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Periodo di AVVENTO 2010 e inizio del Nuovo Anno Liturgico 2010-2011

Ultimo Aggiornamento: 09/01/2011 14:39
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 Amici,
con la
Festa di Cristo Re termina l'Anno Liturgico, ci prepariamo per l'Avvento, il santo Natale di Nostro Signore, la Sua Epifania..... e dunque cominciamo anche un nuovo ciclo per l'Anno Liturgico che si appresta....

Prima di inserire nuove riflessioni vi ricordiamo questi altri Thread ricchi di meditazione e Preghiera che continueremo ad usare in questo Tempo:

Dal 16 al 24 Dicembre Novena per il Santo Natale (PREPARIAMO IL PRESEPE)

8 Dicembre Festa dell'Immacolata

L'Avvento con sant'Agostino

Meditazioni per l'Avvento-Natale 2009 fino all'Epifania



Per l'inizio dell'anno liturgico

La corona
che plasma il tempo


di mons. Inos Biffi


L'anno liturgico è tra le più originali e preziose creazioni della Chiesa, "un poema - come diceva il cardinale Ildefonso Schuster di tutta la liturgia - al quale veramente hanno posto mano e cielo e terra".

Esso è la trama dei misteri di Gesù nell'ordito del tempo. Così, lungo il corso di ogni anno, la Chiesa rievoca gli eventi della sua nascita, della sua morte e della sua risurrezione, così che il susseguirsi dei giorni sia tutto improntato e sostenuto dalla memoria di lui. Una memoria d'altronde che, se fa volgere lo sguardo a quando quegli eventi si sono compiuti, subito fa tendere lo sguardo sul Presente, cioè sul Cristo vivente, che sovrasta e include in se stesso tutta la storia.

Facendosi uomo, il Figlio di Dio si ritrova, come ognuno di noi, "datato" e coinvolto nei confini della cronologia e, perciò, di un passato irreversibile. È l'aspetto temporale e irripetibile dei suoi misteri, che divengono l'oggetto del ricordo che li rievoca. Così nell'anno liturgico, con immensa pietà, ripassano i diversi momenti rievocati nei vangeli, e di cui è stata intessuta l'esistenza di Gesù e che non si rinnovano. E tuttavia ognuno di essi era una mediazione di grazia e concorreva a "creare" il Signore e la sua opera di salvezza.

Gesù non rinasce storicamente ogni volta che la Chiesa ne rievoca il Natale, ma quella natività fu una mediazione e un avvenimento di grazia. Come lo furono tutte le altre manifestazioni della vita terrena del Figlio di Dio:  ossia, come direbbe Tommaso d'Aquino (Summa Theologiae, III, 27, prologo), "tutto quello che il Figlio di Dio incarnato fece o patì nella natura umana a lui unita" (ea quae Filius Dei incarnatus in natura humana sibi unita  fecit  vel  passus  est):   tutto  quello che concorse a formare il Cristo redentore.

Nello svolgimento dell'anno liturgico rimeditiamo su quei misteri, miriamo ad averne un'intelligenza più profonda, e soprattutto li ritroviamo col loro senso e con il loro valore nel Signore vivente glorioso, sul quale sono fissati gli occhi della fede e l'ardore del cuore. E in questo senso si può affermare che, narrati e tramandati d'anno in anno, non invecchiano e non si consumano mai.
 
Ecco perché è giusto ritenere che, mentre si dispongono e si uniscono a formare la suggestiva "corona della benignità dell'anno di Dio" - corona benignitatis anni Dei, come Paul Claudel intitola il suo splendido poema sull'anno liturgico - essi sono destinati in certo modo a rinnovarsi nella Chiesa. L'anno liturgico - scriveva il cardinale Schuster - "rappresenta come l'unità di misura della vita della Chiesa sulla terra. Questa vita a sua volta è la continuazione della vita di Gesù Cristo". Vale per esso quel che egli diceva della preghiera liturgica:  "Direttamente sgorga dal cuore della Chiesa orante". I giorni che lo formano sorgono dall'amore della Chiesa ininterrottamente assorta a contemplare e a incontrare il suo Signore, istituendo con lui una cronologia o un corso annuale nuovo e inedito, a servizio di Cristo, per mezzo del quale, nel quale e per il quale tutto è stato creato.

In tal modo il tempo è riscattato dalla noia della monotonia e dall'angoscia che può incombere di fronte all'ignoto. La liturgia ambrosiana parla di "paura del tempo" (metus temporis). In realtà la Chiesa, "pellegrina sulla terra", lo vive e lo trascorre in compagnia di Gesù, che del tempo stesso è il significato e il fine. Essa è sempre in "attesa della sua venuta", sicura d'altronde che egli è già venuto ed è sempre il Veniente, convinta perciò che nessuna disgrazia o nessun incidente, per quanto possano apparire gravi, saranno mai capaci di strapparla all'amore onnipotente e provvidente del Signore.

E, con Cristo, anche i santi, di giorno in giorno, fanno compagnia alla Chiesa, a cominciare dalla Vergine Maria, che continua nella Chiesa la sua premurosa missione materna. Così, accanto al Proprio del tempo e al Tempo per annum, tutti dedicati alla contemplazione dei misteri di Cristo, ci imbattiamo felicemente nel Santorale:  una luminosa ghirlanda di amici di Dio e di amici nostri, che adesso si accompagnano con noi, dopo avere prima di noi compiuto il "santo viaggio", e avervi attinto la grazia in esso celata e ora maturata nella gloria.

Senza dubbio, in questo tragitto non siamo sottratti al tempo cronologico, che da ogni parte ci avvolge. Esso non è abrogato o soppresso, ma perdura sia come fautore di crescita terrena, sia come coefficiente di declino quando nella sua implacabile corsa logora e debilita il corpo, e insieme estenua e dissipa, talora fino a devastarle, le energie dello spirito.

E, tuttavia, non dubitiamo che proprio a questo trascorrere del tempo il Signore provveda a conferire un'energia inattesa e che lo ammanti di benedizioni:  lui che ha trasformato l'acqua in vino, e ridato vita ai corpi infermi o già pervasi dalla morte, e superato i limiti dello spazio, apparendo a porte chiuse; lo stesso che sa continuamente trasmutare la materia delle nostre offerte e rendercela come Eucaristia.

Allo stesso modo, egli sa convertire e plasmare anche il tempo, che si china docile al comando di Gesù, chiamato da sant'Ambrogio (De fide, i, 9, 58) "autore e creatore del tempo" (temporis auctor et creator). Non sarebbe allora fuori luogo denominare l'anno liturgico il sacramento dei "tempi beati" (beata tempora):  quelli che lo stesso vescovo di Milano vedeva iniziare dall'Ora di Terza, quando Cristo "ascese sulla croce" (ascendit crucem). Ecco perché - usando le parole di Davide nel salmo 84 - si può affermare che chi percorre l'anno liturgico "passa per la valle del pianto, e la cambia in una sorgente", e che lungo il cammino "cresce il suo vigore, finché compare davanti a Dio in Sion".


(©L'Osservatore Romano - 24 novembre 2010)


                                         


                                                                                
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/11/2010 12:11
 
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PRIMI VESPRI PER L’INIZIO DEL TEMPO DI AVVENTO VEGLIA PER LA VITA NASCENTE
dal Blog dedicato a mons. Guido Marini, raggiungibile dal link del titolo....

Pope Benedict XVI arrives to celebrate the First Vespers on the occasion of the first week of Advent in Saint Peter's Basilica at the Vatican November 28, 2009.

La consuetudine, iniziata con Benedetto XVI, di celebrare i Primi Vespri nella Prima Domenica di Avvento nella Basilica di San Pietro intende sottolineare l’inizio di un nuovo Anno Liturgico per la vita della Chiesa. Con il tempo di Avvento, infatti, inizia un nuovo ciclo annuale, nel quale la Chiesa celebra tutto il mistero di Cristo, dall’Incarnazione alla Pentecoste e all’attesa del ritorno del Signore.

L’addobbo floreale, pur presente, è improntato a una certa sobrietà, in modo che venga significata la specificità liturgica e spirituale dell’Avvento, come tempo di attesa del Signore che viene, nel segno della gioia ma anche della penitenza e della vigilanza. Si consideri, in questo senso, il ritornello cantato alle intercessioni: “Veni, Domine, et noli tardare”. Il compimento dell’attesa e la pienezza della gioia si manifesteranno nella Santa Notte di Natale al canto del “Gloria”. In questo stesso senso deve essere compreso il colore viola delle vesti liturgiche che accompagnerà per intero il tempo di Avvento, proprio a cominciare da questa celebrazione vespertina.

Quest’anno, alla celebrazione dei Primi Vespri si accompagna la Veglia di Preghiera per la Vita nascente, promossa dal Pontificio Consiglio per la Famiglia e celebrata oggi in tutta la Chiesa Cattolica. Per tale circostanza, prima della celebrazione dei Vespri, è previsto un tempo di riflessione e di preghiera: si alterneranno la lettura di alcuni testi del magistero sul tema della vita, alcuni canti tipici dell’Avvento, momenti di silenzio e preghiere.

Inoltre, la celebrazione dei Vespri sarà preceduta dall’esposizione del SS. Sacramento a cui farà seguito, al termine della celebrazione, l’adorazione e la benedizione eucaristica. Durante il tempo dell’adorazione il Santo Padre reciterà una preghiera per la vita, composta per la particolare occasione.

Durante i Vespri, le brevi pause di silenzio al termine dei salmi e della lettura breve intendono aiutare la preghiera personale e quel clima di raccoglimento che sempre deve caratterizzare l’atto liturgico e che rende capace il cuore di aprirsi all’ascolto più attento della Parola di Dio e alla migliore comprensione dei misteri del Signore.

Si ricordi, in proposito, ciò che afferma sant’Agostino a proposito del canto dei salmi: “Si ode la voce di Cristo e della Chiesa, di Cristo nella Chiesa, e della Chiesa in Cristo”.

Il tempo di Avvento è un tempo mariano: l’attesa del Signore che viene è accompagnato da Maria, la cui attesa del Signore è per tutti esemplare. Anche per questo all’altare della confessione viene collocata l’immagine della Madonna e la celebrazione dei Vespri si conclude con il canto di un’antifona mariana, davanti a un dipinto che la raffigura la SS. Madre di Dio, collocato sulla colonna a sinistra dell’altare della Confessione.

                         An assistant (C) of Pope Benedict XVI (L) gives back a child to a faithful after the pontiff blessed him upon his arrival at the Lavacolla airport, in Santiago de Compostela, on November 6, 2010 for a two-day visit in Spain. Pope Benedict XVI warned today of a very strong clash between faith and modernity in Spain and he called for dialogue, not confrontation. The pontiff said an anti-clerical movement erupted in Spain in the 1930s in the run-up to the Spanish Civil War.
[Modificato da Caterina63 27/11/2010 13:09]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/11/2010 19:38
 
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PRIMI VESPRI DI AVVENTO 2010

Monumentale catechesi del Papa sulla Vita Umana fin dal suo concepimento.....



Pope Benedict XVI celebretes the first Vespers in the St. Peter's Basilica at Vatican on November 27, 2010.





OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

con questa celebrazione vespertina, il Signore ci dona la grazia e la gioia di aprire il nuovo Anno Liturgico iniziando dalla sua prima tappa: l’Avvento, il periodo che fa memoria della venuta di Dio fra noi. Ogni inizio porta con sé una grazia particolare, perché benedetto dal Signore. In questo Avvento ci sarà dato, ancora una volta, di fare esperienza della vicinanza di Colui che ha creato il mondo, che orienta la storia e che si è preso cura di noi giungendo fino al culmine della sua condiscendenza con il farsi uomo.
Proprio il mistero grande e affascinante del Dio con noi, anzi del Dio che si fa uno di noi, è quanto celebreremo nelle prossime settimane camminando verso il santo Natale. Durante il tempo di Avvento sentiremo la Chiesa che ci prende per mano e, ad immagine di Maria Santissima, esprime la sua maternità facendoci sperimentare l’attesa gioiosa della venuta del Signore, che tutti ci abbraccia nel suo amore che salva e consola.

Mentre i nostri cuori si protendono verso la celebrazione annuale della nascita di Cristo, la liturgia della Chiesa orienta il nostro sguardo alla meta definitiva: l’incontro con il Signore che verrà nello splendore della sua gloria. Per questo noi che, in ogni Eucaristia, “annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua risurrezione nell’attesa della sua venuta”, vigiliamo in preghiera. La liturgia non si stanca di incoraggiarci e di sostenerci, ponendo sulle nostre labbra, nei giorni di Avvento, il grido con il quale si chiude l’intera Sacra Scrittura, nell’ultima pagina dell’Apocalisse di san Giovanni: “Vieni, Signore Gesù!” (22,20).

Cari fratelli e sorelle, il nostro radunarci questa sera per iniziare il cammino di Avvento si arricchisce di un altro importante motivo: con tutta la Chiesa, vogliamo celebrare solennemente una veglia di preghiera per la vita nascente. Desidero esprimere il mio ringraziamento a tutti coloro che hanno aderito a questo invito e a quanti si dedicano in modo specifico ad accogliere e custodire la vita umana nelle diverse situazioni di fragilità, in particolare ai suoi inizi e nei suoi primi passi. Proprio l’inizio dell’Anno Liturgico ci fa vivere nuovamente l’attesa di Dio che si fa carne nel grembo della Vergine Maria, di Dio che si fa piccolo, diventa bambino; ci parla della venuta di un Dio vicino, che ha voluto ripercorrere la vita dell’uomo, fin dagli inizi, e questo per salvarla totalmente, in pienezza. E così il mistero dell’Incarnazione del Signore e l’inizio della vita umana sono intimamente e armonicamente connessi tra loro entro l’unico disegno salvifico di Dio, Signore della vita di tutti e di ciascuno. L’Incarnazione ci rivela con intensa luce e in modo sorprendente che ogni vita umana ha una dignità altissima, incomparabile.

L’uomo presenta un’originalità inconfondibile rispetto a tutti gli altri esseri viventi che popolano la terra. Si presenta come soggetto unico e singolare, dotato di intelligenza e volontà libera, oltre che composto di realtà materiale. Vive simultaneamente e inscindibilmente nella dimensione spirituale e nella dimensione corporea. Lo suggerisce anche il testo della Prima Lettera ai Tessalonicesi che è stato proclamato: “Il Dio della pace – scrive san Paolo – vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo” (5,23).

Siamo dunque spirito, anima e corpo. Siamo parte di questo mondo, legati alle possibilità e ai limiti della condizione materiale; nello stesso tempo siamo aperti su un orizzonte infinito, capaci di dialogare con Dio e di accoglierlo in noi. Operiamo nelle realtà terrene e attraverso di esse possiamo percepire la presenza di Dio e tendere a Lui, verità, bontà e bellezza assoluta.

Assaporiamo frammenti di vita e di felicità e aneliamo alla pienezza totale.
Dio ci ama in modo profondo, totale, senza distinzioni; ci chiama all’amicizia con Lui; ci rende partecipi di una realtà al di sopra di ogni immaginazione e di ogni pensiero e parola: la sua stessa vita divina. Con commozione e gratitudine prendiamo coscienza del valore, della dignità incomparabile di ogni persona umana e della grande responsabilità che abbiamo verso tutti. “Cristo, che è il nuovo Adamo – afferma il Concilio Vaticano II – proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione ... Con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Cost. Gaudium et spes, 22).
Credere in Gesù Cristo comporta anche avere uno sguardo nuovo sull’uomo, uno sguardo di fiducia, di speranza.

Del resto l’esperienza stessa e la retta ragione attestano che l’essere umano è un soggetto capace di intendere e di volere, autocosciente e libero, irripetibile e insostituibile, vertice di tutte le realtà terrene, che esige di essere riconosciuto come valore in se stesso e merita di essere accolto sempre con rispetto e amore. Egli ha il diritto di non essere trattato come un oggetto da possedere o come una cosa che si può manipolare a piacimento, di non essere ridotto a puro strumento a vantaggio di altri e dei loro interessi. La persona è un bene in se stessa e occorre cercare sempre il suo sviluppo integrale. L’amore verso tutti, poi, se è sincero, tende spontaneamente a diventare attenzione preferenziale per i più deboli e i più poveri. Su questa linea si colloca la sollecitudine della Chiesa per la vita nascente, la più fragile, la più minacciata dall’egoismo degli adulti e dall’oscuramento delle coscienze. La Chiesa continuamente ribadisce quanto ha dichiarato il Concilio Vaticano II contro l’aborto e ogni violazione della vita nascente: “La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura” (ibid., n. 51).

Ci sono tendenze culturali che cercano di anestetizzare le coscienze con motivazioni pretestuose. Riguardo all’embrione nel grembo materno, la scienza stessa ne mette in evidenza l’autonomia capace d’interazione con la madre, il coordinamento dei processi biologici, la continuità dello sviluppo, la crescente complessità dell’organismo. Non si tratta di un cumulo di materiale biologico, ma di un nuovo essere vivente, dinamico e meravigliosamente ordinato, un nuovo individuo della specie umana. Così è stato Gesù nel grembo di Maria; così è stato per ognuno di noi, nel grembo della madre.

Con l’antico autore cristiano Tertulliano possiamo affermare: “E’ già un uomo colui che lo sarà” (Apologetico, IX, 8); non c’è alcuna ragione per non considerarlo persona fin dal concepimento.
Purtroppo, anche dopo la nascita, la vita dei bambini continua ad essere esposta all’abbandono, alla fame, alla miseria, alla malattia, agli abusi, alla violenza, allo sfruttamento. Le molteplici violazioni dei loro diritti che si commettono nel mondo feriscono dolorosamente la coscienza di ogni uomo di buona volontà. Davanti al triste panorama delle ingiustizie commesse contro la vita dell’uomo, prima e dopo la nascita, faccio mio l’appassionato appello del Papa Giovanni Paolo II alla responsabilità di tutti e di ciascuno: “Rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità” (Enc. Evangelium vitae, 5).
 
Esorto i protagonisti della politica, dell’economia e della comunicazione sociale a fare quanto è nelle loro possibilità, per promuovere una cultura sempre rispettosa della vita umana, per procurare condizioni favorevoli e reti di sostegno all’accoglienza e allo sviluppo di essa.

Alla Vergine Maria, che ha accolto il Figlio di Dio fatto uomo con la sua fede, con il suo grembo materno, con la cura premurosa, con l’accompagnamento solidale e vibrante di amore, affidiamo la preghiera e l’impegno a favore della vita nascente.
Lo facciamo nella liturgia - che è il luogo dove viviamo la verità e dove la verità vive con noi - adorando la divina Eucaristia, in cui contempliamo il Corpo di Cristo, quel Corpo che prese carne da Maria per opera dello Spirito Santo, e da lei nacque a Betlemme, per la nostra salvezza. Ave, verum Corpus, natum de Maria Virgine!

Amen.







PREGHIERA PER LA VITA

composta per l'occasione
dal santo Padre Benedetto XVI
e recitata ai piedi del SS Sacramento
al termine dei Primi Vespri per l'Avvento 2010:

Signore Gesù,
che fedelmente visiti e colmi con la tua Presenza
la Chiesa e la storia degli uomini;
che nel mirabile Sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue
ci rendi partecipi della Vita divina
e ci fai pregustare la gioia della Vita eterna;
noi ti adoriamo e ti benediciamo.

Prostráti dinanzi a Te, sorgente e amante della vita
realmente presente e vivo in mezzo a noi, ti supplichiamo.

Ridesta in noi il rispetto per ogni vita umana nascente,
rendici capaci di scorgere nel frutto del grembo materno
la mirabile opera del Creatore,
disponi i nostri cuori alla generosa accoglienza di ogni bambino
che si affaccia alla vita.

Benedici le famiglie,
santifica l'unione degli sposi,
rendi fecondo il loro amore.

Accompagna con la luce del tuo Spirito
le scelte delle assemblee legislative,
perché i popoli e le nazioni riconoscano e rispettino
la sacralità della vita, di ogni vita umana.

Guida l'opera degli scienziati e dei medici,
perché il progresso contribuisca al bene integrale della persona
e nessuno patisca soppressione e ingiustizia.

Dona carità creativa agli amministratori e agli economisti,
perché sappiano intuire e promuovere condizioni sufficienti
affinché le giovani famiglie possano serenamente aprirsi
alla nascita di nuovi figli.

Consola le coppie di sposi che soffrono
a causa dell'impossibilità ad avere figli,
e nella tua bontà provvedi.

Educa tutti a prendersi cura dei bambini orfani o abbandonati,
perché possano sperimentare il calore della tua Carità,
la consolazione del tuo Cuore divino.

Con Maria tua Madre, la grande credente,
nel cui grembo hai assunto la nostra natura umana,
attendiamo da Te, unico nostro vero Bene e Salvatore,
la forza di amare e servire la vita,
in attesa di vivere sempre in Te,
nella Comunione della Trinità Beata.

 Amen.












[Modificato da Caterina63 27/11/2010 22:12]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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28/11/2010 13:29
 
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Novena dell'Immacolata a Trinità dei Pellegrini



Parrocchia Santissima Trinità dei Pellegrini

FESTA DELL' IMMACOLATA CONCEZIONE

Novena preparatoria

Lunedì 29 Novembre – Martedì 7 Dicembre

Ore 17.45

Esposizione del Santissimo Sacramento

Santo Rosario

Canto delle Litanie

Preghiera all'Immacolata e canto del Tota Pulchra

Benedizione Eucaristica.

Ore 18.30

 S. Messa

Martedì 8 Dicembre

Solennità Liturgica dell'Immacolata Concezione

Ore 9.00 S. Messa letta

Ore 10.30 S. Messa Pontificale celebrata da Sua Eminenza il neo Cardinale Domenico BARTOLUCCI

Ore 17.30 Canto dei Vespri

Preghiera all’Immacolata di Pio XII

Canto del Tota Pulchra

Benedizione Eucaristica

Ore 18.30 S. Messa cantata


************************************************************

Smile Padre Konrad, della Fraternità Sacerdotale san Pietro (FSSP) dalla Chiesa di san Simonin Piccolo, Venezia, ci annuncia il periodo d'Avvento e ci ricorda la Novena all'Immacolata e il Primo Sabato del mese....  
approfittiamone...  
 
scaricate qui l'audio:  
http://it.gloria.tv/?media=113193  
 
qui il sito ufficiale:  
http://venezia.fssp.it/pages/intro.php  
 
e il Blog ufficiale:  
http://venezia.fssp.it/pages/intro.php  


Fraternamente CaterinaLD

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Dom Guérager: STORIA DELL'AVVENTO

STORIA DELL'AVVENTO
di Dom Prosper Guéranger

Il nome dell'Avvento

Si dà nella Chiesa latina, il nome di Avvento [1] al tempo destinato dalla Chiesa a preparare i fedeli alla celebrazione della festa di Natale, anniversario della Nascita di Gesù Cristo. Il mistero di questo grande giorno meritava senza dubbio l'onore d'un preludio di preghiera e di penitenza: cosicché sarebbe impossibile stabilire in maniera certa la prima istituzione di questo tempo di preparazione, che ha ricevuto solo più tardi il nome di Avvento [2].

L'Avvento deve essere considerato sotto due diversi punti di vista: come un tempo di preparazione propriamente detta alla Nascita del Salvatore, mediante gli esercizi della penitenza, o come un corpo d'Uffici Ecclesiastici organizzato con lo stesso fine. Fin dal secolo V, troviamo l'uso di fare delle esortazioni al popolo per disporlo alla festa di Natale; ci sono rimasti a questo proposito due sermoni di san Massimo di Torino, senza parlare di parecchi altri attribuiti una volta a sant'Ambrogio e a sant'Agostino, e che sembrano essere invece di san Cesario d'Arles. Se tali documenti non ci indicano ancora la durata e gli esercizi di questo tempo sacro, vi riscontriamo almeno l'antichità dell'uso che distingue mediante particolari predicazioni il tempo dell'Avvento. Sant'Ivo di Chartres, san Bernardo, e parecchi altri dottori dell'XI e del XII secolo hanno lasciato speciali sermoni de Adventu Domini, completamente distinti dalle Omelie Domenicali sui Vangeli di questo tempo. Nei Capitolari di Carlo il Calvo dell'anno 864, i Vescovi fanno presente a quel principe che egli non deve richiamarli dalle loro Chiese durante la Quaresima nè durante l'Avvento sotto il pretesto degli affari di Stato o di qualche spedizione militare, perché essi hanno in quel periodo dei doveri particolari da compiere, principalmente quello della predicazione.

Un antico documento in cui si trovano, precisati, in maniera sia pure poco chiara, il tempo e gli esercizi dell'Avvento, é un passo di S. Gregorio di Tours, al decimo libro della sua Storia dei Franchi nel quale riferisce che S. Perpetuo, uno dei suoi predecessori, che occupava la sede verso il 480, aveva stabilito che i fedeli digiunassero tre volte la settimana dalla festa di san Martino fino a Natale [3]. Con quel regolamento, san Perpetuo stabiliva un'osservanza nuova, o sanzionava semplicemente una legge già esistente? È impossibile determinarlo con esattezza oggi. Rileviamo almeno questo intervallo di quaranta giorni o piuttosto di quarantatre giorni, designato espressamente, e consacrato con la penitenza come una seconda Quaresima, sebbene con minor rigore [4].

Troviamo quindi il nono canone del primo Concilio di Macon, tenutosi nel 583, il quale ordina che, durante lo stesso intervallo da san Martino al Natale, si digiunerà il lunedì, il mercoledì, il venerdì, e si celebrerà il sacrificio secondo il rito Quaresimale. Qualche anno prima, il secondo Concilio di Tours, tenutosi nel 567, aveva ordinato ai monaci di digiunare all'inizio del mese di dicembre fino a Natale. Questa pratica di penitenza si estese presto a tutti i quaranta giorni per i fedeli stessi; e si chiamo volgarmente la Quaresima di san Martino. I Capitolari di Carlo Magno, al libro sesto, non ne lasciano alcun dubbio; e Rabano Mauro attesta la medesima cosa nel secondo libro della Istituzione dei Chierici. Si facevano anche particolari festeggiamenti nel giorno di san Martino, come si fa ancor oggi all'avvicinarsi della Quaresima e a Pasqua.
 
Variazioni nelle osservanze.

L'obbligo di questa Quaresima che, cominciando a pesare in modo quasi impercettibile, era cresciuto successivamente fino a diventare una legge sacra, diminuì grado a grado; e i quaranta giorni da san Martino a Natale si trovarono ridotti a quattro settimane. Si è visto come l'usanza di tale digiuno fosse cominciata in Francia; ma di qui si era diffusa in Inghilterra, come apprendiamo dalla Storia del Venerabile Beda; in Italia, come consta da un diploma di Astolfo, re dei Longobardi († 753); in Germania, in Spagna[5], ecc., come se ne possono vedere le prove nella grande opera di Dom Martène sugli antichi Riti della Chiesa. Il primo indizio che riscontriamo della riduzione dell'Avvento a quattro settimane si può ritenere che sia, fin dal IX secolo, la lettera del papa san Nicola I ai Bulgari La testimonianza di Raterio di Verona e di Abbondio di Fleury, autori appartenenti entrambi allo stesso secolo, serve anche a provare che fin d'allora si discuteva molto per diminuire d'un terzo la durata del digiuno dell'Avvento. É vero che san Pier Damiani, nell'XI secolo, suppone ancora che il digiuno dell'Avvento fosse di quaranta giorni e che san Luigi, due secoli dopo, continuava ad osservarlo in questa misura; ma forse questo santo re lo praticava in tal modo per un trasporto di devozione particolare.

La disciplina della Chiesa d'Occidente, dopo essersi rilassata sulla durata del digiuno dell'Avvento, si raddolcì presto al punto da trasformare tale digiuno in una semplice astinenza; si trovano inoltre dei Concili fin dal XII secolo, come quello di Selingstadt del 1122, che sembrano obbligare soltanto i chierici a tale astinenza[6]. Il Concilio di Salisbury, del 1281, pare anch'esso obbligarvi solo i monaci. D'altra parte, è tale la confusione su questa materia, senza dubbio perché le diverse Chiese d'Occidente non ne hanno fatto l'oggetto d'una disciplina uniforme, che, nella sua lettera al Vescovo di Braga, Innocenzo III attesta che l'uso di digiunare per tutto l'Avvento esisteva ancora a Roma al suo tempo, e Durando, sempre nel XIII secolo, nel suo Razionale dei divini Uffici, testimonia ugualmente che il digiuno era continuo in Francia per tutta la durata di quel tempo sacro.

Comunque sia, questa usanza venne sempre più diminuendo di, modo che tutto quello che poté fare nel 1362 il Papa Urbano V per arrestarne la caduta completa, fu di obbligare tutti i chierici della sua corte a conservare l'astinenza dell'Avvento, senza alcuna menzione del digiuno, e senza comprendere affatto gli altri chierici, e tanto meno i laici, sotto questa legge. San Carlo Borromeo cercò anch'egli di risuscitare lo spirito, se non la pratica, dei tempi antichi nelle popolazioni del Milanese. Nel suo quarto Concilio, ordinò ai parroci di esortare i fedeli a comunicarsi almeno tutte le domeniche della Quaresima e dell'Avvento, e indirizzo quindi ai suoi stessi diocesani una lettera pastorale in cui, dopo aver loro ricordato le disposizioni con le quali si deve celebrare questo sacro tempo, faceva istanza per condurli a digiunare almeno il lunedì, il mercoledì e il venerdì di ciascuna settimana.

Infine Benedetto XIV ancora Arcivescovo di Bologna, calcando cosi gloriose orme, ha consacrato la sua undicesima Istituzione Ecclesiastica a ridestare nello spirito dei fedeli della sua diocesi la sublime idea che i cristiani avevano un tempo del tempo dell'Avvento, e a combattere un pregiudizio diffuso in quella regione, cioè che l'Avvento riguardava le sole persone religiose, e non i semplici fedeli. Egli dimostra che questa asserzione, salvo che la si intenda semplicemente del digiuno e dell'astinenza, è di per sé temeraria e scandalosa, poiché non si potrebbe dubitare che esiste, nelle leggi e nelle usanze della Chiesa universale, tutto un insieme di pratiche destinate a mettere i fedeli in uno stato di preparazione alla grande festa della Nascita di Gesù Cristo.

La Chiesa greca osserva ancora il digiuno dell'Avvento, ma con molto minore severità rispetto a quello della Quaresima. Esso consta di quaranta giorni, a partire dal 14 novembre, giorno in cui quella Chiesa celebra la festa dell'Apostolo san Filippo. Per tutto questo tempo, si osserva l'astinenza dalla carne, dal burro, dal latte e dalle uova; ma si fa uso di pesce, olio e vino, cose tutte vietate durante la Quaresima. Il digiuno propriamente detto è d'obbligo soltanto per sette giorni sui quaranta; e tutto l'insieme si chiama volgarmente la Quaresima di san Filippo. I Greci giustificano queste mitigazioni dicendo che la Quaresima di Natale è solo di istituzione monastica, mentre quella di Pasqua è d'istituzione apostolica.

Ma se le pratiche esteriori di penitenza che consacravano una volta il tempo dell'Avvento presso gli Occidentali, si sono a poco a poco mitigate, in maniera che oggi non ne resta alcun vestigio fuori dei monasteri, l'insieme della Liturgia dell'Avvento non è cambiato; ed è nello zelo per appropriarsene lo spirito che i fedeli daranno prova d'una vera preparazione alla festa di Natale.

Variazioni nella Liturgia.

La forma liturgica dell'Avvento, quale si ha oggi nella Chiesa Romana, ha subito alcune variazioni. San Gregorio (590-604) sembra aver istituito per primo questo Ufficio che avrebbe abbracciato dapprima cinque domeniche, come si può vedere dai più antichi Sacramentari di quel grande Papa. Si può anche dire a questo proposito, secondo Amalario di Metz e Bernone di Reichenau, seguiti da Dom Martène e da Benedetto XIV, che san Gregorio sembrerebbe essere l'autore del precetto ecclesiastico dell'Avvento, benché l'uso di consacrare un tempo più o meno lungo a prepararsi alla festa di Natale sia del resto immemorabile, e l'astinenza e il digiuno di questo tempo sacro siano iniziati dapprima in Francia. San Gregorio avrebbe determinato, per le Chiese di rito romano, la forma dell'Ufficio durante questa specie di Quaresima, e sanzionato il digiuno che l'accompagnava, lasciando tuttavia una certa libertà alle diverse Chiese circa la maniera di praticarlo.

Fin dal IX e X secolo, come si può vedere da Amalario, san Nicola I, Bernone di Reichenau, Reterio di Verona, ecc., le domeniche erano già ridotte a quattro; è lo stesso numero che porta il Saeramentario gregoriano dato da Pamelio, e che sembra sia stato trascritto a quell'epoca. Da allora, nella Chiesa Romana, la durata dell'Avvento non ha subito variazioni, ed è sempre consistito in quattro settimane, di cui la quarta è quella stessa nella quale cade la festa di Natale, a meno che tale festa non capiti di domenica. Si può dunque assegnare all'usanza attuale una durata di mille anni, almeno nella Chiesa Romana; poiché vi sono delle prove che fino al secolo XIII alcune Chiese di Francia hanno conservato l'usanza delle cinque domeniche[7].

La Chiesa ambrosiana conta ancor oggi sei settimane nella sua liturgia dell'Avvento; il Messale gotico o mozarabico mantiene la stessa usanza. Per la Chiesa gallicana, i frammenti che Dom Mabillon ci ha conservati della sua liturgia non ci attestano nulla a questo riguardo; ma è naturale pensare con questo studioso la cui autorità è rafforzata anche da quella di Dom Martène, che la Chiesa delle Gallie seguiva su questo punto, come su tanti altri, le usanze della Chiesa gotica, cioè che la liturgia del suo Avvento si componeva ugualmente di sei domeniche e di sei settimane [8].








[1] Dal latino Adventus, che significa Venuta.
[2] La proclamazione del dogma della Maternità divina, avvenuta ad Efeso nel 431, diede vivo impulso al culto mariano e una grande celebrità alla commemorazione della Natività del Signore. È infatti poco dopo il Concilio di Nicea (325) che la Chiesa romana istituì la festa di Natale e la fissò al 25 dicembre, ma è dall'Oriente che attinse i primi elementi dell'Avvento.
[3] Secondo i più recenti lavori dei Liturgisti, si possono segnalare testimonianze ancora più antiche di questa. Cosi un frammento di un testo di sant'Ilario, quindi anteriore al 366 dice che «La Chiesa si dispone al ritorno annuale della venuta del Salvatore. con un tempo misterioso di tre settimane». Il Concilio di Saragozza, da parte sua, fin dal 380 impone ai fedeli di assistere agli uffici dal 17 dicembre al 6 gennaio. In questo periodo di ventuno giorni, la parte che precede il Natale formava un quadro ben indicato per la preparazione di questa festa e costituiva una specie di Avvento. Ma siccome si era introdotto l'uso, nel IV secolo, di considerare l'Epifania e il Natale stesso come festa battesimale, potrebbe qui trattarsi solo d'una preparazione al battesimo e non d'una liturgia dell'Avvento.
In Oriente. nel V secolo. A Ravenna, nelle Gallie e nella Spagna, una festa della Vergine era celebrata la domenica prima di Natale, e talvolta anche una festa del Precursore la domenica precedente. Si avrebbe qui ancora una breve preparazione al Natale, un Avvento primitivo, a meno che non si tratti che d'un semplice ampliamento della festa di Natale. Infine, il Rotolo di Ravenna, di cui sarebbe autore san Pier Crisologo (433-450). possiede 40 orazioni che possono essere considerate come preparatorie al Natale.
[4] Bisogna notare anche che questo digiuno non era proprio del Tempo dell'Avvento; poiché, tra la Pentecoste e la metà di febbraio, i fedeli digiunavano due volte la settimana e i monaci tre volte. Il carattere penitenziale de]l'Avvento derivò a poco a poco, a causa dell'analogia che si presentava naturalmente tra questa stagione e la Quaresima.
[5] Forse il digiuno esisteva già in Spagna a quell'epoca. Una lettera del 400 circa, ci parla di tre settimane che pongono fine all'anno e ne cominciano uno nuovo, comprendenti la festa di Natale e quella dell'Epifania, durante le quali conviene darsi al ritiro e alle pratiche dell'ascetismo: la preghiera e l'astinenza (Rev. Bén. 1928 p. 289). Le Chiese d'Oriente che ricevettero dall'Occidente la celebrazione della Natività di Nostro Signore, adottarono ugualmente, nell'VIII secolo, il digiuno dell'Avvento.
[6] Il Concilio di Avranches (1172) prescrive il digiuno e l'astinenza a tutti coloro che lo potranno, in particolare ai chierici e ai soldati.
[7] Si può oggi stabilire in una maniera molto più dettagliata lo sviluppo della Liturgia dell'Avvento. Mentre il Sacramentario leoniano (fine del VI secolo) non porta aleuna messa, il che sembra indicare che a quell'epoca Roma ignorava ancora l'Avvento, il Sacramentario gelasiano antico (fine del VI e inizio del VII secolo) contiene cinque messe «De Adventu Domini». Il Sacramentario gelasiano d'Angoulême e gli altri Sacramentari dell'VIII secolo contengono essi pure cinque messe, o in più le tre messe delle Quattro Tempora di dicembre. Infine, nel Sacramentario gregoriano, troviamo delle messe per quattro domeniche e per le tre ferie delle Quattro Tempora. Porse anche la messa dell'ultima domenica dopo la Pentecoste era considerata come messa «de Adventu». Aggiungiamo infine che san Benedetto († dopo il 546) ha scritto, nella sua Regola, un capitolo sulla Quaresima, che parla del Tempo pasquale ma non menziona l'Avvento.
[8] Segnaliamo che il Sacramentario mozarabico: «Liber mozarabicus saeramentorum», (del IX secolo, ma che rappresenta la liturgia del VII), contiene cinque domeniche, e infine che i Lezionari gallicani portano sei domeniche dell'Avvento.

Quanto ai Greci, le loro Rubriche per il tempo dell'Avvento si leggono nei Nenei, dopo l'Ufficio del 14 novembre. Essi non hanno un Ufficio proprio dell'Avvento, e non celebrano durante questo tempo la Messa dei Presantificati, come fanno in Quaresima. Si trovano soltanto, nel corpo stesso degli Uffici dei Santi che occupano il periodo dal 15 novembre alla domenica più vicina a Natale, parecchie allusioni alla Natività del Salvatore, alla maternità di Maria, alla grotta di Betlemme, ecc. Nella domenica che precede il Natale, celebrano quella che chiamano la Festa dei santi Avi, cioè la Commemorazione dei Santi dell'Antico Testamento, per celebrare l'attesa del Messia. Il 20, 21, 22 e 23 dicembre sono decorati del titolo di Vigilia della Natività; e benché in quei giorni si celebri ancora l'Ufficio di parecchi Santi, il mistero della prossima Nascita del Salvatore domina tutta la Liturgia.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Avvento: “Levati” Maria, “corri, apri!”


I Domenica di Avvento, 28 novembre 2010


di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 26 novembre 2010 (ZENIT.org).- “In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finchè venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo (Mt 24,37-44).

Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Mt 24,44): non incutono timore queste parole del Vangelo (e quelle che precedono) se le ascoltiamo riferite alla vergine Maria nel giorno in cui le fu annunziato che il “Verbo della vita” (1 Gv 1,1) si sarebbe fatto carne in Lei, non senza il suo assenso al disegno del Padre.

Questa fu davvero un’ora inimmaginabile per la fanciulla di Nazaret, immensamente sorpresa dall’annunzio più inconcepibile che mente umana potesse pensare: il Figlio di Dio sarebbe stato concepito nel suo grembo verginale per opera della Spirito Santo.

Tale stupefacente iniziativa divina, a quanto sembra, trovò Maria del tutto impreparata: “Come avverrà questo? Non conosco uomo” (Lc 1,34); impreparata, ma pronta.

Sì, perché si può essere pronti anche se impreparati, a ben considerare il duplice modo possibile della vigilanza. Anzitutto la nostra vigilanza può dirsi prossima: quella di chi attende un avvenimento conosciuto (se non quanto al contenuto, almeno come fatto ignoto ed importante che si avvicina); in secondo luogo essa può essere remota, cioè profonda, radicata nella vita: come quella naturale di una mamma nei confronti del suo bambino, vigilanza che il suo amore materno alimenta e tiene desta giorno e notte.

Se in Maria mancò la vigilanza prossima, poiché le era impossibile prevedere il contenuto dell’annunzio celeste, certo non mancò quella remota. Non mancò e da sola fu più che sufficiente, dal momento che la “piena di grazia” attimo dopo attimo si ritrovava perfettamente disposta e pronta ad obbedire alla volontà di Dio, in forza e grazia della purezza del suo cuore verginale abitato solo dal desiderio di amare il Signore “con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,5).

Tale meravigliosa vigilanza è così cantata da un innamorato della Madonna: “Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano (…)Non sia che mentre tu sei titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare colui che ami. Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso. “Eccomi”, dice, “sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38)” (San Bernardo, “Omelie sulla Madonna”, breviario del Tempo di Avvento).

La triplice esortazione del santo (“levati, corri, apri!”) è una pura contemplazione dell’intima disposizione del cuore di Maria che ci aiuta a comprendere il dinamismo della sua vigilanza silenziosa e nascosta, perfettamente pronta ad accogliere in sé la venuta del Cristo non per una preparazione razionale, ma per l’attitudine profonda del suo essere, della sua persona, del suo cuore.

Al riguardo vi sono due osservazioni da fare.

La prima inerisce all’indole femminile di Maria. La sua vigilanza pronta è anzitutto naturale, essenziale, perché scaturisce dalla sua natura femminile materna. E’ per questo istinto proprio della donna che, quando una mamma nella notte è svegliata dal pianto del suo bambino, subito si alza (levati), si affretta alla culla (corri) e se lo prende tra le braccia per calmarlo (il gesto concreto: apri!). Tutto ciò, in genere, è molto più faticoso per il papà, specie se si deve ripetere varie volte nella notte.

E’ su questo terreno favorevole che si innesta poi la fede di Maria, amplificando al soprannaturale la vigilanza della sua natura così da acconsentire la libera e pronta adesione all’invito dell’Angelo, senza titubanza alcuna. Vediamo infatti che nel dialogo con Gabriele, Maria si leva con la fede: “Eccomi”; corre con la devozione: “sono la serva del Signore”; apre il suo grembo con l’assenso: “avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38).

La sua domanda “Come avverrà questo?” (Lc 1,34) non esprime un dubbio circa la possibilità di ciò che le viene detto, ma chiede responsabilmente una nuova luce per la ragione. Una volta ottenuta (“Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo”) (Lc 1,35), ella dichiara subito quella disponibilità che già era totalmente presente nel suo cuore. Un po’ come un malato che, prontissimo a farsi operare dal chirurgo, chiede in anticipo a che tipo di intervento sarà sottoposto.

Ci aiuta a comprenderne bene questa vigilanza cooperante di Maria il beato J. H. Newman: “..la Vergine merita il suo posto nel piano della salvezza poiché corrispose attivamente e personalmente alla grazia di Dio. Nel momento del suo concepimento ella era passiva nelle mani creatrici di Dio, ma nel momento dell’Annunciazione, quando divenne la Madre di Dio e della misericordia divina, non fu semplicemente uno strumento fisico passivo, ma causa vivente, responsabile e intelligente del fatto che Dio prendesse carne umana dentro di lei. Se non avesse fatto volontariamente atto di obbedienza e di fede non sarebbe diventata la Madre di Dio” (in “MARIA. Pagine scelte”, p. 60).

Alla Madonna l’Angelo non chiede l’assenso, ma attende quella risposta personale che il mondo intero sollecita “prostrato alla sue ginocchia” (S. Bernardo). Maria è così invitata ad esprimere il “sì” del proprio grembo al concepimento della “Vita invisibile” (1Gv 1,2), un sì che è assenso “in luogo e al posto della natura umana” (San Tommaso, S. Theol. III, q. 30, a. I) alla venuta del Salvatore.

Venendo al Vangelo, vediamo che Gesù accosta oggi il Tempo dell’Avvento al tempo di Noè: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito..e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo” (Mt 24,38-39).

Il messaggio per noi è reso ancor più chiaro dall’immagine di Maria incinta, inseparabile dall’Avvento. Come il ventre di una donna all’ottavo mese di gravidanza è segno inequivocabile della presenza del bambino dentro di lei, così l’Avvento è il “sacramento” della presenza viva ed efficace di Dio nel nostro mondo, e della sua venuta continua nella storia, entrambe le cose per mezzo della liturgia e della sua Chiesa.

Quelli che ignorano tale presenza e tale venuta del Signore sono da compiangere più di tutti gli uomini, poiché, non sapendo nemmeno di avere bisogno di un Salvatore, sono nella condizione di coloro che perirono nel diluvio: un racconto, per altro, che non deve far venire in mente la “Protezione Civile”. Infatti: “Per la Sacra Scrittura quell’evento acquista i contorni di un atto di un giudizio divino morale sul peccato umano: il Dio biblico non è indifferente di fronte alla corruzione e all’immoralità. Il diluvio è perciò, secondo questa interpretazione, uno strumento di giudizio secondo la classica teoria della retribuzione per cui ad ogni delitto deve già ora corrispondere un castigo” (G. Ravasi, “150 Risposte. Questioni di fede”, p. 143-144).

Oggi il peccato più di ogni altro abominevole ed emblematico dell’attuale cultura della morte è l’uccisione della vita umana nel grembo. Ogni aborto infatti, anche quando la vita è spuntata da un giorno, è una sorta di distruzione di tutta la storia sacra che Dio ha fatto con l’umanità nel suo Figlio, concepito e nato da Maria, poiché: “lo avete fatto a me” (Mt 25,40).

Ma l’ultima parola non è quella del giudizio e della morte. Nell’uomo giusto Noè, e nella sua discendenza, si manifesta l’amore del Creatore che fa pace con l’umanità. Sorge così l’aurora di un nuovo mondo e di una nuova storia, ed è per questo che la tradizione cristiana ha riletto l’epopea del diluvio in chiave battesimale, come anticipazione simbolica delle acque che cancellano l’uomo vecchio e fanno rinascere l’uomo nuovo che vive nella giustizia e nella santità”(G. Ravasi, id.).

L’Avvento rivela che quest’aurora del mondo nuovo è la Madre di Gesù, Madre di tutti i viventi, di tutti gli uomini concepiti nel grembo e fuori del grembo. A Lei rivolgiamo la supplica della nostra speranza cristiana: “Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare e amare con te; indicaci la via verso il Salvatore e guidaci nel nostro cammino!”(Enciclica “Spe Salvi”, n. 50, modificato).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.


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Avvento: ma è davvero solo il "tempo dell'attesa"?



La colletta della Prima Domenica di Avvento, con cui la Chiesa inizia il nuovo anno liturgico, si esprime in questi termini:

Da, quaesumus, omnipotens Deus,
hanc tuis fidelibus voluntatem,
ut, Christo tuo venienti iustis operibus occurrentes,
eius dextrae sociati, regnum mereantur possidere caeleste.

traduzione CEI:

O Dio, nostro Padre,
suscita in noi la volontà di andare incontro
con le buone opere al tuo Cristo che viene,
perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria
a possedere il regno dei cieli.

versione più letterale:
O Dio onnipotente, ti supplichiamo, dona ai tuoi fedeli la volontà di correre incontro, con opere giuste, al tuo Cristo che viene, perchè accolti alla sua destra, possano meritare di possedere il regno dei cieli.


La preghiera, come si vede, riflette un duplice movimento: Cristo è il "veniente", ma i suoi fedeli sono "occurrentes", cioè sono quelli che gli vanno incontro.

La colletta non dice mai "noi", ma piuttosto "tuoi fedeli": possiamo davvero essere sicuri che fra "noi" tutti siano "fedeli" o che proprio "noi" saremo tra coloro che rimangono "fedeli"? Ognuno può dubitare anche di se stesso... e l'umiltà non è mai troppa.

La traduzione CEI, come si vede, evita accuratamente di tradurre il "mereantur" e lo salta a piè pari: chiaramente quella parola significa "meritare". C'è in giro, purtroppo, una teologia protestantica per cui è ormai vietato riferirsi alla sana e cattolica teologia del merito.
 
Eppure è ancora vero che non si va in paradiso senza "opere di giustizia" (opere buone dice la CEI in questa colletta); anzi, sono queste opere il veicolo su cui si "corre" verso Cristo. Ma, si badi bene, è lui che ci associa a sè, alla sua destra: è azione divina l'accoglierci, il chiamarci. E' Sua l'iniziativa il dono di grazia, anche quel dono che ci permette di meritare di possedere il regno celeste. Sembra una contraddizione, eppure è la contemplazione del vero regalo di Natale: il Signore premia in noi la sua azione.

La redenzione è infatti gratuita e donata da Cristo con la sua nascita, passione morte e risurrezione. Ma la salvezza individuale e finale consiste nel corrispondere con la propria volontà alla grazia redentrice offerta. Ecco perchè chiediamo all'inizio proprio questo: la volontà di andare verso Cristo. E' lui, si dice in un'altra colletta, che "suscita il volere e l'operare", e come afferma S. Agostino, il Verbo incarnato coronerà in noi i meriti che egli stesso ha guadagnato. Sono nostri, sì, ma per suo dono! E solo se lo vogliamo anche noi. Nessuno sarà "fatto accomodare" alla destra di Cristo se non lo avrà voluto e non sarà andato attivamente incontro a lui nei fratelli, in questa vita.

Altro che "tempo dell'attesa"! L'Avvento è il "tempo dell'Atteso"!



Testo preso da: http://www.cantualeantonianum.com/#ixzz16fQw9TDe

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Dom Guéranger: MISTICA DELL'AVVENTO

MISTICA DELL'AVVENTOdi Don Prosper Guéranger

La triplice Venuta.

Se ora, dopo aver descritto le caratteristiche che distinguono il tempo dell'Avvento da qualsiasi altro, vogliamo penetrare nelle profondità del mistero che occupa la Chiesa in questa epoca, troviamo che questo mistero della Venuta di Gesù Cristo è insieme uno e triplice. É uno, perché è lo stesso Figlio di Dio che viene; triplice, perché egli viene in tre tempi e in tre modi.
Nella prima venuta, dice San Bernardo nel quinto sermone sull'Avvento, egli viene nella carne e nell'infermità; nella seconda viene in spirito e in potenza; nella terza, viene in gloria e in maestà; e la seconda Venuta è il mezzo attraverso il quale si passa dalla prima alla terza».
Ecco il mistero dell'Avvento. Ascoltiamo ora la spiegazione che ci dà Pietro di Blois di questa triplice visita di Cristo, nel suo terzo sermone de Adventu: «Vi sono tre Venute del Signore, la prima nella carne, la seconda nell'anima, la terza con il giudizio. La prima ebbe luogo nel cuore della notte, secondo le parole del Vangelo: Nel cuore della notte si fece sentire un grido: Ecco lo Sposo! E questa prima Venuta è già passata, poiché Cristo è stato visto sulla terra ed ha conversato con gli uomini.

Noi ci troviamo ora nella seconda Venuta: purché, tuttavia, siamo tali che egli possa venire a noi; poiché egli ha detto che se lo amiamo, verrà a noi e stabilirà in noi la sua dimora. Questa seconda Venuta è dunque per noi una cosa mista d'incertezza; poiché chi altro fuorché lo Spirito di Dio conosce coloro che sono di Dio? Coloro che il desiderio delle cose celesti trasporta fuor di se stessi, sanno bene quando egli viene; tuttavia, non sanno nè donde viene nè dove va. Quanto alla terza Venuta, è certissimo che avrà luogo; incertissimo il quando: poiché non vi é niente di più certo che la morte, e niente di più incerto che il giorno della morte. Al momento in cui si parlerà di pace e di sicurezza, dice il Savio, allora la morte apparirà d'improvviso, come le doglie del parto nel seno della donna, e nessuno potrà fuggire. La prima Venuta fu dunque umile e nascosta, la seconda è misteriosa e piena d'amore, la terza sarà risplendente e terribile. Nella sua prima Venuta, Cristo è stato giudicato dagli uomini con ingiustizia; nella seconda, ci rende giusti mediante la sua grazia; nella terza, giudicherà tutte le cose con equità: Agnello nella prima Venuta, Leone nell'Ultima, Amico pieno di tenerezza nella seconda» (De Adventu, Sermo III).

La prima Venuta.

Stando cosi le cose, la santa Chiesa, durante l'Avvento, aspetta con lacrime ed impazienza la visita di Cristo Redentore nella sua prima Venuta. Essa prende per questo le ardenti espressioni dei Profeti, alle quali aggiunge le proprie suppliche. Sulla bocca della Chiesa, i sospiri rivolti al Messia non sono una semplice commemorazione dei desideri dell'antico popolo: hanno un valore reale, un influsso efficace sul grande atto della munificenza del Padre celeste che ci ha dato il suo Figlio. Fin dall'eternità, le preghiere dell'antico popolo e quelle della Chiesa cristiana unite insieme sono state presenti all'orecchio di Dio; e appunto dopo averle tutte ascoltate ed esaudite, egli ha mandato a suo tempo sulla terra quella rugiada benedetta che ha fatto germogliare il Salvatore.

La seconda Venuta.

La Chiesa aspira anche verso la seconda Venuta, sèguito della prima, e che consiste, come abbiamo visto, nella visita che lo Sposo fa alla Sposa. Ogni anno questa Venuta ha luogo nella festa di Natale e una nuova nascita del Figlio di Dio libera la società dei Fedeli da quel giogo di servitù che il nemico vorrebbe far pesare su di essa (Colletta del giorno di Natale). La Chiesa, durante l'Avvento, chiede di essere visitata da colui che è il suo Capo e il suo Sposo, visitata nella sua gerarchia, nelle sue membra, di cui le une sono vive e le altre morte, ma possono rivivere; infine in quelli che non fanno parte della sua comunione, e negli infedeli stessi, affinché si convertano alla vera luce che splende anche per loro. Le espressioni della Liturgia che la Chiesa usa per sollecitare questa amorosa e invisibile
Venuta, sono le stesse con le quali sollecita la venuta del Redentore nella carne; poiché, fatte le debite proporzioni, la situazione è la medesima. Invano il Figlio di Dio sarebbe venuto venti secoli or sono, a visitare e a salvare il genere umano, se non ritornasse, per ciascuno di noi e in ogni momento della nostra esistenza, ad apportare e fomentare quella vita soprannaturale il cui principio viene solo da lui e dal suo divino Spirito.

La terza Venuta.

Ma questa visita annuale dello Sposo non soddisfa la Chiesa; essa aspira alla terza Venuta che consumerà ogni cosa, aprendo le porte dell'eternità. Ha raccolto queste ultime parole dello Sposo: Ecco che io vengo presto (Ap 22,20) e dice con ardore: Vieni, Signore Gesù! (ibid.). Ha fretta di essere liberata dalle condizioni del tempo; sospira il compimento del numero degli eletti, per veder apparire sulle nubi del cielo il segno del suo liberatore e del suo Sposo. Fino a questo punto, dunque, si estende il significato dei voti che essa ha deposti nella Liturgia dell'Avvento; questa è la spiegazione delle parole del discepolo prediletto nella sua profezia: Ecco le nozze dell'Agnello, e la Sposa si è preparata (Ap 19,7).
Ma il giorno dell'arrivo dello Sposo sarà nello stesso tempo un giorno terribile. La santa Chiesa spesso freme al solo pensiero delle formidabili assise dinanzi alle quali compariranno tutti gli uomini. Chiama quel giorno «un giorno d'ira, del quale Davide e la Sibilla hanno detto che deve ridurre il mondo in cenere; un giorno di lacrime e di spavento». Non già che essa tema per se stessa, poiché quel giorno fisserà per sempre sul suo capo la corona della Sposa; ma il suo cuore di Madre soffre pensando che allora parecchi dei suoi figli saranno alla sinistra del Giudice, e che, privati di ogni contatto con gli eletti, saranno gettati con le mani e i piedi legati in quelle tenebre in cui non vi sarà che pianto e stridor di denti. Ecco perché nella Liturgia dell'Avvento, la Chiesa si ferma cosi spesso a mostrare la Venuta di Cristo come una Venuta terribile, e sceglie nelle Scritture i passi più adatti a ridestare un salutare spavento nella anima di quelli tra i suoi figli che dormirebbero il sonno di peccato.

Le forme liturgiche.

Questo è dunque il triplice mistero dell'Avvento. Ora, le forme liturgiche di cui è rivestito, sono di due specie: le une consistono nelle preghiere, letture, e altre formule, dove le parole stesse sono usate per rendere i sentimenti che abbiamo esposti; le altre sono riti esteriori adatti a questo tempo sacro e destinati a completare ciò che esprimono i canti e le parole.
Gli occhi del popolo si accorgono della tristezza che preoccupa il cuore della santa Chiesa dal colore di penitenza di cui si copre. Fuorché nelle feste dei Santi, non veste più che di viola; il Diacono depone la Dalmatica, e il Suddiacono la Tunicella. Un tempo anzi, si usava in parecchi luoghi il colore nero, come ad esempio a Tours, a Le Mans, ecc. Questo lutto della Chiesa mette in rilievo con quanta verità essa si unisca ai veri Israeliti che aspettavano il Messia sotto la cenere e il cilicio, e piangevano la gloria di Sion scomparsa, e «lo scettro tolto a Giuda, fino a quando non venga colui che deve essere mandato, e che forma l'attesa delle genti» (Gen 49,10). Esso significa ancora le opere di penitenza con le quali si prepara alla seconda Venuta piena di dolcezza e di mistero che ha luogo nei cuori nella misura in cui si mostrano sensibili alla tenerezza che testimonia loro quell'Ospite divino che ha detto: Io trovo la mia delizia nello stare con i figli degli uomini (Prov. 8, 31). Essa geme sulla montagna, come la tortora, fino a quando non si faccia sentire la voce che dirà: «Vieni dal Libano, o mia Sposa, vieni: sarai incoronata perché tu hai ferito il mio cuore» (Ct. 5, 8).

Durante l'Avvento, la Chiesa sospende anche, salvo nelle Feste dei Santi, I'uso dell'Inno Angelico: Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonœ voluntatis. Questo canto meraviglioso si fece sentire solo a Betlemme sulla mangiatoia del celeste Bambino; la lingua degli Angeli non è dunque ancora sciolta; la Vergine non ha deposto il suo divino fardello; non è tempo di cantare, non è ancora esatto dire: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà!


Cosi pure, al termine del Sacrificio, la voce del Diacono non fa più sentire le parole solenni che congedano l'assemblea dei fedeli: Ite, Missa est. Le sostituisce con la semplice esclamazione: Benedicamus Domino! quasi che la Chiesa temesse di interrompere le preghiere del popolo, che non sono mai troppo prolungate in questi giorni d'attesa.



[Modificato da Caterina63 02/12/2010 23:43]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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( ringranziando Messainlatino che potrete raggiungere dal link sottostante.....)

Esame di coscienza sull'Avvento

Tempo caratterizzato dallo spirito di penitenza e dagli ardenti desideri di chi anela alla prossima venuta di Gesù, e intanto gli prepara la via nel proprio cuore, evitando ogni peccato volontario, e ornandosi di virtù; Fratelli miei, è ora che ci svegliamo dal sonno, perché la nostra salute è vicina... Gettiamo via le opere delle tenebre, e rivestiamo le armi della luce (Rom., 13, 11-12).
— Il mistero consiste in questo: nell'instaurare tutte le cose in Cristo: instaurare omnia in Christo (Ef., 1. 10).

* * *

I due " esercizi " qui riportati orientano l'anima verso i sentimenti inculcati dalla Chiesa nella impareggiabile liturgia dell'Avvento, tutta spirarne amore, fede e speranza nell'opera redentrice e rinnovatrice del Figlio di Dio, tendente alla riforma spirituale della nostra vita.
Per andare a Dio non c'è strada più facile e più bella, che la meditazione dei misteri di Gesù. S. AGOSTINO.
L'uomo che non cerca Gesù, nuoce a se medesimo, più che, non gli possano nuocere il mondo e tutti i suoi nemici (2 Imit., 7, 3).

I ESERCIZIO

— Oggi ho menato la vita di raccoglimento, propria del sacro Avvento? (Mancanze).
— Ho recitato con attenzione le preghiere che più direttamente si riferiscono al mistero dell'Incarnazione? (Angelus Domini, Gloria in excelsis, Pater aeterne...).
— Ho ringraziato Iddio di aver operato il grande mistero dell'Incarnazione? (Minimo di volte).
— Sono entrato nello spirito di penitenza, facendo qualche sacrificio e mortificazione? (Occasioni perdute).
— Sono riuscito a evitare ogni peccato volontario, pensando che il Figlio di Dio si è incarnato per espiare i nostri peccati?

II ESERCIZIO

— Ho ripetuto il numero di volte fissato, le aspirazioni e i santi desideri verso la nascita di Gesù in me?
— Sono stato fedele alle vane grazie di oggi, pensando che Gesù me le ha guadagnate, incarnandosi?
— Ho accettato, in ispirito di penitenza, le pene e le afflizioni odierne?
— Nei momenti di scoraggiamento e nelle tentazioni di sfiducia, ho messo tutta la mia confidenza in Gesù, incarnatesi per salvarmi?
— Ho offerto a Dio le mie azioni principali, unendole alle medesime azioni di Gesù Cristo, affin di renderle meritorie per il Cielo?

ASPIRAZIONI:

Ostende nobis, Domine, misericordiam tuam, et salutare tuum da nobis, Ps 84, 8. Mostraci, o Signore, la tua clemenza, e da a noi la salvezza!
— Rorate, coeli, dèsuper, et nubes pluant Justum. Is. 45, 8, Stillate, o cieli, dall'alto e le nubi piovano il Giusto!
— Jesu Fili David, miserere nobis, Mt., 9, 27. Gesù, Figlio di David, abbi pietà di noi! (500 g.).
— Domine Jesu Christe, Tu solus Sanctus, Tu solus Dominus, Tu solus Altissimus. (500 g.; pl. mens.),
— Sia lodato Gesù Cristo! — Sempre sia lodato! (300 g.; plenaria mens.). Laudetur Jesus Christus. In saecula.

PREGHIERA

O Jesu vivens in Maria,
veni et vive in fàmulis tuis,
in spiritu sanctitatis tuae:
in plenitudine virtutis tuae;
in perfectione viarum tuarum;
in veritate virtutum tuarum;
in comunione mysteriorum tuorum;
dominare omni adversae potestati,
in Spiritu tuo, ad gloriam Patris. Amen.

(P. DE CONDREN - M. OLIER)

( italiano) O Gesù, vivente In Maria, venite e vivete nell'anima dei vostri servi, nel vostro spirito di santità; nella pienezza dei vostri doni; nella perfezione delle vostre vie; nella verità delle vostre virtù; nella comunione dei vostri misteri. Dominate in noi su tutte le potenze nemiche, per la virtù del vostro spirito, alla gloria del Padre, Così sia!

Ascoltiamo la pressante esortazione dell'Imitazione di Gesù Cristo:

Su via, fratelli, avanziamoci uniti; Gesù sarà con noi.
Per amor di Gesù abbiamo preso questa Croce; per amor di Gesù, perseveriamo sulla Croce.
Egli, che è nostro Capitano e nostra Guida, sarà nostro Sostegno.
Eccolo il nostro Re, che ci precede, e combatterà in favor nostro.
Seguiamolo da forti; nessuno si lasci vincere dal timore.
Siamo pronti a morire generosamente lottando; né macchiamo la nostra gloria, fuggendo dal conflitto, e abbandonando vilmente la Croce. (III 56, 6).

Stimoli al Combattimento Spirituale

Veglia sopra te stesso;
te stesso incoraggia;
ammonisci te stesso;
e, checché sia degli altri,
non trascurare te stesso.
Fraternamente CaterinaLD

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Vigilate!

Per la serie non solo gregoriano, vi propongo un pezzo intonato al tempo di Avvento, per la vostra meditazione. Un mottetto in cinque parti sulle parole di Gesù che invita i discepoli a vegliare attendendo il ritorno del Signore:
Questa composizione è di William Byrd, uno dei più eccelsi musicisti del Rinascimento inglese. Il mottetto è contenuto in Cantiones Sacrae I (1589). Si presenta in maniera alquanto inusuale per il suo "dipingere il testo" sullo stile del madrigale. Per es. al "galli cantu" (il canto del gallo, l'alba), le voci imitano il verso del volatile, il basso salta di una sesta e parecchie voci hanno note corte e veloci melismi. Al "repente" (all'improvviso), ci troviamo in ritmi abbreviati. La frase "inveniat vos dormientes" è invece un lungo e lento doppio canone, che dovrebbe far rammentare i discepoli sonnolenti. Anche la musica, per l'autore cinquecentesco, deve essere "figurativa", aiutando l'immaginazione del cristiano a costruire nella sua mente la scena evangelica che sta meditando. E' lo stesso principio del "presepio" applicato alla musica. Ulteriore argomento per respingere con forza ogni pretestuoso anti-figurativismo astratto (ereticale), non tanto nella musica, ma soprattuto nell'arte pittorica o scultorea per la chiesa e per la liturgia. Vigilate!

Vigilate, nescitis enim quando dominus domus veniat, sero, an media nocte, an galli cantu, an mane.
Vigilate ergo, ne cum venerit repente, inveniat vos dormientes.
Quod autem dico vobis, omnibus dico: vigilate.
Mc 13,35-37

Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!



www.youtube.com/watch?v=uo9OnbLLnfE&feature=player_embedded#!



Testo preso da: www.cantualeantonianum.com/#ixzz17EO1XqTD




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In questo tempo di Avvento, in cui i cristiani sono chiamati ad alimentare l’attesa del Signore e ad accoglierlo, il Papa ha esortato a pregare per quanti soffrono a causa di attentati, violenze e drammatiche forme di sfruttamento. Di seguito l'appello lanciato dal Papa:


"In questo tempo di Avvento, in cui siamo chiamati ad alimentare la nostra attesa del Signore e ad accoglierlo in mezzo a noi, vi invito a pregare per tutte le situazioni di violenza, di intolleranza, di sofferenza che ci sono nel mondo, affinché la venuta di Gesù porti consolazione, riconciliazione e pace. Penso alle tante situazioni difficili, come i continui attentati che si verificano in Iraq contro cristiani e musulmani, agli scontri in Egitto in cui vi sono stati morti e feriti, alle vittime di trafficanti e di criminali, come il dramma degli ostaggi eritrei e di altre nazionalità, nel deserto del Sinai. Il rispetto dei diritti di tutti è il presupposto per la civile convivenza. La nostra preghiera al Signore e la nostra solidarietà possano portare speranza a coloro che si trovano nella sofferenza".

All'Angelus di oggi 5 dicembre, Seconda Domenica d'Avvento, il Papa ha ricordato il passo del Vangelo odierno che ci presenta la figura di San Giovanni Battista. Di seguito il testo dell'Angelus:


Cari fratelli e sorelle!

Il Vangelo di questa seconda domenica di Avvento (Mt 3,1-12) ci presenta la figura di san Giovanni il Battista, il quale, secondo una celebre profezia di Isaia (cfr 40,3), si ritirò nel deserto della Giudea e, con la sua predicazione, chiamò il popolo a convertirsi per essere pronto alla imminente venuta del Messia. San Gregorio Magno commenta che il Battista “predica la retta fede e le opere buone … affinché la forza della grazia penetri, la luce della verità risplenda, le strade verso Dio si raddrizzino e nascano nell’animo onesti pensieri dopo l’ascolto della Parola che guida al bene” (Hom. in Evangelia, XX, 3, CCL 141, 155). Il Precursore di Gesù, posto tra l’Antica e la Nuova Alleanza, è come una stella che precede il sorgere del Sole, di Cristo, di Colui, cioè, sul quale – secondo un’altra profezia di Isaia – “si poserà lo Spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore” (Is 11,2).

Nel Tempo dell’Avvento, anche noi siamo chiamati ad ascoltare la voce di Dio, che risuona nel deserto del mondo attraverso le Sacre Scritture, specialmente quando sono predicate con la forza dello Spirito Santo. La fede, infatti, si fortifica quanto più si lascia illuminare dalla Parola divina, da “tutto ciò che – come ci ricorda l’apostolo Paolo – è stato scritto prima di noi… per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza” (Rm 15,4). Il modello dell’ascolto è la Vergine Maria: “contemplando nella Madre di Dio un’esistenza totalmente modellata dalla Parola, ci scopriamo anche noi chiamati ad entrare nel mistero della fede, mediante la quale Cristo viene a dimorare nella nostra vita. Ogni cristiano che crede, ci ricorda sant’Ambrogio, in un certo senso concepisce e genera il Verbo di Dio” (Esort. ap. postsin. Verbum Domini, 28).

Cari amici, “la nostra salvezza poggia su una venuta”, come ha scritto Romano Guardini (La santa notte. Dall’Avvento all’Epifania, Brescia 1994, p. 13). “Il Salvatore è venuto dalla libertà di Dio… Così la decisione della fede consiste… nell’accogliere Colui che si avvicina” (ivi, p. 14). “Il Redentore – aggiunge il teologo italo-tedesco – viene presso ciascun uomo: nelle sue gioie e angosce, nelle sue conoscenze chiare, nelle sue perplessità e tentazioni, in tutto ciò che costituisce la sua natura e la sua vita” (ivi, p. 15).

Alla Vergine Maria, nel cui grembo ha dimorato il Figlio dell’Altissimo, e che mercoledì prossimo, 8 dicembre, celebreremo nella solennità dell’Immacolata Concezione, chiediamo di sostenerci in questo cammino spirituale, per accogliere con fede e con amore la venuta del Salvatore.

                                             Pope Benedict XVI gestures during his Sunday Angelus prayer in St. Peter's Square at the Vatican November 28, 2010.



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05/12/2010 18:05
 
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Preparatio ad Missam: II Domenica d'Avvento


L'Ufficio di questa Domenica è tutto pieno dei sentimenti di speranza e di gaudio che dà all'anima fedele il lieto annunzio del prossimo arrivo di colui che è il Salvatore e lo Sposo. La Venuta interiore, quella che si opera nelle anime, è l'oggetto quasi esclusivo delle preghiere della Chiesa in questo giorno: apriamo dunque i nostri cuori, prepariamo le nostre lampade, aspettiamo nella letizia quel grido che si farà sentire nel mezzo della notte: Gloria a Dio! Pace agli uomini!

La Chiesa Romana fa in questo giorno Stazione alla Basilica di S. Croce in Gerusalemme. In questa venerabile Chiesa, Costantino depose una parte considerevole della vera Croce, e il titolo che vi fu affisso per ordine di Pilato, e che proclamava la regalità del Salvatore degli uomini. Vi si conservano ancora quelle preziose reliquie; e, arricchita di sì glorioso deposito, la Basilica di S. Croce in Gerusalemme è considerata dalla Liturgia Romana, come Gerusalemme stessa, come si può vedere dalle allusioni che presentano le diverse Messe delle Stazioni che vi si celebrano. Nel linguaggio delle sacre Scritture e della Chiesa, Gerusalemme è il tipo dell'anima fedele; questo è anche il pensiero fondamentale che ha presieduto alla composizione dell'Ufficio e della Messa di questa Domenica. Ci dispiace di non poter svolgere qui tutto il magnifico argomento, e ci affrettiamo ad aprire il Profeta Isaia,e a leggervi, con la Chiesa, il passo da cui essa attinge oggi il motivo delle proprie speranze nel regno dolce e pacifico del Messia.

Lettura del Profeta Isaia

Il Messia sorge, animato dallo Spirito di Dio. Sua giustizia.

Spunterà un rampollo dal trono di Jesse,

e un pollone germoglierà dalle radici di lui.

Si poserà sopra di esso lo spirito del Signore,

spirito di saviezza e di discernimento,

spirito di consiglio e di fortezza,

spirito di conoscenza e timor di Dio

e nel timor del Signore è la sua ispirazione.

Non secondo l'apparenza farà giustizia,

né darà sentenza secondo che sente dire,

ma con equità farà giustizia ai miseri

e sentenzierà con rettitudine per gli umili del paese;

darà addosso al violento con la verga della sua bocca

e col soffio delle sue labbra darà morte al malvagio.

Avrà giustizia per cintura ai lombi

e lealtà per fascia ai fianchi.

Staranno insieme il lupo e l'agnello

e il pardo accanto al capretto si metterà a giacere;

il giovenco e il leoncello pascoleranno insieme

e un piccol fanciullo li menerà;

la vacca e l'orso si faranno compagnia

e insieme si accovacceranno i loro nati,

il leone e il bue del pari mangeranno paglia;

il lattante si trastullerà alla buca dell'aspide

e nel covo della vipera uno spoppato porrà la mano.

Non faranno male né guasto alcuno

in tutto il mio santo monte

perché la conoscenza del Signore empierà la terra,

come le acque ricopriranno il mare.

In quel tempo al rampollo di Jesse, eretto a segnale per i

popoli

si volgeranno ansiose le genti

e la sua sede sarà cinta di gloria.

(Is 11,1-10)

Quante cose in queste magnifiche parole del Profeta! Il Ramo; il Fiore che ne spunta; lo Spirito che si posa su quel fiore; i sette doni dello Spirito; la pace e la sicurezza ristabilite sulla terra; una fraternità universale nell'impero del Messia. San Girolamo, dal quale la Chiesa attinge oggi le parole nelle Lezioni del secondo Notturno, ci dice "che questo Ramo senza alcun nodo che spunta dal tronco di Jesse è la Vergine Maria, e che il Fiore è lo stesso Salvatore, il quale ha detto nel Cantico: Io sono il fiore dei campi e il giglio delle valli". Tutti i secoli cristiani hanno celebrato con trasporto il Ramo meraviglioso e il suo Fiore divino. Nel Medioevo, l'Albero di Jesse copriva con i suoi profetici rami il portale delle Cattedrali, scintillava sulle vetrate, si spandeva in ricami sugli ornamenti del santuario e la voce melodiosa dei sacerdoti cantava il dolce Responsorio composto da Fulberto di Chartres e messo in canto gregoriano dal pio re Roberto:

R). Il tronco di Jesse ha prodotto un ramo, e il ramo un fiore; *

E su questo fiore si è posato lo Spirito divino.

V). La Vergine Madre di Dio è il ramo, e il suo figlio il fiore; *

E su questo fiore si è posato lo Spirito divino.

E il devoto san Bernardo, commentando tale Responsorio nella sua seconda Omelia sull'Avvento, diceva: "Il Figlio della Vergine è il fiore, fiore bianco e purpureo, scelto tra mille; fiore la cui vista allieta gli Angeli, e il cui odore ridona la vita ai morti; Fiore dei campi come lo chiama ella stessa, e non fiore dei giardini; perché il fiore dei campi sboccia da se stesso senza l'aiuto dell'uomo, senza i procedimenti dell'agricoltura. Così il seno della Vergine, come un campo eternamente verde, ha prodotto quel fiore divino la cui bellezza non si corrompe mai, e il cui splendore mai si oscurerà. O Vergine, ramo sublime, a quale altezza non sei tu salita? Tu arrivi fino a colui che è assiso sul Trono, fino al Signore della maestà. E io non ne stupisco; perché tu getti profondamente in terra le radici dell'umiltà. O pianta celeste, la più preziosa e la più santa di tutte! O vero albero di vita, che sei l'unica degna di portare il frutto della salvezza!".

Parleremo noi dello Spirito Santo e dei suoi doni, che si effondono sul Messia solo per scendere quindi su di noi, che siamo gli unici ad aver bisogno di Sapienza e di intelletto, di Consiglio e di Forza, di Scienza, di Pietà e di Timor di Dio? Imploriamo con insistenza questo divino Spirito per opera del quale Gesù è stato formato nel seno di Maria, e chiediamogli di formarlo anche nel nostro cuore. Ma consoliamoci ancora sulle meravigliose descrizioni che ci fa il Profeta, della felicità, della concordia, della dolcezza che regnano sulla Montagna santa. Da tanti secoli il mondo aspettava la pace: essa viene finalmente. Il peccato aveva tutto diviso; la grazia riunirà tutto. Un tenero fanciullo sarà il legame dell'alleanza universale. L'hanno annunciato i Profeti, l'ha dichiarato la Sibilla, e nella stessa Roma ancora immersa nelle ombre del paganesimo, il principe dei poeti latini, facendosi eco delle tradizioni antiche, ha intonato il famoso canto nel quale dice: "L'ultima età, l'età predetta dalla Sibilla di Cuma sta per aprirsi; una nuova stirpe di uomini discende dal cielo. I greggi non avranno più da temere il furore dei leoni. Il serpente perirà; e l'erba ingannatrice che dà il veleno sarà annientata".

Vieni dunque, o Messia, a ristabilire la primitiva armonia; ma degnati di ricordarti che tale armonia è stata spezzata soprattutto nel cuore dell'uomo; vieni a guarire questo cuore, a possedere questa Gerusalemme, indegno oggetto della tua predilezione. Troppo a lungo è stata nella cattività di Babilonia; riconducila via dalla terra straniera. Ricostruisci il suo tempio; e la gloria di questo secondo tempio sia maggiore di quella del primo, per l'onore che gli farai di abitarlo tu stesso, non più in figura, ma personalmente. L'angelo l'ha detto a Maria: Il Signore Dio tuo darà al tuo figliuolo il trono di Davide suo padre: ed egli regnerà per sempre nella casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà mai fine.

Che altro possiamo fare, o Gesù, se non dire come il tuo discepolo prediletto, Giovanni, al termine della sua Profezia: Amen! Così sia! Vieni, Signore Gesù?

Messa

Epistola: Fratres: Quæcúmque scripta sunt,ad nostram doctrínam scripta sunt:ut per patiéntiam, et consolatiónem scripturárum, spem habeámus. Deus áutem patiéntiæ, et solátii, det vobis idípsum sápere inalterútrum secúndum Iesum Christum: ut unánimes, uno hore honorificétis Deum et Patrem Dómini nostri Iesu Christi.
Propter quod suscípite ínvicem, sicut et Christus suscépit vos in honórem Dei. Dico enim Christum Iesum minístrum fuísse circumcisiónis propter veritátem Dei, ad confirmándas promissióne spatrum: gentes áutem super misericórdia honoráre Deum, sicutscriptum est: Proptérea confitébortibi in géntibus, Dómine, et nóminituo cantábo.
Et íterum dicit: Lætámini gentes, cum plebe eius.
Et íterum: Laudáte, omnes gentes, Dóminum: et magnificáte eum, omnes pópuli.
Et rursus Isaías ait: Erit radix Iesse, et qui exsúrge trégere gentes, in eum gentes sperábunt. Deus áutem spei répleat vos omni gáudio, et pace incredéndo: ut abundétis in spe, et virtúte Spíritus Sancti.

Fratelli: Tutto ciò che è stato scritto, per nostro ammaestramento è stato scritto, affinché mediante la pazienza e la consolazione donata dalle scritture conserviamo la speranza. Il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda d'aver il medesimo sentimento secondo Gesù Cristo: affinché d'un sol cuore, con una sola voce glorifichiate Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Accoglietevi dunque gli uni gli altri come Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Gesù Cristo è stato ministro dei circoncisi per dimostrare la veracità di Dio e adempire le promesse fatte ai padri.

I Gentili invece glorificano Dio a causa della sua misericordia, come sta scritto: Per questo ti loderò tra i Gentili, o Signore, e canterò al tuo nome. Dice ancora: Rallegratevi, o Gentili, col suo popolo. E ancora: Gentili, lodate tutti il Signore; o popoli tutti, celebratelo. E anche Isaia dice: Apparirà la radice di Iesse, Colui che sorgerà a governare i Gentili; in lui i Gentili spereranno. Il Dio della speranza vi ricolmi adunque di tutta la gioia e di tutta la pace che è nella fede, affinché abbondiate nella speranza e nella virtù dello Spirito Santo. (Rm 15,4-13)


Abbiate dunque pazienza, o Cristiani; crescete nella speranza, e gusterete il Dio di pace che sta per venire in voi. Ma siate cordialmente uniti gli uni agli altri, poiché questo è il segno distintivo dei figli di Dio. Il Profeta ci annuncia che il Messia farà abitare insieme il lupo e l'agnello, ed ecco che l'Apostolo ce lo mostra nell'atto di riunire in una stessa famiglia l'Ebreo e il Gentile. Gloria a questo supremo Re, potente rampollo del tronco di Jesse, che ci ordina di sperare in lui!

Vangelo: In illo témpore: Cum audísset Ioánnesin vínculis ópera Christi, mittens duosde discípulis suis, ait illi: Tu es, quiventúrus es, an álium exspectámus? Et respóndens Iesus, ait illis: Eúntes renuntiáte Ioánni, quæ audístis, etvidístis. Cæci vident, claudi ámbulant, leprósi mundántur, surdiáudiunt, mórtui resúrgunt, páuper esevangelizántur: et beátus est, qui non fúerit scandalizátus in me. Illis áutem abeúntibus, coepit Iesus dícere adturbas de Ioánne: Quid exístis indesértum vidére? arúndinem vento agitátam? Sed quid exístis vidére? hóminem móllibus vestítum? Ecce qui móllibus vestiúntur, in dómibus regum sunt. Sed quid exístis vidére? prophétam? Étiam dico vobis: et plusquam prophétam. Hic est enim dequo scriptum est: ecce ego mitto ángelum meum ante fáciem tuam, qui præparábit viam tuam ante te.

In quel tempo: Giovanni, avendo udite nella prigione le opere di Cristo, mandò due dei suoi discepoli a dirgli: Sei tu quello che ha da venire, o dobbiamo aspettare un altro? E Gesù rispose loro: Andate a riferire a Giovanni quel che udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella; ed è beato chi non si sarà scandalizzato di me. Partiti quelli, Gesù incominciò a parlare alle turbe di Giovanni e a dire: Che siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento? Ma che siete andati a vedere? Un uomo vestito mollemente? Ecco, quelli che portano quelle morbide vesti stanno nei palazzi dei re. Ma che siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, e più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco io mando innanzi a te il mio angelo per preparare la tua via dinanzi a te. (Mt 11,2-10)

Sei proprio tu, o Signore, che devi venire, e non dobbiamo aspettare un altro. Noi eravamo ciechi, e tu ci hai illuminati; camminavamo barcollando, e ci hai ristabiliti; la lebbra del peccato ci copriva, e ci hai guariti; eravamo sordi alla tua voce, e ci hai ridato l'udito; eravamo morti per le nostre iniquità, e ci hai tratti fuori dal sepolcro; eravamo infine poveri e abbandonati, e sei venuto a consolarci. Questi sono stati e questi saranno sempre i frutti della tua visita nelle nostre anime, o Gesù; della tua visita silenziosa, ma potente, di cui la carne e il sangue non conoscono il segreto, ma che si compie in un cuore commosso. Vieni così in me. o Salvatore! Il tuo abbassamento, la tua familiarità non mi scandalizzeranno, perché quello che operi nelle anime dimostra chiaramente che sei un Dio. Appunto perché le hai create, tu puoi anche guarirle.

Orazione: Éxcita, Dómine, corda nostra adpræ parándas Unigéniti tui vias: ut, per eius advéntum, purificátis tibiméntibus servíre mereámur.

Scuoti, o Signore, i nostri cuori a preparare le vie del tuo Unigenito; affinché per la sua venuta meritiamo di servirti con animo purificato.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Isaia e Virgilio


Seconda domenica dell'Avvento: son passati sette giorni e son passati mille anni. Sette giorni ai nostri occhi e mille anni alla nostra mente, che cammina coi patriarchi, col desiderio, con la fame dei patriarchi, verso la «Casa del Pane».

Populus Sion, ecce Dominus veniet ad salvandas gentes...: «Popolo di Sion, ecco, il Signore viene a salvar le nazioni, e farà sentire, il Signore, la gloria della sua voce nella letizia del vostro cuore». Con questo annunzio e questa dolce promessa s'apre la messa di stamani. Sion, le nazioni, la gloria della sua voce, la letizia del nostro cuore... E l'itinerario del suo avvento - da Síon alle nazioni, dal «popolo scelto» a tutti i popoli della terra - ed è, predescritto, il fine e l'effetto del suo avvento: la promulgazione del suo amore, la consolazione dei cuori.

Sion e le nazioni si alternano in questa messa, quasi rivali d'amore, fino a che si confondono in un solo cuore, in un solo desiderio, in una sola aspettazione. Qui regis Israel, intende... : «Intendi, tu che badi Israele, tu che meni Giuseppe come una pecora» È il versetto introitale: è Sion che supplica, richiamandosi ai diritti della preelezione. Ma nell'epistola, ch'è di Paolo ai Romani, le nazioni, i gentili, gridan forte le lor ragioni appellandosi ai diritti delle profezie: «... Sta scritto: "Fra le nazioni ti darò lode, o Signore, e leverò inni al tuo nome".

E dice ancora: "Lodate il Signore, nazioni tutte, magnificatelo, popoli dell'universo". E Isaia: " Verrà, dalla radice di lesse, verrà su un virgulto che dominerà le nazioni, e le nazioni in lui spereranno"». Ribatte, pronto, il graduale «Da Sion il fulgor della sua bellezza... Radunate intorno a lui i suoi santi, quelli che fecero con lui alleanza per mezzo dei sacrifizi». Ecco il communio, e non più Sion, non più le nazioni, ma un solo popolo, una sola «Gerusalemme», una sola Chiesa: Ierusalem, surge et sta in excelso... : «Alzati, Gerusalemme, e va' in alto, e guarda la giocondità che sta per giungerti dal Signore».

Di questa giocondità del Signore, di questa futura letizia del nostro cuore nella gloria della sua voce, il vangelo ci offre quasi una pregustazione, trasferendoci, da questo tempo di attesa, nella pienezza dei tempi... C'è, nel vangelo di questo giorno, un uomo prigioniero, un uomo privo di luce e di libertà, che si chiama Giovanni e potrebbe dirsi senz'altro l'uomo, l'uomo cacciato dal paradiso e anelante d'esservi riammesso, l'uomo anteriore a Gesù. Egli sa che cosa voglia direGesù, e sa che Gesù deve venire, ma non sa se sia ancora venuto. Corre voce che un uomo vada compiendo opere grandi, opere insolite all'uomo, ed egli manda a interrogarlo: «Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?»

L'interrogato, che è veramente Gesù, non risponde semplicemente ch'è lui ma dice che cosa è lui, e lo dice in questa maniera: «Riferite a Giovanni quanto avete udito e veduto: che i ciechi veggono, che gli zoppi camminano, che i lebbrosi guariscono, che i sordi sentono, che i morti risuscitano, che i poveri ricevono la buona notizia, ed è beato chi non si scandalizzerà di me». Luce per i ciechi, libertà per gl'impediti, vita per i morti, gioia per gl'infelici, amore per tutte le creature: chi non riconoscerà da questi tratti Gesù? Certo lo riconoscerà Sion, ricordando come lo descrisse il suo prof(ma Isaia (e lo abbiamo udito nel mattutino di stamani): «Non secondo l'apparenza egli giudicherà, nè condannerà per sentito dire, ma secondo giustizia giudicherà i poveri e vendicherà equamente i mansueti della terra. Percuoterà la terra con la verga della stia bocca (la gloria della sua voce) e con lo spirito delle sue labbra dissiperà il male... Il lupo abiterà con l'agnello, il leopardo dormirà col capretto; il vitello, il leone e la pecora staranno insieme, e li menerà un bambinuccio. Pastureranno in compagnia la vacca e l'orso, mentre giaceranno accosto i loro figlioli, e il leone mangerà la paglia al pari del bove. Il bambino che poppa si baloccherà sul foro dell'aspide e lo slattato metterà la mano nella caverna del basilisco...»

Sion riconoscerà da questi segni il suo Aspettato; e anche le nazioni, anche i gentili, riconosceranno, dall'amore, colui che deve venire.
Ultima Cumaci venit iam carminis aetas;
Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo.
............................................................


Iam nova progenies coelo demittitur alto.
............................................................


Ipsae laete domum referent distenta capellae
Ubera, nec magnos metuent armenta leones.


............................................................


Occidet et serpens e t fallax herba veneni
Occidet ...
Così canta Virgilio, il profeta gentile, quasi ripetendo il profeta israelita. Al suo ardore di vivere tanto da vedere quel giorno, da vedere affamigliati gli opposti popoli, le pecore e i leoni amici fra loro,


O mihi tam longe maneat pars ultima vitae,
Spiritus et, quantum sat erit tua dicere facta,


farà eco tra poco la preghiera di un vecchio Israelita chiedente a Dio di morire, troppo lieto di aver visto co' suoi propri occhi la «nuova progenie scesa dal cielo», «salvezza per tutti i popoli», «luce delle nazioni e gloria della popolazion d'Israele».


Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2, pp. 41-45.

Fraternamente CaterinaLD

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Verbum supérnum, pródiens



Verbum supérnum, pródiens
E Patris ætérni sinu,
Qui natus orbi súbvenis,
Labénte cursu témporis:
O Verbo divino, procedente
dal seno del Padre eterno,
Tu che, nascendo, vieni in aiuto al mondo
allo scadere del corso del tempo (=al tempo stabilito).
Illúmina nunc péctora,
Tuóque amóre cóncrema;
Ut cor cadúca déserens
Cæli volúptas ímpleat.
Ora illumina i cuori
e del tuo amore accendil[li];
di modo che il diletto del cielo [cæli volúptas],
lasciando perdere le cose caduche [cadúca déserens]
riempia il cuore [cor ... impleat].
Ut, cum tribúnal Júdicis
Damnábit igni nóxios,
Et vox amíca débitum
Vocábit ad cælum pios;
Cosicché, quando tribunale del Giudice
condannerà al fuoco i colpevoli,
e una voce favorevole
chiamerà i pii al cielo meritato [debitum];
Non esca flammárum nigros
Volvámur inter túrbines,
Vultu Dei sed cómpotes
Cæli fruámur gáudiis.
[Allora] non siamo - alimento delle fiamme - sballottati (volvamur) tra neri turbini,
ma, compartecipi del volto di Dio
usufruiamo dei gaudi del cielo
Patri, simulque Fílio,
Tibíque, Sancte Spíritus,
Sicut fuit, sit júgiter
Sæclum per omne glória. Amen
Al Padre, e al pari al Figlio
e a Te, o Santo Spirito,
come fu [per il passato], sia sempre
per tutti i secoli gloria. Amen


È interessante confrontare la IV strofa con la visione dell'inferno avuta dai veggenti di Fátima:


«Dicendo queste ultime parole - racconta suor Lucia - aprì di nuovo le mani come nei due mesi passati. Il riflesso [di luce che esse emettevano] parve penetrare la terra e vedemmo come un grande mare di fuoco e immersi in questo fuoco i demoni e le anime come se fossero braci trasparenti e nere o abbronzate di forma umana, che ondeggiavano nell'incendio sollevate dalle fiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo cadendo da tutte le parti -simili al cadere delle scintille nei grandi incendi - senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e di disperazione che terrorizzavano e facevano tremare di paura. I demoni si distinguevano per la forma orribile e ributtante di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti come neri carboni di bracia»

La maggioranza dei critici attribuisce questo inno ad autore incerto, contemporaneo però a San Gregorio Magno (Antonio Mirra, 1947)

Gli inni dell'Avvento

II - A Mattutino

Verbum supérnum, pródiens

Fraternamente CaterinaLD

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Preparatio ad Missam: Quarta Domenica d'Avvento




El Greco: San Giovanni Battista

[1577-79 Santo Domingo el Antiguo, Toledo]

Eccoci entrati nella Settimana che precede immediatamente la Nascita del Messia: fra sette giorni al più tardi, egli verrà; e secondo la lunghezza del tempo dell'Avvento, la quale varia ogni anno, può accadere che la venuta tanto desiderata abbia luogo fra sei giorni, fra tre giorni o anche domani. La Chiesa conta le ore di attesa; veglia giorno e notte, e i suoi Uffici hanno preso una solennità insolita dal 17 dicembre. Alle Laudi, essa varia ogni giorno le Antifone; ai Vespri, esprime con tenerezza e maestà i suoi desideri di Sposa con brucianti esclamazioni verso il Messia, nelle quali gli da per ciascun giorno un titolo magnifico attinto dal linguaggio dei Profeti.

Oggi [1] essa da gli ultimi tocchi per commuovere i suoi figli. Li trasporta nella solitudine e mostra loro Giovanni Battista, sulla cui missione li ha già istruiti nella terza Domenica. La voce di quell'austero Precursore risuona nel deserto e si fa sentire fin nelle città, predicando la penitenza, la necessità di purificarsi nell'attesa di colui che sta per apparire. Ritiriamoci in disparte durante questi giorni; o se non possiamo farlo a causa delle nostre occupazioni esteriori, ritiriamoci nel segreto del nostro cuore e confessiamo la nostra iniquità, come quei veri Israeliti che venivano, pieni di compunzione e di fede nel Messia, a completare ai piedi di Giovanni Battista l'opera di preparazione per riceverlo degnamente quando fosse apparso.



Ora, ecco la santa Chiesa che, prima di aprire il libro del Profeta, ci dice all'ordinario, ma con solennità sempre maggiore:

Lettura del Profeta Isaia

Liberazione e trionfo d'Israele.

Gioiranno il deserto e il sabbione,

esulterà la steppa e sarà florida;

qual narciso in fiore fiorirà

ed esulterà con tripudio e con giubilo.

Le è conferita la gloria del Libano,

la magnificenza del Carmelo e del Saron.

Questi vedranno la gloria del Signore,

la magnificenza del nostro Dio.

Rafforzate le mani infiacchite

e le ginocchia cascanti rinfrancate.

Dite agli smarriti di cuore: "Fatevi animo,

non temete; ecco il vostro Dio,

apporta la vendetta, la divina ricompensa;

Egli stesso ve l'apporta, e così vi salva”.

Allora si apriranno gli occhi ai ciechi,

e si schiuderanno le orecchie al sordi.

Via sacra aperta agli scampati dall'esilio.

Allora lo zoppo salterà come un cervo,

e si scioglierà al canto la lingua del muto,

perché sgorga l'acqua nel deserto,

e i rivi corrono per la steppa;

si cambierà il sabbione in acquitrino,

e il suolo arido in vene d'acqua;

dov'era un covile di draghi

sarà un recinto per greggi e cammelli.

Ci sarà ivi un sentiero battuto,

che verrà chiamato "la via sacra";

non ci passerà persona immonda;

esso è scorta al cammino,

e sin gl'insensati non si smarriranno.

Non sarà quivi alcun leone

e nessun brigante vi monterà;

non vi s'incontrerà bestia feroce,

la percorreranno i riscattati.

Torneranno i redenti dal Signore

e giungeranno a Sion con giubilo,

di perpetua letizia coronati;

allegrezza e letizia li inonderanno,

e fuggiranno mestizia e gemito [2].

(Is 35,1-10)

Sarà dunque veramente grande, o Gesù, la gioia della tua venuta, se deve risplendere per sempre sulla nostra fronte come una corona! Ma come potrebbe non essere così? Il deserto stesso, al tuo avvicinarsi, fiorisce come un giglio, e acque vive sgorgano dal seno della terra più riarsa. O Salvatore, vieni presto a darci quest'Acqua di cui il tuo Cuore è la fonte, e che la Samaritana, la quale è l'immagine di noi peccatori, ti chiedeva con tanta insistenza. Quest'Acqua è la tua grazia; irrori dunque essa la nostra aridità, e fioriremo anche noi; spenga la nostra sete, e correremo anche noi i sentieri dei tuoi precetti e dei tuoi esempi, o Gesù, con fedeltà, sui tuoi passi. Tu sei la nostra Via e il nostro sentiero verso Dio; e Dio sei tu stesso: tu sei dunque anche il termine del nostro cammino. Noi avevamo perduta la via, ci eravamo sbandati come pecore erranti. Quanto e grande il tuo amore per venire così vicino a noi! Per insegnarci la via del ciclo, tu non sdegni di discendere, e vuoi lare con noi la strada che vi conduce. No, ormai le nostre braccia non sono più stanche; le nostre ginocchia non tremano più; sappiamo che tu vieni nell'amore. Una sola cosa ci rattrista: vedere cioè che la nostra preparazione non è perfetta. Abbiamo ancora molti legami da spezzare; aiutaci, o Salvatore degli uomini! Vogliamo ascoltare la voce del tuo Precursore, e raddrizzare tutto ciò che potrebbe ostacolare i tuoi passi sul cammino del nostro cuore, o divino Bambino! Che siamo battezzati con il Battésimo d'acqua della penitenza; tu verrai quindi a battezzarci nello Spirito e nell'amore.

Messa

Epistola: Fratres: Sic nos exístimet homo ut minístros Christi, et dispensatóres mysteriórum Dei. Hic jam quæritur inter dispensatóres, ut fidélis quis inveniátur. Mihi autem pro mínimo est, ut a vobis júdicer, aut ab humáno die: sed neque meípsum júdico. Nihil enim mihi cónscius sum: sed non in hoc justificátus sum: qui autem júdicat me, Dóminus est. Itaque nolíte ante tempus judicáre, quoadúsque véniat Dóminus: qui et illuminábit abscóndita tenebrárum, et manifestábit consília córdium: et tunc laus erit unicuíque a Deo.

Fratelli: Così ci consideri ognuno come servitori di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio. Or quel che si richiede nei dispensatori è che ciascuno sia trovato fedele. A me poi pochissimo importa di essere .giudicato da voi o da un tribunale umano, anzi neppure da me stesso mi giudico; perché sebbene io non mi senta colpevole di cosa alcuna, non per questo sono giustificato, essendo il mio giudice il Signore. Quindi non giudicate avanti il tempo, finché non venga il Signore, il quale metterà in luce ciò che è nascosto nelle tenebre, e manifesterà i consigli dei cuori; allora ciascuno avrà da Dio la lode (che gli spetta). (1Cor 4,1-5)

La Chiesa pone nuovamente sotto gli occhi dei popoli, in questa Epistola, la dignità del Sacerdozio cristiano, in occasione dell'Ordinazione che si è celebrata la vigilia, e ricorda nello stesso tempo ai sacri Ministri l'obbligo che hanno contratto di mostrarsi fedeli nell'ufficio che e stato loro imposto. Del resto, non spetta alle pecore giudicare il pastore: tutti, sacerdoti e popolo, debbono vivere nell'attesa del giorno della venuta del Salvatore, di quell'ultima venuta il cui spavento sarà tanto grande quanto è attraente la dolcezza della prima e della seconda alla quale prepariamo le nostre anime.

Vangelo: Anno quintodécimo impérii Tibérii Cæsaris, procuránte Póntio Piláto Judæam, tetrárcha autem Galilææ Heróde, Philíppo autem fratre ejus tetrárcha Iturææ et Trachonítidis regiónis, et Lysánia Abilínæ tetrárcha, sub princípibus sacerdótum Anna et Cáipha: factum est verbum Dómini super Joánnem, Zacharíæ fílium, in desérto. Et venit in omnem regiónem Jordánis, prædicans baptísmum poeniténtiæ in remissiónem peccatórum, sicut scriptum est in libro sermónum Isaíæ prophétæ: Vox clamántis in desérto: Paráte viam Dómini: rectas fácite sémitas ejus: omnis vallis implébitur: et omnis mons, et collis humiliábitur: et erunt prava in dirécta, et áspera in vias planas: et vidébit omnis caro salutáre Dei.

L'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, essendo, governatore .della Giudea Ponzio Pilato, tetrarca di Galilea Erode, tetrarca dell'Iturea e della Traconitide Filippo suo fratello, e tetrarca di Abilene Lisania, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio fu diretta a Gióvainni figlio di Zaccaria nel deserto. Ed egli andò per tutta la regione del Giordano, predicando il battesimo di penitenza in remissione dei peccati: come sta scritto nel libro dei sermoni del profeta Isaia: Voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni valle sarà colmata, ogni monte e colle sarà abbassato, e le vie tortuose saran fatte diritte, e le scabre appianate, ed ogni uomo vedrà la salvezza di Dio. (Lc 3,1-6)

Tu sei vicino, o Signore, perché l'eredità del tuo popolo è passata nelle mani dei Gentili, e la terra che avevi promessa ad Abramo non e più oggi che una provincia di quel vasto impero che deve precedere il tuo. Gli oracoli dei profeti si avverano di giorno in giorno; la predizione dello stesso Giacobbe è compiuta: Lo scettro è stato tolto a Giuda. Tutto si prepara per il tuo arrivo, o Gesù! È così che tu rinnoverai la faccia della terra: degnati di rinnovare anche il mio cuore, e sostenere il suo coraggio in queste ultime ore che precedono la tua venuta. Esso sente il bisogno di ritirarsi nel deserto, d'implorare il battesimo della penitenza, di raddrizzare le sue vie: fa' tutto questo in esso, o divin Salvatore, affinché il giorno in cui discenderai il suo gaudio sia pieno e perfetto.

Orazione: Éxcita, quæsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: et magna nobis virtúte succúrre: ut per auxílium grátiæ tuæ, quod nostra peccáta præpédiunt, indulgéntia tuæ propitiatiónis accéleret.

Risveglia, Signore, la tua potenza e vieni a soccorrerci con la forza della tua grazia, affinché la tua bontà ci dia più presto quegli aiuti che i nostri peccati fanno ritardare.

[1] La quarta Domenica di Avvento è chiamata Rorate dalle prime parole dell'Introito; ma per lo più la si denomina Canite tuba, che sono le parole con cui inizia il primo Responsorio del Mattutino, e la prima Antifona delle Laudi e dei Vespri.

[2] "Le g randiose promesse di questo capitolo hanno ricevuto un parziale compimento all'epoca del ritorno dall'esilio (VI secolo a. C.) e del ristabilimento politico d'Israele. Ma il pensiero del profeta si eleva più in alto e giunge più lontano, la restaurazione nazionale non è che il punto di partenza e la figura della conversione del mondo al vero Dio e del regno del Messia sulla terra, particolarmente alla fine del tempi. Parecchi punti di questa descrizione sono stati realizzati alla lettera da Gesù Cristo (Mt 11,5), e avranno tutti una realizzazione più completa nella nuova creazione che sostituirà l'antica alla fine del tempi (Crampon)" Tobac, Les Prophètes, II, p. 121


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Gradi dell'Infanzia di Gesù Cristo

Gradi dell'Infanzia di Gesù Cristo

di S. Alfonso M. de' Liguori


    

Gesù Bambino pescatore dei cuori
immagine disegnata da S. Alfonso

I. Gesù bambino mio dolcissimo, che dal seno del Padre per amor mio scendesti; e nell'utero di Maria, fatto uomo, la forma di servo prendesti: abbi di noi pietà.
R) Abbi di noi pietà, caro Gesù bambino, abbi di noi pietà.
(E così si risponde in ogni grado).
II. Gesù bambino mio dolcissimo, che per mezzo di Maria, Elisabetta visitasti: e nel suo seno Giovanni santificasti: abbi di noi pietà.

III. Gesù bambino mio dolcissimo, che nel seno di Maria per nove mesi ti chiudesti, e il suo bel cuore di sant'amore accendesti: ed all'Eterno Padre per la salute del mondo di te oblazione facesti; abbi di noi pietà.

IV. Gesù bambino mio dolcissimo, da Maria Verginella in una stalla nato, con poveri pannicelli fasciato, nel presepe sul fieno collocato, dagli angioli annunciato; e dai pastori visitato: abbi di noi pietà.

V. Gesù bambino mio dolcissimo, nella circoncisione col dolce nome di Gesù chiamato, e col sangue e col nome per Salvatore significato: abbi di noi pietà.

VI. Gesù bambino mio dolcissimo, da una stella ai Magi manifestato; nelle braccia di Maria da quelli adorato, e con oro, incenso, e mirra regalato: abbi di noi pietà.

VII. Gesù bambino mio dolcissimo, nel tempio da Maria presentato, da Simeone abbracciato, da Anna profetessa rivelato: abbi di noi pietà.

VIII. Gesù bambino mio dolcissimo, da Erode a morte perseguitato; da Giuseppe in Egitto con Maria portato; e con la morte degl'Innocenti glorificato: abbi di noi pietà.

IX. Gesù bambino mio dolcissimo, per sette anni nell'Egitto esiliato, da Maria con immenso amore allevato: abbi di noi pietà.

X. Gesù bambino mio dolcissimo, dall'Egitto a Nazareth ritornato, e nel viaggio tanto strapazzato: abbi di poi pietà.

XI. Gesù bambino mio dolcissimo, che nella tua casa con Maria e Giuseppe ubbidiente conversasti; tra fatiche e povertà la vita in una bottega menasti; e gran segni di grazia e di sapienza al mondo desti: abbi di noi pietà.

XII. Gesù bambino mio dolcissimo, di dodici anni in Gerusalemme da Maria e Giuseppe guidato: con lagrime e sospiri ricercato: e dopo tre giorni tra dottori nel tempio ritrovato: abbi di noi pietà.


Amabilissimo mio Gesù, fatto per me bambino, volesti nascere in una stalla, per cacciarmi dalle tenebre del peccato; per tirarmi a te; ed accendermi del tuo santo amore; ti ringrazio e ti adoro con tutta la corte celeste; ti riconosco per mio Creatore e mio Dio, per mio Redentore e Salvatore: ti eleggo per mio Re e Signore, e per tributo ti offro tutti gli affetti di questo misero cuore. Caro mio bene, accetta per tua pietà l'offerta; ed acciocché sia degna d'un Dio, perdonami, illuminami, purificami, santificami, infiammami del tuo santo fuoco, che per accenderlo nei nostri cuori, sei venuto nel mondo; sicché l'anima mia sia un olocausto perpetuo ad onore tuo; che cerchi sempre la tua maggior gloria in terra; e venga un giorno a godere delle tue infinite bellezze in Cielo. E voi, santa Maria, Madre di Gesù e madre mia, insieme con Giuseppe vostro sposo, pregate il S. Bambinello per me, affinché mi esaudisca; e così sia.


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20/12/2010 11:35
 
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I personaggi

Quarta domenica. Domani? Doman l'altro? Fra tre giorni? ... Non passerà una settimana, ch'Egli sarà qui fra noi. E gli occhi della Chiesa scrutano sitibondi le vie da cui deve spuntare: Rorate, coeli, desuper, et nubes pluant Iustum; aperiatur terra et germinet Salvatorem: "Mandate, cieli, la rugiada, e le nubi piovano il Giusto; s'apra la terra, e germini il Salvatore".

Il cielo e la terra: il cielo, da cui Egli deve scendere Dio; la terra, su cui deve nascere uomo; il cielo e la terra, inimicati dal nostro peccato; il cielo e la terra, che la sua misericordia viene a riconciliare. L'imminenza della redenzione (che per lui vorrà dire passione e morte) si sente pure nei nomi che suonano, nudi, in questa messa, quasi una presentazione dei personaggi che avranno parte alla gran scena: Anno quintodecimo imperii Tiberii Caesaris, procurante Pontio Pilato Iudaeam, tetrarcha autem Galileae Herode, Philippo autem fratre eius tetrarcha Ituraeae et Trachonitidis regionis, et Lysania Abilinae tetrarcha, sub principibus sacerdotum Anna et Caipha, factum est verbum Domini super Iohannem Zacharìae filium... Tiberio, Ponzio Pilato, Erode, Anna, Caifa, Giovanni, Zaccaria - E, in Tiberio e Pilato, Roma: Roma che ordinerà il censimento e approverà la sentenza, Roma che ha tolto a Giuda lo scettro, segno che un altro sta per innalzare il suo scettro su tutta quanta la terra, secondo lo profezia di Giacobbe: "Lo scettro non sarà tolto da Giuda... fino a che venga Colui che dev'esser mandato e sarà l'aspettazion delle genti".

Ma un altro nome suona nella messa di questo giorno, indizio che l'aspettazione sta per finire: un nome troppo diverso dagli altri, troppo più alto di loro, troppo più potente di Tiberio, più santo di Giovanni, perché non suoni a parte da loro, perché lo pronunzi altra bocca che quella di un angelo.

Questo nome suona infatti nell'offertorio, e son le labbra di Gabriele che ne articolano le sillabe: Ave, Maria, gratia plena: Dominus tecum -

"Dio ti salvi, Maria, piena di grazia: il Signore è con te..." Il Signore è con te, il Signore è in te: è, rivestito di carne, nel tuo seno di vergine: è dunque sulla terra, poiché tu abiti - tu altissima, tu unica - la nostra terra, tu sei figliola di Adamo, tu sei nostra sorella. Il Signore è in te e quindi è fra noi: Iddio non può più pentirsi, non può più ritirare la sua promessa: il Signore è già in te e, per te, è già fra noi. Per te, gli occhi del Padre e quelli degli angeli stanno ormai rivolti alla terra.

I tuoi passi, il tuo respiro, il tuo sonno preoccupano ormai il cielo e la terra; il cielo e la terra e il limbo contan l'ore che ti mancano a venir madre - Tu sei già redenta, o Maria senza peccato, perché il Signore è già con te. Partorisci, apri anche a noi il tabernacolo ove tu lo serbi e lo adori, e anche noi saremo redenti.
Partorisci, o sposa della Terza Persona, e anche per noi s'avvererà finalmente la predizione d'Isaia, la promessa che chiude la messa di stamattina: "Ecco: una vergine concepirà e darà alla luce un figliolo: e il suo nome, Emmanuele".

Emmanuel, "che s'interpreta: Dio con noi".


Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2, pp. 113-115.



LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 19.12.2010

Alle ore 12 di oggi, IV domenica di Avvento, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


                                              Pope Benedict XVI waves to the crowd gathered below in Saint Peter's square during his Sunday Angelus blessing at the Vatican December 19, 2010.
PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

In questa quarta domenica di Avvento il Vangelo di san Matteo narra come avvenne la nascita di Gesù ponendosi dal punto di vista di san Giuseppe.
Egli era il promesso sposo di Maria, la quale, "prima che andassero a vivere insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo" (Mt 1,18).

Il Figlio di Dio, realizzando un’antica profezia (cfr Is 7,14), diventa uomo nel grembo di una vergine, e tale mistero manifesta insieme l’amore, la sapienza e la potenza di Dio in favore dell’umanità ferita dal peccato. San Giuseppe viene presentato come "uomo giusto" (Mt 1,19), fedele alla legge di Dio, disponibile a compiere la sua volontà.

Per questo entra nel mistero dell’Incarnazione dopo che un angelo del Signore, apparsogli in sogno, gli annuncia: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,20-21). Abbandonato il pensiero di ripudiare in segreto Maria, egli la prende con sé, perché ora i suoi occhi vedono in lei l’opera di Dio.

Sant’Ambrogio commenta che "in Giuseppe ci fu l’amabilità e la figura del giusto, per rendere più degna la sua qualità di testimone" (Exp. Ev. sec. Lucam II, 5: CCL 14,32-33). Egli – prosegue Ambrogio – "non avrebbe potuto contaminare il tempio dello Spirito Santo, la Madre del Signore, il grembo fecondato dal mistero" (ibid., II, 6: CCL 14,33).

Pur avendo provato turbamento, Giuseppe agisce "come gli aveva ordinato l’angelo del Signore", certo di compiere la cosa giusta. Anche mettendo il nome di "Gesù" a quel Bambino che regge tutto l’universo, egli si colloca nella schiera dei servitori umili e fedeli, simile agli angeli e ai profeti, simile ai martiri e agli apostoli – come cantano antichi inni orientali. San Giuseppe annuncia i prodigi del Signore, testimoniando la verginità di Maria, l’azione gratuita di Dio, e custodendo la vita terrena del Messia. Veneriamo dunque il padre legale di Gesù (cfr CCC, 532), perché in lui si profila l’uomo nuovo, che guarda con fiducia e coraggio al futuro, non segue il proprio progetto, ma si affida totalmente all’infinita misericordia di Colui che avvera le profezie e apre il tempo della salvezza.

Cari amici, a san Giuseppe, patrono universale della Chiesa, desidero affidare tutti i Pastori, esortandoli ad offrire "ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo" (
Lettera Indizione Anno Sacerdotale). Possa la nostra vita aderire sempre più alla Persona di Gesù, proprio perché "Colui che è il Verbo assume Egli stesso un corpo, viene da Dio come uomo e attira a sé l’intera esistenza umana, la porta dentro la parola di Dio" (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 383). Invochiamo con fiducia la Vergine Maria, la piena di grazia "adornata di Dio", affinché, nel Natale ormai prossimo, i nostri occhi si aprano e vedano Gesù, e il cuore gioisca in questo mirabile incontro d’amore.

DOPO L’ANGELUS

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti dalle diocesi di Ozieri, Sassari e Nuoro, come pure i ragazzi e i giovani della parrocchia di San Luigi Gonzaga in Roma. A tutti auguro una buona domenica e un sereno Natale nella luce e nella pace del Signore.

                                                  Pope Benedict XVI waves to the crowd gathered below in Saint Peter's square during his Sunday Angelus blessing at the Vatican December 19, 2010.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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23/12/2010 18:30
 
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Il Natale nella tradizione siro-occidentale

Quel bimbo che ringiovanisce
Adamo ed Eva


di Manuel Nin
 

L'anno liturgico siro-occidentale celebra la "nascita di nostro Signore nella carne" dal 25 dicembre al 5 gennaio, con due feste:  il 26 quella delle Congratulazioni alla Madre di Dio e il 1° la festa della Circoncisione del Signore. I diversi testi della festa sottolineano con immagini molto vive e contrastanti questo mistero del Verbo eterno di Dio, "il primo e l'ultimo, Dio e uomo, velato e manifesto; tu che mandi la pioggia e la rugiada sulla terra, adesso la figlia dell'uomo ti nutre con delle gocce di latte; tu che siedi su un trono di gloria e fai muovere tutte le cose, adesso gattoni a Betlemme come un bimbo".

Efrem il Siro, nella sua raccolta di inni sulla natività di Cristo, enumera, come in una processione davanti alla grotta di Betlemme, tutti coloro che coi loro doni annunciano i misteri della redenzione adoperata da Cristo stesso. I primi sono i pastori che "vennero a portare beni del gregge:  latte dolce, carne pura, belle lodi. Divisero e diedero:  a Giuseppe la carne, a Maria il latte, e al Figlio la lode. Portarono e offrirono un agnello da latte all'Agnello pasquale, un primo nato al Primogenito, un sacrificio al Sacrificio, un agnello transitorio all'Agnello vero".

Alla processione verso la grotta, Efrem fa accorrere anche giovani e vergini, anziani e vedove. E la presenza di tutte le schiere, specialmente di vedove e anziani, è collegata da Efrem ad Adamo ed Eva, invecchiati nell'attesa dell'adempimento delle promesse e rinnovati dalla nascita di Cristo:  "Gli anziani proclamavano:  Benedetto il bimbo che ha ringiovanito Adamo! Lui era triste al vedersi invecchiato e consunto. Benedetto il bimbo grazie al quale sono tornati giovani Adamo ed Eva!".

Alla grotta accorrono anche agricoltori, vignaioli e carpentieri che profetizzano il mistero del bambino neonato:  "Vennero gli agricoltori e si prostrarono di fronte all'agricoltore della vita e profetizzarono:  Benedetto l'Agricoltore dal quale sarà lavorata la terra del cuore! Vennero i vignaioli e diedero gloria al germoglio spuntato dalla radice di Iesse, grappolo vergine della vigna assetata. Vennero i carpentieri a motivo di Giuseppe presso il figlio di Giuseppe:  Benedetto il tuo Figlio, il capo dei carpentieri, grazie al quale fu disegnata anche l'arca. Fabbrica un giogo leggero e dolce per coloro che lo portano".

E intorno alla grotta si affollano anche i bambini, compagni di gioco di Cristo bimbo, e soprattutto testimoni della sua realtà messianica all'ingresso a Gerusalemme:  "Gridarono i bambini:  Benedetto colui che ci fu fratello e compagno nelle strade. Benedetto il giorno nel quale, con rami, daremo gloria all'albero della vita che ha chinato la sua altezza verso la nostra fanciullezza".

Nell'iconografia della festa, comune alle diverse tradizioni orientali e occidentali, il bambino nato viene fasciato e collocato in un sepolcro, Maria contempla il neonato, Giuseppe, in atteggiamento riflessivo, guarda la scena nel dubbio, due donne lavano il bambino in una vasca che rappresenta un catino battesimale e, in alto, gli angeli annunciano la nascita di Cristo ai pastori e ai magi.


(©L'Osservatore Romano - 24 dicembre 2010)
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Il Mistero del Natale


ROMA, mercoledì, 22 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito una riflessione di don Enrico Finotti, parroco di S. Maria del Carmine a Rovereto (Trento), che apparirà prossimamente sulla rivista di formazione liturgica “Liturgia 'culmen et fons'”.


* * *



1. Il Natale e l’Epifania: due aspetti dell’unico mistero

La celebrazione del mistero natalizio poggia sulle due solennità del Natale e dell’Epifania, l’una di origine occidentale (Natale), l’altra di origine orientale (Epifania), che mettono in luce, in modo complementare, la ricchezza del mistero dell’Incarnazione del Verbo.[1] La prima celebra il fatto storico [2] della nascita di Gesù a Betlemme, si china con stupore sul Dio che si è fatto uomo, evidenzia in tutta la sua verità la natura umana del Figlio di Dio “in tutto simile a noi, fuorchè nel peccato”. La seconda, conformemente al genio contemplativo dell’Oriente, celebra la manifestazione di Dio che si rivela nel tempo ed entra nella storia. Pone l’accento sulla natura divina [3]del “Dio fatto uomo”, che mette in fuga le tenebre del mondo e lo inonda di un fulgore celeste.[4] Il Natale annunzia il compimento delle profezie fatte ai Padri e la fedeltà di Dio alle antiche promesse del Redentore. Il Cristo è venuto anzitutto per il suo popolo: Maria, Giuseppe, i pastori, Simeone ed Anna, rappresentano il “resto” fedele d’Israele, che attendeva nella speranza. L’Epifania proclama che il Messia e la sua salvezza è per tutti i popoli [5], di cui i Magi sono la primizia.[6] Nel rapporto tra il Natale e l’Epifania è anticipato il mistero che si realizzerà pienamente nella Pasqua e nella Pentecoste. In tal modo le due solennità celebrano con accenti diversi, ma complementari, il mistero del Cristo vero Dio e vero uomo e insieme annunziano che la sua salvezza è “per il suo popolo e per i suoi fedeli” (Sal 84, 9), ma anche per tutte le genti, per coloro che lo “cercano con cuore sincero”[7] “e ritornano a lui con tutto il cuore” (Sal 84, 9).

2. Il “mirabile scambio”

Nei Primi Vespri dell’ottava del s. Natale la prima antifona canta: “Meraviglioso scambio! Il Creatore ha preso un’anima e un corpo, è nato da una vergine; fatto uomo senza opera d’uomo, ci dona la sua divinità”. E il Prefazio III di Natale proclama: “In lui oggi risplende in piena luce il misterioso scambio che ci ha redenti: la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l’uomo mortale è innalzato a dignità perenne e noi, uniti a te in comunione mirabile, condividiamo la tua vita immortale”. “Tema centrale del Natale è il “mirabile scambio”, per cui Dio prende ciò che è nostro e ci dà ciò che è suo. “Dio aveva un Figlio e ne ha fatto il figlio dell’uomo e, in cambio, di un figlio dell’uomo ha fatto un figlio di Dio” (s. Agostino). La possibilità inaudita che ci è ormai offerta: Conoscere Dio vedendolo. Ciò corrisponde a un desiderio ardente, antico quanto l’uomo: vedere Dio. Mosè l’aveva chiesto e si è sentito rispondere: “Nessuno può vedere Dio senza morire”. Filippo ha espresso a Gesù lo stesso desiderio, e si è sentito rispondere: “Chi vede me vede il Padre”. Il desiderio è esaudito, perchè Cristo, nostro fratello come uomo, è l’immagine perfetta del Padre, “splendore della sua gloria”.[8]

3. Le nozze regali tra Dio e il suo popolo

La liturgia natalizia propone in modo insistente anche il tema della “sponsalità”. Dio è lo Sposo del suo popolo e l’incarnazione è la celebrazione nuziale delle nozze tra Dio e l’umanità. Infatti nella 1a lettura della Messa vigiliare del Natale si legge: “La tua terra sarà chiamata “sposata” perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo creatore, come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te” (Is. 62, 5). L’antifona al “Magnificat” dei Primi Vespri del Natale canta: “Quando sorgerà il sole, vedrete il Re dei re: come lo sposo dalla stanza nuziale egli viene dal Padre”. E ancora “Tu, bambino, figlio di Dio, hai rinnovato la nostra vita: come sposo dalla stanza nuziale sei uscito dal grembo di Maria”.[9] Nel secondo anno dell’Ufficio di lettura del tempo natalizio si legge il “Cantico dei cantici”, nel quale è simboleggiata l’unione di Dio e dell’uomo in Cristo. “Allora, infatti, Dio Padre celebrò le nozze di Dio suo Figlio, quando nel grembo della Vergine lo congiunse alla natura umana, allorchè volle che colui che era Dio prima dei secoli, diventasse uomo alla fine dei secoli”.[10]

4. Cristo è la “luce del mondo”

Il tema della “luce” è centrale nella liturgia natalizia. Già nella tradizione ebraica il 25 del mese di Kasleu (dicembre) si celebrava la festa della Dedicazione del tempio, dopo la profanazione di Antioco Epifane, festa molto popolare con l’accensione di molti lumi e per questo detta “festa delle luci” ( 1 Mac 4,36; Gv 10, 22 ) Possiamo ritenere questa solenne festa ebraica una profezia del Natale; infatti, con la nascita di Cristo viene riconsacrato il tempio di Dio, cioè l’uomo e il mondo, profanati dal peccato.[11] Anche il “Martirologio” del 25 dicembre, annunziando il Natale, canta: “...Gesù Cristo, eterno Dio e Figlio dell’eterno Padre, volendo consacrare il mondo colla sua piissima venuta... nacque da Maria Vergine...”[12] Il tema della luce emerge in particolare nella liturgia natalizia, sia in Isaia 9, 1: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”, e soprattutto nel Prologo del vangelo di s.Giovanni (Gv 1, 9. 5): “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.” Alle espressioni bibliche fanno eco quelle liturgiche. Il Prefazio I del Natale canta: “Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili”. E il versetto alleluiatico della messa del giorno di Natale esprime l’esultanza della Chiesa: “Un giorno santo è spuntato per noi: venite tutti ad adorare il Signore; oggi una splendida luce è discesa sulla terra”. E’ particolarmente nell’Epifania che il simbolismo di Cristo-luce raggiunge l’apice: “Alzati, rivestiti di luce, perchè viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is 60,1 ). Perciò la liturgia raccomanda che in questo giorno “siano opportunamente moltiplicate le luci”.[13] In oriente l’Epifania è pure chiamata “festa dei lumi”.[14] Infine rimane classica l’immagine di Cristo “sole che sorge”, offerta dal cantico evangelico del “Benedictus”: “Verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte”. (Lc 1, 78-79) Questa immagine ha motivato tutta una simbologia relativa al solstizio d’inverno[15], tempo nel quale si celebra il Natale. San Bernardo nel discorso 1° per l’Avvento descrive in questo modo la situazione del mondo: “Scendeva la sera e il giorno già volgeva alla fine: il Sole di giustizia era quasi scomparso, tanto che il suo splendore e il suo calore erano molto deboli sulla terra. La luce della conoscenza di Dio era esigua e, per il dilagare dell’iniquità, il fervore della carità si era raffreddato. Nessun angelo più appariva, non un profeta che parlasse: desistevano come vinti dalla delusione, per l’eccessiva durezza d’animo e caparbietà degli uomini. ‘Allora ho detto:’, parola del Figlio, ‘Ecco io vengo...” (Sl 39, 8).[16] Pietro di Blois afferma: “Alla prima (venuta del Signore) applichiamo le parole di verità del Vangelo: ‘A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo!’ (Mt 25, 6). Per mezzanotte intendo il lento decorso delle ore notturne nel pieno silenzio. Era notte per i Giudei, ai quali la malizia aveva velato gli occhi perché non vedessero. Allo stesso modo anche il popolo dei pagani camminava nelle tenebre. Fu rotto il silenzio della notte. Venne colui che porta la luce nella profondità delle tenebre: fugò la notte e fece giorno”.[17]

E san Gregorio Nisseno nella sua omelia sulla Natività: “In questo giorno che il Signore ha fatto, le tenebre cominciano a diminuire e, aumentando la luce, la notte è ricacciata al di là delle sue frontiere. Certo, fratelli, ciò non accade né per caso né per volere estraneo, il giorno stesso in cui risplende Colui che è la vita divina nell’umanità. E’ la natura che, sotto questo simbolo, rivela un arcano a quelli il cui occhio è penetrante, e i quali sono capaci di comprendere la circostanza della venuta del Signore. Mi sembra di sentirlo dire: O uomo, sappi che sotto le cose che tu vedi ti vengono rivelati misteri nascosti. La notte, come hai visto, era giunta alla sua più lunga durata, e d’improvviso s’arresta. Pensa alla notte funesta del peccato che era giunta al colmo per l’unione di tutti gli artifici colpevoli: oggi stesso il suo corso è stroncato. A partire da questo giorno, essa è ridotta, e presto sarà annullata. Guarda ora i raggi del sole più vivi, l’astro stesso più alto nel cielo, e contempla insieme la vera luce del Vangelo che si leva sull’universo intero”. [18] E sant’Agostino: “Ecco perché Egli è nato in questo giorno, che è il più corto di tutti, ma, a cominciare dal quale, i giorni incominciano ad allungarsi. Lui che s’è abbassato per elevarci, ha scelto il giorno più corto, ma, a incominciare dal quale, la luce cresce”. [19] Secondo san Girolamo, perfino la natura, con il suo solstizio invernale, è a favore di tale consuetudine romana (la festa del Natale il 25 dicembre): “La creazione conferma il nostro dire, l’universo attesta la verità delle nostre parole. Fino q questo giorno aumenta la lunghezza del buio; a partire da questo giorno, le tenebre diminuiscono. Aumenta la luce, si accorciano le notti. Il giorno cresce, cala l’errore affinché sorga la verità. Infatti oggi ci è nato il sole della giustizia”.[20] Anche i pagani in qualche modo annunziarono il grande mistero natalizio con la festa del solstizio invernale, che celebrava il “sole vittorioso”, profezia del vero Sole invincibile, Cristo, luce del mondo.[21]





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[1] JUNGMANN, La liturgia della Chiesa, p. 263-264: “Sotto il profilo teologico, la differenza delle due solennità nella liturgia romana può essere così delineata: il mistero dell’incarnazione rimane per entrambe l’unico tema; ma col Natale viene considerata specialmente la degnazione del Figlio di Dio, fattosi un comune bambino; con l’Epifania si volge lo sguardo specialmente alla grandezza divina dello stesso bambino, che già s’irradia su tutto il mondo.”

[2] RATZINGER, J. Introduzione allo spirito della liturgia, ed. San Paolo, 2001, p. 104: “Le vecchie ipotesi, secondo cui il 25 dicembre era stato scelto a Roma in polemica con il culto mitraico o anche come risposta cristiana al culto del sole invitto, che era stato promosso dagli imperatori romani nel corso del terzo secolo come tentativo di stabilire una nuova religione di stato, oggi non paiono più sostenibili. Decisivo fu piuttosto lo stretto rapporto tra creazione e croce, tra creazione e Concepimento di Cristo, nella misura in cui a partire dall’ ‘ora di Gesù’ queste date venivano a coinvolgere il cosmo, lo interpretavano come pre-figurazione e pre-annunzio di Cristo, il primogenito della creazione (Col 1, 15), di cui parla la creazione stessa e attraverso il quale viene decifrato il suo tacito messaggio. Dal primogenito della creazione, che ora è entrato nella storia, il cosmo riceve il suo vero senso… A partire da questo contenuto originariamente cosmico della data del Concepimento e della Nascita poteva essere anche ripresa la sfida del culto solare e inserita positivamente nella teologia della festa.” FEDERICI, T., Dalla rivista 30 giorni, 1 gennaio 1998: “ ‘il 25 dicembre è una data storica’. Lo ha ribadito il professor Tommaso Federici, docente alla Pontificia Università Urbaniana e consultore in due Congregazioni vaticane, in un articolo apparso sull’ Osservatore Romano del 24 dicembre scorso. ‘Si spiega il 25 dicembre’ scrive Federici ‘come cristianizzazione di una festa pagana, il natale del Sole invitto; oppure come equilibrio simmetrico, estetico tra il solstizio d’inverno (21 o 22 dicembre) e l’equinozio di primavera (23 o 24 marzo). Ma una scoperta nuova di pochi anni or sono ha portato luce definitiva sulla data del Natale del Signore. Già lo studioso israeliano Shemaryahu Talmon nel 1958 aveva pubblicato uno studio approfondito sul calendario della setta di Qumran, ricostruendo senza dubbi l’ordine dei turni sacerdotali nel tempio di Gerusalemme (cfr. 1 Cr 24, 7-18) ai tempi del Nuovo Testamento. Qui la famiglia di Abijah, a cui apparteneva Zaccaria, padre del Prodromo e Precursore Giovanni (Lc 1, 5), doveva officiare 2 volte l’anno, i giorni 8-14, del mese terzo, e i giorni 24-30 dell’ottavo mese. Quest’ultima cadeva circa alla fine di settembre. Non è senza senso che il calendario bizantino festeggi ‘la concezione di Giovanni’ il 23 settembre, e la sua nascita 9 mesi dopo, il 24 giugno. I ‘sei mesi’ dopo dell’Annunciazione, fissata come festa liturgica il 25 marzo, precedendo di 3 mesi la nascita del Precursore, preludono ai 9 mesi, che cadono in dicembre: il 25 dicembre è data storica”. * Anche il nuovo Martirologio Romano (Editio typica 2001) ha recepito la Commemorazione dei santi Gioacchino ed Anna il 23 settembre.

[3] GUERANGER, vol. I, p. 238: “Il giorno dell’Epifania del Signore è dunque veramente un gran giorno; e la letizia nella quale ci ha immersi la natività del divino Bambino deve effondersi nuovamente in questa solennità. Infatti, questo secondo irradiamento della Festa del Natale ci mostra la gloria del Verbo incarnato in un nuovo splendore; e senza farci perdere di vista le bellezze ineffabili del divino Bambino, manifesta in tutta la luce della sua divinità il Salvatore che ci è apparso nel suo amore. Non sono più soltanto i pastori che son chiamati dagli Angeli a riconoscere il Verbo fatto carne, ma è il genere umano, è tutta la natura che la voce di Dio stesso chiama ad adorarlo e ad ascoltarlo”.

[4] Anamnesis, vol. VI, p. 188.

[5] GUERANGER, vol. I, p. 239: “La ragione della preferenza della Chiesa Romana per il mistero della Vocazione dei Gentili deriva dal fatto che questo grande mistero è sommamente glorioso a Roma che, da capitale della gentilità quale era stata fino allora, è diventata la capitale della Chiesa cristiana e dell’umanità, per la vocazione celeste che chiama oggi tutti i popoli alla mirabile luce della fede, nella persona dei Magi”.

[6] Anamnesis, vol. VI, p. 188; MESALE MARIANO, Prefazio della 6° Messa: “Sospinti dalla tua grazia, alla luce della stella, i magi d’Oriente, primi virgulti della Chiesa dalle genti, trovano nell’umile dimora il Bambino, con la Madre, lo adorano Dio, lo proclamano Re, lo confessano
Redentore”.

[7] MRI, PE IV.

[8] LOM, p. 92.

[9] LO, 2 genn., ant. Magn.

[10] UNIONE MONASTICA ITALIANA PER LA LITURGIA, L’Ora dell’Ascolto, Torino, ed. Marietti, 1977, vol.1°, p. X.

[11] RATZINGER, J., Immagini di speranza, Le feste cristiane in compagnia del Papa, ed. San Paolo, 2005, p. 10: “Il primo ad affermare con certezza che Gesù nacque il 25 dicembre è stato Ippolito di Roma nel suo commento a Daniele, scritto verso il 204; Bo Reicke, già professore di esegesi a Basilea, ha inoltre richiamato l’attenzione sul calendario festivo, secondo il quale nel vangelo di Luca i racconti della nascita el Battista e della nascita di Gesù sono legati fra loro. Se ne potrebbe dedurre che Luca presuppone già nel suo vangelo la data del 25 dicembre come giorno della nascita di Gesù. Allora in quel giorno si celebrava la festa della dedicazione del tempio istituita da Giuda Maccabeo nel 164 a. C. La data della nascita di Gesù verrebbe allora a simbolizzare che con lui, apparso come luce di Dio nella notte invernale, si realizzava veramente la consacrazione del tempio – l’avvento di Dio su questa terra”.

[12] Martirologio Romano, Pubblicato per ordine del Sommo Pontefice Gregorio XIII riveduto per autorità di Urbano VIII e Clemente X aumentato e corretto nel MDCCXLIX da Benedetto XIV, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, MDCCCCLV, 25 dic., Natale del Signore, p. 333.

[13] Caeremoniale Episcoporum ex decreto sacrosancti oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Ioannis Pauli PP. II promulgatum, Editio typica, Typis Polyglottis Vaticanis, MCMLXXXV, n. 240; Anamnesis, vol. VI, p. 185.

[14] GUERANGER, vol. I, p. 237: “Gli Orientali chiamano ancora questa solennità i santi Lumi, a motivo del Battesimo che si conferiva un tempo in questo giorno in memoria del Battesimo di Gesù Cristo nel Giordano: E’ noto come il Battesimo sia chiamato dai Padri illuminazione, e quelli che l’hanno ricevuto illuminati”. RIGHETTI, vol. II, p. 103: “In questo giorno erano battezzati i catecumeni, donde i nomi di Festa delle Luci, dies baptismalis, datogli dai Padri greci”.

[15] GUERANGER, vol 1, p. 124-125: “Gesù Cristo nostro Salvatore, che è la luce del mondo (Gv 8, 12), è nato al momento in cui la notte dell’idolatria e del delitto era più profonda in questo mondo. E il giorno della Natività, il 25 dicembre, è precisamente quello in cui il sole materiale, nella sua lotta con le ombre, vicino a spegnersi, si rianima d’un tratto e prepara il suo trionfo. Nell’Avvento abbiamo notato, con i santi Padri, la diminuzione della luce fisica come il triste emblema di quei giorni di attesa universale; ci siamo rivolti con la Chiesa verso il divino Oriente, verso il Sole di Giustizia, il solo che possa sottrarci agli orrori della morte del corpo e dell’anima. Dio ci ha ascoltati; e nel giorno stesso del solstizio d’inverno, famoso per i terrori e i gaudi del mondo antico, ci da insieme la luce materiale e la fiaccola delle intelligenze”. p. 125-126: “In un sermone sul Natale, s. Agostino ci da la chiave d’una frase misteriosa di san Giovanni Battista, che conferma meravigliosamente il pensiero tradizionale della Chiesa. L’ammirabile Precursore aveva detto, parlando di Cristo: Bisogna che egli cresca e che io diminuisca (Gv 3, 30). Sentenza profetica la quale, nel senso letterale, significa che la missione di s. Giovanni Battista volgeva al termine dal momento che il Salvatore stesso entrava nell’esercizio della sua. Ma possiamo vedervi anche, con sant’Agostino, un secondo mistero: ‘ Giovanni è venuto in questo mondo nel tempo in cui i giorni cominciano ad accorciarsi; Cristo è nato nel momento in cui i giorni cominciano ad allungarsi’ (Discorso in Natale Domini, XI). Cosicché tutto è mistico: sia il levarsi dell’astro del Precursore al solstizio d’estate, sia l’apparizione del Sole divino nella stagione delle ombre”.

[16] L’Ora dell’Ascolto, vol 1°, p. 54.

[17] L’Ora dell’Ascolto, vol 1°, p. 29.

[18] GUERANGER, vol. I, p. 125

[19] NOE’, V., Andiamo a Betlemme, ed. Messaggero, Padova, 1980, p. 60

[20] NOCILLI, A., P., N., E’ nato per noi il Signore, Storia, teologia, folclore del Natale, Padova, ed. Messaggero, 1983, p.29.

[21] GUERANGER, vol. 1°, p. 301-302: “Consideriamo la situazione della natura nella stagione dell’anno alla quale siamo giunti. La terra si è spogliata dell’usata veste, i fiori sono morti, i frutti non pendono più dagli alberi, il fogliame dei boschi è disperso dai venti, e il freddo colpisce ogni essere vivente; si direbbe che la morte è alle porte. Se almeno il sole conservasse il suo splendore, e tracciasse ancora nell’aria il suo corso radioso! Ma, di giorno in giorno, anch’egli accorcia il suo cammino. Dopo una lunga notte, gli uomini lo scorgono per vederlo presto ricadere al tramonto, nell’ora stessa in cui poco tempo fa i suoi raggi brillavano ancora di vivo splendore, ed ogni giorno che passa vede accelerarsi la rapida invasione delle tenebre. E’ forse il mondo destinato a veder spegnersi per sempre la sua fiaccola? E’ forse il genere umano condannato a finire nella notte? I pagani lo temerono, e per questo, contando con spavento i giorni di questa terribile lotta della luce e delle tenebre, consacrarono al culto del Sole il venticinquesimo giorno di dicembre, che era il solstizio d’inverno, giorno dopo il quale l’astro, sfuggendo ai legami che lo trattenevano, comincia a risalire e riprende gradualmente quella linea trionfante con la quale poco tempo fa divideva il cielo in due parti. Noi cristiani, illuminati dagli splendori della fede, non ci arresteremo a queste umane paure: cerchiamo un sole al confronto del quale il sole invisibile non è che tenebre. Con esso, potremo sfidare tutte le ombre materiali; senza di esso, la luce che crederemmo di avere non fa altro che sviarci e perderci. O Gesù, luce vera che illumini ogni uomo che viene in questo mondo, tu hai scelto, per nascere in mezzo a noi, l’istante in cui il sole visibile è vicino a spegnersi, per farci comprendere, con questa mirabile immagine, lo stato in cui eravamo ridotti quando venisti a salvarci e illuminarci”. NOCILLI, A., P., N., E’ nato per noi il Signore, Storia, teologia, folclore del Natale, Padova, ed. Messaggero, 1983, p.22-36.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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26/12/2010 21:34
 
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Nella Santa Messa Gesù rinnova la sua nascita




NELLA SANTA MESSA GESÙ RINNOVA LA SUA NASCITA






La Chiesa cattolica canta per tutta la terra il dolce mistero della nascita di Cristo. "In quel giorno la soavità scenderà dalle montagne e le colline stilleranno latte e miele". Nel giorno di Natale, Colui che è la sorgente di ogni dolcezza, ha addolcito tutto portando dal Cielo la vera gioia, ha annunciato la pace agli uomini di buona volontà, ha consolato gli afflitti; in breve, col suo felice avvento ha riempito l'universo di benedizione.

Quale immensa gioia provò l'eterno Padre quella notte in cui vide nascere, dalla Vergine Maria, il Figlio amatissimo che Egli aveva generato prima di tutti i secoli! Che delizia fu per il Figlio avere una Madre in terra e un Padre nel Cielo!

Che felicità per lo Spirito Santo quando Colui per il quale era unito a Dio Padre da tutta l'eternità, con il legame di un indissolubile amore, si incarnò con la sua cooperazione e riunì in una stessa persona la natura divina e l'umana. Di quale soavità non foste inondata voi, o Maria, quando, nel contemplare Gesù, pensaste che Egli non era soltanto Figlio vostro, ma ancora Figlio di Dio! Quanto furono privilegiati gli uomini di allora che poterono vedere coi loro occhi quel Bambino di benedizione! quanto dovettero essere lieti e commossi quei pastori ai quali gli angeli annunciarono la sua nascita! E come si affrettarono ad andare a Betlemme per adorarlo! Chi potrà descrivere la felicità dei pii israeliti al giungere di questo giorno affrettato dai loro desideri, all'annuncio che fu dato loro da Simeone e da Anna che la promessa così lungamente attesa era finalmente compiuta? La loro felicità e incommensurabile e degna di considerazione, ma la nostra sorpassa la loro, poiché ogni giorno possiamo contemplare con gli occhi della fede il dolce Bambino Gesù e partecipare continuamente alla gioia della sua nascita! "Le parole del Vangelo e delle profezie ci infiammano talmente - dice un santo papa - che ci sembra di onorare la nascita del Salvatore, non come un avvenimento ormai passato, ma come se fosse attuale, perché noi pure riceviamo l'annuncio degli angeli ai pastori: "Ecco che vi annuncio una grande gioia: oggi è nato il Salvatore". Tutti i giorni, volendo, possiamo assistere a questa beata nascita nella santa Messa, nella quale è rinnovata e continuata. Questa è pure la dottrina di santa Ildegarda: "Quando il pane e il vino sono cambiati nel Corpo e nel Sangue di nostro Signore - dice nelle sue Rivelazioni - la nascita del Salvatore appare come in uno specchio". Questa testimonianza conferma le mie parole e prova sufficientemente che il Cielo prende viva parte a questo grande atto, compiuto ormai da duemila anni. Desiderate sapere da chi e come nasce Gesù Cristo? Ascoltate san Girolamo: "I sacerdoti chiamano Gesù Cristo alla vita per mezzo delle loro labbra consacrate ". E come se il santo Dottore dicesse che Gesù Cristo nasce dalle labbra del sacerdote quando pronuncia le parole della consacrazione. Il papa Gregorio XIII afferma la stessa cosa, quando raccomanda ai sacerdoti prima di salire all'altare di dire: "Voglio celebrare la santa Messa e formare il Corpo e il Sangue di nostro Signor Gesù Cristo". La Chiesa fa ancora di più quando ci ordina di cantare il cantico che gli angeli fecero echeggiare nella notte di Natale: "Gloria a Dio in cielo e pace in terra agli uomini di buona volontà". Non sembra anche a voi di ricevere, come i pastori, il messaggio dei celesti spiriti? "Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato il Salvatore. Troverete il Bambino avvolto nelle fasce e coricato in una mangiatoia". Immaginate che il vostro angelo custode vi dica: "Rallegrati, figlio mio, il Salvatore sta per nascere nuovamente per la tua salute e lo vedrai sotto la forma della santa Ostia". Ma anche se il vostro angelo non vi parlasse così, la fede vi insegna che il fatto è questo. Che fortuna per voi se ci credete fermamente! E quale immensa gioia vi è riservata se vi comporterete con il divino Fanciullo come coloro che furono degni di contemplarlo con gli occhi del corpo! Nelle antiche leggende si racconta di un santo personaggio che di tanto in tanto, quando il SS. Sacramento era sull'altare o innalzato fra le mani del sacerdote, lo vedeva prendere la forma di un piccolo fanciullo. Nella Vita dei Padri leggiamo la relazione di un fatto simile che avvenne durante la Messa di un sacerdote chiamato Plego. Ma ciò che allora appariva agli occhi carnali, può essere percepito ogni giorno dal nostro occhio spirituale e dappertutto, dove si dice la santa Messa. San Luigi informato di un prodigio di questo genere che si ammirava in quei giorni nei dintorni di Parigi, rispose alle persone che lo esortavano ad andarlo a vedere: "Possono andarci quelli che non credono, io vedo Gesù vivente tutti i giorni alla Messa". Cito questa risposta, ispirata a una fede profonda, per mostrarvi che noi possediamo Gesù presente sull'altare, presente dico, non in una maniera immaginaria o puramente spirituale, ma realmente e corporalmente. Insomma lo stesso Gesù che è nato dalla santa Vergine a Betlemme e che i Re Magi hanno adorato. Gli accidenti soltanto ci impediscono di vederlo fisicamente, ma il nostro occhio interiore, rischiarato dalla fede, squarcia il velo e ci convince della reale presenza. Le ragioni per le quali Gesù si nasconde sono molte; la principale è quella di farci esercitare molto la fede e procurarci così un' occasione di merito. E per confermarci in questa stessa fede, in molte circostanze si è mostrato ai cristiani ed anche ai giudei ed agli idolatri.


Prodigi che rivelano la presenza reale di Gesù nel sacramento dell'altare


Alberto Kranz racconta che Carlo Magno aveva combattuto molti anni contro i Sassoni, per il desiderio di strapparli all'idolatria. Questi barbari vinti ed anche battezzati erano pur sempre eccitati all'apostasia dal loro capitano Wittikindo. Per la dodicesima volta, l'imperatore compariva in Sassonia con numerose truppe: era in tempo di quaresima e quando giunse la Pasqua comandò a tutta la sua armata di prepararsi devotamente per ricevere la Comunione. La festa fu celebrata al campo imperiale con molta pietà. Wittikindo aveva un gran desiderio di vedere la magnificenza del culto cristiano e per raggiungere il suo scopo lasciò i suoi abiti preziosi, si copri di cenci e andò da solo al campo chiedendo l'elemosina come un mendicante qualunque. In tal modo il Venerdì santo poté osservare che l'imperatore e i suoi soldati visibilmente contriti digiunavano rigorosamente e pregavano con fervore. Li vede poi confessarsi e prepararsi alla Comunione. Il giorno di Pasqua assistette alla Messa e quando il sacerdote fu arrivato alla Consacrazione, Wittikindo vide fra le sue mani un bambino incomparabilmente bello e si sentì preso da un'ineffabile dolcezza. Per tutta la funzione non cessò di guardare il celebrante e quando i soldati andarono alla santa Comunione vide con grande meraviglia che ognuno di loro riceveva un bambino che, però, da qualcuno andava con grande gioia, mentre non voleva andare da altri dibattendosi con le mani e con i piedi, benché fosse costretto a sottomettersi.

Il capitano Wittikindo non poteva riaversi dalla meraviglia che questo inaudito mistero gli suscitava. Dopo la funzione usci dalla chiesa, si confuse coi poveri e tese la mano a quelli che uscivano dal luogo santo. L'imperatore dava ad ognuno qualche cosa, ma quando fu davanti a Wittikindo, uno dei suoi servi, che l'aveva riconosciuto dal dito storpio, l'avverti: "Perché il capo dei Sassoni si nasconde sotto l'apparenza di un mendicante?", esclamò Carlo. Wittikindo si spaventò al pensiero di essere accusato di spionaggio e rispose subito: "Sire, non interpretate male la mia condotta; se ho agito così è stato all'unico fine di assistere liberamente alle funzioni dei cristiani". "Che hai visto?", soggiunse l'imperatore. "Un prodigio tale di cui non ho mai sentito parlare e che non so neanche spiegare". Raccontò allora quello di cui era stato testimone il Venerdì santo, quello che aveva visto alla Messa di Pasqua e domandò il significato di un fatto così straordinario. L'imperatore, meravigliato che Dio avesse accordato, ad un pagano indurito, una grazia così insigne, negata a tanti santi, quella cioè di vedere il Bambino Gesù nell'Ostia, gli spiegò il motivo della tristezza del Venerdì santo e del digiuno, della confessione e della Comunione. Questa spiegazione toccò talmente il cuore di Wittikindo che abiurò il paganesimo e dopo essersi fatto istruire, ricevette il Battesimo. Non contento di tutto questo condusse con sé dei sacerdoti che a poco a poco convertirono al cristianesimo il Ducato di Sassonia.

questa storia è bene indicata per ravvivare la nostra fede nella presenza reale di Gesù nell'Ostia. Gesù Cristo rende invisibile ai nostri occhi prevaricatori la sua bellezza ma non già agli occhi di Dio e dell'esercito celeste. Ad ogni Messa Egli appare in un tale splendore che la SS. Trinità ne riceve una gloria infinita e la beata Vergine Maria, gli angeli e i santi ne provano gioia ineffabile, come ha rivelato Gesù Cristo al beato Alano de La Roche.




Adorazione degli angeli


Quando gli angeli vedono Gesù nell'Ostia, si inginocchiano umilmente davanti a Lui e lo adorano con lo stesso rispetto che ebbero davanti alla mangiatoia, compiendo per la seconda volta la profezia applicata da san Paolo al mistero di Natale: "quando Dio introdusse sulla terra il suo Figliolo, disse: "Lo adorino tutti gli angeli". Questi celesti spiriti, presi da un santo timore, come canta la Chiesa nel Prefazio, si uniscono in una comune allegrezza per lodare e celebrare la maestà divina. Uniamoci a loro ed esaltiamo il dolce Gesù che ad ogni Messa rinnova lo stesso mistero per farcene più largamente partecipi. Nessun essere umano potrebbe degnamente spiegare una così sublime verità e solo la scienza degli angeli sarebbe sufficiente, perché essi soli vedono le delizie che la celebrazione della Messa procura a tutto il Cielo. Per noi è impossibile concepire la gioia che ne prova la divinità.

La SS. Trinità, senza acquistare, né perdere niente di se stessa, attinge tutta la sua bellezza dall'unione delle sue tre Persone distinte in una comune essenza. Lo Spirito Santo dice della Sapienza increata, cioè del Figliolo di Dio: "Essa è lo splendore della luce eterna, lo specchio senza macchia della maestà divina, l'immagine della sua bontà". Questo specchio da tutta l'eternità è davanti agli occhi del Padre, che si contempla gustando una felicità infinita. Egli si vede quale è attualmente e quale rimarrà eternamente, cioè il Signore grande, glorioso, sapiente, onnipotente, bello e ricco e tutto ciò in un grado infinito. La contemplazione incessante della sua fedele immagine è per Lui un godimento così soave, così perfetto che costituisce da solo la sua completa beatitudine. Questo stesso specchio immacolato fu posto nuovamente sotto i suoi occhi alla nascita di Gesù, perché Egli è ricoperto dalla più nobile natura umana, adorno di ogni virtù e sfavillante di tutte le perfezioni. A questa vista, il Padre celeste provò, a nostro modo di dire, nuove delizie alle quali fece partecipare tutta la corte celeste. Ed è perciò che i celesti spiriti, nella notte di Natale, cantarono un inno così melodioso che la terra ne fu rapita ed i pastori trasalirono di allegrezza. E ripetendo Gloria in excelsis i cori celesti si affrettarono verso Betlemme, si prostrarono davanti al neonato ed adorarono la sua divinità. Quello che è successo visibilmente una volta sola si rinnova ogni giorno sull'altare dove il Figlio unico di Dio nasce dalle parole del sacerdote e si fa di nuovo uomo. Non si crea certamente un nuovo Gesù, ma si moltiplica la presenza reale di Gesù Cristo. La sua umanità, riprodotta in virtù della transustanziazione si trova lì dove non era prima e resta realmente sotto le specie della santa Ostia, finché le specie si conservano incorrotte. Dico finché si conservano incorrotte, perché quando cominciano a corrompersi Gesù Cristo si ritira. Ciò è tanto vero che se Gesù Cristo non esistesse che sotto queste specie e queste fossero distrutte, Egli sparirebbe con esse e non ci sarebbe più Gesù né in Cielo né in terra.





L'Eucaristia glorifica il Padre


Quando il Verbo fatto carne nasce di nuovo per mezzo delle parole del sacerdote, quando questo specchio di giustizia è innalzato dalle mani del sacerdote e presentato a Dio dal celebrante e dal popolo, quali saranno le gioie e le delizie che risentirà il Padre celeste? Lingua umana non può descriverle, perché la nostra intelligenza non è in grado di comprenderle, ma certamente non sono inferiori a quelle che Egli gustò nella notte di Natale, perché tanto nell'uno che nell'altro caso ha sotto gli occhi Colui del quale ha detto: "Questi è il mio Figlio diletto nel quale ho posto tutte le mie compiacenze" Ma ecco la differenza: Gesù di Betlemme era ricoperto di una carne mortale, mentre nella santa Ostia il suo glorioso corpo, adorno delle sue sacre piaghe, come da cinque pietre preziose, è immortale. A Betlemme nacque corporalmente, mentre sull'altare nasce in maniera mistica e reale insieme.

Queste delizie sorpassano tutte quelle che l'Altissimo gusta nelle lodi degli angeli, nelle adorazioni dei santi, nelle buone opere degli uomini, essendo la santissima umanità di Cristo, unita ipostaticamente alla divinità, la sola capace di onorare ed amare la SS. Trinità, secondo la sua infinita amabilità. Possono darcene un'idea le parole che nostro Signore disse a santa Matilde: "Io solo so e comprendo perfettamente come mi immolo ogni giorno sull'altare, per la salute dei fedeli, cosa che non possono comprendere interamente né i Cherubini, né alcun'altra potenza celeste". Sì, soltanto Gesù Cristo conosce quanto il suo amore e la sua oblazione quotidiana siano graditi a Dio nella Messa. Egli compie questo doppio ministero di amante e di vittima con una suprema soavità ed una compiacenza che sorpassa ogni intendimento. L'intero cielo ammira con occhi pieni di sorpresa e con cuore estasiato, senza poter misurare l'estensione della gioia divina. E poiché questo si riproduce ogni giorno, ad ogni ora, chi potrà calcolare l'incommensurabile effetto di tante migliaia di Messe? O mio Dio, la tua felicità mi rapisce e i miei desideri si riducono ad uno: che tanta felicità non sia mai turbata dall'indifferenza di coloro che assistono a questo augusto Sacrificio! O Gesù, ti prego di volere, ad ogni Messa, amare e letificare, per me, la SS. Trinità e di supplire sovrabbondantemente all'amore che ho trascurato di testimoniarle e alla gioia che avrei dovuto procurarle.


L'Eucaristia, fonte di frutti salutari


Vediamo ora quali salutari frutti riceve il mondo peccatore dalla nuova nascita di nostro Signore. Isaia profetizzava così la venuta del Messia: "Ci è nato un Bambino, ci è stato dato un figlio". Possiamo dire lo stesso, dopo ogni consacrazione: "Ci è stato dato un Bambino!". Che ricco dono! Che dono prezioso! Questo Bambino è veramente il Figlio del Padre onnipotente, viene da un lontano paese di gioia, dal celeste paradiso, fertile in delizie. Egli ci porta immense ricchezze: la grazia e la misericordia divina, la purezza, il perdono e la remissione delle pene, il miglioramento della vita, il favore di una buona morte, l'accrescimento della gloria celeste, il beneficio del nutrimento temporale, una protezione sicura contro il peccato e lo scandalo e tutte le divine benedizioni. Egli è pronto a prodigare questi tesori a tutti quelli che ascoltano la Messa con pietà.

Consideriamo attentamente il testo di Isaia e vi troveremo un altro insegnamento. Il profeta dice chiaramente: "Ci è nato un Bambino, ci è dato un figlio". Che cosa significano queste parole applicate alla nascita sacramentale di Gesù, se non che Egli diviene nostra proprietà con tutto quello che è, con tutto ciò che possiede e con tutto quello che opera sull'altare? Così sono nostri l'onore, le azioni di grazie, le soddisfazioni, gli omaggi che Egli offre alla Santissima Trinità. Che immensa consolazione, dunque, è per colui che ascolta la Messa, il sapere che non solamente gli appartiene il santo Sacrificio, ma lo stesso Gesù! Se nella notte di Natale foste stati nella grotta di Betlemme, certamente avreste preso il Bambino Gesù nelle braccia, lo avreste offerto al suo eterno Padre e innalzandolo verso di Lui, lo avreste pregato di abbassare sopra di voi, per amore di questo diletto Figlio, i suoi sguardi di misericordia. Dubitate forse che non vi avrebbe ricolmato delle sue grazie? No, ebbene fate altrettanto alla Messa, specialmente nell'Avvento e nelle feste di Natale; recatevi in spirito all'altare, prendete Gesù fra le braccia e offritelo al Padre suo.





Annientamento di Gesù nella S. Eucaristia


Resta ancora da trattare un punto importantissimo e cioè che il Salvatore nasce sull'altare in una maniera mistica e prende una forma tanto umiliante da meravigliare il Cielo e la terra.

La sua prima Incarnazione e la sua prima nascita sono descritte da san Paolo in termini chiari: "Fratelli miei - dice il grande apostolo - dovete avere i medesimi sentimenti che ebbe Gesù Cristo. Egli, essendo in forma di Dio, non ha ritenuto come un'usurpazione questa sua uguaglianza, eppure si è annientato prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini e giudicato all'esterno come uomo. Si è abbassato e si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di Croce"

Chiunque rifletta sulla nascita mistica del Salvatore vi troverà un'umiliazione ancora più grande. Perché se a Betlemme era simile agli altri bambini, o meglio se aveva la forma del più bello dei bambini, sull'altare si annienta sotto le apparenze del pane. Chi mai sentì parlare di un tale abbassamento? Gesù Cristo può dire veramente col profeta re: "Sono un verme della terra e non uomo, oggetto di scherno per gli uomini, di disprezzo per il popolo". Chi bada a questa minima particella? Chi l'adora? Chi gli rende gli onori divini? Ohimè! quasi nessuno! quanto e come nostro Signore si abbassa, come si sottrae agli onori che sono dovuti alla sua presenza! Dov'è la sua gloria, la sua onnipotenza? Dove l'imponente maestà che fa tremare la corte celeste? Vi ha rinunciato per abbandonarsi al disprezzo. Egli è il Verbo di Dio e non può articolare una parola; ha creato il firmamento e non può muovere né il piede, né la mano; l'universo stesso non può contenerlo e si è rinchiuso come prigioniero in una piccola Ostia! Nel Cielo è assiso su di un trono abbagliante, sui nostri altari è giacente, legato come l'agnello del sacrificio. Quale annientamento! Incomparabile amore che ha ridotto in questo stato l'amante dell'anima umana. Ma questo non è tutto: si assoggetta alla volontà di ogni sacerdote e non soltanto di quelli pii, ma anche degli indifferenti e dei tiepidi e si abbandona fra le loro mani fino al punto che essi possono disporre di Lui a loro piacere. Grande meraviglia! Non rifiuta di essere benedetto da loro, benché, come dice san Paolo: "L'inferiore riceve la benedizione del superiore". Come mai Gesù Cristo, infinitamente superiore al sacerdote, consente di essere benedetto da lui? E un fatto che il sacerdote benedice la santa Ostia fino a quindici volte dopo la Consacrazione, proprio quando è divenuta il vero Corpo e il vero Sangue del Salvatore,! quando Giovanni incontrò Gesù sulle rive del Giordano esclamò: "Io devo essere battezzato da te, e tu vieni a me?". Grande e tremenda lezione per i sacerdoti! Essi dovrebbero dire al Salvatore: "Signore Gesù, sono io che ho bisogno di essere benedetto da te e tu vuoi ricevere la benedizione di un peccatore!". Non certo come uomo il sacerdote traccia il segno della croce sulla santa Ostia, ma egli pronuncia la benedizione di Dio Padre. Non è sorprendente che Dio si serva di un uomo per benedire il più santo degli olocausti! Perché il Salvatore si umilia così? Ascoltate ed ammirate. Una delle ragioni principali è quella di disarmare la collera di Dio e di allontanare il castigo che minaccia il peccatore. Non vi è miglior mezzo per placare il proprio nemico che umiliarsi davanti a lui, implorando il suo perdono. Ne abbiamo un notevole esempio a proposito dell'empio Acab. Elia annunciò a questo principe che il Signore, giusto vendicatore dei delitti suoi e della sua famiglia, lo avrebbe punito con morte violenta insieme alla moglie e ai suoi bambini, che nessuno di loro sarebbe stato sepolto e che i loro corpi sarebbero stati divorati dai cani. A questa notizia Acab si stracciò gli abiti reali, si rivestì di cilicio, si copri con un sacco grossolano e si allontanò a testa bassa. Allora Dio disse ad Elia: "Hai visto come Acab si è umiliato davanti a me?". "Sì", rispose il profeta. Il Signore riprese: "Giacché si è umiliato per me, non gli farò male durante la vita e soltanto alla sua morte mi vendicherò sulla sua famiglia".

Se questo empio re di cui, secondo la testimonianza dei Libri santi non e mai esistito uno simile" è riuscito, con la sua umiltà, a far sì che l'onnipotente Iddio revocasse la terribile. sentenza pronunciata contro di lui, che cosa Gesù, così umiliato sugli altari, non otterrà mai dal Padre celeste? Lo stato in cui si riduce per i peccatori che, per la malizia e l'orgoglio, hanno meritato un giusto castigo, non è mille volte più commovente di quello di Acab? Si spoglia delle vesti di gloria, per nascondersi sotto le apparenze della santa Ostia, come sotto un duro cilicio: non si allontana con la testa china, ma sull'altare sta in atteggiamento di un verme della terra e, dal fondo del cuore, scongiura il Padre suo, con grida supplichevoli, di perdonarci e risparmiarci. Davanti a un tale spettacolo Dio non dirà dunque ai suoi angeli: `Avete visto come il Figlio mio si è umiliato al mio cospetto?". E gli angeli risponderanno: "Sì, o Signore e noi siamo confusi per tanto abbassamento!". "Poiché mio Figlio si è così annientato per amore dei peccatori, - aggiungerà il Padre celeste - io riterrò la mia collera e per quanto grandi siano le iniquità degli uomini non procederò con rigore verso di loro". Non c'è dubbio, se Dio giusto risparmia la vita del colpevole o non lo punisce per i suoi delitti, questo avviene perché il reo ha assistito alla santa Messa e partecipato così all'ammenda del Salvatore, umiliato per lui. Cristiani, siate riconoscenti a quest'adorabile vittima e ditele dal fondo del cuore: "O dolcissimo Gesù, ti siano rese lodi e onore, per l'amore che a ciascuna Messa ti fa scendere dal Cielo, per quell'amore che cambiando il pane e il vino, nella tua Carne e nel tuo Sangue, ti tiene schiavo sotto queste umili apparenze, disarma la collera del Padre tuo e ci ottiene la remissione delle pene dovute ai nostri peccati! Ti ringraziamo dal fondo del cuore, per questo inestimabile Sacrificio; ti lodiamo, ti esaltiamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo con tutte le nostre forze e preghiamo il celeste esercito di unirsi a noi, per supplire all'insufficienza delle nostre azioni di grazie. Ti supplichiamo ancora di aprire gli occhi del nostro spirito, affinché, conoscendo sempre meglio questo dolce mistero, possiamo più degnamente onorarlo ed applicarlo alla nostra salute".

Testo tratto da: P. Martino de Cochem O.M.C., La Santa Messa, Milano 1937/3, pp. 71-82.
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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27/12/2010 22:25
 
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L'infanzia del Salvatore nel sarcofago siracusano di Adelfia

Il presepio di pietra


 

di Fabrizio Bisconti

Centinaia di sarcofagi paleocristiani rinvenuti nelle necropoli tardoantiche del Mediterraneo sono oggi conservati nei musei archeologici di tutto il mondo, anche se, non sempre, sono opportunamente valorizzati e, anzi, in molti casi sono "nascosti" nei depositi o "confinati" in angoli inaccessibili delle sale espositive. Basti pensare che solo grazie alla grande sensibilità di Antonio Paolucci, attuale direttore dei Musei Vaticani, il Museo Pio Cristiano è sempre aperto al pubblico, mentre, in passato, questa ala dei musei, la più  ricca  al mondo per quanto attiene le antichità cristiane, era difficilmente  accessibile e poco frequentata.

La nuova attenzione per i sarcofagi paleocristiani, sollecitata dagli specialisti, ma anche dai semplici visitatori, che cercano in quelle antiche memorie la ragione profonda della loro fede, ha permesso di esporre al Museo Paolo Orsi in Siracusa uno dei "gioielli" della produzione plastica paleocristiana.


Il sarcofago marmoreo fu scoperto il 12 luglio del 1872 in uno dei cubicoli circolari della catacombe di San Giovanni nella necropoli sicula, in seguito alle indagini condotte da Francesco Saverio Cavallari, allora direttore delle Antichità della Sicilia. L'eco della scoperta si diffuse per tutta la città, tanto è vero che la popolazione accorse per ammirare il prezioso monumento e lo scortò, in una sorta di corteo, sino al Museo di Piazza del Duomo.
L'arca marmorea, del tipo a cassa, con la fronte e l'alzata del coperchio scolpite secondo la tettonica del "fregio continuo", era assai diffusa nel corso del iv secolo e, specialmente, dal tempo dei costantinidi. Tale decorazione dispone, in una sequenza serrata, immagini stralciate dal Vecchio e dal Nuovo testamento, per manifestare, in maniera figurata, quell'unità delle due economie testamentarie, messa in dubbio da alcune frange del pensiero cristiano antico. Non c'è una vera e propria consequenzialità  tra  i  racconti  ispirati alle Sacre Scritture, ridotti a sobrie ed essenziali vignette, che, comunque,  possono  essere  sempre ricondotte al grande tema della salvezza eterna.
La fronte del sarcofago, che mantiene evidenti tracce di policromia, è organizzata in due registri sovrapposti e interrotti da una valva di conchiglia, che accoglie una coppia di sposi in busto, stretti nell'abbraccio coniugale:  la donna veste tunica e palla, è ingioiellata e sontuosamente acconciata; l'uomo porta la corta capigliatura alla "costantiniana" e veste una toga contabulata.


Dei due personaggi conosciamo l'identità, attraverso l'iscrizione incisa nel cartiglio centrale del coperchio:  (H)ic Adelfia c(larissima) f(emina) / posita compar Baleri comitis. Alcuni studiosi hanno identificato il comes Balerius con il Lucius Valerius Arcadius Proculus Populonius, consularis Siciliae negli anni 325-330, ritenuto, peraltro, proprietario della splendida villa di Piazza Armerina. Nell'arca è stata ritrovata la salma della  sola Adelfia, sistemata accuratamente  su una lastra di piombo, forse  per  rallentare  la decomposizione.

Ma torniamo alla decorazione della fronte. Nel registro superiore, muovendosi da sinistra verso destra, si riconoscono le seguenti scene:  la consegna dei simboli del lavoro da parte dei protoparenti (Genesi, 3, 16-19); la negazione di Pietro (Matteo, 26, 34; Marco, 14, 30; Luca, 22, 34; Giovanni, 13, 38); la guarigione dell'emorroissa (Marco, 5, 25-35; Luca, 8, 43-48); Mosè che riceve la legge (Esodo, 19); il sacrificio di Isacco (Genesi, 22, 1-4); la guarigione del cieco (Giovanni, 9, 1-41); la moltiplicazione dei pani e dei pesci (Matteo, 14, 19; Marco, 6, 41; Luca, 9, 16; Giovanni, 6, 1); la resurrezione del figlio della vedova di Naim (Luca, 7, 12-15). Nel registro inferiore si succedono i seguenti episodi:  i tre giovani ebrei di Babilonia (Daniele, 3); l'adorazione dei Magi (Matteo, 2, 1-12); l'ingresso di Cristo in Gerusalemme (Matteo, 21, 1-11); le nozze di Cana (Giovanni, 2, 2-11); il peccato originale (Genesi, 3, 1).
Ma il fregio che più ci interessa e che mostra tratti di grande originalità e qualche problema interpretativo si snoda lungo l'attico del coperchio dove, ai lati dell'iscrizione sorretta da due eroti, di cui si è già detto, si assiste a una sequenza figurativa ispirata all'infantia Salvatoris, peraltro già anticipata dall'adorazione dei Magi scolpita nella cassa.

Tale episodio, appunto, ritorna nel settore destro del coperchio, ma si propone secondo una formula iconografica particolare, associato a una vera e propria scena di presepe:  a destra si riconoscono i Magi che recano i doni al Bambino in fasce, situato in un cesto di vimini sotto ad una tettoia e scaldato dal bue e dall'asino. Quest'ultimo particolare - come è noto - è taciuto dai vangeli, ma sembra attuare le profezie di Isaia (1, 3) e Abacuc (3, 2), rielaborate dagli scritti apocrifi. A destra della tettoia appare uno dei pastori ai quali l'angelo annunciò la nascita del Cristo (Luca, 2, 4-19), mentre la Vergine siede su uno sperone di roccia, avvolta nella palla. Nel lato sinistro del coperchio si svolge un piccolo ciclo mariano, ispirato agli scritti apocrifi dell'infantia Salvatoris, a cominciare dall'annunciazione che  vede Maria mentre attinge acqua con una brocca a una fonte sormontata da una personificazione maschile alla presenza di un angelo privo di ali. Segue una scena di preparazione al matrimonio della Madonna, assistita da due ancelle, mentre un'ultima  scena  vede la Vergine sontuosamente  ammantata e assisa su  un  trono  attorniato da altre donne.
La sequenza, decisamente originale, è stata anche interpretata come un'allusione ciclica alla vita della defunta, ma è molto più probabile che il fregio sia ispirato ai Vangeli apocrifi dello Pseudo Matteo e di Giacomo. È vero che lo scultore del sarcofago, seguendo direttamente i desiderata della committenza, crea un chiaro parallelo tra il cursus vitae di Adelfia e quello di Maria, per dimostrare la devozione della defunta per la Madre di Dio. Se, infatti, l'arte cristiana del tempo è ancora tutta tesa  nell'enucleare il centro cristologico  del pensiero dei fedeli, specialmente  di  quelli  aggiornati dal punto di vista scritturistico, non manca chi delinea le prime coordinate di un'iconografia mariana, che diviene protagonista del mistero dell'Incarnazione, prima ancora che il concilio efesino, negli anni Trenta del iv secolo, elabori il dogma della partenogenesi.

Il sarcofago siracusano di Adelfia, dunque, riveste un ruolo fondamentale in questo naturale e graduale divenire dogmatico e ci presenta le prime dettagliate manifestazioni dell'annunciazione, della natività, dell'adorazione dei Magi, mostrandoci, con il suo fregio continuo, il primo commovente, emozionante e suggestivo presepe di pietra.


(©L'Osservatore Romano - 27-28 dicembre 2010)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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28/12/2010 10:42
 
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Un compleanno festeggiato insieme a Gesù


da Cordialiter:

Qualche tempo fa una carissima lettrice del blog mi ha raccontato come ha “festeggiato” il suo ultimo compleanno. Sentiva un forte desiderio di stare insieme a Gesù, il suo casto “Fidanzato” (come lo chiamava Santa Teresina prima della professione religiosa).

Così si è accordata con una suora sacrestana e ha ottenuto il permesso di stare in chiesa tutto il tempo che voleva per fare compagnia a Gesù buono che spesso se ne sta tutto solo nel tabernacolo, prigioniero del suo amore per noi.

Con tanta gioia si è recata ai piedi del suo amato Redentore per adorarlo e donargli devoti affetti d'amore.

Quando si sta insieme alla persona amata, il tempo sembra volare velocemente, e così ha trascorso in chiesa ben sette ore! Gesù l'ha amata sino alla morte in croce, e lei ha voluto ricambiare stando un po' di tempo insieme a Lui. L'amore con amor si paga.

No, non è noioso visitare il Re del Cielo nascosto sotto le specie eucaristiche, anzi è bello potergli parlare da cuore a cuore per confidargli i propri sentimenti. Questa ragazza è stata felicissima di aver trascorso il suo compleanno insieme a Lui, per lei è stato un giorno meraviglioso ed indimenticabile.

Quando mi ha raccontato questo fatto, non mi sono stupito affatto, poiché sapevo che prossimamente entrerà in un monastero di clausura nel quale si adora a lungo il Santissimo Sacramento, anche con veglie notturne. Da una persona del genere me l'aspettavo, è troppo innamorata. Tra un po' quando sarà nel monastero potrà finalmente vivere insieme al suo amato Gesù, mentre tante altre povere ragazze della sua età continueranno a vivere nel mondo schiave delle passioni e delle vanità che presto svaniranno.

Non vedo l'ora di sapere che ha abbracciato la vita monastica, abbandonando così il mondo nel quale dilaga l'edonismo e il peccato.

Fraternamente CaterinaLD

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28/12/2010 17:38
 
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Il mistero dell'Incarnazione secondo Ireneo di Lione

Una logica della somiglianza



di Luigi Padovese

Che salvezza avrebbe potuto sperare l'uomo se il Salvatore non avesse assunto la sua realtà? E che tipo di speranza avrebbe dovuto nutrire questo uomo se Gesù non gli avesse insegnato come sperare? Il Cristo per Ireneo di Lione diviene l'oggetto e il "maestro della speranza". Ne è l'oggetto proprio attraverso la sua carne terrena.

Difatti "sulla carne del nostro Signore irrompe la luce del padre, e brillando a partire dalla sua carne, viene su di noi, e così l'uomo giunge all'incorruttibilità". E altrove:  "Se non è nato [Cristo], neanche è morto; e se non è morto, neanche è risorto dai morti. E se non è risorto dai morti, neanche ha vinto la morte, e non è stato distrutto il regno di questa; e se non è stata vinta la morte, come ci innalzeremo alla vita noi, sin dall'inizio soggetti alla morte?" Di questa speranza si mostra, poi, il maestro per tutti gli uomini avendo passato le età dell'uomo e quindi fattosi partecipe dell'esperienza d'ognuno. Questa piena condivisione, trova naturalmente delle applicazioni concrete. Nel momento delle tentazioni, ad esempio, non è il Figlio di Dio che vince il demonio, ma il Figlio dell'uomo. "Le sue armi furono, da un lato, la preghiera e la santità di vita, e dall'altro la "parola di Dio" evocata nella sua vera luce per dissipare la frode e docilmente accettata".

Non dovette far ricorso al miracolo:  gli bastò essere docile alla parola del Creatore. Il potere del Verbo gli si lasciò sentire, più che per comunione ipostatica con lui, mediante la fede nella Parola di Dio, norma della propria vita in corpo e anima. Per la stessa ragione, anche nella passione è l'uomo Cristo che, proprio in forza della sua umanità ci insegna a lottare e a vincere il demonio. Il carattere "esemplare" dell'agire di Cristo è messo in evidenza da Ireneo nel testo che segue:  "Se non ha patito davvero, non gli si deve alcuna gratitudine, non essendoci stata la passione. E quando noi dovremo soffrire veramente, apparirà come un impostore esortandoci a porgere anche l'altra guancia, quando si è percossi, se non ha patito veramente egli inganna anche noi esortandoci a sopportare ciò che lui stesso non ha sopportato; e noi saremo al di sopra del maestro, patendo e sopportando ciò che il maestro non ha patito e non ha sopportato".

Resta comunque vero che se Cristo diviene causa esemplare della nostra speranza, non è soltanto in forza della sua umanità. Pertanto "quanti dicono che egli è stato generato da Giuseppe, scrive Ireneo, e hanno speranza in lui, si escludono dal regno". Il motivo di queste parole è evidente:  il Verbo doveva essere uomo per mostrar la bontà della carne da Lui creata e perché il demonio che aveva vinto l'uomo fosse ora sconfitto da un uomo. Al tempo stesso, però, occorreva che fosse Dio a venirci incontro perché "se non fosse stato Lui a donarci la salvezza, non l'avremmo ricevuta stabilmente. E se l'uomo non fosse stato unito a Dio, non avrebbe potuto divenire partecipe della incorruttibilità". Queste considerazioni d'Ireneo approfondiscono quanto s'è affermato prima:  la speranza dell'uomo nasce dall'uomo, ma non da uno qualsiasi bensì da chi "per il suo sovrabbondante amore s'è fatto ciò che siamo noi, per fare di noi ciò che è lui stesso".

Alla luce di queste parole va colto il senso profondo dell'Eucaristia che è una delle "economie parziali" nell'unico piano di salvezza. Per capirne il significato, Ireneo rileva il suo legame con l'incarnazione, poiché tanto in quella che in questa è lo stesso evento che si realizza:  una unione salvifica con Dio operata tramite la carne di Cristo. "Poiché pieno di Spirito Santo, il Cristo è, nel senso più rigoroso del termine un uomo spirituale, e il sacramento che ci fa partecipare alla sua carne ci dà in potere, sotto apparenze terrestri, una realtà celeste:  la sua umanità tutta penetrata dallo Spirito di Dio, divenuta Spirito Vivificante.

Essa ci vivifica. L'uomo non può fare a meno di questo contatto con la carne di Cristo; dev'essere innestato in Lui come l'ulivo selvatico sull'ulivo domestico. Rifiutare questa unione significa condannarsi a essere ulivo secco, infruttuoso. Ciò comporta, infatti, un discostarsi dal modello di uomo perfetto che è Cristo. Da queste considerazioni scaturisce una conseguenza che Ireneo tiene a sottolineare nei testi propriamente eucaristici del Contro le eresie. Se, cioè, l'incontro col Verbo Incarnato dà salvezza, questa abbraccerà tutto l'uomo, non esclusa la carne. Anzi, la salvezza sarà più evidente in quell'elemento dell'uomo che solo è passibile di morte e corruzione:  la carne. "Il Verbo, infatti, non è venuto a santificare le menti, ma gli uomini.
 
La sua missione non fu quella d'innalzare le sole anime alla visione del Padre, bensì gli uomini, facendo la loro carne atta alla visione di Dio". Contro l'obiezione gnostica fondata sull'espressione di Paolo "la carne ed il sangue non possono ereditare il regno di Dio (1 Corinzi, 15, 50), Ireneo risponde osservando che da soli effettivamente non lo possono, ma per il fatto che ricevono il corpo di Cristo e il pegno dello Spirito Santo, essi vengono assimilati a Lui. In quanto membra del corpo di Cristo comunicano alle qualità del medesimo, quindi anche alla sua incorruttibilità. Eppure questa comunicazione o assimilazione, ha luogo progressivamente. Non si tratta già di disprezzare la realtà creata, corpo e anima, ma di conformarsi al modello che Cristo ci offre nella sua carne "pneumatica". E questo processo richiede tempo.
 
In fondo l'Eucaristia rientra nel disegno educativo di Dio che, progressivamente, dispone l'uomo a scegliere Dio, a obbedirgli, a conformarsi a Lui. In questo processo di graduale osmosi tra sostanza divina e umana, va accantonato l'equivoco di ritenere l'incorruttibilità come il risultato d'un processo quasi biologico più meno dipendente dall'incarnazione, una specie di divinizzazione "per contatto", quasi che questo bastasse.

Ireneo rimuove questa falsa interpretazione facendo presente che se "i nostri corpi ricevono l'Eucaristia e non sono più corruttibili perché hanno speranza della resurrezione, occorre che siano anche in grado di produrre frutti spirituali.

A questo punto il nostro discorso si volge allo Spirito Santo. Il senso della sua azione nell'uomo è compendiato da Ireneo in queste parole:  "Dov'è lo Spirito del Padre, lì è l'uomo vivente:  il sangue razionale custodito da Dio per la vendetta e la carne ereditata dallo Spirito, dimentica di sé per aver acquistato la qualità dello Spirito ed essere divenuta conforme al Verbo di Dio". È significativa l'espressione finale "carne conforme al Verbo di Dio". Lo Spirito sarebbe allora presente in noi per conformarci al Verbo di Dio. Questi infatti, quale secondo Adamo, ha realizzato in sé la perfetta somiglianza con Dio che il primo Adamo aveva smarrita. Ma come l'ha realizzata? Se si tiene conto che è lo Spirito l'operatore della "somiglianza", anzi, che Egli stesso è questa "somiglianza" smarrita da Adamo per il peccato, si può dedurre che Cristo lo possedette in pienezza. Dal canto suo l'uomo, conformandosi a Cristo, ripristina il piano originale divenendo pienamente "ad immagine e somiglianza di Dio". Soltanto così torna a essere l'uomo perfetto, perché come Cristo, è costituito di anima, di carne e di Spirito. "Ireneo - afferma G. Joppich - non vede nella nostra unione con lo Spirito Santo il termine dello sviluppo, ma piuttosto l'opera dello Spirito Santo è da intendersi come l'ultima fase del nostro essere trasformati a somiglianza del Lògos".

È per la sua somiglianza che dobbiamo attenderci l'incorruttibilità. Lo Spirito Santo ci dispone a essa; ne è altresì il pegno, il suggello e, in quanto tale, il principio della speranza seminato nel nostro corpo. Argomentando a fortiori, Ireneo dichiara:  "Se fin d'ora, avendo ricevuto il pegno dello Spirito, gridiamo:  "Abba, Padre", che cosa accadrà quando, risuscitati, lo vedremo faccia a faccia, quando tutte le membra faranno zampillare abbondantemente un inno di esultanza, glorificando colui che li avrà risuscitati dai morti e avrà donato loro la vita eterna? Infatti, se già il pegno abbracciando l'uomo da ogni parte in sé stesso, gli fa dire:  "Abba, Padre", che cosa farà la grazia intera dello Spirito, quando sarà data agli uomini da Dio? Ci renderà simili a lui e porterà a compimento la volontà del Padre, perché farà l'uomo a immagine e somiglianza di Dio".

Quest'opera di progressiva assimilazione al Figlio, ovvero questa ricomposizione della somiglianza con Dio che si compie per tappe successive, non termina neppure con la morte, ma anzi continua in quel regno messianico che, secondo Ireneo, si pone tra la resurrezione e il giudizio finale. Lo scopo di questo regno è quello di preparare gli uomini, gradualmente, a ricevere l'incorruttibilità che proviene dalla visione di Dio. In esso, dunque, Cristo porterà a compimento il senso dell'incarnazione, quello cioè di adattare gli uomini al Padre perché Egli comunichi a essi la sua incorruttibilità. Essere "incorruttibili" significa allora partecipare alla natura di Dio. Ma tutto ciò è opera di Dio. L'uomo deve soltanto lasciar fare, non sottrarsi. In tal caso egli sarà sempre discepolo e Dio sempre maestro. Per questa ragione, secondo Ireneo, il trinomio fede/speranza/carità, inteso come espressione di dipendenza, non cesserà mai, nemmeno nell'altra vita. Conseguentemente l'incorruttibilità che Ireneo addita come il fine del cammino umano, non va intesa come una partecipazione "statica" alla vita di Dio, quasi che egli ce la conferisca una tantum.

Essa, piuttosto, proprio perché è vita, è partecipazione "dinamica" all'essere divino. Per questa ragione la speranza in Dio non verrà mai meno perché sempre aspetteremo che Egli, attingendo alla pienezza del suo essere, ci stupisca con doni sempre più grandi. "Speriamo - scrive Ireneo - di ricevere e di imparare qualcosa di più da Dio, poiché è buono e ha infinite ricchezze e un regno senza limiti e una sapienza immensa". Stando dunque a quanto s'è venuto dicendo, la speranza, per Ireneo, non sfocia in un "compimento" che la rende inutile.
Essa è invece una virtù "dinamica" perché da un lato poggia sul continuo divenire dell'uomo e dall'altro sulla realtà effusiva di Dio che mai cesserà "di distribuire al genere umano in misura sempre maggiore la sua grazia e onorare continuamente con doni sempre più grandi coloro che gli piacciono".

La spiritualità d'Ireneo si configura, dunque, come spiritualità attenta all'uomo concreto, alla sua carne. Proprio per questa ragione è una spiritualità ricca di speranza.


(©L'Osservatore Romano - 29 dicembre 2010)

Fraternamente CaterinaLD

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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31/12/2010 12:08
 
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In attesa di aggiornare le meditazioni con l'omelia che il Papa pronuncierà domani, nel primo giorno dell'Anno, vi proponiamo quella dell'Anno appena trascorso.....

                                      Maria Madre di Dio




SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
XLIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Venerdì, 1° gennaio 20
10

(Video)
Immagini della celebrazione

  

Venerati Fratelli,
illustri Signori e Signore,
cari fratelli e sorelle
!

Nel primo giorno del nuovo anno abbiamo la gioia e la grazia di celebrare la Santissima Madre di Dio e, al tempo stesso, la Giornata Mondiale della Pace. In entrambe le ricorrenze celebriamo Cristo, Figlio di Dio, nato da Maria Vergine e nostra vera pace! A tutti voi, che siete qui convenuti: Rappresentanti dei popoli del mondo, della Chiesa romana e universale, sacerdoti e fedeli; e a quanti sono collegati mediante la radio e la televisione, ripeto le parole dell’antica benedizione: il Signore rivolga a voi il suo volto e vi conceda la pace (cfr Nm 6,26). Proprio il tema del Volto e dei volti vorrei sviluppare oggi, alla luce della Parola di Dio - Volto di Dio e volti degli uomini - un tema che ci offre anche una chiave di lettura del problema della pace nel mondo.

Abbiamo ascoltato, sia nella prima lettura – tratta dal Libro dei Numeri – sia nel Salmo responsoriale, alcune espressioni che contengono la metafora del volto riferita a Dio: “Il Signore faccia risplendere per te il suo volto / e ti faccia grazia” (Nm 6,25); “Dio abbia pietà di noi e ci benedica, / su di noi faccia splendere il suo volto; / perché si conosca sulla terra la tua via, / la tua salvezza fra tutte le genti” (Sal 66/67,2-3). Il volto è l’espressione per eccellenza della persona, ciò che la rende riconoscibile e da cui traspaiono sentimenti, pensieri, intenzioni del cuore. Dio, per sua natura, è invisibile, tuttavia la Bibbia applica anche a Lui questa immagine. Mostrare il volto è espressione della sua benevolenza, mentre il nasconderlo ne indica l’ira e lo sdegno. Il Libro dell’Esodo dice che “il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico” (Es 33,11), e sempre a Mosè il Signore promette la sua vicinanza con una formula molto singolare: “Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo” (Es 33,14). I Salmi ci mostrano i credenti come coloro che cercano il volto di Dio (cfr Sal 26/27,8; 104/105,4) e che nel culto aspirano a vederlo (cfr Sal 42,3), e ci dicono che “gli uomini retti” lo “contempleranno” (Sal 10/11,7).
 

Tutto il racconto biblico si può leggere come progressivo svelamento del volto di Dio, fino a giungere alla sua piena manifestazione in Gesù Cristo. “Quando venne la pienezza del tempo – ci ha ricordato anche oggi l’apostolo Paolo – Dio mandò il suo Figlio” (Gal 4,4). E subito aggiunge: “nato da donna, nato sotto la legge”. Il volto di Dio ha preso un volto umano, lasciandosi vedere e riconoscere nel figlio della Vergine Maria, che per questo veneriamo con il titolo altissimo di “Madre di Dio”. Ella, che ha custodito nel suo cuore il segreto della divina maternità, è stata la prima a vedere il volto di Dio fatto uomo nel piccolo frutto del suo grembo. La madre ha un rapporto tutto speciale, unico e in qualche modo esclusivo con il figlio appena nato. Il primo volto che il bambino vede è quello della madre, e questo sguardo è decisivo per il suo rapporto con la vita, con se stesso, con gli altri, con Dio; è decisivo anche perché egli possa diventare un “figlio della pace” (Lc 10,6). Tra le molte tipologie di icone della Vergine Maria nella tradizione bizantina, vi è quella detta “della tenerezza”, che raffigura Gesù bambino con il viso appoggiato – guancia a guancia – a quello della Madre. Il Bambino guarda la Madre, e questa guarda noi, quasi a riflettere verso chi osserva, e prega, la tenerezza di Dio, discesa in Lei dal Cielo e incarnata in quel Figlio di uomo che porta in braccio.

In questa icona mariana noi possiamo contemplare qualcosa di Dio stesso: un segno dell’amore ineffabile che lo ha spinto a “dare il suo figlio unigenito” (Gv 3,16). Ma quella stessa icona ci mostra anche, in Maria, il volto della Chiesa, che riflette su di noi e sul mondo intero la luce di Cristo, la Chiesa mediante la quale giunge ad ogni uomo la buona notizia: “Non sei più schiavo, ma figlio” (Gal 4,7) – come leggiamo ancora in san Paolo.

Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, Signori Ambasciatori, cari amici! Meditare sul mistero del volto di Dio e dell’uomo è una via privilegiata che conduce alla pace.

Questa, infatti, incomincia da uno sguardo rispettoso, che riconosce nel volto dell’altro una persona, qualunque sia il colore della sua pelle, la sua nazionalità, la sua lingua, la sua religione. Ma chi, se non Dio, può garantire, per così dire, la “profondità” del volto dell’uomo? In realtà, solo se abbiamo Dio nel cuore, siamo in grado di cogliere nel volto dell’altro un fratello in umanità, non un mezzo ma un fine, non un rivale o un nemico, ma un altro me stesso, una sfaccettatura dell’infinito mistero dell’essere umano. La nostra percezione del mondo e, in particolare, dei nostri simili, dipende essenzialmente dalla presenza in noi dello Spirito di Dio. E’ una sorta di “risonanza”: chi ha il cuore vuoto, non percepisce che immagini piatte, prive di spessore. Più, invece, noi siamo abitati da Dio, e più siamo anche sensibili alla sua presenza in ciò che ci circonda: in tutte le creature, e specialmente negli altri uomini, benché a volte proprio il volto umano, segnato dalla durezza della vita e dal male, possa risultare difficile da apprezzare e da accogliere come epifania di Dio. A maggior ragione, dunque, per riconoscerci e rispettarci quali realmente siamo, cioè fratelli, abbiamo bisogno di riferirci al volto di un Padre comune, che tutti ci ama, malgrado i nostri limiti e i nostri errori.

Fin da piccoli, è importante essere educati al rispetto dell’altro, anche quando è differente da noi. Ormai è sempre più comune l’esperienza di classi scolastiche composte da bambini di varie nazionalità, ma anche quando ciò non avviene, i loro volti sono una profezia dell’umanità che siamo chiamati a formare: una famiglia di famiglie e di popoli. Più sono piccoli questi bambini, e più suscitano in noi la tenerezza e la gioia per un’innocenza e una fratellanza che ci appaiono evidenti: malgrado le loro differenze, piangono e ridono nello stesso modo, hanno gli stessi bisogni, comunicano spontaneamente, giocano insieme… I volti dei bambini sono come un riflesso della visione di Dio sul mondo. Perché allora spegnere i loro sorrisi? Perché avvelenare i loro cuori?
 
Purtroppo, l’icona della Madre di Dio della tenerezza trova il suo tragico contrario nelle dolorose immagini di tanti bambini e delle loro madri in balia di guerre e violenze: profughi, rifugiati, migranti forzati. Volti scavati dalla fame e dalle malattie, volti sfigurati dal dolore e dalla disperazione. I volti dei piccoli innocenti sono un appello silenzioso alla nostra responsabilità: di fronte alla loro condizione inerme, crollano tutte le false giustificazioni della guerra e della violenza. Dobbiamo semplicemente convertirci a progetti di pace, deporre le armi di ogni tipo e impegnarci tutti insieme a costruire un mondo più degno dell’uomo.

Il mio Messaggio per l’odierna XLIII Giornata Mondiale della Pace: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”, si pone all’interno della prospettiva del volto di Dio e dei volti umani. Possiamo, infatti, affermare che l’uomo è capace di rispettare le creature nella misura in cui porta nel proprio spirito un senso pieno della vita, altrimenti sarà portato a disprezzare se stesso e ciò che lo circonda, a non avere rispetto dell’ambiente in cui vive, del creato. Chi sa riconoscere nel cosmo i riflessi del volto invisibile del Creatore, è portato ad avere maggiore amore per le creature, maggiore sensibilità per il loro valore simbolico. Specialmente il Libro dei Salmi è ricco di testimonianze di questo modo propriamente umano di relazionarsi con la natura: con il cielo, il mare, i monti, le colline, i fiumi, gli animali… “Quante sono le tue opere, Signore! – esclama il Salmista – / Le hai fatte tutte con saggezza; / la terra è piena delle tue creature” (Sal 104/103,24).

In particolare, la prospettiva del “volto” invita a soffermarsi su quella che, anche in questo Messaggio, ho chiamato “ecologia umana”. Vi è infatti un nesso strettissimo tra il rispetto dell’uomo e la salvaguardia del creato. “I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri” (ivi, 12). Se l’uomo si degrada, si degrada l’ambiente in cui vive; se la cultura tende verso un nichilismo, se non teorico, pratico, la natura non potrà non pagarne le conseguenze. Si può, in effetti, constatare un reciproco influsso tra volto dell’uomo e “volto” dell’ambiente: “quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio” (ibid.; cfr Enc. Caritas in veritate, 51). Rinnovo, pertanto, il mio appello ad investire sull’educazione, proponendosi come obiettivo, oltre alla necessaria trasmissione di nozioni tecnico-scientifiche, una più ampia e approfondita “responsabilità ecologica”, basata sul rispetto dell’uomo e dei suoi diritti e doveri fondamentali. Solo così l’impegno per l’ambiente può diventare veramente educazione alla pace e costruzione della pace.

Cari fratelli e sorelle, nel Tempo di Natale ricorre un Salmo che contiene, tra l’altro, anche un esempio stupendo di come la venuta di Dio trasfiguri il creato e provochi una specie di festa cosmica. Questo inno inizia con un invito universale alla lode: “Cantate al Signore un canto nuovo, / cantate al Signore, uomini di tutta la terra. / Cantate al Signore, benedite il suo nome” (Sal 95/96,1). Ma a un certo punto questo appello all’esultanza si estende a tutto il creato: “Gioiscano i cieli, esulti la terra, / risuoni il mare e quanto racchiude; / sia in festa la campagna e quanto contiene, / acclamino tutti gli alberi della foresta” (vv. 11-12).
La festa della fede diventa festa dell’uomo e del creato: quella festa che a Natale si esprime anche mediante gli addobbi sugli alberi, per le strade, nelle case. Tutto rifiorisce perché Dio è apparso in mezzo a noi. La Vergine Madre mostra il Bambino Gesù ai pastori di Betlemme, che gioiscono e lodano il Signore (cfr Lc 2,20); la Chiesa rinnova il mistero per gli uomini di ogni generazione, mostra loro il volto di Dio, perché, con la sua benedizione, possano camminare sulla via della pace.


************************************************************


si legga anche:

Celebrazioni Liturgiche del Papa nel Tempo di Avvento e Natale fino all'Epifania 2010/2011

ed anche:



CELEBRAZIONE DEI VESPRI E DEL TE DEUM DI RINGRAZIAMENTO
PER LA FINE DELL’ANNO

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Giovedì, 31 dicembre 2009

(Video)

  

Cari fratelli e sorelle!

Al termine di un anno ricco di eventi per la Chiesa e per il mondo, ci ritroviamo questa sera nella Basilica Vaticana per celebrare i Primi Vespri della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e per elevare un inno di ringraziamento al Signore del tempo e della storia.

Sono, anzitutto, le parole dell’apostolo Paolo, che abbiamo poc’anzi ascoltato, a gettare una luce particolare sulla conclusione dell’anno: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna…perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5).

Il denso brano paolino ci parla della “pienezza del tempo” e ci illumina sul contenuto di tale espressione. Nella storia della famiglia umana, Dio ha voluto introdurre il suo Verbo eterno, facendogli assumere un’umanità come la nostra. Con l’incarnazione del Figlio di Dio, l’eternità è entrata nel tempo, e la storia dell’uomo si è aperta al compimento nell’assoluto di Dio. Il tempo è stato - per così dire - “toccato” da Cristo, il Figlio di Dio e di Maria, e da lui ha ricevuto significati nuovi e sorprendenti: è diventato tempo di salvezza e di grazia. Proprio in questa prospettiva dobbiamo considerare il tempo dell’anno che si chiude e di quello che inizia, per porre le più diverse vicende della nostra vita - importanti o piccole, semplici o indecifrabili, gioiose o tristi - sotto il segno della salvezza ed accogliere la chiamata che Dio ci rivolge per condurci verso una meta che è oltre il tempo stesso: l’eternità.

Il testo paolino vuole anche sottolineare il mistero della vicinanza di Dio all’intera umanità. E’ la vicinanza propria del mistero del Natale: Dio si fa uomo e all’uomo viene data l’inaudita possibilità di essere figlio di Dio. Tutto questo ci riempie di gioia grande e ci porta ad elevare la lode a Dio. Siamo chiamati a dire con la voce, il cuore e la vita il nostro “grazie” a Dio per il dono del Figlio, fonte e compimento di tutti gli altri doni con i quali l’amore divino colma l’esistenza di ciascuno di noi, delle famiglie, delle comunità, della Chiesa e del mondo. Il canto del Te Deum, che oggi risuona nelle Chiese di ogni parte della terra, vuole essere un segno della gioiosa gratitudine che rivolgiamo a Dio per quanto ci ha offerto in Cristo. Davvero «dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» (Gv 1,16).

Seguendo una felice consuetudine, questa sera vorrei insieme con voi ringraziare il Signore, in particolare, per le grazie sovrabbondanti elargite alla nostra comunità diocesana di Roma nel corso dell’anno che volge al termine. Desidero rivolgere, innanzitutto, un particolare saluto al Cardinale Vicario, ai Vescovi Ausiliari, ai sacerdoti, alle persone consacrate, come pure ai tanti fedeli laici qui convenuti. Saluto, altresì, con deferente cordialità il Signor Sindaco e le Autorità presenti. Il mio pensiero si estende poi a chiunque vive nella nostra Città, in particolare a quanti si trovano in situazioni di difficoltà e di disagio: a tutti e a ciascuno assicuro la mia vicinanza spirituale, avvalorata dal costante ricordo nella preghiera.

Per quanto riguarda il cammino della Diocesi di Roma, rinnovo il mio apprezzamento per la scelta pastorale di dedicare tempo ad una verifica dell’itinerario percorso, al fine di accrescere il senso di appartenenza alla Chiesa e favorire la corresponsabilità pastorale. Per sottolineare l’importanza di questa verifica, anch’io ho voluto offrire il mio contributo, intervenendo, nel pomeriggio del 26 maggio scorso, al Convegno diocesano in San Giovanni in Laterano. Mi rallegro perché il programma della diocesi sta procedendo positivamente con una capillare azione apostolica, che viene svolta nelle parrocchie, nelle prefetture e nelle varie aggregazioni ecclesiali su due ambiti essenziali per la vita e la missione della Chiesa, quali la celebrazione dell’Eucaristia domenicale e la testimonianza della carità. Desidero incoraggiare i fedeli a partecipare numerosi alle assemblee che si svolgeranno nelle varie parrocchie, così da poter offrire un valido contributo all’edificazione della Chiesa. Ancora oggi il Signore vuole far conoscere il suo amore per l’umanità agli abitanti di Roma ed affida a ciascuno, nella diversità dei ministeri e delle responsabilità, la missione di annunciare la sua parola di verità e di testimoniare la carità e la solidarietà.

Solo contemplando il mistero del Verbo incarnato, l’uomo può trovare la risposta ai grandi interrogativi dell’esistenza umana e scoprire così la verità sulla propria identità. Per questo la Chiesa, in tutto il mondo e anche qui, nell’Urbe, è impegnata a promuovere lo sviluppo integrale della persona umana. Ho appreso, pertanto, con favore la programmazione di una serie di “incontri culturali in Cattedrale”, che avranno come tema la mia recente Enciclica Caritas in veritate.

Da diversi anni tante famiglie, numerosi insegnanti e le comunità parrocchiali si dedicano ad aiutare i giovani a costruire il loro futuro su solide fondamenta, in particolare sulla roccia che è Gesù Cristo. Auspico che questo rinnovato impegno educativo possa sempre più realizzare una feconda sinergia fra la comunità ecclesiale e la città per aiutare i giovani a progettare la propria vita. Formulo voti, altresì, che un prezioso contributo in questo importante ambito possa scaturire dal Convegno promosso dal Vicariato e che si terrà nel prossimo mese di marzo.

Per essere testimoni autorevoli della verità sull’uomo è necessario un ascolto orante della Parola di Dio. A questo proposito, desidero soprattutto raccomandare l’antica tradizione della lectio divina. Le parrocchie e le diverse realtà ecclesiali, anche grazie al sussidio preparato dal Vicariato potranno utilmente promuovere questa antica pratica, in modo che essa diventi parte essenziale della pastorale ordinaria.

La Parola, creduta, annunciata e vissuta ci spinge a comportamenti di solidarietà e di condivisione. Nel lodare il Signore per l’aiuto che le comunità cristiane hanno saputo offrire con generosità a quanti hanno bussato alle loro porte, desidero incoraggiare tutti a proseguire nell’impegno di alleviare le difficoltà in cui versano ancora oggi tante famiglie provate dalla crisi economica e dalla disoccupazione. Il Natale del Signore, che ci ricorda la gratuità con la quale Dio è venuto a salvarci, facendosi carico della nostra umanità e donandoci la sua vita divina, possa aiutare ogni uomo di buona volontà a comprendere che solo aprendosi all’amore di Dio l’agire umano cambia, si trasforma, diventando lievito di un futuro migliore per tutti.

Cari fratelli e sorelle, Roma ha bisogno di sacerdoti che siano annunciatori coraggiosi del Vangelo e, allo stesso tempo, rivelino il volto misericordioso del Padre. Invito i giovani a non avere paura di rispondere con il dono completo della propria esistenza alla chiamata che il Signore rivolge loro a seguirlo nella via del sacerdozio o della vita consacrata.

Auspico, fin d’ora, che l’incontro del 25 marzo prossimo, 25° anniversario dell’istituzione della Giornata Mondiale della Gioventù e 10° anniversario di quella, indimenticabile, di Tor Vergata, costituisca per tutte le comunità parrocchiali e religiose, i movimenti e le associazioni un momento forte di riflessione e di invocazione per ottenere dal Signore il dono di numerose vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata.

Mentre ci congediamo dall’anno che si conclude e ci avviamo verso il nuovo, la liturgia odierna ci introduce nella Solennità di Maria Santissima, Madre di Dio.

La Vergine Santa è Madre della Chiesa e madre di ciascuno dei suoi membri, cioè Madre di ciascuno di noi, in Cristo. Chiediamo a Lei di accompagnarci con la sua premurosa protezione oggi e sempre, perché Cristo ci accolga un giorno nella sua gloria, nell’assemblea dei Santi:
 Aeterna fac cum sanctis tuis in gloria numerari.
Amen!


Pope Benedict XVI celebrates the First Vespers and Te Deum prayers in Saint Peter's Basilica at the Vatican December 31, 2009.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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GLI AGGIORNAMENTI, annunciati al messaggio precedente questo, DEI TESTI E FOTO DEL PAPA PER LA MESSA E L'ANGELUS DEL PRIMO GENNAIO 2011, LI TROVATE QUI:

Celebrazioni Liturgiche del Papa nel Tempo di Avvento e Natale fino all'Epifania 2010/2011



Pope Benedict XVI looks on as he leads his first mass of the New Year in Saint Peter's Basilica at the Vatican January 1, 2011. Pope Benedict said on Saturday he will host a summit of world religious leaders in the city of Assisi in October to discuss how they can promote world peace.



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S. Alfonso Maria de Liguori - Esempi di Gesù Bambino (1)




Esempio I.

Si narra nel Prato Fiorito, cap. 40 [1], che una donna divota desiderava sapere quali anime fossero a Gesù più care; un giorno stando a sentire la Messa, nell'elevarsi la sacra ostia, vide Gesù bambino sull'altare ed insieme con lui tre verginelle. Gesù prese la prima e le fece molte carezze. Andò alla seconda, e toltole dalla faccia il velo, le diè una gran guanciata e voltò le spalle; ma tra poco vedendola rattristata, il Fanciullo con finezze d'affetto la consolò. Si accostò in fine alla terza, la prese quasi adirato per un braccio, la percosse e la cacciò da sé; ma la verginella quanto più vedevasi straziata e discacciata, tanto più si umiliava e gli andava appresso; e cosi finì la visione. Essendo poi rimasta quella divota con gran desiderio di sapere il significato di ciò, le apparve di nuovo Gesù e le disse ch'egli tiene in terra tre sorte d'anime che l'amano. Alcune l'amano, ma il loro amore è così debole, che se non sono accarezzate con gusti spirituali, s'inquietano e stanno in pericolo di voltargli le spalle: e di ciò era stata figura la prima verginella. Nella seconda poi le avea figurate quell'anime che l'amano con amore men debole, ma che han bisogno di essere da quando in quando consolate. La terza poi era figura di quell'anime più forti, che benché sempre desolate e prive di consolazioni spirituali, non lasciano di far quanto possono per compiacerlo; e queste disse ch'erano le anime a lui più dilette.

ESEMPIO II.

Riferisce il Padre Cagnolio (in Conc. Nativ.) appresso il P. Patrign. (Corona d'esempi ecc.) [2] che una religiosa dopo molti peccati giunse a questo eccesso: comunicatasi un giorno, si trasse dalla bocca la sacra particola, la pose in un fazzoletto e poi chiusasi in una cella buttò in terra il Sacramento e si pose a calpestarlo. Cala poi gli occhi e che vede? vede l'ostia cangiata in forma d'un vago bambino, ma tutto pesto e intriso di sangue che le disse: E che t'ho fatt'io che cosi mi maltratti? Allora la meschina ravveduta e pentita, piangendo si buttò genuflessa e gli disse: Ah mio Dio, mi dimandi che m'hai fatto? m'hai troppo amata. Sparì la visione ed ella in tutto mutata diventò un esempio di penitenza.

ESEMPIO III.

Nelle Cronache Cisterciensi (die 24 nov.) [3] si porta che viaggiando nella notte di Natale un certo monaco del Brabante, nel passare per una selva sentì un gemito come di bambino di fresco nato; si accostò verso dove sentiva la voce, e vide un bel fanciullo in mezzo alla neve che tutto tremante di freddo piangeva. Mosso a compassione il religioso, intenerito smontò subito da cavallo, ed accostatosi al fanciullo, disse: O figliuolo mio, come ti trovi così abbandonato in questa neve a piangere e morire? Ed allora intese rispondersi: Ohimè, e come posso non piangere, mentre mi vedo così abbandonato da tutti, e vedo che niuno m'accoglie né ha compassione di me? E ciò detto disparve, dandoli [4] ad intendere ch'egli era il Redentore che con tal visione volle rimproverare l'ingratitudine degli uomini, i quali, vedendolo nato in una grotta per loro amore, lo lasciano a piangere senza neppur compatirlo.

ESEMPIO IV.

Si narra dal Bollando (die 6 martii)[5] che un giorno comparve Maria SS. alla B. Colletta mentre quella la pregava ad intercedere per li peccatori; e dandole a vedere come in un bacile il suo Figlio bambino lacerato e trinciato a pezzi, le disse: Figlia mia, compatisci me e 'l mio Figlio; mira come lo trattano i peccatori.


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[1] Prato fiorito di vari esempi, lib. 3, cap. 40. Opera di Fra Valerio, cappuccino veneto, dice il Melzi, nel suo Dizionario di opere anonime e pseudonime di Scrittori italiani, v. Ballardini. - Nel Prato fiorito, il racconto comincia così: «Leggesi nello Specchio Historiale..», cioè Speculum historiale Fr. VINCENTII BELLOVACENSIS, O. P.

[2] Giuseppe Antonio PATRIGNANI, S. I., La Santa Infanzia del Figliuolo di Dio, tomo IV: Quattro corone di esempi, ovvero Finezze amorose del SS. Bambino Gesù: corona 4, esempio 13. Il Patrignani cita: P. Cagnolius, in concione Nativitatis, cioè, a quanto pare, Giovampaolo Cagnoli, Prediche morali e panegiriche.

[3] Cronache Cisterciensi, al 24 di dicembre.

[4] La I ed. di Nap. e quella veneta del 1760: dandosi; Napoli, 1773: dandoli; Venezia, 1779: dandoci.

[5] Acta Sanctorum Bollandiana, die 6 martii: Vita B. Coletae, auctore PETRO A VALLIBUS sive a Remis, ipsius Beatae confessario, latine reddita a Stephano Iuliano, Ord. Min., cap. 10, n. 84. - Ibid.: Sororis Petrinae de Balma, eiusdem Beatae sociae, Summarium virtutum et miraculorum B. Coletae, cap. 3, n. 34. - «Matri praedictae ferventer deprecanti Virginem gloriosissimam Matrem Domini Salvatoris, quatenus intercedere dignaretur apud suum carissimum Filium, ut ipse misericorditer parceret suo populo pauperrimo: praesentatus ibidem sibi fuit quidam discus, parvis petiis carnium, quasi forent unius infantis parvuli, repletus, cum responsione per modum qui sequitur: «Quomodo requiram ego Filium carissimum pro talibus, qui quotidie per offensas, iniurias et horrenda peccata commissa, quantum in ipsis est, ipsum minutius dilaniant, quam hae carnes quas in hoc vasculo conspicis, fuerant dilaniatae?» Propter quod longo tempore pertulit in corde suo grandem tristitiam et dolorem.» Vita, auctore Petro a Vallibus, l. c. - La canonizzazione di S. Coletta, decretata nel 1790, fu solennizzata nel 1807






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GLI AGGIORNAMENTI, annunciati al messaggio precedente questo, DEI TESTI E FOTO DEL PAPA PER LA MESSA E L'ANGELUS DEL PRIMO GENNAIO 2011, LI TROVATE QUI:

Celebrazioni Liturgiche del Papa nel Tempo di Avvento e Natale fino all'Epifania 2010/2011

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                                                                 Epifania




A Gesù Bambino adorato dai Magi

Amabile Bambino, benchè io vi miri in questa spelonca giacere sulla paglia sì povero e disprezzato, ch'eppur siete appena Nato, la fede della santa Chiesa m'insegna che Voi siete il mio Signore e il mio Dio, disceso dal Cielo per la mia salute.
Vi riconosco adunque e vi confesso per mio Signore e Salvatore, ma non ho di chè offrirVi!
Non ho oro di amore perchè mentre ho amato le creature, l'ho fatto coi miei capricci e non per amor Vostro, degno d'essere amato al di sopra d'ogni cosa e creatura.
Non ho incenso di orazione, poichè son vissuto trascurando la sacralità della santa Messa, i divini Sacramenti, la silenziosa adorazione davanti al santissimo Sacramento.
Non ho mirra di mortificazione, perchè mai mi son privato di piaceri mondani, tanto meno praticai la virtù del pudore, della mortificazione, dell'obbedienza alle Tue Leggi, chè non privandomi dei miei piaceri quante volte ho disgustato la Vostra ineffabile bontà!
Che cosa dunque potrò mai offrirTi?
Gesù mio, ho solo da donarti questo mio misero cuore, tutti i miei difetti, tutti i miei falliti propositi: accettate questo miserevole scrigno immondo e mutatelo, rendetelo Voi prezioso e splendente, purificatelo!


In fondo è per questo che Voi siete disceso dal Cielo, col Vostro prezioso Sangue avete lavato questo sudicio scrigno, e il Vostro desiderio è proprio quello di salvare le nostre anime!
Datemi dunque Voi questo oro prezioso dell'amore vero, dell'Amor Vostro;
datemi Voi l'incenso della santa orazione e del senso autentico del sacro;
datemi Voi la mirra della vera umiltà, della mortificazione, il senso del disgusto dei miei peccati, la passione del pudore e la compassione di voler vivere e testimoniare tutti i Vostri santi Comandamenti.
Davanti a questa Culla prodigiosa, depongo ai Vostri piedi e nel Cuore della santa Vergine che Vi nutrì nel suo immacolato grembo, ogni santo proposito, ma Voi, che ben conoscete i miei limiti e miei difetti, la mia fragilità, la debolezza nel mantenermi fedele, datemi la grazia di esserVi fedele, non permettete alle mie scellerate passioni di offenderVi ancora.
Vergine Santissima,
a voi con immensa sollecitudine mi rivolgo, a Voi che accoglieste e consolaste con tanto affetto i Magi ai quali porgeste il Divino Pargolo da adorare, accogliete con la medesima sollecitudine anche me, misero peccatore.
Consolatemi in questa visita mentre vengo con santi propositi ad offrirmi al vostro divin Figlio, fate che io possa riceverlo dalle vostre mani pure ed immacolate.
Madre mia, nella vostra intercessione io assai confido; vi consegno l'anima mia, la mia volontà, siate voi a legarla per sempre nel vostro Cuore e nel Cuore amabilissimo di Gesù, mio Signore e mio Dio.
Così sia

(19 dicembre 1907 Preghiera con Imprimatur da recitarsi con santa devozione durante il periodo di Natale e specialmente durante l'Epifania di Nostro Signore. Vi è concessa l'Indulgenza semplice a chiunque formulerà questa Preghiera in un Triduo di preparazione alla Festa liturgica del 6 gennaio, perseguendo la santa Confessione, ricevendo la santa Eucarestia, recitando il Credo e pregando secondo le intenzioni del Sommo Pontefice)

***



Spiritualmente con il cuore a Betlemme
"Venimus et vidimus..." (Matteo 2, 5 )

Noi troviamo in queste parole i caratteri che la fede della santa Chiesa ci trasmette:
semplicità, costanza, generosità.

Semplicità della fede dei Magi.
Nell'atto pronto di partire, malgrado ogni ostacolo, i Magi, vedendo la Stella, con semplicità si misero in viaggio. E' il trionfo della Fede sopra ogni vana ed orgogliosa mente!

Costanza della loro fede
.
Mentrechè i Magi si avvicinavano verso Gerusalemme, ecco che ad un tratto la Stella perde il suo splendore. Che dura prova dev'essere stata per loro! E non si scoraggiarono; essi vanno a Betlemme a cercare il Messia, nulla e nessuno può oscurare il loro ardente desiderio! Seconda vittoria dei Magi, trionfo di una fede costante nonostante le difficoltà e le tenebre.

Generosità verso Dio.
La Stella alfine li conduce davanti ad una semplice grotta, una stalla e cosa vi trovano? "un bambino avvolto in panni, in una mangiatoia", oh! quale prodigio è mai questo? Quale stupore dovette investire i Magi poichè nulla in apparenza, in questo Bambino, rivelava un Dio!
A tal vista essi esclamarono senza dubbio nel cuore: "E' Lui il Messia che attendavamo, Eccolo!" e nel medesimo incontro fatto solo di SILENZI E SGUARDI, di contemplazione e ammirazione, ecco la Madre porgere ad essi il Divino Bambino perchè lo adorassero, ed essi, sempre in questo prodigioso silenzio che parla più di mille trattati, depongono ai suoi piedi i preziosi Doni: oro, incenso, mirra, i doni che si fanno ad un Re.

Quale vergogna dovremmo provare noi, e quanta confusione per noi se paragoniamo la generosità, la costanza della loro fede e la stessa semplicità nel perseguirla, colle nostre distrazioni e vanità, colla nostra sfiducia, colla nostra avarizia verso Dio!
Oh! cristiani, deh ridestiamo la nostra fede, ridestiamo la nostra generosità verso Dio, se siamo oggi qui a ricordar il santo Natale, ciò è vero perchè il Verbo si fece davvero carne e venne ad abitare in mezzo a noi!
Portiamo un pò di oro fatto con le nostre rinunce al peccato;
portiamoGli l'incenso delle nostre orazioni;
portiamoGli la mirra delle nostre mortificazioni,
Egli accoglierà questi doni, raddolcirà le nostre amerezze e guarirà le nostre imperfezioni e ci ricompenserà per i tanti sacrifici, perchè per questo è venuto nel mondo, per donarci Lui, in pienezza, la corona dell'eternità!

(2 gennaio 1898, con Imprimatur)


Buona Epifania di Nostro Signore Gesù Cristo


Fraternamente CaterinaLD

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Come è da tradizione, alla Messa dell'Epifania di Nostro Signore viene ANNUNCIATO IL CALENDARIO LITURGICO DELLA PASQUA nel Nuovo Anno....

queste le date:

Annunzio del giorno della Pasqua

Il Diacono:

Noveritis, fratres carissimi,

quod annuente Dei misericordia,

sicut de Nativitate Domini

nostri Iesu Christi gavisi

sumus, ita et de Resurrectione

eiusdem Salvatoris nostri

gaudium vobis annuntiamus.

Sappiate, fratelli carissimi, che,

con il favore della misericordia

di Dio, come ci siamo rallegrati

per la Nascita del nostro

Signore Gesù Cristo, così

vi annunciamo la gioia della Risurrezione

dello stesso nostro

Salvatore.

Die nona martii erit dies Cinerum,

et initium ieiunii sacratissimæ

Quadragesimæ.

Il 9 marzo sarà il giorno delle

Ceneri, inizio del digiuno della

sacra Quaresima.

Die vicesima quarta aprilis sanctum

Pascha Domini nostri Iesu

Christi cum gaudio celebrabitis.

Il 24 aprile celebreremo con

gioia la Santa Pasqua del nostro

Signore Gesù Cristo;

Die secunda iunii erit Ascensio

Domini nostri Iesu Christi.

il 2 giugno, l’Ascensione del Signore;

Die duodecima iunii sollemnitas

Pentecostes.

il 12 giugno, la solennità di Pentecoste;

Die vicesima tertia iunii sanctissimi

Corporis et Sanguinis

Christi.

il 23 giugno, la solennità del

Santissimo Corpo e Sangue di

Cristo.

Die vicesima septima novembris

Dominica prima Adventus Domini

nostri Iesu Christi, cui est

honor et gloria, in sæcula sæculorum.

Amen.

Il 27 novembre sarà la prima

Domenica dell’Avvento del Signore

nostro Gesù Cristo: a lui

sia onore e gloria nei secoli dei

secoli.
Amen.



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CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DELLA EPIFANIA DEL SIGNORE, 06.01.2011

Alle ore 10 di oggi, Solennità dell’Epifania del Signore, il Santo Padre Benedetto XVI celebra la Santa Messa nella Basilica Vaticana.
Riportiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa pronuncia dopo la proclamazione del Santo Vangelo e l’annunzio del giorno della Pasqua, che quest’anno si celebra il 24 aprile:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

nella solennità dell’Epifania la Chiesa continua a contemplare e a celebrare il mistero della nascita di Gesù salvatore. In particolare, la ricorrenza odierna sottolinea la destinazione e il significato universali di questa nascita. Facendosi uomo nel grembo di Maria, il Figlio di Dio è venuto non solo per il popolo d’Israele, rappresentato dai pastori di Betlemme, ma anche per l’intera umanità, rappresentata dai Magi. Ed è proprio sui Magi e sul loro cammino alla ricerca del Messia (cfr Mt 2,1-12) che la Chiesa ci invita oggi a meditare e a pregare. Nel Vangelo abbiamo ascoltato che essi, giunti a Gerusalemme dall’Oriente, domandano: "Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo" (v. 2). Che genere di persone erano, e che specie di stella era quella? Essi erano probabilmente dei sapienti che scrutavano il cielo, ma non per cercare di "leggere" negli astri il futuro, eventualmente per ricavarne un guadagno; erano piuttosto uomini "in ricerca" di qualcosa di più, in ricerca della vera luce, che sia in grado di indicare la strada da percorrere nella vita. Erano persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la "firma" di Dio, una firma che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare. Forse il modo per conoscere meglio questi Magi e cogliere il loro desiderio di lasciarsi guidare dai segni di Dio è soffermarci a considerare ciò che essi trovarono, nel loro cammino, nella grande città di Gerusalemme.

Anzitutto incontrarono il re Erode. Certamente egli era interessato al bambino di cui parlavano i Magi; non però allo scopo di adorarlo, come vuole far intendere mentendo, ma per sopprimerlo. Erode è un uomo di potere, che nell’altro riesce a vedere solo un rivale da combattere. In fondo, se riflettiamo bene, anche Dio gli sembra un rivale, anzi, un rivale particolarmente pericoloso, che vorrebbe privare gli uomini del loro spazio vitale, della loro autonomia, del loro potere; un rivale che indica la strada da percorrere nella vita e impedisce, così, di fare tutto ciò che si vuole.

Erode ascolta dai suoi esperti delle Sacre Scritture le parole del profeta Michea (5,1), ma il suo unico pensiero è il trono. Allora Dio stesso deve essere offuscato e le persone devono ridursi ad essere semplici pedine da muovere nella grande scacchiera del potere.

Erode è un personaggio che non ci è simpatico e che istintivamente giudichiamo in modo negativo per la sua brutalità. Ma dovremmo chiederci: forse c’è qualcosa di Erode anche in noi? Forse anche noi, a volte, vediamo Dio come una sorta di rivale? Forse anche noi siamo ciechi davanti ai suoi segni, sordi alle sue parole, perché pensiamo che ponga limiti alla nostra vita e non ci permetta di disporre dell’esistenza a nostro piacimento?

Cari fratelli e sorelle, quando vediamo Dio in questo modo finiamo per sentirci insoddisfatti e scontenti, perché non ci lasciamo guidare da Colui che sta a fondamento di tutte le cose. Dobbiamo togliere dalla nostra mente e dal nostro cuore l’idea della rivalità, l’idea che dare spazio a Dio sia un limite per noi stessi; dobbiamo aprirci alla certezza che Dio è l’amore onnipotente che non toglie nulla, non minaccia, anzi, è l’Unico capace di offrirci la possibilità di vivere in pienezza, di provare la vera gioia.

I Magi poi incontrano gli studiosi, i teologi, gli esperti che sanno tutto sulle Sacre Scritture, che ne conoscono le possibili interpretazioni, che sono capaci di citarne a memoria ogni passo e che quindi sono un prezioso aiuto per chi vuole percorrere la via di Dio.

Ma, afferma sant’Agostino, essi amano essere guide per gli altri, indicano la strada, ma non camminano, rimangono immobili.

Per loro le Scritture diventano una specie di atlante da leggere con curiosità, un insieme di parole e di concetti da esaminare e su cui discutere dottamente. Ma nuovamente possiamo domandarci: non c’è anche in noi la tentazione di ritenere le Sacre Scritture, questo tesoro ricchissimo e vitale per la fede della Chiesa, più come un oggetto per lo studio e la discussione degli specialisti, che come il Libro che ci indica la via per giungere alla vita

Penso che, come ho indicato nell’Esortazione apostolica Verbum Domini, dovrebbe nascere sempre di nuovo in noi la disposizione profonda a vedere la parola della Bibbia, letta nella Tradizione viva della Chiesa (n. 18), come la verità che ci dice che cosa è l’uomo e come può realizzarsi pienamente, la verità che è la via da percorrere quotidianamente, insieme agli altri, se vogliamo costruire la nostra esistenza sulla roccia e non sulla sabbia.

E veniamo così alla stella.

Che tipo di stella era quella che i Magi hanno visto e seguito? Lungo i secoli questa domanda è stata oggetto di discussione tra gli astronomi. Keplero, ad esempio, riteneva che si trattasse di una "nova" o una "supernova", cioè di una di quelle stelle che normalmente emanano una luce debole, ma che possono avere improvvisamente una violenta esplosione interna che produce una luce eccezionale. Certo, cose interessanti, ma che non ci guidano a ciò che è essenziale per capire quella stella. Dobbiamo riandare al fatto che quegli uomini cercavano le tracce di Dio; cercavano di leggere la sua "firma" nella creazione; sapevano che "i cieli narrano la gloria di Dio" (Sal 19,2); erano certi, cioè che Dio può essere intravisto nel creato.

Ma, da uomini saggi, sapevano pure che non è con un telescopio qualsiasi, ma con gli occhi profondi della ragione alla ricerca del senso ultimo della realtà e con il desiderio di Dio mosso dalla fede, che è possibile incontrarlo, anzi si rende possibile che Dio si avvicini a noi. L’universo non è il risultato del caso, come alcuni vogliono farci credere.

Contemplandolo, siamo invitati a leggervi qualcosa di profondo: la sapienza del Creatore, l’inesauribile fantasia di Dio, il suo infinito amore per noi. Non dovremmo lasciarci limitare la mente da teorie che arrivano sempre solo fino a un certo punto e che – se guardiamo bene – non sono affatto in concorrenza con la fede, ma non riescono a spiegare il senso ultimo della realtà. Nella bellezza del mondo, nel suo mistero, nella sua grandezza e nella sua razionalità non possiamo non leggere la razionalità eterna, e non possiamo fare a meno di farci guidare da essa fino all’unico Dio, creatore del cielo e della terra. Se avremo questo sguardo, vedremo che Colui che ha creato il mondo e Colui che è nato in una grotta a Betlemme e continua ad abitare in mezzo a noi nell’Eucaristia, sono lo stesso Dio vivente, che ci interpella, ci ama, vuole condurci alla vita eterna.

Erode, gli esperti delle Scritture, la stella. Ma seguiamo il cammino dei Magi che giungono a Gerusalemme. Sopra la grande città la stella sparisce, non si vede più. Che cosa significa? Anche in questo caso dobbiamo leggere il segno in profondità. Per quegli uomini era logico cercare il nuovo re nel palazzo reale, dove si trovavano i saggi consiglieri di corte. Ma, probabilmente con loro stupore, dovettero costatare che quel neonato non si trovava nei luoghi del potere e della cultura, anche se in quei luoghi venivano offerte loro preziose informazioni su di lui. Si resero conto, invece, che, a volte, il potere, anche quello della conoscenza, sbarra la strada all’incontro con quel Bambino.

La stella li guidò allora a Betlemme, una piccola città; li guidò tra i poveri, tra gli umili, per trovare il Re del mondo. I criteri di Dio sono differenti da quelli degli uomini; Dio non si manifesta nella potenza di questo mondo, ma nell’umiltà del suo amore, quell’amore che chiede alla nostra libertà di essere accolto per trasformarci e renderci capaci di arrivare a Colui che è l’Amore. Ma anche per noi le cose non sono poi così diverse da come lo erano per i Magi. Se ci venisse chiesto il nostro parere su come Dio avrebbe dovuto salvare il mondo, forse risponderemmo che avrebbe dovuto manifestare tutto il suo potere per dare al mondo un sistema economico più giusto, in cui ognuno potesse avere tutto ciò che vuole. In realtà, questo sarebbe una sorta di violenza sull’uomo, perché lo priverebbe di elementi fondamentali che lo caratterizzano. Infatti, non sarebbero chiamati in causa né la nostra libertà, né il nostro amore. La potenza di Dio si manifesta in modo del tutto differente: a Betlemme, dove incontriamo l’apparente impotenza del suo amore. Ed è là che noi dobbiamo andare, ed è là che ritroviamo la stella di Dio.

Così ci appare ben chiaro anche un ultimo elemento importante della vicenda dei Magi: il linguaggio del creato ci permette di percorrere un buon tratto di strada verso Dio, ma non ci dona la luce definitiva. Alla fine, per i Magi è stato indispensabile ascoltare la voce delle Sacre Scritture: solo esse potevano indicare loro la via. E’ la Parola di Dio la vera stella, che, nell’incertezza dei discorsi umani, ci offre l’immenso splendore della verità divina. Cari fratelli e sorelle, lasciamoci guidare dalla stella, che è la Parola di Dio, seguiamola nella nostra vita, camminando con la Chiesa, dove la Parola ha piantato la sua tenda. La nostra strada sarà sempre illuminata da una luce che nessun altro segno può darci. E potremo anche noi diventare stelle per gli altri, riflesso di quella luce che Cristo ha fatto risplendere su di noi.

Amen
.



[Modificato da Caterina63 06/01/2011 11:29]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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L'inno di vespro per il Battesimo del Signore

Acque di morte per tuffarci nella vita


di Inos Biffi


Il battesimo nel Giordano è tra i misteri principali della vita di Cristo. Perciò non sorprende che vi sia dedicata tutta una festività, a chiusura del tempo natalizio, anche se il motivo battesimale non manca di toccare già l'Epifania. Quel mistero tocca il Signore e riguarda noi tutti.

L'inno di vespro - di fattura modesta e di autore ignoto del secolo x, in dimetri giambici acatalettici e ritmici - si apre cantando l'Unigenito di Dio che viene a noi dal Padre "per consacrarci con l'acqua del battesimo e rigenerarci nella fede". Disceso dall'alto dei cieli, egli immerge nel Giordano la nostra umanità carica di peccato, prosciogliendola dalla morte, adombrata dalle onde del fiume spettatore di tante "meraviglie divine".

Riceviamo, così, come dono un'esistenza nuova e gioiosa, a sua volta essa stessa prelusa dal risalire di Gesù dal sepolcro delle acque. Proseguiamo nell'inno:  "Tu prendi la forma dell'uomo e, riscattando la creatura dalla morte, le infondi le gioie della vita". Già quel lavacro è inizio e figura della passione e della risurrezione del Signore, sul quale, appena battezzato, si aprono i cieli, mentre discende come una colomba lo Spirito, e il Padre lo proclama suo Figlio, "l'amato", in cui ogni sua compiacenza è riposta.

Nel Giordano - scrive sant'Ambrogio - "Cristo istituì la forma del lavacro salutare (In Iordane baptizatus est Christus, quando formam lavacri salutaris instituit)" (De interpellatione Iob et David, 4, 4).
D'altra parte, evocava tanti eventi di salvezza. A cominciare dal passaggio per il nuovo esodo con Giosuè:  Gesù discende in quelle acque di morte e di vita come un nuovo Giosuè, che guida il nuovo Popolo di Dio verso la terra definitiva della libertà.

Permaneva poi su quel fiume il ricordo del suo attraversamento a piedi asciutti, da parte dei profeti Elia ed Eliseo; e quello della prodigiosa immersione nelle sue acque di Naaman siro, risanato dalla lebbra.

Sono grazie che supplichiamo a conclusione dell'inno:  "Vieni benevolo in noi, o Redentore, e infondi nei nostri cuori la chiara luce divina"; "Resta con noi; allontana la notte oscura, detergici ogni colpa, e donaci la tua pietosa medicina".

La vita di Gesù è iscritta indissolubilmente nella memoria e nel cuore della Chiesa, che, nelle ricorrenti festività dell'anno liturgico, la riprende e la rimedita con rinnovato rendimento di grazie e non mai esaurito stupore. Essa, infatti, non tanto mira ad accrescerne la conoscenza esteriore dell'esistenza di Gesù, quanto a riviverla o, secondo l'esortazione di Bernardo ai suoi monaci di Clairvaux, a nutrirsene e a gustarne la soavità (Sermoni d'Avvento, 3, 2).

Rievocando il battesimo di Cristo, siamo più intimamente,  e  quasi sperimentalmente, iniziati al mistero della sua figliolanza divina,  apparsa  e  ascoltata nell'epifania trinitaria che  accompagna  l'umile sottoporsi al ministero dell'allibito Precursore che esita a seppellire nelle acque chi è più grande di lui.

Scoprendo in quel gesto di abbassamento il preavviso della croce e della risurrezione sentiamo la solidarietà di Cristo con la nostra umanità peccatrice, mentre il pensiero si porta al nostro battesimo, quando, resi conformi a Gesù Primogenito di molti fratelli, anche sopra di noi il cielo si apre, riceviamo lo Spirito e siamo, a nostra volta, dal Padre chiamati suoi figli nel Figlio.
E così la vita si rinnova nella Chiesa:  è il fine e il frutto delle celebrazioni liturgiche.


(©L'Osservatore Romano - 9 gennaio 2011)

Fraternamente CaterinaLD

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SANTA MESSA NELLA CAPPELLA SISTINA E AMMINISTRAZIONE DEL SACRAMENTO DEL BATTESIMO DEI BAMBINI, 09.01.2011

Alle ore 10 di oggi - Festa del Battesimo del Signore - il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Cappella Sistina la Santa Messa nel corso della quale amministra il Sacramento del Battesimo a 21 neonati. I battezzandi - 13 bambini e 8 bambine - sono tutti figli di dipendenti vaticani o della Santa Sede; il più grande ha quattro mesi e la più piccola quattro settimane di vita.
Nel corso del sacro rito, dopo la lettura del Vangelo, il Papa pronuncia la seguente omelia:

In this picture made available by the Vatican newspaper Osservatore Romano, Pope Benedict XVI baptizes a baby in an intimate ceremony in the Sistine Chapel on Sunday that marked the end of the Christmas season, at the Vatican, Sunday, Jan. 9, 2011. Standing under Michelangelo's magnificent "Last Judgment'' fresco, the Pope poured water on the foreheads of 13 baby boys and eight baby girls. Some babies screamed, other squirmed, some slept through it.

In this picture made available by the Vatican newspaper Osservatore Romano, Pope Benedict XVI baptizes a baby in an intimate ceremony in the Sistine Chapel, at the Vatican, Sunday, Jan. 9, 2011. Standing under Michelangelo's magnificent "Last Judgment'' fresco, the Pope poured water on the foreheads of 13 baby boys and eight baby girls. Some babies screamed, other squirmed, some slept through it.

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

sono lieto di darvi un cordiale benvenuto, in particolare a voi, genitori, padrini e madrine dei 21 neonati ai quali, tra poco, avrò la gioia di amministrare il Sacramento del Battesimo. Come è ormai tradizione, tale rito avviene anche quest’anno nella santa Eucaristia con cui celebriamo il Battesimo del Signore. Si tratta della Festa che, nella prima domenica dopo la solennità dell’Epifania, chiude il tempo natalizio con la manifestazione del Signore al Giordano.

Secondo il racconto dell’evangelista Matteo (3,13-17), Gesù venne dalla Galilea al fiume Giordano, per farsi battezzare da Giovanni; infatti, da tutta la Palestina accorrevano per ascoltare la predicazione di questo grande profeta, l’annuncio dell’avvento del Regno di Dio, e per ricevere il battesimo, cioè per sottoporsi a quel segno di penitenza che richiamava alla conversione dal peccato. Pur chiamandosi battesimo, esso non aveva il valore sacramentale del rito che celebriamo oggi; come ben sapete, è infatti con la sua morte e risurrezione che Gesù istituisce i Sacramenti e fa nascere la Chiesa.

Quello amministrato da Giovanni, era un atto penitenziale, un gesto che invitava all’umiltà di fronte a Dio, invitava ad un nuovo inizio: immergendosi nell’acqua, il penitente riconosceva di avere peccato, implorava da Dio la purificazione dalle proprie colpe ed era inviato a cambiare i comportamenti sbagliati, quasi morendo nell’acqua e risorgendo a una nuova vita.

Per questo, quando il Battista vede Gesù che, in fila con i peccatori, viene a farsi battezzare, rimane sbalordito; riconoscendo in Lui il Messia, il Santo di Dio, Colui che è senza peccato, Giovanni manifesta il suo sconcerto: egli stesso, il battezzatore avrebbe voluto farsi battezzare da Gesù. Ma Gesù lo esorta a non opporre resistenza, ad accettare di compiere questo atto, per operare ciò che è conveniente ad «adempiere ogni giustizia». Con questa espressione, Gesù manifesta di essere venuto nel mondo per fare la volontà di Colui che lo ha mandato, per compiere tutto ciò che il Padre gli chiede; è per obbedire al Padre che Egli ha accettato di farsi uomo. Questo gesto rivela anzitutto chi è Gesù: è il Figlio di Dio, vero Dio come il Padre; è Colui che "si è abbassato" per farsi uno di noi, Colui che si è fatto uomo e ha accettato di umiliarsi fino alla morte di croce (cfr Fil 2,7). Il battesimo di Gesù, di cui oggi facciamo memoria, si colloca in questa logica dell’umiltà e della solidarietà: è il gesto di Colui che vuole farsi in tutto uno di noi e si mette realmente in fila con i peccatori; Lui, che è senza peccato, si lascia trattare come peccatore (cfr 2Cor 5,21), per portare sulle sue spalle il peso della colpa dell’intera umanità, anche della nostra colpa. È il "servo di Dio" di cui ci ha parlato il profeta Isaia nella prima lettura (cfr 42,1). La sua umiltà è dettata dal voler stabilire una comunione piena con l’umanità, dal desiderio di realizzare una vera solidarietà con l’uomo e con la sua condizione. Il gesto di Gesù anticipa la Croce, l’accettazione della morte per i peccati dell’uomo. Questo atto di abbassamento, con cui Gesù vuole uniformarsi totalmente al disegno d’amore del Padre e conformarsi con noi, manifesta la piena sintonia di volontà e di intenti che vi è tra le persone della Santissima Trinità. Per tale atto d’amore, lo Spirito di Dio si manifesta e viene come una colomba sopra di Lui, e in quel momento l’amore che unisce Gesù al Padre viene testimoniato a quanti assistono al battesimo da una voce dall’alto che tutti odono. Il Padre manifesta apertamente agli uomini, a noi, la comunione profonda che lo lega al Figlio: la voce che risuona dall’alto attesta che Gesù è obbediente in tutto al Padre e che questa obbedienza è espressione dell’amore che li unisce tra di loro. Perciò, il Padre ripone il suo compiacimento in Gesù, perché riconosce nell’agire del Figlio il desiderio di seguire in tutto alla sua volontà: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (Mt 3,17). E questa parola del Padre allude anche, in anticipo, alla vittoria della risurrezione e ci dice come dobbiamo vivere per stare nel compiacimento del Padre, comportandoci come Gesù.

Cari genitori, il Battesimo che voi oggi chiedete per i vostri bambini, li inserisce in questo scambio d’amore reciproco che vi è in Dio tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; per questo gesto che sto per compiere, si riversa su di loro l’amore di Dio, inondandoli dei suoi doni. Attraverso il lavacro dell’acqua, i vostri figli vengono inseriti nella vita stessa di Gesù, che è morto sulla croce per liberarci dal peccato e risorgendo ha vinto la morte. Perciò, immersi spiritualmente nella sua morte e resurrezione, essi vengono liberati dal peccato originale ed in loro ha inizio la vita della grazia, che è la vita stessa di Gesù Risorto. «Egli - afferma San Paolo - ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone» (Tt 2,14).

Cari amici, donandoci la fede, il Signore ci ha dato ciò che vi è di più prezioso nella vita, e cioè il motivo più vero e più bello per cui vivere: è per grazia che abbiamo creduto in Dio, che abbiamo conosciuto il suo amore, con cui vuole salvarci e liberarci dal male. La fede è il grande dono con il quale ci dà anche la vita eterna, la vera vita.

Ora voi, cari genitori, padrini e madrine, chiedete alla Chiesa di accogliere nel suo seno questi bambini, di dare loro il Battesimo; e questa richiesta la fate in ragione del dono della fede che voi stessi avete, a vostra volta, ricevuto. Con il profeta Isaia, ogni cristiano può ripetere: "il Signore mi ha plasmato suo servo fin dal seno materno" (cfr 49,5); così, cari genitori, i vostri figli sono un dono prezioso del Signore, il quale ha riservato per sé il loro cuore, per poterlo ricolmare del suo amore. Attraverso il sacramento del Battesimo, oggi li consacra e li chiama a seguire Gesù, attraverso la realizzazione della loro vocazione personale secondo quel particolare disegno d’amore che il Padre ha in mente per ciascuno di essi; meta di questo pellegrinaggio terreno sarà la piena comunione con Lui nella felicità eterna.

Ricevendo il Battesimo, questi bambini ottengono in dono un sigillo spirituale indelebile, il "carattere", che segna interiormente per sempre la loro appartenenza al Signore e li rende membra vive del suo corpo mistico, che è la Chiesa. Mentre entrano a far parte del Popolo di Dio, per questi bambini, inizia oggi un cammino che dovrebbe essere un cammino di santità e di conformazione a Gesù, una realtà che è posta in loro come il seme di un albero splendido, che deve essere fatto crescere.

Perciò, comprendendo la grandezza di questo dono, fin dai primi secoli si ha avuto la premura di dare il Battesimo ai bambini appena nati. Certamente, ci sarà poi bisogno di un’adesione libera e consapevole a questa vita di fede e d’amore, ed è per questo che è necessario che, dopo il Battesimo, essi vengano educati nella fede, istruiti secondo la sapienza della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa, così che cresca in loro questo germe della fede che oggi ricevono e possano raggiungere la piena maturità cristiana. La Chiesa, che li accoglie tra i suoi figli, deve farsi carico, assieme ai genitori e ai padrini, di accompagnarli in questo cammino di crescita.

La collaborazione tra comunità cristiana e famiglia è quanto mai necessaria nell’attuale contesto sociale, in cui l’istituto familiare è minacciato da più parti e si trova a far fronte a non poche difficoltà nella sua missione di educare alla fede. Il venir meno di stabili riferimenti culturali e la rapida trasformazione a cui è continuamente sottoposta la società, rendono davvero arduo l’impegno educativo. Perciò, è necessario che le parrocchie si adoperino sempre più nel sostenere le famiglie, piccole Chiese domestiche, nel loro compito di trasmissione della fede.

Carissimi genitori, ringrazio con voi il Signore per il dono del Battesimo di questi vostri figlioli; nell’elevare la nostra preghiera per loro, invochiamo abbondante il dono dello Spirito Santo, che oggi li consacra ad immagine di Cristo sacerdote, re e profeta. Affidandoli alla materna intercessione di Maria Santissima, chiediamo per loro vita e salute, perché possano crescere e maturare nella fede, e portare, con la loro vita, frutti di santità e d’amore. Amen!

Pope Benedict XVI baptizes one of the 21 newborns during a solemn mass in the Sistine Chapel at the Vatican January 9, 2011.

Pope Benedict XVI (C) arrives to lead a ceremony of baptism for 21 newborns during a solemn mass in the Sistine Chapel at the Vatican January 9, 2011.

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 09.01.2011

Conclusa
la Santa Messa con l’amministrazione del Battesimo ad un gruppo di bambini nella Cappella Sistina, il Santo Padre a mezzogiorno si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Oggi la Chiesa celebra il Battesimo del Signore, festa che conclude il tempo liturgico del Natale. Questo mistero della vita di Cristo mostra visibilmente che la sua venuta nella carne è l’atto sublime di amore delle Tre Persone divine.

Possiamo dire che da questo solenne avvenimento l’azione creatrice, redentrice e santificatrice della Santissima Trinità sarà sempre più manifesta nella missione pubblica di Gesù, nel suo insegnamento, nei miracoli, nella sua passione, morte e risurrezione. Leggiamo, infatti, nel Vangelo secondo san Matteo che «appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: "Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento"» (3,16-17). Lo Spirito Santo "dimora" sul Figlio e ne testimonia la divinità, mentre la voce del Padre, proveniente dai cieli, esprime la comunione d’amore. «La conclusione della scena del battesimo ci dice che Gesù ha ricevuto questa "unzione" autentica, che Egli è l’Unto [il Cristo] atteso» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 47-48), a conferma della profezia di Isaia: «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio» (Is 42,1). È davvero il Messia, il Figlio dell’Altissimo che, uscendo dalle acque del Giordano, stabilisce la rigenerazione nello Spirito e apre, a quanti lo vogliono, la possibilità di divenire figli di Dio.

Non a caso, infatti, ogni battezzato acquista il carattere di figlio a partire dal nome cristiano, segno inconfondibile che lo Spirito Santo fa nascere «di nuovo» l’uomo dal grembo della Chiesa.

Il beato Antonio Rosmini afferma che «il battezzato subisce una segreta ma potentissima operazione, per la quale egli viene sollevato all’ordine soprannaturale, vien posto in comunicazione con Dio» (Del principio supremo della metodica…, Torino 1857, n. 331). Tutto questo si è nuovamente avverato questa mattina,
durante la celebrazione eucaristica nella Cappella Sistina, dove ho conferito il sacramento del Battesimo a 21 neonati.

Cari amici, il Battesimo è l’inizio della vita spirituale, che trova la sua pienezza per mezzo della Chiesa. Nell’ora propizia del Sacramento, mentre la Comunità ecclesiale prega e affida a Dio un nuovo figlio, i genitori e i padrini s’impegnano ad accogliere il neo-battezzato sostenendolo nella formazione e nell’educazione cristiana. E’ questa una grande responsabilità, che deriva da un grande dono! Perciò, desidero incoraggiare tutti i fedeli a riscoprire la bellezza di essere battezzati e appartenere alla grande famiglia di Dio, e a dare gioiosa testimonianza della propria fede, affinché essa generi frutti di bene e di concordia.

Lo chiediamo per intercessione della Beata Vergine Maria, Aiuto dei cristiani, alla quale affidiamo i genitori che si stanno preparando al Battesimo dei loro bambini, come pure i catechisti. Tutta la comunità partecipi alla gioia della rinascita dall’acqua e dallo Spirito Santo!

DOPO L’ANGELUS

Nel contesto della preghiera mariana, desidero riservare un particolare ricordo alla popolazione di Haiti, ad un anno dal terribile terremoto, a cui purtroppo ha fatto seguito anche una grave epidemia di colera. Il Cardinale Robert Sarah, Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, si reca oggi nell’Isola caraibica, per esprimere la mia costante vicinanza e quella di tutta la Chiesa.

Saluto il gruppo di Parlamentari italiani, qui presenti, e li ringrazio per il loro impegno, condiviso con altri colleghi, in favore della libertà religiosa. Con loro saluto anche i fedeli copti qui presenti a cui rinnovo la mia vicinanza.

Je vous salue cordialement, chers pèlerins francophones ! Le Baptême du Seigneur que nous célébrons aujourd’hui clôt le cycle de Noël et nous introduit dans le temps ordinaire. Nous revivons notre propre naissance en Jésus-Christ qui fait de nous ses frères, et nous comble de l’amour de son Père. Ouvrons nos cœurs au souffle de l’Esprit Saint pour rester fidèles à notre vocation de fils de Dieu. Que la Vierge Marie intercède pour nous ! Bon dimanche à tous !

I am pleased to welcome all the visitors and pilgrims present for this Angelus prayer. Today the Church celebrates the Baptism of the Lord and contemplates once more the revelation of God who is close to humanity, who visits his people in the person of Jesus Christ, in order to set them free from the tyranny of sin and death. May we open the doors of our hearts to Christ and welcome him into the world of today. God’s abundant blessings be upon all of you!

Ein herzliches „Grüß Gott" sage ich den Pilgern und Besuchern aus den Ländern deutscher Sprache. Die Kirche feiert heute das Fest der Taufe Jesu. Am Jordan offenbart der Vater seinen geliebten Sohn, der Mensch geworden ist, um durch sein Leiden und Auferstehen die Welt zu erlösen. Durch das Sakrament der Taufe haben wir Teil an der Erlösung und werden zu Kindern Gottes. So gehören wir zu Christi geheimnisvollem Leib, der Kirche, und tragen seine Gnade und sein Leben in uns. Danken wir dem Herrn voll Freude für dieses Geschenk und bekennen wir Christus als den Bruder und Erlöser der Menschen. Gott segne euch alle!

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española. En este domingo, que sigue a la Fiesta de la Epifanía, celebramos el Bautismo del Señor, concluyendo así el tiempo litúrgico de la Navidad. El Padre manifiesta en el Jordán a Jesús, como su Hijo amado, ungido por el Espíritu, revelando también así el misterio del nuevo bautismo por el que llegamos a ser en verdad hijos suyos. Que la intercesión de la Santísima Virgen María os ayude a ser imagen de aquel que hemos conocido semejante a nosotros en la carne y renueve en todos la vocación a la santidad a la que se está llamado por el bautismo. Feliz domingo.

Pozdrawiam serdecznie wszystkich Polaków. Liturgia Niedzieli Chrztu Pańskiego wiedzie nas nad Jordan, gdzie Jezus, Syn Boży przyjmuje chrzest pokuty. W ten sposób okazuje swoją solidarność z ludźmi potrzebującymi nawrócenia. Przez sakrament Chrztu wyzwala nas z grzechów, czyni każdego nowym, Bożym człowiekiem. Prośmy Go o wierność przyrzeczeniom chrzcielnym i odważne wyznawanie wiary. Niech Bóg wam błogosławi.

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi. La liturgia della Domenica del Battesimo del Signore ci conduce sulle rive del Giordano dove Gesù, Figlio di Dio, riceve il battesimo di penitenza. In questo modo manifesta la sua solidarietà con ogni uomo bisognoso di conversione. Gesù, attraverso il sacramento del Battesimo, ci rende liberi dai peccati, ci fa uomini nuovi, uomini di Dio. Chiediamogli di essere fedeli agli impegni assunti nel nostro Battesimo e di professare coraggiosamente la nostra fede. Dio vi benedica.]

Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare il Coro della città di Ala, presso Trento, con una rappresentanza della comunità parrocchiale e civile. A tutti auguro una buona domenica.


Pope Benedict XVI delivers his weekly Angelus blessing to the crowd gathered below in Saint Peter's square at the Vatican January 9, 2011. Benedict XVI baptized 21 newborns in a ceremony in the Sistine Chapel on Sunday.

Pope Benedict XVI delivers his weekly Angelus blessing to the crowd gathered below in Saint Peter's square at the Vatican January 9, 2011. Benedict XVI baptized 21 newborns in an intimate ceremony in the Sistine Chapel on Sunday.

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con questo messaggio si conclude anche la raccolta di testi e foto di questo Tempo Liturgico: Avvento-Natale-Epifania e Battesimo di Nostro Signore Gesù Cristo e cominciamo il Tempo Ordinario Liturgico....
Grazie a quanti hanno seguito in comunione ecclesiale questo Tempo Santo ed auspichiamo ricchezza di grazie un fecondo Tempo missionario e di forte testimonianza della nostra identità Cattolica!



[Modificato da Caterina63 09/01/2011 14:39]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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