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La Devozione popolare mariana, fatti e storie, cultura di popoli

Ultimo Aggiornamento: 05/01/2015 11:36
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26/11/2012 16:20
 
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 La Madonna dei Mi lici di Scicli

Maria, «sul suo possente destriero bianco, guerriera che brandisce la spada, scesa in battaglia», un'icona davvero inconsueta.

AScicli (Ragusa), una delle tante piccole città della Sicilia sudorientale, tesori riconosciuti di ineguagliata arte barocca, la Vergine santa di Nazaret è, nella chiesa madre, su un poderoso cavallo, dalle narici dilatate e soddisfatte, che, con una misurata ma decisa impennata, si mostra pronto a scendere nel campo di battaglia dove divampa lo scontro tra cristiani e saraceni, con alla testa, i primi, il gran conte Ruggero il Normanno, e i secondi, il superbo e sprezzante emiro Belcane. Regalmente abbigliata, con la corazza a protezione del petto, con in capo la corona regale d'oro e nella mano destra la spada rilucente, Maria, la madre di Dio, ben salda sul suo possente destriero bianco, le cui redini stringe nella sinistra, si avvia ad accorrere in aiuto degli sciclitani che, devoti da sempre, l'avevano invocata ed implorata con accorate e sincere preghiere. Con negli occhi Maria, intrepida guerriera a cavallo, dalla chiesa madre, idealmente ci conduciamo nella lunga spiaggia di Donnalucata, dove, a migliaia, dall'imponente flotta di chelandie, erano sbarcati e accampavano i saraceni. Qui, in difesa dei propri beni, della libertà, della fede cristiana e della vita stessa, erano accorsi gli sciclitani, i quali confidavano più nella certezza della fede che nella forza delle armi.

il prof. Tommaso Claudio Mineo, ordinario di chirurgia toracica presso l'Università di Tor Vergata (Roma), nel suo studio, mostra la raccolta di immagini di Maria che allatta, altra passione dell'illustre cattedratico (foto G. GIULIANI).

il prof. Tommaso Claudio Mineo, ordinario di chirurgia toracica presso l'Università di Tor Vergata (Roma), nel suo studio, mostra la raccolta di immagini di Maria che allatta, altra passione dell'illustre cattedratico (foto G. GIULIANI).

Siamo nella Quaresima del 1091, nel sabato precedente la Domenica della Passione. I cristiani di Scicli e i militi di Ruggero, notevolmente inferiori di numero ma fiduciosi nell'aiuto divino, si affidano alle preghiere e a ricevere i sacramenti, come erano soliti i normanni prima di ogni battaglia. I fatti evolvono verso lo scontro e le armi vengono impugnate. Il superbo Belcane, viceré di Sicilia del sultano dei saraceni, rinnova le sue richieste troppo ingiuste e gravose per il popolo cristiano di Scicli che opp o n e , ancora una volta, il suo deciso rifiuto. L'infedele emiro è inamovibile; egli in cuor suo nutre l'ambizione di ampliare il dominio saraceno in Sicilia e dunque, sicuro della superiorità del suo esercito e della vittoria, non indugia ad accendere la battaglia incalzando al grido: «Non c'è più pietà; guerra, guerra!». Infaticabile paladino della cristianità e impavido condottiero, il gran conte Ruggero tenta più volte di mitigare l'impeto del bellicoso emiro; ma i suoi richiami trovano sordo il saraceno che, piuttosto, accresce la sua superbia e la sua sicumera. Ruggero, allora, non potendo evitare le armi, forse presagendo il peggio o forse come ultimo appello alla ragione dell'inflessibile emiro, non gli nasconde il suo ricorso all'aiuto «della bella Madre di Dio che non teme centomila Maometti». La battaglia divampa e gli assalti si susseguono; gli uomini si affrontano e in molti cadono colpiti dalle armi e nei corpo a corpo. La superiorità saracena non tarda a mostrarsi e i cristiani soccombono vieppiù quanto più trascorrono le ore. Ma ecco che, come apprendiamo dalla memoria più antica, Maria, invocata a gran voce dagli sciclitani, apertosi il cielo, appare in una nuvola splendente come il sole, su un cavallo candido come la neve, impugnando nella destra una lucente spada rivolta in alto, verso il cielo. «Eccomi scesa; sono presente, città mia diletta; ti proteggerò con la mia destra ». Così, come vuole l'antica tradizione, la Vergine irrompe nella battaglia. All'apparizione celeste le fila dei saraceni sussultano, sbandano, via via ripiegano, alla fine guadagnano le numerose chelandie e fuggono. I cristiani esultano: è la vittoria, della fede e della preghiera prima di ogni cosa.

La Madonna dei Milici, singolare opera in cartapesta, legata alla battaglia del 1091 tra normanni e saraceni, chiesa madre di Scicli (Ragusa).

La Madonna dei Milici, singolare opera in cartapesta, legata alla battaglia del 1091 tra normanni e saraceni, chiesa madre di Scicli (Ragusa).

Maria, vittoriosa accanto al suo popolo osannante, fa ritorno nel cielo e di questa sua presenza terrena ci lascia l'impronta del suo cavallo, ancora oggi ben visibile sulla roccia del Santuario dei Milici, posto su un'altura non molto distante dalla marina.

Un quadro raffigurante la Madonna dei Milici (collezione del prof. Tommaso Claudio Mineo).(foto G. GIULIANI).

Un quadro raffigurante la Madonna dei Milici (collezione del prof. Tommaso Claudio Mineo).(foto G. GIULIANI).

L'immagine di Maria a cavallo, guerriera che brandisce la spada come un vero e proprio condottiero d'altri tempi, scesa in battaglia a destreggiarsi tra i suoi figli che si combattono aspramente, è certamente inconsueta e non c'è da stupirsi se nel credente nasce stupore, meraviglia, finanche incredulità. Ma, se l'antica tradizione popolare ci richiede uno sforzo per immaginarla combattente tra i militi, non possiamo non intimamente gioire nel vederla pronta soccorritrice del suo popolo sofferente che l'ha invocata con fervide preghiere e con la forza della fede nella parola del Vangelo: «Perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda» (Gv 15,16). «Bella, matribus infesta: le madri rifuggono dalle guerre». Queste parole, con la sintesi propria dei latini, racchiudono tutto l'orrore e l'avversione delle madri per la guerra che le priva dei figli che, con amore e sacrificio, hanno allattato e cresciuto. Anche Maria è madre: madre di Cristo e madre di tutti noi aborrisce ogni guerra che è per lei fonte di profonda sofferenza e indicibile dolore.

La spiaggia di Donnalucata, frazione di Scicli (foto PALAZZOTTO).

La spiaggia di Donnalucata, frazione di Scicli (foto PALAZZOTTO).

Maria, da sempre e per sempre piena di grazia, madre che intercede, che protegge e che soccorre, non scende in campo di battaglia, come a Donnalucata, per schierarsi per gli uni contro gli altri. La Vergine si offre per tutti, per salvare gli uni e gli altri, perché tutti sono figli suoi, senza distinzione alcuna. «Io sono», dice Maria, «la difesa di coloro che a me ricorrono, e la mia misericordia è a lor beneficio ». La spada nella sua mano destra, rivolta sempre verso l'alto, è per la conversione dei cuori, per il trionfo della vita, per la sconfitta della discordia e del male, per la vittoria della pace. Maria è la regina della pace e, come dice Édouard Hugon, «è la gran paciera che ottiene da Dio e fa trovare la pace ai nemici». In questa prospettiva, è grazie alla discesa di Maria che gli sciclitani non hanno conosciuto il dolore e le sofferenze che fanno seguito alla sconfitta e alle sue ferite dilanianti, ma hanno conquistato la serenità e la gioia della pace. Il popolo cristiano di Scicli è salvo e come Mosè può elevare il canto al Signore come già il Salmista: «Esulteremo per la tua vittoria, spiegheremo i vessilli in nome del nostro Dio. Ora so che il Signore salva il suo consacrato, gli ha risposto dal suo cielo santo con la forza vittoriosa della sua destra. Chi si vanta dei carri e chi dei cavalli, noi siamo forti nel nome del Signore nostro Dio. Quelli si piegano e cadono, ma noi restiamo in piedi e siamo saldi. Salva il re, o Signore, rispondici quando ti invochiamo» (Sal 20,6-10).

Imitiamo, dunque, senza esitazioni, fiduciosi e saldi, Maria guerriera, Maria foriera della pace, come dice sant'Epifanio: «Per te pax caelestis donata est». Imitiamola, quando è necessario e se è necessario, con la spada della fede e della fiducia rivolta verso l'alto, verso il cielo dove risiedono la vera giustizia e la vera speranza.

Tommaso Claudio MINEO


IL SANTUARIO CITTADINO DELLA MADONNA DELLE MILIZIE

 
La fondazione, il titolo e la storia di questo Santuario si confonde con quello della stessa Città.
Secondo la tradizione sarebbe stato fondato ancor prima della dominazione araba della Sicilia, forse in periodo bizantino: traccia di questo passato potrebbe essere il fatto che il giorno della festa di questo Santuario è stato fissato sempre nei secoli fino al presente nel Sabato di Lazzaro, che è una denominazione liturgica bizantina ortodossa e non cattolica.
Comunque sia, è sicuro che fin dal 1100 il santuario è censito fra le chiese filiali della Matrice di Scicli, il duomo di San Matteo: la fondazione del Duomo e forse quella del Santuario sono collocabili in epoca Normanna.
Da sempre il luogo è stato legato alla devozione mariana verso la cosiddetta Madonna dei miracoli(il simulacro lapideo rinascimentale della Vergine ocn in braccio il Bambino e nella destra una colomba) e alla memoria di un intervento prodigioso della Vergine (di cui si conserva il vestigio di una impronta del suo piede sulla roccia) in favore della Città di Scicli contro i saraceni.
L’Università di Scicli (cioè i quattro Giurati del Governo della Città) da sempre ha avuto la cura per il luogo sacro e per il culto e l’incremento della devozione.
E’ a cura della Città che la chiesa è costruita, riparata, ingrandita, curata.
Il Magistrato e il Sindaco, tramite un Procuratore, pagano le spese per l’olio che arde davanti all’immagine della Vergine, per la cera delle candele, per il vino e le ostie per la messa, pagano il vitto e l’alloggio per il sacerdote che vi celebra.
Inoltre, in occasione della festa, a spese dell’università si tiene la Cavalcata dei Giurati per recarsi a Messa al Santuario e partecipare alla rievocazione dell’evento miracoloso, cui si aggiungono spari di mortaretti, luminarie e spese varie.
La responsabilità del culto è affidata al Parroco della Matrice di Scicli che la esercita tramite un cappellano da lui nominato ad hoc. Ingrandito il santuario nel ‘300, quella che è un’ufficiatura saltuaria diventa stabile nel’400: già dal 1479 in poi sappiamo che il Parroco della Matrice San Matteo tiene ai Milici una pianeta (come segno materiale di possesso del luogo secondo il diritto antico) per celebrarvi la messa la domenica e le feste. Dal ‘500 in poi il Cappellano nominato dal parroco della Matrice e stipendiato dal Comune sarà stabile.
Sarà il Carioti, nel ‘700 a rendere il Santuario chiesa “sacramentale”, concedendo, come Parroco Arciprete, la possibilità di conservarvi il Santissimo Sacramento.
Tale responsabilità condivisa tra Università e Matrice è dovuta al fatto della decisione di considerare la Madonna dei Milici come la Patrona di Scicli, come successo con San Guglielmo dal 1537: al Comune appartengono il Santuario dei Milici, la chiesa di San Matteo e la Cappella, l’urna e le reliquie di San Guglielmo. Sarà il Comune di Scicli a gestirne ogni aspetto, lasciando al Clero, tramite l’Arciprete, solo lo spazio per le celebrazioni liturgiche.
Tale situazione rimarrà invariata fino al ‘900.
Nel ‘600 la Vergine è invocata in questo Santuario dallo stesso vescovo di Siracusa contro l’invasione delle locuste. Scampato il pericolo, presso il santuario si raduna nuovamente un gruppo di eremiti per zelare la devozione della Vergine Patrona di Scicli.
Gli eremiti seguono la regola di San Pacomio: questo supporta una tradizione greca in favore del Santuario.
L’Università di Scicli provvede a ingrandire il Santuario per dare sistemazione agli eremiti.
Nei primi del ‘700 il Venerabile Girolamo Terzo, fondatore del santuario della Scala di Noto, è incaricato dal vescovo di Siracusa di riunire gli eremiti irregolari sotto un’unica disciplina diocesana: alle Milizie si adopera per dare migliore sistemazione ad eremiti e pellegrini grazie al contributo benefico di Domenico Serranton, Sergente Maggiore di Scicli.
Intanto la Chiesa è ingrandita ed abbellita dal Canonico Sanvito.
Nel 1708 la Città è preservata dal contagio della peste e dal rinnovato pericolo delle locuste grazie all’intercessione della Vergine delle Milizie: a lei la Città riconoscente dedicherà il Festino, la terza domenica di luglio, oltre alla tradizionale festa quaresimale.
Nel 1736 dal Papa è concesso l’Ufficio liturgico “prout S. Maria ad Nives” e la facoltà di trasferire il giorno di digiuno vigilare al 7 di settembre, vigilia della Natività di Maria.
Tra la fine del ‘700 e l’800, con la nuova fase politica, l’amministrazione della città passa di fatto alla famiglia Penna che curerà un ulteriore abbellimento ed ampliamento del santuario e dell’eremo.
Trovandosi fuori città, l’eremo poi accoglierà i malati del colera dei primi dell’800.
Intanto, come negli altri Comuni d’Italia, anche a Scicli (1820) viene creata dal Comune la Congregazione Di Carità: una fondazione che riunisce tutte le fondazioni di culto del Comune con le altre opere pie minori della città e che saranno gestite direttamente dall’amministrazione comunale: fra queste vi si trova l’Opera di Maria Santissima delle Milizieche ha ereditato dall’amministrazione  comunale settecentesca la gestione del Santuario e della festa.
Sarà questa Congregazione di Carità che  continuerà a gestire il Santuario, stipendiando i sacerdoti per la celebrazione delle messe, e la festa delle Milizie.
Fatta l’unità d’Italia, le leggi eversive incamereranno tutti i beni degli ordini religiosi, confraternite e collegiate, fatte eccezioni quelli delle parrocchie.
L’eremo viene incamerato: ma è un errore in quanto non appartiene né ad un ordine religioso né ad altre istituzioni ecclesiastiche destinatarie del provvedimento ma l’eremo appartiene all’Opera di Maria SS.ma delle Milizie inglobata nella Congregazione di Carità.
La Congregazione fa ricorso contro l’Intendenza di Finanza e lo vince e ottiene la restituzione della chiesa e della sacrestia (insieme alla statua della Madonna a Cavallo e agli arredi connessi al simulacro), mentre le celle e il terreno dell’eremo sono lottizzati e pronti per essere venduti a privati.
Paradossalmente, l’essere beni comunali e non ecclesiastici ha preservato sia il santuario ma anche la stessa statua e gli arredi e l’argenteria connessa, dall’essere incamerati dallo stato:gli abiti della Madonna che si trovavano conservati con la statua presso le suore di Valverde dovettero essere riconsegnati al Comune proprio per questo motivo.
E sempre paradossalmente proprio l’800 sarà il secolo del clou della festa, fatta conoscere in tutta Italia dagli scritti etnografici del Pitrè.
Chiusa la chiesa di San Matteo e distrutta Santa Maria la Piazza intanto fu eretta matrice di Scicli l’ex chiesa dei gesuiti: qui trovarono collocazione ad opera della Famiglia Penna la cappella di San Guglielmo e poi quella della Madonna delle Milizie.
Messi in vendita dallo Stato i locali dell’eremo, furono riacquistati dal P. Pisani ofm che, avendo avuto in uso la chiesa dal Comune tramite la Congregazione di Carità, adibì il convento a Noviziato dei frati minori.
Per l’occasione della riapertura vengono riportati da Scicli tutti i paramenti, i giogali, la campana e finanche il quadro che sarà rimesso sull’altare maggiore.
Sembra che il destino del Santuario sia così risollevato e nei cuori degli sciclitani si riaccende la speranza che la chiesa delle  Milizie possa ritornare il centro della devozione mariana cittadina. Ma è un fuoco che durerà poco.
La crisi dei primi del ‘900 costrinse i francescani a chiudere: nel 1918, il 1 luglio (atto Notaio Maltese), vendettero tutto il convento all’Opera Pia Busacca che intendeva farne un sanatorio.
Dopo i primi lavori la direzione dell’opera Pia Busacca per problemi di approviggionamento idrico optò per cambiare sito: il sanatorio fu costruito dov’è l’attuale ospedale Busacca e il convento e i terreni dell’eremo furono lottizzati e rivenduti tra il 1921 e il 1924 a privati.
Come dalla clausola risolutiva prevista nell’atto col Padre Pisani, venduto il Convento, la chiesa delle Milizie ritornò dalla gestione dei francescani alla gestione della Congregazione di Carità: dall’acquisto da parte dell’Opera Pia Busacca di tutto l’eremo infatti la chiesa era stata esclusa ed era rimasta in possesso della Congregazione: la chiesa così mantiene la sua destinazione di culto, come deliberato dalla Congregazione di Carità il 22 dicembre 1918 <<riconoscendo che il sottrarre al culto quel luogo pio consacrato al ricordo dell’apparizione della Vergine contro le orde Saracene e che per millenaria tradizione ogni anno aveva avuto solenni feste commemorative avrebbe offeso il sentimento religioso della cittadinanza>>.
Fallito il progetto del tubercolosario, la chiesa ritorna dunque alla gestione nuovamente della Congregazione di Carità: l’Opera Pia Busacca, che l’aveva avuta in affido qualora fosse stato costruito il tubercolosario per adibirla anche a cappella del nosocomio, riconsegna ufficialmente la Chiesa alla Congregazione della Carità il 16 febbraio 1921.
Ma già il 4 febbraio 1921, il Canonico Cottone da Scicli in via riservata scrive al vescovo di Noto per informarlo ufficiosamente dell’intenzione della Congregazione di carità di <<vendere la simpatica Chiesa dell’eremo delle Milizie per uso profano: magazzino o pagliaro>> in concomitanza alla vendita a lotti del convento da parte dell’opera Pia Busacca.
Quello che segue dopo è uno scambio epistolare tra Scicli e Noto che diamo di seguito in modo sintetico.
30 giugno 1921 – L’amministratore della Congregazione di Carità [in seguito detto   Commissario] scrive al Vescovo di Noto per proporgli la vendita della Chiesa.
4 luglio 1921 – Il Vescovo risponde pregando il Commissario di attendere il suo ritorno da Roma e dice di voler fare qualcosa perché il tempio rimanga aperto al culto.
11 dicembre 1921 – Il Vescovo non avendo disponibilità economica sufficiente, propone un atto di enfiteusi: il Commissario risponde dando la propria disponibilità a vagliare la proposta.
22 dicembre 1921 – Il vescovo propone la somma di £ 255 annue per il canone enfiteutico.
6 gennaio 1922 – Il Commissario comunica al Vescovo la trasmissione della proposta di enfiteusi alla Commissione Provinciale di beneficenza.
8 gennaio 1922 – Il Vescovo ringrazia il Commissario per il suo interessamento.
9 febbraio 1922 – Il Commissario comunica al Vescovo il parere positivo della Commissione provinciale di beneficenza.
11 febbraio 1922 – Il Vescovo ringrazia proponendo al Commissario di inviare la minuta dell’atto enfiteutico per prenderne visione e fare eventuali modifiche.
21 febbraio 1922 – Il Commissario manda la minuta al Vescovo.
24 febbraio 1922 – Il Vescovo manda la minuta in segreto al Parroco Calleri di Scicli perché la faccia esaminare da un legale di fiducia.
7 marzo 1922 – Il Calleri si consulta a Palazzolo col Comm. Italia e propone alcune osservazioni. Il Vescovo le gira al Commissario.
14 marzo 1922 – Il Commissario rinvia al Vescovo la bozza dell’atto corretta con le sue osservazioni.
25 marzo 1922 – Il Vescovo fa esaminare il tutto al Can. Dell’Arte. Si fanno osservazioni sull’atto tra il Pisani e la Congregazione.
28 marzo 1922 – Il Vescovo chiede al Commissario ulteriori spiegazioni.
30 marzo 1922 – Il commissario ricostruisce al Vescovo il passaggio della Chiesa tra Congregazione, Frati, Opera pia e di nuovo Congregazione.
7 aprile 1922 – Il Vescovo risponde chiedendo di appurare se veramente è avvenuta la cessione del Municipio alla Congregazione di Carità per sapere la controparte dell’atto di enfiteusi chi deve essere.
11 aprile 1922 – Il Commissario invia al Vescovo copia della riconsegna della Chiesa dal Ricevitore del Registro alla Congregazione fatta in data 18 agosto 1874 su decreto del Ministro del 23 maggio 1874.
18 aprile 1922 – Il Vescovo risponde dubitando se legalmente si possa dire proprietaria la Congregazione della Carità oppure l’Ente Morale Maria SS.ma delle Milizie che la Congregazione di Carità aveva inglobato in sè.
24 aprile 1922 – Il Commissario risponde ricostruendo le vicende della chiesa e dell’eremo.
3 maggio 1922 – Il Vescovo scrive al Ministro delle Finanze per avere delucidazioni.
6 maggio 1922 – Il Commissario scrive al Vescovo pregandolo di voler concludere l’atto.
8 maggio 1922 – Il Vescovo risponde pregando di pazientare ancora un po’ per avere idee più chiare.
25 maggio 1922 – Il Ministro delle Finanze risponde al Vescovo assicurando che la Chiesa delle Milizie è veramente di proprietà della Congregazione di Carità di Scicli.
16 luglio 1922 – Il Vescovo riscrive al Ministero delle Finanze per un ulteriore dubbio.
23 agosto 1922 – Il Ministero risponde dicendo che le leggi eversive con cui si requisirono i beni ecclesiastici si applicarono alla situazione del momento: siccome già all’atto della requisizione l’eremo e la chiesa erano della Congregazione di  Carità, all’atto della riconsegna si restituirono alla detta Congregazione. E questo già indica un titolo di proprietà sufficiente.
Per comprendere tutto questo scambio epistolare dobbiamo riandare alla situazione storica dell’epoca: da un lato c’è un governo anticlericale a livello  nazionale, ma a tutti i livelli di governo e di istituzioni pubbliche massoni e anticlericali si accordano per demolire l’immagine spirituale della Chiesa Cattolica, nonché anche il suo patrimonio mobile e immobile. In questo contesto il Commissario della Congregazione della Carità era stato incaricato di vendere e lottizzare tutti i beni della Congregazione (la maggior parte ex beni ecclesiastici sottratti a diverse opere pie di Scicli). Però il  Commissario, lo si evince dalle lettere, è uno dei ferventi  cattolici rimasti e vorrebbe far di tutto per non far vendere la chiesa ai privati (lui già sapeva chi erano gli interessati all’acquisto) che l’avrebbero ridotta a magazzino. E cerca di   farlo intendere in tutti i modi al Vescovo, accettando tutte le clausole per l’enfiteusi (che sarebbe stata solo un atto formale per salvaguardare il   Santuario passandolo alla Curia) e pregandolo di accelerare i tempi perché lui non sarebbe stato Commissario ancora per molto c’era il rischio che un altro Commissario massone avrebbe preso il suo posto e venduto direttamente il santuario senza dir niente al Vescovo.
Ma Mons. Vizzini, era lui infatti il Vescovo dell’epoca, non comprende niente di tutto ciò, e invece mira a far invalidare il titolo di proprietà della Congregazione: un riconoscimento della proprietà non del Comune ma dello Stato ad esempio, per alcune clausole di leggi successive a quelle eversive, avrebbe portato poi alla richiesta da parte della Curia della chiesa delle Milizie a titolo gratuito, ad esempio per farne una parrocchia.
Per far ciò il Vizzini non esita a scrivere a Don Sturzo e a Paolo Orsi, interessandoli della vicenda: vedremo cosa si diranno.  
 
27 agosto 1922 – Cambia il commissario prefettizio alla presidenza della Congregazione di Carità di   Scicli. Il nuovo commissario scrive al vescovo chiedendogli se finalmente vuole firmare l’enfiteusi o quali difficoltà incontra per non firmare.
16 novembre 1922 – il vescovo Vizzini scrive a Don Sturzo:
<< Nelle vicinanze di Scicli, e precisamente nella collina che sovrasta il villaggio marittimo di Donnalucata esiste una chiesa dedicata alla Madonna delle Milizie, perché ricorda secondo la tradizione l’ultima battaglia battaglia combattuta dai Normanni contro i Mori. Accanto alla chiesa si costruì col tempo un convento, che ora è stato venduto a famiglie private.  Anche la chiesa  stava per avere la stessa sorte quando io fui richiesto per comperarla per il culto. Se non che la Congregazione di   Carità pretende di darmela in enfiteusi con un canone non leggero che non posso facilmente accollare ai miei successori.
Mi è venuto quindi in mente che si potrebbe far dichiarare monumento nazionale evitando così la trasformazione del sacro edificio e assicurandone anche la conservazione. Prima però di mandare l’istanza la prego di farmi conoscere se è possibile riuscirci. In attesa pertanto di un suo pregiato riscontro…>>
25 novembre 1922 – Don Sturzo risponde dalla sede del Partito Popolare Italiano a Roma: <<In merito alla lettera di V.E. del 17 c.m., devo comunicarti che per poter far dichiarare Monumento Nazionale la chiesa dedicata alla Madonna delle Milizie nelle vicinanze di Scicli, è necessario che detto tempio abbia un valore veramente storico. E’ quindi opportuno che V. E. mi faccia tenere qualche precisa notizia al riguardo. Mi permetto anzi di consigliarle di voler richiedere un rapporto artistico e storico all’illustre Prof. Orsi, ritenendo che il parere favorevole di una  personalità autorevole possa giovare efficacemente per il raggiungimento di quanto V.E. desidera. Voglia gradire intanto i miei devoti omaggi. Il Segretario politico Luigi  Sturzo>>.
3 dicembre 1922 – Mons. Vizzini chiede al Canonico Augi di Scicli di raccogliere notizie storiche per la presentazione della richiesta per elevare l’Eremo a monumento Nazionale.
Contemporaneamente scrive all’Orsi allora direttore del Museo Archeologico di Siracusa quasi con le stesse parole scritte a Sturzo.
9 dicembre 1922 – Paolo Orsi risponde al vescovo dal Regio Museo Archeologico di Siracusa di cui era Direttore: << Eccellenza, sopra  Santa Maria delle Milizie presso    Scicli si è formata una leggenda di una battaglia fra Normanni e Saraceni, leggenda che non ritengo abbia fondamento storico; forse si tratta di uno sbarco di barbareschi nel sec. XVI. Se fosse vera la leggenda della vittoria riportata dal Conte ruggero e della conseguente fondazione della chiesa avuta ad opera sua, si dovrebbe trovare nella chiesa qualche traccia normanna. Disgraziatamente nelle mie visite ripetute visite a Scicli non ho mai trovato un momento per visitare S. Maria d. Milizie, ciò che confido fare in una prossima occasione. Trattanto V.E. potrà consultare il  volumetto: B. SPADARO, Relazioni storiche della città di Scicli (Noto 1845) che certamente trovasi in codesta Comunale: è un libretto acritico ma ricco di notizie. Voglia in tale incontro gradito, Eccellenza, gli attestati del mio massimo rispetto. Dev.mo Paolo Orsi>>.
Ma stranamente, tutto si ferma e non si conclude nulla.
8 novembre 1923 – dopo più di un anno di silenzio il Commissario della Congregazione di Carità di Scicli riscrive a Mons. Vizzini per chiedergli se abbia ancora intenzione di firmare l’enfiteusi o vi rinuncia.
13 novembre 1923 – il vescovo fa rispondere che trovandosi fuori diocesi ne riparlerà al suo rientro.
14 gennaio 1924 – il commissario, non avendo avuto finora risposta, sollecita nuovamente il vescovo.
12 aprile 1924 – ancora silenzio da parte del vescovo e nuovo sollecito da parte della Congregazione di Carità.
14 aprile 1924 – Mons. Vizzini sollecita dalla Biblioteca di Noto il prestito di un libro sulla chiesa delle Milizie.
27 marzo 1925 – Dopo un altro anno di silenzio la Congregazione di Carità si rivolge al Parroco Zisa di Santa Maria la Piazza di Scicli per sapere che senso dare al silenzio del vescovo e gli rinvia tutto l’incartamento per l’enfiteusi tramite il Parroco Zisa.
31 marzo 1925 – il vescovo ordina di farne delle copie e rispedisce gli originali alla Congregazione tramite il parroco Zisa.
Le trattative si interrompono così nuovamente nel silenzio senza addivenire ad alcunché di fatto.

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[Modificato da Caterina63 26/11/2012 16:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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