema” (canone 731). Per la Chiesa cattolica dunque la presenza di Cristo nelle specie consacrate dell’Eucaristia, non è limitata solo al momento della Comunione, ma permane. In altre parole, non è fatta solo per essere “mangiata”, ma anche per essere adorata.
Papa Benedetto XVI sottolinea proprio questo aspetto quando dichiara che “ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso colui che riceviamo” (Sacramentum Caritatis, 66). Effettivamente, l’Eucaristia non è semplicemente l’anticipazione gioiosa del banchetto celeste che avverrà alla parusia, ma è pure il Sacrificio del Calvario e suo memoriale. Non è solo una festa per la nostra fame ma anche per i nostri occhi, poiché fissiamo stupiti l’autodonazione di amore per la nostra salvezza. Ma Lutero non la vede così.

Per lui, non esiste alcun legame ontologico tra quanto avvenne sul Calvario e quanto avviene sull’altare, per questo la teologia luterana non dà adeguato valore all’aspetto sacrificale della Santa Messa. Pone soprattutto l’accento sull’aspetto conviviale della Cena. E’ forse questa la ragione per cui Lutero non diede molta importanza alla teologia del sacerdozio, specialmente nella sua dimensione sacrificale, come è esposto nella lettera agli Ebrei. Al contrario, per la teologia cattolica, ogni volta che si celebra l’Eucaristia, si rinnova il sacrificio di Cristo sul Calvario, così come ha dichiarato papa Pio XII: “L’augusto sacrificio dell’altare non è una pura e semplice commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio sacrificio, nel quale, immolandosi incruentamente, il Sommo Sacerdote fa ciò che fece una volta sulla croce offrendo al Padre tutto se stesso, vittima graditissima” (Mediator Dei, 68). Nell’Eucaristia, il nostro sguardo si eleva con profonda fede, umile venerazione e adorazione dinanzi all’augusta persona di Gesù sulla croce. Infatti, il vangelo di san Giovanni (19,37) presenta la crocifissione quale compimento della profezia di Zaccaria: “guarderanno a colui che hanno trafitto” (Zac. 12,10). E’ il sacrificio verso il quale guardò e sperimentò la fede il centurione, quando riconobbe in Gesù il Salvatore: “davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc. 15,39).
[…]

E’ guardando al sacrificio di Cristo che viene confermata la fede e si è salvati. Ad ogni Eucaristia in cui l’unico sacrificio di Cristo sul Calvario è ripresentato, nasce la fede e lo adoriamo come Figlio di Dio. E’ un pregustare la nostra salvezza – un pregustare il paradiso. Per questo, un’Eucaristia senza sguardo adorante su Cristo, sarebbe più povera. Diversamente, se i nostri cuori non si innalzano allo stupore della salvezza sulla croce, l’Eucaristia stessa si ridurrebbe a una formalità in più, a uno schiamazzo rumoroso, a una vuota esperienza senza fede e senza gusto. La tendenza, pertanto, a rendere la Messa più moderna e colorita è, come minimo, di cattivo gusto. Se quando lo riceviamo, non lo adoriamo, non sapremmo nemmeno chi è Colui che viene a farci Suoi. Sarebbe un modo di ricevere l’Eucaristia senza senso. Proprio questo il papa sottolinea quando dice “soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza profonda e vera” (Sacramentum Caritatis, 66).
In questo senso, assicurare una celebrazione devota e contemplata dell’Eucaristia non sarebbe più una questione di scelta, ma di necessità. In questo, personalmente preferirei l’atmosfera devota e orante della Messa tridentina dove la partecipazione dell’assemblea è più sommessa, pacata e raccolta, il che è rispettoso del grande mistero che avviene sull’altare.Forse è arrivato il tempo di pensare di inquadrare bene che cosa significhi “partecipazione attiva”. Papa Benedetto XVI ha infatti dedicato un capitolo intero su questo tema nella Sacramentum Caritatis. Dichiara il Papa: “conviene mettere in chiaro che con tale parola “partecipazione”, non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione. In realtà, l’attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l’esistenza quotidiana” (Sacramentum Caritais, 52). Questa è adorazione, e considerando in tal modo tutti questi elementi, possiamo affermare che l’Eucaristia non è soltanto per mangiare ma anche per adorare.
[…]

Alcuni purtroppo affermano che il Concilio Vaticano II non ha dato tanta importanza alle devozioni eucaristiche, per cui non merita grande attenzione. In effetti, potrebbe essere questa un’analisi corretta, dato che il documento conciliare sulla sacra Liturgia “Sacrosanctum Concilium”, sia nella presentazione generale, sia nella esposizione sulla SS.ma Eucaristia (cap. II) e degli altri sacramenti e sacramentali, non fa menzione delle devozioni al SS.mo Sacramento. Fa accenno alle devozioni popolari in un breve passaggio (n. 13), ma nulla sulle devozioni eucaristiche. Ciò è in forte contrasto con l’esposizione sul tema che si hanno nei decreti del Concilio di Trento e nell’enciclica “Mediator Dei” di Pio XII. Se sia stata una dimenticanza voluta o accidentale, è una questione aperta. Molto probabilmente, quelle devozioni venivano date per scontate come un dato di fatto e perciò non trattate in modo esplicito. Tuttavia, si sarebbe dovuto fare qualche menzione, data l’importanza dei pronunciamenti del Concilio per il futuro e l’importanza data a queste devozioni lungo i secoli. Tale omissione fu la probabile ragione della succitata pretesa che l’Eucaristia non è per l’adorazione ma per essere mangiata, e che il Concilio non ha dato molta importanza a quell’aspetto di culto liturgico.

Anche questo può aver spinto Papa Paolo VI a lamentarsi nell’enciclica sulla Santa Eucaristia del 3 settembre 1965, Mysterium Fidei che “non mancano… motivi di grave sollecitudine pastorale e di ansietà, dei quali la coscienza del Nostro dovere Apostolico non ci permette di tacere. Ben sappiamo infatti che tra quelli che parlano e scrivono di questo Sacrosanto Mistero ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione intorno alle verità di fede” (MF 9-10). Il Papa prosegue poi spiegando che cosa intende per “opinioni” e tra queste nomina “l’opinione secondo la quale nelle Ostie consacrate e rimaste dopo la celebrazione del sacrificio della Messa, Nostro Signore Gesù Cristo non sarebbe più presente” (Mysterium Fidei, 11). L’errore menzionato dimostra una diminuzione del ruolo della fede eucaristica della Chiesa e della sua pratica di adorazione.

Il Papa continua affermando il valore dell’adorazione eucaristica in modo esteso nell’enciclica. Egli dichiara “la Chiesa Cattolica professa questo culto latreutico al Sacramento Eucaristico non solo durante la Messa ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana” (Mysterium Fidei, 57). Spiega poi con grande dettaglio e citazioni dei Padri della Chiesa, vari elementi di devozione eucaristica (no. 56-65) e il dovere di conservarli. Esorta i Vescovi “affinché questa fede, che non tende ad altro che a custodire una perfetta fedeltà alla parola di Cristo e degli Apostoli, rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura ed integra nel popolo affidato alla vostra cura e vigilanza e promoviate il culto eucaristico a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà” (Mysterium Fidei, 65).

E così, alla luce di una quasi totale assenza di menzione sull’adorazione e devozioni eucaristiche nella costituzione conciliare sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, e alla tendenza riemergente in alcuni ambienti di ridimensionare o rigettare tale fede, questa enciclica di Paolo VI pubblicata ancor prima della conclusione formale del Concilio (8 dicembre 1965), può essere considerata una risposta adeguata a quegli elementi protestantizzanti in seno alla Chiesa e una dovuta correzione certamente, per cui dobbiamo essere grati a Papa Paolo VI.
[…]
Anche ricevere la Comunione richiede fede nella immensità di ciò che sta per avverarsi – il Signore viene a me, o meglio, venendo da me, mi abbraccia e desidera trasformarmi in se stesso. Non si tratta di un semplice atto meccanico di ricevere un pezzo di pane – qualcosa che avviene in un istante. Ma è l’invito a essere in comunione con il Signore: invito all’amore. Il Papa spiega l’adorazione con queste parole testuali: “La parola greca (per adorazione) è proskynesis. Essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire… la parola latina per adorazione è ad–oratio, contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore. Così sottomissione acquista un senso, perché non ci impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro essere” (Omelia in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, Colonia, 21 agosto 2005).

L’adorazione quindi è sottomissione per amore ed intimità con il Signore. Ciò significa che accogliere il Signore, l’atto che ci permette l’esperienza del Suo amore al massimo livello, invitandoci a stare con Lui, non può aver luogo se non in un clima di adorazione. E anche l’immolazione di Cristo alla consacrazione del pane e del vino, il culmine del Suo sacrificio per amor nostro, non può non essere un momento che esige adorazione. Per cui si può dire che l’Eucaristia richiede adorazione sia durante la celebrazione sia nel ricevere la Comunione. Afferma Papa Benedetto: “la Comunione e l’adorazione non stanno fianco a fianco o addirittura in contrasto tra loro, ma sono indivisibilmente uno… L’amore o l’amicizia sempre portano con sé un impulso di riverenza, di adorazione. Comunicare con Cristo perciò esige che fissiamo lo sguardo su di Lui, permettere al Suo sguardo di fissarsi su di noi, ascoltarlo, imparare a conoscerlo” (God is near us. Ignatius Press, San Francisco 2003, p. 97).

E’ in questa luce che dovremmo comprendere la famosa frase di Sant’Agostino: “nemo autem illam Carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando” – o “nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo” (Enarrationes in Psalmos 98,9, CCL XXXIX, 1385). Soltanto l’adorazione infatti apre il nostro cuore verso un senso autentico di partecipazione all’Eucaristia, poiché lo dilata all’esperienza del profondo amore di Dio manifestato nell’Eucaristia e verso un’unione vera e profondamente personale con Cristo al momento della Comunione (“Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” – Ap. 3,20).
In questo senso, le parole del Papa sono chiare: “Ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste” (Sacramentum Caritatis, 66). E’ l’adorazione quindi capace di rendere la celebrazione della Santa Eucaristia e il ricevere il SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, pieni di significato e profondamente trasformanti. Altrimenti, si ridurrebbe a puro esercizio meccanico o a cacofonia sociale; un evento dell’uomo e non di Dio, perché l’adorazione fa dell’Eucaristia un’esperienza di grazia divina salvifica e di eternità. Non solo, l’adorazione trova un suo naturale sbocco in tutte le altre devozioni eucaristiche, dando ad esse significato e profondità. Il momento supremo dell’adorazione è l’Eucaristia e fluisce in tutte le devozioni ad essa connesse. L’una dà significato e profondità all’altra.

E’ triste notare come in alcuni luoghi le chiese e i santuari si sono trasformati in piazze da mercato o teatri o sale da concerto. Mi è capitato di entrare un giorno in una cattedrale di un’importante città europea dove vi era gente che aspettava la celebrazione di una Messa nuziale: era come una grande piazza di mercato dove tutti erano impegnati in animata conversazione. Non vi era certo alcun spirito di raccoglimento o il minimo senso di riverenza adorante in preparazione all’Eucaristia. Mi hanno raccontato di una Eucaristia in una chiesa parrocchiale in Germania, dove rappresentavano un dramma teatrale con l’assemblea che partecipava mediante preghiere e scenette, e il parroco faceva il presentatore. Ho chiesto all’amico che mi raccontava la vicenda, che effetto gli aveva fatto, e lui mi ha risposto con le parole “tanto rumore per nulla”.

[…]
Lasciate che concluda con le belle parole del Curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney, vero apostolo di adorazione: “Oh, se avessimo gli occhi degli angeli per vedere nostro Signore Gesù Cristo, che è qui presente su questo altare e ci guarda, come Lo ameremmo! Mai vorremmo andarcene via da Lui. Vorremmo restare sempre ai Suoi piedi; sarebbe pregustare il Cielo: tutto il resto non avrebbe più gusto per noi” (Il Curato d’Ars,il piccolo catechismo del Curato d’Ars, Tan Books and Publishers Inc. Rockford, Illinois 61105, 1951, p.41).Grazie.

Roma, 22 giugno 2011
Malcolm Card. Ranjith Arcivescovo di Colombo
(traduzione dall'inglese di don Giorgio Rizzieri)


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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L'ARTE CATTOLICA DELL'INGINOCCHIARSI DAVANTI A DIO

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Il santo Padre Benedetto XVI
da maggio 2008 in occasione della Festa del Corpus Domini, ha deciso, nelle Messe da lui celebrate, che i fedeli ricevano la Comunione dalla sue mani in bocca e in ginocchio, su inginocchiatoi messi a tal fine davanti all’altare. Nello stesso tempo aveva già riportato il Crocefisso sull'Altare raccomandando, con  mitezza e con responsabilizzazione, che tutte le Chiese (ossia anche le Parrocchie) si adoperassero per una corretta interpretazione della Riforma liturgica del Concilio Vaticano II, la quale non ha mai fatto propria Norma quelle alcune modifiche nella Messa che, invece, presero il sopravvento producendo abusi e dissacralità nella Messa stessa.
 
Approfondiamo, almeno un poco, la disciplina della Chiesa su questo tema!
 
Il Cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti l’ha esposto in sintesi e con grande chiarezza nel febbraio del 2009 in un’intervista alla rivista “30 Giorni”:
“Come è noto, l’attuale disciplina universale della Chiesa prevede che di norma la Comunione venga distribuita nella bocca dei fedeli. C’è poi un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire la Comunione anche sul palmo della mano. Questo è bene ricordarlo. Il Papa, poi, per dare maggiore risalto alla dovuta reverenza con cui dobbiamo accostarci al Corpo di Gesù, ha voluto che i fedeli che prendono la Comunione dalle sue mani lo facciano in ginocchio. Mi è sembrata un’iniziativa bella ed edificante del Vescovo di Roma.”
Di conseguenza, lo stesso Cardinale, che allora era ancora Primate di Spagna e Arcivescovo di Toledo, dispose che nella chiesa Cattedrale di Toledo si ponesse un inginocchiatoio per coloro che desideravano “comunicarsi con rispetto e come lo fa il Papa”, ricevendo la Comunione in ginocchio.
E ancora: “Le liturgie pontificie infatti sono sempre state, e sono tuttora, di esempio per tutto l’orbe cattolico”.
 
Non è un segreto che Benedetto XVI ha sempre sostenuto la Comunione in ginocchio. Quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sottolineava che la pratica di inginocchiarsi per ricevere la Sacra Comunione ha a suo favore una tradizione plurisecolare, ed è un segno particolarmente espressivo di adorazione, del tutto appropriato in ragione della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate. Dietro il gesto di inginocchiarsi il Papa vede, dunque, niente meno che una conseguenza della fede cattolica nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.
 
Vale la pena penetrare maggiormente il suo pensiero, attraverso le pagine della sua opera “Lo spirito della Liturgia”, pubblicata quando era ancora Cardinale. Nel capitolo dedicato al tema della prostrazione, dice: “L’espressione con cui Luca descrive l’atto di inginocchiarsi dei cristiani  è sconosciuta nel greco classico. Si tratta di una parola specificamente cristiana. Può essere che la cultura moderna non capisca il gesto di inginocchiarsi, nella misura in cui è una cultura che si è allontanata dalla fede e non conosce ormai Colui di fronte al quale inginocchiarsi è il gesto appropriato, anzi, interiormente necessario. Chi impara a credere, impara anche ad inginocchiarsi. Una fede o una liturgia che non conoscesse l’atto di inginocchiarsi sarebbe ammalata nel punto centrale. Là dove questo gesto sia andato perduto, bisogna impararlo di nuovo, per rimanere con la nostra preghiera in comunione con gli apostoli e i martiri, in comunione con tutto il cosmo e in unità con Gesù Cristo stesso”.
Conoscere, credere, rimanere nella fede, queste sono le condizioni di base da cui nasce il “bisogno interiore” di inginocchiarsi.
 
Dove la pratica di inginocchiarsi si è persa, “bisogna impararla di nuovo”, diceva l’allora Cardinale Ratzinger.
E di nuovo, nella sua prima Esortazione Apostolica, Sacramentum Caritatis (2007), il Santo Padre riafferma: “Un segnale convincente dell’efficacia che la catechesi eucaristica ha sui fedeli è sicuramente la crescita in loro del senso del mistero di Dio presente tra noi. Ciò può essere verificato attraverso specifiche manifestazioni di riverenza verso l’Eucaristia, a cui il percorso mistagogico deve introdurre i fedeli. Penso, in senso generale, all’importanza dei gesti e della postura, come l’inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica”.
 
Monsignor Guido Marini, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, riassume quest’insegnamento papale dicendo che, ricevendo la Comunione in ginocchio e in bocca, si sottolinea “la verità della presenza Reale di Cristo nell’Eucaristia, aiuta la devozione dei fedeli e introduce più facilmente il senso di mistero”.
Inoltre egli faceva presente in una intervista a Radio Vaticana, nell'aprile 2011: "Nell'ambito liturgico, ciò che il Papa sta indicando con la sua parola e con il suo esempio, è l'applicazione compiuta e fedele del Concilio Vaticano II, in sviluppo armonico con tutta la tradizione liturgica precedente della Chiesa. Il Santo Padre è un Maestro di liturgia, per quanto riguarda i contenuti, l'insegnamento e il pensiero, e allo stesso tempo un grande 'liturgo', perché ci insegna l'arte della celebrazione.
Benedetto XVI ha mutato la liturgia con il suo stesso stile celebrativo e allo stesso tempo con le sue indicazioni e orientamenti. Il Papa ha applicato e sta applicando alla lettera come deve essere celebrata la Messa voluta dalla Riforma del Concilio...", i sacerdoti e i Vescovi, pertanto, dovrebbero così obbedire al Papa nel fare proprie le sue istanze liturgiche. E lo stesso Pontefice, spiegava mons. Guido Marini, è ritornato spesso sul concetto che Roma rimane "il modello verso il quale tutte le altre chiese devono guardare".
Insomma, è il Papa a chiedere che si celebri la Liturgia con quella sacralità venuta meno nelle celebrazioni parrocchiali, ci vuole una buona dose di mala fede per dire "io non lo sapevo!"....
 
Ci piace sottolineare che grazie anche al Motu Proprio Summorum Pontificum, assistiamo di recente ad una responsabilizzazione da parte di molti Vescovi della Chiesa, verso questa santa disciplina. Sarebbe infatti fuorviante relegare questo prezioso MP esclusivamente al ritorno della Messa nella forma Straordinaria, poichè è il Papa stesso a richiedere attraverso questo Documento, una riforma della Messa nella forma Ordinaria, purificandola dai tanti abusi di questi anni e dove la Messa nella forma Straordinaria, invece, resta un 'ottimo esempio ed una grande testimonianza della sacralità liturgica che dobbiamo riportare allo scoperto.
Vorremmo menzionare soprattutto il Vescovo Athanasius Schenider il quale ha scritto anche un prezioso libretto "Dominus Est" edito dalla Libreria Vaticana, sul come ricevere la Sacra Comunione e il perchè dell'inginocchiarsi davanti al Mistero.
 
L'arte dell'inginocchiarsi è, per noi cattolici, un segno caratteristico e identificativo non semplicemente di una forma di cultura, ma molto più, di quella identità che ci vede consapevoli del Mistero di Gesù-Ostia-Santa che abbiamo davanti a noi e davanti al quale, appunto, ci inginocchiamo.
Taluni hanno frettolosamente ingannato se stessi e molti fedeli ricorrendo ad immagini della Chiesa primitiva secondo le quali, e secondo la loro interpretazione, i cristiani non si inginocchiavano davanti al Risorto, ma si prostravano!
A rigor del vero occorre dire che questa motivazione è sbagliata ed è malamente interpretata. Nessuno di fatto sa con certezza quale atteggiamento assunsero i Discepoli davanti al Cristo Risorto, parlando di prostrazione va detto che essa veniva fatta generalmente proprio da una posizione che partiva dallo stare in ginocchio e, seduti sui talloni, ci si prostrava con la fronte fino a toccare terra.
Bisogna sottolineare che in discussione non viene messo lo stare in piedi, per esempio, nelle invocazioni, nell'ascoltare la Parola di Dio, o nel seguire i canti, quanto piuttosto assistiamo da tempo ad una battaglia contro la forma dell'inginocchiarsi.

Del resto, per noi Cattolici, vale per tutto il suggerimento della Sacra Scrittura che lo stesso sante Padre Domenico insegnava ai suoi Frati:

Venite, prostràti adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati (Salmo 94,6).

Sant'Agostino, con una immagine efficace, ci spiega la nostra situazione.
E' vero, spiega il santo Padre della Chiesa, che la nostra fede cristiana è racchiusa nella gioia della Risurrezione, la Pasqua rende incontenibile la nostra gioia con inni, salmi, canti di lode e giubilo, ma la nostra vita sulla terra è una Quaresima!
 
Il santo Padre Agostino, in alcune sue catechesi, rimarca l'atteggiamento che dobbiamo assumere, ci ricorda che la Pasqua per noi è prefigurazione della gloria che vivremo mentre, la realtà che viviamo sulla terra è la Quaresima, per questo la Chiesa insegna il digiuno, la penitenza, la prostrazione, quello stare in ginocchio mentre mendichiamo davanti a Dio le nostre suppliche. Sant'Agostino cita, come esempio i passi dei Vangeli in cui è insegnato quale atteggiamento dobbiamo assumere quando Preghiamo, quando siamo davanti al Signore:
 
- Matteo 17,15 che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua;
- Marco 1,40 Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!».
- Marco 10,17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».
- Luca 5,8 Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore».
 
In un articolo comparso sull'Osservatore Romano 4 agosto 2008, così spiegava mons. Nicola Bux: Il sacerdote, per celebrare con arte il servizio liturgico, non deve ricorrere ad accorgimenti mondani ma concentrarsi sulla verità dell'Eucaristia. L'Ordinamento generale del messale romano stabilisce:  "Anche il presbitero...quando celebra l'eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e, nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine, deve far percepire ai fedeli la presenza viva di Cristo".  Il prete non escogita nulla, ma col suo servizio deve rendere al meglio agli occhi e agli orecchi, ma anche al tatto, al gusto e all'olfatto dei fedeli, il sacrificio e rendimento di grazie di Cristo e della Chiesa, al cui mistero tremendo possono avvicinarsi quanti si sono purificati dai peccati. Come possiamo avvicinarci a lui se non abbiamo il sentimento di Giovanni il precursore:  "è necessario che egli cresca e io diminuisca"(Gv 3, 20)? Se vogliamo che il Signore cammini con noi, dobbiamo recuperare questa consapevolezza, altrimenti priviamo dell'efficacia il nostro atto devoto:  l'effetto dipende dalla nostra fede e dal nostro amore.
 
"è necessario che egli cresca e io diminuisca", per fare questo è indispensabile che ci si attivi non solo spiritualmente, ma anche esternamente con atteggiamenti atti a far capire come funziona questo meccanismo:
- inginocchiandomi davanti all'Altissimo, Egli cresce di importanza davanti a me, io mi faccio piccolo ed umile (inginocchiandomi) davanti a Lui.
L'atteggiamento che assumiamo davanti agli altri, poichè siamo umani e sensibili ai gesti, ai segni, è pertanto indispensabile per dare una vera, o presunta, o perfino una falsa immagine del Mistero che celebriamo!
Nella Lettera alla Congregazione per il Culto Divino, del 21.9.2009, il futuro beato, Giovanni Paolo II, così scriveva e ammoniva:  "Il Popolo di Dio ha bisogno di vedere nei sacerdoti e nei diaconi un comportamento pieno di riverenza e di dignità, capace di aiutarlo a penetrare le cose invisibili, anche senza tante parole e spiegazioni. Nel Messale Romano, detto di San Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia".
 
" anche senza tante parole e spiegazioni "....  Spesso è l'atteggiamento che assumiamo ad essere per noi la testimonianza più concreta di quello in cui crediamo.
 
Se vogliamo essere credibili, dobbiamo assumere anche un atteggiamento di credibilità: se diciamo che Dio è Vivo è vero nell'Eucarestia, allora non possiamo restare in piedi, o peggio seduti ( a meno che non vi sia qualche grave impedimento fisico) è la stessa virtù dell'umiltà sincera che ci fa piegare le ginocchia davanti al Sommo Re per poter supplicare ieri come oggi:
- Matteo 17,15 che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio......;
- Marco 1,40 Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!».
- Marco 10,17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».
- Luca 5,8 Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore»...
 
Sia lodato Gesù Cristo!
LDCaterina63

piccolo pro-memoria:

Inginocchiarsi da "I santi segni" di Romano Guardini

 
Cosa fa una persona quando s'inorgoglisce? Si drizza, alza il capo, irrigidisce le spalle e l'intera figura. Tutto in essa dice: «Io sono più grande di te! Io sono da più di te!».

Quando uno invece è di umile sentimento e si sente piccolo, china il capo, la sua persona si rattrappisce: egli «si abbassa». Tanto più profondamente, quanto più grande è colui che gli sta dinanzi; quanto meno egli sente di valere agli stessi propri occhi.

Ma quando mai percepiamo noi più chiaramente la nostra pochezza di quando stiamo dinanzi a Dio? Al grande Iddio che era ieri come è oggi, tra secoli e millenni! Al grande Iddio che riempie questa stanza e l'intera città ed il vasto mondo e l'incommensurabile cielo stellato, dinanzi a cui tutto è come un granello di sabbia! Al Dio santo, puro, giusto, infinitamente sublime...

Come è grande Lui... e come son piccolo io! Così piccolo che non posso neppure mettermi a confronto con Lui, che dinanzi a Lui sono un nulla! Non è vero - e vien con tutta evidenza da sé - che non si può stare da superbi dinanzi a Lui? Ci si «fa piccoli»; si vorrebbe impicciolire la propria persona, perché essa non si presenti così, con tanta presunzione: l'uomo s'inginocchia.

E se al suo cuore questo non basta ancora, egli può inoltre prostrarsi. E la persona profondamente chinata dice: «Tu sei il Dio grande, mentre io sono un nulla!». Quando pieghi il ginocchio, non farlo né frettolosamente né sbadatamente. Dà all'atto tuo un'anima!

Ma l'anima del tuo inginocchiarti sia che anche interiormente il cuore si pieghi dinanzi a Dio in profonda reverenza. Quando entri in chiesa o ne esci, oppure passi davanti all'altare, piega il tuo ginocchio profondamente, lentamente; ché questo ha da significare: «Mio grande Iddio!...».
Ciò infatti è umiltà ed è verità ed ogni volta farà bene all'anima tua.


[Modificato da Caterina63 07/09/2012 14:54]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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07/09/2012 14:51
 
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L’imposizione delle mani  su pane e vino: l'adorazione, l'Eucaristia e la Santa Messa

Soffermiamoci  sul gesto, spesso marcato dal suono del campanello, dell'imposizione delle mani sul pane e sul vino, gesto che precede la proclamazione delle parole di consacrazione: "Questo è il mio corpo… Questo è il calice del mio sangue". E i fedeli si comunicheranno con il Corpo e Sangue di Cristo, non certo con il corpo e sangue del celebrante, né con una pagnotta e della bibita....

Nel momento centrale dell'azione Eucaristica le mani del sacerdote eseguono le parole che escono dalla sua bocca: l'invocazione dello Spirito Santo sulle offerte è significata e agisce (compie l'atto da àgere-fare) dalle sue mani distese sopra di esse, attualizzando quel meraviglioso prodigio che è la transustanziazione ossia, mentre le apparenze del pane e del vino restano veramente pane e vino, la loro sostanza diventa il prodigio, il Dio vivo e vero, nascosto, ma realmente presente.
Noi infatti non adoriamo le apparenze del pane e del vino, non adoriamo ciò che vediamo, ma ciò che le apparenze, da quel momento, contengono. Il sacerdote prenderà poi solennemente in mano il pane e il calice, in sincronia perfetta con il racconto dell'ultima cena, ripetendo così lo stesso gesto del Signore: l'esercizio del sacerdozio ministeriale per il quale Cristo, unico e sommo Sacerdote, si dona ai discepoli radunati nel suo nome, raggiunge l'apice nell'offrire a Dio Padre e all'assemblea dei santificati il Corpo spezzato e il Sangue versato.

Ci troviamo così di fronte ad un momento d’intensa realtà vissuta dal Cristo sul Calvario. Non è simbolismo, che coniuga in drammatica tensione la parola, che consacra, e il gesto, che sigilla, affinché il dono della salvezza sia gesto divino d'amore irreversibile, ma riviviamo realmente i fatti accaduti sul Golgota. Per questo la santa Messa non è il racconto di un fatto avvenuto duemila orsono, ma è il rivivere, in modo incruento, quei fatti che l'azione stessa della Santissima Trinità rende, sull'Altare, realmente vivi e sostanziali. In quel momento accanto all'Altare (già simbolo della pietra sulla quale Abramo stava per immolare Isacco, figlio unico, prefigurazione del Golgota sul quale verrà immolato il Figlio unico di Dio per portare a compimento tutto il progetto di Dio), c'è la Vergine Maria come stava ai piedi della Croce, e sopra l'Altare non pochi Santi hanno descritto di aver visto, durante la Consacrazione, aprirsi le porte dei Cieli e vedere i Cori degli Angeli unirsi ai nostri canti solenni; hanno visto la schiera dei Santi che in ginocchio si univano alla Santa Messa con noi, ripetendo in Cielo la Divina Liturgia.

Eucaristia

Per questo quando il sacerdote proclama l'inno del tre volte Santo, descrive la presenza degli Angeli. E' importante che almeno nel momento della Consacrazione, nel momento in cui il sacerdote impone le mani, le nostre ginocchia si piegano davanti al Re dei re che si rende vivo e vero, realmente presente nelle apparenze del pane e del vino da quel trono che è la Croce. Da questo momento il nostro Signore e nostro Dio è realmente presente sull'Altare e purtroppo molti fedeli, compresi i sacerdoti, spesse volte  continuano la Messa come se quel momento fosse solo un ricordo del passato, una memoria simbolica e non usano atteggiamenti di profonda adorazione dopo la Consacrazione avvenuta. E' invece fondamentale assumere un atteggiamento diverso, più consono alla Divina Presenza. Molti sacerdoti non si inginocchiano più durante la Messa e la Consacrazione e così molti fedeli li hanno imitati rendendosi complici di questa disaffezione che si manifesta anche negli atteggiamenti esteriori.

Inoltre come per la Consacrazione è necessaria l'azione esteriore dell'imposizione delle mani consacrate del sacerdote, così anche per il resto della Messa è necessaria la nostra disposizione esteriore, affinché assuma quegli atteggiamenti che ci aiutino, l'un con l'altro, a comprendere e accogliere la Presenza Divina sull'Altare.

Cosa intendiamo per: simbolica azione della mano

Già di per se stessa, la mano dell'uomo è carica di significato ed è simbolo di potere e strumento di linguaggio in tutte le culture, al punto che le stesse lettere dell'alfabeto provengono da gesti ancestrali espressi dalla mano: la scrittura è proprietà intrinseca della mano. Ora, per non caricare di troppe sottigliezze la presente riflessione, ci limitiamo a sottolineare la sua simbologia attraverso tre significati fondamentali:

1. la potestà,

2. la differenza e

3. l'abbandono.


1. In tutte le tradizioni religiose la mano esercita una funzione insostituibile e fortemente espressiva: i testi, l'iconografia e i riti fanno della mano una specie d'intermediario tra l'uomo e Dio. Nella Bibbia la mano e il braccio di Dio esprimono la sua potenza creatrice e la sua trascendenza: “Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi; - queste cose ha fatto la mia mano ed esse sono mie" (Is 66, 1-2). Perciò la creazione è la prima manifestazione (da mani-festare = eseguire con le mani) della grandezza di Dio, la sua prima scrittura; e dalle sue mani s’irradiano la luce e la vita sugli uomini. Così nelle cerimonie religiose le mani assumono la funzione di uno strumento, per il quale Dio trasmette un potere e una salvezza che soltanto Lui possiede e può donare e, nel nostro caso, è quel potere che ha trasmesso, consegnato ai suoi Ministri consacrati. Qui sta il significato profondo dell'imposizione delle mani nei gesti di benedizione; e su questo percorso si determina pure il significato dell'imposizione delle mani sul pane e sul vino nel rito della santa Eucaristia. Anche per questo la Chiesa ha acquisito l'importanza del gesto che sia il Sacerdote a dare la Comunione al fedele e non il fedele a prenderla da sé. Tale potestà è stata consegnata al sacerdote, non ai fedeli.


2. Nella simbologia culturale dei popoli, la mano può essere destra o sinistra e può esibire la parte palmare o dorsale; di qui la simbolica della differenza: tra bene e male, tra prendere (tenere) e ricevere (contenere). La destra benedice, la sinistra maledice; la destra è misericordia, la sinistra giustizia; "il cuore del saggio va a destra, il cuore dello stolto va a sinistra" (Qo 10, 2). Le mani, in forma di reliquiario, e i talismani, in forma di mano, mettono in evidenza l'aspetto positivo della destra e il suo potere di difenderci dal male: soltanto la destra protegge e libera dalla cattiva sorte. Infine si deve notare che la parte dorsale rende la mano organo della presa e perciò esprime la nostra capacità di com-prendere (di sciogliere gli enigmi), mentre la parte palmare ci rende capaci di toccare lasciandoci toccare, di accarezzare e di costruire relazioni affettive o di amicizia.


3. La mano nella mano significa la condivisione e l'unione di vita tra i due che si tengono per mano nel calore palmare della presa; nelle cerimonie, come nel rito di vassallaggio, le mani nelle mani significano sottomissione, abbandono, consegna della propria libertà a colui che prende le mani delle sue mani; e questo provoca sottomissione e protezione: "Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio; il tormento non le toccherà" (Sap 3, 1).

Nelle mani del Padre

Il significato spirituale, che suggerisce come partecipare attivamente al sacrificio di Cristo, proprio nel momento in cui egli si fa nostro "pane vivo", emerge dalle parole con cui egli prese congedo da noi sulla croce: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46). Infatti l'Eucaristia attua anche per noi il momento in cui consegnare il nostro spirito, la nostra libertà e volontà, al Signore, per restare veramente liberi: "Cristo ci ha liberati, perché restassimo liberi" (Gal 5,1), capaci di amare e di crescere nell'amore. Anche su Gesù, nel battesimo al Giordano, scese lo Spirito Santo, tanto che poté applicare a sé, nella sinagoga di Nazaret, le parole del profeta: "Lo Spirito del Signore Dio è su di me" (Is 61,1; Lc 4,18); e questo vale anche per noi, in quanto il dono di salvezza è sempre disponibile, proprio perché lo Spirito del Figlio di Dio, per la croce, è ora comunicabile ed è sempre su di noi.

Ora, perché la celebrazione eucaristica diventi efficace e ci faccia inoltrare nella via della salvezza, sono necessarie alcune operazioni interiori, con le quali possiamo accompagnare (partecipazione attiva) il rito della Consacrazione, dall'invocazione dello Spirito Santo sulle offerte (prima epiclesi) fino all'identica invocazione sull'assemblea (seconda epiclesi); ne indichiamo tre:

1. metterci nelle mani del Signore come fece Gesù dalla Croce, significa anche inginocchiarsi davanti a Lui;

2. intenerire il cuore per fare spazio alla Sua Divina Presenza e

3. invocare forza dall'Alto, lo Spirito di Verità affinché la grazia si renda attiva in noi.


1. Consegnarci a Cristo nella verità di noi stessi, col nostro positivo e negativo, per essere pure noi "un solo corpo e un solo spirito" (preghiera eucaristica terza), significa accettare senza condizioni o riserve il suo dono: impossibile donarsi a Dio senza accogliere il suo dono. Il dono della salvezza è per tutti, poiché Dio vuole che tutti siano salvi; però la salvezza raggiunge soltanto coloro che l'accettano, che l'accolgano (o almeno non la rifiutano, per questo Benedetto XVI ha scritto una Lettera per chiarire il termine del Pro multis nelle parole della Consacrazione, quale interpretazione più fedele alle parole di Cristo); e più lasciamo entrare la salvezza nella nostra vita, più partecipiamo alla gioia del nostro Signore.
Perciò, mentre il sacerdote stende le sue mani sulle offerte, ci uniamo a lui per rinnovare la nostra adesione a Cristo e invocando su di noi lo Spirito Santo (Terza Persona della Santissima Trinità e non una specie di energia o spirito fluttuante...) che consacrerà il pane e il vino, siamo fatti partecipi (non dei concelebranti) della Divina Eucaristia; e saremo veri discepoli del Signore.

A ragione scrive così Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus Caritas est:

La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti — un realismo inaudito.(…) È a partire da questo principio che devono essere comprese anche le grandi parabole di Gesù".

Le Norme insegnano: I fedeli s’inginocchino alla consacrazione, se non sono impediti da un motivo ragionevole, come il cattivo stato di salute o la ristrettezza del luogo. Dove esiste il costume che i fedeli rimangano in ginocchio dal Sanctus fino alla dossologia della Preghiera eucaristica e prima della Sacra Comunione, all’Ecce Agnus Dei, si conservi lodevolmente tale uso... (Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 43).

 La Chiesa, dunque, loda l'uso dell'inginocchiarsi, per chi può, perché questo atteggiamento favorisce una miglior disposizione per interiorizzare il momento sacro che stiamo vivendo e dona agli altri una concreta testimonianza in ciò in cui crediamo.

Mons. Guido Marini, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del santo Padre, alla domanda:  quali sono le particolarità delle liturgie pontificie?
Risponde: "Se pure in un contesto peculiare, quale quello dovuto alla presenza del Santo Padre, le liturgie pontificie non possono che presentare le caratteristiche tipiche di questo tempo dell’anno. Con una nota in più: quello della esemplarità. Perché non è mai da dimenticare che le celebrazioni presiedute dal Papa sono chiamate a essere punto di riferimento per l’intera Chiesa. E’ il Papa il Sommo Pontefice, il grande liturgo nella Chiesa, colui che, anche attraverso la celebrazione, esercita un vero e proprio magistero liturgico a cui tutti devono rivolgersi" (intervista dicembre 2010).

Il Cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti l’ha esposto in sintesi e con grande chiarezza nel febbraio del 2009 in un’intervista alla rivista  pubblicata anche sull'Osservatore Romano:
Come è noto, l’attuale disciplina universale della Chiesa prevede che di norma la Comunione venga distribuita nella bocca dei fedeli. C’è poi un indulto che permette, su richiesta degli episcopati, di distribuire la Comunione anche sul palmo della mano. Questo è bene ricordarlo. Il Papa, poi, per dare maggiore risalto alla dovuta reverenza con cui dobbiamo accostarci al Corpo di Gesù, ha voluto che i fedeli che prendono la Comunione dalle sue mani lo facciano in ginocchio. Mi è sembrata un’iniziativa bella ed edificante del Vescovo di Roma.”

Di conseguenza, lo stesso Cardinale, che allora era ancora Primate di Spagna e Arcivescovo di Toledo, dispose che nella chiesa Cattedrale di Toledo si ponesse un inginocchiatoio per coloro che desideravano “comunicarsi con rispetto e come lo fa il Papa”, ricevendo la Comunione in ginocchio.
E ancora: “Le liturgie pontificie infatti sono sempre state, e sono tuttora, di esempio per tutto l’orbe e l'urbe cattolico”.
Non è un segreto che Benedetto XVI ha sempre sostenuto la Comunione in ginocchio. Quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sottolineava che la pratica di inginocchiarsi per ricevere la Sacra Comunione ha a suo favore una tradizione plurisecolare, ed è un segno particolarmente espressivo di adorazione, del tutto appropriato in ragione della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate. Dietro il gesto di inginocchiarsi il Papa vede, dunque, niente meno che una conseguenza della fede cattolica nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, la conseguenza anche della grave crisi di fede che la Chiesa e il mondo stanno vivendo.

 

2. Intenerire il cuore significa purificare le nostre mani (intese quali azioni e opere) e renderle meno indegne di ricevere il Corpo del Signore; e questo avviene accogliendo una nuova capacità di amare, di relazionarci con gli altri rispettando, a cominciare proprio dalla nostra relazione con Dio, non solo i Comandamenti ma anche amando la Chiesa che per mezzo di Pietro e dei suoi Successori, ci comunica la comprensione e l'interpretazione corretta di questi Comandamenti e di tutta la Scrittura. Se la Messa è il Culto per eccellenza attraverso il quale Dio si relaziona con noi, a nostra volta siamo chiamati a relazionarci con gli altri, a portare questa relazione agli altri. Un amore davvero nuovo: "siate misericordiosi com'è misericordioso il Padre vostro celeste" (Lc 6,36).

Benedetto XVI nell'aprile 2009 quando parla alla Pontificia Commissione Biblica, spiega: "..occorre leggere la Scrittura nel contesto della tradizione vivente di tutta la Chiesa. Secondo un detto di Origene, "Sacra Scriptura principalius est in corde Ecclesiae quam in materialibus instrumentis scripta" ossia "la Sacra Scrittura è scritta nel cuore della Chiesa prima che su strumenti materiali". Infatti la Chiesa porta nella sua Tradizione la memoria viva della Parola di Dio ed è lo Spirito Santo che le dona l'interpretazione di essa secondo il senso spirituale... Essere fedeli alla Chiesa significa, infatti, collocarsi nella corrente della grande Tradizione che, sotto la guida del Magistero (...) tutto quello che concerne il modo di interpretare la Scrittura è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la Parola di Dio".

Per questo è fondamentale che ci accostiamo all'Eucaristia dopo aver accolto il Perdono di Dio mediante il Sacramento della Confessione o Riconciliazione. Senza questo Sacramento si rischia di "mangiare la propria condanna", si rischia di rendere in noi inattiva la grazia, si rischia di accostarsi al Calvario in grave stato di peccato mortale senza la volontà di cancellarlo, di condannarlo. Inoltre il perdono ricevuto non solo ci rende aperti e pronti a ricevere la grazia e a renderla efficace, ma produce frutti di santificazione e rende salde in Cristo le nostre relazioni con gli altri, benedicendole e rendendole fruttuose. Così spiegava Benedetto XVI ai teologi nel dicembre 2010: "C'è una tendenza in esegesi che dice: Gesù in Galilea avrebbe annunciato una grazia senza condizione, assolutamente incondizionata, quindi anche senza penitenza, grazia come tale, senza precondizioni umane. Ma questa è una falsa interpretazione della grazia. La penitenza è grazia".


3. Prima di salire al cielo, Gesù rivolse agli apostoli questa promessa che è anche per noi: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). In ogni celebrazione eucaristica ci è data la possibilità di avere questa forza dall'Alto, che rende possibile l'impossibile, poiché la Chiesa del Signore non è un'azienda e non nasce né cresce con le sole forze umane: "Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rm 14,17). È la Presenza di questa Divina realtà Eucaristica che, come il sale negli alimenti, dà sapore alla nostra fede liberandoci da quella tiepidezza che rende nauseante la testimonianza: "Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca" (Ap 3,15-16). È l'azione dello Spirito Santo che rende attraente la salvezza che Cristo ci offre, portando alla pienezza la vita umana, in tutti i suoi aspetti, corroborandoci nelle gioie e consolandoci veramente nel dolore, nella fatica degli impegni assunti, nelle tribolazioni.

Nell'Omelia del 3 settembre 2012 alla chiusura del seminario con i suoi ex allievi, così si è espresso Benedetto XVI:

" Che dobbiamo fare? Che dobbiamo dire? Penso che ci troviamo proprio in questa fase, in cui vediamo nella Chiesa solo ciò che è fatto da se stessi, e ci viene guastata la gioia della fede; che non crediamo più e non osiamo più dire: Egli ci ha indicato chi è la verità, che cos’è la verità, ci ha mostrato che cos’è l`uomo, ci ha donato la giustizia della vita retta. Noi siamo preoccupati di lodare solo noi stessi, e temiamo di farci legare da regolamenti che ci ostacolano nella libertà e nella novità della vita.
Se leggiamo oggi, ad esempio, nella Lettera di Giacomo: «Siete generati per mezzo di una parola di verità», chi di noi oserebbe gioire della verità che ci è stata donata?  Ci viene subito la domanda: ma come si può avere la verità? Questo è intolleranza! L’idea di verità e di intolleranza oggi sono quasi completamente fuse tra di loro, e così non osiamo più credere affatto alla verità o parlare della verità. Sembra essere lontana, sembra qualcosa a cui è meglio non fare ricorso.
Nessuno può dire: ho la verità – questa è l’obiezione che si muove – e, giustamente, nessuno può avere la verità. E’ la verità che ci possiede, è qualcosa di vivente! Noi non siamo suoi possessori, bensì siamo afferrati da lei...."

L'Eucaristia è la verità; è parola fedele ma anche nutrimento, è oggetto di culto, Soggetto della nostra adorazione, ma anche il Soggetto che dobbiamo portare agli altri, che dobbiamo a nostra volta comunicare agli altri. L'Eucaristia che adoriamo e viviamo nella Messa non è un simbolo, non è il ricordo dell'Ultima Cena, non è una sorgente energetica, ma è la Presenza reale del Dio Vivo e vero in mezzo a noi che ha detto: Et ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi  /  Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt.18-20).

Non siamo noi a "possedere" l'Eucaristia, ma è l'Eucaristia che "ci afferra" e vuole essere portata, comunicata al mondo, per questo Gesù cerca "discepoli". Cerca Discepoli non per avanzare le proprie teorie e costruirne di nuove, ma per essere accolto e portato così come lo abbiamo ricevuto.
Abbiamo così una possibilità unica nel cuore dell'Eucaristia: lasciarci consacrare come pane, che ci corrobora nella debolezza, e come vino, che tonifica le tappe della vita con quella "sobria ebbrezza dello Spirito" che dona e custodisce la pace profonda del cuore, segno inconfondibile della presenza del Signore in mezzo a noi, di questo dobbiamo essere testimoni e discepoli. Nella partecipazione all'Eucaristia, cerchiamo di non lasciarci sfuggire quei  pochi minuti della Consacrazione: l'imposizione delle mani sulle offerte e il tocco del campanello ci ricordano che il momento è solenne, ci ricorda che siamo invitati a piegare le nostre ginocchia davanti al Mistero, ci ricorda che se siamo lì davanti non è un merito nostro ma che in qualche modo siamo stati "chiamati" per rendere questa testimonianza alla Verità. E' importante che in quei momenti facciamo silenzio per interiorizzare questa Presenza, dobbiamo fare attenzione a non banalizzarlo con parole vane e canti inadatti ricordandoci che la fede che stiamo vivendo non crea il Mistero ma lo riceve, lo accoglie, lo accetta. Ora che abbiamo imparato qualcosa di più, cerchiamo di adeguare la nostra vita a questa Verità per esporci al Sole di giustizia che sta per divampare dall'Altare e che cerca testimoni, discepoli che trasmettano i fatti così come ricevuti, insegnati e tramandati infallibilmente dalla Chiesa.

 

I Santi insegnano: alcuni esempi

San Tommaso d'Aquino: "La celebrazione della Messa ha lo stesso valore della morte di Gesù sulla croce".

San Francesco d'Assisi: "L'uomo dovrebbe tremare, la terra dovrebbe vibrare, il cielo intero dovrebbe commuoversi profondamente, quando il Figlio di Dio si rende presente sugli altari nelle mani del sacerdote".

San Giovanni Maria Vianney, il curato d'Ars: "Se conoscessimo il valore della Messa, moriremmo di gioia"

San Pio da Pietralcina: "Quando assisti alla Messa, rinnova la tua fede e medita circa la Vittima che si immola per te alla Giustizia Divina, per placarla e renderla propizia. Non te ne andare dall'altare senza versare lacrime di dolore e di amore per Gesù, crocifisso per la tua salvezza. La Vergine Addolorata ti accompagnerà e sarà la tua dolce ispirazione"

Santa Teresa di Gesù: "Senza la Messa, che sarebbe di noi? Tutti qui giù periremmo, perché solamente la Messa può trattenere il braccio di Dio. Senza di Essa, certamente la Chiesa non durerebbe e il mondo sarebbe perduto senza rimedio."

San Bernardo: "Si ha maggior merito assistendo ad una santa Messa con devozione, che distribuendo tutte le proprie sostanze ai poveri o viaggiando come pellegrini in tutto il mondo".

Beata Madre Teresa di Calcutta: " Dovunque vado nel mondo intero, la cosa che mi rende più triste è guardare la gente ricevere la Comunione sulla mano".

Eucaristia in ginocchio

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/11/2012 17:37
 
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Agenzia FIDES – 14 giugno 2008

 

DOSSIER FIDES

 

 

L’EUCARISTIA

sacrificio, banchetto e

presenza del Signore

 

                   Introduzione: le tre dimensioni della fede eucaristica

 

                   Il codice di Gesù

 

                   La goccia d’acqua nel vino

 

                   Il farmaco d’immortalità

 

                   Signore, non sono degno

 

                   Il sacramento dell’amore cristiano

 

Questo Dossier è disponibile anche sul sito dell’Agenzia Fides: www.fides.org







[SM=g1740771]  Introduzione: le tre dimensioni della fede eucaristica

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Consideriamo quale realtà unica Gesù ci ha affidato con il suo mandato “Fate questo in memoria di me”.
    
Attorno al senso delle parole dell’Ultima Cena « quasi due millenni ormai hanno pregato, riflettuto e lottato … Indagando pertanto il loro significato, ci si deve proporre anzitutto chiaramente in che modo le vogliamo prendere. La risposta è una sola: con tutta semplicità, così come suonano. Il testo intende significare esattamente ciò che dice. … Gesù, mentre parlava e agiva, come si riferisce qui, sapeva trattarsi di cosa di valore divino. Volendo quindi essere capito, parlava nel modo in cui voleva essere capito » (R. Guardini, “Il Signore”, settima edizione italiana fatta da Vita e pensiero, Milano 1977, pag. 456-457). È questo suggerimento, dato da Romano Guardini nel suo libro “Il Signore”, che vogliamo prendere a cuore quando vediamo rivelate, nelle parole dell’istituzione di Gesù, soprattutto tre dimensioni della fede eucaristica.
    
“Questo è il mio corpo ... offerto in sacrificio per voi”.  “Questo è il calice del mio sangue ... versato per voi”. Le parole “offerto in sacrificio” e “versato” ricordano che l’Eucaristia è il sacrificio del Signore. Dopo che Gesù, sulla Croce, ha compiuto la sua unica offerta, la redenzione è compiuta una volta per tutte. Le Sue ultime parole “Tutto è compiuto!” (Gv 19,30) sono da intendere anche sotto questo aspetto: per la nostra salvezza, da parte Sua tutto è stato fatto. Ma da parte nostra abbiamo sempre nuovamente bisogno di appropriarci di questo sacrificio salvifico. Il sacrificio della Messa serve a questa appropriazione! Ci tira fuori, per così dire, dalla nostra esistenza limitata nel tempo e nel luogo e ci colloca nella presenza della Croce. Quando celebriamo la Messa, ci troviamo – non localmente, ma sacramentalmente – ai piedi della Croce. Dal Signore possiamo ricevere i frutti prodotti dall’albero della Croce. Siamo però anche di fronte all’altare celeste, dove il Signore risorto e innalzato fa dono di sé al Padre, e dove tutti gli angeli e tutti i Santi si uniscono a questa liturgia celeste: “L’Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione” (Ap 5,12).    

Se volessimo rappresentare questa realtà in un film – come ha tentato di fare Mel Gibson – dovremmo riuscire a produrre non solo un semplice intrecciarsi di sequenze, per dissolvenza incrociata, di immagini dell’Ultima Cena, della Croce e della Messa. Così come non dovrebbe neanche mancare in ogni scena il cielo aperto per liberare lo sguardo sull’Agnello. La Celebrazione Eucaristica è il luogo teologico dove questa dissolvenza incrociata della sala al piano superiore (dell’Ultima Cena), Gòlgota e Gerusalemme celeste non avviene soltanto come in un film, ma nella realtà del “mysterium fidei”, del “mistero della fede”.

Chi, nella Messa, ascolta le parole della consacrazione, chi partecipa nella fede al sacrificio, sperimenta su di sé l’azione dell’amore di Dio. Chiunque viene alla Celebrazione Eucaristica può esclamare con San Paolo: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20).
    
“Prendete e mangiate”, “Prendete e bevete”. Queste parole “mangiare e bere” rievocano un banchetto. Questo è il secondo messaggio che le parole della consacrazione ci vogliono dare: L’Eucaristia è il banchetto del Signore. San Tommaso, a tale proposito, coniò la classica sequenza: «O sacrum convitum in quo Christus sumitur … mens impletur gratia et futurae gloriae nobis pignus datur» (O santo banchetto nel quale viene gustato Cristo, … dove l’anima viene riempita di grazia e dove ci viene concesso il pegno della vita eterna). La partecipazione a questo santo banchetto è il nostro ingresso nel sacrificio di Cristo e il passaggio del sacrificio di Cristo nella nostra vita.

[SM=g1740733] La Santa Messa non è banchetto nel senso di voler far rivivere la storica Cena di Gesù.
La Cena era ovviamente un banchetto pasquale ebraico che aveva luogo una sola volta all’anno in un giorno preciso. Già per questo, la Celebrazione Eucaristica della domenica, o quella di tutti i giorni, non può mai ripetere l’Ultima Cena. Quando Gesù dice “Fate questo in memoria di me”, intende la nuova Pasqua che, nonostante fosse stata istituita da Lui stesso nel quadro del vecchio banchetto pasquale, si riferisce alla Nuova Alleanza nel Suo sangue. Quando nel contesto dell’Eucaristia si parla di banchetto, s’intende soprattutto la celebrazione della Santa Comunione. In essa, il Corpo di Cristo, che una volta è stato sacrificato sulla Croce, viene offerto sotto le specie del pane e del vino come cibo e bevanda. Fin dall’inizio la Chiesa era consapevole del fatto che ciò costituisce una sfida inaudita per l’intelligenza umana.  


Il Signore del banchetto dell’Eucaristia, e cioè l’ospite, è Cristo, mediato attraverso il servizio della Chiesa. Il dono del banchetto è Egli stesso: “Io sono il pane della vita” (Gv 6,35). “Io sono la vera vite” (Gv 15,1). Non lo ripeteremo mai abbastanza: la santa ostia non è un qualcosa, non è una cosa, non è pane santo, consacrato. L’ostia è Cristo stesso. “Nell’umile segno del pane e del vino, transustanziati nel suo corpo e nel suo sangue, Cristo cammina con noi, quale nostra forza e nostro viatico, e ci rende per tutti testimoni di speranza. Se di fronte a questo Mistero la ragione sperimenta i suoi limiti, il cuore illuminato dalla grazia dello Spirito Santo intuisce bene come atteggiarsi, inabissandosi nell'adorazione e in un amore senza limiti” (Ecclesia de Eucharistia 62). Con queste parole, Papa Giovanni Paolo II, nella sua ultima Enciclica, riassunse ciò che la Chiesa crede e di cui vive.

È per un’espressione di fede e di amore per Dio che non custodiamo la Santa Eucaristia in ciotole e scodelle comuni, ma in calici preziosi e coppe dignitose. Se facciamo questo, è anche per rafforzare la nostra fede nella presenza reale del Signore sotto le specie del pane e del vino. L’occhio umano non riesce a vedere il mistero. Ma quest’ultimo può essere indicato tanto più fortemente quanto più rispettosamente viene trattato. Tutto ciò che viene a contatto con il “Santissimo” deve emanare vera dignità, non sfarzo esagerato. La cosa più importante, però, è che la Santa Comunione, dal calice sacro, venga depositata in un cuore umano degnamente preparato. Quando Madre Teresa, nel 1988, visitò il monastero austriaco di Heiligenkreuz, fece questa raccomandazione: “Preghiamo la Madonna affinché ci dia un cuore così bello, così puro, così immacolato, un cuore così pieno d’amore e umiltà che diventeremo capaci di ricevere Gesù nel pane della vita e di amarLo come Egli ha amato noi ...”

“Questo è il mio corpo”, “questo è il mio sangue”. Per due volte qui c’è l’indicativo, “questo è”. Persino Martin Lutero trovò queste parole talmente immense da non poter far diventare il “questo è” un “questo significa”. Quando Gesù – che come uomo era un ebreo – parlò, nella sua lingua madre, del corpo e del sangue, intendeva questo in modo totalmente reale: “Questo sono io in tutta la mia realtà di uomo”. Dobbiamo, però, immaginarceLo come il Signore  risorto e innalzato, il cui corpo è trasfigurato. La presenza di Gesù nella santa ostia è allo stesso tempo reale e spirituale.

La fede cattolica – contrariamente a Lutero – analizza ancora più a fondo le parole di Gesù. Il pane eucaristico è Corpo di Cristo non soltanto nel momento dell’Eucaristia. Rimane Corpo di Cristo anche dopo la funzione: l’Eucaristia è presenza permanente del Signore. Quando Gesù dice “Questo è il mio corpo”, non torna indietro. Una volta consacrato, il pane rimane Corpo di Cristo, fintantoché la specie del pane rimane intatta.
Ciò che rimane dopo la Messa, non sono gli avanzi del banchetto, ma piuttosto il “Santissimo” degnamente custodito e adorato nel tabernacolo. Il Signore eucaristico ci aspetta sempre, aspetta una nostra visita, un’adorazione da parte nostra. Com’è consolante il pensiero che Cristo, nel Santissimo Sacramento, non ci abbandona mai! Non esiste più solitudine per colui che crede in questa presenza. È vero ciò che, qualche anno fa, un chierichetto disse dopo la Messa, quando gli fu concesso di portare le chiavi del tabernacolo in sacristia: “Queste chiavi conducono al mistero più grande del mondo”.


Bisogna fare ancora una considerazione. Con questi contenuti di fede la Chiesa manifesta una considerazione indicibilmente elevata dell’Eucaristia. E di conseguenza si aspetta anche molto dai fedeli che intendono accostarsi a questo Sacramento. Quando la Chiesa, per motivi di fede e di cura pastorale delle anime, ritiene impossibile che, in determinate situazioni, qualcuno possa ricevere la santa Comunione, si deve considerare che, nella santa Eucaristia, nessuno viene lasciato a mani vuote. Chi non può partecipare alla santa Comunione, al banchetto del Signore, riceverà cibo per la sua vita alla “mensa della Parola”. Può inoltre trarre forza dall’unione con il sacrificio della Messa, e ha anche la possibilità di incontrare Gesù nell’Adorazione eucaristica.

continua.............

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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21/11/2012 17:45
 
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[SM=g1740720]  Il codice di Gesù

Torniamo ancora una volta sulle parole dell’istituzione pronunciate dal sacerdote nella Celebrazione eucaristica in forza del mandato conferitogli “in persona Christi”. La contemplazione di queste parole ci permette di intuire l’atteggiamento interiore con il quale Gesù ha compiuto il suo sacrificio sulla Croce e fa sì che divenga presente nella Messa in modo sacramentale. È un binomio, che viene pronunciato sia durante la conversione del pane nel Corpo di Cristo sia durante la conversione del vino nel sangue di Cristo. “Questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi”, “Questo è il calice del mio Sangue… versato per voi”. Si tratta dell’affermazione “per voi”.
    
Se dovessimo trovare un codice per la vita di Gesù, una sigla, potrebbe essere questo: “per voi”. Gesù ha superato l’antichissimo problema dell’egoismo dell’umanità nella Sua persona. La Sua vita è stata l’offerta di sé per la glorificazione del Padre Suo celeste e per la salvezza degli uomini. Non è vissuto per sé, ma per noi. In ogni Santa Messa ci fa partecipi di questo atteggiamento, grazie al quale il cuore dell’uomo rivolto verso se stesso viene redento. Nella conversione del pane e del vino ci viene offerta ancora un’altra conversione: la conversione dell’io autosufficiente nel Tu che ama.
    
Questa è la ragione per cui la Messa per noi è il cuore dell’esistenza cristiana. Essa, secondo l’insegnamento della Chiesa, è “fonte e culmine di tutta la vita cristiana” (Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Chiesa, 11). La Messa è il luogo dove questa sigla della fede cristiana non è mai taciuta. Sull’altare il cuore divino-umano batte ininterrottamente. La sua pulsazione è: per voi, per voi, per voi...

Di che tipo è la redenzione? Quale strada sceglie il Signore, quando celebriamo l’Eucaristia? Una risposta la troviamo nel nome che la liturgia dà a Cristo sotto la specie del pane: Agnello di Dio. A un certo punto, il rito della Messa riprende l’indicazione fatta da Giovanni Battista riguardo Colui che è più grande e viene dopo di lui: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). L’“Agnus Dei” ripetuto tre volte durante lo “spezzare del pane” ricorda percettibilmente il corpo spezzato dell’Agnello immolato. Anche uno dei formulari eucaristici fa pensare all’Agnello di Dio: “Beati coloro che sono invitati al banchetto nuziale dell’Agnello”. La terza Preghiera eucaristica, in riferimento alla Chiesa, dice: “Riconosci nell’offerta della Tua Chiesa la vittima immolata per la nostra redenzione”.

Perché si parla così spesso dell’agnello? Già nell’Antico Testamento troviamo l’immagine biblica dell’agnello come esempio per la disponibilità al sacrificio. Il profeta Isaia descrive il Servo di Dio che dovrà venire, che accetterà di portare su di sé la colpa di molti, “come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori” (Is 53,7). La scelta, da parte del Nuovo Testamento, di questa immagine per Cristo rende chiaro che bisogna distinguere tra l’azione risanatrice del Redentore e le altre offerte di salvezza di questo mondo. L’agnello illumina il codice di Gesù da un altro lato ancora.

Uno sguardo al mercato librario e ai calendari delle manifestazioni con la loro offerta di salvezza, mostra che quel che manca è proprio questa donazione. In quei casi si tratta di una salvezza che, in ultima analisi, rimane totalmente in ambito mondano. Sfogliando una brochure a caso leggiamo titoli come: digiuno a scopo terapeutico, ginnastica terapeutica, tisane, la forza occulta delle pietre preziose, le scienze occulte di culture tramontate, esperienze al di là dello spazio e del tempo, in cammino verso la serenità, trovare il centro, etc.   
Anche nella Messa si tratta della salvezza. Essa, però, va ben oltre la vita terrena: si tratta della vita eterna. Per questo non è una salvezza per direttissima. Il Signore percorre un’altra strada: Egli viene in qualità di agnello, in un tenero contatto e in umiltà. Una Messa non può mai essere un evento spettacolare o una festa pirotecnica. Cristo, l’Agnello di Dio, nella Messa ci rende partecipi dell’offerta di sé nell’amore. Attraverso il codice della Sua vita – “per voi” – ci dona l’accesso alla salvezza.  

Chiunque, attraverso la partecipazione nella fede alla liturgia, si lascia coinvolgere in questo movimento, viene inevitabilmente trasformato – senza accorgersene immediatamente. Tanto più fedelmente e con disponibilità percorriamo il cammino verso l’Agnello divino, tanta più parte di ciò che è dentro di noi può essere redenta. Sperimenteremo quanto a tanti uomini al tempo di Gesù venne confermato: “Da Lui usciva una forza che sanava tutti” (Lc 6,19).

Una famosa parabola racconta di un giovane. Egli pensava che tutti gli sforzi fatti per trovare la vicinanza di Dio fossero vani. Credeva che, alla fine, non rimanesse nulla dello sforzo da lui fatto. Il saggio lo mandò con un cestino di paglia sporco al pozzo per prendere l’acqua. Siccome la strada era lunga, alla fine nel cestino non c’era più acqua. Ma ogni giorno il saggio ce lo rimandò di nuovo. “E allora?” chiese dopo un po’ di tempo. “Era tutto vano?”. “Sì, tutto era vano, non sono riuscito neanche a portare una sola tazza d’acqua a casa. Ho perso tutto per strada”.  “No, non è stato vano andare ogni giorno al pozzo con il cestino”, rispose il maestro di saggezza. “È vero che con il tuo cestino di paglia non sei riuscito a conservare l’acqua. Ma non vedi come il cestino, grazie all’acqua, si è pulito? Lo stesso vale anche per te. Anche se credi che tutto lo sforzo fatto per trovare la vicinanza di Dio sia vano, sei comunque stato infine purificato da Lui, fonte di ogni bene”.
        
Questo racconto si può applicare anche alla partecipazione nella fede alla celebrazione della Santa Messa. Se ogni settimana portiamo il cestino sporco della nostra vita, pesantemente concentrata su se stessa, al pozzo della Celebrazione eucaristica, con l’andare del tempo anche in noi avverrà una purificazione. Il sangue di Cristo, versato per noi sulla Croce, sicuramente mostrerà la sua efficacia su di noi, fragili vasi. Soprattutto in unione con il sacramento della Penitenza, la Messa possiede un’altissima forza risanatrice. Il “per voi” del codice di Gesù diventa concretamente personale per ognuno di noi, forgiandoci insieme e facendoci diventare uomini di Chiesa capaci di comunione, nei quali l’“io” non ha più l’assoluta priorità.

Un consiglio dato da tanti Santi è che bisogna fare buon uso del momento della consacrazione, in cui il sacerdote alza la santa Ostia. In questi momenti l’azione risanatrice di Gesù è particolarmente tangibile. Il Santo Parroco di Ars definì questo momento della Santa Messa adattissimo per pregare per la conversione del cuore. L’amore di Cristo riesce a trasformare anche situazioni e cuori induriti. La conversione non vale soltanto per i doni offerti all’altare, vale anche per noi.


[SM=g1740753] La goccia d’acqua nel vino

Il fatto che in ben due Concili sia stata messa a tema l’infusione dell’acqua nel vino durante l’offertorio, risulta sorprendente persino per i cattolici praticanti. A parte i ministranti all’altare, probabilmente solo pochi partecipanti alla Messa si accorgono che, in ogni Messa, nel calice, l’acqua viene infusa nel vino.  
    
Nel senso della mistagogia, un accostamento ai misteri della fede, la goccia d’acqua ci può indurre a penetrare più profondamente nella teologia del sacrificio della Messa. Al Concilio di Firenze (1439), convocato per raggiungere un accordo con i cristiani armeni, la goccia d’acqua fu oggetto di approfondita valutazione dogmatica. Come materia necessaria per il sacramento dell’Eucaristia, il Concilio menziona “il pane di frumento e il vino d’uva al quale prima della consacrazione deve aggiungersi qualche goccia d‘acqua”.

Significativa è l’enunciazione che fu il Signore stesso ad aver istituito questo sacramento così, servendosi di vino infuso con acqua. Evidentemente era un’antica prassi ebraica bere il vino infuso con acqua. Lo scrittore Giustino, che morì martire verso l’anno 165, ci ha dato preziose indicazioni sul modo in cui avvenivano le Celebrazioni eucaristiche protocristiane. In tutta naturalezza testimonia anche: “Poi al primo dei fratelli vengono portati il pane e un calice con acqua e vino”.

A parte questa indicazione che Gesù stesso ha agito così e che questa prassi è confermata dalle “testimonianze dei santi padri e dottori della Chiesa”, il Concilio di Firenze fornisce anche una spiegazione allegorico-mistica: “perché questo si addice al memoriale della passione del Signore”. “Non si deve, infatti, offrire nel calice del Signore o solo il vino o solo l’acqua, ma l’uno e l’altra insieme, perché si legge che l’uno e l’altra, cioè il sangue e l’acqua, sono sgorgati dal fianco di Cristo” (cfr. Gv 19,34). Così entra in gioco il carattere sacrificale della Santa Messa, il sacrificio di sé del Redentore per amore della nostra salvezza.

Ma – così dice il Concilio di Firenze – si tratta anche del nostro ingresso nel Suo sacrificio. L’effetto che il sacramento ha su di noi deve manifestarsi nella goccia d’acqua: “nell’acqua si prefigura il popolo, e nel vino si manifesta il sangue di Cristo”. “Quando dunque si mischia nel calice l’acqua col vino, si unisce il popolo a Cristo, e il popolo fedele si congiunge e si unisce con colui nel quale crede”.

Perché fu proprio questo Concilio, il cui contenuto fu una conciliazione con gli armeni di tendenza monofisita, ad analizzare così dettagliatamente il tema della goccia d’acqua? L’eresia monofisita tendeva ad accentuare eccessivamente e unilateralmente la natura divina di Gesù Cristo. L’espressione “monophysis” significa “una sola natura”. La natura umana presa dal Figlio di Dio per la nostra salvezza sarebbe stata, secondo loro, assorbita dalla Sua divinità. Con questo, per i monofisiti, la realtà dell’incarnazione passava in secondo piano, l’azione redentrice sulla Croce perdeva il suo significato.

Tra lo svanire di questa eresia nel V secolo e i negoziati unionisti con gli armeni del XV secolo era trascorso un millennio. Ciò che, a causa della distanza di secoli, era diventato forse meno problematico a livello della dottrina, era ancora percepibile in un dettaglio liturgico. Coerentemente, i monofisiti avevano bandito la goccia d’acqua dalla loro liturgia: il divino non necessita di alcun completamento umano, di nessuna aggiunta da parte dell’uomo. La dottrina cattolica, però, abbraccia ambedue queste realtà, la natura divina e la natura umana, nell’unica persona di Gesù Cristo. Cosicché ancora oggi la preghiera che accompagna l’infusione dell’acqua nel vino recita: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”.

Si legge come un viaggio teologico di esplorazione, quando, più di 100 anni dopo, nel 1562, al Concilio di Trento, in una dichiarazione dogmatica si vide riapparire la goccia d’acqua nel vino. Che cos’era successo? Martin Lutero aveva parlato della strapotenza della grazia. La giustificazione dell’uomo al cospetto di Dio avrebbe potuto avverarsi soltanto attraverso la grazia: “Sola gratia”. Nessuna aggiunta avrebbe permesso al peccatore di partecipare alla sua redenzione, fatta l’eccezione della sua fede fiduciale: “Sola fides”. Di conseguenza, per i protestanti la goccia d’acqua nel calice divenne del tutto fuori luogo. La pura opera divina non necessita di alcuna azione aggiunta da parte dell’uomo.
    
Ma non è forse vero quando l’apostolo Paolo dice: “Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24)? Con questa affermazione san Paolo non intende sminuire l’opera redentrice dell’unico Redentore. Anzi, proprio san Paolo sapeva per esperienza: “Per grazia di Dio però sono quello che sono” (1 Cor 15,10). Una volta il Signore gli aveva persino fatto capire: “Ti basta la mia grazia” (2 Cor 12,9). Ciò nonostante l’apostolo era consapevole del suo compito di “strumento”.
[SM=g1740733] Non è l’azione redentrice che necessita di complemento, ma la sua mediazione agli uomini, “per il Corpo di Cristo” che necessita del contributo umano.

Siccome Cristo non voleva redimere soltanto individualmente e l’azione redentrice include l’edificazione del Suo Corpo, la Chiesa, le singole membra fungono da “goccia d’acqua”. C’è un modo molto semplice di illustrare questi ragionamenti di alta teologia: quando Gesù morì sulla Croce, lo fece in qualità di unico mediatore tra Dio e gli uomini. Il fatto, però, che Maria, Giovanni e alcune donne fedeli, sotto la Croce, si unirono al Suo sacrificio, agli occhi di Dio non fu né una diminuzione del sacrificio di Gesù né un’aggiunta casuale. È proprio come la goccia d’acqua nel calice della salvezza.


Ma torniamo, dopo questa escursione nella storia della Chiesa e della teologia, all’offertorio della Messa. Noi tutti, la comunità radunata attorno all’altare, dobbiamo diventare dono gradito a Dio, assieme al sacrificio di Cristo, così come i fedeli lo esprimono nel “suscipiat” davanti al sacerdote: “Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa“.

Le osservazioni relative a un dettaglio apparentemente marginale dell’offertorio rivelano forse la grande ricchezza spirituale nascosta in questi momenti della celebrazione della Messa. È ben comprensibile che le parole che accompagnano le azioni dell’offertorio vengano normalmente recitate sottovoce, come previsto dal Messale. I fedeli possono intanto intonare un canto di offertorio che favorisca l’atteggiamento di offerta, o possono ascoltare il coro o la schola, oppure, cosa del tutto adatta a ciò che sta avvenendo, possono elevare silenziosamente il cuore e i sensi al Signore, mentre magari un organo o un alto strumento suona piano come accompagnamento di quest’azione.

Il Messale dice chiaramente che le processioni offertoriali dei fedeli sono in corrispondenza al contenuto interiore di questa parte della Messa. Non a caso, a questo punto viene fatta girare anche la bussola per le elemosine per raccogliere offerte per le esigenze della Chiesa e soprattutto dei più bisognosi. Anche questi piccoli doni fanno sì che la “goccia d’acqua” prenda una forma concreta.

Julia Verhaeghe, la Madre fondatrice della famiglia spirituale “L’opera”, la cui vita fu contrassegnata da un amore profondo per la Chiesa e la sua liturgia, nella goccia d’acqua vedeva se stessa e la propria missione: “Signore, lascia che, nel calice del sacerdote che offre a Te il santo sacrificio, io sia la piccola goccia d’acqua che si infonde nel vino perdendosi in esso”. Per un fedele che voglia partecipare alla celebrazione della Santa Messa in modo ancora più spirituale, questa intenzione di preghiera può essere uno stimolo prezioso.





[SM=g1740771]  continua.......

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740720]  Il farmaco d’immortalità

Dal punto di vista della fede il peccato è la causa ultima e più profonda della morte. La morte, come la conosciamo noi, e cioè come forza distruttrice, non era prevista da Dio per l’uomo. Se l’uomo non avesse peccato questo non sarebbe accaduto. “Con il peccato... la morte ha raggiunto tutto gli uomini” (Rm 5,12). La morte è divenuta condizione generale e assolutamente certa dell’esistenza umana: chiunque nasce in questo mondo, lo lascerà da morto.

L’avere la speranza della vita eterna, nonostante la morte e oltre la morte, non è in nostro potere. Nessuno può acquisire la risurrezione da se stesso, soltanto la grazia di Dio lo può fare. “Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Cor 15,57). Colui che è venuto per liberarci dal peccato è anche Colui che vuole salvarci dal potere della morte.  

Nel Battesimo Dio dà l’avvio, donandoci la grazia della “rinascita” per la vita eterna. È come una vaccinazione prima di un lungo e pericoloso viaggio. Il Battesimo ci dà i primi “vaccini” contro la morte eterna. A questi “vaccini”, nel corso della vita, devono essere fatti dei richiami, soprattutto attraverso gli altri Sacramenti. I santi Sacramenti, soprattutto la Penitenza e l’Eucaristia, sono farmaci contro la morte.  

I cristiani sono sempre stati consapevoli del fatto che senza la Santa Messa, senza l’Eucaristia almeno la domenica, non avrebbero potuto continuare a vivere. “Senza la celebrazione domenicale del Signore non possiamo vivere”, confessavano i martiri di Abitene (+304) dinanzi al tribunale pagano. “Non è positivismo o brama di potere, se la Chiesa ci dice che l’Eucaristia è parte della domenica” (Papa Benedetto XVI). Non si tratta qui di un comandamento imposto dall’esterno, ma di sopravvivenza: Se non riceviamo regolarmente Cristo e la Sua grazia dentro di noi, se non ci facciamo continuamente “vaccinare” contro la morte e le sue conseguenze, non abbiamo nessuna garanzia che giungeremo alla vita eterna. La domenica è il giorno della settimana in cui “si fa il vaccino”, perché è lì che la forza del Risorto diventa efficace in modo più autentico.

Il nesso intimo tra il ricevere l’Eucaristia e la promessa della risurrezione non è una costruzione operata dai teologi a posteriori. Questo nesso è fondato sulla roccia originaria della Scrittura. L’evangelista Giovanni dedica il sesto capitolo del suo Vangelo all’Eucaristia. Esso contiene il grande discorso eucaristico fatto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao. Una lettura attenta fa notare la duplice indicazione: l’Eucaristia è il pegno della Risurrezione (cfr. Gv 6,44.54). Gesù dice molto chiaramente: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,53-54).    

Negli antichi autori della Chiesa troviamo queste affermazioni ancora più approfondite e sviluppate. In una delle sue catechesi, Gregorio di Nissa (+ dopo 394) paragona la condizione dell’uomo mortale ad un avvelenamento fatale. Soltanto un antidoto può spezzare questa forza portatrice di morte. “Che cos’è allora questo cibo?” chiede san Gregorio, e la risposta suona: “Nient’altro che questo corpo che ha superato la morte e ci ha portato la vita. Perché proprio così come, secondo le parole dell’apostolo, poco lievito rende tutta la massa dell’impasto somigliante ad esso, così anche quel corpo dotato di immortalità plasmato da Dio trasforma il nostro a somiglianza Sua“. Il santo Padre della Chiesa spiega poi come il pane e il vino, attraverso la parola di Dio, vengano trasformati nel Corpo di Cristo risorto, “affinché anche l’uomo, attraverso la sua unione con Colui che è immortale, diventi partecipe dell’immortalità”.

Un piccolo aiuto a comprendere l’Eucaristia come “farmaco d’immortalità” può venire da un breve excursus nella storia dei dogmi. Si tratta, più precisamente, delle ragioni teologiche per il dogma dell’Assunzione di Maria in cielo. Perché la madre di Dio, nell’ora della sua morte, ha avuto il privilegio di essere assunta da Dio in cielo in anima e corpo, senza che il suo corpo conoscesse la corruzione ?

Una ragione ricorrente delle prediche dei Padri della Chiesa è l’insegnamento biblico, secondo il quale Maria fu scelta da Dio come Madre del Signore. Nessuna creatura era legata a Cristo così come Maria, Sua Madre. Il corpo di Lui proviene dal corpo di Lei, il sangue di Lui dal sangue di Lei. Nello stesso modo in cui il corpo della Madre di Dio Lo ha portato in grembo fino alla Sua nascita e Lo ha nutrito, diventando così un santuario di Dio, anche dopo la morte il suo corpo sarebbe dovuto rimanere sacro e non avrebbe dovuto conoscere la corruzione.

Ciò che Maria era in forza della sua vocazione, e cioè Colei che porta in sé Dio, noi lo possiamo diventare soltanto progressivamente. Nella Santa Eucaristia riceviamo Cristo dentro di noi. In fondo basterebbe un’unica santa Comunione per farci diventare una sola cosa con Cristo. Da parte Sua, questo sarebbe possibile. Ma a causa della nostra umana debolezza abbiamo bisogno di ripetizione. Dobbiamo sempre di nuovo “accogliere il Corpo immortale di Cristo per essere trasformati a somiglianza della Sua natura divina” (cfr. Gregorio di Nissa).

Nessuno può realizzare l’assunzione di se stesso in cielo. Portando, però, Cristo sempre di più dentro di noi, come fece Maria, Egli, in futuro, farà in noi ciò che in Maria ha già anticipato. Nell’ora della nostra morte, o almeno non lontano da essa, il Signore un giorno dovrà diventare il nostro “viatico”: sarà un’ultima “vaccinazione”, affinché il pungiglione mortale non possa nuocerci. Siccome, però, nessuno sa quando verrà quell’ora, l’Eucaristia deve essere, almeno ogni domenica, ma possibilmente anche nei giorni feriali, il nostro farmaco. Così saremo sempre pronti per il passaggio.


[SM=g1740720] Signore, non sono degno

La definizione dell’Eucaristia come “farmaco d’immortalità” indica che la ricezione della Santa Comunione deve essere esaminata attentamente. Il miglior farmaco può essere nocivo se non viene amministrato in modo giusto. Inoltre, bisogna anche considerare che, nel Sacramento dell’altare, è un “Qualcuno” che viene ricevuto dall’uomo. Chi si comunica, riceve dentro di sé Cristo, il quale gli fa dono di sé attraverso il ministero della Chiesa. Perciò, il comunicarsi bene non ha soltanto una dimensione personale, ma anche ecclesiale. La Chiesa gestisce l’amministrazione della Santa Eucaristia e determina quali siano i presupposti per una degna e fruttuosa ricezione della Comunione.

Si narra che già nella vita della Chiesa primitiva sorsero le prime difficoltà relative alla ricezione della Comunione. Nella giovane comunità di Corinto alcuni cristiani mancavano di discernimento nei confronti del Corpo del Signore. Certuni non consideravano che il pane ingerito nell’Eucaristia è il Corpo del Signore. Il santo apostolo Paolo vedeva in questo una mancanza nei confronti di Colui che dà questo santo Dono, ma anche una mancanza di ecclesialità. La Comunione è, secondo l’apostolo, il modo più profondo e più efficace per arrivare all’unione ecclesiale: “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti, infatti, partecipiamo dell’unico pane” (1 Cor 10,17). Chi si comunica in modo indegno commette un peccato nei confronti del Signore e del Suo Corpo, che è la Chiesa.

“Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11,27-29).

Quando ciò che, già a partire da Cristo, è pensato come pane della vita, viene ricevuto in modo superficiale, invece di regalare la vita eterna, può essere causa del Giudizio. Nonostante non si servisse della parola “farmaco”, è proprio questo che l’apostolo Paolo intende: comunicarsi in modo indegno nuoce a colui che si accosta alla Comunione, proprio come un farmaco amministrato in modo sbagliato può nuocere all’uomo. “È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti” (1 Cor 11,30). Che diagnosi triste! A pochi anni dall’istituzione, da parte di Gesù, di questo dono d’amore del Suo cuore, già ci sono lamentele per deviazioni e smarrimenti. Ciò che doveva essere cibo della vita eterna, per alcuni era divenuto “agente patogeno”, e cioè “acceleratore di morte”.

Lo “scandalo” della comunità di Corinto era evidentemente la separazione tra l’Eucaristia e la vita, tra culto divino e un rapportarsi giusto degli uni con gli altri. I membri benestanti della comunità non avevano considerato i poveri, anzi, li avevano ignorati completamente. Questa grave mancanza d’amore e di solidarietà rimane per sempre un esempio ammonitore. Chiunque si avvicina all’altare del Signore deve esaminare se stesso anche proprio sotto questo aspetto.

Da un’analisi storico-ecclesiale emerge che la Chiesa ha sempre dovuto affrontare due diversi atteggiamenti sbagliati: da una parte una ricezione superficiale della Comunione, dall’altra, un esagerato timore di accostarsi alla mensa del Signore. San Giovanni Crisostomo, uno dei più grandi Padri della Chiesa d’Oriente, dedicò varie omelie a questo tema. Chi non sapesse che le sue parole erano rivolte a una platea del IV secolo, potrebbe pensare che si tratti di un discorso pronunciato da un sacerdote o da un vescovo davanti ad una moderna comunità cattolica del XXI secolo: appena si affaccia un’occasione festiva, la folla si precipita alla mensa del Signore, ma non perché sia preparata bene, ma perché tutti ci vanno. “Vedo che tanti ricevono il corpo del Signore senza pensarci e quando capita, più per abitudine e consuetudine che per attenzione e riflessione”. Capita poi anche che i fedeli si assentino dalla mensa del Signore per tanto tempo, e anche questo per pura abitudine, come lamenta il Crisostomo.

Per non farci assumere né l’uno né l’altro comportamento sbagliato, la Chiesa, nel corso del tempo, ha formulato condizioni per l’ammissione alla mensa del Signore. Fondamentalmente, le condizioni odierne sono identiche a ciò che già la prassi protocristiana prevedeva a tale riguardo. Nell’anno 150, il martire Giustino, rispecchiando la tradizione apostolica, scrive: “Noi chiamiamo questo cibo Eucaristia. Ad essa può partecipare soltanto chi ritiene veri i nostri insegnamenti, chi ha ricevuto il bagno per la remissione dei peccati e per la rinascita, e chi vive secondo i comandamenti di Cristo. Perché non la prendiamo come pane e bevanda comuni”.

Il Battesimo come sacramento primordiale viene menzionato come condizione. Esso è il bagno purificatore che prepara all’Unione Eucaristica con il Signore. Il Battesimo è come una porta d’ingresso. Chi l’ha passata, sperimenta, nell’Eucaristia, il compimento della Iniziazione cristiana, l’integrazione nella comunità di Cristo e della Chiesa. Coloro che non sono battezzati non possono essere ammessi all’Eucaristia. Devono prima accogliere Cristo nella fede e consacrarsi a Lui nell’acqua del Battesimo.

[SM=g1740733] Anche l’adesione, nella fede, alla Chiesa e alla sua dottrina, è una condizione per la ricezione dei sacramenti. Non è possibile voler ricevere il Corpo di Cristo rifiutando, allo stesso tempo, il Suo insegnamento. Da qui si spiega anche la norma secondo la quale i cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica non possono ricevere la santa Comunione, ad eccezione di rare situazioni particolari, come per esempio nel caso di pericolo di vita. Chiunque riceve la Comunione, non riceve nel sacramento soltanto Cristo, ma si unisce, nel modo più sublime, anche alla Chiesa, corpo mistico di Cristo. Comunicarsi in modo da escludere la Chiesa non è né possibile né salutare.

[SM=g1740733] Se la Chiesa rifiuta la cosiddetta intercomunione, lo fa per rispetto dei cristiani appartenenti ad altre confessioni. Se un cristiano protestante fosse invitato, durante una Messa cattolica, alla mensa del Signore, manifesterebbe che egli è in piena comunione con la Chiesa e che è cattolico. Un convinto cristiano protestante, però, non potrà certo volere questo. Prima ci deve essere, da parte sua, l’adesione alla fede della Chiesa cattolica, assieme all’accettazione in essa, seguita, poi, come compimento, dalla Comunione eucaristica.

Significativa nel contesto inter-ecclesiale è la condizione per l’ammissione rilevata da Giustino, e cioè il “vivere secondo i comandamenti di Cristo“. Qui, la maggiore difficoltà nasce probabilmente proprio dalle condizioni nelle quali ci troviamo oggi. Dei tanti esempi che si potrebbero fare a questo riguardo, due sono particolarmente attuali.

Il numero dei cattolici che non sentono il bisogno di partecipare, ogni domenica, alla Santa Messa, è abbastanza alto. Quando a questi cattolici, però, di tanto in tanto, capita di andare a Messa, essi sentono il bisogno di avvicinarsi alla mensa del Signore. Non sembrano rendersi conto che la mancata santificazione della domenica costituisce una mancanza grave. In fondo, è un atteggiamento paradossale e incomprensibile: si vuole essere uniti al Signore nel sacramento, ma non si cerca l’unione con i Suoi comandamenti. La ricezione del Corpo di Cristo senza l’adempimento della legge di Cristo, però, sicuramente non corrisponde alle intenzioni del fondatore, e di conseguenza non è neanche salutare.

Il secondo ambito tocca le varie situazioni irregolari riguardo al sacramento del Matrimonio. I singoli sacramenti non possono mai essere separati l’uno dall’altro. Sono ordinati l’uno all’altro e collegati indissolubilmente: così anche il Matrimonio e l’Eucaristia. Nel caso di tutti e due i sacramenti si tratta dell’unione carnale tra due persone. Chi dona se stesso ad un’altra persona affinché “i due siano una carne sola” (Mt 19,5), secondo la dottrina della Chiesa, può farlo soltanto all’interno del matrimonio sacramentale. Per un membro battezzato della Chiesa, per quanto riguarda il sacramento del matrimonio, non esiste zona neutra. Ogni unione carnale al di fuori del vincolo cristiano del matrimonio contraddice l’alleanza con Cristo alla quale abbiamo aderito con il nostro battesimo. È vero che oggi questo riguarda tantissime persone. La Chiesa, però, rimane fedele alla sua convinzione quando insiste sul fatto che chi si unisce carnalmente con un partner o una partner senza il sacramento del matrimonio, non può, in questa condizione, unirsi nella santa Comunione con il corpo di Cristo. Questo vale perciò non solo per unioni libere e rapporti extra-coniugali, ma anche per coloro che sono sposati solo civilmente, che sia il primo oppure il secondo matrimonio.

Sorge la domanda se la Chiesa, con questa sua così alta considerazione dei Sacramenti, a tanti suoi membri non faccia mancare i necessari mezzi della grazia: se l’Eucaristia è il farmaco d’immortalità, come rifiutarla ai fedeli ? A questo riguardo bisogna puntualizzare che non esiste alcuna situazione umana nella quale la Chiesa esclude dalla santa Comunione categoricamente e per sempre. Attraverso il sacramento della Penitenza, la maggior parte degli ostacoli può essere eliminata. Unioni libere possono essere regolarizzate attraverso il sacramento del Matrimonio, e persino i divorziati risposati possono essere ammessi alla Comunione eucaristica se sono disposti a rinunciare, in futuro, a questo essere-una-carne-sola con un partner che, davanti a Dio, non appartiene loro.

Siccome la Chiesa è sempre stata consapevole della debolezza dei suoi membri, si aspetta, come minimo, che un cattolico debba essere “preparato dal sacramento della Riconciliazione e di ricevere almeno una volta all’anno l’Eucaristia, possibilmente nel tempo pasquale” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.1389). Il fatto che la diminuzione della prassi della Confessione vada di pari passo con l’aumento dell’accostamento alla Comunione è sicuramente una sollecitudine pastorale che sta attualmente a cuore alla Chiesa. La riscoperta del sacramento della Penitenza darà un notevole contributo alla ricezione fruttuosa della Comunione.

Chi non riesce a staccarsi dalla sua attuale condizione di vita che non corrisponde alla dottrina della Chiesa e che, di conseguenza, gli impedisce di adempiere il suo “dovere pasquale”, deve almeno, in attesa della santa Comunione, unirsi a Cristo chiedendoGli che, nel momento cruciale della sua vita, gli sia data la grazia di ricevere il sacramento dell’immortalità.

Quando ascolta la preghiera “O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato!”, il Signore sicuramente noterà se qualcuno ha davvero partecipato ardentemente “alla Sua mensa”, o se può riceverLo anche sacramentalmente nella Santa Ostia. La Comunione spirituale deve in ogni caso precedere quella sacramentale, per far sì che il più Santo dei Sacramenti, l’Eucaristia, possa sviluppare i suoi pieni effetti.



[SM=g1740771] continua............




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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740720] Il sacramento dell’amore cristiano

Spesso si rimproverano i cattolici praticanti perché nonostante siano sempre pronti a precipitarsi in Chiesa, l’amore per il prossimo non sembra essere la loro forza.  

È vero che gli assidui frequentatori della Messa che, secondo il comandamento di Gesù, celebrano la Sua memoria, sono pii, ma scarsi in carità attiva? Non bastano poche pagine per demolire questa accusa. Alla fine, alle accuse non si risponde con l’inchiostro, ma soltanto con la vita concreta.

Prima, però, dobbiamo analizzare il nesso intimo tra l’Eucaristia e l’amore cristiano. L’Eucaristia è il “sacramentum caritatis”, il sacramento dell’amore di Dio che, fatta salva la giusta partecipazione attiva, non può essere altro che una continua “schola caritatis”, scuola d’amore. Gesù stesso ha dimostrato questo intimo nesso ai Suoi discepoli quando iniziò la Cena con la lavanda dei piedi. È significativo poter constatare che l’evangelista Giovanni non dice quasi niente dell’istituzione dell’Eucaristia, ma descrive dettagliatamente come Gesù lava i piedi dei Suoi discepoli.

Il metodo pedagogico di Gesù, per tutta la durata della Sua vita, fu basato più sull’esempio che sull’insegnamento: “Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,15). La lavanda dei piedi e l’Eucaristia sono molto vicini l’una all’altra non solo dal punto di vista del tempo, ma anche per quanto riguarda il contenuto. È tipico di noi uomini voler rappresentare noi stessi, farci servire, stare al centro dell’attenzione, aspettarci qualcosa dagli altri, pretendere onori per noi. Nella lavanda dei piedi, Gesù va nella direzione esattamente opposta: Egli, “il Signore e il Maestro” (Gv 13,14), si inginocchia per servire i Suoi discepoli come uno schiavo. Volutamente pone se stesso all’ultimo posto. Il gesto della lavanda dei piedi è un punto chiave in una lunga serie di umiliazioni nel corso della vita di Gesù, a partire dalla povertà del presepio fino all’ultima offerta sulla Croce. L’umiliazione di sé, nell’Ultima Cena, continua in modo sempre più accentuato: Gesù esce fuori nella notte, Egli viene abbandonato da tutti, si lascia incatenare e arrestare, accetta la sentenza ingiusta... L’autoalienazione di Dio arriva al punto di lasciare che Gli venga tolto tutto, non solo le Sue vesti, i Suoi ultimi averi terreni. Sulla Croce, Gesù rinuncia persino all’ultima consolazione, Egli sperimenta la sofferenza dell’abbandono totale, poiché “la carità non avrà mai fine” (1Cor 13,8).

Per i discepoli la lavanda dei piedi, fra tutti gli avvenimenti della passione, deve essere diventata – seppure soltanto retrospettivamente, e cioè quando essi cominciarono a capirli – la chiave che ha permesso loro di comprendere ciò che la persona di Gesù aveva di straordinario: il Figlio di Dio ha alienato se stesso fino alla morte. Per questo – proprio perché non aveva alcuna aspettativa per se stesso – a Gesù non sembra essere pesato che i discepoli non abbiano capito ciò che faceva. “Lo capirai dopo” (Gv 13,7) disse Gesù a Simon Pietro. Non disse: essere capito, essere onorato, essere servito, ma piuttosto: capire, onorare, servire... fino al dettaglio – questa è la strada di Gesù.

La quarta Preghiera Eucaristica, in prossimità del momento della Consacrazione eucaristica, aggiunge la seguente formula, in modo da rivelarci il vero senso della celebrazione: “Avendo amato i Suoi... li amò fino alla fine”. Nel Vangelo di Giovanni questa frase è posta prima dell’episodio della lavanda dei piedi e all’interno di esso (Gv 13,1). Con questo, la celebrazione della Messa si presenta come perfetta prova d’amore di Dio per noi uomini, come superamento persino della lavanda dei piedi: Gesù viene da noi ancora più umilmente, più piccolo, più semplice, più modesto, sotto la specie del pane, cibo dei poveri.

Fin dalla nostra infanzia ci è stato detto che il momento della consacrazione eucaristica è il culmine della celebrazione della Messa. Consacrazione, però, non significa soltanto che pane e vino diventano Corpo e Sangue di Cristo. Consacrazione significa anche che dobbiamo essere trasformati; e non soltanto in questo o quell’altro ambito della nostra vita – ciò che è in gioco è l’intera esistenza cristiana. L’amore soprannaturale deve diventare la nostra più intima forza di vita, il motore intimo di tutto il nostro pensare, parlare e agire. “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, no si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto” (1Cor 13,4-5).

Ogni Celebrazione Eucaristica è una continuazione della catena di “intrecci”: il Figlio che ha la forma di Dio diventa il Dio che ha preso la forma dello schiavo, il Dio che ha preso la forma del pane. Colui che per noi si è fatto piccolo, modesto, nascosto, umile, vuole continuare la Sua opera in noi! Chi dei partecipanti alla Messa potrebbe perciò ancora voler essere grande e importante? Ma Cristo ci lascerà ancora un po’ di tempo: ciò che nella celebrazione della Messa Egli fa di noi, adesso forse tanti ancora non lo capiscono – ma lo capiranno dopo, proprio come Simon Pietro (Gv 13,7).

Colui che si reca al pozzo continuamente non può fare altro che essere purificato – a condizione, naturalmente, che egli non si avvicini al pozzo con l’intento di evitare l’acqua purificante. Questo vale per chiunque si avvicini all’altare di Dio: in fondo non può fare altro che essere assorbito nel vortice dell’amore che scaturisce dall’amore di Cristo.

Coloro che fedelmente celebrano la Santa Messa danno a vedere tutto questo? Vivono dell’amore di Cristo? Coloro che ricevono Cristo così spesso sotto la specie del pane, Lo vedono anche sotto la forma dei loro fratelli? Si rendono conto che: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto per me” (Mt 25, 40)? Come già detto, è difficile fornire prove del genere con l’inchiostro. Naturalmente anche tra i cristiani praticanti ci sono deplorabili esempi d’inefficienza e mancanze. La mancanza d’amore è particolarmente dolorosa quando viene da uomini “pii”.

Complessivamente, però, l’esperienza dimostra che i fedeli frequentatori della Messa spesso sono altrettanto fedeli testimoni di autentica umanità. Quando tornano dalla Messa, si prendono cura dei loro parenti bisognosi di cure continue. Ci sono fedeli che sopportano le situazioni più difficili della vita di coppia o familiare, fedeli che traggono dal sacrificio della Messa la pazienza per poter sopportare le proprie sofferenze psichiche e fisiche. Quante madri o nonne premurose, in grande fedeltà a Gesù eucaristico, si fanno carico dei problemi dei loro cari donando, grazie al loro vivere della preghiera, sostegno spirituale alla loro famiglia! Tanti religiosi vivono in comunità con persone portatrici di handicap gravi o hanno fondato una “Fazenda da Esperanca” per tossicodipendenti, perché si sentono ispirati dalla santa Eucaristia.

[SM=g1740733] Un particolare servizio d’amore da parte di chi partecipa assiduamente alla Messa è la sollecitudine per i defunti. Questi fedeli regalano alle “povere anime”, come le chiamano, la loro preghiera d’intercessione, soprattutto a chi necessita di più della misericordia di Dio.
Anche questa è una forma di servizio silenzioso, ma sicuramente tutt’altro che insignificante per i “poveri”. Una volta ho incontrato un pensionato che probabilmente non ha mai perso una Messa feriale e che poi, tutto il giorno, si faceva avvocato di coloro che non sono stati fortunati nella vita. Impressionante è anche la testimonianza del sacrestano della chiesa di San Filippo a Franklin, il quale, dopo la Messa, su richiesta della sua comunità parrocchiale, andava a trovare i prigionieri, seguendo la parola di Gesù: “Ero carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,36). Questo servizio, ovviamente, fa parte di un ampio raggio d’azione sociale, stabilito da una parrocchia nella diaspora, nel senso di un Cristianesimo autentico.


Che l’adorazione della santa Eucaristia possa condurre al culmine dell’amore, lo dimostra, in modo più che commovente, la dottoressa Annalena Tonelli. Sembrava una sorta di “Madre Teresa” africana. Già da bambina sapeva che, un giorno, avrebbe aiutato gli altri. All’età di 26 anni, la giovane donna seguì la chiamata di Cristo e si trasferì nel continente africano, dove dedicò la sua vita ai poveri e a coloro che soffrono. In una Somalia afflitta dalla guerra civile, Annalena Tonelli fungeva da pacificatrice tra gruppi etnici, culture e religioni. Ella si occupò dei rifugiati, si prese cura degli ammalati di tubercolosi, di AIDS, di coloro che soffrivano di oftalmologie, e s’impegnò anche nell’educazione scolastica. È stupefacente quante opere organizzate e altamente qualificate di carità ella è riuscita a far nascere in più di 30 anni di attività.

Quando Annalena Tonelli, il 5 ottobre 2003, fu brutalmente assassinata a Borama, sul campo della clinica da lei fondata, il lutto fu grande per questa donna straordinaria che godeva di stima internazionale. Solo pochi mesi prima, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati le aveva conferito il premio Nansen per l’opera umanitaria messa in atto per i rifugiati somali.

È bello quando una donna che ha seguito Gesù nel servizio dei più poveri viene rispettata dalle autorità laiche. Che era proprio la santa Eucaristia la fonte segreta di questa adorabile vita vissuta per gli altri, si seppe soltanto dopo la sua morte. Siccome Annalena, come cristiana, era completamente sola in un contesto islamico, già nel lontano 1971 le fu concesso, da parte della Chiesa, il privilegio di portare sempre con sé la santa Eucaristia. Il Vescovo Giorgio Bertin rinnovò questo privilegio e, nell’agosto 2003, celebrò con lei a Borama l’ultima Messa della sua vita. Ecco il suo racconto:

“Alla fine – solo lei ed io eravamo presenti – cambiai l’ostia consacrata e, avvolta in un corporale, le diedi una parte della grande ostia con la quale avevo celebrato il sacrificio della Messa. Una settimana dopo l’assassinio di Annalena, questa ostia fu ritrovata dal mio Vicario generale. Dopo averla cercata a lungo la trovò, nel suo ambulatorio, in un morbido sacchetto di cuoio, assieme a un crocifisso francescano. Avvolta nel corporale c’era la metà dell’ostia consacrata – la metà che le avevo dato. L’Eucaristia le diede pace interiore e le fece dire: ‘EccoLo qui. La Sua voce non mi abbandona mai. La conosco già così bene, perché è iscritta nel mio cuore. Niente è più importante che la mia sosta dinnanzi a Lui. Conosco la Sua voce meglio della mia stessa voce e dei miei stessi pensieri. Mi riempie con la certezza del paradiso e con l’incolmabile desiderio di rimanere con Lui, assieme all’inquietudine provata di fronte alla sofferenza del mondo e al mandato del Signore di immergermi in questa sofferenza.’“

Evidentemente Annalena Tonelli, nel suo cammino di fede, era giunta là dove i cristiani, secondo la volontà del Signore, dovrebbero essere. Nella Celebrazione Eucaristica, ella, all’invito del sacerdote “In alto i nostri cuori”, poteva rispondere con tutto il cuore: “Sono rivolti al Signore”. La sua immersione eucaristica in Cristo non la rendeva né sorda né insensibile nei confronti della sofferenza nel mondo. Anzi, l’immergersi nel calice della salvezza le dava la forza di dare il proprio sangue, la propria vita, per i suoi fratelli. Insieme alle tante persone che hanno lasciato che la loro vita fosse trasformata dalla forza dell’Eucaristia, l’esempio di Annalena Tonelli può aiutarci a prendere, in futuro, molto sul serio le parole pronunciate nella seconda Preghiera Eucaristica: “Rendila [la Tua Chiesa] perfetta nell’amore”.

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Dossier a cura di Don Christoph Haider - Agenzia Fides 14/6/2008; Direttore Luca de Mata



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Vogliamo approfondire il sublime dono dell'Eucaristia attraverso il Compendio del Catechismo e dall'Esortazione Aposotlica di Benedetto XVI Sacramentum Caritatis.
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Vi ricordiamo che abbiamo inserito una serie sul contenuto del Catechismo e che troverete in questi collegamenti:

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