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QUESTIONI SOCIALI ASSOCIATE AL MONDO GIOVANILE come la scuola, internet, ed altro...

Ultimo Aggiornamento: 13/12/2012 09:28
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Luci ed ombre della riforma Gelmini 
Educazione 

Mercoledì 12 Gennaio 2011 19:43  dal sito: LOTTIMISTA


Un esame dei provvedimenti già in vigore da qualche tempo, ad eccezione di quelli che riguardano l’università, mostra novità importanti ma che non sono sufficienti per parlare di svolta epocale

di Vincenzo Barcellona

I termini “riforma Gelmini” designano un insieme di leggi emanate da Governo e Miur (Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca), il cui scopo è quello di riformare il sistema scolastico. Non entreremo nel merito dei provvedimenti concernenti l’università approvati nel dicembre scorso tra violente contestazioni di piazza, segnale di un malessere giovanile che ha radici  non recenti e che deriva principalmente dalle difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro.

Vi sono, nella riforma, interventi che interessano le scuole di ogni ordine e grado:
 - le ore scolastiche, che potevano essere ridotte fino a 50 minuti, son tornate ad essere ore effettive di 60 minuti.
 - È stata introdotta la materia Cittadinanza e Costituzione che, oltre ai temi dell’educazione civica, comprende anche l’educazione ambientale, l’educazione stradale e  l’educazione alla legalità e ai valori del volontariato.
- Sono adottabili solo libri di testo per i quali l’editore si impegna a non pubblicare nuove edizioni prima di 5 anni per scuole elementari e 6 anni per le medie e le superiori (salvo i necessari aggiornamenti).
- Altri interventi riguardano più specificamente ciascun segmento del sistema dell’istruzione.
- Viene data alle famiglie la possibilità di anticipare l’iscrizione dei propri figli a due anni e mezzo nella scuola materna.
- Alle elementari, dall’anno scolastico 2009-2010, è stata reintrodotta la valutazione numerica in decimi e la figura del maestro unico di riferimento che sostituirà gradualmente i tre docenti per due classi precedentemente previsti nel cosiddetto “modulo”.
 - Anche nella scuola media si è tornati alla valutazione numerica in decimi e le famiglie possono optare per un aumento di due ore settimanali da utilizzare per l’apprendimento di una lingua straniera per corsi di italiano per studenti stranieri.
- È stata introdotta la prova nazionale dell’Invalsi di Italiano e Matematica, nell’esame finale di Licenza media.

I provvedimenti riguardanti le scuole superiori sono stati attivati da questo anno scolastico 2010-2011, per arrivare a pieno regime nell’anno scolastico 2014-2015. Diverse sono le novità, a partire dall’introduzione di due nuovi Licei (Scienze umane e Musicale e coreutico) e l’ampliamento del Liceo artistico, mentre gli Istituti tecnici vengono a loro volta riformati per soddisfare le attuali esigenze del mondo del lavoro.

Gli indirizzi (sperimentali e non) di Licei ed Istituti tecnici passano da oltre 700 (!) a 20.
- L’insegnamento della lingua e letteratura inglese diviene obbligatorio, per tutto il quinquennio, in ogni istituto superiore.
- L’insegnamento delle materie scientifiche viene potenziato in alcuni indirizzi.
- Il voto in condotta, anche se mai abolito in precedenza, fa media: qualora uno studente non raggiungesse i sei decimi in tutte le materie, condotta compresa, non potrà essere ammesso alla classe successiva o al ciclo successivo né potrà affrontare l’esame di maturità.

L’elenco delle novità apportate dalla riforma è molto lungo e soltanto una visione del sito del Miur può fornirne una panoramica completa (1).

È giusto mettere un tetto al numero di assenze degli allievi durante l’anno scolastico, come recentemente puntualizzato dal Miur? Siamo convinti che le Regioni debbano adeguare l’offerta formativa delle Scuole professionali al territorio? Quelle menzionate sono tutte innovazioni condivisibili.
La scuola deve pretendere di più per ciò che riguarda il comportamento degli allievi, sanzionandoli eventualmente con il cinque in condotta che fa media? Il buon senso dice di sì, anche se avevamo assistito ad una politica scolastica di precedenti ministri che lo negava.

E tuttavia la riforma Gelmini è stata annunciata a suo tempo come una riforma epocale. È così?
Se con questo aggettivo si intende che i cambiamenti che essa introduce nel mondo della scuola siano forieri di novità sconvolgenti ciò non è vero.
 Se invece si vuole far intendere che alcune derive ultratrentennali sono state invertite allora “epocale” è un aggettivo solo parzialmente appropriato.

Ho già avuto modo di affermare che se si pensa di risolvere gli odierni problemi della scuola, servendosi solamente di correttivi  tecnici, siamo fuori strada (2). D’altro canto i test PISA (3), che pure possono essere ritenuti importanti in quanto costituiscono un’asettica misurazione degli apprendimenti, non ci fanno comprendere l’ingolfata dinamica del mondo scolastico e del mondo giovanile.

Ci sono dunque elementi di vera novità nelle circolari ministeriali e nel nuovo ordinamento che sono stati introdotti dal Ministro Gelmini?

Esaminando i fatti nel modo più obiettivo possibile, siamo effettivamente in presenza di novità che rompono con una visione buonista e permissivista che è ancora ben radicata nei nostri edifici scolastici. Coraggiosamente viene rotto uno schema che vedeva la scuola quale possibile sbocco lavorativo per la disoccupazione intellettuale: è un dato di fatto che la scuola italiana abbia un elevato numero di docenti, anche se tale numero è in parte dovuto alla presenza degli insegnanti di sostegno e al fatto che vi sono tante scuole con pochi alunni in paesi di montagna e nelle numerose isole. Purtroppo ci sarà qualcuno che pagherà un prezzo dovuto a decenni di mancanza di chiarezza, ma non vi sono riforme che siano completamente indolori.

Quali sono allora le ombre?

Esaminando i provvedimenti in questione, si ha spesso l’impressione che i conti pubblici siano una preoccupazione prevalente su quella dell’esigenza di rapidi miglioramenti. In tal senso è da registrare un intervento del Presidente della Repubblica (4). C’è da chiedersi, per esempio, il motivo per cui, per alcuni posti in organico (sia docenti che non docenti) che non risultano occupati, ogni anno scolastico vengano nominati dei supplenti.
E ancora: gli istituti professionali comunemente denominati IPSIA (Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato) hanno ancora un senso se viene ridimensionato il numero delle ore di pratica, completando la “licealizzazione” di questo tipo di scuola iniziata molti anni fa? Molti pensano che si voglia chiudere nel giro di alcuni anni questo genere di scuola demandando la formazione professionale ai centri regionali.
Si sottovaluta in tal modo il pericolo di un abbassamento del livello culturale che si potrebbe conseguentemente avere a causa di un’eccessiva enfatizzazione dell’attività pratica, a scapito di quella culturale per non parlare del reclutamento degli insegnanti di tali centri che avviene in via discrezionale, al di fuori delle graduatorie stilate dal Miur.

In conclusione: non si percepisce una riaffermazione della centralità della scuola e della figura dell’insegnante, con la sua fondamentale ed insostituibile funzione; non vi sono ancora criteri per una valutazione dei docenti; non vi sono elementi di vera concorrenza tra il sistema scolastico pubblico e quello privato.
A questo si aggiunga che non vi è dibattito sulla scuola, sull’educazione e sulle tematiche ad esse attinenti, né tantomeno i politici sembrano essere veramente preparati o interessati alla problematica.
In questo contesto gli insegnanti e loro organizzazioni sono, al momento, degli interlocutori con una capacità propositiva e di contrattazione o interdizione di eventuali politiche errate, pressoché pari a zero.
A dimostrazione di questo assunto, i dati di partecipazione allo sciopero del personale della scuola 15 ottobre 2010, segnalano un’adesione del 3,1% dei lavoratori del comparto.
 
Ancora c’è molto, anzi moltissimo da fare.


(1) http://www.istruzione.it/web/hub/riforma
http://archivio.pubblica.istruzione.it/riforma_superiori/nuovesuperiori/index.html

(2) http://www.lottimista.com/cultura/35-scuola-e-formazione/118-emergenza-educativa.html
http://www.lottimista.com/cultura/35-scuola-e-formazione/148-lemergenza-educativa-futura-catastrofe-o-nuova-opportunita-parte-seconda.html
http://www.lottimista.com/cultura/35-scuola-e-formazione/176-lemergenza-educativa-futura-catastrofe-o-nuova-opportunita-terza-parte.html

Si veda pure:
http://www.lottimista.com/sacro/839-la-religione-degli-ateo-materialisti-e-i-dieci-comandamenti-nelle-scuole.html

(3) http://www.lottimista.com/cultura/35-scuola-e-formazione/1133-listruzione-in-italia-segnali-di-miglioramento.html

(4) “Per quel che riguarda la scuola l'obbiettivo di una minore spesa non può prevalere su tutti gli altri, e va formulato, punto per   punto, con grande attenzione ai contenuti e ai tempi, in un clima di dialogo. Ma ciò non può risolversi nel rifiuto di ogni revisione necessaria a fini di risparmio; deve invece tradursi nel massimo sforzo sul piano della razionalizzazione e del maggior rendimento della spesa per la scuola, sul piano del sostanziale miglioramento della sua qualità". Intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione della cerimonia di apertura dell'anno scolastico 2008-2009 Palazzo del Quirinale, 29/09/2008, http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=1310



 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/02/2011 19:40
 
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Ma è questa la scuola italiana?


di padre Piero Gheddo*

ROMA, domenica, 13 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Mi telefona una cara amica di una cittadina vicina a Milano, con 30 anni di insegnamento nelle scuole elementari, per augurarmi Buon Anno e poi continua: “Più vado avanti  e più mi accorgo che di cinque in cinque anni i genitori dei bambini sono sempre più preoccupati di tutto, meno che dell’educazione e dei valori da trasmettere ai loro figli. Quel che importa è che il bambino non torni a casa scontento. Sono sempre pronti a mettere i puntini sulle i, ma educazione zero. Numerosi quelli che prendono la scuola come un parcheggio: io lavoro, il  mio bambino è custodito e basta. Bambini non controllati, non seguiti”.

“A volte mi metto a pulire le loro cartelle e dico al bambino: quand’è l’ultima volta che tua mamma ha guardato dentro alla tua cartella? Tiro fuori manate di carta, disegni stropicciati, senza il materiale che serve. Nella nostra città arriviamo al 45-50% dei bambini non italiani, sono bengalesi, singalesi, equadoregni, peruviani.  Queste famiglie, eccetto qualche caso, ci tengono di più all’istruzione, all’educazione,  chiedono se il bambino è educato, se si comporta bene. E’ duro dirlo, ma molte famiglie italiane non sono così. Gli immigrati fanno più figli e sanno educarli. Sono in condizioni peggiori delle famiglie italiane, ma fanno più figli e ci tengono ad educarli bene. Come fanno? Rinunziano a tante comodità e dimostrano che si può vivere bene anche in una povertà dignitosa”.

“E poi, com’è diventato difficile, anche nelle scuole elementari, fare certi discorsi. Per Natale il parroco voleva venire ad augurare il Buon Natale a tutti. Abbiamo dovuto mandare ai genitori una lettera nella quale chiedevamo se permettevano che il bambino partecipasse a questo saluto. Mamma mia! Ma un augurio o anche la benedizione del sacerdote non ha mai fatto male a nessuno. E ci sono italiani che dicono di no, mentre i genitori stranieri, in genere, rispondono che il loro figlio canta le canzoncine di Natale, partecipa al saluto del sacerdote….. Insomma, non possiamo più fare un passo senza avere il consenso dei genitori in tutto e per tutto”.

“Ci sono ancora delle famiglie italiane che si salvano, ma sono sempre meno. Dieci-vent’anni fa, c’erano mamme che venivano a chiederti notizie del figlio, come faceva, se si comportava bene, chiedevano consiglio; se c’è qualcosa da dire me lo dica pure. Adesso, se la maestra ha scritto un appunto sul quaderno del bambino, perché è già tre volte che viene in classe senza il quaderno, oppure perché per il terzo giorno consecutivo ha picchiato un altro bambino; la mamma viene a chiedermi come mi sono permessa di scrivere quelle cose sul suo tesoro.  Bisogna pesare e soppesare le parole. E’ vero, non bisogna offendere, ma dire lo stesso le cose che devi dire. Perché ci sono delle colleghe che ti dicono: ma chi te lo fa fare? Tu dì che va tutto bene e sei a posto. Ma non è giusto. La maestra non insegna solo delle nozioni, ma educa la personcina di cui ha la responsabilità”.

“Oggi poi  è diventato difficile proporre cose che possano andar bene a tutti. Ad esempio, una volta la IV e la V si ritrovavano, anche fuori dell’orario scolastico, per celebrare la festa del IV novembre, le famiglie ci tenevano; oppure si andava in chiesa all’inizio dell’anno e i bambini venivano tutti. Queste cose non si possono più fare, ma non diamo la colpa al fatto che ci sono stranieri di religione diversa. Non è vero, ci sono italiani che della religione non glie ne importa assolutamente niente e vogliono che il bambino sia educato così”.

“Ricordo che c’era un reduce dalla guerra in Russia che sapeva parlare ai ragazzi. Veniva in classe e raccontava la sua prigionia in Russia, le lunghe camminate sulla neve, la sofferenza della fame e altro. I bambini ascoltavano attenti, con la bocca aperta. Portava in classe i suoi scarponi come li aveva portati dalla Russia, con ancora la terra della Russia attaccata alle suole: un cimelio. Era un racconto educativo. Oggi non si può più fare. I genitori si scandalizzerebbero. I bambini non debbono soffrire di nulla, non possiamo parlare della morte, della sofferenza, i bambini debbono essere sempre contenti. Poi li lasciano allo sbando per ore davanti alla televisione in tenera età. Noi ci accorgiamo dai discorsi che fanno in classe, chiaramente televisivi. I bambini non debbono essere messi a confronto con la realtà, che è anche dolore, malattia, morte! L’importante è che non rompano le scatole ai genitori”.

“Ho ancora presente una bambina egiziana. Mamma e papà  erano due gioielli. La bambina si è presentata in prima elementare e aveva problemi di linguaggio. Il papà chiedeva di  fare il lavoro la notte per sei mesi, in modo da poter accompagnare la bambina due volte alla settimana per la logopedia. Quando gli ho detto che la bambina era curiosa, interessata a tutto e stava migliorando, quell’uomo, che era un armadio, si è messo a piangere. A quest’uomo e a sua moglie, una bellissima signora, ho chiesto se a Natale la bambina poteva cantare le canzoncine di Natale e hanno risposto: 'Rania canta tutto, anche le canzoni di Natale. Rania deve sapere che ci sono anche le altre religioni'. Ci sono famiglie italiane che non vogliono, sono atee, i loro bambini debbono essere come loro. Nei primi anni che ero in scuola, si faceva la preghierina tutte la mattine, adesso non si può più. Noi insegnanti cattoliche in una scuola laica, abbiamo anche degli insegnanti che sono contro la religione e la Chiesa. Bisogna agire con calma ma una volta abbiamo bisticciato per le canzoncine natalizie”.

“Purtroppo, oggi la maggioranza delle famiglie non sono regolari. Anni fa facevamo fare il compito 'La mia famiglia' oppure 'Mio papà e mia mamma' e venivano fuori dei bei temini che  commuovevano i genitori. Adesso non si può più perché molte famiglie sono irregolari e si mettono in difficoltà i bambini. Qualcuno viene fuori a dire: 'Io ho due papà. Il mio papà vero e il mio papà finto'. Una mamma viene a dirmi che si è separata dal marito e mi consegna un foglio del tribunale e dice: se il marito viene a ritirare la bambina, non bisogna dargliela. La società non si rende conto che la separazione e il divorzio lo pagano i bambini. I genitori vogliono il diritto di fare quel che vogliono, ma al diritto del bambino di avere due genitori che si vogliono bene, chi lo rispetta? Quando i genitori si separano o divorziano, i bambini sono quelli che più ci perdono. Crescono male, hanno una ferita psicologica che li accompagnerà tutta la vita”.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.


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Per una scuola... senza aggettivi


di Giuseppe Adernò*

CATANIA, martedì, 1° marzo 2011 (ZENIT.org).- La recente polemica innescata dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio sulla scuola pubblica ha creato ancora una volta un polverone di dichiarazioni e di araldi della scuola. La constatazione di fondo è che la scuola viene sempre “dopo” le esigenze dell’economia, della politica, del lavoro, delle forze dell’ordine pubblico, degli affari internazionali, senza constatare che la scuola è fonte e alimento di ordine pubblico, di lavoro, di progresso, di civiltà, di politica e di economia.

Accusarsi e difendersi non produce alcun bene. Quel che appare reale e grave è lo stato in cui versano gli studenti che non vengono seguiti, le carenze di organico che rendono difficile il lavoro professionale e didattico, le carenze di strutture e di servizi adeguati per una vera scuola di qualità, che passa anche attraverso un organico sistema di reclutamento dei docenti e di una specifica qualificazione professionale.

L’agire in risposta all’emergenza educativa e mettere in atto interventi adeguati per vincere la sfida, oggi sempre più evidente e pericolosa, significa pensare ad una progettazione scolastica di ampio respiro, capace di sviluppare competenze spendibili, più che nozioni di ripetere. Il vero apprendimento, infatti, produce modifiche essenziali nei comportamenti degli studenti e quindi nel modo di pensare, di sentire e di agire. La pluralità delle proposte didattiche e formative, la diversità di stili di insegnamento, la varietà di concezioni dell’idea di scuola sollecitano una rinnovata dimensione di ordine e di regola che non sempre viene costruita con adeguata progettualità e coerenza.

Polemizzare tra scuola statale e paritaria (che oggi soffre un grave disagio di identità e di crisi su molti aspetti) non produce buoni frutti, impegna pagine di giornali, provoca disagi e disorientamenti, scioperi e accanimenti per nulla produttivi. La scuola la si difende operando bene, gli amministratori nel renderla presente e prioritaria nella progettazione economica, le famiglie nel sentirsi protagonisti attivi nell’azione e nella scelta educativa per i loro figli.

«La Chiesa, come sempre, ha molta stima e fiducia nella scuola perché è un luogo privilegiato dell'educazione - ha dettoBagnasco - tanto più che siamo nell'ambito del decennio sulla sfida educativa, che la Cei ha scelto. Quindi ci sta a cuore l'educazione integrale anche attraverso la scuola e in qualunque sede, statale o non statale, l'importante è che ci sia questa istruzione, ma anche questa formazione della persona che è scopo della scuola a tutti i livelli.

Nel turbine delle polemiche seguite all'intervento di Silvio Berlusconi al congresso dei Cristiano-riformisti è intervenuto anche il Card. Angelo Bagnasco, il quale ha affermato “la Chiesa, come sempre, ha molta stima e fiducia nella scuola perché è un luogo privilegiato dell'educazione tanto più che siamo nell'ambito del decennio sulla sfida educativa, che la Cei ha scelto. Quindi ci sta a cuore l'educazione integrale anche attraverso la scuola e in qualunque sede, statale o non statale, l'importante è che ci sia questa istruzione, ma anche questa formazione della persona che è scopo della scuola a tutti i livelli”. “Ci sono tantissimi insegnanti e operatori – ha aggiunto – che sappiamo che si dedicano al proprio lavoro con grande generosità, impegno e competenza, sia nella scuola statale che non statale. Quindi il merito va a loro”.

E tutto ciò è davanti agli occhi di tutti, anche se i giornali non ne parlano e il bene che la scuola produce non fa notizia. Dare grande spazio ed importanza ad episodi di bullismo, di intemperanza, di errori nella didattica e nella relazione educativa non produce certamente il bene della scuola ed offende la stragrande maggioranza di docenti che operano con alta professionalità e lodevole impegno, conseguendo anche ottimi risultati di eccellenza e gratificanti successi formativi.

Il presidente del Senato, Renato Schifani, a margine di un incontro in Abruzzo, è intervenuto sulla questione dichiarando: “la scuola svolge una funzione primaria: educa le future classi dirigenti del Paese, e a questa va riconosciuta una funzione indispensabile. Spero che le polemiche di questi giorni vengano archiviate al più presto”.

''In generale - ha concluso Bagnasco - sicuramente tutti auspichiamo che la scuola, a tutti i livelli e in tutte le sedi, possa veramente rispondere ai desideri dei genitori per i loro figli''. Il compito educativo riguarda tutti, adolescenti ed adulti, ma sicuramente il mondo degli adulti ha oggi una responsabilità in più se davvero crede che “l’adolescenza possa essere 'il tempo delle opportunità' e non quello delle delusioni, che danno poi origine alle ‘passioni tristi'”. Indebolire la scuola, significa porre ostacoli al futuro della società e solo una società ed uno Stato che investe nella scuola ha progettualità e speranza di sviluppo.

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*Il prof. Giuseppe Adernò è preside dell’Istituto “G. Parini” di Catania.


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02/03/2011 09:46
 
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Magistrale intervento di Benedetto XVI "l'innovatore" sul tema "Linguaggio e comunicazione"

"Occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo ... il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo". E' un discorso di alto contenuto quello che Sua Santità Benedetto XVI ha tenuto, presso la Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, lunedì 28 febbraio ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, convocata a Roma fino al 3 marzo sul tema "Linguaggio e comunicazione". E la frase che abbiamo messo in evidenza è un buon prologo di tutto ciò.

Il Santo Padre dimostra di conoscere appieno il mondo della comunicazione e, un pò a sorpresa, rispetto a quello che è il comune pensare, Benedetto XVI si dimostra attento all'evoluzione informatica della nostra società, una "rivoluzione" però da coniugare col l'imprescindibile messaggio cristiano. Se le nuove tecnologie non solo cambiano il modo di comunicare, ma stanno operando una vasta trasformazione culturale e si va sviluppando un nuovo modo di apprendere e di pensare, il Papa sottolinea che ci sono "inedite opportunità di stabilire relazioni e costruire comunione", "sempre nella modalità del linguaggio, inteso naturalmente in senso lato, non solo verbale".

E qui inizia la vera e propria breve lezione di comunicazione del Santo Padre. Scrive, infatti, che "il linguaggio non è un semplice rivestimento intercambiabile e provvisorio di concetti, ma il contesto vivente e pulsante nel quale i pensieri, le inquietudini e i progetti degli uomini nascono alla coscienza e vengono plasmati in gesti, simboli e parole. L’uomo, dunque, non solo «usa» ma, in certo senso, «abita» il linguaggio... I nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale determinano, tra l’altro, una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica, orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano spesso l’immagine e i collegamenti ipertestuali. La tradizionale distinzione netta tra linguaggio scritto e orale, poi, sembra sfumarsi a favore di una comunicazione scritta che prende la forma e l’immediatezza dell’oralità. Le dinamiche proprie delle «reti partecipative», richiedono inoltre che la persona sia coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse e la loro visione del mondo: diventano «testimoni» di ciò che dà senso alla loro esistenza".
 
Naturalmente il Santo Padre sottolinea i rischi che si corrono: "la perdita dell’interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell’emotività, il prevalere dell’opinione più convincente rispetto al desiderio di verità". Tuttavia, ed è qui un importante passaggio del Papa, questi rischi sono "la conseguenza di un’incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni". "Ecco perché la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente". E il Papa aggiunge che il punto di partenza è la stessa Rivelazione "che ci testimonia come Dio abbia comunicato le sue meraviglie proprio nel linguaggio e nell’esperienza reale degli uomini, «secondo la cultura propria di ogni epoca» ... fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio Incarnato. La fede sempre penetra, arricchisce, esalta e vivifica la cultura, e questa, a sua volta, si fa veicolo della fede, a cui offre il linguaggio per pensarsi ed esprimersi. È necessario quindi farsi attenti ascoltatori dei linguaggi degli uomini del nostro tempo, per essere attenti all’opera di Dio nel mondo".

"Quali sfide il cosiddetto «pensiero digitale» pone alla fede e alla teologia? Quali domande e richieste?". Questo si chiede Benedetto XVI e la risposta è la seguente: "Il mondo della comunicazione interessa l’intero universo culturale, sociale e spirituale della persona umana. Se i nuovi linguaggi hanno un impatto sul modo di pensare e di vivere, ciò riguarda, in qualche modo, anche il mondo della fede, la sua intelligenza e la sua espressione. La teologia, secondo una classica definizione, è intelligenza della fede, e sappiamo bene come l’intelligenza, intesa come conoscenza riflessa e critica, non sia estranea ai cambiamenti culturali in atto. La cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via. Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo. È inoltre da considerare che la comunicazione ai tempi dei «nuovi media» comporta una relazione sempre più stretta e ordinaria tra l’uomo e le macchine, dai computer ai telefoni cellulari, per citare solo i più comuni".

Ed arriviamo ad una domanda che aspetta una risposta profetica: "Quali saranno gli effetti di questa relazione costante?". La risposta del Papa è chiara: "è proprio l’appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione. ... il contributo dei credenti allora potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media, aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare". Infine il Papa conclude ricordando la figura del gesuita evangelizzatore della Cina, padre Matteo Ricci, che "nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo ha considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, cogliendo tutto ciò che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo".

E adesso tocca a noi cattolici digitali mettere in pratica gli insegnamenti del successore di Pietro, del "dolce Cristo in terra".

MATTEO ORLANDO





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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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L’inno di Mameli. Frammenti dal commento di Roberto Benigni, Festival di Sanremo, 17/2/2011

                                       


Trascriviamo alcune espressioni di Roberto Benigni nell’esegesi dell’Inno di Mameli, al festival di Sanremo, 17/2/2011. Per altri testi di Roberto Benigni vedi su questo stesso sito la sezione Letteratura.

Il Centro culturale Gli scritti (18/2/2011)



L’Italia è l’unico paese al mondo dove è nata prima la cultura e poi la nazione. L’ha tenuto insieme la lingua e la cultura, immensa.

Un paese che non proclami forte i propri valori è pronto per l’oppressione e la servitù.

Risorgimento poi è una parola... Risorgere viene dal vangelo, è una cosa mistica, religiosa... è proprio una resurrezione.

Nessun altro luogo del mondo ha avuto un’avventura impressionante, scandalosamente bella come la città di Roma.

In dialetto non si può scrivere la Divina Commedia. Non si può.


La bandiera venne inventata, trovata, scelta da Mazzini da un verso di Dante Alighieri – come al solito – che nel canto XXX del Purgatorio, l’apparizione di Beatrice...

Quindi la bandiera viene da Dante Alighieri.

Uniamoci, amiamoci, l’unione e l’amore... L’unione e l’amore rivelano ai popoli le vie del Signore. Queste.... sono le idee di Gioberti, cattolicesimo e liberalismo insieme.


Assenza è più acuta presenza – dice il Poeta.

Abbiamo inventato noi la libertà, nel 1100, 1200... i comuni liberi.

E le campane di Palermo suonarono – le nomina Dante.

Spesso per essere felici... anzi deve bastare poco. Non deve essere cara la felicità. Se è cara, non è di buona qualità. Ricordiamocelo. Semplici cose.

Loro hanno imparato a morire per la patria, perché noi potessimo vivere per la patria.


Lo canta... non perché protegge la terra dei suoi padri, ma perché tutela la vita dei suoi figli.



Per ristudiare davvero il Risorgimento, cliccate anche qui:

Il Risorgimento? Una pagina da ristudiare..... La Chiesa vera artefice dell'Unità



Come dobbiamo e possiamo festeggiare i 150 anni dell'Unità d'Italia? Il Messaggio del Papa all'Italia






[Modificato da Caterina63 18/03/2011 00:29]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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31/05/2011 11:54
 
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«Viva la squola», l'ennesima puntata


di Rino Cammilleri

da la BussolaQuotidiana 30-05-2011


A Trieste un preside serio ha vietato agli studenti di venire a scuola sbracati. A metà maggio, all’Istituto tecnico navale cittadino una circolare ammoniva: «Con l'approssimarsi della bella stagione si invitano allieve e allievi a indossare un abbigliamento adeguato durante le lezioni (…). Non saranno accolti studenti con abbigliamento da spiaggia (spalle scoperte, pantaloni corti o a mezza gamba)». Davanti al portone, un bidello era incaricato di rimandare indietro i contravventori.

Ma, qualche giorno dopo, una trentina di protestatari si è presentata vestita (si fa per dire) in dispregio alla norma. Il bidello (pardon: l’esponente del personale non docente) ha sbarrato l’ingresso e quelli hanno chiamato la polizia. Vicepreside e agenti sono addivenuti a un compromesso: sarebbe entrato solo chi avesse firmato apposito foglio. Solo in otto hanno acconsentito. Come andrà a finire? La cosa finirà in mano alla magistratura? Saremmo tentati di dire: ma no, i magistrati hanno ben altro da fare.
Ma sappiamo che non è così, perché il politicamente corretto adisce volentieri le vie legali.
Chi ha un comportamento o atteggiamento o abbigliamento scostumato è gelosissimo del proprio «diritto» e se ne sbatte allegramente di violare quello altrui (che sarebbe il sacrosanto diritto di non vedere certi spettacoli: l’osceno stupra il pudore altrui). [SM=g1740730]

Eh, quel preside non sa contro cosa si è messo. Ho conosciuto un insegnante delle superiori che ha passato i guai per avere detto a una studentessa di quinta che quella era la scuola, non la discoteca. Appunto per l’abbigliamento disinvolto (diciamo così) e il maquillage vistoso. La giovine raccontò la sua versione al padre e al fidanzato, i quali fecero un esposto al preside, il quale richiamò l’insegnante in questione, il quale chiamò a testimone la classe, di fronte a cui si erano svolti i fatti; la classe solidarizzò con la giovine e l’insegnante fu chiamato dal provveditore, sul cui tavolo l’esposto era ormai giunto. L’insegnante, per sicurezza, cambiò mestiere.

Personalmente ho frequentato un liceo il cui preside obbligava i maschi a indossare la giacca e le femmine il grembiule. Anche la ricreazione era separata. Ma io mi sono diplomato nel 1969, quando ancora il disastro non era dilagato. Ho fatto tutto il liceo con la giacca. Chi non l’aveva, non entrava. E, se non entrava, a casa le buscava.
Poi venne il Sessantotto, e a buscarle furono i presidi.
Sì, perché il problema non sono i pargoli, ma i loro genitori, come ben sanno quelli che di mestiere fanno gli insegnanti. [SM=g1740729]
Povere creature, a scuola non c’è (ancora) l’aria condizionata, hanno ragione a (s)vestirsi un po’ negligé. E poi, dove la mettiamo la creatività dei giovani? D’inverno vestono tutti, maschi e femmine, con scarpe di gomma, jeans e felpa. Tutti. Dunque, anche d’estate la loro fantasia deve sbizzarrirsi: infradito, pinocchietti e canottiera. Tutti. E poi, si sa, i tatuaggi ogni tanto hanno bisogno di prendere vento, senno’ quell’aria un po’ così da tagliagole della filibusta, orecchino e piercing compresi, dove va a finire?

Ai miei tempi mio padre me le suonava se osavo contraddire il preside. Già, ma erano altri tempi. Il secolo scorso, roba da guerre puniche. Oggi la mamma picchia il preside, perché i figli, data la loro rarità, sono diventati piezz’e core: «il bimbo», anche se si rade da almeno quattro anni. Vanno capiti, poveri pargoli, e assecondati, altrimenti si drogano, si suicidano per futili motivi, si vanno a schiantare il sabato sera. Un mio amico insegnante, di fronte all’ennesimo «impreparato» collettivo dell’intera classe, fece notare ai suoi studenti quanto segue: imparate a memoria, e senza sforzo, le formazioni delle squadre di calcio e i testi delle canzoni inglesi; perché non fate lo stesso con lo studio? Risposta corale e indignata: ma noi siamo ragazzi!

Già: una volta la scuola serviva a farli diventare uomini, i ragazzi. Oggi serve a farli restare «ragazzi» per sempre.

Preside di Trieste, tu che sei del secolo scorso, non sai che i tuoi studenti sono figli e nipoti dei Sessantottini? Non insistere con la tua crociata moralizzatrice (due termini odiosi ai contemporanei, perfino ai preti). Avrai contro non solo i destinatari di essa, ma anche le famiglie, il provveditore, il ministro, i sindacati e i media. Non ti sei accorto che la scuola italiana è ormai solo un parcheggio politicamente corretto? Chi te lo fa fare? Penz’a salute!


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Cari GENITORI, non viziate i Figli ingannadoli SUI LORO DIRITTI, perchè avete la grave responsabilità di insegnare loro I DOVERI....





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06/07/2011 14:18
 
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La rifondazione dell’Europa comincia dall’Ungheria?
di Élizabeth Montfort*, su Zenit.org del 25.05.2011

ROMA, (ZENIT.org).- Una rondine non fa primavera, ma uno Stato europeo, e non dei minori, che si dà una Costituzione eurocompatibile che rispetta sia la Carta europea dei diritti fondamentali sia la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è un esempio da seguire.

Lunedì 18 aprile 2011, in conformità con gli impegni presi dal primo ministro Viktor Orban quando nell’aprile 2010 vinse in modo eclatante le elezioni politiche (2/3 dei seggi alla Camera dei deputati), la Costituzione ungherese è stata modificata nello spirito e nella lettera. Il testo del 1990, adottato subito dopo la caduta del Muro di Berlino, è stato giudicato troppo liberale e ancora caratterizzato da residui comunisti.
Il potere è stato ripartito tra i tre principali partiti: La Fidesz, partito di centro destra, i cui rappresentanti nel Parlamento europeo fanno parte del Partito Popolare Europeo; I Socialisti, completamente screditati dopo la gesione disastrosa del Primo ministro Ferenc Gyurcsany che aveva mentito sull’entità del deficit del blancio dello Stato, cosa che nel 2008 lo aveva spinto a chiedere al fondo Monetario Internazionale un aiuto di 20 miliardi di euro per salvare il Paese dalla bancarotta; Il partito Jobbik, di estrema destra, che ha come obiettivo la difesa dei valori e dell’identà dell’Ungheria.

La nuova Costituzione proposta dal Premier e dalla Fidesz è stata approvata con 262 voti contro 44 e una astensione. Il testo è stato approvato dal Presidente della Repubblica ungherese, Pal Schmitt, il 25 aprile scorso ed entrerà in vigore il 1 gennaio 2012. Durante il dibattito in aula l’opposizione non ha espresso alcun intervento. Il che non le ha impedito finora di sostenere gli oppositori a questa nuova legge fondamentale.

Quali sono i cambiamenti della Costituzione :

1- Il primo riguarda il riferimento alle radici cristiane dell’Ungheria. Il Preambolo dice infatti che «La Costituzione si inscrive nella continuità della Santa Corona» e ricorda «il ruolo del cristianesimo» nella «sua storia millenaria ».
Ci si stupisce delle reazioni negative a questo testo, dato che al momento della redazione del Trattato costituzionale dell’Unione Europea, tutti i paesi membri hanno approvato il riferimento alla nostra eredità cristiana, tranne la Francia.
La petizione europea, promossa dalla Fondation de Service politique con quzalche deputato europeo avea ottenuto nel 2004 1,4 millioni di firme ed era stata sostenuta da circa 60 associazioni in rappresentanza di 50 milioni di aderenti. Un primato nella storia europea. Questa petizione era stata registrata dalla Commissione sulle petizioni, ma la Commissione europea non si è degnata di darle corso come avviene di solito quando le petizioni vengono registrate.
Il riferimento alle radici cristiane non è una questione di opinione, ma una verità storica. Bisogna ricordare che la nazione ungherese si è organizzata a partire dal battesimo di Santo Stefano, incoronato re di Ungheria, al punto che chi detiene la sua corona detiene anche il potere. E’ questo il motivo per cui la Corona di Santo Stefano si trova oggi al Parlamento ungherese, il che gli dà la legittimità di fare le leggi.

2- La seconda modifica riguarda l’unione tra due persone: «La Costituzione protegge l’istituzione del matrimonio, considerato come l’unione naturale tra un maschio e una femmina e come il fondamento della famiglia».
Questo riferimento riprende, nel suo spirito, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che, nonostante le pressioni per introdurre l’unione tra due persone dello stesso sesso, rimane un testo di riferimento per tutti gli Stati. La nuova Costituzione ungherese non rimette in questione l’unione tra persone dello stesso sesso e non le considera equivalenti al matrimonio.

3- La terza modifica riguarda la vita di tutti gli esseri umani prima della nascita: «Dal momento del concepimento, la vita merita di essere protetta come un diritto umano fondamentale» e «la vita e la dignità sono inviolabili », riprendendo in un certo modo il primo articolo della Carta europea dei diritti fondamentali: «la dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e protetta».
Alcuni si sono indignati di questo ritorno all’ordine morale. Dobbiamo dedurne che l’ordine umano è un ordine amorale? La nuova Costituzione ungherese è eurocompatibile? si chiedono gli oppositori. Se non lo fosse, allora vorrebbe dire che tutti i testi di riferimento sono lettera morta, considerato che l’Unione europea si è costruita a partire dal rispetto dei diritti dell’uomo la cui universalità è espressa nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, riconosciuta come patrimonio comune dell’umanità, e non sui diritti astratti e soggettivi rivendicati senza riferimento ad un patrimonio comune.

Certo, la decisione appartiene ai legislatori. Ma questi votano in nostro nome. Tacere sarebbe da parte nostra un atto di irresponsabilità. Le leggi ci riguardano tutti. E’ nostro dovere incontrare i nostri deputati e senatori per dire loro che teniamo al rispetto dei nostri principi fondamentali.
____
*Élizabeth Montfort, già Deputata al Parlamento Europeo, è portavoce dellaFondation de Service Politique (Paris)

fonte: Liberté Politique.com via Zenit.org

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19/07/2011 23:20
 
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Card. Cañizares: la vita è difficile per i giovani in Spagna


La GMG, un “evento di speranza”


 

MADRID, martedì, 19 luglio 2011 (ZENIT.org).- “La situazione dei giovani in Spagna non è affatto  facile, né esente da sofferenze”, ha affermato questo lunedì il Cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, durante una conferenza in Spagna.

Il porporato sta partecipando al Corso estivo “I giovani e la Chiesa cattolica” presso l'Università Re Juan Carlos.

Nel suo intervento, ha riflettuto sulla delicata situazione che sta provocando l'alto livello di disoccupazione in Spagna, sottolineando che la mancanza di posti di lavoro e di un orizzonte lavorativo stabile è preoccupante per lo sviluppo delle persone e delle loro famiglie.

“Non avere lavoro è terribile, e le ripercussioni di questa situazione comportano scoraggiamento e conflitto sociale”, ha affermato. Per il Cardinal Cañizares, è necessario aiutare i più poveri, “tra cui i giovani, che non hanno lavoro e vivono con una cultura della delusione che li ignora”.

“Bisogna essere realisti e comprendere che i giovani hanno una vita difficile, ma in primo luogo dobbiamo scoprire gli interrogativi umani che tante volte secondo loro non trovano risposta”.

“Il Vangelo dà loro il senso necessario per proclamare di nuovo la speranza”, ha aggiunto.

In questo senso, ha affermato che la Giornata Mondiale di Madrid di agosto rappresenterà “un evento di speranza” per i giovani del Paese.

“La GMG, come qualsiasi pellegrinaggio, è una parabola di ciò che è la vita, con le sue gioie e i suoi dolori”, in cui “possiamo essere senza niente e, allo stesso tempo, avere tutto”.

La speranza, ha affermato, è l'“alternativa realista dell'ottimismo, che contempla l'esistenza di difficoltà sul cammino. Il giovane con spirito di avventura e capacità di stupirsi può scoprire il grande tesoro che l'umanità credeva nascosto, e questo si è rivelato in Gesù Cristo”.

Il presule ha sottolineato che sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI “non hanno mai gettato nulla in faccia ai giovani, non hanno condannato, ma proposto un programma esigente e allo stesso tempo appassionante, superando il relativismo che ha esiliato la virtù e ha lasciato il giovane a guardare se stesso, senza incoraggiamento e con sfiducia”.

“Non possiamo lasciare i giovani nella situazione della parabola del Vangelo che dice 'Siamo oziosi perché nessuno ci ha presi a giornata'”, ha concluso.

 

 

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11/08/2011 00:17
 
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Trasgressivi? No, solo obbedienti



Da leggere soprattutto per chi ha dei figli.






Da La Bussola di Roberto Marchesini
05-08-2011





Non ho fatto in tempo a mettermi alla tastiera per un commento sulla morte del ventunenne lombardo ucciso a Mikonos da una bottigliata in discoteca che mi raggiunge la notizia di una ventenne precipitata dal balcone dell'albergo a Maiorca. La memoria va alla ventunenne uccisa l'anno scorso a Lloret de Mar, o al ventiseienne morto per un “tuffo dal balcone” a Ibiza, sempre l'anno scorso. Tutti giovanissimi, tutti morti nei “paradisi dello sballo” dove abbondano musica, alcol e droga. I media parlano di “trasgressione”. Io non sono d'accordo. Secondo me questi giovani sono assolutamente obbedienti. Obbediscono all'educazione che noi adulti stiamo impartendo loro. Non siamo forse noi che li esponiamo a dosi massicce di erotismo e sessualità “ricreativa”, disimpegnata, facile (“Basta che non prendi brutte malattie...”)? Non siamo noi che li intratteniamo ogni pomeriggio con programmi nei quali non bisogna avere talenti particolari per avere l'attenzione della telecamera (e quindi diventare popolare)? Che proponiamo loro come modelli persone dedite al narcisismo e al divertimento (“di-vertimento” da cosa, visto che non lavorano)? Non siamo noi che abbiamo abbassato gli standard scolastici, in modo che le aule siano “luoghi di socializzazione”? Non siamo noi che facciamo di tutti perché i “ragazzi” non debbano fare la benché minima fatica (“Che al resto ci pensiamo noi”)? Chi gli dà i soldi – stiamo parlando di ventenni - per piercing, tatuaggi e vacanze con gli amici all'estero (mai, però, che so, a Czestokowa, a Medjugorje, a Lourdes...)?





Non è forse questa la generazione del “Mio figlio deve avere quello che non ho avuto io”? No, questi poveri giovani non sono vittime della trasgressione, ma dell'obbedienza. Abbiamo cresciuto questa generazione in provetta: sono vittime di noi adulti. Se davvero fossero trasgressivi, questi giovani getterebbero il televisore dal balcone, anziché se stessi; si ribellerebbero al consumismo a credito, all'ecologismo senza fondamento scientifico, al politicamente corretto; chiederebbero “Perchè?” come facevano da bambini, tenterebbero di “unire i puntini”, facendo connessioni e traendo conclusioni; sarebbero contemplativi, ma in azione (con le mani). Frugherebbero nei bauli per riscoprire autori dimenticati da decenni, esigerebbero una istruzione seria, riscoprirebbero le virtù. E magari la preghiera. Ma questi ragazzi non sono trasgressivi, sono “bravi ragazzi”, come si dice sempre dopo la loro morte. È questa la loro condanna.


**************************************


Pur concordando in tutto con l'articolo - che sarebbe necessario far meditare al Catechismo visto che li si fa girare di tutto.... che almeno si facciano leggere queste riflessioni -  proprio come madre di due figli, maschio e femmina di 18 e 21 anni, francamente avrei arricchito lo schema con qualcosa di più corposo....  
Lo dico per esperienza....  
Ho la grazia di poter discutere molto con i figli e il marito, spesso proprio a tavola, dei temi del giorno, e fino ad oggi ho avuto un buon dialogo con i figli.... i problemi sono assai più complessi, specialmente per quelle Famiglie, come la nostra, che seppur non abbiamo dovuto combattere contro questo genere di problemi, per quanto abbiamo comunque lavorato per tenerli lontani.... nel crescere i figli mi dicevano: "mamma tu hai ragione, ci insegni questo e quest'altro, ma quando siamo fuori casa a noi ci sembra di vivere in un altro mondo che fa tutto il contrario di quello che ci insegnate tu e papà..." Embarassed  
 
spesse volte questi figli combattono un mondo che è per loro completamente ostile, ma devono viverci.... e la droga, il sesso, la discoteca, l'alcol, sono spesso l'apice dei problemi, ma non il problema, il quale va fatto emergere da certe culture devastanti che si INSEGNANO A SCUOLA....  
sul profilattico ho sempre insegnato loro questo: io non posso vietarvelo.... ma devo insegnarvi che questo oggetto non è la soluzione dei problemi, al contrario, li copre e li appesantisce.... i problemi non vanno coperti MA AFFRONTATI E COMBATTUTI....  
e così per la droga, l'alcol....  
quando una mia amica mi rimproverò perchè a 12 anni non mandavo mia figlia in discoteca il sabato sera, con la sua... le rispondevo: "amica mia! HA SOLO DODICI ANNI!!! non posso appesantirla facendole assumere certe responsabilità per le quali non è ancora in grado di portarne il peso, sono MAMMA, NON L'AMICA.... sono l'educatrice, sono genitore e non l'amichetta di turno o la zia o la nonna...."  
 
CON I FIGLI BISOGNA PARLARE A CHIARI LETTERE.... il si deve essere si e il no deve restare un no.... anche se questo fa soffrire....  
Oggi sono i figli a ringraziarci per le fatiche affrontate insieme.... ma non è ancora finita, questo mondo con la sua cultura si va sempre di più allontanando da Dio....  
 
SE LE MAMME NON TORNERANNO A PREGARE  per i figli sarà vita dura.... certo, madre e padre insieme, ma chi tiene il focolare acceso è la mamma... siamo noi che dobbiamo RITORNARE A DIO.....  
i Tempi saranno ugualmente difficili, ma non saremo mai disperati se ci sarà una mamma con il Rosario a seguire marito e figli
....




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11/10/2011 22:47
 
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Scuola, ricominciare da un compito

di Erminio Riboldi
10-10-2011


Le manifestazioni di piazza che hanno visto e vedranno nelle prossime settimane come protagonisti studenti, docenti e addetti della scuola, pur motivate da disagi reali (classi affollate, strutture inadeguate o carenti, stipendi bassi dei docenti e del personale), appaiono, agli occhi dei più come un rito scontato e piuttosto ripetitivo, anche se clamoroso nel momento in cui accadono.


Se si leggono le dichiarazioni degli organizzatori o dei partecipanti intervistati, l’obiettivo primario resta la volontà di dire basta al governo in carica “che continua a distruggere la scuola, l'Università, la ricerca e il nostro futuro, continuando a far pesare la crisi soltanto sui più deboli e mantenendo intatti i privilegi di pochi”. Accanto a questo, altri obiettivi suonano identici a quelli di quarant’anni fa. Dicono gli studenti: ”Diritto allo studio, edilizia scolastica, welfare studentesco, didattica alternativa sono solo alcune delle nostre rivendicazioni di cui abbiamo dibattuto e che continueremo ad approfondire nelle nostre scuole e nei luoghi di partecipazione”.

Sempre, da quarant’anni a questa parte, tutti i ministri della Pubblica istruzione hanno dovuto affrontare questi “problemi” e, se la soluzione pare ancora così lontana non può essere certo addossata come una colpa all’attuale ministro, al quale, semmai, in tempi di ristrettezze economiche, è toccato il compito di non allargare più i cordoni della borsa.

Piuttosto c’è da notare come, di fronte a tutte queste manifestazioni, come di fronte alla gran parte degli argomenti che riguardano la scuola, la gran parte delle persone, quella che non è direttamente coinvolta nelle agitazioni in corso, avverte un senso di noia misto a impotenza e passa ad altro.


Perché?

Innanzitutto perché il mondo della scuola è percepito come un fardello, inevitabile ma noioso, da parte degli alunni. A scuola bisogna andarci, lo sanno tutti, ma la cosa migliore è uscirne quanto prima, ovviamente con il diploma in mano. Ricorda molto da vicino il servizio militare obbligatorio: si cominciavano a contare i giorni che mancavano “all’alba”, fin dalla prima notte in caserma.

Voglio dire che, per molti, anche se non per tutti, la scuola è inutile. Ti dà un diploma, ma non ti dà un lavoro; ti obbliga al rispetto formale di orari, valutazioni, esami, ma non mantiene quello che promette.

Il quadro è completo se si aggiunge che per molti, troppi, docenti essa è solo un luogo di lavoro con paga bassa e soddisfazioni nulle, mentre un buon numero di genitori non ha alcuna stima dei professori e del loro lavoro.

Con queste false idee in testa che si coagulano a formare quella, altrettanto falsa, di una scuola nella quale “un sacco di gente non ha nulla da fare”, è facile pensare che la scuola si possa prestare facilmente a fare da grancassa per manifestazioni che, con il pretesto di rivendicare qualcosa di almeno parzialmente pertinente, servano in realtà altri scopi di natura differente. Da qui lo scarso interesse dei più.


Ma questo è anche l’indizio del problema più profondo che attanaglia la scuola: pochi, infatti,  saprebbero rispondere con sicurezza alla domanda “che cos’è e a cosa serve la scuola”.

Sono nozioni andate perdute e malamente sostituite da altre con coloriture ideologiche o tecnocratiche a secondo del proponente di turno. Ma la confusione regna sovrana.

Come ciò sia accaduto, e perché, meriterebbe ulteriori e più complesse considerazioni, che qui non affronto.


Provando però a rispondere alla domanda, la scuola dovrebbe insegnare a cercare la verità, grazie allo sforzo costantemente educativo dei docenti e all’impegno nello studio dei discenti, in esso opportunamente stimolati dai genitori.

Provate a rileggere questa frase e calcolate a quanti anni luce di distanza si trovi rispetto alle teorie dominanti e alla realtà che ci circonda.


Ecco, forse questo è il compito che ci tocca per cominciare a impostare la soluzione del problema e ridurre la distanza: con i nostri figli, con i nostri alunni rinnovare lo sforzo per dire loro che, contrariamente a quanto sentono dire, la verità esiste, che merita di essere cercata e vissuta e che, anche nella scuola, la si può ancora incontrare.


E non è un compito da poco.

[SM=g1740771]


La scuola italiana? N'apocalisse...

Da La Bussola di Rino Cammilleri del 14-12-2011

Il fatto è questo: in ottobre una maestra con trent’anni di esperienza si è vista sollevare dall’incarico perché durante una lezione avrebbe turbato una bambina di prima elementare. È successo a Bologna (Il Resto del Carlino, 26 novembre 2011). La maestra in questione, insegnando religione cattolica, ha parlato del brano dell’Apocalisse in cui si tratta della caduta degli angeli ribelli e della punizione dei malvagi. E ha illustrato il tutto mostrando foto dei quadri di Guido Reni [nella foto], il famoso pittore seicentesco. Una bimba si è spaventata e l’ha detto alla mamma, la quale ha fatto un esposto al responsabile del circolo didattico competente.

Questo ha informato la Curia, e la maestra è stata sostituita. Ma lei non ci sta. Al suo fianco sono scesi i genitori degli altri bambini e perfino il deputato Fabio Garagnani (Pdl). La maestra sospesa ha informato perfino il Papa con lettera il 2 dicembre e dalla Segreteria di Stato vaticana (scrive Blitz Quotidiano, online, l’11 dicembre) le è stato risposto molto paternamente, con tanto di benedizione apostolica. Il che ha almeno rinfrancato la ricorrente, il cui cattolicesimo è stato rassicurato per quanto riguarda l’ortodossia (in tal senso, intervistata, avrebbe deposto). La cosa non finirà qui, anche perché il deputato di cui sopra intende dare battaglia. In effetti è una questione di principio.

Ora, solo gli interessati, come sempre in casi del genere, conoscono i dettagli della questione, nel cui merito non ci sentiamo di entrare. Sì, perché le cose della vita sono sempre più complicate di quel che i giornali riportano (tempus fugit e lo spazio è tiranno: ai giornalisti interessa solo "la notizia"). Può darsi che ci siano retroscena umani che non conosciamo (che so, invidie, ripicche tra colleghi, caratteri più o meno difficili, sensibilità più o meno marcate…). Può anche darsi che la maestra in questione abbia davvero esagerato. E può perfino darsi che ci siano di mezzo nuance laiciste, come sembrerebbe sostenere il deputato (dato il luogo in cui è avvenuto il fatto, Bologna, non ci stupirebbe).

Ma questa storia della povera bambina impressionabile ci lascia un po’ perplessi. Non c’è sera in cui l’annunciatrice televisiva non ci avvisi che il «programma è adatto a un pubblico adulto». E non è possibile che genitori normali riescano tutte le sante sere a cambiare in tempo canale. Per andare dove, poi? Da Fiorello che fa réclame ai preservativi senza che l’annunciatrice abbia preavvertito? E poi, Harry Potter e i vampiri di Twilight hanno forse il bollino rosso? Il pargolo odierno viene incoraggiato all’uso del computer e di internet, perché è bene che impari fin da piccolo. Cioè, si immette il cucciolo implume nella jungla e non di rado lo si lascia lì da solo, perché i genitori lavorano.

Meglio le fiabe. Sì, in esse ci sono gli orchi che mangiano i bambini, le streghe che offrono mele avvelenate, i lupi che sbranano gli innocenti. Nemmeno i draghi di Christopher Paolini o di Licia Troisi sono zucchero filato senza calorie. Evidentemente la Madonna nel 1917 non aveva frequentato le scuole magistrali, altrimenti non avrebbe mostrato a tre pastorelli portoghesi (tutti minori) nientemeno che l’Inferno e le anime dannate. La maestra di Bologna ha illustrato una lezione che, in sé, ci pare lodevole: i cattivi sono sempre puniti, perché esiste un Aldilà di giustizia.
Ci sembra una buona lezione.
Specialmente per i bambini.





[Modificato da Caterina63 20/12/2011 14:12]
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Fra qualche giorno è Natale !
Non vogliamo ridurci a solite frasi di "auguri" moralisti, cuoricini, stelline e quant'altro... ma di proposito vogliamo vivere questo Natale con coloro a cui è stato vietato di vivere, a coloro che UCCISI NEL GREMBO MATERNO, non avranno mai un Natale da festeggiare... e vogliamo farvi questi AUGURI raccontandovi l'ennesima storia di un omicidio legalizzato, l'ennesima storia di adulti assassini che ora impongono alle fanciulle di essere complici di tanta efferatezza... l'ennesima storia che ci riporta, in questo Tempo natalizio , a ricordare LA STRAGE DI ERODE che ancora una volta si consuma fra l'indifferenza dei tanti....


Cari giovani, RIBELLATEVI! il Quarto Comandamento che ci dice di onorare il padre e la madre, non ci autorizza a calpestare il Quinto: non uccidere!
Pertanto non sarà e non è mancanza di rispetto ai genitori se, gentilmente, li si ammonisce duramente contro la loro aberrante imposizione di UCCIDERE....
Cari Giovani, noi non possiamo fare altro che sollecitarvi, pregare con voi e per voi, informare, svegliare i cuori, il resto dovrete farlo voi: RIBELLATEVI! Fatevi questo dono per questo Natale, imparate a dire NO all'ingiustizia, alle leggi assassine, dite no a chi vi impone di uccidere!


Buon Natale!

A Trento, come ai tempi di Erode


Da La Bussola di Francesco Agnoli del 12-12-2011

A Trento, come in tante città d’Italia, venire concepiti è sempre più un rischio ed una colpa. Che si paga con la morte. Ne hanno parlato anche i quotidiani nazionali. Una giovane ragazza trentina di sedici anni, incinta, è stata spinta dai genitori ad abortire. Nonostante fosse fortemente determinata a tenere il bambino. Nonostante fosse, secondo i quotidiani locali, molto “innamorata” del suo fidanzato.
I genitori sono addirittura ricorsi al Tribunale dei Minori, affinché l’eliminazione cruenta del nipote fosse ingiunta dall’autorità. Imposta con la violenza.

Dopo aver resistito con le unghie e con i denti, la povera ragazza, è capitolata e “ha deciso”, non certo spontaneamente, di abortire.
Innumerevoli sono le riflessioni che nascono di fronte ad un simile fatto drammatico.
Partiamo dalla meno importante: quel figlio è stato ucciso anche perché i suoi nonni non potevano accettare il fidanzato della figlia. Un ragazzo albanese. “Omicidio per motivi razziali?”, si domanderà qualcuno. Non importa: nessun professionista dell’antirazzismo si è sentito in dovere di protestare. L’aborto è ormai un bene senza se e senza ma.
Andiamo ora al cuore della vicenda. La cultura abortista si è sempre nascosta dietro il principio dell’autodeterminazione delle donne. L’autodeterminazione è oggi un sacro dogma intoccabile, ma a senso unico: può uccidere suo figlio, la madre che lo vuole; può far uccidere sua figlia, il padre che lo desidera, in nome di una presunta volontà della stessa, espressa a parole, in età adolescenziale.
Ma nessuno alza un dito per proteggere l’autodeterminazione di una ragazza che vuole tenere il bambino, e che viene incalzata, assediata, violentata nella sua libertà, da chi vuole costringerla a divenire il boia della sua creatura. Pro morte, la nostra cultura, sempre; pro vita, mai.

L’autodeterminazione è dunque una truffa: non solo perché non esiste il diritto di nessuno a negare la vita del suo prossimo, in nome della propria presunta libertà; ma anche perché la verità dell’aborto è che quasi sempre la donna che vi ricorre lo fa “costretta”: costretta dalle circostanze; dalla spinta di genitori, compagni, mariti; dalla freddezza e dall’insensibilità di chi la circonda; da problemi economici; da una cultura ingannatrice che le nasconde la natura del bambino, la drammaticità del gesto con cui viene ucciso, e le conseguenze future per la propria psiche e la propria vita. Ma a nessuno interessa rimuovere queste cause, queste costrizioni. A nessuno interessa l’autodeterminazione, quando è per il bene.
Il Nemico del genere umano, del resto, offre sempre, sotto il nome della “libertà”, solide e terribili catene.
Un’ultima considerazione, per un cattolico la più amara. Di fronte alla ragazza che difendeva la vita del figlio, non si è levata alcuna voce autorevole: un convento che si offrisse di tenere il bambino; un sacerdote che ricordasse la verità e invocasse compassione... (solo il rappresentante del Movimento per la Vita si è reso disponibile).

Nulla di nulla. Anzi, il direttore del settimanale diocesano trentino, “Vita Trentina”, ha dichiarato: “E’ un caso amaro. Una maternità che parte da uno stato di sofferenza così grande non parte bene. La Chiesa non può certo dichiararsi a favore dell’aborto, ma capiamo l’enorme difficoltà della famiglia e crediamo che in questa storia vadano sorretti tutti, la ragazza e i suoi genitori”. Dichiarazioni, queste, che dimostrano non solo una mancanza di fede, ma anche un assoluto disprezzo del buon senso e dell’uso della ragione. Infatti il direttore del settimanale diocesano ha anzitutto, per prima cosa, stigmatizzato una maternità, difficile quanto si voglia. Come se non fosse un valore in se stessa. Come se, qualunque sia il modo in cui è nato, ogni uomo non fosse per sua natura degno di rispetto.

Poi, dopo una frasetta di circostanza, quasi d’obbligo (tributo al mestiere che fa), ha dichiarato molto convintamente di “capire”, cioè di condividere, la scelta per la morte; infine con un equilibrismo degno di Ponzio Pilato e don Abbondio messi insieme, ha elegantemente omesso di citare il bambino (vanno aiutati “tutti, la ragazza e i suoi genitori”), dato ormai per spacciato o per inesistente, e ha invitato invece a sorreggere i genitori, cioè la loro volontà di costringere all’aborto, e, nello stesso tempo, la vittima, la figlia costretta ad abortire contro voglia. Come sorreggere quest’ultima, non è stato detto. Non era, è chiaro, un pensiero impellente, per il bravo direttore diocesano. Eppure, dire una parola all’intervistatore non era difficile; eppure, si poteva senza grossi rischi testimoniare la verità; eppure si doveva provare ad offrire un soccorso vero, magari anche solo indicando ai genitori e alla ragazza una via diversa: la possibilità di partorire il bambino e di renderlo adottabile. Ma le idee, gli sforzi per fare il bene, quando il cuore è altrove, non vengono.

Salvaci tu, Gesù bambino, dalla banalità del male. Dai nonni che spingono i genitori ad uccidere il “piccolo albanese” che vive in loro figlia. Dai cattolici che hanno perso ogni anelito al Bene ed alla Giustizia, e che ragionano come il mondo. Dai cattolici che non sanno vederti, in quel bambino ucciso barbaramente, come ai tempi di Erode.


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http://www.carloneworld.org/images/Speciale_Natale/gif_animate/buon_Natale/Buon_Natale_Albero_di_parole.gif

si! Buon Natale
a chi saprà offrire queste opportunità
a chi si sta formando nel grembo materno;
DIFENDI LA VITA
DAL SUO CONCEPIMENTO
FINO ALLA SUA MORTE NATURALE
QUESTO E' IL VERO REGALO
Gesù Bambino
Verbo di Dio Incarnato
ti rammenti
il prezioso dono DELLA VITA


Una sentenza della Corte di Cassazione italiana fa giustizia di una delle disparità ancora esistenti tra madre e padre

Diritti e doveri
a suon di cognomi

I figli naturali che vivono con la madre e che, in un secondo momento, vengono riconosciuti anche dal padre, hanno il diritto di mantenere al primo posto il cognome materno. Il genitore non può (più) chiedere che il figlio adotti solo il suo cognome e che gli uffici dell’anagrafe cancellino quello della madre. Così ha stabilito una recente sentenza della Cassazione italiana, respingendo il ricorso di un uomo che voleva che il figlio portasse solo il suo cognome.

La decisione è importante, innanzitutto sul fronte muliebre. Essa, infatti, dà l’ultima pennellata al quadro già fissato dalla legge di riforma del diritto di famiglia (a cui Maria Eletta Martini, da poco scomparsa, diede un contributo fondamentale) che nel 1975 pose fine alla barbarie di impronta napoleonica che sanciva il diritto unilaterale e vita natural durante dell’uomo su tutti i figli. Aule di tribunale, romanzi e autobiografie straripano di donne che, dopo aver preso la difficile decisione di tenere i figli (senza abortirli o abbandonarli), e dopo aver sofferto e faticato non poco per crescerli, se li sono visti sottrarre dall’uomo improvvisamente colto da impellente sentimento paterno. Spesso si trattava di giovani domestiche che, messe in strada dalla padrona appena al corrente della gravidanza e dell’identità del suo autore, venivano poi private dei figli a distanza di anni, quando l’uomo si trovava costretto ad arrendersi allo spettro di un matrimonio sterile. Si trova traccia di queste madri nelle cartelle dei manicomi: tante di queste donne, infatti, impazzivano letteralmente di dolore.

Più in generale, però, la recente sentenza italiana è importantissima per l’idea stessa di genitorialità. Come noto, sono tanti i problemi che sorgono in mancanza di inquadramento familiare, un’assenza che spesso rende complessa la crescita e la maturazione del figlio. Sempre più, del resto, in Occidente la prole è vista come un diritto, come un accessorio o una ciliegina sulla torta nella vita degli adulti, secondo un atteggiamento egoista che inevitabilmente pagano soprattutto i figli. Ecco, tra le righe, la decisione ricorda che diventare genitori implica una responsabilità. Ricorda che un figlio non è un bene di cui ti appropri quando ti accorgi che lo vuoi, ma una persona con cui costruire e vivere una relazione.

Né l’ordinamento può ammettere che in un secondo momento, al risveglio del padre, si possa cancellare colei che invece si è subito presa cura del nato. Per la Cassazione anche «un minore in tenerissima età» (come il bimbo del caso in esame), ha diritto a vedere salvaguardata la sua identità personale. Perché il figlio è una persona da crescere, accompagnare e accudire. Non un oggetto da rimbalzarsi a suon di cognomi.

Giulia Galeotti
da l'Osservatore Romano
5 gennaio 2012

[Modificato da Caterina63 04/01/2012 19:42]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740733]alcune piccole ma grandi perle dagli Aneddoti di Rino Cammilleri


Per motivi ideologici sarei di principio a favore del federalismo. Peccato che avrebbe dovuto essere attuato fin dal 1861. Per un secolo e mezzo si è invece proceduto col centralismo giacobino alla francese. La parentesi fascista non è stata una parentesi ma una continuazione-esasperazione.
Epperò la dittatura era realmente efficiente al livello amministrativo-welfare (è il motivo per cui ancora oggi la figura di Mussolini gode di vasto credito, sebbene tacito e reticente). Oggi, tuttavia, non so se la delocalizzazione del potere sia un bene.
Anzi, lo so: ieri (sabato pomeriggio) sono andato per vetrine nella cittadina in cui passo l’estate e ho trovato parcheggi a due euro (quattromila lire) l’ora dappertutto. Per finanziare cartelloni elettronici che ti danno in tempo reale la «qualità dell’aria» e ti consigliano di smettere di fumare. Feste e fiere a ogni piè sospinto, con conseguente blocco o deviazione della circolazione.
Magari per le manifestazioni dei c.d. centri sociali che, poverini, hanno il diritto di sfilare con i loro camion-discoteca a tutto volume, e magari di imbrattare (se non peggio). Una raccolta differenziata ossessiva (senza alcuna diminuzione della tassa per i rifiuti) e guai se ti scordi il giorno in cui devi mettere fuori l’«umido». Si potrebbe creare posti di lavoro di «differenziatori», invece lo si fa fare al cittadino e a spese sue. Il fascismo era altrettanto salutista ma mandava la gente al mare gratis e, se obbligava alle adunate, almeno ti passava l’uniforme.
E faceva per gli studenti e le famiglie quel che la democrazia non ha mai fatto. Nostalgico? Di che? Io non c’ero. Però la democrazia ecologica e più spietata, in quanto a fisco, del Re Sole, assomiglia sempre più a una dittatura ideologica diffusa, per cui non sai con chi prendertela.
Bah, il resto mettetecelo voi.
Intanto vi segnalo il libro di Francesca Pannuti «Il pensiero amante» (filosofico) con prefazione del vescovo Negri (edizioni IF Press).


***

In un suo articolo (sull’Africa islamica) del 13 maggio 2012 sul sito «L’Occidentale», la specialista Anna Bono scrive tra l’altro: «La propaganda terzomondista (…), che accusa l’Occidente di tutti i mali sofferti dagli africani negli ultimi sei secoli, rende credibile che sia bene respingere la cultura occidentale in ogni sua espressione anche marginale: persino l’uso dell’orologio da polso, che difatti Boko Haram, il movimento integralista nigeriano, non ammette, mentre l’algerino Al Qaeda nel Maghreb islamico impone che venga indossato al polso destro, per non imitare gli occidentali».

***

la vera storia di John Brown che gli U.S.A. non amano dire

Nell’ottobre 1859, John Brown e diciannove seguaci sequestrarono l’arsenale federale di Harpers Ferry, in Virginia, allo scopo di armare gli schiavi negri e indurli all’insurrezione. Circondati dai cittadini, dalla Guardia Nazionale e dai soldati federali, risposero al fuoco. Dieci furono uccisi. John Brown e altri sei impiccati.
Durante la successiva Guerra di Secessione nacque la famosa canzone nordista John Brown’s Body. Eppure, il famoso scrittore Nathaniel Hawthorne (autore della celebre Lettera scarlatta) ebbe a dire che «mai nessuno fu impiccato più giustamente».
Quattro anni prima, John Brown, «che era quasi certamente pazzo», aveva compiuto un efferato massacro a Potatawomie Creek in Kansas. Brown, «che si credeva investito di una missione divina: distruggere la schiavitù», con i suoi uomini attaccò cinque famiglie. Nessuna di esse possedeva schiavi ma era legata politicamente alla fazione secondo Brown «sbagliata».
I capi famiglia furono trascinati fuori di casa e trucidati sotto gli occhi atterriti dei familiari.
Cfr. Thomas E. Woods Jr., Guida politicamente scorretta alla storia degli Stati Uniti d’America (D’Ettoris Editori), pp. 104-105.



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Omosessualità e genitorialità: realtà compatibili?
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Venerdì 07 Dicembre 2012 11:56Caterina Saccà (*)

Dawn Stefanowicz, Fuori dal buio. La mia vita con un padre gay, Edizioni Ares, Milano 2012.

I fratelli, Thomas e Scott, un padre omosessuale «cresciuto in una famiglia disastrata in cui venivano violate le barriere sessuali e si verificavano rapporti incestuosi», una madre fragile e sottomessa, affetta da diabete: in Fuori dal buio. La mia vita con un padre gay (titolo originale del libro, Out from Under: The Impact of Homosexual Parenting) Dawn Stefanowicz ripercorre i travagliati anni dall’infanzia alla prima giovinezza, in un coraggioso viaggio a ritroso nei bui meandri della memoria, alla ricerca di particolari da raccontare e da raccontarsi senza censure, in una narrazione schietta – perfino cruda e scabrosa in taluni passaggi – che si propone, al tempo stesso, come una storia di vita da condividere fino in fondo «in modo che il lettore possa facilmente comprendere gli effetti dell’influenza che i genitori e la famiglia hanno sui bambini», ma anche come una rielaborazione catartica, di grande valore psicoanalitico, capace di far emergere parole di perdono e di speranza anche là dove più laceranti affiorano le conseguenze traumatiche dell’esperienza.
La piccola Cynthia Dawn – questo è il suo nome completo – cresce nella Toronto degli anni Sessanta in una condizione di grave disagio familiare e personale in gran parte volutamente ignorata dal mondo esterno degli adulti, a cominciare da quello dei suoi insegnanti.


Tradita affettivamente da un padre assente, alla continua ricerca di relazioni gay da intrattenere con partner domestici e occasionali, e non adeguatamente sostenuta da una madre bisognosa a sua volta di aiuto, entra presto in una spirale di confusione e vergogna alimentata dall’esposizione diretta e precoce a pratiche di natura esplicitamente sessuale.

Uno stato di annichilimento della personalità e della dignità umana che si rinforza drammaticamente negli anni magmatici e tempestosi dell’adolescenza e che pregiudica sensibilmente gli stessi esordi giovanili, con l’acuirsi del quadro depressivo generale, particolarmente segnato dalla deflessione del tono dell’umore e dall’esplosione di tutta una serie di fattori predittori di rischio suicidario.

Anni di psicoanalisi e la profonda fede in Dio hanno consentito a Dawn di rappacificarsi in età adulta con questo passato ingombrante e traumatico, pesantemente contrassegnato da umiliazioni, inganni e vessazioni, aiutandola finalmente a fare piena chiarezza dentro di sé. E tuttavia, solo con la morte del padre – sconfitto dall’AIDS come molti dei suoi partner sessuali – e successivamente della madre, questa donna, divenuta nel frattempo moglie e mamma di un maschietto e una femminuccia, ha trovato il coraggio di rendere pubblica la sua terribile esperienza, allo scopo di «mostrare a tutti quanto le strutture parentali e famigliari possano incidere negativamente sullo sviluppo dei bambini».

Più che un obiettivo, una vera e propria missione per l’ormai cinquantenne canadese, impegnata in giro per il mondo a testimoniare le ragioni del suo libro, in una battaglia a favore del benessere dei figli e dell’importanza della famiglia– istituzione naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna – e contro la legalizzazione delle adozioni e nozze gay.


Out from Under è un libro destinato a far parlare di sé, e non solo per la dolorosa storia personale di Dawn Stefanowicz. La possibilità di definire la genitorialità oltre i termini biologici – ed in questo quadro ragionare sui diritti delle persone omosessuali in materia di matrimonio e adozione – è un tema di stretta attualità che c’interroga nel profondo, sia sul piano morale che socioculturale, e che c’impegna ad un dibattito comunitario serio, foriero di leggi capaci innanzitutto di rispettare il diritto di ogni bambino di crescere e di essere educato nelle migliori condizioni possibili. E che in questa direzione la famiglia svolga un’insostituibile funzione non ce lo dice solo la Chiesa, ma anche recenti studi pubblicati sulla rivista Social Science Research, ultimi di un filone scientifico ricco di spunti di interesse.

Qualificare sbrigativamente come omofobe, o come fuorvianti e scorrette, le argomentazioni a sostegno della eterogenitorialità, oltre ad essere riduttivo, non apporta significativi elementi di crescita e di novità ad un dibattito pubblico destinato, in mancanza di un cambiamento di rotta, a scivolare nel pantano delle sterili schermaglie ideologiche. Tra l’altro, una recente inchiesta realizzata nel Regno Unito dall’agenzia ComRes per conto di Catholic Voices – pubblicata sul famoso quotidiano inglese Daily Telegraph e ripresa in un blog del quotidiano La Stampa – mostra come tra gli stessi gay e transgender siano in tanti a non considerare il matrimonio omosessuale una priorità.

Alla vigilia, dunque, di scelte destinate inevitabilmente a rinfocolare le polemiche – su tutte, le confermate aperture del governo francese in materia di diritto al matrimonio e all’adozione delle coppie omosessuali –, ben vengano anche testimonianze forti come quella di Dawn Stefanowicz, capaci di fornire concreti elementi di riflessione sul tema della identità e responsabilità genitoriale della famiglia ed in grado, almeno per una volta, di riportare tutti con i piedi per terra.

(*) Caterina Saccà neuropsichiatra infantile

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