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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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VERBUM DOMINI: Documento ufficiale dal Sinodo sulla Sacra Scrittura

Ultimo Aggiornamento: 07/12/2017 14:15
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ESORTAZIONE APOSTOLICA POSTSINODALE




VERBUM DOMINI


DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI


ALL’EPISCOPATO, AL CLERO,


ALLE PERSONE CONSACRATE


E AI FEDELI LAICI


SULLA PAROLA DI DIO


NELLA VITA E NELLA MISSIONE


DELLA CHIESA






 


SCARICATELA CLICCANDO QUI


Alcuni passi:



- Infine, la Parola di Dio attestata e divinamente ispirata è la sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento.
Tutto questo ci fa comprendere perché nella Chiesa veneriamo grandemente le sacre Scritture, pur non essendo la fede cristiana una « religione del Libro »: il cristianesimo è la « religione della Parola di Dio », non di « una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente ».19 Pertanto la Scrittura va proclamata, ascoltat a, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile.

- La tradizione patristica e medievale, nel contemplare questa « Cristologia della Parola », ha utilizzato un’espressione suggestiva: il Verbo si è abbreviato.34 « I Padri della Chiesa, nella loro traduzione greca dell’Antico Testamento, trovavano una parola del profeta Isaia, che anche san Paolo cita per mostrare come le vie nuove di Dio fossero già preannunciate nell’Antico Testamento. Lì si leggeva: “Dio ha reso breve la sua Parola, l’ha abbreviata” (Is 10,23; Rm 9,28) … Il Figlio stesso è la Parola, è il Logos: la Parola eterna si è fatta piccola – così piccola da entrare in una mangiatoia.
Si è fatta bambino, affi nché la Parola diventi per noi afferrabile ».35 Adesso, la Parola non solo è udibile, non solo possiede una voce, ora la Parola ha un volto, che dunque possiamo vedere: Gesù di Nazareth.


- La missione di Gesù trova infi ne il suo compimento nel Mistero Pasquale: qui siamo posti di fronte alla « Parola della croce » (1Cor 1,18). Il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale, poiché si è « detto » fi no a tacere, non trattenendo nulla di ciò che ci doveva comunicare. Suggestivamente i Padri della Chiesa, contemplando questo mistero, mettono sulle labbra della Madre di Dio questa espressione: « È senza parola la Parola del Padre, che ha fatto ogni creatura che parla; senza vita sono gli occhi spenti di colui alla cui parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha vita ».

- Di conseguenza, il Sinodo ha raccomandato di « aiutare i fedeli a distinguere bene la Parola di Dio dalle rivelazioni private »,44 il cui ruolo « non è quello... di “completare” la Rivelazione defi nitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica ».45 Il valore delle rivelazioni private è essenzialmente diverso dall’unica rivelazione pubblica: questa esige la nostra fede; in essa infatti per mezzo di parole umane e della mediazione della comunità vivente della Chiesa, Dio stesso parla a noi. Il criterio per la verità di una rivelazione privata è il suo orientamento a Cristo stesso. Quando essa ci allontana da Lui, allora essa non viene certamente dallo Spirito Santo, che ci guida all’interno del Vangelo e non fuori di esso. La rivelazione privata è un aiuto per questa fede, e si manifesta come credibile proprio perché rimanda all’unica rivelazione pubblica. Per questo l’approvazione ecclesiastica di una rivelazione privata indica essenzialmente che il relativo messaggio non contiene nulla che contrasti la fede ed i buoni costumi; è lecito renderlo pubblico, ed i fedeli sono autorizzati a dare ad esso in forma prudente la loro adesione.
Una rivelazione privata può introdurre nuovi accenti, fare emergere nuove forme di pietà o approfondirne di antiche.
Essa può avere un certo carattere profetico (cfr 1 Tess 5,19-21) e può essere un valido aiuto per comprendere e vivere meglio il Vangelo nell’ora attuale; perciò non lo si deve trascurare. È un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso. In ogni caso, deve trattarsi di un nutrimento della fede, della speranza e della carità, che sono per tutti la via permanente della salvezza.

- Tradizione e Scrittura

17. Riaffermando il profondo legame tra lo Spirito Santo e la Parola di Dio, abbiamo anche posto le basi per comprendere il senso ed il valore decisivo della viva Tradizione e delle sacre Scritture nella Chiesa. Infatti, poiché Dio « ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito » (Gv 3,16), la Parola divina, pronunciata nel tempo, si è donata e « consegnata » alla Chiesa in modo definitivo, cosicché l’annuncio della salvezza possa essere comunicato effi cacemente in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Come ci ricorda la Costituzione dogmatica Dei Verbum, Gesù Cristo stesso « ordinò agli Apostoli che l’Evangelo, prima promesso per mezzo dei profeti e da Lui adempiuto e promulgato di persona venisse da loro predicato a tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale, comunicando ad essi i doni divini.

- L’ERMENEUTICA DELLA SACRA SCRITTURA NELLA CHIESA
La Chiesa luogo originario dell’ermeneutica della Bibbia

29. Un altro grande tema emerso durante il Sinodo, sul quale intendo ora richiamare l’attenzione, è l’interpretazione della sacra Scrittura nella Chiesa. Proprio il legame intrinseco tra Parola e fede mette in evidenza che l’autentica ermeneutica della Bibbia non può che essere nella fede ecclesiale, che ha nel sì di Maria il suo paradigma. San Bonaventura afferma a questo proposito che senza la fede non c’è chiave di accesso al testo sacro: « Questa è la conoscenza di Gesù Cristo, da cui hanno origine, come da una fonte, la sicurezza e l’intelligenza di tutta la sacra Scrittura. Perciò è impossibile che uno possa addentrarsi a conoscerla, se prima non abbia la fede infusa di Cristo, che è lucerna, porta e anche fondamento di tutta la Scrittura ».84 E san Tommaso d’Aquino, menzionando sant’Agostino, insiste con forza: « Anche la lettera del vangelo uccide se manca l’interiore grazia della fede che sana ».85
Questo ci permette di richiamare un criterio fondamentale dell’ermeneutica biblica: il luogo originario dell’interpretazione scritturistica è la vita della Chiesa. Questa affermazione non indica il riferimento ecclesiale come un criterio estrinseco cui gli esegeti devono piegarsi, ma è richiesta dalla realtà stessa delle Scritture e da come esse si sono formate nel tempo. Infatti, « le tradizioni di fede formavano l’ambiente vitale in cui si è inserita l’attività letteraria degli autori della sacra Scrittura.

Questo inserimento comprendeva anche la partecipazione alla vita liturgica e all’attività esterna delle comunità, al loro mondo spirituale, alla loro cultura e alle peripezie del loro destino storico.
L’interpretazione della sacra Scrittura esige perciò, in modo simile, la partecipazio ne degli esegeti a tutta la vita e a tutta la fede della comunità credente del loro tempo ».86 Di conseguenza, « dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta »,87 occorre che gli esegeti, i teologi e tutto il Popolo di Dio si accostino ad essa per ciò che realmente è, quale Parola di Dio che si comunica a noi attraverso parole umane (cfr 1Tes 2,13). Questo è un dato costante ed implicito nella Bibbia stessa: « nessuna Scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio » (2Pt 1,20-21). Del resto, è proprio la fede della Chiesa che riconosce nella Bibbia la Parola di Dio; come dice mirabilmente sant’Agostino, « non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della Chiesa cattolica ».88
È lo Spirito Santo, che anima la vita della Chiesa, a rendere capaci di interpretare autenticamente le Scritture. La Bibbia è il libro della Chiesa e dalla sua immanenza nella vita ecclesiale scaturisce anche la sua vera ermeneutica.

- San Girolamo ricorda che non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo.
Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il « noi » nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire.89 Il grande studioso, per il quale « l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo »,90 afferma che l’ecclesialità dell’interpretazione biblica non è un’esigenza imposta dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante, e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la sacra Scrittura. Un’autentica interpretazione della Bibbia deve essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica. Così san Girolamo si rivolgeva ad un sacerdote: « Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono ».91



[Modificato da Caterina63 07/12/2017 14:15]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Interessante anche le precisazioni scaturite dal BVlog Messainlatino:



Verbum Domini o Verba volant?

Duecento-pagine-scritte-fitte. E' l'esortazione postsinodale Verbum Domini pubblicata oggi, condensato degli sforzi del sinodo sulla parola di Dio dell'anno scorso. Onestamente, ci chiediamo se testi più sintetici non agevolerebbero l'applicazione (e prima ancora la lettura: nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu): le precedenti esortazioni, come la Sacramentum caritatis, son purtroppo cadute nell'irrilevanza.

Comunque, due osservazioni di primo acchito. Eravamo curiosi di vedere se il Papa avrebbe accolto la proposta sinodale di estendere il ministero del lettorato alle donne. Proposta molto sconveniente, perché da molti, specie i favorevoli, interpretata come un primo passo verso l'ordinazione femminile (che altro senso avrebbe, infatti, visto che le donne, senza bisogno di strane investiture, già hanno piena facoltà di leggere in chiesa?). Ecco come se l'è cavata:
Proclamazione della Parola e ministero del lettorato

58. Già nell’Assemblea sinodale sull’Eucaristia era stata chiesta una maggior cura della proclamazione della Parola di Dio. Come è noto, mentre il Vangelo è proclamato dal sacerdote o dal diacono, la prima e la seconda lettura nella tradizione latina vengono proclamate dal lettore incaricato, uomo o donna. Vorrei qui farmi voce dei Padri sinodali che anche in questa circostanza hanno sottolineato la necessità di curare con una formazione adeguata l’esercizio del munus di lettore nella celebrazione liturgica ed in modo particolare il ministero del lettorato, che, come tale, nel rito latino, è ministero laicale. È necessario che i lettori incaricati di tale ufficio, anche se non ne avessero ricevuta l’istituzione, siano veramente idonei e preparati con impegno. Tale preparazione deve essere sia biblica e liturgica, che tecnica: « La formazione biblica deve portare i lettori a saper inquadrare le letture nel loro contesto e a cogliere il centro dell’annunzio rivelato alla luce della fede. La formazione liturgica deve comunicare ai lettori una certa facilità nel percepire il senso e la struttura della liturgia della Parola e le motivazioni del rapporto fra la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica. La preparazione tecnica deve rendere i lettori sempre più idonei all’arte di leggere in pubblico, sia a voce libera, sia con l’aiuto dei moderni strumenti di amplificazione.
Il Papa riprende poi esplicitamente il tema, ma in un paragrafo (il n. 85) dedicato a Parola di Dio, matrimonio e famiglia e, sostanzialmente, glissa su quella proposta:
In questo contesto desidero anche evidenziare quanto il Sinodo ha raccomandato riguardo al compito delle donne in relazione alla Parola di Dio. Il contributo del « genio femminile », come lo chiamava Papa Giovanni Paolo II, alla conoscenza della Scrittura e all’intera vita della Chiesa, è oggi più ampio che in passato e riguarda ormai anche il campo degli stessi studi biblici. Il Sinodo si è soffermato in modo speciale sul ruolo indispensabile delle donne nella famiglia, nell’educazione, nella catechesi e nella trasmissione dei valori. Esse, infatti, « sanno suscitare l’ascolto della Parola, la relazione personale con Dio e comunicare il senso del perdono e della condivisione evangelica », come pure essere portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed umanità in un mondo che troppo spesso valuta le persone con freddi criteri di sfruttamento e profitto.
In secondo luogo segnaliamo questo passaggio che, come i mille che l'han preceduto dicendo la stessa cosa, a partire dai testi del Concilio, rischia di restare in larga parte lettera morta

Canto liturgico biblicamente ispirato

70. Nell’ambito della valorizzazione della Parola di Dio durante la celebrazione liturgica si tenga presente anche il canto nei momenti previsti dal proprio rito, favorendo quello di chiara ispirazione biblica che sappia esprimere, mediante l’accordo armonico delle parole e della musica, la bellezza della Parola divina. In tal senso è bene valorizzare quei canti che la tradizione della Chiesa ci ha consegnato e che rispettano questo criterio. Penso in particolare all’importanza del canto gregoriano (Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 116; Ordinamento Generale del Messale Romano, 41).
Preghiamo per il Papa.
Enrico.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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L'Esortazione Apostolica postsinodale "Verbum Domini"

CITTA' DEL VATICANO, 11 NOV. 2010 (VIS). Questa mattina, presso la Sala Stampa della Santa Sede, ha avuto luogo la Conferenza Stampa di presentazione dell'Esortazione Apostolica Postsinodale "Verbum Domini" di Benedetto XVI, sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa.

Alla Conferenza Stampa sono intervenuti il Cardinale Marc Ouellet, P.S.S., Prefetto della Congregazione per i Vescovi; l'Arcivescovo Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura; l'Arcivescovo Nikola Eterovic, Segretario del Sinodo dei Vescovi ed il Monsignor Fortunato Frezza, Sotto-Segretario.

Il Documento, datato 30 settembre, memoria di San Girolamo, risultante dalla XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, tenutasi a Roma dal 5 al 26 ottobre 2008, è stato pubblicato in lingua latina, italiana, inglese, francese, spagnola, tedesca, portoghese e polacca. Si compone di una Introduzione, tre parti e una conclusione.

L'Arcivescovo Eterovic ha spiegato che nella prima parte, intitolata "Verbum Dei", il Papa sottolinea "il ruolo fondamentale di Dio Padre, fonte e origine della Parola, come pure la dimensione trinitaria della rivelazione. (...) Nel primo capitolo 'Il Dio che parla' si pone in risalto la volontà di Dio di aprire e intrattenere un dialogo con l'uomo, nel quale Dio prende l'iniziativa e si rivela in vari modi. (...) La 'Verbum Domini' mette in risalto l'aspetto cristologico della Parola, sottolineando al contempo anche la dimensione pneumatologica". In questa parte si affronta il rapporto tra Tradizione e Scrittura come pure il tema dell'ispirazione e verità della Bibbia.

"'La risposta dell'uomo al Dio che parla' è il titolo del secondo capitolo."L'uomo è chiamato ad entrare nell'Alleanza con il suo Dio che lo ascolta e risponde alle sue domande. A Dio che parla, l'uomo risponde con la fede. La preghiera più indicata è quella fatta mediante le parole che lo stesso Dio ha rivelato e che sono mantenute scritte nella Bibbia".

Il terzo capitolo è dedicato al tema "'L'Ermeneutica della sacra Scrittura nella Chiesa'. (...) La Sacra Scrittura dovrebbe essere, come auspicato dalla Costituzione dogmatica 'Dei Verbum', sulla divina rivelazione, "l'anima della sacra Teologia". (...) L'ermeneutica biblica del Concilio Vaticano II che occorre riscoprire anche per evitare un certo dualismo dell'ermeneutica secolarizzata. Esso potrebbe portare ad un'interpretazione fondamentalista o spiritualista della sacra Scrittura. La retta ermeneutica richiede la complementarità del senso letterale e spirituale, una armonia tra la fede e la ragione. (...) Un rapporto del tutto speciale esiste tra i cristiani e gli ebrei, che condividono buona parte delle Scritture".

La seconda parte s'intitola "Verbum in Ecclesia". Il Primo Capitolo "La Parola di Dio e la Chiesa", sottolinea che grazie alla Parola di Dio e all'azione sacramentale, Gesù Cristo è contemporaneo agli uomini nella vita della Chiesa".

"La Liturgia luogo privilegiato della Parola di Dio" è il titolo del secondo capitolo che sottolinea "il nesso vitale tra la Sacra Scrittura e i sacramenti, in particolare l'Eucaristia". Si ricorda l'importanza del Lezionario e della proclamazione della Parola e del ministero del lettorato e, soprattutto, dell'omelia, che ha notevole importanza nell'Esortazione Apostolica Postsinodale.

Il terzo capitolo, dedicato a "La Parola di Dio nella vita ecclesiale", pone in risalto "l'importanza dell'animazione biblica della pastorale, la dimensione biblica della catechesi, la formazione biblica dei cristiani, la Sacra Scrittura nei grandi raduni ecclesiali, la Parola di Dio in rapporto alle vocazioni. (...) Notevole parte del capitolo è riservata alla lettura orante della sacra Scrittura, in particolare, alla 'Lectio divina', e alla preghiera mariana".

La terza parte, "Verbum mundo", sottolinea "il dovere dei cristiani di annunciare la Parola di Dio nel mondo in cui vivono ed operano. Essa è divisa in quattro capitoli. Il primo, 'La missione della Chiesa: annunciare la Parola di Dio' (...) è orientata al primo annuncio, 'ad gentes', a coloro che tuttora non conoscono il Verbo, Parola di Dio, ma anche a coloro che sono stati battezzati ma non sufficientemente evangelizzati e che hanno bisogno di una nuova evangelizzazione per riscoprire la Parola di Dio".

"Parola di Dio e impegno nel mondo" è il titolo del secondo capitolo, in cui si ricorda che: "I cristiani sono chiamati a servire il Verbo di Dio nei fratelli più piccoli e, dunque, ad impegnarsi nella società per la riconciliazione, la giustizia e la pace tra i popoli".

"Il terzo capitolo è dedicato alla "Parola di Dio e culture", nel quale "sarebbe auspicabile che la Bibbia fosse meglio conosciuta nelle scuole e università e che i mezzi di comunicazione sociale siano adoperati sempre meglio nella loro divulgazione, usufruendo di tutte le attuali possibilità tecniche. Il tema dell'inculturazione della sacra Scrittura è legato anche alle traduzioni e alla diffusione della Bibbia, che bisogna ulteriormente incrementare".

"'Parola di Dio e dialogo interreligioso' è il tema del quarto capitolo. "Dopo aver stabilito il valore e l'attualità del dialogo interreligioso, la 'Verbum Domini', (...) fornisce valide indicazioni circa il dialogo tra cristiani e musulmani, come pure con gli appartenenti ad altre religioni non cristiane, nel quadro della libertà religiosa che implica non solamente la libertà di professare la propria fede in privato e in pubblico, ma anche la libertà di coscienza e cioè di scegliere la propria religione".

"Nella Conclusione, il Santo Padre Benedetto XVI ribadisce l'esortazione a tutti i cristiani 'ad impegnarsi per diventare sempre più familiari con le Sacre Scritture'".



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11/11/2010 18:35
 
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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’ESORTAZIONE APOSTOLICA POSTSINODALE DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI VERBUM DOMINI


INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. MARC OUELLET, P.S.S.




Alle ore 12 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione dell’Esortazione Apostolica Postsinodale di Sua Santità Benedetto XVI Verbum Domini, che raccoglie le riflessioni e le proposte emerse dalla XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi svoltasi in Vaticano nell’ottobre del 2008 sul tema: La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa.
Intervengono alla Conferenza Stampa: l’Em.mo Card. Marc Ouellet, P.S.S., Prefetto della Congregazione per i Vescovi; S.E. Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura; S.E. Mons. Nikola Eteroviƒ, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi e Mons. Fortunato Frezza, Sotto-Segretario del Sinodo dei Vescovi.
Pubblichiamo di seguito gli interventi dell’Em.mo Card. Marc Ouellet, P.S.S., di S.E. Mons. Nikola Eteroviƒ e del Rev.mo Mons. Fortunato Frezza:

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INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. MARC OUELLET, P.S.S.

"Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!»1. Alla folla che sente il grido di ammirazione di questa donna, colpita dalla sua predicazione, Gesù replica: Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano.

L’Esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini su la Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, è la ripresa da parte della Chiesa di questa risposta di Gesù, nella coscienza ch’essa da venti secoli ha di dare testimonianza nel mondo e per il mondo della Parola di Dio. Al Concilio Vaticano II, la Chiesa esprimeva in questo modo il contenuto essenziale della Rivelazione: «Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé»2.

L’Esortazione apostolica Verbum Domini riprende lo stesso messaggio a quarantacinque anni di distanza: «Dio si fa conoscere a noi come mistero di amore infinito in cui il Padre dall’eternità esprime la sua Parola nello Spirito Santo. Perciò il Verbo, che dal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio stesso nel dialogo di amore tra le Persone divine e ci invita a partecipare ad esso»3.

A. Il paradigma mariano della rivelazione

Prendendo ispirazione dalla Parola di Dio così come essa è svelata nella sua profondità trinitaria e cristologica nel prologo di San Giovanni e negli scritti paolini4, l’Esortazione post-sinodale sviluppa una visione dinamica e dialogica della Rivelazione, nella linea della Costituzione conciliare Dei Verbum. In effetti, la rivelazione cristiana non offre in primo luogo un’informazione privilegiata nei riguardi di Dio, questo Dio sconosciuto che tutte le religioni del mondo si sforzano di avvicinare a tentoni5. La rivelazione cristiana è essenzialmente una chiamata al dialogo, una Parola creatrice di evento e di incontro, di cui la Chiesa fa esperienza sin dalle sue origini.

Papa Benedetto XVI ha tradotto in una celebre formula questo carattere di evento della rivelazione: «Abbiamo creduto all'amore di Dio - scrive il Santo Padre - così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva»6. Il cristianesimo non è dunque il frutto d’una saggezza umana o d’una idea geniale ma di un incontro e di una alleanza con una Persona che dà all’esistenza umana il suo decisivo orientamento e la sua forma.

In quest’ottica, la figura della Vergine Maria che ha cooperato al mistero dell’Incarnazione del Verbo, rimane l’insuperabile paradigma del fecondo rapporto della Chiesa alla Parola di Dio. Ecco perché il Santo Padre assume in modo molto esplicito al numero 28 della Verbum Domini la prospettiva mariana formulata dal Sinodo: «L’attenzione devota e amorosa alla figura di Maria come modelle e archetipo della fede della Chiesa, è di importanza capitale per operare anche oggi un concreto cambiamento di paradigma nel rapporto della Chiesa con la Parola, tanto nell’atteggiamento di ascolto orante quanto nella generosità dell’impegno per la missione e l’annuncio».

L’Esortazione Verbum Domini risponde così a ciò di cui ha bisogno la Chiesa in questo inizio di millennio. Poiché seppure nel secolo scorso la conoscenza della Parola di Dio ha progredito in maniera notevole, particolarmente grazie agli studi biblici, alla riforma liturgica, alla catechesi, all’ecumenismo ed alla più ampia diffusione della Parola di Dio, rimane ancora un deficit da colmare in ciò che riguarda la vita spirituale del popolo di Dio. Questi ha il diritto d’esser maggiormente ispirato e nutrito da un approccio più orante e più ecclesiale alle Sacre Scritture. È almeno ciò che i Padri sinodali hanno avvertito nell’azione dello Spirito Santo in mezzo a loro e ch’essi hanno espresso negli orientamenti pastorali.

Se è vero che occorre conoscere le Scritture per conoscere il Cristo, occorre soprattutto pregare con le Sacre Scritture per incontrarvi personalmente il Cristo. Di qui I numerosi sviluppi di Verbum Domini sulla Santa Liturgia, sulla lettura orante e assidua dei testi sacri, sull’ascolto e sul silenzio, sulla condivisione della fede riguardo ai testi biblici, in modo particolare quelli della liturgia domenicale.

È una buona novella per gli uomini e le donne del giorno d’oggi che sono sollecitati dai contrastanti messaggi dei potenti mezzi di comunicazione, a volte a danno della loro ricerca di senso e di felicità. « Pertanto – afferma sin dal suo esordio la Verbum Domini – fatti ad immagine e somiglianza di Dio amore, possiamo comprendere noi stessi solo nell’accoglienza del Verbo e nella docilità all’opera dello Spirito Santo. È alla luce della Rivelazione operata del Verbo divino che si chiarisce definitivamente l’enigma della condizione umana »7.

L’uomo trova nell’incontro con Gesù molto più di un suo insegnamento come Maestro di dottrina; trova la sua amicizia personale e personalizzante. La fede cristiana è comunione personale ed ecclesiale con il Verbo di Dio nato dalla fede di una donna.

Invito i lettori a meditare con attenzione I sostanziali passaggi sulla Vergine Maria e la Parola di Dio che danno il tono all’intera Esortazione. Maria è «Madre del Verbo di Dio» e «Madre della fede»8, l’Icona per eccellenza della Lectio divina9, Maria, «Mater Verbi et Mater laetitiae»10.

B. Il senso spirituale delle Scritture

Uno dei temi di rilievo delle Assise sinodali fu l’ermeneutica della Sacra Scrittura nella Chiesa11. Oggetto di accesi dibattiti e d’un autorevole intervento del Santo Padre, questo tema è stato ripreso e sviluppato nella Verbum Domini su quasi 40 pagine. Non è agevole riassumerle in poche frasi. Diciamo tuttavia che l’orientamento dato all’ermeneutica biblica è chiaro e costruttivo, situando la scienza biblica, esegetica e teologica, all’interno e al servizio della fede della Chiesa. Le scienze sacre, siano esse filologiche, letterarie, storiche, patristiche o speculativamente teologiche, non possono fare astrazione dalla fede della Chiesa in alcun momento del loro sviluppo e della loro metodologia.

Di qui l’insistenza del Documento post-sinodale, di fronte al «pericolo di dualismo» tra esegesi scientifica e teologia, sull’unità e la complementarità delle due discipline e sul loro legame con la vita spirituale. In effetti – richiama la Verbum Domini citando la Pontificia Commissione Biblica, «Con la crescita della vita nello Spirito cresce anche, nel lettore, la comprensione delle realtà di cui parla il testo biblico»12. «La Bibbia è il Libro della Chiesa13» e la sua interpretazione scaturisce dalla vita e dalla crescita della Chiesa, a tal punto che si potrebbe ripetere con san Gregorio Magno: «le parole divine crescono con colui che le legge»14.

Sullo stesso filone, l’Esortazione apostolica Verbum Domini lancia un appello per una rinnovata ricezione dell’«ermeneutica biblica conciliare»15 richiamando in particolar modo i criteri fondamentali per render dovuto conto della dimensione divina della Bibbia: «1) interpretare il testo tenendo presente l’unità di tutta la Scrittura; questo oggi si chiama esegesi canonica; […] 2) si deve poi tener presente la viva tradizione di tutta la Chiesa, e finalmente 3) bisogna osservare l’analogia della fede». L’Esortazione completa questo richiamo della Dei Verbum citando il papa Benedetto XVI in occasione della sua allocuzione all’Assemblea sinodale: «Solo dove i due livelli metodologici, quello storico-critico e quello teologico, sono osservati, si può parlare di una esegesi teologica – di una esegesi adeguata a questo Libro»16.

Questi elementi sono in seguito ripresi con maggior dettaglio segnalando i meriti e i limiti dell’esegesi storico-critica, richiamando il valore dell’esegesi patristica ed esortando gli esegeti, I teologi e I pastori ad un dialogo costruttivo per la vita e la missione della Chiesa17. Ciò che nella nostra epoca importa, è infatti sviluppare il senso spirituale delle Scritture, nella continuità della Tradizione, e nella linea ridefinita dalla Pontificia Commissione Biblica. Il senso spirituale della Scrittura è «il senso espresso dai testi biblici quando vengono letti sotto l’influsso dello Spirito Santo nel contesto del mistero pasquale di Cristo e della vita nuova che ne risulta. Questo contesto esiste effettivamente. Il Nuovo Testamento riconosce in esso il compimento delle Scritture. È perciò normale rileggere le Scritture alla luce di questo nuovo contesto, quello della vita nello Spirito»18.

Questo orientamento fondamentale è ripreso in chiusura della sezione sull’ermeneutica ecclesiale delle Scritture con l’evocazione di numerosi esempi di santi che si sono lasciati plasmare dalla Parola di Dio nella storia della Chiesa. Basta menzionare sant’Antonio Abate, san Benedetto, san Francesco d’Assisi e le tre ben note Teresa per comprendere che la «La santità in rapporto alla Parola di Dio si iscrive così, in un certo modo, nella tradizione profetica, in cui la Parola di Dio prende a servizio la vita stessa del profeta. In questo senso la santità nella Chiesa rappresenta un’ermeneutica della Scrittura dalla quale nessuno può prescindere. Lo Spirito Santo che ha ispirato gli autori sacri è lo stesso che anima i Santi a dare la vita per il Vangelo. Mettersi alla loro scuola costituisce una via sicura per intraprendere un’ermeneutica viva ed efficace della Parola di Dio»19.

C. Questioni da approfondire

L’Esortazione Apostolica Postsinodale Verbum Domini accoglie tutte le 55 Proposizioni approvate dai Padri sinodali e sottomesse alla benevola considerazione del Santo Padre Benedetto XVI. Il loro contenuto è stato inserito e sviluppato nel testo del Documento. Alcuni punti devono essere studiati ulteriormente. Per esempio, i temi dell’ispirazione e della verità delle Scritture che la riflessione teologica ha sempre considerato "come due concetti chiave per un’ermeneutica ecclesiale delle sacre Scritture. Tuttavia, si deve riconoscere l’odierna necessità di un approfondimento adeguato di queste realtà, così da poter rispondere meglio alle esigenze riguardanti l’interpretazione dei testi sacri secondo la loro natura" 20. Altro argomento da approfondire è la sacramentalità della Parola di Dio che "può favorire una comprensione maggiormente unitaria del mistero della Rivelazione in ‘eventi e parole intimamente connessi’, giovando alla vita spirituale dei fedeli e all’azione pastorale della Chiesa"21. Bisogna approfondire anche "il rapporto tra mariologia e teologia della Parola. Da ciò potrà venire grande beneficio sia per la vita spirituale che per gli studi teologici e biblici"22. Inoltre la Proposizione N. 17 sul Ministero della Parola e donna viene sviluppata nei NN. 58 e 85. Al riguardo, si afferma: "Come è noto, mentre il Vangelo è proclamato dal sacerdote o dal diacono, la prima e la seconda lettura nella tradizione latina vengono proclamate dal lettore incaricato, uomo e donna. Vorrei qui farmi voce dei Padri sinodali che anche in questa circostanza hanno sottolineato la necessità di curare con una formazione adeguata l’esercizio del munus di lettore nella celebrazione liturgica ed in modo particolare il ministero del lettorato, che, come tale, nel rito latino, è ministero laicale"23. L’auspicio dei Padri sinodali che "il ministero del lettorato sia aperto anche alle donne" è stato quindi preso in considerazione e il Santo Padre sta studiando attentamente la questione.

L’Esortazione post-sinodale mira a rinnovare la fede della Chiesa nella Parola di Dio24. Essa comporta una visione dialogica, addirittura nuziale, della rivelazione25; comporta inoltre un’ermeneutica ecclesiale della Scrittura ed auspica un approfondimento del rapporto tra la Parola di Dio e i sacramenti, ed in modo speciale il sacramento della Santa Eucaristia.

L’Esortazione apostolica evoca da un lato il carattere performativo della Parola che scaturisce particolarmente dal suo legame con i sacramenti. Nella celebrazione dei sacramenti come nella storia della salvezza la Parola di Dio – "dabar" – indica nello stesso tempo una Parola che è un’Azione divina: «Dio dice e fa, la sua stessa Parola è viva ed efficace»26. Questo carattere performativo della Parola culmina nelle parole della consacrazione eucaristica.

Da qui l’idea della sacramentalità della Parola, in analogia con la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia27. «La proclamazione della Parola di Dio nella celebrazione comporta il riconoscere che sia Cristo stesso as essere presente e a rivolgersi a noi»28.

Inoltre, la profonda unità tra la Parola di Dio proclamata e l’Eucaristia manifesta una circolarità tra le due per l’intelligenza delle Scritture: "L’Eucaristia ci apre all’intelligenza della sacra Scrittura, così come la sacra Scrittura a sua volta illumina e spiega il Mistero eucaristico. In effetti, senza il riconoscimento della presenza reale del Signore nell’Eucaristia, l’intelligenza della Scrittura rimane incompiuta29". Educare il popolo di Dio a cogliere questo legame intrinseco tra la Parola di Dio e il sacramento lo aiuta anche a "cogliere l’agire di Dio nella storia della salvezza e nella vicenda personale di ogni suo membro"30.

Tutti gli aspetti sumenzionati rimangono da approfondire nella vita della Chiesa, nella convinzione profonda che colui che legge la Bibbia o ascolta la Parola pregando incontra personalmente Cristo. La Scrittura è infatti una ed unica la Parola di Dio che interpella la nostra vita alla conversione. «Tutta la divina Scrittura costituisce un unico Libro – scrive Ugo di San Vittore – e quest’unico Libro è il Cristo, parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento»31.

Conclusione

Dio parla nelle Sacre Scritture della Chiesa per radunare il suo popolo, nutrirlo della sua vita e per accoglierlo nella sua comunione. Quest’appello divino è indirizzato all’umanità tutta intera.

L’Esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini pone risolutamente l’accento sulla dimensione divina della Parola e propone un nuovo paradigma, dialogico e pneumatologico, ispirato dal mistero trinitario e dalla risposta della Vergine Maria.

Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano. L’Esortazione post-sinodale rilancia dunque la contemplazione personale ed ecclesiale della Parola di Dio nelle Sacre Scritture, nella Divina Liturgia e nella vita personale e comunitaria dei credenti. Essa rilancia altresì l’attività missionaria e l’evangelizzazione, dal momento che rinnova la coscienza della Chiesa d’essere amata e la sua missione di annunciare la Parola di Dio con audacia e confidenza nella forza dello Spirito Santo. Possa questa Esortazione tanto attesa essere l’oggetto d’una ricezione autentica e ad un tempo entusiasta.

____________________________________

1 Lc 11, 27-28.

2 Costituzione pastorale Dei Verbum 2.

3 Benedetto XVI, Esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini, 30 settembre 2010, n. 6.

4 VD 5-17.

5 Cfr. At 17, 23.27.

6 Benedetto XVI, Lettera enciclica Deus Caritas est, 1.

7 Verbum Domini (VD), 6.

8 VD 27-28.

9 Ibid., 86-87.

10 Ibid., 124.

11 VD 29-49.

12 Pontificia Commmissione Biblica (PCB), L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 15 aprile 1993, II, A, 2 : Ench. Vat. 13, n. 2991.

13 VD 29.

14 Homiliae in Ezechielem, I, VII, 8: CCL 142, 87 (PL 76, 843 D).

15 VD 34-35.

16 Benedetto XVI, Ai partecipanti alla XIVe Congregazione Generale del Sinodo dei Vescovi (14 ottobre 2008); La DC n. 2412, pp. 1015-1016; proposition 26.

17 VD 45.

18

VD37; PCB, ibid.; Ench Vat. n. 2987.

19 VD 49.

20 VD 19.

21 VD 56.

22 VD 27.

23 VD 58.

24 VD 27.

25 VD 51.

26 Cf. Eb 4, 12.

27 VD 56.

28 Cf. Sacrosanctum Concilium, 7

29 VD 55

30 VD 53.

31 VD 39; De arca Noe, 2, 8: PL 176, 642 C-D.

[01594-01.01]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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INTERVENTO DI S.E. MONS. NIKOLA ETEROVI‚

I) Introduzione

L’Esortazione Apostolica Postsinodale Verbum Domini presenta alla Chiesa universale, ai membri di altre Chiese e comunità cristiane, ai credenti di denominazioni religiose non cristiane, come pure agli uomini di buona volontà, i risultati della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi su La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, che si è tenuta in Vaticano dal 5 al 26 ottobre 2008. Al termine dell’Assise, i Padri sinodali hanno pregato il Santo Padre Benedetto XVI di "offrire un documento sul mistero della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, anche alla luce dell’Anno dedicato a San Paolo, Apostolo delle genti, nel bimillenario della sua nascita" (Propositio 1). L’Esortazione Apostolica è il risultato di tale voto che il Santo Padre Benedetto XVI ha volentieri accolto, servendosi del contributo del XII Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi.

La Verbum Domini è divisa in tre parti, seguendo la struttura del tema dell’Assemblea sinodale: La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Pertanto, la prima parte è intitolata Verbum Dei, la seconda Verbum in Ecclesia e la terza Verbum mundo. Evidentemente, il Documento incomincia con una Introduzione che fornisce utili indicazioni preliminari, tra cui lo scopo dell’Esortazione, e si chiude con la Conclusione in cui sono sintetizzate le idee portanti.

Prima di presentare brevemente la struttura della Verbum Domini, desidero soffermarmi sul significato del titolo e sullo scopo dell’Esortazione Apostolica Postsinodale.

II) Titolo dell’Esortazione Apostolica

Il titolo Verbum Domini è preso dalle antiche parole del profeta Isaia, nella maniera in cui le ha riproposte san Pietro nella sua Prima Lettera.

"Verbum autem Dei nostri manet in aeternum" ["La parola del nostro Dio dura per sempre"] (Is 40, 8). Con tale versetto del capitolo 40 del profeta Isaia, inizia il cosiddetto Libro della Consolazione del "Secondo-Isaia", "Deutero-Isaia". Il profeta annuncia la liberazione del popolo eletto. La sua schiavitù è terminata e, sotto la guida di Dio, si prepara un nuovo esodo. Nella contingenza della natura: "secca l’erba, appassisce il fiore" (Is 40, 8), e dell’uomo: "ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo" (Is 40, 6), l’unica forza stabile è la Parola di Dio che rimane per sempre.

Nella prima Lettera di san Pietro viene riportata la citazione del profeta Isaia, per esortare i cristiani a lasciarsi rigenerare "non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna" perché "ogni carne è come l’erba e tutta la sua gloria come un fiore di campo. L’erba inaridisce, i fiori cadono, ma la parola del Signore rimane in eterno" ["Verbum autem Domini manet in aeternum"] (1 Pt 1, 24-25). L’autore della Lettera conclude: "Hoc est autem verbum, quod evangelizatum est in vos" ["E questa è la parola del Vangelo che vi è stato annunciato"] (1 Pt 1, 25).

Nel titolo dell’Esortazione Apostolica Postsinodale Verbum Domini si può, dunque, facilmente percepire la concordanza e quindi la continuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento come pure il suo compimento e superamento nella Persona di Gesù Cristo, testimoniata nei 27 libri del Nuovo Testamento. In effetti, il Vangelo di cui parla san Pietro è il Vangelo "di Gesù, Cristo, Figlio di Dio" (Mc 1, 1). È la Buona Notizia del mistero pasquale di Gesù. "Mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti" (1 Pt 1, 3), Dio suo Padre ci ha rigenerati nella sua grande misericordia "per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce" (1 Pt 1, 4). Tale è il contenuto del Vangelo annunciato da san Pietro e da tutti gli Apostoli che l’Esortazione Apostolica Postsinodale mette ben in evidenza.

Il titolo dell’Esortazione Apostolica, pertanto, riprende la versione latina della 1 Lettera di san Pietro, nella traduzione attribuita a san Gerolamo, la Volgata. Per la Divina provvidenza, la Verbum Domini porta la data del giorno della sua memoria liturgica, 30 settembre. È doveroso ricordare che un altro importante documento sulla Bibbia fu pubblicato nella stessa data 67 anni fa. Si tratta dell’enciclica Divino Afflante Spiritu del Servo di Dio Pio XII, pubblicata il 30 settembre 1943. San Gerolamo è menzionato anche nella Dei Verbum, una della quattro Costituzioni dommatiche del Concilio Ecumenico Vaticano II. In particolare, è citata la nota espressione "L'ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo" (DV 25), ripresa anche dalla Verbum Domini (cfr VD 30), documento che abbonda di citazioni patristiche. La Dei Verbum è spesso rievocata nell’Esortazione Apostolica Postsinodale, come del resto lo è stata anche nel corso dell’Assise sinodale. Anche per la somiglianza linguistica Dei Verbum - Verbum Domini l’Esortazione Apostolica Postsinodale rimanda alla Costituzione conciliare. La Verbum Domini riconosce il grande impulso che la Dei Verbum ha avuto nella riscoperta della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Al contempo, sotto l’azione dello Spirito Santo che guida la Chiesa nella continuità del proprio cammino, indicato dal Signore Gesù, il Sinodo sulla Parola di Dio ha voluto "approfondire ulteriormente il tema della divina Parola, sia come verifica dell’attuazione delle indicazioni conciliari, sia per affrontare le nuove sfide che il tempo presente pone ai credenti in Cristo" (VD 3). Di tale intento testimonia da Verbum Domini. È significativo che la Verbum Domini cominci con la citazione biblica con la quale si chiude la Dei Verbum: "Come dall'assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale dall'accresciuta venerazione per la parola di Dio, che ‘permane in eterno’ (Is 40, 8; cfr. 1 Pt 1, 23-25)" (DV 26).

Il titolo, poi, della Verbum Domini ha un importante rilievo liturgico. Infatti, dopo ogni lettura del brano della Sacra Scrittura nelle celebrazioni liturgiche, soprattutto nell’Eucaristia, il popolo di Dio ringrazia per il cibo della Parola esclamando Verbum Domini, rendendo grazie alla Persona del Verbo incarnato, Gesù di Nazaret, presente nella Parola proclamata. Il titolo, pertanto, indica la liturgia come luogo privilegiato della divina Parola.

III) Scopo dell’Esortazione Apostolica

Lo scopo della Verbum Domini è molteplice:

1) Comunicare i risultati dell’Assemblea sinodale, "far conoscere a tutto il Popolo di Dio la ricchezza emersa nell’assise sinodale vaticana e le indicazioni espresse dal lavoro comune" (VD 1). Il Santo Padre Benedetto XVI desidera presentare i risultati del Sinodo sulla Parola di Dio perché influiscano efficacemente sulla vita ecclesiale e sulla sua missione nel mondo.

2) Riscoprire la Parola di Dio, fonte di costante rinnovamento ecclesiale. "Indicare alcune linee fondamentali per una riscoperta della divina Parola nella vita della Chiesa, sorgente di costante rinnovamento" (VD 1). Le acquisizioni del Sinodo sulla Parola influiranno "sul personale rapporto con le sacre Scritture, sulla loro interpretazione nella Liturgia e nella catechesi come anche nella ricerca scientifica, affinché la Bibbia non rimanga una Parola del passato, ma la sua vitalità e attualità siano lette e dischiuse nella vastità delle dimensioni dei suoi significati" (VD 5). Intesa in tale senso, "la divina Parola sarà sempre di più il movente del rinnovamento della Chiesa chiamata a ringiovanire grazie alla Parola del Signore che rimane in eterno (1 Pt 1, 25; Is 40, 8)" (VD 124). Il rinnovamento presuppone l’ascolto, la meditazione, la conversione del cuore, attitudini indispensabili per poter osservare la Parola di Dio (cfr Lc 11, 28), sorgente di una Pentecoste anche oggi. Si tratta di "una Pentecoste ancora in cammino" (VD 4), dato che tuttora molte persone e popoli attendono la Parola di Dio nella propria lingua e cultura, fatto che rende urgente la missio ad gentes.

3) Promuovere l’animazione biblica della pastorale. La Parola di Dio, infatti, dovrebbe diventare "sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale" (VD 1). Perché ciò diventi realtà, bisogna favorire un’adeguata formazione biblica a tutti i livelli. Al riguardo, "occorre potenziare l’apostolato biblico, metodo assai valido per tale finalità, come dimostra l’esperienza ecclesiale" (VD 75).

4) Essere testimoni della Parola. I fedeli sono chiamati a riscoprire "l’incontro personale e comunitario con Cristo, Verbo della vita che si è reso visibile, e a farsi suoi annunciatori perché il dono della vita divina, la comunione, si dilati sempre più in tutto il mondo" (VD 2). "L’annuncio della Parola crea comunione e realizza la gioia" (VD 123). I cristiani hanno il dovere di "comunicare la gioia che viene dall’incontro con la Persona di Cristo", grande urgenza pastorale del nostro tempo. "Non esiste priorità più grande di questa: riaprire all’uomo di oggi l’accesso a Dio, al Dio che parla e ci comunica il suo amore perché abbiamo vita in abbondanza (cfr Gv 10, 10)" (VD 2).

5) Intraprendere una nuova evangelizzazione, "nella certezza dell’efficacia della divina Parola" (VD 96). "Il nostro dev’essere sempre più il tempo di un nuovo ascolto della Parola di Dio e di una nuova evangelizzazione" (VD 122). Riscoprire la centralità della divina Parola richiede di continuare, con rinnovato slancio, la missio ad gentes e "intraprendere con tutte le forze la nuova evangelizzazione, soprattutto in quelle nazioni dove il Vangelo è stato dimenticato o soffre l’indifferenza dei più a causa di un diffuso secolarismo" (VD 122). Nei Paesi della nuova evangelizzazione, la Parola di Dio deve essere proposta anche agli immigrati (cfr VD 105).

6) Favorire il dialogo ecumenico, sottolineando la centralità degli studi biblici in vista della piena unità di tutti i cristiani, convinti "che ascoltare e meditare insieme le Scritture ci fa vivere una comunione reale, anche se non ancora piena" (VD 46). È stato toccante ascoltare i delegati fraterni che hanno partecipato all’Assemblea sinodale, tra cui in modo particolare Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli (cfr VD 4). Occorre incrementare "lo studio, il confronto e le celebrazioni ecumeniche della Parola di Dio, nel rispetto delle regole vigenti e delle diverse tradizioni" (VD 46). Nel lavoro ecumenico di grande importanza sono le trduzioni comuni della Bibbia nelle diverse lingue.

7) Amare la Parola di Dio. Le precedenti indicazioni potrebbero essere sintetizzate nell’attitudine propria dei cristiani di lasciarsi guidare dallo Spirito Santo "per poter amare sempre di più la Parola di Dio" (VD 5) che, in definitiva, è la Persona di Gesù Cristo, Verbo incarnato. Ad amare la Bibbia sono invitati tutti i cristiani. La Verbum Domini ha, pertanto, notevole portata ecumenica.

IV) Struttura della Verbum Domini

L’Esortazione Apostolica Postsinodale è divisa in tre parti che a sua volta sono composte da alcuni capitoli. Essa trae l’ispirazione dallo stupendo Prologo del Vangelo di San Giovanni.

1) La prima parte, Verbum Dei, sottolinea il ruolo fondamentale di Dio Padre, fonte e origine della Parola (cfr VD 20-21), come pure la dimensione trinitaria della rivelazione. È divisa in tre capitoli. Nel primo, Il Dio che parla, si mette in risalto la volontà di Dio di aprire e intrattenere un dialogo con l’uomo, nel quale Dio prende l’iniziativa e si rivela in vari modi. Pertanto, adoperando la categoria dell’analogia, il Documento analizza diversi significati della divina Parola. Dio parla per mezzo della creazione, in particolare dell’uomo e della donna creati a sua immagine. Egli ha parlato per mezzo dei profeti. I libri dell’Antico e del Nuovo Testamento sono la sua Parola attestata e divinamente ispirata. La Tradizione viva della Chiesa è pure sua Parola. La Parola di Dio è anche il suo silenzio che ha avuto l’espressione culminante nella croce del Signore Gesù (cfr VD 21). Tutti i significati della Parola di Dio conducono a Lui, Verbo incarnato, espressione piena e perfetta della Parola di Dio. Pertanto, la Verbum Domini mette in risalto l’aspetto cristologico della Parola, sottolineando al contempo anche la dimensione pneumatologica, per evidenziare la sua fonte e termine in Dio Padre. In questa parte si affronta il rapporto tra Tradizione e Scrittura come pure il tema dell’ispirazione e verità della Bibbia.

La risposta dell’uomo al Dio che parla è il titolo del secondo capitolo. L’uomo è chiamato ad entrare nell’Alleanza con il suo Dio che lo ascolta e risponde alle sue domande. A Dio che parla, l’uomo risponde con la fede. La preghiera più indicata è quella fatta mediante le parole che lo stesso Dio ha rivelato e che sono mantenute scritte nella Bibbia. Essa spesso descrive il peccato dell’uomo come non ascolto della Parola di Dio. Tale peccato è stato vinto nell’obbedienza radicale di Gesù Cristo, fino alla morte di croce (cfr Fil 2, 8). La Vergine Maria, Mater Verbi e Mater fidei, offre l’esempio del compimento perfetto della reciprocità tra la Parola di Dio e la fede.

Il terzo capitolo è dedicato al tema L’Ermeneutica della sacra Scrittura nella Chiesa. È la parte più teorica del Documento, ma assai importante per la retta comprensione della Parola di Dio. La sacra Scrittura dovrebbe essere, come auspicato dalla Dei Verbum, "l’anima della sacra Teologia". La Chiesa è il luogo originario dell’interpretazione della Bibbia. Dopo alcune riflessioni sullo sviluppo della ricerca biblica e il Magistero della Chiesa, si presenta l’ermeneutica biblica del Concilio Vaticano II che occorre riscoprire anche per evitare un certo dualismo dell’ermeneutica secolarizzata. Esso potrebbe portare ad un’interpretazione fondamentalista o spiritualista della sacra Scrittura. La retta ermeneutica richiede la complementarità del senso letterale e spirituale, una armonia tra la fede e la ragione. Nel ribadire l’unità intrinseca della Bibbia, la Verbum Domini esamina il rapporto tra l’Antico e il Nuovo Testamento, senza trascurare le cosiddette pagine "oscure" della Bibbia, concentrandosi, poi, sul rapporto tra i cristiani e gli ebrei in riferimento alle sacre Scritture. Un rapporto del tutto speciale esiste tra i cristiani e gli ebrei, che condividono buona parte delle Scritture, che i cristiani denominano Antico Testamento. Inoltre, per comprendere in modo adeguato la persona stessa di Gesù Cristo, è necessario riconoscerlo come figlio del popolo ebreo, della sua cultura ed esperienza religiosa.

L’Esortazione Apostolica Postsinodale riflette anche su Bibbia ed ecumenismo, dato che la sacra Scrittura è un vincolo importante di unità tra i cattolici e gli altri cristiani, membri delle Chiese e comunità cristiane. La venerazione della Bibbia e l’amministrazione del sacramento del battesimo, rappresentano legami fondamentali tra tutti coloro che credono in Dio Uno e Trino, Padre, Figlio e Spirito Santo, il cui mistero è stato rivelato nella sacra Scrittura.

Il Documento poi fornisce validi contributi per un dialogo tra pastori, teologi ed esegeti, come pure sull’impostazione degli studi teologici. La parte dedicata all’ermeneutica della sacra Scrittura termina menzionando alcuni santi, rilevando che i santi sono i migliori interpreti della Parola di Dio.

2) La seconda parte, Verbum in Ecclesia, mette in risalto che, per la divina Provvidenza, la Chiesa è la casa della Parola di Dio che accoglie il Verbo fatto carne e che ha posto la sua tenda tra noi (cfr Gv 1, 14). Questa parte è divisa in tre capitoli. Il primo, La Parola di Dio e la Chiesa, sottolinea che grazie alla Parola di Dio e all’azione sacramentale, Gesù Cristo è contemporaneo agli uomini nella vita della Chiesa.

Liturgia luogo privilegiato della Parola di Dio è il titolo del secondo capitolo che riflette sulla Parola di Dio nella sacra Liturgia. Si sottolinea qui il nesso vitale tra la sacra Scrittura e i sacramenti, in particolare l’Eucaristia, dato che la Liturgia della Parola costituisce la prima parte della santa Messa. Il Documento prende in considerazione la Parola di Dio ed anche i sacramenti della Riconciliazione e dell’unzione degli Infermi. Il nesso tra i Sacramenti e la Parola di Dio apre la riflessione circa la sacramentalità della Parola, che ha bisogno di ulteriore approfondimento. Facendosi eco del pensiero dei Padri sinodali, la Verbum Domini richiama l’importanza del Lezionario che la riforma del Concilio Vaticano II ha arricchito con abbondanti brani della sacra Scrittura. In tale contesto, non si poteva omettere l’importanza della proclamazione della Parola e del ministero del lettorato e, soprattutto, dell’omelia, tema che ha notevole importanza nell’Esortazione Apostolica Postsinodale. La Verbum Domini sottolinea inoltre la grande rilevanza della Parola di Dio e della Liturgia delle Ore. Offre, poi, validi suggerimenti per l’animazione liturgica, la celebrazione e la proclamazione della Parola di Dio, il silenzio, il tempo liturgico cristiano, l’esclusività dei testi biblici nella liturgia, il canto biblicamente ispirato, l’attenzione particolare ai non vedenti e ai non udenti.

Il terzo capitolo è dedicato a La Parola di Dio nella vita ecclesiale, mettendo in risalto l’importanza dell’animazione biblica della pastorale, la dimensione biblica della catechesi, la formazione biblica dei cristiani, la sacra Scrittura nei grandi raduni ecclesiali, la Parola di Dio in rapporto alle vocazioni. Particolare attenzione è dedicata alla Parola di Dio e ai Pastori - vescovi, presbiteri, diaconi, candidati all’Ordine sacro -, ai membri di vita consacrata, come pure ai fedeli laici e, soprattutto, in seno al matrimonio e alla famiglia. Notevole parte del capitolo è riservata alla lettura orante della sacra Scrittura, in particolare, alla Lectio divina, e alla preghiera mariana. Il capitolo termina con appropriate riflessioni sulla Parola di Dio e la Terra Santa, ove la Parola di Dio si è incarnata, è stata rivelata e gelosamente custodita nella forma orale e scritta.

3) La terza parte, Verbum mundo, sottolinea il dovere dei cristiani di annunciare la Parola di Dio nel mondo in cui vivono ed operano. Essa è divisa in quattro capitoli. Il primo, La missione della Chiesa: annunciare la Parola di Dio, riflette sulla missione della Chiesa che ha come punto di partenza e di arrivo il mistero di Dio Padre. Il Verbo di Dio ci ha comunicato la vita divina. La sua Parola ci coinvolge non soltanto come destinatari ma anche come suoi annunciatori. Infatti, tutti i battezzati sono responsabili dell’annuncio della Parola di Dio dalla quale proviene la missione della Chiesa. Essa è orientata al primo annuncio, ad gentes, a coloro che tuttora non conoscono il Verbo, Parola di Dio, ma anche a coloro che sono stati battezzati ma non sufficientemente evangelizzati e che hanno bisogno di una nuova evangelizzazione per riscoprire la Parola di Dio. La credibilità dell’annuncio della Buona Notizia dipende dalla testimonianza della vita cristiana.

Parola di Dio e impegno nel mondo è il titolo del secondo capitolo. In esso sono indicate piste per un’animazione della complessa realtà del mondo tramite la Parola di Dio. I cristiani sono chiamati a servire il Verbo di Dio nei fratelli più piccoli e, dunque, ad impegnarsi nella società per la riconciliazione, la giustizia e la pace tra i popoli. La Parola di Dio è sorgente di una carità operosa e creativa per alleviare le sofferenze dei poveri in senso materiale e spirituale. La Verbum Domini si rivolge, con la luce della Parola di Dio, ai giovani, ai migranti, ai sofferenti, ai poveri. Essa ha pure importanti connotazioni ecologiche nella visione cristiana del creato che è anche, in modo analogico, Parola di Dio.

Il terzo capitolo è dedicato alla Parola di Dio e culture, dato che la Bibbia è giustamente percepita come grande codice per la cultura dell’umanità, sorgente inesauribile di espressioni artistiche fino ai nostri giorni. Pertanto, sarebbe auspicabile che la Bibbia fosse meglio conosciuta nelle scuole e università e che i mezzi di comunicazione sociale siano adoperati sempre meglio nella sua divulgazione, usufruendo di tutte le attuali possibilità tecniche. Il tema dell’inculturazione della sacra Scrittura è legato anche alle traduzioni e alla diffusione della Bibbia, che bisogna ulteriormente incrementare. Ad ogni modo, la Parola di Dio ha bisogno di esprimersi nelle culture dei popoli, ma essa supera abbondantemente i limiti delle culture umane.

Parola di Dio e dialogo interreligioso è il tema del quarto capitolo. Dopo aver stabilito il valore e l’attualità del dialogo interreligioso, la Verbum Domini, alla luce della Parola di Dio che si è pienamente rivelata nella Persona di Gesù Cristo, fornisce valide indicazioni circa il dialogo tra cristiani e musulmani, come pure con gli appartenenti ad altre religioni non cristiane, nel quadro della libertà religiosa che implica non solamente la libertà di professare la propria fede in privato e in pubblico, ma anche la libertà di coscienza e cioè di scegliere la propria religione.

Nella Conclusione, il Santo Padre Benedetto XVI ribadisce l’esortazione a tutti i cristiani "ad impegnarsi per diventare sempre più familiari con le sacre Scritture" (VD 121). La Parola di Dio spinge alla missione, come mostra l’esempio di san Paolo, Apostolo delle genti. "Così anche oggi lo Spirito Santo non cessa di chiamare ascoltatori e annunciatori convinti e persuasivi della Parola del Signore" (VD 122). Essi sono chiamati ad essere "annunciatori credibili della Parola di salvezza", comunicando "la fonte della vera gioia... che scaturisce dalla consapevolezza che solo il Signore Gesù ha parole di vita eterna (cfr Gv 6, 68)" (VD 123). "Questa intima relazione tra la Parola di Dio e la gioia è posta in evidenza proprio nella Madre di Dio, ‘Mater Verbi et Mater laetitiae’" (VD 124).

V) Contributo del Papa Benedetto XVI

Al termine, occorre rilevare il grande contributo del Santo Padre Benedetto XVI all’Esortazione Apostolica Postsinodale. In essa è raccolto il suo ricco Magistero sulla Parola di Dio, espresso anche durante la XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Oltre l’intervento del 14 ottobre 2008 nell’Aula sinodale, che è stato accolto dai Padri sinodali e elaborato nella Verbum Domini, particolarmente dense di contenuto sono state le omelie all’inizio e alla fine della celebrazione dell’Assise sinodale che, arricchendo le riflessioni sinodali, hanno qualificato la presente Esortazione Apostolica Postinodale. Essa infatti non solamente comunica le riflessioni dell’Assise sinodale e i consigli rivolti al Santo Padre, bensì su vari aspetti ne rappresenta un vero approfondimento. Tenendo presenti le numerose citazioni e i richiami all’illuminato Magistero di Sua Santità, è doveroso riconoscere il contributo qualificato del Vescovo di Roma, Presidente del Sinodo dei Vescovi, alle discussioni sinodali, che poi ha sviluppato nella Verbum Domini. Esso evidenzia ancora una volta, la priorità della Parola di Dio nel suo Pontificato. Prendendo in considerazione tali fatti, si potrebbe concludere che il Santo Padre Benedetto XVI può essere definito il Papa della Parola di Dio.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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# INTERVENTO DEL REV.MO MONS. FORTUNATO FREZZA

Se è vero che «considerando la Chiesa come "casa della Parola", si deve innanzitutto porre attenzione alla sacra liturgia. È questo infatti l’ambito privilegiato in cui Dio parla a noi nel presente della nostra vita, parla oggi al suo popolo, il quale ascolta e risponde» (VD, 52), appare del tutto coerente che nell’Esortazione Apostolica Postsinodale di Sua Santità Benedetto XVI Verbum Domini, successiva alla XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio, quella dichiarazione si trovi nel cuore stesso del documento, al suo centro fisico e programmatico.

Delle tre parti che compongono il testo pontificio, la seconda, «Verbum in Ecclesia», dopo i due titoli generali d’esordio, La Chiesa accoglie la Parola, Contemporaneità di Cristo nella Chiesa, mette immediatamente a tema l’argomento centrale: «Liturgia, luogo privilegiato della parola di Dio», esattamente alle pagine mediane del volume. Il significato simbolico di questa collocazione tipografica procura un supplemento d’attenzione alle parole, citate nella Verbum Domini, della costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II: «Nella celebrazione liturgica la Sacra Scrittura ha una importanza estrema. Da essa infatti si attingono le letture […]; da essa infine prendono significato le azioni e i simboli liturgici» (SC 24). «Pertanto occorre comprendere e vivere il valore essenziale dell’azione liturgica per la comprensione della Parola di Dio» (VD 52). E questa non sembri una semplice raccomandazione contenuta nel documento, perché essa si presenta come una vera e propria dichiarazione programmatica, come un principio primo che governa non solo la comprensione come esclusiva attività intellettiva, ma soprattutto il "comprendere e vivere" la liturgia in vista della comprensione della Parola di Dio. Questo avviene perché Liturgia e Parola di Dio si compenetrano in stringente reciprocità: la Parola di Dio divinizza l’azione liturgica, la Liturgia è luogo privilegiato per la comprensione della Parola di Dio, comprensione che si qualifica secondo il dinamismo paolino del conoscere per essere conosciuto (cfr. 1Cor 13, 12) e del conoscere per operare nella vita secondo lo spirito (cfr. Fil 3, 8; Ef 3, 16-20).

Questa sezione centrale, che riguarda appunto la Parola di Dio annunciata nella Liturgia, sotto il titolo generale VERBUM IN ECCLESIA con il successivo sottotitolo LITURGIA LUOGO PRIVILEGIATO DELLA PAROLA DI DIO contiene in una serie di ben diciannove voci, nei numeri da 52 a 71, uno specifico inserto sull’articolazione della professione della Parola di Dio nei diversi momenti liturgici:

1. La Parola di Dio nella sacra Liturgia

2. Sacra Scrittura e sacramenti

3. Parola di Dio ed Eucaristia

4. La sacramentalità della Parola

5 La sacra Scrittura e il Lezionario

6. Proclamazione della Parola e ministero del lettorato

7. L’importanza dell’omelia

8. Opportunità di un Direttorio omiletico

9. Parola di Dio, Riconciliazione e Unzione degli infermi

10. Parola di Dio e Liturgia delle Ore

11. Parola di Dio e Benedizionale

12. Suggerimenti e proposte concrete per l’animazione liturgica

13. a) Celebrazioni della Parola di Dio

14. b) La Parola e il silenzio

15. c) Proclamazione solenne della Parola di Dio

16. d) La Parola di Dio nel tempio cristiano

17. e) Esclusività dei testi biblici nella liturgia

18. f) Canto liturgico biblicamente ispirato

19. g) Particolare attenzione ai non vedenti/udenti

Così, alle affermazioni dottrinali circa il rapporto originario tra Parola di Dio e Liturgia del n. 52, tra Parola di Dio e Sacramenti del n. 53, segue la spiegazione dei diversi modi in cui in alcuni sacramenti la Parola di Dio è proclamata.

Poiché la liturgia costituisce per la fede l’orizzonte ermeneutico della Parola di Dio, significa che anche nei singoli atti liturgici, come sono i sacramenti, l’annuncio biblico rivela la sua verità sia nella proclamazione liturgica sia negli effetti del sacramento celebrato. In questo modo si raggiunge quella comprensione totale della mente e della vita che connota l’esistenza cristiana.

La liturgia della Parola è un elemento essenziale nella celebrazione di ciascun sacramento della Chiesa e nella relazione tra parola e gesto sacramentale si mostra in forma liturgica l’agire proprio di Dio nella storia mediante quello che viene chiamato il carattere performativo della Parola stessa, che realizza ciò che dice (VD 53).

La parte che il documento riserva alla celebrazione eucaristica è preponderante e si svolge su sette numeri, da 54 a 60, toccando argomenti dottrinali costitutivi, quali Parola di Dio ed Eucaristia (nn. 54-55), Sacramentalità della Parola (n. 56), e proponendo applicazioni concrete in riferimento a lezionario (n. 57), ministero del lettorato (n. 58) , omelia (nn. 59-60).

Inoltre, se al centro della relazione tra Parola di Dio e sacramenti sta indubbiamente l’Eucaristia, tuttavia è bene sottolineare l’importanza della sacra Scrittura anche negli altri sacramenti, in particolare quelli di guarigione: ossia il sacramento della riconciliazione, o confessione, e il sacramento dell’unzione degli infermi. Nella celebrazione di quest’ultimo agisce la forza sanante della Parola di Dio. La Sacra Scrittura narra intensi momenti di conforto, sostegno e guarigione vissuti da Gesù a favore dei sofferenti, dimostrazione di come Egli si sia caricato della sofferenza umana, dando così senso al dolore e al morire (VD 61).

Nella vita di preghiera della Chiesa la Liturgia delle Ore occupa il posto dovuto alla stessa opera di Dio per eccellenza, nella quale lo Spirito del Signore risorto suggerisce ai fedeli parole e gesti di lode, supplica, adorazione, rendimento di grazie, nell’ascolto della Parola di Dio che viene proclamata, ascoltata, trasformata in preghiera dall’intera comunità della Chiesa. Nella liturgia delle Ore, come preghiera quotidiana pubblica della Chiesa, si mostra l’ideale cristiano di santificazione della giornata scandita dalle diverse ore. È giusto, pertanto, che si diffonda maggiormente nel popolo di Dio questo tipo di preghiera, specialmente la recita delle Lodi e dei Vesperi. Tale incremento non potrà che aumentare tra i fedeli la familiarità con la Parola di Dio (VD 62).

Dal libro biblico l’attenzione si sposta ai libri liturgici che ne raccolgono e proclamano il messaggio nei diversi atti e momenti. In questa prospettiva, il Lezionario assume una propria evidenza per la dignità che riveste come deposito fisico della Parola di Dio; esso favorisce la comprensione dell’unità del piano divino, mediante la correlazione tra le letture dell’Antico e del Nuovo Testamento (VD 57). Alle letture del Legionario segue l’omelia come «attualizzazione del messaggio scritturistico, in modo tale che i fedeli siano indotti a scoprire la presenza e l’efficacia della Parola di Dio nell’oggi della propria vita». Essa è parte dell’azione liturgica; ha il compito di favorire una più piena comprensione ed efficacia della Parola di Dio nella vita dei fedeli; deve condurre alla comprensione del mistero che si celebra, invitare alla missione e alla comunione (VD 59).

Si dà poi rilievo anche al Benedizionale, nel quale appare evidente il vincolo tra benedizione e Parola di Dio. Infatti, il gesto della benedizione non è da isolare, ma da collegare alla vita liturgica del popolo di Dio. In questo senso la benedizione, come vero segno sacro, attinge senso ed efficacia dalla proclamazione della Parola di Dio (VD 63).

L’Esortazione, nella parte finale della sezione dedicata alla liturgia come luogo privilegiato della Parola di Dio, propone diversi suggerimenti e proposte concrete per l’animazione liturgica con raccomandazioni pratiche atte a favorire nel popolo di Dio una sempre maggiore familiarità con la Parola di Dio nell’ambito delle azioni liturgiche. A questo scopo il centro di attenzione si sposta sulle Celebrazioni della Parola di Dio distinte e diverse dagli atti liturgici veri e propri. Esse assumono particolare importanza in preparazione alla celebrazione eucaristica domenicale, sono significative soprattutto nei tempi liturgici di Avvento e Natale, Quaresima e Pasqua, si raccomandano in quelle comunità in cui, a causa della scarsità di sacerdoti, non è possibile celebrare il sacrificio eucaristico nei giorni di precetto festivo, come anche in occasione di pellegrinaggi, feste particolari, missioni al popolo, ritiri spirituali e giorni speciali di penitenza, riparazione e perdono.

Un particolare modo di onorare la Parola è il silenzio che segue la proclamazione di essa, in quanto permette la migliore attitudine per un profondo ascolto del cuore. Al conseguimento di tale scopo è necessaria un’azione educativa specifica, poiché raccoglimento e quiete interiore sono minacciati dal genere di vita concitata e dispersiva della società odierna (VD 66).

Un’attenzione ulteriore è dedicata ai luoghi: il tempio, l’ambone, l’altare, e agli stessi strumenti di diffusione acustica delle letture bibliche, per rendere accessibile l’ascolto anche a persone le cui condizioni di salute riducono la partecipazione attiva alla liturgia, come sono, ad esempio, i non vedenti e i non udenti (VD 68).

Nel grande atto di venerazione della Parola di Dio, all’interno della celebrazione liturgica, il canto occupa un posto privilegiato come elemento di bellezza che accompagna l’atto liturgico. L’ispirazione biblica dei canti favorisce la percezione unitaria della liturgia, che si alimenta della Parola di Dio dall’inizio e nello svolgimento delle diverse parti celebrative. Il canto e tutti gli altri elementi dell’arte cristiana mostrano sensibilmente l’Invisibile e l’Inudibile mistero di Dio (VD 70-71).

Un’ultima annotazione. La Verbum Domini manifesta una evidente relazione con la Dei Verbum, costituzione del Concilio Vaticano II sulla divina Rivelazione, che risulta essere ambito e matrice di pensiero e di continuità feconda per gli sviluppi propri del documento attuale. In esso risalta inoltre la caratteristica di un linguaggio piano, persuasivo che esprime adeguatamente la sua stessa natura esortativa. Infine esso rivela un’attenzione costante ad atti concreti ed esecutivi della testimonianza di ascolto e accoglienza che la Chiesa rende nel tempo alla eterna Parola del Signore.

[01585-01.01]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/11/2010 11:25
 
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[SM=g1740733] ottima presentazione dal sito Petrus:

www.papanews.it/news.asp?IdNews=15681

Pubblicata l’esortazione post sinodale ‘Verbum Domini’: “Più silenzio durante la Messa, no a divagazioni e poesie, le omelie generiche e astratte occultano la semplicità della Parola di Dio”


CITTA’ DEL VATICANO - E' stata pubblicata una 'esortazione apostolica' del Papa che trae origine dalla XII assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi che si è svolto in Vaticano dal 5 al 26 ottobre 2008 ed ha avuto come tema 'La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa'.

Si tratta di "alcune linee fondamentali per una riscoperta, nella vita della Chiesa, della divina Parola, sorgente di costante rinnovamento, auspicando al contempo che essa diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale", scrive il Pontefice.

Il sinodo ha voluto concentrarsi sulla Bibbia per "riscoprire ciò che nel quotidiano rischiamo di dare per scontato: il fatto che Dio parli e risponda alle nostre domande". Mediante l'esortazione apostolica, il Pontefice spiega di desiderare che "le acquisizioni del Sinodo influiscano efficacemente sulla vita della Chiesa: sul personale rapporto con le sacre Scritture, sulla loro interpretazione nella liturgia e nella catechesi come anche nella ricerca scientifica, affinché la Bibbia non rimanga una Parola del passato, ma una Parola viva e attuale".

Il documento porta la firma del 30 settembre, memoria di San Girolamo. "La diaconia della carità, che non deve mai mancare nelle nostre Chiese, deve essere sempre legata all`annuncio della Parola e alla celebrazione dei santi misteri", evidenzia il Santo Padre nell’esortazione apostolica 'Verbum domini' dedicata alla povertà.

"Nello stesso tempo - evidenzia il Papa - occorre riconoscere e valorizzare il fatto che gli stessi poveri sono anche agenti di evangelizzazione". Sarebbe "sbagliato", per Ratzinger, "non considerare quei brani della Scrittura che ci appaiono problematici". Nel passaggio ai tratti "oscuri" della Bibbia ("La rivelazione si adatta al livello culturale e morale di epoche lontane e riferisce quindi fatti e usanze, ad esempio manovre fraudolente, interventi violenti, sterminio di popolazioni"), il Papa sostiene che, piuttosto, "si deve essere consapevoli che la lettura di queste pagine richiede l`acquisizione di un`adeguata competenza, mediante una formazione che legga i testi nel loro contesto storico-letterario e nella prospettiva cristiana, che ha come chiave ermeneutica ultima 'il Vangelo e il comandamento nuovo di Gesù Cristo compiuto nel mistero pasquale'. Perciò esorto gli studiosi e i Pastori ad aiutare tutti i fedeli ad accostarsi anche a queste pagine mediante una lettura che faccia scoprire il loro significato alla luce del mistero di Cristo".

Il Papa striglia, poi, un certo modo approssimativo di celebrare la Messa e, in vari punti dell'esortazione apostolica sulla Parola di Dio, 'Verbum Domini', critica le "divagazioni" nelle omelie, l'assenza di silenzio e gli "abusi" liturgici di chi nelle celebrazioni liturgiche non legge la Bibbia ma brani di letteratura.
"Coloro che per ministero specifico sono deputati alla predicazione abbiano veramente a cuore questo compito", scrive Benedetto XVI. "Si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l`attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico".

I preti devono conosce la Sacra Scrittura e predicare "con convinzione e passione".

Il Pontefice auspica che si diffonda la 'liturgia delle ore' ("Non potrà che aumentare tra i fedeli la familiarità con la Parola di Dio") e, quanto al silenzio, evidenzia: "Il nostro tempo non favorisce il raccoglimento e a volte si ha l`impressione che ci sia quasi timore a staccarsi, anche per un momento, dagli strumenti di comunicazione di massa. Per questo è necessario oggi educare il Popolo di Dio al valore del silenzio. Riscoprire la centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa vuol dire anche riscoprire il senso del raccoglimento e della quiete interiore".

Il Sinodo del 2008 sulla Bibbia, rammenta ancora il Papa, "ha vivamente ribadito quanto, peraltro, già stabilito dalla norma liturgica della Chiesa, che le letture tratte dalla sacra Scrittura non siano mai sostituite con altri testi, per quanto significativi dal punto di vista pastorale o spirituale". Si tratta "di una disposizione antica della Chiesa che va mantenuta. Di fronte ad alcuni abusi, già il Papa Giovanni Paolo II aveva richiamato l`importanza di non sostituire mai la sacra Scrittura con altre letture. Ricordiamo che anche il Salmo responsoriale è Parola di Dio, con la quale rispondiamo alla voce del Signore e per questo - conclude Ratzinger - non deve essere sostituito da altri testi; mentre è assai opportuno poterlo eseguire in forma cantata".


Fraternamente CaterinaLD

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/11/2010 11:59
 
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[SM=g1740733] Ottimo anche il commento di Salvatore Izzo:

PAPA: NON BASTANO I VALORI CONDIVISI, L'ANNUNCIO DEL VANGELO DEVE ESSERE ESPLICITO

(AGI) - CdV, 11 nov.

(di Salvatore Izzo)

I cattolici non possono limitarsi a "suggerire al mondo valori condivisi"; occorre che si impegnino "nell'annuncio esplicito della Parola di Dio".

"Solo cosi' - afferma Benedetto XVI nell'Esortazione Apostolica 'Verbum Domini' pubblicata ieri - saremo fedeli al mandato di Cristo. La Buona Novella, proclamata dalla testimonianza di vita, dovra' dunque essere presto o tardi annunziata dalla parola di vita.
Non c'e' vera evangelizzazione se il nome, l'insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesu' di Nazareth, Figlio di Dio, non sono proclamati".

Questa impostazione rappresenta in una certa misura una svolta rispetto, ad esempio, al dialogo con gli ebrei (che il testo definisce "prezioso").

"Papa Giovanni Paolo II - ricorda il successore - ha dichiarato: siete i 'nostri fratelli prediletti' nella fede di Abramo, nostro patriarca".
"Certo - spiega Ratzinger - queste affermazioni non significano misconoscimento delle rotture affermate nel Nuovo Testamento nei confronti delle istituzioni dell'Antico Testamento e meno ancora dell'adempimento delle Scritture nel mistero di Gesu' Cristo, riconosciuto messia e Figlio di Dio".
Resta dunque "una differenza profonda e radicale" ma essa "non implica affatto ostilita' reciproca".
"Traiamo il nostro nutrimento - rileva il testo - dalle medesime radici spirituali.
Ci incontriamo come fratelli, fratelli che in certi momenti della loro storia hanno avuto un rapporto teso, ma che adesso sono fermamente impegnati nella costruzione di ponti di amicizia duratura".
"E' bene - dunque - che dove se ne veda l'opportunita' si creino possibilita' anche pubbliche di
incontro e confronto".


Il Papa incoraggia nel documento anche il dialogo con l'Islam (e dedica un intero capitolo al tema dell'immigrazione, presentati come un'occasione per l'evangelizzazione, "nel rispetto e senza imposizioni").

"Riconosciamo - scrive il Pontefice - che nella tradizione dell'Islam vi sono molte figure, simboli e temi biblici". "In continuita' con l'importante opera del Venerabile Giovanni Paolo II, auspico che i rapporti di fiducia, instaurati da diversi anni, fra cristiani e musulmani, proseguano e si sviluppino in uno spirito di dialogo sincero e rispettoso.

In questo dialogo, il Sinodo ha espresso l'auspicio che possano essere approfonditi il rispetto della vita come valore fondamentale, i diritti inalienabili dell'uomo e della donna e la loro pari dignita'. Tenuto conto della distinzione tra l'ordine socio-politico e l'ordine religioso, le religioni devono dare il loro contributo per il bene comune".

"Non cessiamo di alzare la nostra voce perche' i governi delle Nazioni garantiscano a tutti liberta' di coscienza e di religione, anche di poter testimoniare la propria fede pubblicamente", afferma in proposito Benedetto XVI che ricorda "le innumerevoli testimonianze di coloro che hanno saputo vivere la fede e dare testimonianza fulgida del Vangelo anche sotto regimi avversi al Cristianesimo o in situazioni di persecuzioni", ascoltate durante l'Assemblea sinodale, dalle quali, confida, "siamo stati profondamente commossi".

"Tutto questo - osserva - non ci deve fare paura. Gesu' stesso ha detto ai suoi discepoli: 'se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi'"

Il documento affronta anche il tema del fondamentalismo.
"Non si puo' usare la violenza in nome di Dio. Ogni religione dovrebbe spingere verso un uso corretto della ragione e promuovere valori etici che edificano la convivenza civile", scrive ricordando ai cattolici di tutto il mondo, con le parole di San Paolo, che "Cristo e' la nostra pace, colui che abbatte i muri di divisione".

"Tante testimonianze nel Sinodo - sottolinea il Pontefice - hanno documentato i gravi e sanguinosi conflitti e le tensioni presenti sul nostro pianeta. A volte tali ostilita' sembrano assumere l'aspetto del conflitto interreligioso. Ancora una volta - ribadisce - desidero ribadire che la religione non puo' mai giustificare intolleranza o guerre".

"Fedeli all'opera di riconciliazione compiuta da Dio in Gesu' Cristo, crocifisso e risorto, i cattolici e tutti gli uomini di buona volonta' si impegnino - chiede il Papa - a dare esempi di riconciliazione per costruire una societa' giusta e pacifica".
"Non dimentichiamo mai - raccomanda - che la' dove le parole umane diventano impotenti, perche' prevale il tragico rumore della violenza e delle armi, la forza profetica della Parola di Dio non viene meno e ci ripete che la pace e' possibile, e che dobbiamo essere noi strumenti di riconciliazione e di pace".

Il rischio del fondamentalismo riguarda sottolinea il Papa anche la fede cristiana. "La Parola divina, pronunciata nel tempo, si e' donata e consegnata alla Chiesa in modo definitivo, cosicche' l'annuncio della salvezza possa essere comunicato efficacemente in tutti i tempi e in tutti i luoghi", ricorda nell'Esortazione Apostolica per ribadire l'inscindibile legame tra Scrittura e Tradizione nella fede cattolica, sottolineando che anche "il Concilio Vaticano II ricorda come questa Tradizione di origine apostolica sia realta' viva e dinamica: essa progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo; non nel senso che essa muti nella sua verita', che e' perenne".

Per Benedetto XVI, dunque, "da una parte, occorre una fede che mantenendo un adeguato rapporto con la retta ragione non degeneri mai in fideismo, il quale nei confronti della Scrittura diverrebbe fautore di letture fondamentaliste.
Dall'altra parte, e' necessaria una ragione che indagando gli elementi storici presenti nella Bibbia si mostri aperta e non rifiuti aprioristicamente tutto cio' che eccede la propria misura".
Nel suo documento, il Papa analizza lo stato attuale degli studi biblici, rilevando l'importante apporto dato "dall'esegesi storico critica" (nata in ambito protestante) ma denuncia al contempo il grave rischio di "un dualismo" tra esegesi e teologia: da una parte, una esegesi che si limita al metodo storico-critico, diventando "un'ermeneutica secolarizzata", dove tutto e' ridotto "all'elemento umano", fino a negare "la storicita' degli elementi divini"; dall'altra, una teologia "che si apre alla deriva di una spiritualizzazione del senso delle Scritture che non rispetta il carattere storico della rivelazione".

Il Papa auspica "l'unita' dei due livelli" interpretativi, che in definitiva presuppone "una armonia tra la fede e la ragione", in modo che la fede "non degeneri mai in fideismo". Si inserisce in questo ragionamento la richiesta di incrementare la "pastorale biblica", che - sottolinea Ratzinger - servira' anche a rispondere al fenomeno della "proliferazione di sette, che diffondono una lettura distorta e strumentale della sacra Scrittura", e favorira' "la diffusione di piccole comunita'" per promuovere "la conoscenza della Bibbia secondo la fede della Chiesa". Per il Papa, e' necessaria "un'adeguata formazione dei cristiani e, in particolare, dei catechisti", riservando attenzione "all'apostolato biblico".



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12/11/2010 12:12
 
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Sintesi dell’Esortazione apostolica postsinodale “Verbum Domini”


“Dio si rivela all’uomo con il dono della sua Parola”


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 11 novembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la sintesi dell’Esortazione apostolica postsinodale di Benedetto XVI “Verbum Domini”, pubblicata questo giovedì dalla Sala stampa della Santa Sede.



* * *

“Riscoprire la centralità della Parola di Dio” nella vita personale e della Chiesa e “l’urgenza e la bellezza” di annunciarla per la salvezza dell’umanità come “testimoni convinti e credibili del Risorto”: è questo, in sintesi, il messaggio di Benedetto XVI nell’Esortazione apostolica postsinodale “Verbum Domini”, che raccoglie le riflessioni e le proposte emerse dal Sinodo dei Vescovi svoltosi in Vaticano nell’ottobre 2008 sul tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Il documento, lungo quasi 200 pagine, è un appassionato appello rivolto dal Papa ai pastori, ai membri della vita consacrata e ai laici a “diventare sempre più familiari con le sacre Scritture”, non dimenticando mai “che a fondamento di ogni autentica e viva spiritualità cristiana sta la Parola di Dio annunciata, accolta, celebrata e meditata nella Chiesa” (121).

Dio comunica se stesso …

Benedetto XVI sviluppa la sua riflessione a partire dal Prologo del Vangelo di Giovanni che ci pone di fronte “al mistero di Dio che comunica se stesso mediante il dono della sua Parola … il suo Verbo si fece carne (Gv 1,14). Questa è la buona notizia” (1). “In un mondo che spesso sente Dio come superfluo o estraneo,” - afferma - “non esiste priorità più grande di questa: riaprire all’uomo di oggi l’accesso a Dio, al Dio che parla e ci comunica il suo amore perché abbiamo vita in abbondanza” (2).

Dio non è estraneo all’uomo.

Il Papa sottolinea con forza che “Dio parla e interviene nella storia a favore dell’uomo”, il quale, solo aprendosi al dialogo col suo Creatore, può comprendere se stesso e soddisfare le sue più profonde aspirazioni. “La Parola di Dio, infatti – si legge nel documento - non si contrappone all’uomo, non mortifica i suoi desideri autentici, anzi li illumina, purificandoli e portandoli a compimento … Nella nostra epoca purtroppo – scrive Benedetto XVI – si è diffusa, soprattutto in Occidente, l’idea che Dio sia estraneo alla vita ed ai problemi dell’uomo e che, anzi, la sua presenza possa essere una minaccia alla sua autonomia”. In realtà, “solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo!”. Per il Papa “è decisivo, dal punto di vista pastorale, presentare la Parola di Dio nella sua capacità di dialogare con i problemi che l’uomo deve affrontare nella vita quotidiana … La pastorale della Chiesa deve illustrare bene come Dio ascolti il bisogno dell’uomo ed il suo grido” per offrirgli “la pienezza della felicità eterna” (22-23). In questo senso è importante educare i fedeli a riconoscere “la radice del peccato nel non ascolto della Parola del Signore e ad accogliere in Gesù, Verbo di Dio, il perdono che ci apre alla salvezza” (26).

Il Cristianesimo, “religione della Parola di Dio”.

Ricordando “il grande impulso” dato dal Concilio Vaticano II per la riscoperta della Parola di Dio nella vita della Chiesa (3), nel documento si ribadisce la grande venerazione per le sacre Scritture, “pur non essendo la fede cristiana una ‘religione del Libro’: il cristianesimo è la ‘religione della Parola di Dio’, non di ‘una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente’” (7) alla cui luce “si chiarisce definitivamente l’enigma della condizione umana” (6). Infatti, Gesù Cristo è la “Parola definitiva di Dio”: per questo “non è da aspettarsi alcun’altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore”. In questo contesto occorre “aiutare i fedeli a distinguere bene la Parola di Dio dalle rivelazioni private”, il cui ruolo “non è quello... di ‘completare’ la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica”. La rivelazione privata è “un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso” (14).

La Parola di Dio senza l’aiuto dello Spirito Santo ….

Riferendosi alla retta interpretazione della Parola, il Papa sottolinea che “non v’è alcuna comprensione autentica della Rivelazione cristiana al di fuori dell’azione del Paraclito” (15) come dice san Girolamo: “non possiamo arrivare a comprendere la Scrittura senza l’aiuto dello Spirito Santo che l’ha ispirata” (16): è una comprensione che cresce nel tempo, con l’assistenza dello Spirito Santo, grazie alla Tradizione viva della Chiesa e al Magistero, al quale spetta “d’interpretare autenticamente la Parola di Dio, scritta o trasmessa” (33). “Il luogo originario dell’interpretazione scritturistica è la vita della Chiesa”, in quanto “nessuna Scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione” (29); del resto, sempre san Girolamo ricorda che “non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore” (30).

L’unità dei due livelli interpretativi della Parola di Dio.

Il Papa analizza lo stato attuale degli studi biblici, rilevando che “dal fecondo rapporto tra esegesi e teologia dipende gran parte dell’efficacia pastorale dell’azione della Chiesa e della vita spirituale dei fedeli” (31). Riconosce l’importante apporto dato “dall’esegesi storico critica” e da altri metodi (32) ma segnala il grave rischio, oggi, di “un dualismo” tra esegesi e teologia: da una parte, una esegesi che si limita al metodo storico-critico, diventando “un’ermeneutica secolarizzata”, dove tutto è ridotto “all’elemento umano”, fino a negare “la storicità degli elementi divini”; dall’altra, una teologia “che si apre alla deriva di una spiritualizzazione del senso delle Scritture che non rispetta il carattere storico della rivelazione”. Il Papa auspica “l’unità dei due livelli” interpretativi, che in definitiva presuppone “una armonia tra la fede e la ragione”, in modo che la fede “non degeneri mai in fideismo”, con la conseguenza di una lettura fondamentalista della Bibbia, e una ragione che “si mostri aperta e non rifiuti aprioristicamente tutto ciò che eccede la propria misura” (33-36). Benedetto XVI esprime, quindi, l’auspicio che nell’ambito dell’interpretazione dei testi sacri “la ricerca … possa progredire”, portando “frutto per la scienza biblica e per la vita spirituale dei fedeli” (19), e nello stesso tempo che si possa ampliare il dialogo tra pastori, esegeti e teologi (45) nella consapevolezza che, in questo campo, “la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre” (47).

Parola di Dio e vita.

Si sottolinea inoltre che “si può comprendere la Scrittura solo se la si vive” (47): infatti “l’interpretazione più profonda della Scrittura … viene proprio da coloro che si sono lasciati plasmare dalla Parola di Dio”, i santi. “Mettersi alla loro scuola costituisce una via sicura per intraprendere un’ermeneutica viva ed efficace della Parola di Dio” (48-49). E riferendosi a Maria, “figura della Chiesa in ascolto della Parola di Dio che in lei si fa carne”, il Papa esorta “gli studiosi ad approfondire maggiormente il rapporto tra mariologia e teologia della Parola” (27).

Parola di Dio, ecumenismo e dialogo interreligioso.

Il documento sottolinea anche “la centralità degli studi biblici nel dialogo ecumenico”, apprezzando la promozione di “celebrazioni ecumeniche dell’ascolto della Parola di Dio”, perché “l’ascolto comune delle Scritture spinge … al dialogo della carità e fa crescere quello della verità” (46). Il Papa, ribadendo che “la rivelazione dell’Antico Testamento continua a valere per noi cristiani” in quanto Parola di Dio, afferma che “la radice del Cristianesimo si trova nell’Antico Testamento e il Cristianesimo si nutre sempre a questa radice” (40). Di qui deriva un “legame peculiare … tra cristiani ed ebrei, un legame che non dovrebbe mai essere dimenticato” e che deve portare i cristiani ad “un atteggiamento di rispetto, di stima e di amore per il popolo ebraico”. “Desidero riaffermare ancora una volta – scrive Benedetto XVI – quanto prezioso sia per la Chiesa il dialogo con gli ebrei” (43). D’altra parte, “la Chiesa riconosce come parte essenziale dell’annuncio della Parola l’incontro, il dialogo e la collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà, in particolare con le persone appartenenti alle diverse tradizioni religiose dell’umanità, evitando forme di sincretismo e di relativismo” (117). Ribadendo che la Chiesa vede “con stima i musulmani i quali riconoscono l’esistenza di un Dio unico”, il Sinodo auspica lo sviluppo del dialogo basato su una reciproca fiducia, nell’approfondimento di valori come “il rispetto della vita”, “i diritti inalienabili dell’uomo e della donna e la loro pari dignità”, nonché l’apporto delle religioni al bene comune, tenendo conto “della distinzione tra l’ordine socio-politico e l’ordine religioso” (118). Il Papa esprime quindi “il rispetto della Chiesa per le antiche religioni e tradizioni spirituali dei vari continenti”, che “racchiudono valori che possono favorire grandemente la comprensione tra le persone e i popoli” (119). Tuttavia – si sottolinea – “il dialogo non sarebbe fecondo se questo non includesse … la libertà di professare la propria religione in privato e in pubblico, nonché la libertà di coscienza” (120).

Parola di Dio e Liturgia.

Il documento affronta poi il rapporto tra Parola di Dio e liturgia: “è questo l’ambito privilegiato – si afferma – in cui Dio … parla oggi al suo popolo, che ascolta e risponde”; “quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura” è Cristo stesso “che parla” (52). Occorre tuttavia educare i fedeli a comprendere l’unità tra Parola e Sacramento nel ministero della Chiesa. Infatti, “nella relazione tra Parola e gesto sacramentale si mostra in forma liturgica l’agire proprio di Dio nella storia mediante il carattere performativo della Parola stessa. Nella storia della salvezza infatti non c’è separazione tra ciò che Dio dice e opera … Al medesimo modo, nell’azione liturgica siamo posti di fronte alla sua Parola che realizza ciò che dice” (53). Il Papa torna a formulare la richiesta di “una maggior cura della proclamazione della Parola di Dio”: i lettori “siano veramente idonei e preparati con impegno. Tale preparazione deve essere sia biblica e liturgica, che tecnica” (58). C’è poi un nuovo richiamo a “migliorare la qualità” delle omelie: “si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico. Deve risultare chiaro ai fedeli che ciò che sta a cuore al predicatore è mostrare Cristo, che deve essere al centro di ogni omelia” (59). Il Papa ribadisce quindi l’opportunità di un Direttorio omiletico “per aiutare i ministri a svolgere nel modo migliore il loro compito” (60). Nel documento si esprime inoltre il desiderio che la Liturgia delle Ore “si diffonda maggiormente nel Popolo di Dio … specialmente la recita delle Lodi e dei Vespri. Tale incremento non potrà che aumentare tra i fedeli la familiarità con la Parola di Dio” (62).

La Parola di Dio e il silenzio.

Riprendendo “non pochi interventi dei Padri sinodali”, il Papa ha sottolineato il valore del silenzio nelle celebrazioni: infatti, “la parola può essere pronunciata e udita solamente nel silenzio, esteriore ed interiore. Il nostro tempo non favorisce il raccoglimento e a volte si ha l’impressione che ci sia quasi timore a staccarsi, anche per un momento, dagli strumenti di comunicazione di massa. Per questo è necessario oggi educare il Popolo di Dio al valore del silenzio” (66). Ci sono poi alcune esortazioni: “non si trascuri mai l’acustica, nel rispetto delle norme liturgiche e architettoniche” per “aiutare i fedeli ad una maggiore attenzione” (68); “le letture tratte dalla sacra Scrittura non siano mai sostituite con altri testi, per quanto significativi dal punto di vista pastorale o spirituale” (69); siano favoriti i canti “di chiara ispirazione biblica” che sappiano esprimere, “mediante l’accordo armonico delle parole e della musica, la bellezza della Parola divina”. Viene ricordata a questo proposito l’importanza del canto gregoriano (70); infine, si raccomanda “un’attenzione particolare” nei confronti di non vedenti e non udenti (71).

La Parola di Dio e le Sacre Scritture.

Il Papa, insieme con i Padri Sinodali, esprime il vivo desiderio affinché fiorisca “una nuova stagione di più grande amore per la sacra Scrittura da parte di tutti i membri del Popolo di Dio, cosicché dalla loro lettura orante e fedele nel tempo si approfondisca il rapporto con la persona stessa di Gesù” (72). Chiede di incrementare la “pastorale biblica”, che varrà anche a rispondere al fenomeno della “proliferazione di sette, che diffondono una lettura distorta e strumentale della sacra Scrittura”, e di favorire “la diffusione di piccole comunità … in cui promuovere la formazione, la preghiera e la conoscenza della Bibbia secondo la fede della Chiesa” (73). E’ necessaria “un’adeguata formazione dei cristiani e, in particolare, dei catechisti”, riservando attenzione “all’apostolato biblico” (75). Tutto il Popolo di Dio, a cominciare dai vescovi, deve ripartire dall’ascolto della Parola di Dio. Il Papa esprime particolare gratitudine “ai monaci e alle monache di clausura” che “con la loro vita di preghiera, di ascolto e di meditazione della Parola di Dio, ci ricordano che non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

La Bibbia in ogni casa.

Poi, per quanto riguarda le famiglie “il Sinodo auspica che ogni casa abbia la sua Bibbia e la custodisca in modo dignitoso, così da poterla leggere e utilizzare per la preghiera”. Viene quindi evidenziato il contributo del “genio femminile” negli studi biblici, nonché il “ruolo indispensabile delle donne nella famiglia, nell’educazione, nella catechesi e nella trasmissione dei valori”. Il documento invita alla pratica della lectio divina e a promuovere le preghiere mariane come il Rosario e l’Angelus “quale aiuto a meditare i santi misteri narrati dalla Scrittura”. Vengono anche citate “alcune antiche preghiere dell’Oriente cristiano” come gli inni mariani dell’Akathistos e della Paraklesis” (78-88).

La Parola di Dio e la missionarietà

Il Papa sottolinea quindi con forza l’appello del Sinodo a “rinvigorire nella Chiesa la coscienza missionaria”, nella consapevolezza “che quanto è rivelato in Cristo è realmente la salvezza di tutte le genti”: “l’uomo ha bisogno della ‘grande Speranza’ per poter vivere il proprio presente, la grande speranza che è ‘quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine’ (Gv 13,1). Per questo la Chiesa è missionaria nella sua essenza. Non possiamo tenere per noi le parole di vita eterna che ci sono date nell’incontro con Gesù Cristo: esse sono per tutti, per ogni uomo. Ogni persona del nostro tempo, lo sappia oppure no, ha bisogno di questo annuncio … A noi la responsabilità di trasmettere quello che a nostra volta, per grazia, abbiamo ricevuto” (91-92). “Pertanto, la missione della Chiesa non può essere considerata come realtà facoltativa o aggiuntiva della vita ecclesiale … Non si tratta di annunciare una parola consolatoria, ma dirompente, che chiama a conversione, che rende accessibile l’incontro con Lui, attraverso il quale fiorisce un’umanità nuova” (93). Viene ribadito che la missione di annunciare la Parola di Dio è compito di tutti i battezzati. “Nessun credente in Cristo può sentirsi estraneo a questa responsabilità”. “Questa consapevolezza deve essere ridestata in ogni famiglia, parrocchia, comunità, associazione e movimento ecclesiale”. In particolare, il Sinodo riconosce “con gratitudine che i movimenti ecclesiali e le nuove comunità sono, nella Chiesa, una grande forza per l’evangelizzazione in questo tempo, spingendo a sviluppare nuove forme d’annuncio del Vangelo” (94). “In nessun modo – si legge nel documento – la Chiesa può limitarsi ad una pastorale di ‘mantenimento’, per coloro che già conoscono il Vangelo di Cristo. Lo slancio missionario è un segno chiaro della maturità di una comunità ecclesiale”. E’ necessario un “annuncio esplicito”: “la Chiesa deve andare verso tutti con la forza dello Spirito (cfr 1Cor 2,5) e continuare profeticamente a difendere il diritto e la libertà delle persone di ascoltare la Parola di Dio, cercando i mezzi più efficaci per proclamarla, anche a rischio della persecuzione. A tutti la Chiesa si sente debitrice di annunciare la Parola che salva”: ai tanti popoli che ancora oggi non la conoscono e a quanti “hanno bisogno che sia loro riannunciata in modo persuasivo” da “testimoni credibili del Vangelo”. Il Papa rivolge con commozione il suo pensiero a tutti i perseguitati a causa di Cristo, ai “tanti fratelli e sorelle che anche in questo nostro tempo hanno dato la vita per comunicare la verità dell’amore di Dio rivelatoci in Cristo crocifisso e risorto”. In particolare – scrive Benedetto XVI – “ci stringiamo con profondo e solidale affetto ai fedeli di tutte quelle comunità cristiane, in Asia e in Africa … che in questo tempo rischiano la vita o l’emarginazione sociale a causa della fede … Nel contempo non cessiamo di alzare la nostra voce perché i governi delle Nazioni garantiscano a tutti libertà di coscienza e di religione, anche di poter testimoniare la propria fede pubblicamente” (95-98).

La Parola di Dio e il mondo d’oggi.

Benedetto XVI ricorda inoltre come l’ascolto della Parola non conduca ad una fuga dal mondo ma ad un impegno ancora maggiore “per rendere il mondo più giusto e più abitabile. È la stessa Parola di Dio a denunciare senza ambiguità le ingiustizie e promuovere la solidarietà e l’uguaglianza”. “L’impegno per la giustizia e la trasformazione del mondo è costitutivo dell’evangelizzazione”. “Certo – si ribadisce - non è compito diretto della Chiesa creare una società più giusta, anche se a lei spetta il diritto ed il dovere di intervenire sulle questioni etiche e morali che riguardano il bene delle persone e dei popoli. È soprattutto compito dei fedeli laici, educati alla scuola del Vangelo, intervenire direttamente nell’azione sociale e politica” promuovendo “i diritti umani di ogni persona, basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo, e che come tali sono ‘universali, inviolabili, inalienabili’”. La Parola di Dio è anche “fonte di riconciliazione e di pace”. “Ancora una volta – afferma il Papa - desidero ribadire che la religione non può mai giustificare intolleranza o guerre. Non si può usare la violenza in nome di Dio!” (99-103).

Il documento affronta poi la questione dell’annuncio ai giovani, ai migranti, ai sofferenti e ai poveri. L’attenzione al mondo giovanile “implica il coraggio di un annuncio chiaro … essi hanno bisogno di testimoni e di maestri, che camminino con loro e li guidino ad amare e a comunicare a loro volta il Vangelo soprattutto ai loro coetanei, diventando essi stessi autentici e credibili annunciatori”.

I movimenti migratori “offrono rinnovate possibilità per la diffusione della Parola di Dio. A tale proposito i Padri sinodali hanno affermato che i migranti hanno il diritto di ascoltare il kerygma, che viene loro proposto, non imposto. Se sono cristiani, necessitano di assistenza pastorale adeguata per rafforzare la fede”. Si esorta poi alla vicinanza ai sofferenti: “la Parola di Dio ci svela che anche queste circostanze sono misteriosamente ‘abbracciate’ dalla tenerezza di Dio. La fede che nasce dall’incontro con la divina Parola ci aiuta a ritenere la vita umana degna di essere vissuta in pienezza anche quando è fiaccata dal male”. Infine, i poveri: “la diaconia della carità, che non deve mai mancare nelle nostre Chiese, deve essere sempre legata all’annuncio della Parola e alla celebrazione dei santi misteri. La Chiesa non può deludere i poveri: ‘I pastori sono chiamati ad ascoltarli, ad imparare da essi, a guidarli nella loro fede e a motivarli ad essere artefici della propria storia’”. Viene quindi espresso anche il legame tra ascolto della Parola e salvaguardia del Creato (104-108).

La Parola di Dio e l’evangelizzazione delle culture.

Il documento lancia un appello a un “rinnovato incontro tra Bibbia e culture”: “vorrei ribadire a tutti gli operatori culturali – scrive il Papa - che non hanno nulla da temere dall’aprirsi alla Parola di Dio; essa non distrugge mai la vera cultura, ma costituisce un costante stimolo per la ricerca di espressioni umane sempre più appropriate e significative”. Inoltre, “va pienamente ricuperato il senso della Bibbia come grande codice per le culture”. Si auspica anche la promozione della conoscenza della Bibbia nelle scuole e università, “vincendo antichi e nuovi pregiudizi”. Si esprime apprezzamento, stima e ammirazione di tutta la Chiesa per gli artisti “innamorati della bellezza”, che si sono lasciati ispirare dai testi sacri, aiutando “a rendere in qualche modo percepibile nel tempo e nello spazio le realtà invisibili ed eterne”. Si sollecita “un impegno ancora più ampio e qualificato” nel mondo dei media perché possa “emergere il volto di Cristo e udirsi la Sua voce”. In particolare, si sottolinea il ruolo crescente di internet, “che costituisce un nuovo forum in cui far risuonare il Vangelo, nella consapevolezza, però, che il mondo virtuale non potrà mai sostituire il mondo reale” (109-113).

Parlando di evangelizzazione delle culture, il Papa osserva che la Parola di Dio manifesta “un carattere profondamente interculturale, capace di incontrare e di far incontrare culture diverse”; “l’inculturazione - tuttavia - non va scambiata con processi di adattamento superficiale e nemmeno con la confusione sincretista che diluisce l’originalità del Vangelo per renderlo più facilmente accettabile”.

La Parola di Dio e la Nuova evangelizzazione,

“La Parola divina … trasfigura i limiti delle singole culture creando comunione tra popolidiversi” invitando “ad andare verso una comunione più vasta … veramente universale” che “collega tutti, unisce tutti, ci fa tutti fratelli”. (114-116)

La nostra epoca – conclude il Papa – “dev’essere sempre più il tempo di un nuovo ascolto della Parola di Dio e di una nuova evangelizzazione”, perché “ancora oggi Gesù risorto ci dice ‘Andate

in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura’ (Mc 16,15)”. “Annunciando la Parola di Dio nella forza dello Spirito Santo, desideriamo comunicare anche la fonte della vera gioia, non di una gioia superficiale ed effimera, ma di quella che scaturisce dalla consapevolezza che solo il Signore Gesù ha parole di vita eterna (cfr Gv 6,68)” (121-124).


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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15/11/2010 12:21
 
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 [SM=g1740722]  Ottime riflessioni anche da Massimo Introvigne dal CESNUR



Il Papa, il Vaticano II e la Parola di Dio. L’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini di Benedetto XVI

di Massimo Introvigne

Papa scrive

Nelle duecento pagine dell’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, datata 30 settembre 2010 ma resa pubblica il successivo 11 novembre, Benedetto XVI non si rivolge solo agli specialisti di esegesi biblica. Dal momento che la Parola di Dio è al centro di tutta la vita cristiana, anzi al centro del cosmo e della storia, l’esortazione apostolica è occasione per un’ampia ricognizione che parte dalla Bibbia ma si estende al rapporto tra fede e ragione, alla cultura, alla missione, all’instaurazione dell’ordine temporale e perfino all’arte e a Internet. Una particolare attenzione è dedicata all’interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.

In un discorso ormai famoso tenuto il 22 dicembre 2005 ai membri della Curia Romana, Benedetto XVI ha criticato le interpretazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II che ne leggono i documenti secondo una «ermeneutica della discontinuità e della rottura» (Benedetto XVI 2005) rispetto al Magistero precedente della Chiesa, purtroppo assai diffusa e anzi in molti ambienti prevalente, raccomandando invece una «giusta ermeneutica» (ibid.), insieme «del rinnovamento nella continuità» (ibid.) e «della riforma» (ibid.). Alcuni dei numerosi commentatori di questo storico discorso hanno rilevato che non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Si tratta in effetti ora di riprendere in mano i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, uno per uno, interpretandoli secondo la «giusta ermeneutica» e tenendo conto sia del Magistero precedente, sia di quello successivo.

Nella Verbum Domini Benedetto XVI fa appunto questo, e ci mostra la giusta ermeneutica – per così dire – in azione. Dopo la XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si è celebrata in Vaticano dal 5 al 26 ottobre 2008 e ha avuto per tema La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, il Papa rilegge metodicamente la Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum del Concilio Ecumenico Vaticano II, che definisce «pietra miliare nel cammino ecclesiale» (Benedetto XVI 2010, n. 3), servendosi sia del Magistero precedente – in particolare di Leone XIII (1810-1903) e del venerabile Pio XII (1876-1958) –, sia di documenti successivi al Concilio del servo di Dio Paolo VI (1897-1978), del venerabile Giovanni Paolo II (1920-2005) e dello stesso Benedetto XVI.

Il tema, evidentemente, è di grandissimo rilievo sia per il Concilio Ecumenico Vaticano II sia per la Chiesa e l’umanità in genere. Per gli uomini, infatti, la più grande «buona notizia» (ibid., n. 1) è che la Parola di Dio, «che rimane in eterno, è entrata nel tempo» (ibid.). «Non esiste priorità più grande di questa: riaprire all’uomo di oggi l’accesso a Dio, al Dio che parla» (ibid., n. 2). C’è un annuncio oggettivamente straordinario «che nel quotidiano rischiamo di dare per scontato: il fatto che Dio parli e risponda alle nostre domande» (ibid., n. 4). Per la Chiesa si tratta del «cuore stesso della vita cristiana» (ibid., n. 3): «la Chiesa si fonda sulla Parola di Dio, nasce e vive di essa» (ibid.). Benedetto XVI ricorda come questo tema sia stato particolarmente approfondito nel «pontificato di Leone XIII» (ibid.). Ma l’approfondimento ha raggiunto «il suo culmine nel Concilio Vaticano II, in modo speciale con la promulgazione della Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum» (ibid.). Oltre a riconoscere «i grandi benefici apportati da questo documento» (ibid.), si tratta ora di effettuare una «verifica dell’attuazione delle indicazioni conciliari» (ibid.) e di affrontare, alla luce della Dei Verbum, «le nuove sfide che il tempo presente pone ai credenti in Cristo» (ibid.).

Il Papa pone il documento sotto il patrocinio di san Paolo, infaticabile annunciatore del Vangelo – ricordando che il Sinodo si è riunito durante l’Anno Paolino –, e di san Giovanni, che nel Prologo del suo Vangelo ci ha offerto «una sintesi di tutta la fede cristiana» (ibid., n. 5): «il Verbo, che dal principio è presso Dio, si è fatto carne e ha preso la sua dimora in mezzo a noi (cfr Gv 1,14)» (ibid.). La trattazione è divisa in tre parti. La prima, Verbum Dei, illustra la nozione di «Parola di Dio» e riflette sulla sua ricezione e interpretazione, soffermandosi in particolare sull’esegesi biblica. La seconda, Verbum in Ecclesia, mostra come la Chiesa nella liturgia e nella vita ecclesiale custodisce e proclama la Parola di Dio. La terza, Verbum mundo, insegna che la Parola di Dio vivifica il mondo attraverso l’annuncio missionario e l’instaurazione cristiana dell’ordine temporale, che comprende la cultura e la vita politica e oggi si estende a campi nuovi come Internet.



I. Verbum Dei

A. Dio parla

1. Parla Dio Padre

Insegna la Dei Verbum che «Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici» (Concilio Ecumenico Vaticano II 1965, n. 2). «Ma non avremmo ancora compreso a sufficienza il messaggio del Prologo di san Giovanni – nota Benedetto XVI – se ci fermassimo alla constatazione che Dio si comunica amorevolmente a noi» (Benedetto XVI 2010, n. 6). Le cose sono un poco più complesse. Il Papa propone una ricognizione delle «diverse modalità con cui noi utilizziamo l’espressione “Parola di Dio”» (ibid., n. 7), con un uso che è sempre «analogico» (ibid.), distinguendo fra quattro diversi significati. Anzitutto, la Parola di Dio è la persona di Gesù Cristo, l’eterno Logos del Padre che si fa uomo. In secondo luogo, è Parola di Dio «la stessa creazione, il liber naturae» (ibid.): Dio Padre ha parlato attraverso la creazione, dove tutto «porta in modo indelebile la traccia della Ragione creatrice che ordina e guida» (ibid., n. 8): «tutto ciò che esiste non è frutto di un caso irrazionale, ma è voluto da Dio» (ibid.). In questo senso san Bonaventura (ca. 1217 o 1221-1274) ha potuto scrivere che «ogni creatura è parola di Dio perché proclama Dio» (cit. ibid.). Ed è per questo che nella natura è iscritta quella che «la tradizione filosofica chiama “legge naturale”» (ibid., n. 9).

In terzo luogo, Dio parla nella storia della salvezza, nella predicazione degli Apostoli e nella «Tradizione viva della Chiesa» (ibid., n. 7). Non si devono contrapporre Parola di Dio e Tradizione, perché la Tradizione è essa stessa una Parola di Dio. Infine, nel quarto significato, l’espressione «Parola di Dio» si riferisce alla sacra Scrittura. Ma il terzo e il quarto significato non possono essere disgiunti. «Non essendo la fede cristiana una “religione del Libro”» (ibid.), che riposa esclusivamente su un testo scritto, è più esatta l’espressione di san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) «religione della Parola di Dio […] [non di] una parola scritta e muta, ma del verbo incarnato e vivente» (cit. ibid.). Dunque, «la Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile» (ibid.). È questo l’insegnamento fondamentale del n. 10 della Dei Verbum.

Poiché Dio parla insieme attraverso la creazione e attraverso la Rivelazione «chi conosce la divina Parola conosce pienamente anche il significato di ogni creatura» (ibid., n. 10). Si tratta dunque di «cambiare il nostro concetto di realismo: realista è chi riconosce nel Verbo di Dio il fondamento di tutto» (ibid.), mentre quanto non è fondato su Dio ha solo un «carattere effimero» (ibid.). Di questo insegnamento «abbiamo particolarmente bisogno nel nostro tempo» (ibid.), segnato dal culto dell’effimero e del transitorio.

2. Parla il Signore Gesù

La «condiscendenza di Dio» (ibid., n. 11), che accetta di parlare agli uomini, «si compie in modo insuperabile nell’incarnazione del Verbo» (ibid.). «La Parola qui non si esprime innanzitutto in un discorso, in concetti o regole. Qui siamo posti di fronte alla persona stessa di Gesù. La sua storia unica e singolare è la Parola definitiva che Dio dice all’umanità» (ibid.). Il Papa vorrebbe trasmettere il senso, difficile da esprimere nel linguaggio umano, di «una novità inaudita e umanamente inconcepibile» (ibid.), che dovrebbe sempre suscitare «nel cuore dei credenti stupore per l’iniziativa divina» (ibid.).

Questo stupore è stato espresso dalla «tradizione patristica e medievale» (ibid., n. 12) con un’«espressione suggestiva» (ibid.) già richiamata da Benedetto XVI nella sua omelia per la notte di Natale del 2006 (Benedetto XVI 2006): «il Verbo si è abbreviato» (Benedetto XVI 2010, n. 12). «La Parola eterna si è fatta piccola – così piccola da entrare in una mangiatoia. Si è fatta bambino, affinché la Parola diventi per noi afferrabile» (ibid., citando Benedetto XVI 2006). Ma c’è una profonda «unità del disegno divino nel Verbo incarnato» (Benedetto XVI 2010, n. 13). Richiamando un’altra sua omelia, quella per l’Epifania del 2009, il Papa – notoriamente appassionato di musica – spiega che Dio opera «mediante la “sinfonia” del creato. All’interno di questa sinfonia si trova, a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un “assolo”, un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importante che da esso dipende il significato dell’intera opera. Questo “assolo” è Gesù» (Benedetto XVI 2009, cit. in Benedetto XVI 2010, n. 13).

Quel bambino nella mangiatoia di Betlemme è la Parola di Dio che si è fatta persona: ma lo è anche il Cristo in croce, dove pure «il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale, poiché si è “detto” fino a tacere, non trattenendo nulla di ciò che ci doveva comunicare» (ibid., n. 12). Sulla croce, «Dio parla anche per mezzo del suo silenzio» (ibid., n. 21), e «questa esperienza di Gesù è indicativa della situazione dell’uomo che, dopo aver ascoltato e riconosciuto la parola di Dio, deve misurarsi anche con il suo silenzio» (ibid.): «momenti oscuri» (ibid.), diventati «esperienza vissuta da tanti santi e mistici, e che pure oggi entra nel cammino di molti credenti» (ibid.). Ma «nel mistero luminosissimo della risurrezione questo silenzio della Parola si manifesta nel suo significato autentico e definitivo» (ibid., n. 12): Cristo è per sempre «il Vincitore, il Pantocrator» (ibid.), la «luce definitiva sulla nostra strada» (ibid.).

Benedetto XVI insiste su un aggettivo: «definitivo». In Gesù Cristo Dio ha detto tutto quello che c’era da dire. «San Giovanni della Croce [1542-1591] ha espresso questa verità in modo mirabile: “Dal momento in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta in questa sola Parola e non ha più nulla da dire…”» (ibid., n. 14). Il Papa che ha commentato in modo profondo – visitando i rispettivi santuari – i messaggi di Lourdes, nel 2008, e di Fatima, nel 2010, si chiede come si concili questa definitività della rivelazione di Dio con le rivelazioni private. Queste vanno rigorosamente distinte dalla Rivelazione pubblica del Padre in Gesù Cristo. Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992, di cui il Papa richiama qui il n. 67, il ruolo delle rivelazioni private «non è quello […] di “completare” la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica» (ibid.). Dunque, «il criterio per la verità di una rivelazione privata è il suo orientamento a Cristo» (ibid.), e la rivelazione privata autentica «si manifesta come credibile proprio perché rimanda all’unica rivelazione pubblica» (ibid.). La rivelazione privata «può introdurre nuovi accenti, fare emergere nuove forme di pietà o approfondirne di antiche. Essa può avere un certo carattere profetico (cfr I Tess 5,19-21) e può essere un valido aiuto per comprendere e vivere meglio il Vangelo nell’ora attuale; perciò non la si deve trascurare» (ibid.). Peraltro, nessuno è obbligato a occuparsi di rivelazioni private: «è un aiuto che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso» (ibid.).

3. Parla lo Spirito Santo

«Non v’è alcuna comprensione autentica della Rivelazione cristiana al di fuori dell’azione del Paraclito» (ibid., n. 15), dello Spirito Santo, che dapprima «ispira gli autori delle sacre Scritture» (ibid.), quindi «sostiene e ispira la Chiesa nel compito di annunciare la Parola di Dio» (ibid.). Quanto agli autori sacri, i due concetti fondamentali sono quelli dell’ispirazione e della verità. «Come il Verbo di Dio si è fatto carne per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria, così la sacra Scrittura nasce dal grembo della Chiesa per opera dello Spirito Santo» (ibid., n. 19). L’ispirazione dello Spirito Santo non è una mera dettatura: la Chiesa «riconosce tutta l’importanza dell’autore umano che ha scritto i testi ispirati e, al medesimo tempo, Dio stesso come vero autore» (ibid.).

Benedetto XVI insiste su «quanto il tema dell’ispirazione sia decisivo» (ibid.) per una «corretta ermeneutica» (ibid.). Se si misconosce l’importanza dell’autore umano si adotta – si potrebbe dire – l’atteggiamento che l’islam ha di fronte al Corano, considerato un testo letteralmente «dettato» e non semplicemente ispirato da Dio, e si cade in forme di fondamentalismo. Ma se «si affievolisce in noi la consapevolezza dell’ispirazione» (ibid.) divina, allora «si rischia di leggere la Scrittura come oggetto di curiosità storica e non come opera dello Spirito Santo» (ibid.). Ultimamente, è lo Spirito Santo che garantisce la verità delle Scritture come insegna la Dei Verbum: «Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre Lettere» (Concilio Ecumenico Vaticano II 1965, n. 11).

Quanto all’azione dello Spirito Santo in relazione alla comprensione della sacra Scrittura nella Chiesa, l’affermazione di Benedetto XVI è molto forte: «senza l’azione efficace dello “Spirito della Verità” (Gv 14,16) non è dato di comprendere le parole del Signore» (Benedetto XVI 2010, n. 16). Così hanno insegnato i Padri della Chiesa e i dottori. Per san Girolamo (347-419 o 420) «non possiamo arrivare a comprendere la Scrittura senza l’aiuto dello Spirito Santo che l’ha ispirata» (cit. ibid.). E «Riccardo di San Vittore [ca. 1110-1173] ricorda che occorrono “occhi di colomba”, illuminati ed istruiti dallo Spirito, per comprendere il testo sacro» (cit. ibid.).

Non si tratta di un’affermazione priva di conseguenze. «Riaffermando il profondo legame tra lo Spirito Santo e la Parola di Dio, abbiamo anche posto le basi per comprendere il senso ed il valore decisivo della viva Tradizione» (ibid., n. 17) nella sua relazione con la sacra Scrittura, e per interpretare correttamente la Dei Verbum. Ci appare allora come «il Concilio Vaticano II ricord […] come questa Tradizione di origine apostolica sia realtà viva e dinamica: essa “progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo”; non nel senso che essa muti nella sua verità, che è perenne. Piuttosto “cresce… la comprensione tanto della cose quanto delle parole trasmesse”, con la contemplazione e lo studio, con l’intelligenza data da una più profonda esperienza spirituale e per mezzo “della predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità”» (ibid.: i riferimenti tra virgolette sono al n. 8 della Dei Verbum). Se si legge la Dei Verbum meditando sull’azione dello Spirito Santo ci si convince che «la viva Tradizione è essenziale affinché la Chiesa possa crescere nel tempo nella comprensione della verità rivelata nelle Scritture» (ibid.): «in definitiva, è la viva Tradizione della Chiesa a farci comprendere in modo adeguato la sacra Scrittura come Parola di Dio» (ibid.).

«Mediante l’opera dello Spirito Santo e sotto la guida del Magistero, la Chiesa trasmette a tutte le generazioni quanto è stato rivelato in Cristo» (ibid., n. 18). Ma questa trasmissione è impossibile senza che il corpo dei fedeli «sia educato e formato in modo chiaro ad accostarsi alle sacre Scritture in relazione alla viva Tradizione della Chiesa» (ibid.).

B. L’uomo risponde

1. Il dialogo con Dio

«Nella nostra epoca purtroppo si è diffusa, soprattutto in Occidente, l’idea che Dio sia estraneo alla vita ed ai problemi dell’uomo e che, anzi, la sua presenza possa essere una minaccia alla sua autonomia» (ibid., n. 23). Abbiamo visto invece che «Dio parla ed interviene nella storia a favore dell’uomo e della sua salvezza integrale» (ibid.). Anche il nostro tempo deve tornare a scoprire «che solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo!» (ibid.). Così, «l’intera esistenza dell’uomo diviene un dialogo con Dio» (ibid., n. 24), come mostrano mirabilmente i Salmi, dove «troviamo tutta la gamma articolata di sentimenti che l’uomo può provare nella propria esistenza e che vengono posti con sapienza davanti a Dio» (ibid.). Non si deve però credere che il dialogo tra Dio e l’uomo sia «un incontro tra due contraenti alla pari» (ibid., n. 22): «non è un atto di intesa tra due parti uguali, ma puro dono di Dio» (ibid.), che è infinitamente superiore all’uomo e non ha bisogno di parlargli, ma liberamente decide di farlo per amore.

Insegna la Dei Verbum che «a Dio che si rivela è dovuta “l’obbedienza della fede”» (Concilio Ecumenico Vaticano II 1965, 5): «con queste parole la Costituzione dogmatica Dei Verbum ha espresso in modo preciso l’atteggiamento dell’uomo nei confronti di Dio. La risposta propria dell’uomo al Dio che parla è la fede» (Benedetto XVI 2010, n. 25). Due libertà s’incontrano. Dio liberamente si rivela, l’uomo liberamente risponde a Dio con la fede. Questo implica pure «la possibilità drammatica da parte della libertà dell’uomo di sottrarsi a questo dialogo di alleanza con Dio per il quale siamo stati creati» (ibid., n. 26), e l’emergere nella storia del «peccato come non ascolto della Parola» (ibid.).

Il contrario del peccato è l’atteggiamento della Madonna. Per sfuggire radicalmente al peccato «è necessario guardare là dove la reciprocità tra Parola di Dio e fede si è compiuta perfettamente, ossia a Maria Vergine» (ibid., n. 27); «è necessario nel nostro tempo che i fedeli vengano introdotti a scoprire meglio il legame tra Maria di Nazareth e l’ascolto credente della divina Parola» (ibid.). E non solo i fedeli, ma anche «gli studiosi» (ibid.), che talora trascurano «il rapporto tra mariologia e teologia della Parola» (ibid.). Mentre da una parte «in realtà, l’incarnazione del Verbo non può essere pensata a prescindere dalla libertà di questa giovane donna» (ibid.), che vive «un’esistenza totalmente modellata dalla Parola» (ibid., n. 28), dall’altra «anche la nostra azione apostolica e pastorale non potrà mai essere efficace se non impariamo da Maria» (ibid.).





CONTINUA...................

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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2. L’ermeneutica della sacra Scrittura nella Chiesa



Una parte cospicua – circa un quarto – dell’esortazione apostolica Verbum Domini è consacrata all’interpretazione del numero 12 della Dei Verbum. Si tratta di un passaggio d’importanza centrale della dichiarazione conciliare, che conviene anzitutto rileggere: «Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l'interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. Per ricavare l'intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l'altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario adunque che l'interprete ricerchi il senso che l'agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso. Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l'autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani» (Concilio Ecumenico Vaticano II 1965, n. 12).



«Perciò – continua la Dei Verbum – dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell'analogia della fede. È compito degli esegeti contribuire, seguendo queste norme, alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della sacra Scrittura, affinché mediante i loro studi, in qualche modo preparatori, maturi il giudizio della Chiesa. Quanto, infatti, è stato qui detto sul modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio» (ibid.). Per interpretare questa parte della Dei Verbum il Papa dà rilievo anche al documento del 1993 della Pontificia Commissione Biblica L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (Pontificia Commissione Biblica 1993), che cita ripetutamente anche se non ne riprende tutti i passaggi.



La chiave di lettura proposta da Benedetto XVI è subito enunciata: «il legame intrinseco fra Parola e fede mette in evidenza che l’autentica ermeneutica della Bibbia non può che essere nella fede ecclesiale, che ha nel sì di Maria il suo paradigma» (Benedetto XVI 2010, n. 29). Questo è il «criterio fondamentale dell’ermeneutica biblica: il luogo originario dell’interpretazione scritturistica è la vita della Chiesa» (ibid.). L’esegesi biblica cattolica dev’essere condotta nella Chiesa e sotto la guida del Magistero. Diversamente, anziché interpretare la Bibbia la falsifica. «L’ecclesialità dell’interpretazione biblica non è un’esigenza imposta dall’esterno» (ibid., n. 30). Non si tratta di «un criterio estrinseco cui gli esegeti devono piegarsi, ma è richiesta dalla realtà stessa delle Scritture e da come esse si sono formate nel tempo» (ibid., n. 29). Dopo tutto, quali testi fossero da considerare sacra Scrittura è stato indicato dalla Chiesa. E «come dice mirabilmente sant’Agostino [354-430], “non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della Chiesa cattolica”» (ibid.), mentre «san Girolamo ricorda che non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo nell’errore» (ibid., n. 30).



Ne consegue che «un’autentica interpretazione della Bibbia deve essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica» (ibid.), e ogni esegeta deve sentire come rivolto a se stesso l’ammonimento con cui «san Girolamo si rivolgeva a un sacerdote: “Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono”» (ibid.). «Approcci al testo sacro che prescindano dalla fede possono suggerire elementi interessanti soffermandosi sulla struttura del testo e le sue forme; tuttavia, un tale tentativo sarebbe inevitabilmente solo preliminare e strutturalmente incompiuto» (ibid.). La stessa Pontificia Commissione Biblica, nel testo del 1993 che pure è molto tecnico, non ha mancato di sottolineare «la relazione tra la vita spirituale e l’ermeneutica della Scrittura» (ibid.): chi non vive quello di cui parla il testo facilmente va fuori strada.



Se passiamo a interrogarci «sullo stato degli attuali studi biblici» (ibid., n. 31), tenendo conto dello stesso documento del 1993 e nella linea tracciata dalla Dei Verbum, ci troviamo davanti a luci è ombre. Certo, «è necessario riconoscere il beneficio derivato nella vita della Chiesa dall’esegesi storico-critica e dagli altri metodi di analisi del testo sviluppati nei tempi recenti» (ibid., n. 32), e riaffermare che oggi per l’esegeta «l’attenzione a questi metodi è imprescindibile» (ibid.). Né si tratta di una novità, perché – come il Papa ha richiamato nel suo viaggio in Francia del 2008 e in altre occasioni – fin dalla «cultura monastica, cui dobbiamo ultimamente il fondamento della cultura europea» (ibid.), e in tutta la «sana tradizione ecclesiale» (ibid.), gli esegeti si sono sempre avvalsi della migliore cultura e scienza del loro tempo.

Dobbiamo però interpretare i riferimenti della Dei Verbum ai «nuovi metodi di analisi storica» (ibid., n. 33) alla luce del Magistero, servendoci in particolare delle «encicliche Providentissimus Deus [1893] di Papa Leone XIII e Divino afflante Spiritu [1943] di Papa Pio XII» (ibid.), di cui – ricorda Benedetto XVI, sempre attento agli anniversari – il venerabile Giovanni Paolo II ebbe occasione di celebrare insieme, nel 1993, rispettivamente il centenario e il cinquantenario.

Questi due testi fondamentali ci aiutano a sfuggire a due errori contrapposti: interpretare la Bibbia con la sola ragione – che diventa razionalismo – prescindendo dalla fede; e leggerla con la sola fede – secondo un falso misticismo – prescindendo dalla ragione. L’enciclica di Leone XIII Providentissimus Deus «ebbe il merito di proteggere l’interpretazione cattolica della Bibbia dagli attacchi del razionalismo, senza però rifugiarsi in un senso spirituale staccato dalla storia» (ibid.). Nell’enciclica Divino afflante Spiritu il venerabile Pio XII invece «si trovava di fronte agli attacchi dei sostenitori di un’esegesi cosiddetta mistica che rifiutava qualsiasi approccio scientifico» (ibid.). Il venerabile Pio XII, «con grande sensibilità, ha evitato d’ingenerare l’idea di una dicotomia fra l’“esegesi scientifica” per l’uso apologetico e l’“interpretazione spirituale riservata all’uso interno”» (ibid.). A ben vedere, «entrambi i documenti rifiutano “la rottura tra l’umano e il divino […]”» (ibid.), dunque fra fede e ragione.



Alla loro luce dobbiamo leggere «l’ermeneutica biblica conciliare» (ibid., n. 34) del Vaticano II che si è espressa nella Dei Verbum. Correttamente interpretato, il fondamentale n. 12 della costituzione conciliare da una parte «sottolinea come elementi fondamentali per cogliere il significato inteso dall’agiografo lo studio dei generi letterari e la contestualizzazione» (ibid.). Ma «dall’altra» (ibid.) «indica tre criteri di base per tenere conto della dimensione divina della Bibbia: 1) interpretare il testo considerando l’unità di tutta la Scrittura; questo oggi si chiama esegesi canonica; 2) tenere presente la Tradizione viva di tutta la Chiesa; e, infine, 3) osservare l’analogia della fede» (ibid.).

Se non si tiene conto di questi criteri si separano – come in altri campi – ragione e fede, il che nell’esegesi biblica purtroppo oggi «avviene anche ai livelli accademici più alti» (ibid., n. 35), producendo una «ermeneutica secolarizzata» (ibid.) che è uno dei frutti avvelenati dell’interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II secondo l’ermeneutica della discontinuità e della rottura. Benedetto XVI indica tre caratteristiche dell’«ermeneutica secolarizzata»: legge la Bibbia come «un testo solo del passato» (ibid.); è convinta che «il Divino non appare nella storia umana» (ibid.) e «nega la possibilità dell’ingresso e della presenza del Divino nella storia» (ibid.), così che «quando sembra che vi sia un elemento divino, lo si deve spiegare in altro modo» (ibid.); e getta «un dubbio sui misteri fondamentali del cristianesimo e sul loro valore storico, come ad esempio l’istituzione dell’Eucarestia e la risurrezione di Cristo» (ibid.). E tutto questo avvelena anche la vita spirituale, la pastorale, «la preparazione delle omelie» (ibid.); «produce a volte incertezza e poca solidità nel cammino formativo intellettuale anche di alcuni candidati ai ministeri ecclesiali» (ibid.).



Il problema, insiste Benedetto XVI, non riguarda solo l’esegesi biblica ma «il corretto rapporto tra fede e ragione. Infatti, l’ermeneutica secolarizzata della sacra Scrittura è posta in atto da una ragione che strutturalmente vuole precludersi la possibilità che Dio entri nella vita degli uomini e che parli agli uomini in parole umane» (ibid., n. 36). Così, è opportuno che la Dei Verbum sia letta tenendo conto anche dell’enciclica Fides et ratio (1998) del venerabile Giovanni Paolo II, la quale – insieme a una serie d’interventi dello stesso Benedetto XVI, esplicitamente richiamati – può insegnarci da una parte che «occorre una fede che mantenendo un adeguato rapporto con la retta ragione non degeneri mai in fideismo, il quale nei confronti della Scrittura diventerebbe fautore di letture fondamentaliste» (ibid.), mentre dall’altra «è necessaria una ragione che indagando gli elementi storici presenti nella Bibbia si mostri aperta e non rifiuti aprioristicamente tutto ciò che eccede la propria misura» (ibid.).



In entrambi i casi – del fondamentalismo e del razionalismo – si apre la strada a «interpretazioni soggettivistiche ed arbitrarie» (ibid., n. 44) del testo sacro. Il fondamentalismo, che «tende a trattare il testo biblico come se fosse stato dettato parola per parola dallo Spirito» (ibid.), in realtà «rifiutando di tener conto del carattere storico della rivelazione biblica, si rende incapace di accettare pienamente la verità della stessa Incarnazione» (ibid.). D’altro canto, «coltivare un concetto di ricerca scientifica che si ritenga neutrale nei confronti della Scrittura» (ibid., n. 47) significa precludersi la sua vera comprensione, con conseguenze molto gravi – quando questa forma di razionalismo penetra nelle università cattoliche e nei seminari – anche nella formazione dei candidati al sacerdozio.



L’ascolto della Tradizione e l’attenzione «dalla quale nessuno può prescindere» (ibid., n. 49) ai santi – ognuno dei quali parte, per così dire, da un versetto scritturistico e lo vive in pienezza, così che «costituisce come un raggio di luce che scaturisce dalla Parola di Dio» (ibid.) – aiuta anche a tornare all’antica questione della relazione fra senso letterale e senso spirituale della sacra Scrittura. Non dimenticando quanto «san Tommaso d’Aquino [1225-1274] afferma: “tutti i sensi della sacra Scrittura si basano su quello letterale”» (ibid., n. 37), il Papa ricorda come i medievali distinguevano fra quattro sensi delle Scritture – letterale, allegorico, morale e anagogico (gli ultimi tre, spiega, sono suddivisioni del senso spirituale) – citando, come aveva già fatto in Francia, il distico contenuto nel Rotulus pugillaris del domenicano Agostino di Dacia (?-1282) e citato anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 118: «Littera gesta docet, quid credas allegoria, moralis quid agas, quo tendas anagogia. La lettera insegna i fatti, l’allegoria che cosa credere, il senso morale che cosa fare e l’anagogia dove tendere» (ibid.).



Questo tradizionale riferimento ai sensi spirituali ci indica che «Dio stesso, infatti, non è mai presente già nella semplice letteralità del testo. Per raggiungerlo occorre un trascendimento e un processo di comprensione» (ibid., n. 38), di cui il numero 12 della Dei Verbum ci indica una via maestra: «un tale trascendimento non può avvenire nel singolo frammento letterario se non in rapporto alla totalità della Scrittura» (ibid.). Qui, per comprendere «quanto affermato nel numero 12 della Costituzione dogmatica Dei Verbum, indicando l’unità interna di tutta la Bibbia come criterio decisivo per una corretta ermeneutica della fede» (ibid., n. 39), «rimangono per noi una guida sicura le espressioni di Ugo di San Vittore [ca. 1096-1141]: “Tutta la divina Scrittura costituisce un unico libro e quest’unico libro è Cristo, parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento”» (ibid.).


Continua....
[Modificato da Caterina63 15/11/2010 12:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Anche qui il problema è l’equilibrio tra fede e ragione. Se guardiamo solo «l’aspetto puramente storico o letterario» (ibid.) della Bibbia, i «singoli libri non sono facilmente riconoscibili come appartenenti ad un’unità interiore; esistono invece tensioni visibili tra di essi» (ibid.), per non parlare delle «pagine oscure» (ibid., n. 42) dove si riferiscono, senza disapprovarli, eventi storici dove i capi del popolo d’Israele, che pure è popolo scelto da Dio per una missione provvidenziale, si comportano con «violenza» (ibid.) e «immoralità» (ibid.). La fede, in dialogo con la ragione, legge in particolare l’Antico Testamento in modo «tipologico» (ibid., n. 41), vedendo nelle opere di Dio del Vecchio Testamento una prefigurazione di quanto nella pienezza dei tempi Dio compirà nella persona di Gesù Cristo. La lettura tipologica, richiamata anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 128, non è una fantasia, «non ha carattere arbitrario ma è intrinseca agli eventi narrati nel testo sacro» (ibid.).

Non deve tuttavia «indurre a dimenticare» (ibid.) che l’Antico Testamento ha anche un «valore suo proprio» (ibid.), così che lo studio della «comprensione ebraica della Bibbia» (ibid.) può sia aiutare l’esegeta sia favorire il dialogo interreligioso con gli ebrei. Così come il fatto che la Bibbia vada letta nella Chiesa non esclude l’utilità di studi prodotti da cristiani non cattolici e il dialogo ecumenico, senza mancare però di riconoscere con franchezza anche gli aspetti che «ci vedono ancora distanti, come ad esempio la comprensione del soggetto autorevole dell’interpretazione della Chiesa e il ruolo decisivo del Magistero» (ibid., n. 46). Tornando agli ebrei, «il concetto di adempimento delle Scritture è complesso, perché comporta una triplice dimensione: un aspetto fondamentale di continuità con la rivelazione dell’Antico Testamento, un aspetto di rottura e un aspetto di compimento e superamento» (ibid., n. 40). Così le importanti affermazioni del venerabile Giovanni Paolo II sullo speciale legame tra cristiani ed ebrei «non significano misconoscimento delle rotture affermate nel Nuovo Testamento nei confronti delle istituzioni dell’Antico Testamento e meno ancora dell’adempimento delle Scritture nel mistero di Gesù Cristo, riconosciuto Messia e Figlio di Dio. Tuttavia, questa differenza profonda e radicale non implica affatto ostilità reciproca» (ibid., n. 43), né deve far dimenticare l’insegnamento di san Paolo, tante volte richiamato e commentato dallo stesso Papa Wojtyla, secondo cui per gli ebrei «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm 11,28-29)» (ibid.).

Tutto rimanda al tema centrale della Dei Verbum, ribadito nel numero 10 della costituzione conciliare: «La sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre» (Concilio Ecumenico Vaticano II 1965, n. 10, cit. in Benedetto XVI 2010, n. 47). Questo è il vero «insegnamento del Concilio Vaticano II» (ibid.): «lo studio della Sacra Scrittura» (ibid.) deve avvenire «nella comunione della Chiesa universale» (ibid.) e – come afferma ancora la Dei Verbum al numero 23 – «sotto la vigilanza del Sacro Magistero» (Concilio Ecumenico Vaticano II 1965, n. 23, cit. in Benedetto XVI 2010, n. 45).



II. Verbum in Ecclesia

1. La liturgia

La Dei Verbum afferma al numero 1 che la Chiesa sta «in religioso ascolto della parola di Dio» (Concilio Ecumenico Vaticano II 1965, n. 1, cit. in Benedetto XVI 2010, n. 51). Con queste parole ci è offerta «una definizione dinamica della vita della Chiesa» (ibid.), «comunità che ascolta ed annuncia la Parola di Dio» (ibid.), e che guarda alla Parola del Padre detta definitivamente in Gesù Cristo non come a un «evento semplicemente passato» (ibid.), ma come a una «relazione vitale» (ibid.) che continua ancora oggi.

«L’ambito privilegiato in cui Dio parla a noi nel presente» (ibid., n. 52) è la liturgia: «ogni azione liturgica è per natura sua intrisa di sacra Scrittura» (ibid.). Anzi, in un certo senso «l’ermeneutica della fede riguardo alla sacra Scrittura deve sempre avere come punto di riferimento la liturgia» (ibid.). Per comprendere questa affermazione occorre riflettere su quello che Benedetto XVI chiama «il carattere performativo della Parola» (ibid., n. 53) che, in quanto è Parola di Dio onnipotente, sempre nella storia «realizza ciò che dice» (ibid.). Questo carattere emerge in modo particolarmente evidente nell’Eucarestia, dove «la Parola di Dio si fa carne sacramentale» (ibid., n. 55). Qui vediamo l’efficacia performativa immediata delle parole di Gesù Cristo, e oggi del sacerdote, e comprendiamo qualcosa del carattere performativo della Parola di Dio in genere: «senza il riconoscimento della presenza reale del Signore Gesù nell’Eucaristia, l’intelligenza della Scrittura rimane incompiuta» (ibid.). «In analogia alla presenza reale» (ibid., n. 56) emerge anche una «sacramentalità della Parola» (ibid.), su cui amava insistere il venerabile Giovanni Paolo II.

Naturalmente, perché tutto questo possa essere ben compreso dai fedeli – e le difficoltà non mancano – è necessaria una cura particolare alla liturgia. L’attuale struttura del Lezionario, nota Benedetto XVI, ha arricchito «l’accesso alla sacra Scrittura che viene offerta in abbondanza» (ibid., n. 57): ma ci sono «difficoltà che permangono» (ibid.) e che «devono essere considerate alla luce della lettura canonica, ossia dell’unità intrinseca di tutta la Bibbia» (ibid.). È necessario anzitutto che coloro che proclamano le letture nella Messa «siano veramente idonei e preparati con impegno» (ibid., n. 58), cioè siano sia dotati di cultura «biblica e liturgica» (ibid.) sia conoscano «l’arte di leggere in pubblico» (ibid.), che non s’improvvisa.

Del tutto fondamentale per proporre ai fedeli il coordinamento tra le diverse letture e l’unità intrinseca della Bibbia è poi l’omelia. Il Papa lo raccomanda con insistenza: è indispensabile «migliorare la qualità dell’omelia» (ibid., n. 59). «Si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico» (ibid.). L’omelia «è veramente un’arte che deve essere coltivata» (ibid., n. 60) non solo attraverso lo studio, ma anche con la preghiera e la vita spirituale, se necessario con futuri «sussidi adeguati» (ibid.) tra i quali il Papa pensa a un «Direttorio sull’omelia» (ibid.).

Quello che vale per la Messa, vale anche per altri ambiti – confessione, unzione degli infermi, liturgia delle ore, benedizioni, celebrazioni della Parola – dove il Papa esorta allo studio e al rigoroso rispetto delle prescrizioni della Chiesa e fornisce pure prescrizioni e suggerimenti pratici. Tra questi, il consiglio di «educare il Popolo di Dio al valore del silenzio» (ibid., n. 66), evitando lungaggini e verbosità inutili; l’invito a «valorizzare quei canti che la tradizione della Chiesa ci ha consegnato […]. Penso in particolare all’importanza del canto gregoriano» (ibid., n.. 70); l’attenzione particolare a forme liturgiche specifiche per «i non vedenti e non udenti» (ibid., n. 71); e la reiterata prescrizione che nella Messa «le letture tratte dalla Sacra Scrittura non siano mai sostituite con altri testi» (ibid., n. 69), dal momento che al Sinodo diversi padri sinodali hanno riferito al riguardo seri «abusi» (ibid.) in questo senso.

2. La vita ecclesiale

Benedetto XVI ha richiamato più volte in tema di sacra Scrittura la figura decisiva di san Girolamo. «Così egli consiglia la matrona romana Leta per l’educazione della figlia: “Assicurati che essa studi ogni giorno qualche passo della Scrittura… Alla preghiera faccia seguire la lettura, e alla lettura la preghiera… Che invece dei gioielli e dei vestiti di seta, essa ami i Libri divini» (ibid., n. 72). L’esortazione apostolica è un fermo richiamo allo studio serio, alla luce della Dei Verbum correttamente interpretata, della Scrittura da parte di tutti – vescovi, studiosi accademici, sacerdoti, religiosi, diaconi permanenti e anche laici; e ancora giovani, anziani, ammalati – perché è ancora san Girolamo a ricordarci che «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (cit. ibid., n. 73). Trascurare questo studio ha un costo: si pensi, per esempio, alla «proliferazione di sette, che diffondono una lettura distorta e strumentale della sacra Scrittura. Là dove non si formano i fedeli ad una conoscenza della Bibbia secondo la fede della Chiesa nell’alveo della sua Tradizione viva, di fatto si lascia un vuoto pastorale in cui realtà come le sette possono trovare terreno per mettere radici» (ibid.). Beninteso, «non si tratta, quindi, di aggiungere qualche incontro in parrocchia o nella diocesi, ma di verificare che nelle abituali attività […] si abbia realmente a cuore l’incontro con Cristo che si comunica a noi nella sua Parola» (ibid.).

Il primo ambito in cui favorire questo incontro è la catechesi, senza trascurare anche per i bambini «un’intelligente memorizzazione di alcuni brani biblici particolarmente eloquenti dei misteri cristiani» (ibid., n. 74), e purché si ricordi che «l’attività catechetica implica sempre l’accostare le Scritture nella fede e nella Tradizione della Chiesa» (ibid.). Dunque «è importante sottolineare la relazione tra la sacra Scrittura e il Catechismo della Chiesa Cattolica» (ibid.), che è «rilevante espressione attuale della Tradizione viva della Chiesa, e norma sicura per l’insegnamento della fede» (ibid.). Un altro ambito su cui Benedetto XVI insiste è quello della pastorale del matrimonio e della famiglia. Non solo i genitori «sono davanti ai propri figli i primi annunciatori della Parola di Dio» (ibid., n. 85), ma oggi è necessario difendere una istituzione come la famiglia «posta per molti aspetti sotto attacco dalla mentalità corrente. Di fronte al diffuso disordine degli affetti e al sorgere di modi di pensare che banalizzano il corpo umano e la differenza sessuale, la Parola di Dio riafferma la bontà originaria dell’uomo, creato come maschio e femmina e chiamato all’amore fedele, reciproco e fecondo» (ibid.).

Il Papa si preoccupa poi d’insegnare nuovamente a tutti i fedeli, attingendo alla grande tradizione patristica, come si debba leggere il testo sacro nella lectio divina. «Si deve evitare il rischio di un approccio individualistico» (ibid., n. 86): al contrario, «il testo sacro deve essere sempre accostato nella comunione ecclesiale» (ibid.). Benedetto XVI offre una guida ai cinque tempi della lectio divina, Questa «si apre con la lettura (lectio) del testo, che provoca la domanda circa una conoscenza autentica del suo contenuto» (ibid., n. 87): «senza questo momento si rischia che il testo diventi solo un pretesto per non uscire mai dai nostri pensieri» (ibid.). Il secondo tempo è «la meditazione (meditatio)» (ibid.), dove ciascuno applica il testo a se stesso consapevole che «non si tratta di considerare parole pronunciate nel passato, ma nel presente» (ibid.). Il terzo tempo è il «momento della preghiera (oratio)» (ibid.), che è propriamente la risposta di fede dell’uomo a Dio che parla. Segue – quarto tempo – «la contemplazione (contemplatio)» (ibid.), dove la Parola di Dio diventa «criterio di discernimento» (ibid.), ci cambia e ci converte. Ma «la lectio divina non si conclude nella sua dinamica fino a quando non arriva all’azione (actio)» (ibid.), il suo quinto tempo che mostra come del cambiamento e della conversione si debba dare prova in tutti i campi dell’esistenza umana. Il Papa invita anche a non trascurare la dottrina delle indulgenze, cui la Chiesa non rinuncia, e ricorda che la lectio divina protratta per almeno mezz’ora assicura, alle consuete condizioni, l’indulgenza plenaria.

La lectio divina, peraltro, non è l’unico modo di entrare in contatto con la Parola di Dio. «Memore della relazione inscindibile tra la Parola di Dio e Maria di Nazareth» (ibid., n. 88), la Chiesa raccomanda come «uno strumento di grande utilità» (ibid.) per «meditare i santi misteri narrati dalla Scrittura […] la recita personale e comunitaria del Santo Rosario» (ibid.), così come la preghiera dell’Angelus e gli inni mariani della tradizione orientale. Né si può trascurare il pellegrinaggio verso la Terra Santa, che è in un certo senso «il quinto Vangelo» (ibid., n. 89). «Più volgiamo lo sguardo e il cuore alla Gerusalemme terrena, più si infiammano in noi il desiderio della Gerusalemme celeste, vera meta di ogni pellegrinaggio, e la passione perché il nome di Gesù, nel quale solo c’è salvezza, sia riconosciuto da tutti (cfr. At 4,12)» (ibid.).


III. Verbum mundo

1. La missione

Il quinto tempo della lectio divina è l’actio. L’azione segue l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio e ha due momenti: la missione e l’instaurazione cristiana dell’ordine temporale. Dobbiamo porci «non soltanto come destinatari della Rivelazione divina, ma anche come suoi annunciatori» (ibid., n. 91). «La Chiesa è missionaria nella sua essenza» (ibid.) e «ogni persona del nostro tempo, lo sappia oppure no, ha bisogno di questo annuncio» (ibid.). La missione «non può essere considerata come realtà facoltativa» (ibid., n. 93), e occorre comprendere bene il suo contenuto: «il Regno di Dio (cfr Mc 1, 14-15), il quale è la stessa persona di Gesù (l’Autobasileia), come ricorda suggestivamente Origene [185-284]» (ibid.). Leggendo, secondo la consueta corretta ermeneutica, un documento del servo di Dio Paolo VI, l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del 1975, troveremo conferma del fatto che la vera missione «non si limita a suggerire al mondo valori condivisi: occorre che si arrivi all’annuncio esplicito della Parola di Dio. Solo così saremo fedeli al mandato di Cristo» (ibid., n. 98). Insegna appunto la Evangelii nuntiandi: «Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati» (Paolo VI 1975, n. 22, cit. in Benedetto XVI 2010, n. 98).

Non si può rinunciare alla missio ad gentes, cioè a evangelizzare i popoli non ancora raggiunti dal Vangelo. «In nessun modo la Chiesa può limitarsi ad una pastorale di “mantenimento”, per coloro che già conoscono il Vangelo di Cristo» (ibid., n. 95). Per questo il Papa esorta pure a «continuare profeticamente a difendere il diritto e la libertà delle persone di ascoltare la Parola di Dio, cercando i mezzi più efficaci per proclamarla, anche a costo della persecuzione» (ibid.): «non cessiamo di alzare la nostra voce perché i governi delle Nazioni garantiscano a tutti libertà di coscienza e di religione, anche di poter testimoniare la propria fede pubblicamente» (ibid., n. 98).

Nel richiamare «l’importante opera del Venerabile Giovanni Paolo II» (ibid., n. 118) per il dialogo interreligioso con i musulmani, il Papa auspica che in tale dialogo «possano essere approfonditi il rispetto della vita come valore fondamentale, i diritti inalienabili dell’uomo e della donna e la loro pari dignità» (ibid., n. 118). «Il dialogo non sarebbe fecondo se questo non includesse anche un autentico rispetto per ogni persona, perché possa aderire liberamente alla propria religione» (ibid., n. 120). Lo stesso venerabile Giovanni Paolo II, parlando nel 1985 a Casablanca, in Marocco, ha insistito sul tema caro a Benedetto XVI della reciprocità: «il rispetto e il dialogo richiedono la reciprocità in tutti i campi, soprattutto per quanto concerne le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa» (Giovanni Paolo II 1985, cit. in Benedetto XVI 2010, n. 120).

Oggi poi la missio ad gentes può talora svolgersi in Paesi di antica tradizione cristiana dove è in atto il «fenomeno complesso dei movimenti migratori» (ibid., n. 105), da gestire coniugando due principi, «la sicurezza delle nazioni e l’accoglienza» (ibid.). Con l’immigrazione «un grande numero di persone che non conoscono Cristo, o che ne hanno un’immagine inadeguata, si insediano in Paesi di tradizione cristiana» (ibid.), offrendo «rinnovate possibilità per la diffusione della Parola di Dio» (ibid.). «È necessario che le diocesi interessate si mobilitino» (ibid.), tenendo sempre presente il contenuto della missione: «i migranti hanno il diritto di ascoltare il contenuto del kerygma, che viene loro proposto, non imposto» (ibid.) e che va al di là della mera assistenza umanitaria. Al migrante in difficoltà non ci si può limitare a offrire cibo e coperte: è un grave dovere annunciargli anche la Parola di Dio. Lo stesso vale per i poveri in genere, «bisognosi non solo di pane, ma anche di parole di vita. La diaconia della carità, che non deve mai mancare nelle nostre Chiese, deve essere sempre legata all’annuncio della Parola e alla celebrazione dei santi misteri» (ibid., n. 107).

Accanto alla missio ad gentes c’è poi – in realtà già preannunciata dalla stessa Evangelii nuntiandi, prima che il venerabile Giovanni Paolo II ne facesse il programma del suo pontificato – la nuova evangelizzazione delle «Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni [che] vanno smarrendo la propria identità, sotto l’influenza di una cultura secolarizzata» (ibid., n. 96). Si tratta, allora, di «intraprendere con tutte le forze la nuova evangelizzazione, soprattutto in quelle nazioni dove il Vangelo è stato dimenticato o soffre l’indifferenza dei più a causa di un diffuso secolarismo» (ibid., n. 122).

2. L’instaurazione cristiana dell’ordine temporale

«Tutta la storia dell’umanità sta sotto il giudizio di Dio» (ibid., n. 99): «nel nostro tempo ci fermiamo spesso superficialmente sul valore dell’istante che passa, come se fosse irrilevante per il futuro» (ibid.), mentre la Parola di Dio «ci ricorda che ogni momento della nostra esistenza è importante e deve essere vissuto intensamente, sapendo che ognuno di noi dovrà rendere conto della propria vita» (ibid.). Passare dalla lectio all’actio significa trasformare con la forza del Vangelo tutti i campi dell’agire umano, compresa la «vita politica e sociale» (ibid., n. 100). Il Papa ricorda che «non è compito diretto» (ibid.) della gerarchia ecclesiastica occuparsi della vita politica, «anche se a lei spetta il diritto ed il dovere di intervenire sulle questioni etiche e morali che riguardano il bene delle persone e dei popoli» (ibid.). È «compito dei fedeli laici, educati alla scuola del Vangelo, intervenire direttamente nell’azione sociale e politica» (ibid.), ed è loro dovere dotarsi di «un’adeguata formazione secondo i principi della Dottrina sociale della Chiesa» (ibid.) e della «legge naturale» (ibid., n. 101).

La riflessione sulla Parola di Dio dà l’occasione a Benedetto XVI di riflettere su due temi già in precedenza affrontati nel suo Magistero, e che hanno connessione con l’instaurazione cristiana dell’ordine temporale: l’ecologia e la cultura. «La Rivelazione, mentre ci rende noto il disegno di Dio sul cosmo, ci porta anche a denunciare gli atteggiamenti sbagliati dell’uomo, quando non riconosce tutte le cose come riflesso del Creatore ma mera materia da manipolare senza scrupoli» (ibid., n. 108). Riprendendo la denuncia della tecnocrazia nell’enciclica del 2009 Caritas in veritate, il Papa nota come «l’arroganza dell’uomo che vive come se Dio non ci fosse porta a sfruttare e deturpare la natura, non riconoscendo in essa un’opera della Parola creatrice» (ibid.).

Particolarmente profonda è la riflessione che parte dal «rapporto tra Parola di Dio e cultura. Infatti, Dio non si rivela all’uomo in astratto, ma assumendo linguaggi, immagini ed espressioni legati alle diverse culture» (ibid., n. 109), un rapporto che oggi «entra anche in una nuova fase» (ibid.) sia perché la missione ad gentes incontra culture nuove, sia perché emergono mondi in precedenza inediti come quello di Internet. «Ogni autentica cultura per essere veramente per l’uomo deve essere aperta alla trascendenza, ultimamente a Dio» (ibid.). Contro ogni relativismo, la Bibbia si presenta come «grande codice per le culture» (ibid., n. 110) e giudica le culture, che non sono tutte uguali. Nello stesso tempo, «trasfigura i limiti delle singole culture creando comunione tra popoli diversi» (ibid., n. 116).

Si parla molto d’inculturazione. Ma «l’inculturazione non va scambiata con processi di adattamento superficiale e nemmeno con la confusione sincretista che diluisce l’originalità del Vangelo per renderlo più facilmente accettabile» (ibid., n. 114). Questo va tenuto presente nel dialogo interreligioso, che va condotto «evitando forme di sincretismo e di relativismo e seguendo le linee indicate dalla Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra aetate sviluppate dal Magistero successivo dei Sommi Pontefici» (ibid., n. 117).

Due ambiti culturali su cui il Papa porta una speciale attenzione sono l’arte e Internet. Rilevando che l’arte cristiana affascina sempre più anche non cristiani – Benedetto XVI pensa per esempio, «all’antico linguaggio espresso dalle icone che dalla tradizione orientale si sta diffondendo in tutto il mondo» (ibid., n. 112) – il Papa celebra gli artisti che «hanno aiutato a rendere in qualche modo percepibili nel tempo e nello spazio le realtà invisibili ed eterne» (ibid.). Nello stesso tempo esorta a che, per quanto possibile, «si promuova nella Chiesa una solida formazione degli artisti riguardo alla Sacra Scrittura alla luce della Tradizione viva della Chiesa e del Magistero» (ibid.).

Con Internet «oggi la comunicazione stende una rete che avvolge tutto il globo, e acquista un nuovo significato l’appello di Cristo: “Quello che io vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo nelle terrazze” (Mt 10,27)» (ibid., n. 113). Richiamando un importante documento del venerabile Giovanni Paolo II, il Messaggio per la XXXVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, del 2002 (Giovanni Paolo II 2002), Benedetto XVI invita a fare «emergere il volto di Cristo» (Benedetto XVI 2010, n. 113) anche «nel mondo di internet, che permette a miliardi di immagini di apparire su milioni di schermi in tutto il mondo» (ibid.). Internet «costituisce un nuovo forum in cui far risuonare il Vangelo, nella consapevolezza, però, che il mondo virtuale non potrà mai sostituire il mondo reale e che l’evangelizzazione potrà usufruire della virtualità offerta dai new media solo se si arriverà al contatto personale, che resta insostituibile» (ibid.). È una lezione particolarmente pertinente nell’epoca dei social network come Facebook, dove – se si vuole usare lo strumento per l’evangelizzazione – si tratta appunto di passare dal primo contatto virtuale all’insostituibile contatto personale.

In Internet, come altrove, deve alla fine emergere che «tutto l’essere sta sotto il segno della Parola» (ibid., n. 121), e che «sia nella sacra Scrittura che nella Tradizione viva della Chiesa» (ibid.) siamo di fronte «alla Parola definitiva di Dio sul cosmo e sulla storia» (ibid.). Il frutto dell’obbedienza a questa Parola sarà qualcosa che il mondo rischia di dimenticare: la gioia. «Si tratta di una gioia profonda che scaturisce dal cuore stesso della vita trinitaria e che si comunica a noi nel Figlio. Si tratta della gioia come dono ineffabile che il mondo non può dare. Si possono organizzare feste, ma non la gioia» (ibid., n. 123). Questa viene solo dal Signore per mezzo di Maria, che in quanto «Mater Verbi» (ibid., n. 123) è anche «Mater laetitiae» (ibid.).
 

Riferimenti

Per tutti i testi, che sono disponibili su Internet sul sito della Santa Sede vatican.va è fornito un indirizzo abbreviato con il sistema tinyurl. Nei riferimenti gli indirizzi tinyurl sono indicati da una T maiuscola. Per esempio «T b8f72» indica che per accedere alla pagina del sito della Santa Sede dov’è disponibile il documento occorre digitare http://tinyurl.com/b8f72.

Benedetto XVI. 2005. Discorso alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, del 22-12-2005. T b8f72.

Benedetto XVI. 2006. Omelia nella solennità del Natale del Signore, del 24-12-2006. T 2cwdbep.

Benedetto XVI. 2009. Omelia nella solennità dell’Epifania, del 6-1-2009. T 2ay3k27.

Benedetto XVI. 2010. Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, del 30-9-2010. T 3yf3ouy.

Concilio Ecumenico Vaticano II. 1965. Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum, del 18-11-1965. T 6avj.

Giovanni Paolo II. 2002. Messaggio per la XXXVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali – Internet: un nuovo Forum per proclamare il Vangelo, del 24-1-2002. T 3xzp39j.

Paolo VI. 1975. Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, dell’8-12-1975. T 37ehsbt.

Pontificia Commissione Biblica. 1993. L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, del 15-4-1993. T 2sylu.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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22/11/2010 01:26
 
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[SM=g1740733] P. Tomas Tyn, OP, parla del Concilio Vaticano II (DEI VERBUM) nella
Conferenza tenuta a Bologna il 28.11.1985.
P.S. Testo ancora da trascrivere

it.gloria.tv/?media=109686




[SM=g1740722]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740733] molto ben volentieri mi faccio portavoce delle riflessioni di padre Giovanni Scalese riportando il tutto dal suo Blog Senza peli sulla lingua.....


“Verbum Domini” et... verba hominum

Finalmente sono riuscito a leggere l’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini. A giudicare dalle reazioni e dai commenti, praticamente inesistenti, sembrerebbe già caduta nell’oblio. Mi sono chiesto il perché. In fondo è fatta bene, è completa e ricca di spunti. Come mai dunque nessuno ne parla? Butto là qualche possibile spiegazione. 

Forse è passato troppo tempo tra la celebrazione del Sinodo (5-26 ottobre 2008) e la pubblicazione dell’esortazione apostolica (11 novembre 2010): non sono un tantino eccessivi due anni per rielaborare le conclusioni di un Sinodo e stenderne una sintesi?

Forse la pubblicazione di Verbum Domini è stata troppo presto “oscurata”, una decina di giorni dopo, da quella del libro-intervista Luce del mondo, che ha avuto una notevole risonanza sui media, per i motivi che conosciamo.

Forse il “monopolio” della Libreria Editrice Vaticana ha ritardato la distribuzione dell’esortazione apostolica nelle librerie: quando il documento è uscito, se uno, preso dalla curiosità, andava a cercarlo in libreria, non lo trovava; quando è arrivato (con un mesetto di ritardo), l’interesse era già scemato.

Forse la mole del documento (232 pagine) ha scoraggiato qualcuno: d’accordo che c’erano tante cose da dire; ma possibile che non si potesse essere un po’ piú sintetici?

Qualcun altro forse è stato scoraggiato dal prezzo: non sono pochi 6 euro per un opuscolo che, una volta aperto, si trasforma in un raccoglitore di foglietti volanti. Possibile che non si riuscisse a fare un’edizione piú agile ed economica? In fondo, gli Orientamenti pastorali della CEI Educare alla vita buona del Vangelo, pubblicati dalle Paoline, costano un quarto dell’esortazione apostolica (€ 1,50).

La lettura di Verbum Domini non ha dissipato le perplessità che avevo espresso in un recente post, a proposito delle esortazioni apostoliche e del sistema sinodale in genere. Mi chiedo se valga la spesa mettere in moto una macchina cosí complessa come il Sinodo dei Vescovi, per avere poi dei documenti che saranno anche belli, ma, con la pretesa di dire un po’ tutto, finiscono per essere verbosi e ripetitivi. Per parlare della parola di Dio, è proprio necessario metterla in rapporto con tutto lo scibile teologico (liturgia, sacramenti, catechesi, vocazioni, ministri ordinati, vita consacrata, laici, famiglia, evangelizzazione, giustizia, pace, giovani, migranti, poveri, ecologia, cultura, mezzi di comunicazione, ecumenismo, dialogo interreligioso, ecc. ecc.)? Non stiamo esagerando un pochino? Sarà anche vero che al Sinodo sono stati toccati tutti questi aspetti; ma... a che serve? Non vorrei apparire iconoclasta, ma a me sembra che il sommergere la parola di Dio in un profluvio di parole umane non giovi molto alla sua causa.

Oltre tutto, in qualche caso, quando si trattava di affrontare problemi specifici, si è preferito sorvolare. Tanto per fare un esempio, il Sinodo aveva avanzato una proposta, discutibile quanto si vuole, ma concreta: l’apertura del ministero del lettorato alle donne (proposizione 17). Ebbene, nell’esortazione apostolica... ne verbum quidem (cf n. 58). Capisco che talvolta, su certi argomenti, sia meglio glissare. Ma perché non dare una spiegazione della mancata accoglienza della proposta dei Vescovi? A che serve continuare a ripetere certe frasi fatte (“genio femminile”, n. 85), che rischiano di ridursi a semplici slogan? Non sarebbe stato piú semplice dire: “Sebbene non ci siano motivi teologici che lo impediscano, almeno per il momento si preferisce rimanere fedele alla secolare tradizione della Chiesa, che ha sempre riservato i ministeri istituiti ai soli uomini” (cf Paolo VI, motu proprio Ministeria quaedam, 15 agosto 1972, norma VII).

Da parte mia, vorrei soffermarmi su due aspetti, certamente secondari, ma ai quali sono particolarmente interessato. Il primo riguarda il rapporto fra la parola di Dio e la liturgia. L’esortazione apostolica gli dedica uno spazio non indifferente (dal n. 52 al n. 71). Personalmente, ho trovato molto stimolante la connessione fra “lettura orante” della Bibbia e liturgia:

«In un certo senso la lettura orante, personale e comunitaria, deve essere sempre vissuta in relazione alla celebrazione eucaristica. Come l’adorazione eucaristica prepara, accompagna e prosegue la liturgia eucaristica, cosí la lettura orante personale e comunitaria prepara, accompagna e approfondisce quanto la Chiesa celebra con la proclamazione della Parola nell’ambito liturgico» (n. 86).

C’è però, secondo me un altro aspetto che è stato completamente trascurato: è vero che la lectio divina dovrebbe far riferimento alla parola di Dio letta durante la Messa; ma è altrettanto vero che la riforma liturgica ha, in qualche modo, assunto la lectio divina all’interno della liturgia stessa, e precisamente nella Liturgia delle Ore, con un’Ora specifica detta, appunto, Officium lectionis. In italiano quest’Ora viene chiamata, piuttosto banalmente, “Ufficio delle letture”, senza rendersi conto che si tratta, invece, dell’Ufficio della lectio. Ebbene, che dice a questo proposito il Sinodo? Nulla. C’è — è vero — un numero dedicato a “Parola di Dio e Liturgia delle Ore”, che non aggiunge però nulla di nuovo: si limita a ripetere cose che già sapevamo. Si afferma che «il Sinodo ha espresso il desiderio che si diffonda maggiormente nel Popolo di Dio questo tipo di preghiera [= la Liturgia delle Ore], specialmente la recita delle Lodi e dei Vespri». Sí, benissimo; ma che c’entra in questo contesto? Perché non promuovere piuttosto la celebrazione, privata e pubblica, dell’Officium lectionis? E perché non raccomandare l’uso del ciclo biennale delle letture, previsto nella Institutio generalis Liturgiae Horarum (nel breviario attualmente in uso è contenuto il ciclo unico, che tralascia buona parte dei libri della Bibbia) e, già che c’eravamo, sollecitare la pubblicazione del “Supplemento” atteso da quarant’anni (ibid., n. 145)?

Un altro aspetto che mi sta a cuore è quello delle traduzioni della Bibbia. Verbum Domini ne parla al n. 115. Giustamente l’esortazione apostolica lamenta che «varie Chiese locali non dispongono ancora di una traduzione integrale della Bibbia nelle proprie lingue». Purtroppo è vero. Ma, accanto a tale problema, esiste anche quello delle traduzioni scadenti. È mai possibile che nelle Filippine (unico paese cristiano dell’Asia, con oltre l’80% di cattolici) per la liturgia si debba usare una modestissima traduzione della Bibbia in tagalog di origine protestante? (l’unica preoccupazione è stata quella di sostituire gli spagnolismi con termini indigeni, p. es. bautismo è stato rimpiazzato da binyagan). In barba alla raccomandazione conciliare di tradurre la Bibbia dai testi originali (Dei Verbum, n. 22), spesso viene il dubbio che certe traduzioni nelle lingue locali siano in realtà “ritraduzioni” dalle lingue europee...

Giustamente l’esortazione apostolica, citando un precedente documento della Pontificia Commissione Biblica, rammenta che «una traduzione ... è sempre qualcosa di piú di una semplice trascrizione del testo originale». Ma non sarebbe stato opportuno accennare almeno a qualche criterio di traduzione? Visto che si discute se si debba adottare la “corrispondenza letterale o formale” o la “equivalenza letteraria o dinamica” (vedi qui), non sarebbe stato il caso di suggerire qualche orientamento? In campo liturgico, si è intervenuti in maniera categorica, con l’istruzione Liturgiam authenticam (28 marzo 2001). Le traduzioni bibliche, a prescindere dal loro uso liturgico, non meritavano un’analoga attenzione?


Fraternamente CaterinaLD

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dalla Verbum Domini
IL VALORE DEL ROSARIO

Parola di Dio e preghiera mariana

88. Memore della relazione inscindibile tra la
Parola di Dio e Maria di Nazareth, insieme ai Padri
sinodali invito a promuovere tra i fedeli, soprattutto
nella vita familiare, le preghiere mariane quale aiuto a meditare i santi misteri narrati
dalla Scrittura.

Uno strumento di grande utilità è,
ad esempio, la recita personale o comunitaria del
Santo Rosario
,302 che ripercorre insieme a Maria i
misteri della vita di Cristo303 e che il Papa Giovanni
Paolo II ha voluto arricchire con i misteri
della luce.304

È opportuno che l’annuncio dei
singoli misteri sia accompagnato con brevi brani
della Bibbia attinenti al mistero enunciato, così da
favorire la memorizzazione di alcune espressioni
signifi cative della Scrittura in relazione ai misteri
della vita di Cristo.

Il Sinodo ha inoltre raccomandato di promuovere
tra i fedeli la recita della preghiera
dell’Angelus Domini. Si tratta di una preghiera semplice
e profonda che ci permette di fare « memoria
quotidiana del Verbo Incarnato ».305

È opportuno
che il Popolo di Dio, le famiglie e le comunità di
persone consacrate siano fedeli a questa preghiera
mariana, che la tradizione ci invita a recitare
all’aurora, a mezzogiorno e al tramonto. Nella
preghiera dell’Angelus Domini chiediamo a Dio
che per intercessione di Maria sia dato anche a
noi di compiere, come Lei, la volontà di Dio e di
accogliere in noi la sua Parola. Questa pratica può
aiutarci a rafforzare un autentico amore al mistero
dell’Incarnazione.

Meritano di essere conosciute, apprezzate e
diffuse anche alcune antiche preghiere dell’Oriente
cristiano, che attraverso un riferimento alla
Theotokos, alla Madre di Dio, ripercorrono l’intera
storia della salvezza. Ci riferiamo in particolare
all’Akathistos e alla Paraklesis. Si tratta di inni di
lode cantati in forma litanica, intrisi di fede ecclesiale
e di riferimenti biblici, che aiutano i fedeli
a meditare insieme a Maria i misteri di Cristo. In
particolare, il venerabile inno alla Madre di Dio,
detto Akathistos – ossia cantato rimanendo in piedi
-, rappresenta una tra le più alte espressioni di
pietà mariana della tradizione bizantina.306 Pregare
con queste parole dilata l’anima e la dispone
alla pace che viene dall’alto, da Dio, a quella pace
che è Cristo stesso, nato da Maria per la nostra
salvezza.

Note

302 Cfr CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA
DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi
e orientamenti (17 dicembre 2001), 197-202: Ench. Vat. 20,
n. 2638-2643.
303 Cfr Propositio 55.
304 Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae
(16 ottobre 2002): AAS 95 (2003), 5-36.
305 Propositio 55.
306 Cfr CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA
DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi
e orientamenti (17 dicembre 2001), 207: Ench. Vat. 20, n. 2656-
2657.



[SM=g1740738] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

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Il convegno dell'Apostolato biblico della Conferenza episcopale italiana

La voce e il volto
della Parola



ROMA, 5. L'apostolato biblico "ha una consistenza ecclesiale non solo come animazione della pastorale in chiave biblica, ma come continuo alimento, all'interno della vita ecclesiale, di questo desiderio di conoscere Dio e, nelle Scritture - così come ci ricorda san Girolamo - conoscere il Figlio suo, Gesù Cristo".

È quanto ha sottolineato oggi il vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, intervenuto in occasione del convegno nazionale dell'Apostolato Biblico, in corso di svolgimento, fino al 6 febbraio, a Roma.

Lo scopo del convegno, promosso dal Settore Apostolato Biblico dell'Ufficio Catechistico Nazionale della Conferenza episcopale italiana (Cei), è "aiutare gli animatori biblici diocesani a comprendere e a comunicare correttamente un contenuto fondamentale, che richiede una competenza specifica e un atteggiamento intensamente credente": il tema è infatti "Gesù Cristo, centro delle scritture nella prospettiva esegetica, teologica, catechistico/pastorale e liturgica".

Nel suo intervento, tenuto anche in occasione della presentazione della Miscellanea offerta in onore di don Cesare Bissoli, "Viva ed efficace è la parola di Dio. Linee per l'animazione biblica della pastorale" monsignor Crociata ha spiegato che "la lettura della Bibbia è di per sé aperta a un dialogo, non solo con colui che nella Bibbia parla e con colui che materialmente l'ha scritta e redatta, ma anche con tutti coloro che nei secoli hanno guardato a questo testo come a un testo di fede e lo hanno interpretato e vissuto". L'argomento scelto per il convegno è una delle tematiche fondamentali dell'Esortazione Apostolica Verbum Domini di Benedetto XVI: "Adesso, la Parola non è solo udibile, non solo possiede una voce, ora la parola ha un volto, che dunque possiamo vedere: Gesù di Nazareth" (n° 12).

All'inizio dei lavori, il direttore dell'Ufficio Catechistico Nazionale, don Guido Benzi, ha spiegato che "la Costituzione dogmatica Dei verbum fin dal suo proemio, citando la prima Lettera di Giovanni, focalizza la sua attenzione sulla centralità di Cristo e sull'esperienza che l'Apostolo ha fatto di lui". Quanto all'importanza della lettura della Bibbia nella prospettiva della nuova evangelizzazione, don Benzi - citando ancora la Costituzione dogmatica - ha aggiunto che "parlando Dio, per "mezzo di uomini e alla maniera umana", sono necessarie e indispensabili quelle operazioni critiche ed esegetiche, che sole possono aiutare gli interpreti a penetrare il senso letterale dei testi".

Nel concludere, il sacerdote ha poi puntualizzato che "anche per l'interprete, e non solo per gli autori biblici, si deve realizzare quella "intimità" nello Spirito che abbiamo visto essere presente negli autori antichi e pienamente nel Figlio". Una chiave di lettura è venuta, tra gli altri, anche dalla biblista suor Benedetta Rossi, la quale ha evidenziato come "la parola profetica svela la storia, portando alla luce dinamiche non immediatamente percepibili".



(©L'Osservatore Romano - 6 febbraio 2011)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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“La Parola di Dio ci chiama e ci coinvolge”. Il Patriarca su “Verbum Domini”

Viene qui di seguito pubblicata l’introduzione alla lettura del testo “Verbum Domini” proposta dal Patriarca nei diversi incontri:

+ Angelo card. Scola

patriarca 

Introduzione 

Dopo due anni dalla celebrazione della XII Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, il Santo Padre Benedetto XVI offre a tutto il popolo di Dio l’Esortazione apostolica postsinodale che ne presenta i risultati. Lo scopo del documento è chiarito fin dall’inizio da Benedetto XVI: 

“Con questa Esortazione apostolica postsinodale accolgo volentieri la richiesta dei Padri di far conoscere a tutto il Popolo di Dio la ricchezza emersa nell’assise vaticana e le indicazioni espresse dal lavoro comune quanto elaborato dal Sinodo, tenendo conto dei documenti presentati. In tal modo desidero indicare alcune linee fondamentali per una riscoperta, nella vita della Chiesa, della divina Parola, sorgente di costante rinnovamento, auspicando al contempo che essa diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale” (n. 1). 

Questo documento si relaziona fortemente con l’XI Assemblea Sinodale, svoltasi nell’ottobre del 2005, che ha avuto per tema l’Eucaristia, fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. Ciò è evidente non solo per il riferimento comune alla vita e alla missione della Chiesa e per il fatto che entrambe, Parola ed Eucaristia, costituiscono il cuore esistenza ecclesiale (cfr. n. 3), ma perché lo stesso testo più volte ritorna su questo legame, al punto da affermare, al n. 55, che: 

“Parola ed Eucaristia si appartengono così intimamente da non poter essere comprese l’una senza l’altra: la Parola di Dio si fa carne sacramentale nell’evento eucaristico. L’Eucaristia ci apre all’intelligenza della sacra Scrittura, così come la sacra Scrittura a sua volta illumina e spiega il Mistero eucaristico”. 

E’ significativo, inoltre, anche l’ordine delle due ultime assemblee sinodali: in un certo senso, l’approfondimento che la Chiesa ha dedicato negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II fino al Sinodo del 2005 sull’Eucaristia ha reso possibile una equilibrata tematizzazione della Parola di Dio in tutta la sua ricchezza teologica ed esistenziale. 

Come per l’Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis, anche la Verbum Domini può essere compresa come un atto di ricezione del Concilio Vaticano II in particolare della Dei Verbum e dei successivi interventi del magistero intorno al tema della Parola di Dio e della Sacra Scrittura (cfr. Verbum Domini, n. 3). Esso si pone anche in attento ascolto dell’aumentato dibattito intorno al tema della Scrittura dopo il Vaticano II, entrando in merito ai punti proposti dal Concilio e non ancora recepiti adeguatamente. 

Il testo che ci viene proposto è molto ampio; uno dei più abbondanti del magistero pontificio, in cui in effetti vengono riprese tutte le tematiche emerse nell’assemblea sinodale. Tutte le propositiones dei Padri sinodali sono state riprese dal documento, insieme agli altri testi che hanno ritmato i lavori sinodali.

Lo stile del documento è particolarmente felice perché di fatto si toccano le questioni nodali relative alla Parola di Dio e alla Sacra Scrittura con grande precisione e tuttavia il linguaggio utilizzato è chiaro e concreto, sia nelle riflessioni più specificamente teologiche, sia nei risvolti più propriamente pastorali. Il documento pertanto potrà essere letto e studiato non solo dagli addetti ai lavori ma anche da tutto il popolo di Dio.

Come si ricorderà, lo stesso Benedetto XVI lungo il suo pontificato è intervenuto più volte ed in maniera approfondita sul tema della Parola di Dio. Anche durante la stessa assemblea sinodale gli interventi del pontefice erano andati al cuore del dibattito circa il rapporto tra Parola di Dio e Sacra Scrittura e intorno al tema dell’ermeneutica teologica. L’Esortazione riprende ed approfondisce gli interventi del pontefice a tale proposito.

Elementi fondanti della Verbum Domini

Il Dio-che-parla e il Verbo 

Cerchiamo di segnalare alcuni aspetti particolarmente significativi del testo. Il primo elemento originale nel testo è propriamente l’impianto generale. Esso ruota intorno al celeberrimo prologo di san Giovanni, come lo stesso Benedetto XVI spiega all’inizio del documento: 

“Si tratta di un testo mirabile, che offre una sintesi di tutta la fede cristiana. Dall’esperienza personale di incontro e di sequela di Cristo, Giovanni, che la tradizione identifica nel «discepolo che Gesù amava» (Gv 13,23; 20,2; 21,7.20), «trasse un’intima certezza: Gesù è la Sapienza di Dio incarnata, è la sua Parola eterna fattasi uomo mortale». Colui che «vide e credette» (Gv 20,8) aiuti anche noi a poggiare il capo sul petto di Cristo (cfr Gv 13,25), dal quale sono scaturiti sangue ed acqua (cfr Gv 19,34), simboli dei Sacramenti della Chiesa”. 

La scelta del prologo giovanneo ci fa comprendere una prima originalità del testo. L’accento è posto su Dio che parla e sull’uomo, chiamato ad accogliere la sua parola e ad entrare nell’Alleanza. Si può dire che il “Verbum” nel testo non è mai isolato in se stesso ma sempre in relazione al Dio-che-parla [nn. 6-21] e alla risposta dell’uomo al Dio-che-parla [22-28].

A partire da questo impianto che domina nella prima parte si comprende anche il senso delle successive due parti. Nella seconda parte, Verbum in Ecclesia, la Chiesa si manifesta come il soggetto che accoglie la Parola che Dio ha comunicato, come evento sempre attuale e non come mero fatto del passato. Dio parla nel presente (VD 52; 87). Da qui si comprende perché la Chiesa viene presentata come “luogo originario dell’ermeneutica della Bibbia” (nn. 29-30) e la liturgia come “Luogo privilegiato della Parola” (nn. 54-71]. Infatti nella liturgia la Parola di Dio, proclamata, si mostra nella sua contemporaneità ad ogni fedele.

Anche la terza parte dell’Esortazione apostolica segue ed esprime la stessa logica. Verbum mundo. Il mistero della Chiesa, quale autentico soggetto di ricezione della rivelazione di Dio viene totalmente coinvolto nella missione del Verbo che si diffonde nel mondo intero. Pertanto, la missione della Chiesa non viene compresa in termini estrinseci, ma viene implicata dallo stesso evento dell’incarnazione del Verbo di Dio, nel quale la stessa Chiesa ha il suo fondamento: 

“I primi cristiani hanno considerato il loro annuncio missionario come una necessità derivante dalla natura stessa della fede: il Dio nel quale credevano era il Dio di tutti, il Dio uno e vero che si era mostrato nella storia d’Israele e infi ne nel suo Figlio, dando con ciò la risposta che tutti gli uomini, nel loro intimo, attendono” (DV 93). 

“La missione della Chiesa non può essere considerata come realtà facoltativa o aggiuntiva della vita ecclesiale. Si tratta di lasciare che lo Spirito Santo ci assimili a Cristo stesso, partecipando così alla sua stessa missione” (DV 93) 

Non vi è veramente accoglienza della Parola di Dio fino a quando non vi è da parte del credente l’assunzione della missione nei confronti del mondo intero. Non si accoglie la Parola di Dio se non si accetta di lasciarsi includere nella stessa missione di Cristo che si prolunga nella Chiesa. Ciò è espresso in numerosi passaggi del testo, in particolare vorrei fare osservare il riferimento ad un testo emblematico in questo senso che è 1Gv 1,1-4, in cui nell’annuncio e nella testimonianza agli altri si dilata la comunione e la gioia. Non a caso il riferimento a questo brano giovanneo lo troviamo all’inizio (n. 2) e alla conclusione del documento (n. 123).

Il paradigma mariano e l’orizzonte sacramentale della rivelazione 

In questa prospettiva si comprende bene anche il costante riferimento alla Madre di Dio. Il Dio-che-parla trova in Maria il paradigma della relazione tra Verbo di Dio e umana libertà. Già in Sacramentum caritatis si era affermato: “In Maria Santissima vediamo perfettamente attuata anche la modalità sacramentale con cui Dio raggiunge e coinvolge nella sua iniziativa salvifica la creatura umana” (SC 33). In riferimento alla Parola di Dio, Benedetto XVI nella Verbum Domini afferma: 

“In realtà, l’incarnazione del Verbo non può essere pensata a prescindere dalla libertà di questa giovane donna che con il suo assenso coopera in modo decisivo all’ingresso dell’Eterno nel tempo” (VD 27) (cfr. anche DV 28, Maria Mater Verbi Dei et Mater fidei). 

In realtà con ciò Benedetto XVI ci fa comprendere il fondamento di quanto viene proposto nel testo relativamente al senso della Parola di Dio, alla sua attestazione nelle Scritture, alla sua ermeneutica, alla sua celebrazione nella liturgia viva nella Chiesa fino arrivare a tutte le implicazioni più dettagliate relativamente alla missione della Chiesa nel mondo, quale annunciatrice di Cristo, Verbo incarnato, morto e risorto per la salvezza di tutti gli uomini. 

Infatti, ponendo Maria Santissima come paradigma della relazione tra il Verbo di Dio e la libertà umana siamo portati ad approfondire l’orizzonte sacramentale della rivelazione stessa di Dio – affermata genialmente da Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio (n. 13), ripresa letteralmente sia nella Sacramentum Caritatis (n. 45) che nella Verbum Domini (n. 56). In quest’ultimo caso, Benedetto XVI riprende il testo di Giovanni Paolo II per spiegare il senso della sacramentalità della Parola di Dio, in profonda relazione ed analogia con il sacramento eucaristico: 

“All’origine della sacramentalità della Parola di Dio sta propriamente il mistero dell’incarnazione: «il Verbo si fece carne» (Gv 1,14), la realtà del mistero rivelato si offre a noi nella «carne» del Figlio. La Parola di Dio si rende percepibile alla fede attraverso il «segno» di parole e di gesti umani. La fede, dunque, riconosce il Verbo di Dio accogliendo i gesti e le parole con i quali Egli stesso si presenta a noi. L’orizzonte sacramentale della Rivelazione indica, pertanto, la modalità storico-salvifica con la quale il Verbo di Dio entra nel tempo e nello spazio, diventando interlocutore dell’uomo, chiamato ad accogliere nella fede il suo dono” (n. 56). 

In tal modo Benedetto XVI approfondisce la riflessione magisteriale sull’orizzonte sacramentale della rivelazione, mettendolo in riferimento alla Parola di Dio che si comunica a noi mediante la parola umana. Dio si rende incontrabile dall’uomo nella dinamica del segno per mezzo della quale la umana libertà è chiamata originariamente all’assenso a all’accoglienza.

Si potrebbe qui trovare un accostamento interessante con ciò che lo stesso Benedetto XVI afferma nella prima parte del documento riguardo alla dimensione cosmica della Parola di Dio (n. 8), in cui nello stesso orizzonte di significati si mostra come la Parola di Dio si comunichi anche attraverso la creazione. Citando Bonaventura il Papa afferma: “Ogni creatura è Parola di Dio, poiché proclama Dio”: n. 8) 

Benedetto XVI a questo proposito richiama la figura fondamentale della libertà di fronte al Dio-che-parla: “La risposta propria dell’uomo al Dio che parola è la fede” (n. 25); ed in riferimento al mistero dell’incarnazione si afferma: “tutta la storia della salvezza che in modo progressivo ci mostra questo intimo legame tra la Parola di Dio e la fede che si compie nell’incontro con Cristo. Con Lui, infatti, la fede prende la forma dell’incontro con una Persona alla quale si affida la propria vita. Cristo Gesù rimane presente oggi nella storia, nel suo corpo che è la Chiesa” (n. 25).

Implicazioni principali della Verbum Domini 

Da ciò è possibile considerare altri passaggi del testo dell’Esortazione che approfondiscono elementi decisivi già toccati dalla Dei Verbum.

Il Verbo incarnato e l’Analogia della Parola 

L’orizzonte sacramentale e dialogico della rivelazione cristiana ha permesso a Benedetto XVI di contribuire sensibilmente ad una corretta comprensione dei diversi significati dell’espressione Parola di Dio e Verbo di Dio, ossia il riferimento all’“uso analogico del linguaggio umano in riferimento alla Parola di Dio” (n. 7). Proprio a partire dalla meditazione del prologo giovanneo diviene chiaro che al centro di tutto sta l’espressione «Parola di Dio» che “viene qui ad indicare la persona di Gesù Cristo, eterno Figlio del Padre, fatto uomo” (n. 7). 

Intorno a questo centro stanno gli altri riferimenti che vanno a costituire una vera sinfonia della Parola di Dio: il riferimento va alla creazione, ossia al Liber Naturae, alla Parola di Dio che si comunica attraverso i profeti fino a coincidere con Gesù Cristo. Da qui viene considerata come Parola di Dio la Tradizione, a partire dalla predicazione apostolica, e la Sacra Scrittura quale attestazione normativa. Evidentemente, tutta questa sinfonia non potrebbe essere colta se non nella sua originaria relazione con il Logos fatto carne, ossia Gesù Cristo, Figlio di Dio e figlio di Maria. L’invito di Benedetto XVI è che sia nella riflessione teologica che nell’azione pastorale si comprenda meglio questo uso analogico della “Parola di Dio” cosicché “risplenda meglio l’unità del piano divino e la centralità in esso della persona di Cristo” (n. 7).

L’ermeneutica della Scrittura 

Particolarmente a cuore a Benedetto XVI sta il tema dell’ermeneutica della Scrittura. Quanto abbiamo precedentemente richiamato ci permette di comprendere perché il Papa ritenga che l’atto della ricezione della Dei Verbum a questo proposito non sia stata ancora del tutto compiuta. Infatti, se la Parola di Dio è il Verbo fatto carne che permane nel tempo e nello spazio e che si attesta nelle Scritture, allora il luogo originario dell’ermeneutica non potrà che essere la vita della Chiesa (DV 29) e in essa una autentica esperienza cristiana.

Tale posizione di per sé non mortifica il grande sforzo proveniente dall’esegesi con i suoi metodi adeguati per la comprensione del testo biblico. Semplicemente si mostra come tale livello non sia esaustivo dell’atto ermeneutico. In realtà ci troviamo ancora una volta a confrontarci anche qui con l’orizzonte sacramentale della rivelazione in relazione alla sacramentalità della Parola, ossia al fatto che il Dio-che-parla raggiunga la libertà credente mediante il segno della parola umana. La sacra Scrittura pertanto non avrà un approccio ermeneutico compiuto fino a quando non si riconosce che nella fatticità del segno è la stessa Parola di Dio che mi viene comunicata.

In tal senso l’ermeneutica della fede è essenziale ad un approccio integrale alla Scrittura. A tal proposito si afferma: “Approcci al testo sacro che prescindano dalla fede possono suggerire elementi interessanti, soffermandosi sulla struttura del testo e le sue forme; tuttavia, un tale tentativo sarebbe inevitabilmente solo preliminare e strutturalmente incompiuto” (VD 30). Infatti per l’intelligenza della fede nella “lettera” della scrittura è il Verbo stesso di Dio che non cessa di parlare qui e ora. 

L’esigenza di correlare meglio i due livelli dell’ermeneutica biblica comporta in sé notevoli conseguenze sia dal punto di vista degli studi biblici, sia nell’azione pastorale della Chiesa. Infatti, “dove l’esegesi non è teologia, la Scrittura non può essere l’anima della teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento” (VD 35,c).

In tal senso si comprende perché gli interventi del magistero ecclesiale hanno sottolineato sempre l’importanza dello studio esegetico della lettera scritturistica, rifiutando una ermeneutica secolarizzata che esclude aprioristicamente l’intervento del divino nella storia; ma anche con lo stesso vigore rifiutato una interpretazione spirituale che prescindesse dalla letteralità della Scrittura. E’ lo stesso mistero dell’incarnazione ad esigere una ermeneutica integrale che consideri seriamente la “carne” del Verbo e che in essa accolga la presenza del mistero di Dio che parla a noi oggi.

Ma anche dal punto di vista pastorale, fa osservare il Papa, una inadeguata ermeneutica dei testi, porta delle conseguenze notevoli ad esempio nella preparazione delle omelie o nella divisione tra esegesi e lectio divina, o in genere nella “lettura pia” della Scrittura (cfr. DV 25; VD 86). In tal senso si comprende l’insistenza di Benedetto XVI sulla relazione tra Parola di Dio e celebrazione liturgica, in particolare l’Eucaristia, dove appunto la Parola di Dio innanzitutto è proclamata e celebrata come evento presente e non come testo meramente del passato.

Significativamente il Papa propone una interessante analogia tra adorazione eucaristica e meditazione pia della Scrittura: 

“Nella lettura orante della sacra Scrittura il luogo privilegiato è la liturgia, in particolare l’Eucaristia, nella quale, celebrando il Corpo e il Sangue di Cristo nel Sacramento, si attualizza tra noi la Parola stessa. In un certo senso la lettura orante, personale e comunitaria, deve essere sempre vissuta in relazione alla celebrazione eucaristica. Come l’adorazione eucaristica prepara, accompagna e prosegue la liturgia eucaristica, così la lettura orante personale e comunitaria prepara, accompagna ed approfondisce quanto la Chiesa celebra con la proclamazione della Parola nell’ambito liturgico” (VD 86). 

In quest’ottica è articolatamente proposta le Lectio divina (VD 87). 

Nella stessa logica Benedetto XVI raccomanda una ripresa della dimensione biblica della formazione cristiana e della catechesi in particolare. Quale ruolo gioca effettivamente la Sacra Scrittura nella pastorale? A questo proposito è interessante che si affermi: “Non si tratta, quindi, di aggiungere qualche incontro in parrocchia o nella diocesi, ma di verificare che nelle abituali attività delle comunità cristiane, nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti, si abbia realmente a cuore l’incontro personale con Cristo che si comunica a noi nella sua Parola.” (VD 73).

Dunque la animazione biblica della pastorale deve essere compresa, non come l’aggiunta di nuovi incontri a carattere biblico, separati da quelli già presenti nelle attività parrocchiali e diocesane; ma piuttosto come rinnovata attenzione alla Sacra Scrittura in tutta l’attuale struttura pastorale, affinché le attività che già si svolgono possano permettere ai fedeli di accostare le Scritture secondo la fede ecclesiale. Infatti, “Là dove non si formano i fedeli ad una conoscenza della Bibbia secondo la fede della Chiesa nell’alveo della sua Tradizione viva, di fatto si lascia un vuoto pastorale in cui realtà come le sette possono trovare terreno per mettere radici” (VD 73).

Implicazioni antropologiche 

Alcune considerazioni si possono fare relativamente alla dimensione antropologica e alla ricaduta esistenziale della considerazione circa la Parola di Dio contenuto del documento di Benedetto XVI. Già abbiamo messo in evidenza come lo stesso orizzonte sacramentale della rivelazione in cui si colloca la nostra relazione con la Parola di Dio implichi la valorizzazione della libertà dell’uomo chiamata nella fede ad entrare nell’Alleanza Nuova compiuta definitivamente in Cristo. Benedetto XVI nella Esortazione apostolica approfondisce questo tema in molte direzioni interessanti. Una delle quali è certamente la considerazione di Dio che nella sua parola ascolta e risponde alle domande e al grido dell’uomo: “In questo dialogo con Dio comprendiamo noi stessi e troviamo risposta alle domande più profonde che albergano nel nostro cuore” (VD 23).

Qui troviamo anche un riferimento peculiare di Benedetto XVI alla condizione postmoderna dell’uomo nei confronti di Dio: 

Solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo! Nella nostra epoca purtroppo si è diffusa, soprattutto in Occidente, l’idea che Dio sia estraneo alla vita ed ai problemi dell’uomo e che, anzi, la sua presenza possa essere una minaccia alla sua autonomia. In realtà, tutta l’economia della salvezza ci mostra che Dio parla ed interviene nella storia a favore dell’uomo e della sua salvezza integrale” (VD 23). 

In tal senso la prospettiva che viene proposta è quella di scoprire sempre di più la capacità della fede di intervenire in ogni circostanza della vita con uno sguardo nuovo sulle cose, carico della luce che viene dal vangelo. Qui si apre un ambito molto ampio della missione della Chiesa che scaturisce dal Cristo stesso, Verbo di Dio nella carne, che riguarda la capacità di dialogo con tutte le genti e la possibilità di esprimersi in contesti culturali differenti.

Ma soprattutto, consapevoli della privatizzazione che la fede ha subito nell’epoca moderna il Papa invita a cogliere il rapporto tra la Parola di Dio e tutte le circostanze della vita quotidiana nella condizione comune degli uomini: 

“Avvertiamo tutti quanto sia necessario che la luce di Cristo illumini ogni ambito dell’umanità: la famiglia, la scuola, la cultura, il lavoro, il tempo libero e gli altri settori della vita sociale. Non si tratta di annunciare una parola consolatoria, ma dirompente, che chiama a conversione, che rende accessibile l’incontro con Lui, attraverso il quale fiorisce un’umanità nuova” (VD 93).

Parola di Dio e metodo della testimonianza 

Da ultimo l’Esortazione di Benedetto XVI approfondisce il metodo fondamentale della missione della Chiesa, ed in essa di ogni cristiano, che scaturisce dalle sorgenti della vita trinitaria stessa da cui proviene la Parola stessa di Dio. Tale capacità di annuncio in cui la Parola di Dio investe ogni realtà umana passa attraverso il metodo della testimonianza.

Il tema della testimonianza attraversa tangenzialmente tutto il documento, ma si specifica particolarmente nell’ultima parte, dove si dice: “è importante che ogni modalità di annuncio tenga presente, innanzitutto, la relazione intrinseca tra comunicazione della Parola di Dio e testimonianza cristiana”.

Riprendendo una delle propositiones approvate dai Padri, prosegue: “Questa reciprocità tra Parola e testimonianza richiama il modo in cui Dio stesso si è comunicato mediante l’incarnazione del suo Verbo. La Parola di Dio raggiunge gli uomini « attraverso l’incontro con testimoni che la rendono presente e viva »” (VD 97)

E’ suggestiva anche la correlazione che Benedetto XVI pone tra la “testimonianza” delle scritture e la “testimonianza” che i cristiani sono chiamati a dare nella società in parole ed in azioni: “C’è uno stretto rapporto tra la testimonianza della Scrittura, come attestazione che la Parola di Dio dà di sé, e la testimonianza di vita dei credenti. L’una implica e conduce all’altra. La testimonianza cristiana comunica la Parola attestata nelle Scritture. Le Scritture, a loro volta, spiegano la testimonianza che i cristiani sono chiamati a dare con la propria vita” (VD 97). 

Del resto lo stesso pontefice aveva ricordato già il metodo della testimonianza nella Sacramentum catitatis, quando aveva affermato che “Diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell’amore di Dio raggiunge l’uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. Nella testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell’uomo” (SCa 85). Così possiamo dire che nella attestazione scritturistica e nella testimonianza cristiana la Parola di Dio continua a bussare alle porte della umana libertà.

Conclusione 

Questa logica profonda che coinvolge l’uomo integralmente ha la sua radice nel mistero dell’incarnazione del Verbo; il quale ci coinvolge sempre il termini personali, come è avvenuto per Maria, la Madre di Dio. La Parola di Dio, come ha affermato Benedetto XVI non è mai generica nel rivolgersi a noi, essa ci chiama e ci coinvolge, facendoci scoprire così che l’intera nostra vita è vocazione (VD 77) ed è chiamata a rispondere all’annuncio che ci viene rivolto. 

Non è a caso che il Papa esorti il popolo cristiano a recitare e a diffondere la preghiera dell’Angelus Domini (n. 88). In realtà in questa preghiera c’è tutta la sintesi della Parola di Dio che si fa carne attraverso la libertà di una ragazza di Nazareth. La Chiesa invita a recitare questa preghiera perché è consapevole che questo mistero non è solo del passato ma riaccade oggi nel cuore di ogni fedele che accoglie l’annuncio della Parola di Dio. Qui sta il segreto della vera gioia (cfr. VD 123).

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IL VALORE DEL ROSARIO

Parola di Dio e preghiera mariana

un pro memoria.... it.gloria.tv/?media=135482

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La Parola di Dio nella vita del sacerdote


Incontro del Card. Piacenza a Los Angeles con i sacerdoti di lingua spagnola


 

LOS ANGELES, mercoledì, 5 ottobre 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato il 4 ottobre a Los Angeles dal Cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero, sulla ricezione dell’Esortazione apostolica postsinodale “Verbum Domini” di Benedetto XVI.

* * *

Cara Eccellenza,

cari Sacerdoti ed amici,

l’Esortazione Apostolica Postsinodale Verbum Domini rappresenta un passaggio fondamentale del cammino di ricezione della Costituzione Apostolica Dei Verbum del Concilio Ecumenico Vaticano II. In tal senso, è sempre bene ricordare, come l’unica ermeneutica autentica del grande evento conciliare sia quella della continuità e della riforma. Lo ha esplicitamente ricordato il Santo Padre, nel Discorso per gli auguri natalizi alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, dando in tal modo, proprio all’inizio del Suo Pontificato, l’indicazione di un grande tema sempre da affrontare. Non esistono due Chiese cattoliche, una preconciliare ed una postconciliare; se così fosse, la seconda sarebbe illegittima!

Nell’unica Chiesa Cattolica, istituita da Nostro Signore Gesù Cristo sulla roccia di Pietro e sul fondamento degli Apostoli, è necessario riconoscere una profonda unità storica, dottrinale e teologica. Perché una dottrina sia accoglibile, non deve rappresentare una rottura con il passato o con l’intero corpo dottrinale, ma deve esserne il naturale, l’organico sviluppo.

Se cambiano le circostanzestoriche e culturali, se cambiano – talora – i modi di esprimersi, non può cambiare l’eterno Vangelo di Cristo! Cristo è lo stesso ieri, oggi, sempre. Non cambia il Verbum Domini! Questa stabilità di Cristo, della verità e della Chiesa altro non è, se non la traduzione storica della Teologia del Corpo Mistico di San Paolo. Come un corpo non può avere organi incompatibili o parti sviluppate in maniera non armonica, così la Chiesa di Cristo.

Cari amici, è pertanto sempre importante sentirsi figli dell’unica Chiesa, quella di Gesù, della Beata Vergine Maria, degli Apostoli, dei grandi Padri e di tutti i Santi che, in duemila anni, sono stati suscitati dallo Spirito.

Quello stesso Spirito che nella Chiesa, all’inizio dell’era cristiana, ha ispirato gli scritti del Nuovo Testamento e che, misteriosamente, nel rapporto tra Dio e il popolo di Israele, ci ha consegnato tutto il patrimonio veterotestamentario.

1. La Parola di Dio: una Persona

Verbum Domini! Parola di Dio! Che cos’è la Parola di Dio? Che ruolo ha nella vita di un sacerdote?

Al n. 11 dell’Esortazione Apostolica, il Santo Padre afferma: «La Parola eterna, che si esprime nella creazione e che si comunica nella storia della salvezza, è diventata in Cristo un uomo, “nato da donna” (Gal 4,4). La Parola qui non si esprime innanzitutto in un discorso, in concetti o regole. Qui siamo posti di fronte alla Persona stessa di Gesù. La Sua storia unica e singolare è la Parola definitiva che Dio dice all’umanità». La Parola di Dio, il Verbo di Dio, quindi, è innanzitutto il Suo Figlio Unigenito, Colui del Quale, nel Credo, diciamo: «Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre». Dunque la Sua Parola è una Persona, non un libro! Ed è necessario riconoscere che il Cristianesimo ha, nei confronti degli scritti ai quali si ispira, un rapporto unico, che nessun altra tradizione religiosa può avere.

La Parola di Dio, che è la Persona del Figlio Eterno, pronunciata dal Padre prima di tutti i secoli, si è fatta carne, entrando nel tempo e nella storia degli uomini. «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).

Questo fatto ha segnato e segna, definitivamente, la storia umana, che, dall’Incarnazione in poi, è la storia dell’Emmanuele, il Dio-con-noi.

Il Figlio di Dio fatto uomo ci ha rivelato i segreti del Padre, ci ha liberati dalla condizione servile, causata dal peccato, e ci ha introdotti in un’amicizia nuova e insperata con Dio. «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15).

Sì, il Signore Gesù ci ha fatto conoscere tutto ciò che ha “udito dal Padre”; dunque, in Cristo Unico Salvatore, noi abbiamo ricevuto la Rivelazione definitiva di Dio, anzi, Dio stesso.

L’esperienza di Dio in mezzo agli uomini, ciò che Egli ci ha rivelato del Padre, ciò che Egli ci ha insegnato per la vita, e ciò che Egli ha istituito, sia di eterno sia di transeunte, tutto è contenuto nelle Sacre Scritture divinamente ispirate. Scrive infatti il Santo Padre, al n. 17 della Verbum Domini: «Sebbene il Verbo di Dio preceda ed ecceda la sacra Scrittura, tuttavia, in quanto ispirata da Dio, essa contiene la Parola divina (cfr 2Tm 3,16) “in modo del tutto singolare”». Per tale ragione, le Sacre Scritture sono Parola di Dio e, nello stesso tempo, la Parola di Dio è “più grande” delle sole Sacre Scritture, perché è la Persona stessa di Gesù.

2. Dimensione pneumatica ed ecclesiale della Parola di Dio

Come cattolici, inoltre, ben sappiamo come la Rivelazione non consista, unicamente, di quanto è materialmente contenuto nelle Sacre Scritture, ma sia l’insieme inscindibile di Sacra Scrittura e di ininterrotta Tradizione Ecclesiale, autorevolmente interpretate dal Magistero.

Non è mai lecito separare la Scrittura dalla Tradizione; né è mai lecito separarle dall’interpretazione che di esse ha dato e dà il Magistero della Chiesa. Separazioni di tale genere comportano sempre gravissime conseguenze spirituali e pastorali.

Una Scrittura senza Tradizione sarebbe un libro storico ela storia ci parla del pensiero degli altri, mentre la Teologia vuole parlare di Dio! (cf A. Schökel, Salvezza e liberazione: l’Esodo, 1997, EDB, p. 10).

Allo stesso modo, una Tradizione slegata dal costitutivo rapporto con la Sacra Scrittura, rischierebbe di abbracciare, al proprio interno, elementi spuri o illegittimi. [SM=g1740721]

È sempre utile ricordare, poi, come gli stessi testi del Nuovo Testamento siano nati all’interno della Tradizione ecclesiale e come, almeno nei primi decenni dell’Era cristiana, la Chiesa abbia vissuto dell’Eucaristia, della preghiera, della memoria viva dell’Evento di Cristo e della guida degli Apostoli.

Per conseguenza, il trittico Scrittura-Tradizione-Magistero in realtà, dal punto di vista strettamente storico, dovrebbe configurarsi come: Tradizione, intesa come luogo in cui la Scrittura nasce, Scrittura e Tradizione legata alla Scrittura; tutto, autorevolmente interpretato dal Magistero, cioè dailegittimi Successori degli Apostoli.

Quanto sin qui detto, appartiene al comune patrimonio della Chiesa ed è autorevolmente insegnato nella Costituzione Dogmatica Dei Verbum del Concilio Ecumenico Vaticano II. Se altre interpretazioni, da parte di taluni, ci sono state in questi decenni, esse non sono fedeli alla giusta interpretazione del Concilio e, anche per questa ragione, i Padri, con il Pontefice, hanno dedicato un Sinodo alla Parola di Dio nella vita della Chiesa, per riconoscervi il giusto posto ed evitare prudentemente talune, non legittime unilateralità. [SM=g1740721]

Un altro aspetto di fondamentale importanza, ampiamente sottolineato dalla Verbum Domini, è costituito dalla dimensione pneumatica della Rivelazione, nel suo insieme e nei vari aspetti-momenti che la costituiscono. Si legge, infatti, al n. 15 dell’Esortazione: «Non vi è alcuna comprensione autentica della Rivelazione cristiana al di fuori dell’azione del Paraclito», e ancora, al numero successivo: «Come la Parola di Dio viene a noi nel corpo di Cristo, nel corpo eucaristico e nel corpo delle Scritture mediante l’azione dello Spirito Santo, così essa può essere accolta e compresa veramente solo grazie al medesimo Spirito».

Innanzitutto, è sempre necessario ricordare l’intimo ed insostituibile rapporto tra Gesù Cristo e lo Spirito: tutta la vita del Signore è una vita nelloSpirito, dall’Annunciazione all’Ascensione, e lo Spirito non è qualcosa di vago e di indefinito, per noi Cristiani, ma è sempre lo Spirito di Cristo.

Questo “di Cristo” è un genitivo di possesso, che ci dice che lo Spirito è Suo, come è del Padre; ed è il medesimo Suo Spirito che è donato a noi, nel Battesimo, nella Confermazione e, con il potere di trasmetterlo ai fratelli, soprattutto nell’Ordinazione sacerdotale.

Se Cristo è la pienezza della Rivelazione e l’intera esistenza di Cristo è nello Spirito, allora la stessa Rivelazione è un evento pneumatico: la Tradizione è animata dallo Spirito, la Scrittura è inspirata dallo Spirito ed il Magistero, nel compito di interpretare autorevolmente Scrittura e Tradizione, è guidato dallo Spirito.

Ne deriva, allora, che lo stesso rapporto del Sacerdote con la Parola di Dio deve essere un rapporto pneumatico. Deve essere cioè evitato ogni approccio meramente positivistico o storicistico, che non permetta la comprensione del reale significato del testo. Le Scritture, approcciate prescindendo da tale dimensione pneumatica, rimangono come mute e invece che parlare di Dio e far ascoltare la Sua Voce, raccontano semplicemente una storia.

3. Parola di Dio e Ministero ordinato

Come affermato dal grande San Girolamo: «Chi ignora le Scritture, ignora Cristo», non possiamo quindi ignorare le Scritture, ed il primo elemento perché vi sia un rapporto tra il sacerdote e la Sacra Scrittura, è conoscerne il contenuto: leggerle, conoscerne la struttura, averne in mente i nessi tra le varie parti e, soprattutto, conoscere la Scrittura nella sua globalità, senza quegli eccessi di parcellizzazione che, troppo spesso, caratterizzano la conoscenza della realtà nell’epoca, del relativismo e dello scientismo.

Quest’opera di conoscenza delle Scritture, lungi dall’essere meramente nozionistica, diviene nel tempo uno dei fattori principali per favorire, nel sacerdote, la conoscenza e la conseguente immedesimazione con il pensiero di Cristo: «[al sacerdote] non basta conoscerne l’aspetto linguistico ed esegetico, che pure è necessario – afferma il Santo Padre al n. 80 –; gli occorre accostare la Parola con cuore docile e orante, perché essa penetri a fondo nei suoi pensieri e sentimenti e generi in lui una mentalità nuova – “il pensiero di Cristo” (1 Cor 2,16)».

Leggere e rileggere gli episodi di cui il Signore è protagonista, le risposte che Egli dà nelle differenti circostanze e l’atteggiamento che assume davanti ai poveri, ai piccoli, ai deboli, ai peccatori, alle donne, etc. determina la progressiva assimilazione del Suo pensiero e del Suo modo di agire.

In questo senso, la doverosa fedeltà alla Liturgia delle Ore, nella sua integrità, è palestra fondamentale per rimanere stabilmente in contatto con la Parola di Dio, specialmente nell’Ufficio delle Letture, che ce la dona abbondantemente, insieme a quel momento di autorevole Tradizione ecclesiale rappresentato dai Padri della Chiesa.

Facciamo così progressivamente esperienza che la Parola di Dio racconta la nostra vita; narrando le vicende del popolo di Israele e quelle di chi ha incontrato il Signore Gesù, narra il cammino di fede di ogni uomo e, quindi, di ogni sacerdote.

Per il ministero che ci è stato affidato, poi, noi non siamo soltanto, con tutti i nostri fratelli, ascoltatori della Parola, ma anche autorevoli annunciatori ed interpretidi essa. Ogni battezzato, in forza della immersione nel Mistero pasquale di morte e Risurrezione è chiamato a testimoniare Cristo e ad annunciare la Parola. Il sacerdote, oltre a partecipare di questo mandato comune ad ogni cristiano, ne riceve uno specifico e ministeriale, ed il suo annuncio, soprattutto nella predicazione e nella catechesi, partecipa, in certo modo, dell’autorevolezza dello stesso Magistero ecclesiale.

Va da sé che non possiamo annunciare ciò che non conosciamo e non abbiamo fatto nostro; quindi la possibilità dell’annuncio è strutturalmente legata alla conoscenza delle Scritture e alla familiarità ed immedesimazione con il pensiero di Cristo.

Non così, invece, per l’efficacia dell’annuncio, che, contrariamente a quanto si pensa comunemente, non dipende dalla conoscenza ma dalla vita e dalla testimonianza. L’efficacia è inoltre totalmente dipendente dall’azione potente della grazia e dall’insondabile mistero della libertà umana. In tal senso, non esiste, nella dinamica dell’annuncio, alcun meccanicismo. Anche questo ci aiuta, come ministri della Parola, a purificarci del funzionalismo e ad affidare totalmenteal Signore, nella preghiera, l’azione della Parola nel cuore degli uomini.

Nel compito di annunciatori è necessario tenere costantemente presente l’unità di Sacra Scrittura, Tradizione e Magistero, di cui abbiamo parlato. Non è possibile annunciare la Parola, dimenticando o – peggio – biasimando la Tradizione che l’ha generata! Altrettanto inefficace risulterà l’annuncio staccato o – peggio – in contrasto con il Magistero ecclesiale.

Forti dell’esperienza che la Parola di Dio descrive la nostra vita, è necessario annunciarla, conducendo anche i fedeli alla medesima consapevolezza. In questo senso, possono coesistere due differenti dinamiche, entrambe legittime, nell’evangelizzazione. È possibile che dall’annuncio della Parola nasca la fede ed il rinnovamento della vita, ed è altrettanto possibile che l’esperienza di una vita nuova, improvvisamente e gratuitamente donata attraverso un incontro, apra alla fede e, successivamente, sia riconosciuta nell’incontro con le Sacre Scritture.

Non vi nascondo la mia propensione e la mia umana simpatia per questa seconda dinamica, che, come mi pare di comprendere dai testi delle Sacre Scritture, è stata anche quella di Andrea e Giovanni, quando quel pomeriggio, intorno alle quattro, hanno incontrato Gesù!

Il nucleo del rapporto tra il sacerdote e la Parola di Dio è dunque rappresentato da quella “Parola di Dio in atto” che è la sua propria esistenza e quella dei fedeli. Essi, attraverso l’annuncio e il ministero dei sacerdoti, incontrano il Signore. In questo senso, il Cristianesimo non è “religione del libro” ma è un fatto, un Avvenimento accaduto nella storia, del quale, nell’oggi, è possibile fare vitale esperienza e questa esperienza è contagiosa, missionaria in se stessa, anzi è l’elemento più efficacemente missionario di cui lo Spirito ha fornito la Sua Chiesa!

Questa chiarezza di giudizio nel rapporto con le Sacre Scritture, le colloca al loro giusto ed insostituibile posto anche nella vita della Chiesa, la quale sussiste dell’efficacia della Parola, anche e soprattutto nell’amministrazione dei Sacramenti. Senza Parola, non solo non avremmo l’annuncio, ma non avremmo nemmeno i Sacramenti.

4. Parola di Dio e cultura

Essere ascoltatori ed annunciatori della Parola di Dio fa dei sacerdoti necessariamente uomini capaci di incidere nella cultura. In tal senso, é bene recuperare una nozione ampia del termine "cultura", non relegata alle semplici conoscenze, ma capace di imprimere uno stile, plasmare una mentalità, generare una civiltà.

Nulla, come l'annuncio della Parola, genera cultura. Genera cioè un nuovo modo di concepire la vita, le relazioni, la società e perfino la politica. Un modo che, quanto più è evangelico, tanto più si scopre profondamente e sorprendentemente corrispondente al cuore umano.

È urgente e necessario, in tal senso, superare ogni complesso di inferiorità nei confronti della cultura; la Parola di Dio, e noi con essa, è portatrice di un significato, che nessuna cultura solo umana possiede.

Come ricorda la Verbum Domini: «Dio non si rivela all’uomo in astratto, ma assumendo linguaggi, immagini ed espressioni legati alle diverse culture. Si tratta di un rapporto fecondo testimoniato ampiamente nella storia della Chiesa» (n. 109). Rapporto che, da un lato, vede come normativi i dati culturali attraverso i quali la Rivelazione è avvenuta e, dall'altro, domanda il nostroapporto continuo, creativo e soprattutto missionario.

In una cultura relativista, edonista, consumistica ed individualista, la Parola di Dio, e noi con essa, è chiamata a ricollocare l'uomo in relazione con Dio e con i suoi fratelli, in rapporto autentico con la realtà e con la ragione, aprendolo continuamente alla verità.

I fedeli cercano la Parola di Dio sulle labbra del sacerdote; cercano il pensiero di Dio nelle valutazioni del sacerdote; le vie di Dio nelle vie indicate e percorse dal sacerdote.

Dobbiamo essere consapevoli che, contrariamente a quanto taluni poteri forti tendono ad insinuare, il Cristianesimo rappresenta il più grande movimento di sviluppo e di civiltà che la storia umana abbia mai conosciuto. Ci ricorda l'Esortazione Apostolica a tale riguardo: «[La Parola di Dio] non distrugge mai la vera cultura, ma costituisce un costante stimolo per la ricerca di espressioni umane sempre più appropriate e significative. Ogni autentica cultura, per essere veramente per l’uomo deve essere aperta alla trascendenza, ultimamente a Dio» (n. 109).

Di questa trascendenza, carissimi fratelli, ogni cultura, anche quella contemporanea, ha sempre bisogno!E noi dobbiamo esserne portatori.

Ci sostenga in questa opera la Beata Vergine Maria, prima portatrice della Parola fatta carne in Lei, fatta sua "cultura", perché suo orizzonte.

 

 

[SM=g1740722] 

 

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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