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Si vuole costruire un Continente SENZA CRISTIANESIMO: denuncia di mons. Fisichella

Ultimo Aggiornamento: 03/11/2010 19:47
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28/10/2010 18:30
 
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Sembra spezzato il filo che lega cultura, religione e legge

Cortocircuito in Europa


Si vuole costruire un continente indipendente dal cristianesimo e in alcuni casi anche contro

Anticipiamo ampi stralci della relazione che l'arcivescovo presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione tiene nel pomeriggio del 28 ottobre a Roma, nella Sala San Pio x di via della Conciliazione, nell'ambito dell'incontro "Un'Europa cristiana?", organizzato dall'Elea, al quale interviene anche il presidente della Fondazione Italianieuropei, Massimo D'Alema.

di Rino Fisichella

È bene ricordare che ci sono principi posti alla base di ogni civiltà che ne condizionano e determinano lo sviluppo, la sopravvivenza o la distruzione. Tre in modo particolare sono comunemente accettati:  la cultura, la religione e la legge.

È proprio di ogni società riconoscersi in una cultura e negli aspetti che la specificano nel confronto con altre; di questa fanno parte la lingua, le tradizioni, l'arte nelle sue diverse manifestazioni e tutto ciò che costituisce l'agire e il pensare personale e sociale.

La religione, da parte sua, porta la risposta all'interrogativo fondamentale dell'uomo sul senso della propria vita. Nell'uomo c'è qualcosa che lo trascende, un "infinito" che egli stesso sperimenta in ogni atto della sua esistenza personale e che non può reprimere. Infine, c'è la legge; quell'insieme cioè di disposizioni che regolano la vita sociale e consentono di identificarsi in un sistema di pensiero e di comportamenti che si fa garante della giustizia, del bene e del male. Proprio questo ultimo principio provoca a comprendere quanto fondamentale sia la relazione tra i tre elementi descritti perché non avvenga che uno contraddica l'altro creando di fatto un cortocircuito tale da mettere in crisi un sistema di vita e di pensiero.

Ciò che si sta verificando in Europa, purtroppo, mi sembra essere proprio questo cortocircuito che impedisce una circolarità comunicativa tra i tre principi descritti, con la conseguente condizione di crisi permanente in cui siamo inseriti. Ciò che balza evidente è una situazione fortemente paradossale. Nel tempo in cui l'Europa viveva di valori condivisi, possedeva una forte identità che la rendeva facilmente riconoscibile nonostante i confini territoriali. In questi anni, invece, mentre si sono abbattuti i confini che avrebbero dovuto creare un'unità, ciò a cui si assiste è il moltiplicarsi delle differenze, l'aumento degli estremismi e la frammentarietà domina a tal punto da far sgretolare ogni possibile unità.

Si ha l'impressione che in questo processo di unificazione tutto sia già prefissato e determinato da un'élite di persone, senza un diretto coinvolgimento dei cittadini che sono i primi attori. Aver voluto escludere le radici cristiane non è stata una bella premessa ma l'oblio delle tradizioni in cui i popoli si riconoscono può diventare una colpa perché parte dal presupposto che il nuovo da costruire si deve imporre con una rottura con il passato.

Non si può pretendere di suscitare un senso di appartenenza a una nuova realtà come l'Europa distruggendo l'identità che i popoli si sono costruiti nel corso di secoli. Pensare che una moneta unica possa dare identità o che lo scambio di studenti con il progetto Erasmus crei il senso di appartenenza è superficiale.

Questi sono strumenti, validi e utili, ma devono essere fondati, accompagnati e sostenuti da un progetto culturale rispettoso delle differenze e in grado di fare sintesi per una novità originale, altrimenti tutto diventa uniforme:  linguaggio, arte, architettura, letteratura, politica, economia.

In questo modo il cittadino si stanca, si rinchiude in se stesso e perde entusiasmo. Se questo si sta verificando, temo dipenda anche dal fatto che si vuole costruire un'Europa indipendente dal cristianesimo e, in alcuni casi, perfino contro. Eppure, il cristianesimo è una condizione obbligatoria per la coerente comprensione dell'Europa. Le religioni per l'Europa non possono essere tutte uguali. Non siamo in una notte oscura dove tutto è incolore. Il primato della ragione, conquistato nel corso dei secoli, non può appiattirsi proprio ora con un egualitarismo da sabbie mobili che impedisce di dare voce alla forza critica. Questa è chiamata a discernere tra le religioni e a scegliere di riconoscere le proprie origini e l'apporto ricevuto.

Insomma, abbiamo il compito di produrre pensiero che sia capace di gettare le fondamenta per un'epoca che darà cultura alle future generazioni permettendo loro di vivere nella genuina libertà perché proiettati verso la verità. È questo pensiero che manca e sinceramente non lo vedo ancora all'orizzonte. Come ricordava di recente Benedetto XVI, "il mondo soffre per la mancanza di pensiero". Il dramma, probabilmente, sta tutto qui. Se manca la forza del pensiero non si può pretendere alcuna progettualità e tutto diventa monotono fino a giungere all'asfissia. A chi compete la progettualità, soprattutto di una nuova antropologia capace di proiettare un nuovo modello di società? Certamente non a un solo gruppo.

Questo è il momento di una sinergia in grado di fare sintesi del patrimonio del passato per interpretarlo alla luce delle conquiste che caratterizzano la nostra epoca in modo da trasmetterlo alle generazioni che verranno dopo di noi. Il cortocircuito è avvenuto perché le tre componenti della civiltà hanno intrapreso una strada solitaria e per molti versi, perché hanno giocato solo in difesa o all'attacco, senza comprendere che nessuno può vivere senza l'apporto degli altri.

Non dobbiamo, quindi, ripetere lo sbaglio del passato nel concepire il nuovo che prepariamo come una rottura con il passato. Non è così che la storia progredisce. Non è emarginando né esorcizzando il cristianesimo che si potrà avere una società migliore. Non potrà avvenire.

Una lettura come questa non solo è miope, ma è sbagliata nelle sue stesse premesse. Non ci sarà una formazione di identità matura né per i singoli né per i popoli se si prescinde dal cristianesimo. Certo, la nostra storia è costellata di luci e ombre, ma il messaggio che portiamo è di genuina liberazione per l'uomo e di coerente progresso per i popoli. Il fondamento di un corretto rapporto tra la ragione e la fede lo si deve al nostro pensiero che non ha mai voluto umiliare la ragione, ma ne ha fatta una compagna di strada ineliminabile. È difficile in una fenomenologia delle religioni mondiali verificare un altrettanto equilibrato rapporto tra le due componenti come nel cristianesimo.

Per la nostra tradizione la fides quaerens intellectum è condizione per poter raggiungere ogni uomo e ogni donna, in ogni parte del mondo in quella fondamentale uguaglianza che è data appunto dalla razionalità, i cui contenuti sono accolti anche dalla fede pur con il suo processo di purificazione.
 
È da questo rapporto positivo con la ragione che si evitano i conflitti e si esclude ogni fondamentalismo; espressione di un frammento di verità assolutizzato senza considerare l'apporto degli altri. Per noi non è così. La verità che pensiamo è data per via di rivelazione, ma è entrata nella storia con l'incarnazione del Figlio di Dio e questo la rende inevitabilmente soggetta al progredire e alla dinamica fino alla fine dei tempi. D'altronde, è proprio la concezione del valore salvifico della verità che ha permesso ai cristiani di renderla universale conquista e non un prezzo da mercato. Alla stessa stregua, la concezione del perdono come espressione di amore che sa andare oltre l'offesa, è ciò che ha plasmato intere generazioni di popoli e ha consentito di verificare una fratellanza e una solidarietà più profonda.

Il concetto di matrimonio che il cristianesimo ha portato come unicità di rapporto nella reciprocità dell'amore ha saputo garantire la giustizia contro l'arbitrarietà che umiliava la donna indifesa, e la forza della relazione interpersonale come collante del tessuto sociale. E la ricerca del bene comune, nel rispetto per la dignità di ogni persona, non deriva proprio dal concetto stesso di persona che il cristianesimo ha prodotto come suo contributo al patrimonio dell'umanità a partire dal iv secolo?

Il rispetto per la vita, soprattutto nei confronti di quella innocente, debole e indifesa è un ulteriore segno della presenza del cristianesimo nel tessuto sociale che ha permesso di giungere a intuizioni straordinarie nelle opere di assistenza che permangono immutate come punti fermi per la società.
Non avanziamo nessun diritto di primogenitura su diverse conquiste che sono state compiute nel corso dei secoli e che segnano la storia di questi venti secoli; non desideriamo, però, che altri se ne impossessino giungendo perfino a negare la nostra originalità e il nostro apporto. Se ricordiamo questi fatti, e tanti altri potrebbero allungare l'elenco, è solo per ribadire che il cristianesimo non è di inciampo al progresso della società, ma sua condizione di genuino sviluppo.

Come questo debba avvenire ce lo ricorda ancora una volta l'originalità stessa della nostra fede. La laicità, di cui tutti siamo gelosi, non è altro che l'applicazione di quella parola del Signore:  "Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" (Matteo, 22, 21).

Laicità, come sempre più spesso in questi anni è dato da verificare, non è esclusione del cristianesimo, ma ascolto di quanto esso può offrire come suo contributo peculiare. Accettarlo o rifiutarlo sarà una scelta che il legislatore dovrà ben valutare; non per una possibile manciata di voti a fine legislatura, ma per il buon governo della cosa pubblica e per la globale formazione culturale delle generazioni a venire.

Una legge crea una cultura consequenziale. Proprio questo dovrebbe essere considerato in questo momento storico in cui si possono già vedere le conseguenze create da alcune legislazioni. La società è migliorata? I giovani hanno trovato maggior impegno e responsabilità nella società? Il lavoro è diventato una forma di realizzazione? La famiglia si è rafforzata nell'impianto sociale? La scuola è palestra di vita? L'ammalato è una persona da rispettare e non un peso per il bilancio? La vita nel suo insieme è rispettata? Questi interrogativi non sono retorici, dare risposta è obbligatorio.


(©L'Osservatore Romano - 29 ottobre 2010)





vi invitiamo anche a leggere qui:

ATTENZIONE: NUOVO DICASTERO PER L'EVANGELIZZAZIONE CON MOTU PROPRIO DI BENEDETTO XVI

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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28/10/2010 18:35
 
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L'iniziativa Night of Light

Una luce in Gran Bretagna
nella notte del 31 ottobre



Londra, 28. I cristiani in Gran Bretagna saranno chiamati ad accendere una candela o un lume sulle finestre delle case, la notte del 31 ottobre, vigilia della festa di Tutti i Santi, come segno visibile della propria fede:  "Night of Light" è il titolo dell'iniziativa promossa dal movimento "Cor et Lumen Christi", con il sostegno della Conferenza episcopale d'Inghilterra e Galles. L'iniziativa, si sottolinea, ha l'obiettivo di esaltare il significato religioso della veglia di preparazione alla festa che cade il 1° novembre, in contrapposizione al paganesimo di Halloween.

I fedeli sono pertanto esortati a celebrare la festività, partecipando alla messa per la vigilia del 31 ottobre e all'adorazione eucaristica. "La notte di Halloween è diventata la più grande festa commerciale dopo il Natale e la Pasqua - ha spiegato il presidente del dipartimento dell'episcopato per l'evangelizzazione e la catechesi, il vescovo di Arundel and Brighton, Kieran Thomas Conry - ed è giunto il momento di ricordare ai cristiani quello che è realmente".


(©L'Osservatore Romano - 29 ottobre 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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03/11/2010 19:47
 
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Presentata l'assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura

Il vaccino efficace
che ci libera dalle parole logore


Nella mattinata di mercoledì 3 novembre è stata presentata in conferenza stampa l'assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura che si svolgerà dal 10 al 13 novembre sul tema "Cultura della comunicazione e nuovi linguaggi". Oltre all'arcivescovo presidente - del quale anticipiamo quasi integralmente l'intervento - erano presenti anche monsignor Pasquale Iacobone, responsabile del Dipartimento arte e cultura del Pontificio  Consiglio della Cultura, Richard Rouse, responsabile del Dipartimento comunicazione e linguaggi dello stesso dicastero, e il vescovo di Regensburg, monsignor Gerhard  Ludwig, curatore dell'Opera omnia di Joseph Ratzinger. Nell'occasione infatti è stato presentato anche il dodicesimo volume in lingua tedesca - Künder des Wortes und Diener eurer Freude (Herder) - dell'opera del Papa.

di Gianfranco Ravasi


"Tutte le parole sono logore e l'uomo non può più usarle". Con sorprendente "modernità" Qohelet (1, 8) coglie nel bersaglio uno dei punti deboli della comunicazione umana giunta alla sua deriva di chiacchiera o di mutismo espressivo. Questo esito si riverbera poi nello stesso agire che si estenua in atti insensati e la frase ebraica dell'antico sapiente biblico custodisce al suo interno anche questo ulteriore significato:  è noto, infatti, che in ebraico dabar non è solo "parola", ma anche "atto":  "Tutte le azioni sono vuote e l'uomo non può più espletarle", potremmo anche tradurre. Questo accade perché si rompe il circuito virtuoso che regge e alimenta il dire e il fare, ossia la comunicazione.

Scrive a questo proposito un'esegeta, Rosanna Virgili:  "Quando le parole uscissero da questo circolo di relazione, che conferisce loro pienezza, vagherebbero smarrite nel buio dello svuotamento semantico. Ciò accade quando l'orecchio non riesce a saziarsi di quanto ode, poiché le parole - come dice Qohelet - sono "cave", impotenti a procurare un plusvalore con cui si possa garantire il futuro. Le parole dell'uomo si rivelano come bucate, sottili e fragili, senza spessore; esse restano a mezzo e non sono in grado di cogliere la realtà del mondo, né di produrre una piena conoscenza".
 
Per questo, un altro esegeta, Santi Grasso, nel suo recente commento al Vangelo di Giovanni, ha paradossalmente tradotto il celebre incipit così:  "In principio era la Comunicazione". La resa è per varie ragioni discutibile, ma coglie un aspetto strutturale del Lògos nella sua realtà di comunione intratrinitaria ("era presso Dio, era Dio, era in principio presso Dio") e di rivelazione-azione ad extra ("tutto è stato fatto per mezzo suo e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste... Dio nessuno l'ha mai visto:  il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato").

La Parola divina diventa così l'archetipo dell'autentico comunicare manifestando in sé tutto il suo valore di Wort, "Verbo" che si comunica, ma anche - per continuare a usare la celebre "tastiera" di armoniche semantiche proposta dal Faust di Goethe - è Kraft, "potenza" efficace che trasforma, è Sinn, "significato" profondo di un messaggio, ed è infine Tat, "azione" creatrice e redentrice. Non per nulla i due grandi eventi costitutivi dell'essere creato e dell'esistere storico sono fondati sulla Parola divina:  "In principio (...) Dio disse:  Sia la luce! E la luce fu" (Genesi, 1, 1.3), e sul Sinai "Dio vi parlò di mezzo al fuoco:  voce di parole voi ascoltaste, immagine alcuna non vedeste:  era solo una voce" (Deuteronomio, 4, 12).

Consapevoli di questi due poli estremi, da un lato, del non-sense della deriva a cui ci ha portati una comunicazione svuotata e logora e, dall'altro lato, la straordinaria carica epifanica che ha in sé il linguaggio, analogia suprema per dire Dio, si è voluto dedicare qualche giorno a una sosta di riflessione proprio attorno alla "cultura della comunicazione e ai nuovi linguaggi".

È ciò che farà dal 10 al 13 novembre 2010 il Pontificio Consiglio della Cultura attraverso l'assemblea plenaria dei suoi membri e consultori. Un'assemblea piuttosto insolita rispetto alla prassi tradizionale degli organismi istituzionali della Santa Sede. Già l'ambito del momento inaugurale è significativo:  il Campidoglio diventa il simbolo di una comunicazione che, come suggeriva Gesù, risuona dalle "terrazze", in pratica dai tetti ove sono insediate le parabole mediatiche e le antenne televisive, coinvolgendo la pòlis che ascolta talora distratta, altre volte incuriosita, talvolta partecipe, non di rado beffarda, come accadde a Paolo sull'Areopago ateniese.
Non per nulla a stimolare la riflessione sono figure diverse poste ai crocevia della comunicazione, come il Presidente-Direttore Generale di France Télévisions, Patrick de Carolis, o un raffinato e tagliente esperto di media come Aldo Grasso e, infine, un originale osservatore dei fenomeni legati alla sperimentazione cinematografica, il gesuita canadese Lloyd Baugh.

Da quell'apertura si snoda, poi, il percorso vero e proprio della ricerca. Essa vuole evitare due bordi estremi che rischierebbero di impaludare il corso del fiume:  da un lato, la registrazione fenomenologica di tutte le questioni e dei modelli che il tema comporta; d'altro lato, non si vuole neppure elaborare una serie di paradigmi concreti immediatamente operativi e legati ai vari soggetti, oggetti, contesti e metodi d'azione. La traiettoria sarà, perciò, quella un po' ardua ma essenziale che si dirama su un crinale ove si individuano e approfondiscono i problemi capitali e ove si delineano in modo simbolico alcune soluzioni, testimoniate da chi le ha già sperimentate e collaudate.

Sono cinque le tappe di questo itinerario ideale. La prima è un vero e proprio sentiero d'altura perché fissa lo sguardo sulla persona umana avvolta nella "rete" delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione. A disegnarne un ritratto è un noto teologo, il vescovo di Regensburg, città universitaria cara a Benedetto XVI, monsignor Gerhard L. Müller:  il volto dell'uomo e della donna contemporanei ha subito un mutamento sorprendente in questo ultimo arco di tempo proprio attraverso la metamorfosi della comunicazione, un trapasso che - con qualche eccesso - uno studioso americano di simili fenomeni, John Barlow, ha comparato alla scoperta del fuoco.

Il sapere si rivela tutto e subito disponibile, il dialogo tra mondi culturali differenti è istantaneo, le frontiere si dissolvono, riflettori inesorabili scandagliano profondità e altezze impedendo censure e così via elencando. Ma si registra anche lo smarrimento di ogni criterio di verifica dei dati, la relazione si raggela affidandosi a un linguaggio semplificato o all'artificiosità del contatto virtuale che può degenerare verso rapporti oscuri e deviati. Si configura, così, una strana "presenza-assenza" che lentamente crea una nuova identità antropologica.

Rimane, comunque, sempre vero l'asserto di Pascal secondo il quale "l'uomo supera infinitamente l'uomo". Ci sono alcune costanti alte e potenti che costituiscono una risorsa di riscatto e di esaltazione. È il caso della seconda tappa di questa ricerca:  si apre il sipario sul linguaggio dell'arte e ad attestarlo quasi in corpore nobili sono due famosi artisti, Roland Joffé, il regista noto a tutti per un film "di culto" come Mission (1986), e il musicista Ennio Morricone che ha saputo conservare la classe della musica colta declinandola, però, in forme tanto lineari e incisive da conquistare la sensibilità contemporanea e da adattarsi ai moduli espressivi delle nuove generazioni.

A costoro, che sono i fruitori instancabili dei nuovi media e che ne sembrano essere spesso anche le vittime, è dedicata la terza tappa del percorso che stiamo solo abbozzando. Un americano, padre Robert Barron, che da tempo con grande successo ha messo a punto un Catholicism Project che corre su varie reti televisive e informatiche, si è ormai rivolto soprattutto alla next-generation, coinvolgendola in un esercizio di memoria, di creatività e di relazione proprio attorno ai temi della fede. Un pubblico, apparentemente ostile e fin repulsivo nei confronti di un orizzonte spirituale, si rivela, invece, sensibile, soprattutto quando si riscopre l'incisività dei simboli che rendono, a livello di comunicazione, tra loro sorelle l'arte e la fede, l'intuizione creatrice e la visione religiosa.

Con la quarta tappa si entra nel tempio. Il rito, infatti, col suo numen, cioè col suo mistero, e col suo lumen, la sua rivelazione di luce, bellezza e atto, è una componente costante della comunicazione umana, anche "laica":  basti pensare ai raduni di massa, allo sport e ai suoi ritmi, al folclore e così via. Il focus, però, dell'analisi si concentra sulla liturgia cristiana che intreccia in sé tempo, materia, corpo, sensi, gestualità, arte, parola, estetica, spirito e trascendenza. I codici di questa comunicazione così specifica vengono perlustrati da Enzo Bianchi. La memoria che la liturgia comporta verrà simbolicamente rappresentata attraverso una sorta di pellegrinaggio iconografico, in quella mirabile sequenza che è costituita dalle catacombe di via Dino Compagni la cui decifrazione sarà affidata a uno dei massimi esperti di questo tipo d'arte religiosa, Fabrizio Bisconti.

Da laggiù si risalirà per l'ultima tappa che è, invece, collocata nell'agorà della modernità informatica e che ha come emblema la tipica "chiocciola" @. Essa punteggia già la trilogia tematica sulla quale si confronteranno due operatori diretti, l'italo-americano di Microsoft Pietro Scott Jovane e un delegato di Google:  "Inform@ti Interattivi Inter-connessi" è il titolo della loro proposta tutta ritmata su questi nuovi linguaggi.

Si ritorna, così, al punto di partenza, nel cuore di una vera e propria rivoluzione-evoluzione di cui tutti sono partecipi in modo consapevole e spesso inconscio.
Il percorso di cui abbiamo ora tracciato la mappa avrà, comunque, uno svolgimento e un approdo di livello differente. La trama di questi incontri, infatti, non sarà mai "a lezione", secondo i canoni dei rituali accademici o convegnistici, bensì sarà a confronto continuo tra "testimoni" dei rispettivi campi e interlocutori che reagiscono, interpellano, criticano, verificano, giudicano, aggiungono, perfezionano.

L'approdo sarà naturalmente nell'incontro con Benedetto XVI e con le sue parole che saranno considerate come un nuovo avvio, nella consapevolezza che un simile tema, proprio del Dna stesso della Chiesa, non può mai essere archiviato come una pratica protocollata e conclusa.

San Paolo dichiara esplicitamente che "Cristo mi ha mandato ad annunciare il Vangelo", ma subito annota il rischio connesso a un mero esercizio tecnico del kerygma o della catechesi o dell'omelia:  "Non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo" (1 Corinzi, 1, 17). Si schiude, in tal modo, non solo il vasto orizzonte del futuro, ma anche del genere specifico di ogni comunicazione religiosa, quello della testimonianza. Il codice comunicativo principe è quello della persona e della vita. L'intero programma della Chiesa delle origini secondo gli Atti degli apostoli è appunto nella martyría, la testimonianza.

La categoria veritativa raggiunge la sua pienezza quando intreccia i tre anelli del pensiero, della parola e dell'azione. E questa trilogia, custodita nella sua "simbolicità", costituisce anche l'autentica comunicazione. Solo così si riesce a creare il vaccino spirituale e culturale che ci libera dalle "parole logore" o vuote condannate ed esorcizzate da Qohelet.


(©L'Osservatore Romano - 4 novembre 2010)
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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