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DIRETTORIO SU PIETA' POPOLARE-DEVOZIONE-LITURGIA

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2014 17:37
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15/06/2011 15:10
 
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[SM=g1740717] Capitolo VI

LA VENERAZIONE PER I SANTI E I BEATI

Alcuni principi


208. Radicato nella Sacra Scrittura (cf. At 7, 54-60; Ap 6, 9-11; 7, 9-17) e attestato con certezza fin dalla prima metà del secolo II,[265] il culto dei Santi, anzitutto dei martiri, è un fatto ecclesiale antichissimo. La Chiesa infatti, sia in Oriente sia in Occidente, ha sempre venerato i Santi e quando, soprattutto nell’epoca in cui è nato il protestantesimo, sono state mosse obiezioni contro alcuni aspetti tradizionali di tale venerazione, essa l’ha strenuamente difesa, e ne ha illustrato i fondamenti teologici nonché la connessione con la dottrina della fede; ha disciplinato la prassi cultuale nelle espressioni sia liturgiche sia popolari e ha sottolineato il valore esemplare della testimonianza di questi insigni discepoli e discepole del Signore in ordine a una genuina vita cristiana,

209. La Costituzione Sacrosanctum Concilium, nel capitolo dedicato all’Anno liturgico, illustra efficacemente il fatto ecclesiale e il significato della venerazione dei Santi e Beati: «La Chiesa ha inserito nel corso dell’anno anche la memoria dei Martiri e degli altri Santi che, giunti alla perfezione con l’aiuto della multiforme grazia di Dio, e già in possesso della salvezza eterna, in cielo cantano a Dio la lode perfetta e intercedono per noi. Nel loro giorno natalizio infatti la Chiesa proclama il mistero pasquale realizzato nei Santi che hanno sofferto con Cristo e con lui sono glorificati; propone ai fedeli i loro esempi che attraggono tutti al Padre per mezzo di Cristo; e implora per i loro meriti i benefici di Dio».[266]

210. Una corretta intelligenza della dottrina della Chiesa sui Santi è possibile solo nell’ambito più vasto degli articoli di fede riguardanti:

- la «Chiesa una, santa, cattolica e apostolica»,[267] santa cioè per la presenza in essa di «Gesù Cristo, il quale con il Padre e lo Spirito Santo è proclamato “il solo santo”»;[268] per l’incessante azione dello Spirito di santità;[269] perché dotata di mezzi di santificazione. La Chiesa dunque, pur comprendendo nel suo seno i peccatori, è «già sulla terra adornata di una vera santità, anche se imperfetta»;[270] essa è il «popolo santo di Dio»,[271] i cui membri, secondo la testimonianza delle Scritture, sono chiamati “santi” (cf. At 9,13; 1 Cor 6,1; 16,1).

- La «comunione dei santi»,[272] per cui la Chiesa del cielo, quella che attende la purificazione finale «nello stato chiamato Purgatorio»[273] e quella pellegrina sulla terra comunicano «nella stessa carità di Dio e del prossimo»;[274] infatti, tutti quelli che sono di Cristo, avendo il suo Spirito, formano una sola Chiesa e sono uniti in lui.

- La dottrina dell’unica mediazione di Cristo (cf. 1 Tm 2,5), che tuttavia non esclude altre mediazioni subordinate, le quali si esercitano peraltro all’interno dell’onnicomprensiva mediazione di Cristo.[275]

211. La dottrina della Chiesa e la sua Liturgia propongono i Santi e i Beati, che contemplano già «chiaramente Dio uno e trino»,[276] quali:

- testimoni storici della vocazione universale alla santità; essi, frutto eminente della redenzione di Cristo, sono prova e documento che Dio, in tutti i tempi e presso tutti i popoli, nelle più svariate condizioni socio-culturali e nei vari stati di vita, chiama i suoi figli a raggiungere la perfetta statura di Cristo (cf. Ef 4,13; Col 1,28);

- discepoli insigni del Signore e quindi modelli di vita evangelica;[277] nei processi di canonizzazione la Chiesa riconosce l’eroicità delle loro virtù e quindi li propone alla nostra imitazione;

- cittadini della Gerusalemme celeste, che cantano senza fine la gloria e la misericordia di Dio; in essi infatti si è già compiuto il passaggio pasquale da questo mondo al Padre;

- intercessori ed amici dei fedeli ancora pellegrini sulla terra, perché i Santi, pur immersi nella beatitudine di Dio, conoscono gli affanni dei loro fratelli e sorelle e accompagnano il loro cammino con la preghiera e il patrocinio;

- patroni di Chiese locali, di cui spesso furono fondatori (sant’Eusebio di Vercelli) o Pastori illustri (sant’Ambrogio di Milano); di nazioni: apostoli della loro conversione alla fede cristiana (san Tommaso e san Bartolomeo, per l’India) o espressione della loro identità nazionale (san Patrizio, per l’Irlanda); di corporazioni e professioni (sant’Omobono, per i sarti); in circostanze particolari – nell’ora del parto (sant’Anna, san Raimondo Nonato), della morte (san Giuseppe) – e per ottenere specifiche grazie (santa Lucia per la conservazione della vista), eccetera.

Tutto ciò la Chiesa confessa allorché, riconoscente a Dio Padre, proclama: «Nella vita dei Santi ci offri un esempio, nell’intercessione un aiuto, nella comunione di grazia un vincolo di amore fraterno».[278]

212. Occorre infine ribadire che scopo ultimo della venerazione dei Santi è la gloria di Dio e la santificazione dell’uomo attraverso una vita pienamente conforme alla volontà divina e l’imitazione delle virtù di coloro che furono eminenti discepoli del Signore.

Perciò nella catechesi e in altri momenti della trasmissione della dottrina si dovrà insegnare ai fedeli che: il nostro rapporto con i Santi deve essere concepito alla luce della fede, non deve oscurare «il culto latreutico, dato a Dio Padre mediante Cristo nello Spirito, ma, anzi lo intensifica»; «il culto autentico dei Santi non consiste tanto nella molteplicità degli atti esteriori quanto piuttosto nell’intensità del nostro amore attivo», che si traduce in impegno di vita cristiana.[279]

I Santi Angeli

213. Con il chiaro e sobrio linguaggio della catechesi, la Chiesa insegna che «l’esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la Sacra Scrittura chiama abitualmente Angeli, è una verità di fede. La testimonianza della Scrittura è tanto chiara quanto l’unanimità della Tradizione».[280]

Secondo la Scrittura gli Angeli sono messaggeri di Dio, «potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola» (Sal 103, 20), posti al servizio del suo disegno salvifico, «inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza» (Eb 1, 14).

214. I fedeli non ignorano i numerosi episodi dell’Antica e della Nuova Alleanza in cui intervengono i santi Angeli. Sanno che gli Angeli chiudono le porte del paradiso terrestre (cf. Gn 3, 24), salvano Agar e il suo bambino Ismaele (cf. Gn 21, 17), trattengono la mano di Abramo che sta per sacrificare Isacco (cf. Gn 22, 11), annunciano nascite prodigiose (cf. Gdc 13, 3-7), custodiscono i passi del giusto (cf. Sal 91, 11), lodano incessantemente il Signore (cf. Is 6, 1-4) e presentano a Dio le preghiere dei Santi (cf. Ap 8, 3-4). Ricordano pure l’intervento di un Angelo in favore del profeta Elia, fuggiasco e stremato (cf. 1Re 19, 4-8), di Azaria e dei suoi compagni gettati nella fornace (cf. Dn 3, 49-50), di Daniele chiuso nella fossa dei leoni (cf. Dn 6, 23); ad essi è familiare la storia di Tobia, in cui Raffaele, «uno dei sette Angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del Signore» (Tb 12, 15), compie molteplici servizi in favore di Tobi, di suo figlio Tobia e di Sara, la moglie di questi.

I fedeli sanno pure che non sono pochi gli episodi della vita di Gesù in cui gli Angeli svolgono un particolare ruolo: l’Angelo Gabriele annuncia a Maria che concepirà e darà alla luce il Figlio dell’Altissimo (cf. Lc 1, 26-38) e, similmente, un Angelo svela a Giuseppe l’origine soprannaturale della maternità della Vergine (cf. Mt 1, 18-25); gli Angeli recano ai pastori di Betlemme la lieta notizia della nascita del Salvatore (cf. Lc 2, 8-14); l’«Angelo del Signore» protegge la vita del Bambino Gesù minacciata da Erode (cf. Mt 2, 13-20); gli Angeli assistono Gesù nel deserto (cf. Mt 4, 11) e lo confortano nell’agonia (cf. Lc 22, 43), annunciano alle donne recatesi alla tomba di Cristo che egli «è risorto» (cf. Mc 16, 1-8) e intervengono ancora nell’ascensione per rivelarne ai discepoli il senso e per annunciare che «Gesù... tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1, 11).

Ai fedeli non sfugge l’importanza dell’ammonimento di Gesù di non disprezzare uno solo dei piccoli che credono in lui, «perché i loro Angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre» (Mt 18, 10), e della consolante parola secondo cui «c’è gioia davanti agli Angeli di Dio per un solo peccatore che si converte» (Lc 15, 10). Essi, infine, sanno che «il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi Angeli» (Mt 25, 31) per giudicare i vivi e i morti e dare compimento alla storia.

215. La Chiesa, che nei suoi primordi fu custodita e difesa dal ministero degli Angeli (cf. At 5, 17-20; 12, 6-11) e costantemente ne sperimenta «l’aiuto misterioso e potente»,[281] venera questi spiriti celesti e fiduciosa ne sollecita l’intercessione.

Nel corso dell’anno liturgico la Chiesa commemora la partecipazione degli Angeli agli eventi della salvezza,[282] e ne celebra la memoria in alcuni giorni particolari: il 29 settembre quella degli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, il 2 ottobre quella degli Angeli Custodi; ad essi dedica una Messa votiva, il cui prefazio proclama che «la gloria di Dio risplende negli Angeli»;[283] nella celebrazione dei divini misteri si associa al canto degli Angeli per proclamare la gloria del Dio tre volte santo (cf. Is 6, 3)[284] e invoca la loro assistenza perché l’offerta eucaristica «sia portata sull’altare del cielo, davanti alla [...] maestà divina»;[285] alla loro presenza celebra l’ufficio di lode (cf. Sal 137, 1);[286]al ministero degli Angeli affida le preghiere dei fedeli (cf. Ap 5, 8; 8, 3), il dolore dei penitenti,[287] la difesa degli innocenti contro gli assalti del Maligno;[288] implora Dio perché mandi, al termine della giornata, i suoi Angeli a custodire gli oranti nella pace;[289] prega perché gli spiriti celesti vengano in soccorso degli agonizzanti[290] e, nel rito delle esequie, supplica perché gli Angeli accompagnino in paradiso l’anima del defunto[291] e custodiscano il suo sepolcro.

216. Lungo i secoli i fedeli hanno tradotto in espressioni di pietà i convincimenti della fede riguardo al ministero degli Angeli: li hanno assunti come patroni di città e protettori di corporazioni; in loro onore hanno innalzato celebri santuari come Mont-Saint-Michel in Normandia, san Michele della Chiusa in Piemonte e san Michele al Gargano in Puglia, e stabilito giorni festivi; hanno composto inni e pii esercizi.

In particolare la pietà popolare ha sviluppato la devozione all’Angelo Custode. Già san Basilio Magno († 379) insegnava che «ogni fedele ha al proprio fianco un Angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita».[292] Questa antica dottrina andò via via consolidandosi nei suoi fondamenti biblici e patristici, e diede origine a varie espressioni di pietà, fino a trovare in san Bernardo di Chiaravalle († 1153) un grande maestro e un apostolo insigne della devozione agli Angeli Custodi. Per lui essi sono dimostrazione «che il cielo non trascura nulla che ci possa giovare», per cui ci mette «a fianco quegli spiriti celesti perché ci proteggano, ci istruiscano e ci guidino».[293]

La devozione agli Angeli Custodi dà luogo anche a uno stile di vita caratterizzato da:

- devota gratitudine a Dio, che ha posto al servizio degli uomini spiriti di così grande santità e dignità;

- atteggiamento di compostezza e pietà, suscitato dalla consapevolezza di essere costantemente alla presenza dei santi Angeli;

- serena fiducia nell’affrontare situazioni anche difficili, perché il Signore guida e assiste il fedele nella via della giustizia anche attraverso il ministero degli Angeli.

Tra le preghiere all’Angelo Custode è particolarmente diffusa l’orazione Angele Dei,[294] che presso molte famiglie fa parte delle preghiere del mattino e della sera e che, in molti luoghi, accompagna pure la recita dell’Angelus Domini.

217. La pietà popolare verso i santi Angeli, legittima e salutare, può tuttavia dare luogo a deviazioni, ad esempio:

- se, come talvolta accade, subentra nell’animo dei fedeli una concezione erronea per cui ritengono il mondo e la vita come sottoposti a tensioni demiurgiche, alla lotta incessante tra spiriti buoni e spiriti cattivi, tra gli Angeli e i demoni, nella quale l’uomo viene travolto da potenze a lui superiori, nei confronti delle quali egli non può fare nulla; questa concezione, in quanto deresponsabilizza il fedele, non corrisponde alla genuina visione evangelica della lotta contro il Maligno, che esige dal discepolo di Cristo impegno morale, opzione per il Vangelo, umiltà e preghiera;

- se le vicende quotidiane della vita vengono lette in modo schematico e semplicistico, quasi infantile, attribuendo al Maligno anche le minime contraddizioni, e per contro, all’Angelo Custode successi e realizzazioni, le quali poco o nulla hanno a che vedere con il progresso dell’uomo nel suo cammino verso il raggiungimento della maturità di Cristo. E’ da riprovare anche l’uso di dare agli Angeli nomi particolari, eccetto Michele, Gabriele e Raffaele che sono contenuti nella Scrittura.

San Giuseppe

218. Iddio nella sua provvidente sapienza, per attuare il piano della salvezza, assegnò a Giuseppe di Nazaret, «uomo giusto» (cf. Mt 1, 19), sposo della Vergine Maria (cf. ibid.; Lc 1, 27), una missione di particolare importanza: introdurre legalmente Gesù nella stirpe di Davide da cui, secondo la promessa (cf. 2 Sam 7, 5-16; 1Cr 17, 11-14), doveva nascere il Messia Salvatore, e fungere da padre e da custode nei suoi confronti.

In virtù di questa missione san Giuseppe intervenne attivamente nei misteri dell’infanzia del Salvatore: ebbe da Dio la rivelazione dell’origine divina della maternità di Maria (cf. Mt 1, 20-21) e fu testimone privilegiato della nascita di Gesù a Betlemme (cf. Lc 2, 6-7), dell’adorazione dei pastori (cf. Lc 2, 15-16) e dell’omaggio dei Magi venuti dall’Oriente (cf. Mt 2, 11); compì il suo dovere religioso nei confronti del Bambino, introducendolo con la circoncisione nell’alleanza di Abramo (cf. Lc 2, 21) e imponendogli il nome di Gesù (cf. Mt 1, 21); secondo le prescrizioni della Legge, presentò il Bambino al Tempio, lo riscattò con l’offerta dei poveri (cf. Lc 2, 22-24; Es 13, 2.12-13) e, pieno di stupore, ascoltò il cantico profetico di Simeone (cf. Lc 2, 25-33); protesse la Madre e il Figlio dalla persecuzione di Erode riparando in Egitto (cf. Mt 2, 13-23); si recava ogni anno a Gerusalemme con la Madre e il Bambino per la festa di Pasqua e partecipò, sgomento, alla vicenda dello smarrimento di Gesù, dodicenne, nel Tempio (cf. Lc 2, 43-50); visse nella casa di Nazaret, esercitando la sua autorità paterna nei confronti di Gesù, che gli era sottomesso (cf. Lc 2, 51), istruendolo nella Legge e nell’esercizio del mestiere di falegname.

219. Lungo i secoli, soprattutto i recenti, la riflessione ecclesiale ha messo in luce le virtù di san Giuseppe, tra le quali rifulgono: la fede, che in lui si tradusse in adesione piena e coraggiosa al progetto salvifico di Dio; l’obbedienza solerte e silenziosa alle manifestazioni della sua volontà; l’amore e l’osservanza fedele della Legge, la pietà sincera, la fortezza nelle prove; l' amore verginale verso Maria, il doveroso esercizio della paternità, il nascondimento operoso.

220. La pietà popolare comprende la validità e l’universalità del patrocinio di san Giuseppe, «alla cui premurosa custodia Dio ha voluto affidare gli inizi della nostra redenzione»[295] e i «suoi tesori più preziosi».[296] Al patrocinio di san Giuseppe si affidano: l’intera Chiesa, che il Beato Pio IX volle posta sotto la speciale protezione del santo Patriarca;[297] coloro che si consacrano a Dio scegliendo il celibato per il Regno dei cieli (cf. Mt 19, 12): essi «in san Giuseppe hanno [...] un tipo e un difensore della integrità verginale»;[298] gli operai e gli artigiani, dei quali l’umile carpentiere di Nazaret è ritenuto singolare modello;[299] i moribondi, perché secondo una pia credenza, san Giuseppe fu assistito, nell’ora del suo transito, da Gesù e da Maria.[300]

221. La Liturgia, celebrando i misteri della vita del Salvatore, soprattutto quelli della nascita e dell’infanzia, commemora spesso la figura e il ruolo di san Giuseppe: nel tempo di Avvento;[301] nel tempo di Natale, in particolare nella festa della Santa Famiglia; nella solennità del 19 marzo; nella memoria del 1° maggio.

Il nome di san Giuseppe ricorre nel Communicantes del Canone Romano e nelle Litanie dei Santi.[302] Nella Raccomandazione dei moribondi è suggerita l’invocazione del santo Patriarca[303] e, nella stessa circostanza, la comunità prega perché l’anima del moribondo, partita da questo mondo, trovi dimora «nella pace della santa Gerusalemme con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli Angeli e i Santi».[304]

222. Anche nella pietà popolare la venerazione di san Giuseppe occupa largo spazio: in numerose espressioni di genuino folklore; nella consuetudine, stabilitasi almeno fino dal secolo XVII, di dedicare il mercoledì al culto di san Giuseppe, consuetudine alla quale si richiamano alcuni pii esercizi come i Sette mercoledì in onore di lui; nelle pie invocazioni che fioriscono sulle labbra dei fedeli;[305] in formule di preghiera, quale quella composta da papa Leone XIII, Ad te, beate Ioseph, che non pochi fedeli recitano quotidianamente;[306] nelle Litanie di san Giuseppe, approvate da S. Pio X;[307] nel pio esercizio della corona delle Sette angosce e sette allegrezze di san Giuseppe.

223. Il fatto che la solennità di san Giuseppe (19 marzo) cada in Quaresima, in cui la Chiesa è tutta intesa alla preparazione battesimale e alla memoria della Passione del Signore, determina qualche difficoltà di armonizzazione tra Liturgia e pietà popolare. Pertanto, le tradizionali pratiche del “mese di san Giuseppe” saranno sintonizzate con il tempo liturgico dell’Anno. Il rinnovamento liturgico, infatti, ha approfondito nei fedeli la coscienza del significato del periodo quaresimale. Operati i dovuti accomodamenti nelle espressioni della pietà popolare, è peraltro da favorire e diffondere la devozione a san Giuseppe, avendone costantemente presente l’«insigne esempio [...], che supera i singoli stati di vita e si propone all’intera comunità cristiana, quali che siano in essa la condizione e i compiti di ciascun fedele».[308]

San Giovanni Battista

224. Sul confine tra l’Antico e il Nuovo Testamento si staglia la figura di Giovanni, figlio di Zaccaria ed Elisabetta, ambedue «giusti davanti a Dio» (Lc 1, 6), uno dei più grandi personaggi della storia della salvezza. Rinchiuso ancora nel grembo della madre, Giovanni riconobbe il Salvatore, anch’egli nascosto nel grembo della Vergine Maria (cf. Lc 1, 39-45); la sua nascita fu segnata da grandi prodigi (cf. Lc 1, 57-66); crebbe nel deserto, conducendo una vita austera e penitente (cf. Lc 1, 80; Mt 3, 4); «profeta dell’Altissimo»(Lc 1, 76), su di lui scese la parola di Dio (cf. Lc 3, 2); «percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Lc 3, 3); come nuovo Elia, umile e forte, preparò al Signore un popolo ben disposto (cf. Lc 1, 17); secondo il progetto di Dio, battezzò, nelle acque del Giordano, lo stesso Salvatore del mondo (cf. Mt 3, 13-16); ai suoi discepoli indicò Gesù come l’«Agnello di Dio» (Gv 1, 29), come il «Figlio di Dio» (Gv 1, 34), come lo Sposo della nuova comunità messianica (cf. Gv 3, 28-30); per la eroica testimonianza resa alla verità (cf. Gv 5, 33), fu imprigionato da Erode e da lui fatto decapitare (cf Mc 6, 14-29), divenendo così precursore del Signore nella morte violenta, come lo era stato nella nascita prodigiosa e nella predicazione profetica. Di lui Gesù tessè un grandioso elogio, proclamando che «tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni» (Lc 7, 28).

225. Fin dall’antichità il culto di san Giovanni è presente nel mondo cristiano, dove presto ha assunto anche connotazioni popolari. Oltre alla celebrazione nel giorno della morte (29 agosto), come normalmente per tutti i Santi, solo di san Giovanni Battista, come di Cristo e della santa Vergine, si celebra solennemente la nascita (24 giugno).

Per la parte che Giovanni ebbe nel battesimo di Gesù, a lui sono dedicati molti battisteri e la sua figura di battezzatore è presso molti fonti battesimali; per la sua dura prigionia e per la morte violenta, è patrono di coloro che gemono nel carcere, condannati a morte o a dura pena per la fede.

Con ogni probabilità la data della nascita di san Giovanni (24 giugno) fu fissata in dipendenza da quelle del concepimento di Cristo (25 marzo) e della sua nascita (25 dicembre): secondo il segno dato dall’angelo Gabriele, quando Maria concepì il Salvatore, la madre del Precursore era già al sesto mese di gravidanza (cf. Lc 1, 26. 36). In ogni caso la solennità del 24 giugno è legata al ciclo solare, nell’emisfero nord. Essa si celebra infatti quando il sole, volgendosi verso il sud dello zodiaco, comincia a calare: fatto che diventa simbolo della figura di Giovanni che, riferendosi a Cristo, dichiarò: «Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3, 30).

La missione di Giovanni, venuto per rendere testimonianza alla luce (cf. Gv 1, 7), ha dato origine o ha dato un senso cristiano ai falò che si accendono la notte del 23 giugno: la Chiesa li benedice implorando che i fedeli, oltrepassata la tenebra del mondo, giungano a Dio, «luce indefettibile».[309]

Il culto tributato a Santi e Beati

226. Il reciproco influsso tra Liturgia e pietà popolare diviene notevole e particolarmente intenso nelle manifestazioni di culto tributate ai Santi e ai Beati. Sembra pertanto opportuno ricordare in modo sintetico le principali forme di venerazione che la Chiesa rende ai Santi nella Liturgia: esse infatti devono illuminare e guidare le espressioni della pietà popolare.

La celebrazione dei Santi

227. La celebrazione di una festa in onore di un Santo – quanto si riferisce ai Santi si applica, servatis servandis, anche ai Beati - è senza dubbio un’espressione eminente del culto che la comunità ecclesiale gli rende: implica in molti casi la celebrazione stessa dell’Eucaristia. La determinazione del “giorno della festa” è un fatto cultuale rilevante, talvolta complesso, perché ad essa concorrono fattori storici, liturgici e culturali di non facile armonizzazione.

Nella Chiesa di Roma e in altre Chiese locali la celebrazione della memoria dei martiri nell’anniversario del giorno della loro passione, cioè della loro massima assimilazione a Cristo e della loro nascita al cielo,[310] e, successivamente, la celebrazione del conditor Ecclesiae, dei Vescovi che l’avevano retta e di altri insigni confessori della fede nonché della ricorrenza annuale della dedicazione della chiesa cattedrale, condusse progressivamente alla formazione di calendari locali, dove venivano registrati il luogo e la data della morte dei singoli Santi o di gruppi di essi.

Dai calendari particolari derivarono presto i martirologi generali, quali il Martirologio siriaco (sec. V), il Martyrologium Hieronymianum (sec. VI), quello di san Beda (sec. VIII), di Lione (sec. IX), di Usardo (sec. IX), di Adone (sec. IX).

Il 14 gennaio 1584, Gregorio XIII promulgò l’edizione tipica del Martyrologium Romanum, destinata all’uso liturgico. Giovanni Paolo II ne ha promulgato la prima edizione tipica dopo il Concilio Vaticano II,[311] la quale, richiamandosi alla tradizione romana e incorporando i dati dei vari martirologi storici, raccoglie i nomi di molti Santi e Beati, e costituisce una testimonianza straordinariamente ricca della multiforme santità che lo Spirito del Signore suscita nella Chiesa di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

228. Intimamente connessa con la storia del Martirologio è quella del Calendario Romano, che indica il giorno e il grado delle celebrazioni in onore dei Santi.

Attualmente il Calendario Romano Generale[312] registra solo, secondo la norma data dal Concilio Vaticano II, le memorie dei «Santi di importanza veramente universale»,[313] lasciando ai calendari particolari, che siano nazionali, regionali, diocesani, delle famiglie religiose, la segnalazione delle memorie degli altri Santi.

È conveniente ricordare qui la ragione della riduzione del numero delle celebrazioni dei Santi e tenerla nel debito conto nella prassi pastorale: essa è stata operata perché «le feste dei Santi non abbiano a prevalere sulle feste che commemorano i misteri della salvezza».[314] Nel corso dei secoli, infatti, «la moltiplicazione delle feste, delle vigilie e delle ottave, e anche la complicazione progressiva delle diverse parti dell’anno liturgico» avevano «spesso portato i fedeli a devozioni particolari, così da dare l’impressione di scostarsi alquanto dai misteri fondamentali della redenzione divina».[315]

229. Dalla riflessione sui fatti che hanno determinato l’origine, lo sviluppo e le varie revisioni del Calendario Romano Generale derivano alcune indicazioni di sicura utilità pastorale:

- è necessario istruire i fedeli sul legame esistente tra le feste dei Santi e la celebrazione del mistero di Cristo. Infatti le feste dei Santi, ricondotte alla loro intima ragione di essere, mettono in luce realizzazioni concrete del disegno salvifico di Dio e «proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi»;[316] le feste delle membra, i Santi, sono in definitiva feste del Capo, Cristo;

- è conveniente abituare i fedeli a discernere il valore e il significato delle feste di quei Santi e di quelle Sante che hanno avuto una missione particolare nella storia della salvezza e un rapporto singolare con il Signore Gesù, quali san Giovanni Battista (24 giugno), san Giuseppe (19 marzo), i santi Pietro e Paolo (29 giugno), gli altri Apostoli e i santi Evangelisti, sante Maria di Magdala (22 luglio) e Marta di Betania (29 luglio), santo Stefano (26 dicembre);

- è opportuno che i fedeli siano esortati a prediligere le feste dei Santi che hanno svolto un ruolo di grazia nei confronti della Chiesa particolare, come i Patroni o quelli che per primi hanno annunciato all’antica comunità la Buona Novella;

- è utile infine che ai fedeli venga convenientemente illustrato il criterio di “universalità” dei Santi iscritti nel Calendario Generale, come il significato del grado della loro celebrazione liturgica: solennità, festa e memoria (obbligatoria o facoltativa).

Il giorno della festa

230. Il giorno della festa del Santo riveste una grande importanza dal punto di vista sia della Liturgia sia della pietà popolare. In un medesimo breve spazio di tempo, numerose espressioni cultuali ora liturgiche ora popolari concorrono, non senza il rischio di qualche conflittualità, a configurare il “giorno del Santo”.

Le eventuali conflittualità devono essere risolte alla luce delle norme del Messale Romano e del Calendario Romano Generale sul grado della celebrazione del Santo o del Beato, stabilito secondo il suo rapporto con la comunità cristiana (Patrono principale del luogo, Titolo della chiesa, Fondatore di una famiglia religiosa o suo Patrono principale); sulle condizioni da rispettare riguardo all’eventuale trasferimento della festa alla domenica, sulla celebrazione delle feste dei Santi in alcuni tempi particolari dell’Anno liturgico.[317]

Tali norme devono essere osservate non solo come forma di ossequio all’autorità liturgica della Sede Apostolica, ma soprattutto come espressione di rispetto verso il mistero di Cristo e di coerenza con lo spirito della Liturgia.

In particolare è necessario evitare che le ragioni che hanno determinato lo spostamento della data di alcune feste di Santi o di Beati – ad esempio, dalla Quaresima al Tempo ordinario – vengano vanificate nella prassi pastorale: celebrare in ambito liturgico la festa di un Santo secondo la nuova data e continuare a celebrarla, nell’ambito della pietà popolare, secondo la data precedente, non solo incrina gravemente l’armonia tra Liturgia e pietà popolare, ma, dando luogo a un duplicato, genera confusione e disorientamento.

231. È necessario che la festa del Santo sia accuratamente preparata e celebrata dal punto di vista liturgico e pastorale.

Ciò comporta anzitutto una corretta presentazione della finalità pastorale del culto ai Santi, vale a dire la glorificazione di Dio, «mirabile nei suoi Santi»,[318] e l’impegno di condurre una vita modellata sull’insegnamento e l’esempio di Cristo, del cui Corpo mistico i Santi sono membra eminenti.

E richiede altresì una corretta presentazione della figura del Santo. Secondo un sano indirizzo della nostra epoca, tale presentazione si soffermerà non tanto sugli elementi leggendari che talora avvolgono la vita del Santo né sul suo potere taumaturgico, quanto sul valore della sua personalità cristiana, sulla grandezza della sua santità e l’efficacia della testimonianza evangelica, sul carisma personale con cui arricchì la vita della Chiesa.

232. Il “giorno del Santo” ha anche una grande valenza antropologica: è giorno di festa. E la festa – è noto – risponde a una necessità vitale dell’uomo, affonda le sue radici nell’aspirazione alla trascendenza. Attraverso manifestazioni di gioia e di giubilo la festa è affermazione del valore della vita e della creazione. In quanto interruzione della monotonia del quotidiano, delle forme convenzionali, dell’asservimento alla necessità del guadagno, la festa è espressione di libertà integra, di tensione verso la felicità piena, di esaltazione della pura gratuità. In quanto testimonianza culturale, essa mette in luce il genio peculiare di un popolo, i suoi valori caratteristici, le espressioni più genuine del suo folklore. In quanto momento di socializzazione, la festa è occasione di dilatazione dei rapporti familiari e di apertura a nuove relazioni comunitarie.

233. Ma non sono pochi gli elementi che insidiano la genuinità della “festa del Santo” dal punto di vista sia religioso sia antropologico.

Dal punto di vista religioso, la “festa del Santo” o la “festa patronale” di una parrocchia, dove essa è svuotata del contenuto specificamente cristiano che ne era all’origine – l’onore reso a Cristo in uno dei suoi membri –, appare trasformata in una manifestazione meramente sociale o folkloristica e, nel migliore dei casi, in un’occasione favorevole di incontro e di dialogo tra i membri di una stessa comunità.

Dal punto di vista antropologico, si noti che non di rado accade che gruppi o singoli individui, credendo di “far festa”, in realtà, per i comportamenti che assumono, si allontanano dal suo genuino significato. La festa infatti è partecipazione dell’uomo alla signoria di Dio sulla creazione e al suo “riposo” attivo, non ozio sterile; è manifestazione di gioia semplice e comunicabile, non sete smisurata di piacere egoistico; è espressione di vera libertà, non ricerca di forme di divertimento ambiguo, che creano nuove e sottili forme di schiavitù. Con sicurezza si può affermare: la trasgressione della norma etica non solo contraddice la legge del Signore, ma reca una ferita al tessuto antropologico della festa.

Nella celebrazione dell’Eucaristia

234. Il giorno della festa di un Santo o di un Beato non è tuttavia l’unica forma in cui essi sono presenti nella Liturgia. La celebrazione dell’Eucaristia costituisce un momento singolare di comunione con i Santi del cielo.

Nella Liturgia della Parola le letture dell’Antico Testamento ci presentano spesso le figure dei grandi patriarchi, dei profeti e di altre persone insigni per le loro virtù e per l’amore alla legge del Signore. Le letture poi del Nuovo Testamento hanno frequentemente per protagonisti gli Apostoli e altri Santi e Sante che godettero della familiarità e amicizia del Signore. Inoltre la vita di alcuni Santi rispecchia talmente alcune pagine del Vangelo che la sola proclamazione di esse richiama la loro figura.

Il rapporto costante tra Sacra Scrittura e agiografia cristiana ha dato luogo, nell’ambito stesso della celebrazione eucaristica, alla formazione di un insieme di Comuni, in cui sono organicamente proposte le pagine bibliche che illuminano la vita dei Santi. In riferimento a questo stretto rapporto è stato osservato che la Sacra Scrittura orienta e segna il cammino dei Santi verso la pienezza della carità e questi, a loro volta, sono esegesi vivente della Parola.

Nella Liturgia eucaristica i Santi sono menzionati in momenti vari. Nell’offerta del sacrificio si ricordano «i doni di Abele, il giusto, il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede, e l’oblazione pura e santa di Melchisedech».[319] E la stessa prece eucaristica diventa momento e spazio per esprimere la nostra comunione con i Santi, per venerarne la memoria e per chiedere la loro intercessione, poiché «in comunione con tutta la Chiesa, ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo, san Giuseppe, suo sposo, i santi Apostoli e martiri: Pietro e Paolo, Andrea [...] e tutti i Santi; per i loro meriti e le loro preghiere donaci sempre aiuto e protezione».[320]

Nelle Litanie dei Santi

235. Con il canto delle Litanie dei Santi, struttura liturgica agile, semplice, popolare, attestata in Roma fin dagli inizi del secolo VII,[321] la Chiesa invoca i Santi in alcune grandi celebrazioni sacramentali e in altri momenti in cui si fa più fervida la sua implorazione: nella Veglia pasquale, prima di benedire il fonte battesimale; nella celebrazione del battesimo; nel conferimento dell’ordine sacro dell’episcopato, del presbiterato e del diaconato; nel rito della consacrazione delle vergini e nella professione religiosa; nella dedicazione della chiesa e dell’altare; nelle rogazioni, nelle messe stazionali e nelle processioni penitenziali; quando vuole allontanare il Maligno negli esorcismi e quando affida i moribondi alla misericordia di Dio.

Le Litanie dei Santi, in cui appaiono elementi provenienti dalla tradizione liturgica insieme con altri di origine popolare, sono espressione della fiducia della Chiesa nell’intercessione dei Santi e della sua esperienza nella comunione di vita tra la Chiesa della Gerusalemme celeste e la Chiesa ancora pellegrina nella città terrena. I nomi dei Beati, che sono iscritti nei Calendari liturgici di diocesi e Istituti religiosi, possono essere invocati nelle Litanie dei Santi[322]. Ovviamente non sono da inserire nelle Litanie i nomi di personaggi che non hanno il riconoscimento del culto.

Le reliquie dei Santi

236. Il Concilio Vaticano II ricorda che «la Chiesa, secondo la tradizione, venera i Santi e tiene in onore le loro reliquie autentiche e le loro immagini».[323] L’espressione “reliquie dei Santi” indica anzitutto i corpi – o parti notevoli di essi – di quanti, vivendo ormai nella patria celeste, furono su questa terra, per la santità eroica della vita, membra insigni del Corpo mistico di Cristo e tempio vivo dello Spirito Santo (cf. 1 Cor 3, 16; 6, 19; 2 Cor 6, 16).[324] Poi, oggetti che appartennero ai Santi, come suppellettili, vesti, e manoscritti, e oggetti che sono stati messi a contatto con i loro corpi o i loro sepolcri, quali olï, panni di lino (brandea), ed anche con immagini venerate.

237. Il rinnovato Messale Romano ribadisce la validità dell’«uso di collocare sotto l’altare da dedicare le reliquie dei Santi, anche se non martiri».[325] Poste sotto l’altare, le reliquie indicano che il sacrificio delle membra trae origine e significato dal sacrificio del Capo,[326] e sono espressione simbolica della comunione nell’unico sacrificio di Cristo di tutta la Chiesa, chiamata a testimoniare, anche con il sangue, la propria fedeltà al suo Sposo e Signore.

A questa espressione cultuale, eminentemente liturgica, se ne aggiungono molte altre di indole popolare. I fedeli infatti amano le reliquie. Ma una pastorale illuminata sulla venerazione dovuta ad esse non trascurerà di:

- assicurarsi della loro autenticità; là, dove essa sia dubbia, le reliquie dovranno, con la dovuta prudenza, essere ritirate dalla venerazione dei fedeli;[327]

- impedire l’eccessivo frazionamento delle reliquie, non consono alla dignità del corpo umano; le norme liturgiche, infatti, avvertono che le reliquie devono essere «di grandezza tale da lasciare intendere che si tratta di parti del corpo umano»;[328]

- ammonire i fedeli a non lasciarsi prendere dalla mania di collezionare reliquie; ciò nel passato ha avuto talvolta conseguenze deprecabili;

- vigilare perché sia evitata ogni frode, ogni forma di mercimonio,[329] e ogni degenerazione superstiziosa.

Le varie forme di devozione popolare alle reliquie dei Santi, quali sono il bacio delle reliquie, l’ornamento con luci e fiori, la benedizione impartita con esse, il portarle in processione, non esclusa la consuetudine di recarle presso gli infermi per confortarli e avvalorarne la richiesta di guarigione, devono essere compiute con grande dignità e per un genuino impulso di fede. Si eviterà in ogni caso di esporre le reliquie dei Santi sulla mensa dell’altare: essa è riservata al Corpo e al Sangue del Re dei martiri.[330]

Le sante immagini

238. Fu in particolare il Concilio Niceno II, «seguendo la dottrina divinamente ispirata dei nostri Santi Padri e la tradizione della Chiesa cattolica», a difendere con vigore la venerazione delle sante immagini: «noi definiamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del Signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella dell’immacolata Signora nostra, la santa Madre di Dio, dei santi Angeli, di tutti i Santi e giusti».[331]

I Santi Padri ravvisarono nel mistero di Cristo Verbo incarnato, «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15), il fondamento del culto reso alle sante immagini: «è stata l’incarnazione del Figlio di Dio ad inaugurare una nuova “economia” delle immagini».[332]

239. La venerazione delle immagini, che siano dipinti, statue, bassorilievi o altre raffigurazioni, oltre che un significativo fatto liturgico, è un elemento rilevante della pietà popolare: i fedeli pregano dinanzi ad esse, sia nelle chiese sia nelle proprie abitazioni. Le ornano con fiori, luci, gemme; le salutano con varie forme di religioso ossequio, le portano in processione, appendono presso di esse ex-voto in segno di riconoscenza; le collocano in nicchie o in edicole erette nei campi e lungo le vie.

La venerazione delle immagini tuttavia, se non è sorretta da una illuminata concezione teologica, può dare luogo a deviazioni. È necessario pertanto che venga illustrata ai fedeli la dottrina della Chiesa, sancita nei concili ecumenici[333] e nel Catechismo della Chiesa Cattolica, sul culto alle sante immagini.[334]

240. Secondo l’insegnamento della Chiesa, le immagini sacre sono:

- trascrizione iconografica del messaggio evangelico, in cui immagine e parola rivelata si illuminano a vicenda; la tradizione ecclesiale esige infatti che l’immagine «si accordi con la lettera del messaggio evangelico»;[335]

- santi segni, i quali, come tutti i segni liturgici, hanno Cristo come ultimo referente; le immagini dei Santi infatti «significano Cristo che in loro è glorificato»;[336]

- memoria dei fratelli Santi, «che continuano a partecipare alla storia della salvezza del mondo e ai quali noi siamo uniti, soprattutto nella celebrazione sacramentale»;[337]

- aiuto nella preghiera: la contemplazione infatti delle sante immagini facilita la supplica e sprona a rendere gloria a Dio per le meraviglie di grazia operate nei suoi Santi;

- stimolo all’imitazione, perché «quanto più frequentemente l’occhio si posa su quelle immagini, tanto più si ravviva e cresce, in chi le contempla, il ricordo e il desiderio di coloro che vi sono raffigurati»;[338] il fedele tende a imprimere nel cuore ciò che contempla con gli occhi: un’«immagine vera dell’uomo nuovo», trasformato in Cristo per l’azione dello Spirito e per la fedeltà alla propria vocazione;

- forma di catechesi, perché «attraverso la storia dei misteri della nostra redenzione, espressa con i dipinti e altri modi, il popolo viene istruito e confermato nella fede, ricevendo i mezzi per ricordare e meditare assiduamente gli articoli di fede».[339]

241. È necessario soprattutto che i fedeli avvertano la relatività del culto cristiano delle immagini. L’immagine, infatti, non è venerata per se stessa, ma per chi vi è rappresentato. Perciò alle immagini «si deve attribuire il dovuto onore e la venerazione, non certo perché si crede che vi sia in esse qualche divinità o potere che giustifichi questo culto o perché si debba chiedere qualche cosa a queste immagini o riporre fiducia in loro, come un tempo facevano i pagani, che riponevano la loro speranza negli idoli, ma perché l’onore loro attribuito si riferisce ai prototipi che esse rappresentano».[340]

242. Alla luce di questi insegnamenti i fedeli eviteranno di cadere in un errore che talora si riscontra: quello di istituire paragoni tra le sante immagini. Il fatto che alcune immagini siano oggetto di una particolare venerazione, fino al punto da divenire il simbolo dell’identità religiosa e culturale di un popolo, di una città o di un gruppo, va spiegato alla luce dell’evento di grazia che è all’origine del culto reso ad esse e dei fattori storico-sociali che hanno concorso a stabilirlo: comprensibilmente il popolo fa frequente e grata memoria di quell’evento; quindi rafforza la sua fede, glorifica Iddio, salvaguarda la propria identità culturale, eleva con fiducia incessanti suppliche, che il Signore, secondo la sua parola (cf. Mt 7,7; Lc 11,9; Mc 11,24), è pronto ad esaudire; così aumenta l’amore, si dilata la speranza e cresce la vita spirituale del popolo cristiano.

243. Le sante immagini, per la loro stessa natura, appartengono sia alla sfera dei santi segni sia alla sfera dell’arte. Esse, «non di rado capolavori d’arte soffusi di intensa religiosità, sembrano il riflesso di quella bellezza che da Dio proviene e a Dio conduce».[341] Tuttavia la funzione dell’immagine sacra non è in primo luogo quella di procurare un godimento estetico ma di introdurre al Mistero. Talvolta, l’aspetto estetico prende il sopravvento, facendo sì che l’immagine diventi più un “tema” artistico che portatrice di un messaggio spirituale.

In Occidente la produzione iconografica, molto varia nella tipologia, non è regolata, come in Oriente, da sacri canoni vigenti da secoli. Ciò non significa che la Chiesa latina abbia trascurato di vigilare sulla produzione iconografica: essa ha proibito più volte di esporre nelle chiese immagini contrarie alla fede, indecorose o tali da indurre i fedeli in errore, o che siano espressione di un astrattismo disincarnato e disumanizzante; certe immagini, infatti, sono esempi di un umanesimo antropocentrico più che di autentica spiritualità. E’ anche da riprovare la tendenza a eliminare le immagini dai luoghi sacri, con grave detrimento per la pietà dei fedeli.

La pietà popolare ama le immagini, che recano le tracce della propria cultura; le rappresentazioni realistiche, i personaggi facilmente individuabili, le rappresentazioni in cui si riconoscono momenti della vita dell’uomo: la nascita, la sofferenza, le nozze, il lavoro, la morte. Tuttavia si deve evitare che l’arte religiosa popolare scada nella pura oleografia: c'è correlazione tra iconografia e arte per la Liturgia e arte cristiana secondo le epoche culturali.

244. Per il loro significato cultuale, la Chiesa benedice le immagini dei Santi, soprattutto quelle destinate alla pubblica venerazione,[342] e chiede che, illuminati dall’esempio dei Santi, «procediamo sulle orme del Signore, fino a che si formi in noi l’uomo perfetto nella misura piena della statura di Cristo».[343]Così pure la Chiesa ha emanato alcune norme sulla collocazione delle immagini negli edifici e spazi sacri, che devono essere diligentemente osservate;[344] sull’altare non si devono collocare statue né immagini di Santi; neppure le reliquie, esposte alla venerazione dei fedeli, si devono deporre sulla mensa dell’altare.[345] E’ compito dell’Ordinario vigilare che non siano esposte alla venerazione immagini che non siano degne o inducano in errore o a pratiche superstiziose.

Le processioni

245. Nella processione, espressione cultuale di carattere universale e di molteplice valenza religiosa e sociale, il rapporto tra Liturgia e pietà popolare acquista particolare rilievo. La Chiesa, ispirandosi a modelli biblici (cf. Es 14,8-31; 2 Sam 6, 12-19; 1 Cor 15, 25-16, 3), ha istituito alcune processioni liturgiche, le quali presentano una variegata tipologia:

- alcune sono evocative di avvenimenti salvifici riguardanti Cristo stesso; tra queste: la processione del 2 febbraio commemorativa della presentazione del Signore al Tempio (cf. Lc 2, 22-38); della Domenica delle Palme, che evoca l’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme (cf. Mt 21, 1-10; Mc 11, 1-11; Lc 19, 28-38; Gv 12, 12-16); della Veglia pasquale, memoria liturgica del “passaggio” di Cristo dal buio del sepolcro alla gloria della Risurrezione, sintesi e superamento di tutti gli esodi compiuti dall’antico Israele e premessa necessaria dei “passaggi” sacramentali che compie il discepolo di Cristo, soprattutto nel rito battesimale e nella celebrazione delle esequie;

- altre sono votive, quali la processione eucaristica nella solennità del Corpo e Sangue del Signore: il santissimo Sacramento passando in mezzo alla città degli uomini suscita nei fedeli espressioni di grato amore, esige da essi fede-adorazione ed è sorgente di benedizione e di grazia (cf. At 10, 38);[346] la processione delle rogazioni, la cui data è stabilita attualmente per ogni paese dalla rispettiva Conferenza dei Vescovi, che sono pubblica implorazione della benedizione di Dio sui campi e sul lavoro dell’uomo, ed hanno anche un carattere penitenziale; la processione al cimitero il 2 novembre, Commemorazione dei fedeli defunti;

- altre ancora sono richieste dal compimento stesso di alcune azioni liturgiche; tali sono: le processioni in occasione delle stazioni quaresimali, nelle quali la comunità cultuale si reca dal luogo fissato per la collecta alla chiesa della statio; la processione per ricevere nella chiesa parrocchiale il crisma e gli oli santi benedetti il Giovedì Santo nella Messa crismale; la processione per l’adorazione della Croce nell’Azione liturgica del Venerdì Santo; la processione dei Vespri battesimali nel giorno di Pasqua, durante la quale «mentre si cantano i salmi, si va al fonte»;[347] le “processioni” che nella celebrazione dell’Eucaristia ne accompagnano alcuni momenti, quali l’ingresso del celebrante e dei ministri, la proclamazione del Vangelo, la presentazione dei doni, la comunione al Corpo e Sangue del Signore; la processione per portare il Viatico agli infermi, nei luoghi in cui essa vige ancora; il corteo funebre che accompagna il corpo del defunto dalla casa alla chiesa e da questa al cimitero; la processione in occasione di traslazioni di reliquie.

246. La pietà popolare, soprattutto a partire dal Medioevo, ha dato largo spazio alle processioni votive, che nell’età barocca hanno raggiunto l’apogeo: per onorare i Santi patroni di una città o contrada o corporazione ne vengono portate processionalmente le reliquie o una statua o una effigie per le vie della città.

Nelle forme genuine le processioni sono manifestazioni di fede del popolo, aventi spesso connotati culturali capaci di risvegliare il sentimento religioso dei fedeli. Ma sotto il profilo della fede cristiana le “processioni votive dei Santi”, come altri pii esercizi, sono esposte ad alcuni rischi e pericoli: il prevalere delle devozioni sui sacramenti, che vengono relegati in un secondo posto, e delle manifestazioni esterne sulle disposizioni interiori; il ritenere la processione come momento culminante della festa; il configurarsi del cristianesimo agli occhi dei fedeli non sufficientemente istruiti soltanto come una “religione dei Santi”; la degenerazione della processione stessa per cui, da testimonianza di fede, essa diventa mero spettacolo o parata puramente folkloristica.

247. Perché la processione conservi in ogni caso il suo carattere di manifestazione di fede è necessario che i fedeli siano istruiti sulla sua natura sotto il profilo teologico, liturgico, antropologico.

Dal punto di vista teologico si dovrà mettere in luce che la processione è un segno della condizione della Chiesa, popolo di Dio in cammino che, con Cristo e dietro a Cristo, consapevole di non avere in questo mondo una stabile dimora (cf. Eb 13, 14), marcia per le vie della città terrena verso la Gerusalemme celeste; segno anche della testimonianza di fede che la comunità cristiana deve rendere al suo Signore nelle strutture della società civile; segno infine del compito missionario della Chiesa, la quale sino dagli inizi, secondo il mandato del Signore (cf. Mt 28, 19-20), si è messa in marcia per annunciare per le strade del mondo il Vangelo della salvezza.

Dal punto di vista liturgico si dovranno orientare le processioni, anche quelle di carattere più popolare, verso la celebrazione della Liturgia: presentando il percorso da chiesa a chiesa come cammino della comunità vivente nel mondo verso la comunità che dimora nei cieli; provvedendo che sia svolta sotto la presidenza ecclesiastica, onde evitare manifestazioni irrispettose e degenerative; istituendo un momento di preghiera iniziale, in cui non manchi la proclamazione della Parola di Dio; valorizzando il canto, preferibilmente dei salmi, e l’apporto di strumenti musicali; suggerendo di recare in mano, durante il percorso, ceri o lampade accese; prevedendo delle soste, le quali, per il loro alternarsi ai tempi di marcia, danno l’immagine stessa del cammino della vita; concludendo la processione con una preghiera dossologica a Dio, fonte di ogni santità, e con la benedizione impartita dal Vescovo, dal presbitero o dal diacono.

Infine, dal punto di vista antropologico si dovrà evidenziare il significato della processione quale “cammino compiuto insieme”: coinvolti nello stesso clima di preghiera, uniti nel canto, volti all’unica meta, i fedeli si scoprono solidali gli uni con gli altri, determinati a concretizzare nel cammino della vita gli impegni cristiani maturati nel percorso processionale.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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