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DIRETTORIO SU PIETA' POPOLARE-DEVOZIONE-LITURGIA

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2014 17:37
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15/06/2011 15:05
 
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[SM=g1740720] Nel Tempo di Quaresima

124. La Quaresima è tempo che precede e dispone alla celebrazione della Pasqua. Tempo di ascolto della Parola di Dio e di conversione, di preparazione e di memoria del Battesimo, di riconciliazione con Dio e con i fratelli, di ricorso più frequente alle «armi della penitenza cristiana»:[134] la preghiera, il digiuno, l’elemosina (cf. Mt 6, 1-6. 16-18).

Nell’ambito della pietà popolare non viene facilmente percepito il senso misterico della Quaresima e non ne sono colti alcuni grandi valori e temi, quali il rapporto tra il “sacramento dei quaranta giorni” e i sacramenti dell’iniziazione cristiana, come pure il mistero dell’”esodo” presente lungo tutto l’itinerario quaresimale. Secondo una costante della pietà popolare, portata a soffermarsi sui misteri dell’umanità di Cristo, nella Quaresima i fedeli concentrano la loro attenzione sulla Passione e Morte del Signore.

125. L’inizio dei quaranta giorni di penitenza, nel Rito romano, è qualificato dall’austero simbolo delle Ceneri, che contraddistingue la Liturgia del Mercoledì delle Ceneri. Appartenente all’antica ritualità con cui i peccatori convertiti si sottoponevano alla penitenza canonica, il gesto di coprirsi di cenere ha il senso del riconoscere la propria fragilità e mortalità, bisognosa di essere redenta dalla misericordia di Dio. Lontano dall’essere un gesto puramente esteriore, la Chiesa lo ha conservato come simbolo dell’atteggiamento del cuore penitente che ciascun battezzato è chiamato ad assumere nell’itinerario quaresimale. I fedeli, che accorrono numerosi per ricevere le Ceneri, saranno dunque aiutati a percepire il significato interiore implicato in questo gesto, che apre alla conversione e all’impegno del rinnovamento pasquale.

Nonostante la secolarizzazione della società contemporanea, il popolo cristiano avverte chiaramente che durante la Quaresima bisogna orientare gli animi verso le realtà che veramente contano; che si richiede impegno evangelico e coerenza di vita, tradotta in opere buone, in forme di rinuncia a ciò che è superfluo e voluttuario, in manifestazioni di solidarietà con i sofferenti e i bisognosi.

Anche i fedeli che frequentano scarsamente i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia sanno, per lunga tradizione ecclesiale, che il tempo di Quaresima-Pasqua è in rapporto al precetto della Chiesa di confessare i propri peccati gravi almeno una volta all’anno e di ricevere la Santa Comunione almeno una volta all’anno, preferibilmente durante il tempo pasquale.[135]

126. Il divario esistente tra la concezione liturgica e la visione popolare della Quaresima non impedisce che il tempo dei “Quaranta giorni” costituisca dunque uno spazio efficace per una feconda interazione tra Liturgia e pietà popolare.

Un esempio di questa interazione sta nel fatto che la pietà popolare privilegia alcuni giorni, alcuni pii esercizi, alcune attività apostoliche e caritative che la stessa Liturgia quaresimale prevede e raccomanda. La pratica del digiuno, così caratteristica fin dall’antichità in questo tempo liturgico, è “esercizio” che libera volontariamente dai bisogni della vita terrena per riscoprire la necessità della vita che viene dal cielo: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (cf. Dt 8,3; Mt 4,4; Lc 4,4; antifona alla comunione della I Domenica di Quaresima).

La venerazione a Cristo crocifisso

127. Il cammino quaresimale termina con l’inizio del Triduo pasquale, vale a dire con la celebrazione della Messa In Cena Domini. Nel Triduo pasquale il Venerdì Santo, dedicato a celebrare la Passione del Signore, è il giorno per eccellenza dell’«Adorazione della santa Croce».

Ma la pietà popolare ama anticipare la venerazione cultuale della Croce. Infatti, lungo l’intero arco della Quaresima il venerdì che, per antichissima tradizione cristiana, è giorno commemorativo della Passione di Cristo, i fedeli orientano volentieri la loro pietà verso il mistero della Croce.

Essi, contemplando il Salvatore crocifisso, afferrano più facilmente il significato del dolore immenso e ingiusto che Gesù, il Santo e l’Innocente, patì per la salvezza dell’uomo, e comprendono pure il valore del suo amore solidale e l’efficacia del suo sacrificio redentore.

128. Le espressioni di devozione a Cristo crocifisso, numerose e varie, acquistano particolare rilievo nelle chiese dedicate al mistero della Croce o nelle quali si venerano reliquie ritenute autentiche del lignum Crucis. Il “rinvenimento della Croce” infatti, avvenuto secondo la tradizione nella prima metà del IV secolo, con la susseguente diffusione nel mondo intero di veneratissime particelle, determinò un notevole incremento del culto alla Croce.

Nelle manifestazioni di devozione a Cristo crocifisso gli elementi consueti della pietà popolare come canti e preghiere, gesti come l’ostensione, il bacio, la processione e la benedizione con la croce, si intrecciano in vario modo, dando luogo a pii esercizi, talora pregevoli per valore contenutistico e formale.

Tuttavia la pietà verso la Croce ha spesso bisogno di essere illuminata. Si deve cioè mostrare ai fedeli l’essenziale riferimento della Croce all’evento della Risurrezione: la Croce e il sepolcro vuoto, la Morte e la Risurrezione di Cristo sono inscindibili nella narrazione evangelica e nel disegno salvifico di Dio. Nella fede cristiana, la Croce è espressione del trionfo sul potere delle tenebre, e perciò la si presenta impreziosita di gemme ed è diventata segno di benedizione sia quando viene tracciata su di sé che su altre persone e oggetti.

129. Il testo evangelico, singolarmente particolareggiato nella narrazione dei vari episodi della Passione, e la tendenza alla specificazione e alla differenziazione propria della pietà popolare, hanno fatto sì che i fedeli rivolgessero l’attenzione anche ad aspetti singoli della Passione di Cristo e ne facessero quindi oggetto di devozioni particolari: all’«Ecce Homo», il Cristo vilipeso, «con la corona di spine e il mantello di porpora» (Gv 19, 5), che Pilato mostra al popolo; alle sante piaghe del Signore, soprattutto alla ferita del costato e al sangue vivificante da essa sgorgato (cf. Gv 19, 34); agli strumenti della Passione, quali la colonna della flagellazione, la scala del pretorio, la corona di spine, i chiodi, la lancia della trafittura; alla santa sindone o lenzuolo della deposizione.

Queste espressioni di pietà, promosse in alcuni casi da persone eminenti per santità, sono legittime. Tuttavia, per evitare un frazionamento eccessivo nella contemplazione del mistero della Croce, sarà conveniente sottolineare la considerazione complessiva dell’evento della Passione secondo la tradizione biblica e patristica.

La lettura della Passione del Signore

130. La Chiesa esorta i fedeli alla lettura frequente, individuale e comunitaria, della Parola di Dio. Ora non v’è dubbio che tra le pagine bibliche il racconto della Passione del Signore ha un particolare valore pastorale, per cui, ad esempio, l’Ordo unctionis infirmorum eorumque pastoralis curae suggerisce di leggere, nell’ora dell’agonia del cristiano, la narrazione della Passione del Signore per intero o alcune pericopi di essa.[136]

Nel tempo di Quaresima l’amore verso Cristo crocifisso dovrà condurre le comunità cristiane a prediligere, soprattutto il mercoledì e il venerdì, la lettura della Passione del Signore.

Tale lettura, di alto significato dottrinale, attira l’attenzione dei fedeli sia per il contenuto sia per l’impianto narrativo, e suscita in essi sentimenti di genuina pietà: pentimento delle colpe commesse, poiché i fedeli percepiscono che la Morte di Cristo è avvenuta per la remissione dei peccati di tutto il genere umano e quindi anche dei propri; compassione e solidarietà verso l’Innocente ingiustamente perseguitato; gratitudine per l’amore infinito che Gesù, il Fratello primogenito, ha dimostrato nella sua Passione verso tutti gli uomini, suoi fratelli; impegno a seguire gli esempi di mitezza, pazienza, misericordia, perdono delle offese, abbandono fiducioso nelle mani del Padre, che Gesù diede con grande abbondanza ed efficacia nella sua Passione.

Al di fuori della celebrazione liturgica la lettura della Passione potrà essere opportunamente “drammatizzata”, affidando a vari lettori i testi corrispondenti ai vari personaggi; come pure potrà essere intervallata da canti e da momenti di silenzio meditativo.

La «Via Crucis»

131. Tra i pii esercizi con cui i fedeli venerano la Passione del Signore pochi sono tanto amati quanto la Via Crucis. Attraverso il pio esercizio i fedeli ripercorrono con partecipe affetto il tratto ultimo del cammino percorso da Gesù durante la sua vita terrena: dal Monte degli Ulivi, dove nel «podere chiamato Getsemani» (Mc 14, 32) il Signore fu «in preda all’angoscia» (Lc 22, 44), fino al Monte Calvario dove fu crocifisso tra due malfattori (cf. Lc 23, 33), al giardino dove fu deposto in un sepolcro nuovo, scavato nella roccia (cf. Gv 19, 40-42).

Testimonianza dell’amore del popolo cristiano per il pio esercizio sono le innumerevoli Via Crucis erette nelle chiese, nei santuari, nei chiostri e anche all’aperto, in campagna o lungo la salita di una collina, alla quale le varie stazioni conferiscono una fisionomia suggestiva.

132. La Via Crucis è sintesi di varie devozioni sorte fin dall’alto Medioevo: il pellegrinaggio in Terra Santa, durante il quale i fedeli visitano devotamente i luoghi della Passione del Signore; la devozione alle “cadute di Cristo” sotto il peso della croce; la devozione ai “cammini dolorosi di Cristo”, che consiste nell’incedere processionale da una chiesa all’altra in memoria dei percorsi compiuti da Cristo durante la sua Passione; la devozione alle “stazioni di Cristo”, cioè ai momenti in cui Gesù si ferma lungo il cammino verso il Calvario perché costretto dai carnefici, o perché stremato dalla fatica, o perché, mosso dall’amore, cerca di stabilire un dialogo con gli uomini e le donne che assistono alla sua Passione.

Nella sua forma attuale, attestata già nella prima metà del secolo XVII, la Via Crucis, diffusa soprattutto da san Leonardo da Porto Maurizio († 1751), approvata dalla Sede Apostolica ed arricchita da indulgenze,[137] consta di quattordici stazioni.

133. La Via Crucis è una via tracciata dallo Spirito Santo, fuoco divino che ardeva nel petto di Cristo (cf. Lc 12, 49-50) e lo sospinse verso il Calvario; ed è una via amata dalla Chiesa, che ha conservato memoria viva delle parole e degli avvenimenti degli ultimi giorni del suo Sposo e Signore.

Nel pio esercizio della Via Crucis confluiscono pure varie espressioni caratteristiche della spiritualità cristiana: la concezione della vita come cammino o pellegrinaggio; come passaggio, attraverso il mistero della Croce, dall’esilio terreno alla patria celeste; il desiderio di conformarsi profondamente alla Passione di Cristo; le esigenze della sequela Christi, per cui il discepolo deve camminare dietro il Maestro, portando quotidianamente la propria croce (cf. Lc 9, 23).

Per tutto ciò la Via Crucis è un esercizio di pietà particolarmente adatto al tempo di Quaresima.

134. Per un fruttuoso svolgimento della Via Crucis potranno risultare utili le indicazioni seguenti:

- la forma tradizionale, con le sue quattordici stazioni, deve ritenersi la forma tipica del pio esercizio; tuttavia, in alcune occasioni, non è da escludere la sostituzione dell’una o dell’altra “stazione” con altre riflettenti episodi evangelici del cammino doloroso di Cristo, non considerati nella forma tradizionale;

- in ogni caso esistono forme alternative della Via Crucis, approvate dalla Sede Apostolica[138] o pubblicamente usate dal Romano Pontefice:[139] esse sono da ritenersi forme genuine, cui far ricorso secondo l’opportunità;

- la Via Crucis è pio esercizio relativo alla Passione di Cristo; è opportuno tuttavia che esso si concluda in modo tale che i fedeli si aprano all’attesa, piena di fede e di speranza, della risurrezione; sull’esempio della sosta all’Anastasis al termine della Via Crucis a Gerusalemme, si può concludere il pio esercizio con la memoria della risurrezione del Signore.

135. I testi per la Via Crucis sono innumerevoli. Essi sono stati composti da pastori mossi da sincera stima per il pio esercizio, convinti della sua efficacia spirituale; talvolta hanno per autore fedeli laici, eminenti per santità di vita o per dottrina o per doti letterarie.

La scelta del testo, tenuto conto delle eventuali indicazioni dei Vescovi, dovrà essere fatta tenendo presenti soprattutto la condizione dei partecipanti al pio esercizio e il principio pastorale di contemperare saggiamente continuità e innovazione. In ogni caso saranno da preferire testi in cui risuoni, correttamente applicata, la parola biblica e che siano scritti in un linguaggio nobile e semplice.

Uno svolgimento sapiente della Via Crucis, in cui parola, silenzio, canto, incedere processionale e sostare riflessivo si alternino in modo equilibrato contribuisce al conseguimento dei frutti spirituali del pio esercizio.

La «Via Matris»

136. Associati nel progetto salvifico di Dio (cf. Lc 2, 34-35), Cristo crocifisso e la Vergine addolorata sono associati anche nella Liturgia e nella pietà popolare.

Come Cristo è l’“uomo dei dolori” (Is 53, 3), per mezzo del quale piacque a Dio «riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce [...] le cose che stanno sulla terra e quelle dei cieli» (Col 1, 20), così Maria è la “donna del dolore”, che Dio volle associata a suo Figlio come madre e partecipe della sua Passione (socia passionis).

Fin dai giorni dell’infanzia di Cristo, la vita della Vergine, coinvolta nel rifiuto di cui era oggetto suo Figlio, trascorse, tutta, sotto il segno della spada (cf. Lc 2, 35). Tuttavia la pietà del popolo cristiano ha individuato nella vita dolorosa della Madre sette episodi principali e li ha contraddistinti come i “sette dolori” della beata Vergine Maria

Così, sul modello della Via Crucis, è sorto il pio esercizio della Via Matris dolorosæ o semplicemente Via Matris, anch’esso approvato dalla Sede Apostolica.[140] Forme embrionali della Via Matris sono individuabili fin dal secolo XVI, ma nella sua forma attuale, essa non risale oltre il secolo XIX. L’intuizione fondamentale è quella di considerare l’intera vita della Vergine, dall’annuncio profetico di Simeone (cf. Lc 2, 34-35) fino alla morte e sepoltura del Figlio, come un cammino di fede e di dolore: cammino articolato appunto in sette “stazioni”, corrispondenti ai “sette dolori” della Madre del Signore.

137. Il pio esercizio della Via Matris si armonizza bene con alcune tematiche proprie dell’itinerario quaresimale. Infatti, essendo il dolore della Vergine causato dal rifiuto di Cristo da parte degli uomini, la Via Matris rinvia costantemente e necessariamente al mistero di Cristo servo sofferente del Signore (cf. Is 52, 13 — 53, 12), rifiutato dal suo popolo (cf. Gv 1, 11; Lc 2, 1-7; 2, 34-35; 4, 28-29; Mt 26, 47-56; At 12, 1-5). E rinvia ancora al mistero della Chiesa: le stazioni della Via Matris sono tappe di quel cammino di fede e di dolore, nel quale la Vergine ha preceduto la Chiesa e che questa dovrà percorrere fino alla fine dei secoli.

La Via Matris ha come massima espressione la “Pietà”, tema inesauribile dell’arte cristiana sin dal Medioevo.

Settimana Santa

138. «Nella Settimana Santa la Chiesa celebra i misteri della salvezza portati a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita, a cominciare dal suo ingresso messianico in Gerusalemme».[141]

Forte è il coinvolgimento del popolo nei riti della Settimana Santa. Alcuni di essi recano ancora le tracce della loro provenienza dall’ambito della pietà popolare. È accaduto tuttavia che, nel corso dei secoli, si sia prodotta, nei riti della Settimana Santa, una sorta di parallelismo celebrativo, per cui si hanno quasi due cicli con diversa impostazione: uno rigorosamente liturgico, l’altro caratterizzato da particolari pii esercizi, specialmente le processioni.

Tale divario dovrebbe essere orientato verso una corretta armonizzazione delle celebrazioni liturgiche e dei pii esercizi. Relativamente alla Settimana Santa, infatti, l’attenzione e l’amore verso le manifestazioni di pietà tradizionalmente care al popolo devono portare al necessario apprezzamento delle azioni liturgiche, sostenute certo dagli atti di pietà popolare.

Domenica delle Palme

Le palme e i rami di ulivo o di altri alberi

139. «La Settimana Santa ha inizio la Domenica delle Palme “della Passione del Signore” che unisce insieme il trionfo regale di Cristo e l’annuncio della Passione».[142]

La processione che commemora l’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme ha un carattere festoso e popolare. I fedeli amano conservare nelle loro abitazioni e talora nei luoghi di lavoro le palme o i rami di ulivo o di altri alberi che sono stati benedetti e portati in processione.

È necessario tuttavia che i fedeli siano istruiti sul significato della celebrazione, perché sia capito il suo senso. Sarà opportuno, ad esempio, ribadire che ciò che è veramente importante è la partecipazione alla processione e non procurarsi soltanto la palma o il ramoscello di ulivo; che questi non vanno conservati a guisa di un amuleto, o a scopo soltanto terapeutico o apotropaico, per tenere lontani cioè gli spiriti cattivi e stornare da case e campi i danni da essi causati, il che potrebbe essere una forma di superstizione.

Palma e ramoscello di ulivo vanno conservati innanzitutto come testimonianza della fede in Cristo, re messianico, e nella sua vittoria pasquale.

Triduo pasquale

140. Ogni anno, nel «sacratissimo triduo del crocifisso, del sepolto e del risorto»[143] o Triduo pasquale, che va dalla Messa vespertina del Giovedì nella Cena del Signore fino ai Vespri della Domenica di Risurrezione, la Chiesa celebra, «in intima comunione con Cristo suo Sposo»,[144] i grandi misteri dell’umana redenzione.

Giovedì Santo

La visita al luogo della reposizione

141. La pietà popolare è particolarmente sensibile all’adorazione del santissimo Sacramento, che segue la celebrazione della Messa nella Cena del Signore.[145] Per un processo storico, non ancora del tutto chiarito nelle sue varie fasi, il luogo della reposizione è stato considerato quale “santo sepolcro”; i fedeli vi accorrevano per venerare Gesù che dopo la deposizione dalla Croce fu collocato nella tomba, dove rimase per circa Quaranta ore.

È necessario che i fedeli siano illuminati sul senso della reposizione: compiuta con austera solennità e ordinata essenzialmente alla conservazione del Corpo del Signore per la comunione dei fedeli nell’Azione liturgica del Venerdì Santo e per il Viatico degli infermi,[146] è un invito all’adorazione, silenziosa e prolungata, del mirabile Sacramento istituito in questo giorno.

Pertanto, in riferimento al luogo della reposizione, si eviti il termine di “sepolcro”, e nel suo allestimento, non venga conferito ad esso l’aspetto di un luogo di sepoltura; infatti il tabernacolo non deve avere la forma di un sepolcro o di un’urna funeraria: il Sacramento venga custodito in un tabernacolo chiuso, senza farne l’esposizione con l’ostensorio. [147]

Dopo la mezzanotte del Giovedì Santo, l’adorazione si compie senza solennità, essendo già iniziato il giorno della Passione del Signore.[148]

Venerdì Santo

La processione del Venerdì Santo

142. Al Venerdì Santo la Chiesa celebra la Morte salvifica di Cristo. Nell’Azione liturgica pomeridiana essa medita la Passione del suo Signore, intercede per la salvezza del mondo, adora la Croce e commemora la propria origine dal costato aperto del Salvatore (cf. Gv 19, 34).[149]

Tra le manifestazioni di pietà popolare del Venerdì Santo, oltre la Via Crucis, spicca la processione del “Cristo morto”. Essa ripropone, nei moduli propri della pietà popolare, il piccolo corteo di amici e discepoli che, dopo aver deposto dalla Croce il corpo di Gesù, lo portarono al luogo in cui era la “tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto” (Lc 23, 53).

La processione del “Cristo morto” si svolge generalmente in un clima di austerità, di silenzio e di preghiera e con la partecipazione di numerosi fedeli, i quali percepiscono non pochi significati del mistero della sepoltura di Gesù.

143. È necessario tuttavia che tale manifestazione di pietà popolare né per la scelta dell’ora, né per le modalità di convocazione dei fedeli, appaia agli occhi di questi come un surrogato delle celebrazioni liturgiche del Venerdì Santo.

Pertanto nella progettazione pastorale del Venerdì Santo dovrà essere dato il primo posto e il massimo rilievo alla solenne Azione liturgica e si dovrà illustrare ai fedeli che nessun altro pio esercizio deve sostituire oggettivamente nel suo apprezzamento questa celebrazione.

Infine è da evitare l’inserimento della processione del “Cristo morto” nell’ambito della solenne Azione liturgica del Venerdì Santo, perché ciò costituirebbe un distorto ibridismo celebrativo.

Rappresentazione della Passione di Cristo

144. In molti paesi, durante la Settimana Santa, soprattutto il Venerdì, hanno luogo rappresentazioni della Passione di Cristo. Si tratta spesso di vere “sacre rappresentazioni”, che a buon diritto possono essere considerate un pio esercizio. Le sacre rappresentazioni, infatti, affondano le loro radici nella stessa Liturgia. Alcune di esse, nate per così dire nel coro dei monaci, attraverso un processo di progressiva drammatizzazione, sono passate al sagrato della chiesa.

In molti luoghi la preparazione e l’esecuzione della rappresentazione della Passione di Cristo è affidata a confraternite, i cui membri hanno assunto particolari impegni di vita cristiana. In tali rappresentazioni attori e spettatori sono coinvolti in un movimento di fede e di pietà genuine. È vivamente auspicabile che le sacre rappresentazioni della Passione del Signore non si discostino da questa pura linea di espressione sincera e gratuita di pietà, per assumere i caratteri propri delle manifestazioni folcloristiche, che richiamano non tanto lo spirito religioso quanto l’interesse dei turisti.

In riferimento alle sacre rappresentazioni va illustrata ai fedeli la profonda differenza che intercorre tra la “rappresentazione”, che è mimesi e “l’azione liturgica”, che è anamnesi, presenza misterica dell’evento salvifico della Passione.

Sono da rigettare le pratiche penitenziali che portano a farsi crocifiggere con chiodi.

Il ricordo della Vergine addolorata

145. Per la sua importanza dottrinale e pastorale, si raccomanda di non trascurare «la memoria dei dolori della beata Vergine Maria».[150] La pietà popolare, seguendo il racconto evangelico, ha rilevato l’associazione della Madre alla Passione salvifica del Figlio (cf. Gv 19, 25-27; Lc 2, 34s) e ha dato vita a vari pii esercizi, tra cui sono da ricordare:

- il Planctus Mariæ, intensa espressione di dolore, talora avvalorata da alti pregi letterari e musicali, in cui la Vergine piange non solo la morte del Figlio, innocente e santo, il sommo suo bene, ma anche lo smarrimento del suo popolo e il peccato dell’umanità;

- l’Ora della Desolata, nella quale i fedeli, con espressioni di commossa devozione, “fanno compagnia” alla Madre del Signore, rimasta sola, immersa in un profondo dolore, dopo la morte del suo unico Figlio; essi, contemplando la Vergine con il Figlio sul grembo, – la Pietà –, comprendono che in Maria si concentra il dolore dell’universo per la morte di Cristo; in lei essi vedono la personificazione di tutte le madri che, lungo la storia, hanno pianto la morte di un figlio. Tale pio esercizio, che in alcuni luoghi dell’America Latina è chiamato El pésame, non dovrà limitarsi tuttavia ad esprimere il sentimento umano davanti a una madre desolata, ma nella fede della risurrezione, saprà aiutare a comprendere la grandezza dell’amore redentore di Cristo e la partecipazione ad esso della sua Madre.

Sabato Santo

146. «Il Sabato Santo la Chiesa sosta presso il sepolcro del Signore, meditando la sua Passione e Morte, la discesa agli inferi ed aspettando nella preghiera e nel digiuno la sua Risurrezione».[151]

La pietà popolare non deve rimanere estranea al carattere peculiare del Sabato Santo; pertanto le consuetudini e le tradizioni festive collegate con questo giorno, in cui un tempo veniva anticipata la celebrazione pasquale, si devono riservare per la notte e il giorno di Pasqua.

L’«Ora della Madre»

147. In Maria, secondo l’insegnamento della tradizione, è come radunato tutto il corpo della Chiesa: ella è la «credentium collectio universa».[152] Perciò la Vergine Maria che sosta presso il sepolcro del Figlio, come la rappresenta la tradizione ecclesiale, è icona della Vergine Chiesa che veglia presso la tomba del suo Sposo, in attesa di celebrarne la Risurrezione.

A questa intuizione del rapporto tra Maria e la Chiesa si ispira il pio esercizio dell’Ora della Madre: mentre il corpo del Figlio riposa nel sepolcro e la sua anima è scesa negli inferi per annunciare ai suoi antenati l’imminente liberazione dalla regione dell’ombra, la Vergine, anticipando e impersonando la Chiesa, attende piena di fede la vittoria del Figlio sulla morte.

Domenica di Pasqua

148. Anche nella Domenica di Pasqua, massima solennità dell’anno liturgico, hanno luogo non poche manifestazioni di pietà popolare: esse sono tutte espressioni cultuali che esaltano la condizione nuova e la gloria del Cristo risorto, nonché le energie divine che scaturiscono dalla sua vittoria sul peccato e sulla morte.

L’incontro del Risorto con la Madre

149. La pietà popolare ha intuito che l’associazione del Figlio alla Madre è costante: nell’ora del dolore e della morte, nell’ora del gaudio e della risurrezione.

L’affermazione liturgica, secondo cui Dio ha riempito di gioia la Vergine nella risurrezione del Figlio,[153] è stata, per così dire, tradotta e quasi rappresentata dalla pietà popolare nel pio esercizio dell’Incontro della Madre con il Figlio risorto: la mattina di Pasqua due cortei, l’uno recante l’immagine della Madre addolorata, l’altro quella del Cristo risorto, si incontrano per significare che la Vergine fu la prima e piena partecipe del mistero della risurrezione del Figlio.

Per questo pio esercizio vale l’osservazione fatta per la processione del “Cristo morto”: il suo svolgimento non deve assumere aspetti di maggiore rilevanza delle stesse celebrazioni liturgiche della domenica di Pasqua né dare luogo ad inappropriate commistioni.[154]

La benedizione della mensa familiare

150. Un senso di novità percorre l’intera Liturgia pasquale: nuova è la natura, poiché nell’emisfero boreale la Pasqua coincide con il risveglio primaverile; nuovi il fuoco e l’acqua; nuovi i cuori dei cristiani, rinnovati dal sacramento della Penitenza e, come è auspicabile dagli stessi sacramenti dell’Iniziazione cristiana; nuova, per così dire, l’Eucaristia: sono segni e realtà-segno della nuova condizione di vita inaugurata da Cristo con la sua risurrezione.

Tra i pii esercizi che si collegano all’evento della Pasqua vi sono la tradizionale benedizione delle uova, simbolo della vita, e la benedizione del desco familiare; quest’ultima, che in molte famiglie cristiane è quotidiana consuetudine da incoraggiare,[155] acquista particolare significato nel giorno di Pasqua: con l’acqua benedetta nella Veglia pasquale, che lodevolmente i fedeli recano nelle loro abitazioni, il capofamiglia o un altro membro della comunità domestica benedice la mensa festiva.

Il saluto pasquale alla Madre del Risorto

151. In alcuni luoghi, al termine della Veglia pasquale o dopo i II Vespri della Domenica di Pasqua, si compie un breve pio esercizio: si benedicono dei fiori, che saranno distribuiti ai fedeli in segno di gioia pasquale, e si rende un omaggio all’immagine dell’Addolorata, che talora viene incoronata, mentre si canta il Regina caeli. I fedeli, che si erano associati al dolore della Vergine per la Passione del Figlio, vogliono così rallegrarsi con lei per l’evento della risurrezione.

Tale pio esercizio, che non deve essere frammisto all’azione liturgica, è consono ai contenuti del Mistero pasquale e costituisce una ulteriore prova di come la pietà popolare percepisca l’associazione della Madre all’opera salvifica del Figlio.

Nel Tempo Pasquale

La benedizione annuale delle famiglie nelle loro case

152. Durante il tempo pasquale - o in altri periodi dell’anno – si svolge l’annuale benedizione delle famiglie, visitate nelle loro case. Raccomandata alla cura pastorale dei parroci e dei loro collaboratori, questa consuetudine molto sentita dai fedeli è una preziosa occasione per far risonare nelle famiglie cristiane il ricordo della costante presenza benedicente di Dio, l’invito a vivere in conformità al Vangelo, l’esortazione a genitori e figli di custodire e promuovere il mistero del loro essere “chiesa domestica”.[156]

La «Via lucis»

153. In tempi recenti, in varie regioni, si è venuto diffondendo un pio esercizio denominato Via lucis. In esso, a guisa di quanto avviene nella Via Crucis, i fedeli, percorrendo un cammino, considerano le varie apparizioni in cui Gesù – dalla Risurrezione all’Ascensione, in prospettiva della Parusia – manifestò la sua gloria ai discepoli in attesa dello Spirito promesso (cf. Gv 14, 26; 16, 13-15; Lc 24, 49), ne confortò la fede, portò a compimento gli insegnamenti sul Regno, definì ulteriormente la struttura sacramentale e gerarchica della Chiesa.

Attraverso il pio esercizio della Via lucis, i fedeli ricordano l’evento centrale della fede – la Risurrezione di Cristo – e la loro condizione di discepoli che nel Battesimo, sacramento pasquale, sono passati dalle tenebre del peccato alla luce della grazia (cf. Col 1, 13; Ef 5, 8).

Per secoli la Via Crucis ha mediato la partecipazione dei fedeli al primo momento dell’evento pasquale – la Passione – e ha contribuito a fissarne i contenuti nella coscienza del popolo. Analogamente, nel nostro tempo, la Via lucis, a condizione che si svolga con fedeltà al testo evangelico, può mediare efficacemente la comprensione vitale dei fedeli del secondo momento della Pasqua del Signore, la Risurrezione.

La Via lucis può divenire altresì un’ottima pedagogia della fede, perché, come si dice, «per crucem ad lucem». Infatti con la metafora del cammino, la Via lucis conduce dalla constatazione della realtà del dolore, che nel disegno di Dio non costituisce l’approdo della vita, alla speranza del raggiungimento della vera meta dell’uomo: la liberazione, la gioia, la pace, che sono valori essenzialmente pasquali.

La Via lucis, infine, in una società che spesso reca l’impronta della “cultura della morte”, con le sue espressioni di angoscia e di annientamento, è uno stimolo per instaurare una “cultura della vita”, una cultura cioè aperta alle attese della speranza e alle certezze della fede.

La devozione alla divina misericordia

154. Connessa con l’ottava di Pasqua, in tempi recenti e a seguito dei messaggi della religiosa Faustina Kowalska, canonizzata il 30 aprile 2000, si è progressivamente diffusa una particolare devozione alla misericordia divina elargita da Cristo morto e risorto, fonte dello Spirito che perdona il peccato e restituisce la gioia di essere salvati. Poiché la Liturgia della “Domenica II di Pasqua o della divina misericordia” – come viene ora chiamata[157] – costituisce l’alveo naturale in cui esprimere l’accoglienza della misericordia del Redentore dell’uomo, si educhino i fedeli a comprendere tale devozione alla luce delle celebrazioni liturgiche di questi giorni di Pasqua. Infatti, «il Cristo pasquale è l’incarnazione definitiva della misericordia, il suo segno vivente: storico-salvifico e insieme escatologico. Nel medesimo spirito, la Liturgia del tempo pasquale pone sulle nostre labbra le parole del salmo: “Canterò in eterno le misericordie del Signore” (Sal 89 [88], 2)».[158]

La novena di Pentecoste

155. La Scrittura attesta che nei nove giorni intercorrenti tra l’Ascensione e la Pentecoste, gli apostoli «erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui» (At 1, 14), in attesa di essere «rivestiti di potenza dall’alto» (Lc 24, 49). Dalla riflessione orante su questo evento salvifico è sorto il pio esercizio della novena di Pentecoste, molto diffuso nel popolo cristiano.

In realtà nel Messale e nella Liturgia delle Ore, soprattutto nei Vespri, tale “novena” è già presente: testi biblici ed eucologici richiamano, in vario modo, l’attesa del Paraclito. Pertanto, quando è possibile, la novena della Pentecoste sia fatta consistere nella celebrazione solennizzata dei Vespri. Ove invece questa soluzione non sia attuabile, si faccia in modo che la novena di Pentecoste rispecchi i temi liturgici dei giorni che vanno dall’Ascensione alla Vigilia di Pentecoste.

In alcuni luoghi viene celebrata in questi giorni la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.[159]

Pentecoste

La domenica di Pentecoste

156. Il tempo pasquale si conclude, al 50° giorno, con la domenica di Pentecoste, commemorativa dell’effusione dello Spirito Santo sugli apostoli (cf. At 2, 1-4), dei primordi della Chiesa e dell’inizio della sua missione ad ogni lingua, popolo e nazione. Significativa importanza ha assunto, specie nella chiesa cattedrale ma anche nelle parrocchie, la celebrazione protratta della Messa della Vigilia, che riveste il carattere di intensa e perseverante orazione dell’intera comunità cristiana, sull’esempio degli apostoli riuniti in preghiera unanime con la Madre del Signore.[160]

Esortando alla preghiera e al coinvolgimento nella missione, il mistero della Pentecoste rischiara la pietà popolare: anch’essa «è una dimostrazione continua della presenza dello Spirito Santo nella Chiesa. Egli accende nei cuori la fede, la speranza e l’amore, virtù eccelse che danno valore alla pietà cristiana. Lo stesso Spirito nobilita le numerose e svariate forme di trasmettere il messaggio cristiano secondo la cultura e le consuetudini di ogni luogo in tutti i tempi».[161]

Con formule note, che provengono dalla celebrazione della Pentecoste (Veni, creator Spiritus, Veni, Sancte Spiritus)[162] o con brevi suppliche (Emitte Spiritum tuum et creabuntur…), i fedeli sono soliti invocare lo Spirito soprattutto all’inizio di un’attività o di un lavoro, come in particolari situazioni di smarrimento. Anche il Rosario, nel terzo mistero glorioso, invita a meditare l’effusione dello Spirito Santo. I fedeli poi sanno di aver ricevuto, particolarmente nella Confermazione, lo Spirito di sapienza e di consiglio che li guida nella loro esistenza, lo Spirito di fortezza e di luce che li aiuta a prendere le decisioni importanti e a sostenere le prove della vita. Sanno che il loro corpo, dal giorno del Battesimo, è tempio dello Spirito Santo, e dunque va rispettato e onorato, anche nella morte, e che nell’ultimo giorno la potenza dello Spirito lo farà risorgere.

Mentre apre alla comunione con Dio nella preghiera, lo Spirito Santo spinge verso il prossimo con sentimenti di incontro, riconciliazione, testimonianza, desiderio di giustizia e di pace, rinnovamento della mentalità, vero progresso sociale, slancio missionario.[163] In questo spirito, la solennità di Pentecoste è celebrata in alcune comunità come «giornata della sofferenza per le missioni».[164]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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