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Ultimo Aggiornamento: 22/08/2014 16:12
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22/06/2011 00:09
 
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Il Laboratorio di restauro arazzi in Vaticano: Quando trama e ordito creano un'opera d'arte (Gori)


Il Laboratorio di restauro arazzi in Vaticano

Quando trama e ordito creano un'opera d'arte

di Nicola Gori

Trama e ordito: due elementi ormai entrati anche nella letteratura con significati simbolici diversi. Riportandoli alla loro origine, richiamano l'abilità e la maestria degli artigiani che danno vita ai tessuti. Se vi aggiungiamo lo stile e la creatività degli artisti e le imponenti dimensioni, otteniamo gli arazzi. Al loro restauro, nel solco di una tradizione che risale al 1710 - quando Clemente XI fondò l'arazzeria romana di San Michele - provvede un particolare Laboratorio istituito presso i Musei Vaticani.
Il nome "arazzo" deriva dalla città francese di Arras, famosa nel Medioevo per la loro produzione. Si tratta di un particolare tessuto destinato a ornare le pareti e utilizzato per l'arredamento. Vista la loro destinazione, questi capolavori d'arte hanno avuto nel corso dei secoli i soggetti più diversi. Dalle scene di vita quotidiana, ai riferimenti della mitologia classica, agli episodi biblici, sia dell'Antico sia del Nuovo Testamento. Ma gli agenti atmosferici e l'usura danneggiano senza tregua queste enormi stoffe di lusso, che richiedono anni per essere portate a termine e necessitano di interventi successivi per mantenere intatta la bellezza.

Ridonare vita e splendore a quei tessuti ormai consunti ma carichi di storia e di significati è appunto lo scopo del Laboratorio di restauro arazzi e tessuti dei Musei Vaticani. La responsabile del settore arazzi e tessuti dei Musei Vaticani Anna Maria De Strobel ci ha accompagnato alla scoperta di questa struttura, che si pone all'avanguardia nel mondo per la sua funzione di recupero e di salvaguardia di questa tipologia di tessuti.
La loro caratteristica principale è data dal fatto che l'ordito, base della tessitura, rimane completamente coperto dai fili di trama, composta da filati di lana, di seta e metallici. La tessitura è effettuata seguendo un "cartone", che è la trasposizione in scala reale del progetto dell'artista realizzato originariamente su un bozzetto di piccole dimensioni. Si era soliti utilizzare più volte gli stessi "cartoni": per esempio i celebri arazzi degli Atti degli Apostoli di Raffaello presenti nei Musei Vaticani sono i primi esemplari di una serie ripetuta più volte nel corso dei secoli XVI e XVII.
Per comprendere come si è arrivati all'apertura del Laboratorio di restauro dobbiamo fare un passo indietro e tornare al XVIII secolo, quando Clemente XI affidò all'arazzeria romana di San Michele - per venire incontro alle esigenze della corte pontificia senza dover ricorrere agli artigiani del nord Europa - non solo il compito di produrre arazzi, ma anche di provvedere alla conservazione della notevole collezione vaticana. Un suo successore, Benedetto XIII, istituì uno specifico incarico tra gli ufficiali minori palatini, attribuendo al direttore della tappezzeria anche la custodia di tutti gli arazzi esposti all'interno dei sacri palazzi. Con il 1870 l'arazzeria fu costretta a passare sotto il controllo del governo italiano. A causa di ciò, nel 1871 Pietro Gentili, figlio di Eraclito, direttore della manifattura, venne licenziato. Motivo principale della estromissione fu essenzialmente la sua simpatia per il Pontefice. Per interessamento di Pio IX, il Gentili venne chiamato in Vaticano per installarvi una nuova tappezzeria.

Così l'arte e la maestria che il direttore aveva appreso per esperienza e per capacità personali vennero trasferite nella nuova manifattura. Furono costruiti telai simili a quelli esistenti nell'opificio di San Michele e iniziò così la produzione di arazzi. Leone XIII nel 1887 si spinse più in là e con un Motu Proprio, promosse l'apertura di una scuola di arazzi con lo scopo di conservare in Roma l'antica tradizione. Si dovette però attendere il 1915 per vedere la fattiva apertura dell'istituto, quando Benedetto XV incaricò l'anziano Gentili di occuparsene. Fu infine nel 1916 che nel fabbricato della Zecca venne finalmente resa operante la scuola, sotto la direzione tecnica del Gentili e la direzione artistica di Luigi Cavenaghi, direttore delle pitture dei Musei Vaticani. In questo modo, iniziò quella dipendenza della scuola-fabbrica dai Musei Vaticani che continua anche ai nostri giorni. A questa sede venne affiancato un laboratorio di restauro affidato nel 1926 alle suore francescane missionarie di Maria. Il laboratorio trovò ospitalità presso la casa generalizia delle religiose, in via Giusti. Due destini diversi ebbero la scuola-fabbrica, chiusa nel 1927, e il laboratorio, che invece continuò la sua attività dal 1930 all'interno delle mura vaticane, con sede in via del Pellegrino. Si trattò di una scelta che impresse un nuovo indirizzo: fine principale della struttura non fu più la realizzazione degli arazzi, ma la conservazione e il restauro di quelli esistenti nei palazzi pontifici.

Nel 1963 la scuola-fabbrica venne riaperta per formare sia persone in grado di restaurare, sia capaci di tessere. Ma eccoci giunti all'attualità: la scuola si è trasformata in un vero e proprio laboratorio di restauro che ha affiancato, agli interventi sugli arazzi, anche la possibilità di operare sulle stoffe. Da qui l'aggiunta di "tessuti" alla dicitura del laboratorio originario. La struttura consta attualmente di due sedi: una all'interno dei Musei Vaticani dove vengono ospitati l'archivio, il deposito, la vasca dei lavaggi, la tintoria e una zona riservata al restauro dei tessuti, e l'altra in via del Pellegrino dove, data l'ampiezza dei locali, vengono restaurati gli arazzi di grandi dimensioni. Vi si trovano anche una tintoria e il deposito dei filati. Riguardo alle tecniche adottate per i restauri, partendo dalla ricca tradizione, esse sono state aggiornate nel corso degli anni. Agli inizi, gli interventi sugli arazzi prevedevano dei "rammendi", cioè ricostruzioni a telaio delle parti mancanti o perfino inserimento di antiche porzioni per tappare le parti danneggiate. Pietro Gentili rivoluzionò il metodo di restauro e ideò un approccio meno invasivo, chiamato "a rete". Si tratta di creare un reticolo con dei fili di lana o di cotone monocromi per sostenere le parti scoperte dove manca la trama. Questo metodo risultò innovativo ma poco solido, vista la mancanza di un supporto su cui agganciarvi i punti di fermatura.

Con lo sviluppo delle tecniche, negli anni Trenta, il metodo "a rete" venne a poco a poco sostituito con l'intervento "integrativo" o "ricostruttivo". Alla base di questa tecnica è la chiusura delle parti scoperte dell'arazzo con nuovi orditi, reinseriti nel tessuto originale per poi ritessere di nuovo la trama nelle zone mancanti. Il vantaggio di questa tecnica è principalmente la ricostruzione della parte danneggiata, che conferisce all'arazzo un aspetto simile all'originale. Esistono però alcuni rischi nel suo utilizzo, primo fra tutti una ricostruzione delle parti mancanti non conforme alle tinte e al disegno primitivo. Altri rischi possibili sono l'indebolimento o il danneggiamento delle parti originali vicine all'intervento, qualora si voglia asportare il restauro. Questo metodo rende anche problematica la lettura delle parti antiche, difficili da distinguere dal restauro. Vista l'evoluzione delle tecniche e dopo attenti studi, il laboratorio ha scelto di adottare criteri di restauro che privilegiano la conservazione del manufatto, attenendosi a tre principi fondamentali: la non invasività, la riconoscibilità e la reversibilità.

Questo metodo è stato impiegato per la prima volta durante la preparazione degli arazzi per la mostra "Raffaello in Vaticano" del 1984. Si è passati procedendo a tappe dal restauro "integrativo" all'impiego esclusivo di quello "conservativo". Come ci spiega la De Strobel, l'intervento consiste nella fermatura a "cucito alternato" degli orditi originali scoperti su un supporto. Sia il supporto, sia il filo vengono tinti in modo da riprodurre e di avvicinarsi il più possibile al colore originario. Questa metodologia è assimilabile a quella utilizzata nel restauro dei dipinti, chiamata "rigatino" o "astrazione cromatica". Considerando che, talvolta, le lacune sull'arazzo non sono ovviabili con l'inserimento del supporto, viene impiegato un particolare metodo. Si tratta di fissare nella parte mancante al sostegno, applicata dal retro, una nuova orditura della stessa natura dell'originale, che viene poi tagliata alle estremità in modo da far coincidere i suoi lembi con quelli dell'originale senza inserirli l'uno sull'altro. Questo restauro ha il vantaggio di essere completamente reversibile perché agganciato solo sul supporto.

Il restauro in quanto tale è sempre preceduto da una serie di operazioni, tra le quali un accurato esame e un servizio fotografico sul tessuto in oggetto. Vengono predisposti dei grafici in scala informatizzati ed elaborati al computer, che classificano i materiali, descrivono le condizioni prima del restauro e controllano le varie fasi dell'intervento. Sull'arazzo viene poi eseguita una documentazione fotografica ad infrarosso e con fluorescenza indotta da ultravioletti, per una migliore valutazione dello stato di conservazione. In questo modo è possibile riconoscere le zone che hanno già subito anni prima dei restauri e delle integrazioni. L'esame preliminare è utile anche per individuare le differenze cromatiche dei colori, grazie alla differente risposta delle sostanze coloranti alla fluorescenza. In questo modo, si riconosce l'uso nella tintura dei filati originali di coloranti diversi. Altro elemento fornito dalle indagini previe sul recto e sul verso, è il riconoscimento del processo di fotodegradazione dei coloranti. Questo compito è affidato al Gabinetto ricerche scientifiche dei Musei Vaticani. Vengono poi prelevati dal verso dei filati che il Gabinetto ricerche scientifiche analizza per il riconoscimento merceologico delle fibre, per stabilire il loro stato di conservazione e per valutare il grado d'inquinamento.

Questa operazione è fondamentale per procedere alla successiva fase di lavaggio, in quanto permette di valutare il numero delle particelle solide presenti nelle differenti tipologie di filati e per accertarsi del degrado delle fibre. Dopo la documentazione fotografica sull'arazzo, viene eseguita la disinfestazione, chiudendo i tessuti in una "busta di trattamento" dove viene inserito azoto. Il trattamento dura all'incirca dai venti ai quaranta giorni. Si passa poi al lavaggio in una vasca dotata di una griglia mobile tramite motore elettrico, per permettere all'opera di essere mossa nelle fasi di risciacquo e asciugatura. Dopo le fasi di indagine e di lavaggio, gli arazzi vengono nuovamente esaminati per decidere il tipo di intervento ottimale da effettuare.

(L'Osservatore Romano - 24 luglio 2009)


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Quando Papa Sisto IV donò la Lupa Capitolina al popolo romano


http://xoomer.virgilio.it/learn_italian/lupa_capitolina.jpg



Come Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa ho il raro piacere di poter oggi salutare una mostra che non riguarda soltanto una istituzione vaticana, sia pur essa prestigiosa, come l’Archivio Segreto Vaticano, ma anche un’istituzione cittadina romana di altrettanto prestigio, i Musei Capitolini, presso i quali avrà sede per circa sette mesi l’esp osizione.
Documenti pontifici assai antichi e preziosi, così come significative carte della vita della Chiesa nel
mondo escono per la prima volta dall’ambito Vaticano e si aprono alla visione dei visitatori sul Colle
Capitolino, sede tradizionale del governo di Roma.
Quella sede però, a ben vedere, non è estranea alla Santa Sede e al Pontefice Romano, com’è ben noto; anzi essa si collega, almeno idealmente, anche con lo stesso Archivio Segreto Vaticano nel nome del grande Pontefice Francesco della Rovere, Sisto IV, mecenate rinascimentale che impresse nell’Urbe la sua impronta tuttora visibile.

Fu proprio Sisto IV a donare nel 1471 — nel suo vasto programma culturale per la rinascita di Roma classica — la Lupa bronzea e altri tesori archeologici al popolo romano, comandando che si collocassero nel Palazzo dei Conservatori al Campidoglio: quello fu il nucleo fondativo ob immensam benignitatem del Pontefice (come recita l’iscrizione coeva posta in Campidoglio) degli attuali Musei Capitolini.
Ma Sisto IV fu anche il grande mecenate della Biblioteca Apostolica Vaticana, cui nel 1475 volle conferire un carattere di «pubblica utilità», aprendola agli eruditi, sempre Ad decorem militantis Ecclesiae. In alcune sale della vasta biblioteca, dette secretae (cioè private), o Bibliotheca
secreta, Sisto IV fece depositare diplomi, privilegi e molti registri dei Pontefici suoi predecessori (quindi un nucleo d’archivio), ordinando poco dopo che i diplomi più preziosi fossero trasportati nello Scrinium Ferratum di Castel Sant’Angelo, dopo però che il famoso Platina e Urbano Fieschi ne avessero tratta copia autentica
.

Come si vede alla base del progetto della mostra vaticana al Campidoglio vi sono legami storici e di
idealità. L’Archivio si rivela — re c i t a il sottotitolo — e si rivela al centro dell’Urbe, a tutti gli appassionati e anche ai curiosi; si rivela per quello che è, tramite uno spaccato esemplificativo
della sua ricchissima documentazione. Si rivela senza remore o timori, anzi con l’orgoglio di un servizio alla Chiesa e alla cultura prestato per ben quattro secoli con indefesso lavoro di custodia, di censimento, di cura, di progresso della ricerca sempre più avanzata.
Si rivela come ambito culturale, come richiamo affascinante alla memoria del nostro passato, del passato della Chiesa, di imperi, di regni, di ducati, di repubbliche.
Sprone a innalzare il livello della conoscenza oltre il vuoto stereotipo a cui purtroppo conduce, se non erro, molta della cosiddetta cultura di massa corrente.
Sulla mostra interverrà il prefetto dell’Archivio, cui va il merito di aver voluto questa manifestazione, ma ancor più quello di guidare da circa sedici anni l’Archivio Vaticano  verso un servizio alla cultura sempre più aperto, qualificato e professionale.
I risultati di stima e apprezzamento che l’Archivio Pontificio ha raggiunto nel consesso culturale
internazionale si devono anche alla capacità di lavoro, di studio, di coordinamento e — posso ben dirlo — alla passione culturale che anima gli Officiali dell’Archivio Segreto e tutto il personale.



[Modificato da Caterina63 05/07/2011 21:14]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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