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DIRETTORIO SU PIETA' POPOLARE-DEVOZIONE-LITURGIA

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2014 17:37
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15/06/2011 15:09
 
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[SM=g1740750] [SM=g1740752] Capitolo V

LA VENERAZIONE
PER LA SANTA MADRE DEL SIGNORE

Alcuni principi


183. La pietà popolare verso la beata Vergine, varia nelle sue espressioni e profonda nelle sue motivazioni, è un fatto ecclesiale rilevante e universale. Essa sgorga dalla fede e dall’amore del popolo di Dio verso Cristo, Redentore del genere umano, e dalla percezione della missione salvifica che Dio ha affidato a Maria di Nazaret, per cui la Vergine non è solo la Madre del Signore e del Salvatore ma anche, sul piano della grazia, la Madre di tutti gli uomini.

Infatti «i fedeli comprendono facilmente il legame vitale che unisce il Figlio alla Madre. Sanno che il Figlio è Dio e che lei, la Madre, è anche loro madre. Intuiscono la santità immacolata della Vergine e, pur venerandola quale regina gloriosa in cielo, sono tuttavia sicuri che essa, piena di misericordia, intercede in loro favore e quindi implorano con fiducia il suo patrocinio. I più poveri la sentono particolarmente vicina. Sanno che essa fu povera come loro, che soffrì molto, che fu paziente e mite. Sentono compassione per il suo dolore nella crocifissione e morte del Figlio, gioiscono con lei per la risurrezione di Gesù. Celebrano con gioia le sue feste, partecipano volentieri alle processioni, si recano in pellegrinaggio ai santuari, amano cantare in suo onore, le offrono doni votivi. Non tollerano che qualcuno la offenda e istintivamente diffidano di chi non la onora».[208]

La Chiesa stessa esorta tutti i suoi figli – sacri ministri, religiosi, fedeli laici – a nutrire la loro pietà personale e comunitaria anche con pii esercizi, che essa approva e raccomanda.[209] Il culto liturgico, infatti, nonostante la sua importanza oggettiva e l’insostituibile valore, l’efficacia esemplare e il carattere normativo, non esaurisce tutte le possibilità espressive della venerazione del popolo di Dio verso la santa Madre del Signore.[210]

184. I rapporti tra Liturgia e pietà popolare mariana devono essere regolati alla luce dei principi e delle norme più volte enunciati in questo documento.[211] In ogni caso, nei confronti della pietà mariana del popolo di Dio, la Liturgia deve apparire quale “forma esemplare”,[212] fonte di ispirazione, costante punto di riferimento e meta ultima.

185. Conviene tuttavia ricordare qui sinteticamente alcune istanze che il Magistero della Chiesa ha espresso in rapporto ai pii esercizi mariani. Esse sono da tenere presenti nel momento in cui ci si accinge alla composizione di nuovi pii esercizi o alla revisione di quelli già esistenti[213] o, semplicemente, alla loro messa in atto cultuale. L’attenzione dei Pastori verso i pii esercizi mariani è dovuta alla loro rilevanza; essi infatti, da una parte, sono frutto ed espressione della pietà mariana di un popolo o di una comunità di fedeli, dall’altra, sono a loro volta causa e fattore non secondario della “fisionomia mariana” dei fedeli, dello “stile” cioè che assume la pietà dei fedeli verso la beata Vergine.

186. L’istanza fondamentale del Magistero nei confronti dei pii esercizi è che essi siano riconducibili all’«alveo dell’unico culto che a buon diritto è chiamato cristiano perché da Cristo trae origine di efficacia, in Cristo trova compiuta espressione e per mezzo di Cristo nello Spirito, conduce al Padre».[214] Ciò significa che i pii esercizi mariani, se pur non tutti allo stesso modo e nella stessa misura, devono:

- esprimere la nota trinitaria, che distingue e qualifica il culto al Dio della rivelazione neotestamentaria, il Padre, il Figlio e lo Spirito; la componente cristologica, che mette in luce l’unica e necessaria mediazione di Cristo; la dimensione pneumatologica, poiché dallo Spirito proviene e nello Spirito è compiuta ogni genuina espressione di pietà; il carattere ecclesiale, per cui i battezzati, costituendo il popolo santo di Dio, pregano riuniti nel nome del Signore (cf. Mt 18, 20) e nello spazio vitale della Comunione dei Santi;[215]

- ricorrere costantemente alla divina Scrittura, intesa nell’alveo della sacra Tradizione; non trascurare, pur nella completa professione della fede della Chiesa, le esigenze del movimento ecumenico; considerare gli aspetti antropologici delle espressioni cultuali, in modo che riflettano una valida concezione dell’uomo e rispondano alle sue esigenze; evidenziare la tensione escatologica, essenziale al messaggio evangelico; esplicitare l’impegno missionario e il dovere di testimonianza, che incombono ai discepoli del Signore.[216]

I tempi dei pii esercizi mariani

La celebrazione della festa


187. I pii esercizi mariani si ricollegano quasi tutti a una festa liturgica presente nel Calendario generale del Rito Romano o nei Calendari particolari delle diocesi o delle famiglie religiose.

Talvolta il pio esercizio precede l’istituzione della festa (è il caso del santo Rosario), talvolta la festa è molto anteriore al pio esercizio (è il caso dell’Angelus Domini). Questo fatto evidenzia il rapporto esistente tra Liturgia e pii esercizi e come questi ultimi trovino il loro momento culminante nella celebrazione della festa. In quanto liturgica, la festa si rapporta alla storia della salvezza e celebra un aspetto dell’associazione della Vergine Maria al mistero di Cristo. Essa, pertanto, deve essere celebrata secondo le norme della Liturgia e nel rispetto della gerarchia tra “atti liturgici” e “pii esercizi” connessi.

Ma una festa della beata Vergine, in quanto manifestazione popolare porta con sé valori antropologici che non devono essere trascurati.[217]

Il sabato

188. Tra i giorni dedicati alla beata Vergine spicca il sabato, assurto al grado di memoria di santa Maria.[218] Questa memoria risale certamente all’epoca carolingia (secolo IX), ma non ci sono noti i motivi che indussero a scegliere il sabato quale giorno di santa Maria.[219] In seguito ne furono date numerose spiegazioni,[220] le quali tuttavia non soddisfano pienamente i cultori della storia della pietà.

Oggi, a prescindere dalle sue oscure origini storiche, si mettono in risalto giustamente alcuni valori di questa memoria ai quali «è più sensibile la spiritualità contemporanea: l’essere cioè ricordo dell’atteggiamento materno e discepolare della “beata Vergine che ‘nel grande sabato’ quando Cristo giaceva nel sepolcro, forte unicamente della fede e della speranza, sola fra tutti i discepoli, attese vigile la Risurrezione del Signore”; preludio e introduzione alla celebrazione della domenica, festa primordiale, memoria settimanale della Risurrezione di Cristo; segno, con la sua cadenza settimanale, che la “Vergine è costantemente presente ed operante nella vita della Chiesa”».[221]

Anche la pietà popolare è sensibile alla valorizzazione del sabato quale giorno di santa Maria. Non è infrequente il caso di comunità religiose e di associazioni di fedeli i cui statuti prescrivono di rendere ogni sabato particolari ossequi alla Madre del Signore, talora con pii esercizi composti appositamente per quel giorno.[222]


Tridui, settenari, novene mariane


189. Appunto perché momento culminante, la festa di solito è preceduta e preparata da un triduo, un settenario o una novena. Questi “tempi e modi della pietà popolare” si devono svolgere in armonia coi “tempi e modi della Liturgia”.

Tridui, settenari, novene possono costituire occasione propizia non solo per dare vita a pii esercizi in onore della beata Vergine, ma anche per offrire ai fedeli una visione adeguata sul posto che ella occupa nel mistero di Cristo e della Chiesa e sulla funzione che in esso svolge.

I pii esercizi infatti non possono restare estranei alle progressive acquisizioni della ricerca biblica e teologica sulla Madre del Salvatore, anzi devono divenire, senza che ne sia alterata la natura, mezzo catechetico per la testimonianza e la diffusione di esse.

Tridui, settenari, novene prepareranno veramente la celebrazione della festa, se i fedeli saranno stimolati ad accostarsi ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia e a rinnovare il loro impegno cristiano sull’esempio di Maria, la prima e più perfetta discepola di Cristo.

In alcune regioni, il giorno 13 di ogni mese, a ricordo delle apparizioni della Vergine a Fatima, i fedeli si incontrano per momenti di preghiera mariana.

I «mesi mariani»

190. Relativamente alla pratica di un “mese mariano”, diffusa in varie Chiese sia dell’Oriente sia dell’Occidente,[223] si possono richiamare alcuni orientamenti essenziali.[224]

In Occidente i mesi dedicati alla Vergine, sorti in un’epoca in cui si faceva scarso riferimento alla Liturgia come a forma normativa del culto cristiano, si sono sviluppati parallelamente al culto liturgico. Ciò ha posto e pone tuttora alcuni problemi di indole liturgico-pastorale che meritano un'accurata valutazione.

191. Limitatamente alla consuetudine occidentale di celebrare un “mese mariano” in maggio (in novembre, in alcuni paesi dell’emisfero australe), sarà opportuno tenere conto delle esigenze della Liturgia, delle attese dei fedeli, della loro maturazione nella fede, e studiare la problematica posta dai “mesi mariani” nell’ambito della “pastorale d’insieme” della Chiesa locale, evitando situazioni di contrasto pastorale che disorientano i fedeli, come accadrebbe, ad esempio, se si spingesse per abolire il “mese di maggio”.

In molti casi la soluzione più opportuna sarà quella di armonizzare i contenuti del “mese mariano” con il concomitante tempo dell’Anno liturgico. Così, ad esempio, durante il mese di maggio, che in gran parte coincide con i cinquanta giorni della Pasqua, i pii esercizi dovranno mettere in luce la partecipazione della Vergine al mistero pasquale (cf. Gv, 19, 25-27) e all’evento pentecostale (cf. At 1, 14), che inaugura il cammino della Chiesa: un cammino che essa, divenuta partecipe della novità del Risorto, percorre sotto la guida dello Spirito. E poiché i “cinquanta giorni” sono il tempo proprio per la celebrazione e la mistagogia dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, i pii esercizi del mese di maggio potranno utilmente dar rilievo alla funzione che la Vergine, glorificata in cielo, svolge sulla terra, “qui e ora”, nella celebrazione dei sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia.[225]

In ogni caso dovrà essere diligentemente seguita la direttiva della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla necessità che «l’animo dei fedeli sia indirizzato prima di tutto verso le feste del Signore, nelle quali, durante il corso dell’anno, si celebrano i misteri della salvezza»[226], ai quali, certo, è stata associata la beata Vergine Maria.

Un’opportuna catechesi convincerà i fedeli che la domenica, memoria ebdomadaria della Pasqua, è «il giorno di festa primordiale». Infine, tenendo presente che nella Liturgia Romana le quattro settimane di Avvento costituiscono un tempo mariano armonicamente inserito nell’Anno liturgico, si dovranno aiutare i fedeli a valorizzare convenientemente i numerosi riferimenti alla Madre del Signore offerti da questo intero periodo.

Alcuni pii esercizi raccomandati dal Magistero

192. Non è il caso di dare qui un elenco di tutti i pii esercizi mariani raccomandati dal Magistero. Se ne ricordano tuttavia alcuni meritevoli di particolare attenzione, per offrire qualche indicazione relativa al loro svolgimento e suggerire eventualmente qualche emendamento.

Ascolto orante della Parola di Dio

193. L’indicazione conciliare di promuovere la «sacra celebrazione della parola di Dio» in alcuni momenti significativi dell’Anno liturgico[227] può trovare valida applicazione anche nelle manifestazioni cultuali verso la Madre del Verbo incarnato. Ciò corrisponde perfettamente ad un indirizzo generale della pietà cristiana[228] e rispecchia il convincimento che è già un eccellente ossequio alla Vergine agire come lei nei confronti della Parola di Dio (cf. Lc 2, 19. 51). Come nelle celebrazioni liturgiche, così nei pii esercizi, i fedeli devono ascoltare con fede la Parola, accoglierla con amore e custodirla nel cuore; meditarla nell’animo e diffonderla con le labbra; metterla fedelmente in pratica e ad essa conformare tutta la vita.[229]

194. «Le celebrazioni della Parola, per le possibilità tematiche e strutturali che consentono, offrono molteplici elementi per incontri cultuali che siano contemporaneamente espressione di genuina pietà e momento adatto per sviluppare una catechesi sistematica sulla Vergine. Ma l’esperienza insegna che le celebrazioni della Parola non devono avere un carattere prevalentemente intellettuale o esclusivamente didattico; devono invece dare spazio – nei canti, nei testi di preghiera, nei modi di partecipazione dei fedeli – ai moduli espressivi, semplici e familiari, della pietà popolare, che parlano con immediatezza al cuore dell’uomo».[230]

L’«Angelus Domini»

195. L’Angelus Domini è la preghiera tradizionale con cui i fedeli tre volte al giorno, cioè all’aurora, a mezzogiorno, al tramonto, commemorano l’annuncio dell’angelo Gabriele a Maria. L’Angelus è quindi ricordo dell’evento salvifico per cui, secondo il disegno del Padre, il Verbo, per opera dello Spirito Santo, si fece uomo nel grembo della Vergine Maria.

La recita dell’Angelus è profondamente radicata nella pietà del popolo cristiano ed è confortata dall’esempio dei Romani Pontefici. In alcuni ambienti le mutate condizioni dei tempi non favoriscono la recita dell’Angelus, ma in molti altri gli impedimenti sono minori, per cui nulla si deve lasciare di intentato perché si mantenga viva e si diffonda la devota consuetudine, suggerendo almeno la semplice recita di tre Ave Maria. La preghiera dell’Angelus infatti per «la struttura semplice, il carattere biblico [...], il ritmo quasi liturgico, che santifica momenti diversi della giornata, l’apertura al mistero pasquale [...], a distanza di secoli, conserva inalterato il suo valore e intatta la sua freschezza».[231]

«Anzi è auspicabile che, in alcune occasioni, soprattutto nelle comunità religiose, nei santuari dedicati alla beata Vergine, durante lo svolgimento di alcuni convegni, l’Angelus Domini [...] venga solennizzato, ad esempio, con il canto delle Ave Maria, con la proclamazione del vangelo dell’Annunciazione»[232] e il suono delle campane.

Il «Regina cæli»

196. Nel tempo pasquale, per disposizione di papa Benedetto XIV (20 aprile 1742), al posto dell’Angelus Domini si recita la celebre antifona Regina cæli. Essa, risalente probabilmente al secolo X-XI,[233] congiunge felicemente il mistero dell’incarnazione del Verbo (Cristo, che hai portato nel grembo) con l’evento pasquale (è risorto, come aveva promesso), mentre l’”invito alla gioia” (Rallegrati), che la comunità ecclesiale rivolge alla Madre per la risurrezione del Figlio, si ricollega e dipende dall’”invito alla gioia” («Rallegrati, piena di grazia»: Lc 1, 28), che Gabriele rivolse all’umile Serva del Signore, chiamata ad essere la madre del Messia salvatore.

A guisa di quanto è stato suggerito per l’Angelus, sarà conveniente talvolta solennizzare il Regina cæli oltre che con il canto dell’antifona, con la proclamazione del vangelo della Risurrezione.

Il Rosario

197. Il Rosario o Salterio della Vergine è una delle più eccellenti preghiere alla Madre del Signore.[234] Perciò «i Sommi Pontefici hanno esortato ripetutamente i fedeli alla recita frequente del santo Rosario, preghiera di impronta biblica, incentrata sulla contemplazione degli eventi salvifici della vita di Cristo, cui fu strettamente associata la Vergine Madre. E sono anche numerose le testimonianze di Pastori e di uomini di santa vita sul valore e sull’efficacia di tale preghiera».[235]

Il Rosario è una preghiera essenzialmente contemplativa, la cui recita «esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso, che favoriscano all’orante la meditazione dei misteri della vita del Signore».[236] E’ espressamente raccomandato nella formazione e nella vita spirituale dei chierici e dei religiosi.[237]

198. La Chiesa mostra la sua stima per la preghiera del santo Rosario proponendo un rito per la Benedizione delle corone del Rosario.[238] Tale rito rileva il carattere comunitario della preghiera rosariana; in esso la benedizione delle corone si accompagna alla benedizione di coloro che meditano i misteri della vita, morte e risurrezione del Signore, perché «possano stabilire una perfetta sintonia tra preghiera e vita».[239]

Peraltro la benedizione delle corone del Rosario potrebbe essere lodevolmente compiuta come suggerisce il Benedizionale, «con la partecipazione del popolo», in occasione dei pellegrinaggi ai santuari mariani, della celebrazione delle feste della beata Vergine, in particolare di quella del Rosario, della chiusura del mese di ottobre.[240]

199. Vengono qui dati alcuni suggerimenti che, salvaguardando, la natura propria del Rosario, possono renderne più proficua la recita.

In alcune occasioni la recita del Rosario potrà assumere un tono celebrativo: «mediante la proclamazione dei passi biblici relativi a ciascun mistero, l’esecuzione in canto di alcune parti, una saggia distribuzione dei vari ruoli, la solennizzazione dei momenti di apertura e di chiusura della preghiera».[241]

200. Per coloro che recitano una terza parte del Rosario, la consuetudine assegna a determinati giorni della settimana i vari misteri: gaudiosi (lunedì e giovedì), dolorosi (martedì e venerdì), gloriosi (mercoledì, sabato, domenica).

Questa distribuzione, se rigidamente osservata, può talvolta dar luogo a un contrasto tra il contenuto dei misteri e il contenuto liturgico del giorno: si pensi alla recitazione dei misteri dolorosi in un Natale che cada di venerdì. In questi casi si può ritenere che «la caratterizzazione liturgica di un determinato giorno prevalga sulla sua collocazione nella settimana; come pure che non sia estraneo alla natura del Rosario compiere, in particolari giorni dell’Anno liturgico, appropriate sostituzioni di misteri, che consentano di armonizzare ulteriormente il pio esercizio con il momento liturgico».[242] Così, ad esempio, agiscono correttamente i fedeli che il 6 gennaio, solennità dell’Epifania, recitano i misteri gaudiosi e quale “quinto mistero” contemplano l’adorazione dei Magi anziché il ritrovamento di Gesù dodicenne nel tempio di Gerusalemme. Ovviamente queste sostituzioni vanno operate con ponderazione, con aderenza alla Sacra Scrittura e con proprietà liturgica.

201. Per favorire la contemplazione e perché la mente concordi con la voce[243] è stato più volte suggerito dai Pastori e dagli studiosi di ripristinare l’uso della clausola, un’antica struttura rosariana peraltro mai completamente scomparsa.

La clausola, che si armonizza bene con l’indole ripetitiva e meditativa del Rosario, consiste in una proposizione relativa che segue il nome di Gesù e richiama il mistero enunciato. Una clausola corretta, fissa per ogni decina, breve nell’enunciato, aderente alla Scrittura e alla Liturgia, può costituire un valido aiuto per una recita meditativa del santo Rosario

202. «Nell’illustrare ai fedeli il valore e la bellezza della corona del Rosario si evitino espressioni che pongano in ombra altre eccellenti forme di preghiera o non tengano sufficiente conto dell’esistenza di altre corone mariane, esse pure approvate dalla Chiesa»[244], oppure che possano ingenerare un senso di colpa in chi non lo recita abitualmente: «Il Rosario è preghiera eccellente, nei riguardi della quale però il fedele deve sentirsi serenamente libero, sollecitato a recitarlo, in composta tranquillità, dalla sua intrinseca bellezza».[245]

Le Litanie della Vergine

203. Tra le forme di preghiera alla Vergine raccomandate dal Magistero vi sono le Litanie. Esse consistono essenzialmente in una prolungata serie di invocazioni rivolte alla Vergine, le quali, succedendosi l’una all’altra con ritmo uniforme, creano un flusso orante caratterizzato da una insistente lode-supplica. Le invocazioni, infatti, generalmente molto brevi, constano di due parti: la prima di lode (“Virgo clemens”), la seconda di supplica (“ora pro nobis”).

Due formulari litanici sono inseriti nei libri liturgici del Rito Romano: le Litanie lauretane, verso le quali i Romani Pontefici hanno professato ripetutamente la loro stima;[246] le Litanie per il rito di incoronazione di una immagine della beata Vergine Maria,[247] che, in alcune occasioni, possono costituire un’efficace alternativa al formulario lauretano.[248]

Una proliferazione di formulari litanici non sarebbe utile dal punto di vista pastorale;[249] come, d’altra parte, una limitazione rigorosa mostrerebbe di non tenere sufficientemente conto delle ricchezza di alcune Chiese locali o famiglie religiose. Perciò la Congregazione per il Culto Divino ha esortato a «prendere in considerazione alcuni formulari antichi o nuovi in uso presso Chiese locali o Istituti religiosi, notevoli per il rigore strutturale e la bellezza delle invocazioni».[250] Un’esortazione che, ovviamente, riguarda soprattutto ambiti locali o comunitari ben definiti.

In seguito alla prescrizione di papa Leone XIII di concludere, nel mese di ottobre, la recita del Rosario con il canto delle Litanie lauretane, si creò presso molti fedeli l’errata persuasione che le Litanie fossero una sorta di appendice del Rosario. In realtà le Litanie sono un atto cultuale a sé stante: esse possono costituire l’elemento portante di un omaggio alla Vergine, essere un canto processionale, far parte di una celebrazione della Parola di Dio o di altre strutture cultuali.

La consacrazione - affidamento a Maria

204. Percorrendo la storia della pietà si incontrano varie esperienze, personali e collettive, di “consacrazione – consegna – affidamento alla Vergine” (oblatio, servitus, commendatio, dedicatio). Esse si riflettono nei manuali di preghiera e negli statuti di associazioni mariane, nei quali troviamo formule di “consacrazione” e preghiere in vista o in ricordo di essa.

Nei confronti della pia pratica della “consacrazione a Maria” non sono rare le espressioni di apprezzamento dei Romani Pontefici e sono note le formule da essi pubblicamente recitate.[251]

Un ben conosciuto maestro della spiritualità sottesa a tale pratica è san Luigi Maria Grignion de Montfort, «il quale proponeva ai cristiani la consacrazione a Cristo per le mani di Maria, come mezzo efficace per vivere fedelmente gli impegni battesimali».[252]

Alla luce del testamento di Cristo (cf. Gv 19,25-27), l’atto di “consacrazione” è infatti riconoscimento consapevole del posto singolare che occupa Maria di Nazaret nel mistero di Cristo e della Chiesa, del valore esemplare e universale della sua testimonianza evangelica, della fiducia nella sua intercessione e nell’efficacia del suo patrocinio, della molteplice funzione materna che essa svolge, quale vera madre nell’ordine della grazia,[253] in favore di tutti e di ciascuno dei suoi figli.

Si osserva tuttavia che il termine “consacrazione” è usato con una certa larghezza e improprietà: «si dice, per esempio, “consacrare i bambini alla Madonna”, quando in realtà si intende solo porre i piccoli sotto la protezione della Vergine e chiedere per essi la sua materna benedizione».[254] Si comprende anche il suggerimento proveniente da più parti di utilizzare al posto di "consacrazione" altri termini, quali "affidamento" o "donazione". Infatti, nel nostro tempo, i progressi compiuti dalla teologia liturgica e la conseguente esigenza di un uso rigoroso dei termini suggeriscono di riservare il termine consacrazione all’offerta di se stessi che ha come termine Dio, come caratteristiche la totalità e la perpetuità, come garanzia l’intervento della Chiesa, come fondamento i sacramenti del Battesimo e della Confermazione.

In ogni caso, relativamente a tale pratica è necessario istruire i fedeli sulla sua natura. Essa, pur presentando le caratteristiche di dono totale e perenne: è solo analogica nei confronti della “consacrazione a Dio”; deve essere frutto non di un’emozione passeggera, ma di una decisione personale, libera, maturata nell’ambito di una visione esatta del dinamismo della grazia; deve essere espressa in modo corretto, in una linea, per così dire, liturgica: al Padre per Cristo nello Spirito Santo, implorando l’intercessione gloriosa di Maria, alla quale ci si affida totalmente, per osservare con fedeltà gli impegni battesimali e vivere in atteggiamento filiale nei suoi confronti; deve essere compiuta al di fuori della celebrazione del Sacrificio eucaristico, trattandosi di un gesto di devozione non assimilabile alla Liturgia: l’affidamento a Maria infatti si distingue sostanzialmente da altre forme di consacrazione liturgica.

Lo scapolare del Carmine e altri scapolari

205. Nella storia della pietà mariana si incontra la “devozione” a vari scapolari, tra cui spicca quello della beata Vergine del Monte Carmelo. La sua diffusione è veramente universale e anche ad essa si applicano senza dubbio le parole conciliari sulle pratiche e i pii esercizi «raccomandati lungo i secoli dal Magistero».[255]

Lo scapolare carmelitano è una forma ridotta dell’abito religioso dell’Ordine dei Frati della beata Vergine del Monte Carmelo: divenuto una devozione molto diffusa, anche al di là di un legame con la vita e la spiritualità della famiglia carmelitana, lo scapolare conserva con questa una sorta di sintonia.

Lo scapolare è segno esteriore del particolare rapporto, filiale e confidente, che si stabilisce tra la Vergine, Madre e Regina del Carmelo, e i devoti che si affidano a lei in totale dedizione e ricorrono pieni di fiducia alla sua materna intercessione; ricorda il primato della vita spirituale e la necessità dell’orazione.

Lo scapolare è imposto con un particolare rito della Chiesa, in cui si dichiara che esso «richiama il proposito battesimale di rivestirci di Cristo, con l’aiuto della Vergine Madre, sollecita della nostra conformazione al Verbo fatto uomo, a lode della Trinità, perché portando la veste nuziale, giungiamo alla patria del cielo».[256]

La consegna dello scapolare del Carmelo, come quella di altri scapolari, «va ricondotta alla serietà delle sue origini: non deve essere un atto più o meno improvvisato, ma il momento conclusivo di un’accurata preparazione in cui il fedele è reso consapevole della natura e degli scopi dell’associazione a cui aderisce e degli impegni di vita che assume».[257]

Le medaglie mariane

206. I fedeli amano anche portare su di sé, quasi sempre appese al collo, medaglie con l’immagine della beata Vergine Maria. Esse sono testimonianza di fede, segno di venerazione verso la santa Madre del Signore, espressione di fiducia nella sua materna protezione.

La Chiesa benedice questi oggetti di pietà mariana, ricordando che essi «servono a richiamare l’amore di Dio e ad accrescere la fiducia nella beata Vergine»,[258] ma ammonisce i fedeli a non dimenticare che la devozione alla Madre di Gesù esige soprattutto «una coerente testimonianza di vita».[259]

Tra le medaglie mariane spicca, per la sua straordinaria diffusione, la cosiddetta “medaglia miracolosa”. Essa ebbe origine dalle apparizioni della Vergine Maria, nel 1830, ad un’umile novizia delle Figlie della Carità, la futura santa Caterina Labouré. La medaglia, coniata secondo le indicazioni fornite dalla Vergine alla Santa, per il suo ricco simbolismo, è stata chiamata “microcosmo mariano”: richiama infatti il mistero della Redenzione, l’amore del Cuore di Cristo e del Cuore addolorato di Maria, la funzione mediatrice della Vergine, il mistero della Chiesa, il rapporto tra terra e cielo, vita temporale e vita eterna.

Un nuovo impulso alla diffusione della “medaglia miracolosa” è stato dato da san Massimiliano Maria Kolbe († 1941) e dai movimenti che da lui hanno avuto origine o a lui si ispirano. Nel 1917, infatti, egli adottò la “medaglia miracolosa” quale segno distintivo della Pia Unione della Milizia dell’Immacolata da lui fondata a Roma, quando era giovane religioso dei Frati Minori Conventuali.

La “medaglia miracolosa”, come le altre medaglie della Vergine e altri oggetti di culto, non è un talismano né deve condurre alla vana credulità.[260] La promessa della Vergine, secondo cui «le persone che la porteranno riceveranno grandi grazie», esige dai fedeli una adesione umile e tenace al messaggio cristiano, una preghiera perseverante e fiduciosa, una coerente condotta di vita.

L’inno «Akathistos»

207. Venerabile inno alla Madre di Dio, detto Akathistos - ossia cantato stando in piedi -, rappresenta una tra le più alte e celebri espressioni di pietà mariana della tradizione bizantina. Capolavoro di letteratura e di teologia, racchiude in forma orante quanto la Chiesa dei primi secoli ha creduto su Maria con consenso universale. Le fonti ispiratrici dell’inno sono le sacre Scritture, la dottrina definita nei Concili ecumenici di Nicea (325), di Efeso (431) e di Calcedonia (451), la riflessione dei Padri orientali del IV e del V secolo. Solennemente celebrato nell’anno liturgico orientale il quinto sabato di Quaresima, l’Akathistos è inoltre cantato in molte altre occasioni e raccomandato alla pietà del clero, dei monaci e dei fedeli.

In anni recenti questo inno si è molto diffuso anche presso comunità e fedeli di rito latino.[261] Hanno contribuito a farlo conoscere maggiormente alcune solenni celebrazioni mariane, avvenute a Roma alla presenza del Santo Padre e con significativa risonanza ecclesiale[262]. Quest’inno antichissimo,[263] che costituisce il frutto maturo della tradizione più antica della Chiesa indivisa in onore di Maria, è appello e invocazione per l’unità dei cristiani sotto la guida della Madre del Signore: «Tanta ricchezza di lodi, accumulata dalle diverse forme della grande tradizione della Chiesa, potrebbe aiutarci a far sì che questa torni a respirare pienamente con i suoi “due polmoni”: l’Oriente e l’Occidente».[264]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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