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La Devozione popolare mariana, fatti e storie, cultura di popoli

Ultimo Aggiornamento: 05/01/2015 11:36
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08/07/2011 18:17
 
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Il cuore di Siena

di MARIELLA CARLOTTI

Alla vigilia della battaglia di Montaperti, il 4 settembre 1260, che imprevedibilmente la vedrà vittoriosa sul ben più forte esercito fiorentino, Siena si consacra solennemente a Maria, dando forma definitiva a una coscienza civica lentamente maturata. La vittoria sui fiorentini segna l'inizio del momento aureo della città: Siena assume l'assetto attuale con la piazza del Campo e il Palazzo Pubblico che la chiude come una bellissima quinta; il duomo prende l'aspetto odierno, mentre di fronte acquista dimensioni grandiose l'antico Ospedale di Santa Maria della Scala.

Maria diventa l'ideale e la forma della città, il contenuto della sua autocoscienza e della sua immagine urbanistica, la ragione della sua festa nel Palio: Sena vetus, civitas Virginis ("Antica Siena, città della Vergine") viene inciso su ogni moneta che la Zecca senese conia per secoli.
All'inizio del Trecento, quasi in contemporanea, i due più grandi artisti di Siena, nei due edifici fondamentali della città, danno a questo omaggio alla Vergine forma estetica definitiva nelle loro celeberrime Maestà: Duccio di Buoninsegna, nel 1311, consegna alla città la sua grande tavola per l'altare maggiore del duomo; Simone Martini, nel 1315, porta a compimento l'affresco che ancora oggi decora la Sala del mappamondo in Palazzo Pubblico.
La grande tavola della Maestà per l'altare maggiore del duomo fu commissionata a Duccio di Buoninsegna il 9 ottobre 1308: il capolavoro venne ultimato nella primavera del 1311 e il 9 giugno di quell'anno fu portato processionalmente dalla bottega di Duccio, in località Stalloreggi, fino al duomo.

Le cronache dell'epoca hanno fissato per sempre il movimento di coscienza ed emozione che attraversò in quel giorno l'animo dei senesi per quella che sentirono come "la più bella tavola che mai si vedesse e facesse". La grande tavola - le cui dimensioni erano imponenti, probabilmente circa 370 centimetri per 450 - era dipinta su tutti e due i lati: il prospetto tutto dedicato a Maria, il retro a Cristo. Le storie di Cristo e della Vergine erano narrate in cinquantatrè scene alle quali vanno aggiunte altre cinque andate perdute ma che tutto rende legittimo ipotizzare fossero esistite: l'insieme costituiva dunque il più grande ciclo di storie di Gesù e di Maria mai esistito.

La storia del capolavoro di Duccio nei secoli segnala i grandi momenti di trapasso culturale della nostra civiltà: nel 1506, in pieno Rinascimento, la Maestà fu rimossa dall'altare maggiore e posta in uno laterale; nel 1771, nell'età dei Lumi, la tavola fu smembrata e gettata in una soffitta dell'Opera del duomo. Questi eventi determinarono la perdita totale della carpenteria della tavola, il danno irreparabile di molte parti che vennero malamente tagliate, la perdita di alcuni riquadri, la dispersione di altri, ora patrimonio di musei e collezioni estere. Nel 1878, vennero ricomposti, separatamente, i due scomparti centrali del prospetto (Madonna in trono col Bambino, angeli e santi) e del retro (ventisei Storie della Passione) e collocati, uno di fronte all'altro in una sala interamente del Museo dell'Opera del duomo. Nella stessa sala, vennero collocate le diciannove storie e i quattro profeti della predella e del coronamento, rimaste a Siena. Innanzitutto lo sguardo cadeva sul prospetto, tutto dedicato a Maria: dominava lo scomparto centrale con la Madonna nella gloria. La vita di Maria, dall'annunciazione al ritrovamento di Gesù nel tempio, era narrata nelle sette storiette della predella, intervallate da sei profeti e re dell'Antico Testamento; nel coronamento erano invece descritte le storie della morte di Maria.

Il tergo della grande tavola era invece tutto dedicato a Cristo: la narrazione prendeva le mosse, nella predella, dalle scene della vita pubblica di Gesù. Lo scomparto centrale, in ventisei riquadri, riproponeva il mistero della passione, della morte e della risurrezione di Cristo. Concludevano la narrazione le storiette del coronamento dedicate alle apparizioni di Cristo dopo la risurrezione fino alla Pentecoste.

Con l'immaginazione riportiamo la Maestà nel vasto spazio del duomo di Siena: sul pavimento intarsiato è rappresentata la storia umana, il tempo da cui si leva questo mirabile tempio. La fuga delle navate porta l'occhio verso la Maestà, la cui composizione prosegue l'architettura del luogo in cui e per cui è stata fatta: la luce che piove dall'alto incendia l'oro della grande tavola, che risalta sul rivestimento marmoreo a strisce orizzontali bianche e nere del duomo. "Quando la Maestà era nel luogo per il quale fu concepita era una sorta di cattedrale umana dipinta entro una Cattedrale di pietre e di marmi" (Enzo Carli). Immediatamente chi entrava era colpito dalla presenza di Maria, che lo disponeva ad accorgersi di Cristo, la cui storia, era narrata nel retro della grande tavola.

Viene in mente una terzina che Dante, alludendo alla Vergine, fa dire a san Bernardo nel XXXII canto del Paradiso: "Riguarda omai ne la faccia che a Cristo /più si somiglia, ché la sua chiarezza / sola ti può disporre a veder Cristo". Nel Trecento come oggi, questa è la strada attraverso cui un uomo diventa cristiano: incontrare e guardare una presenza umana, che porta nella sua fisionomia i tratti eccezionali di Cristo, il Verbo di Dio fatto carne.

Da ultimo, un particolare: sul gradino del trono della Vergine, Duccio ha voluto lasciare la sua firma come autore della pala in versi commoventi: Mater Sancta Dei, sis causa senis requiei / Sis Ducio vita, te quia pinxit ita ("Santa Madre di Dio, sii la causa della pace di Siena, /sii la vita di Duccio, perché ti ha dipinto così"). In questi versi c'è veramente tutta l'anima di un uomo medioevale che sente la sua opera parte di questo dialogo con la Madre di Dio, che prega per la sua città e chiede per sé la salvezza perché ha reso gloria alla Vergine dipingendola così bella.



(©L'Osservatore Romano 9 luglio 2011)



DA CRONACHE VATICANE DI ANGELA AMBROGETTI


“Ho avuto la fortuna di nascere nelle vicinanze di Altötting. Così i pellegrinaggi effettuati con i miei familiari fanno parte dei ricordi più belli della mia infanzia”. Benedetto XVI è il più famoso dei pellegrini bavaresi che ha frequentato il santuario mariano, ed è stato il secondo papa a visitarlo. Nel 1980 aveva accompagnato Giovanni Paolo II. All’epoca Jospeh Ratzinger era vescovo di Monaco e un po’ il “padrone di casa”. Poi l’11 settembre del 2006 ci tornò come papa. Eppure le emozioni davanti a quella piccola cappella al centro di una piazza su un’altura devono esser state sempre nuove e forti. Prima di arrivare nella piazza della Cappella delle Grazie alcuni cartelli ricordano che siamo sul Benediktweg, il cammino di Benedetto. Nei negozietti di articoli religiosi ti colpiscono le candele decorate da offrire sugli altari: sono nere, come la statua di Maria. Tra immaginette e rosari si trovano santini e quadretti di Giovanni Paolo II affiancati a quelli con Benedetto XVI.

 


Sul lato della Chiesa dedicata al frate santo Konrad c’è una fontanella. La gente si ferma con bottiglie e bicchieri. Non è proprio come l’acqua di Lourdes, ma qui si usa portare a casa l’acqua benedetta. Tutto sembra fermo a cento anni fa. Se non fosse per una grande insegna davanti all’edificio del Tesoro del santuario che ora si chiama Haus Papst Benedikt XVI. Tutto converge verso la Cappella delle Grazie, come ricorda Joseph Ratzinger: “Il luogo che mi dava le impressioni più forti era naturalmente la Cappella della Grazia, la sua misteriosa oscurità e la Madonna Nera nel suo prezioso vestito ... e gli ex voto... Tutto questo mi commuove oggi come in quei tempi. Qui si percepisce la presenza di una santa, salvifica bontà divina, la bontà della madre che ci ha comunicato la bontà di Dio.”
La storia del santuario ha radici antichissime, bisogna tornare al Settecento quando il vescovo missionario San Ruperto, evangelizzatore della Baviera, avrebbe battezzato proprio a Ötting il dica di Baviera. Alt, che in tedesco significa “vecchio” sarebbe stato aggiunto dopo che nel X secolo la città venne saccheggiata e gli abitanti si rifugiarono in quello che oggi si chiama Neu Ötting. Il nome divenne famoso, i miracoli mariani si moltiplicarono dopo i primi due del 1489 e con essi gli ex voto, piccoli dipinti di legno affissi nel portico della chiesetta con un frase ricorrente: “Maria ci ha aiutato”. Un bambino caduto in acqua, morto e rinato dopo essere stato portato sull’altare della cappella, e un piccolo caduto da cavallo e guarito per intercessione di Maria.

Secoli di storia quotidiana si leggono attraverso questi piccoli racconti per immagini. Appeso a una parete interna ce n’è anche uno davvero singolare. Ricorda il pellegrinaggio della Guardia Svizzera Pontificia del 2010. Si perché ormai i pellegrini lasciano il loro omaggio a Maria senza neanche attendere un miracolo. La Cappella delle Grazie di Altötting è solo il punto centrale di una serie di luoghi di devozione. Ai lati della piazza c’è la parrocchia dedicata ai Santi Philip e Jakob che quest’anno celebra il cinquecentenario. E poi la chiesa con il convento di San Konrad, frate francescano campione di carità, e la Basilica di Sant’Anna, il grande edificio che accoglie i pellegrini. E poi chiese, cappelle, case missionarie, e la Via Crucis ottocentesca fatta di piccole cappelle che da Altötting porta a Heiligenstatt. Quando il 7 giugno del 2006 a Benedetto XVI venne conferita la cittadinanza onoraria di Altötting, dal suo cuore sgorgarono i ricordi più belli. Il pellegrinaggio del padre di 68 anni da Traunstein a piedi per ringraziare la Madonna di aver riportato a casa i suoi ragazzi, la visita di Giovanni Paolo II nel 1980 in quella Cappella delle Grazie che il cuore mariano della Baviera, i pellegrinaggi pieni di gioia e di musica, la prima visita nel 1934 per celebrare la canonizzazione di padre Konrad che era avvenuta a Roma. “Sono molto grato - scriveva Joseph Ratzinger nel gennaio del 2005 nell’introduzione alla guida ufficiale della città - che Altötting anche dopo il Concilio sia rimasto com’era e come sempre deve essere: un luogo di fede e di preghiera, un luogo di rinnovamento del sacramento della Penitenza, un luogo di liturgie festose, un luogo dove viviamo la Chiesa come comunità materna che sostiene, un luogo di ospitalità”. Un luogo dove il pellegrino o il viandante può lasciare scritto, magari su un pezzetto di carta: Maria ci ha aiutato.

 

 





[Modificato da Caterina63 21/07/2011 18:06]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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