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Divinità e battesimo di Gesù e altro

Ultimo Aggiornamento: 14/01/2011 16:53
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14/01/2011 16:53
 
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Consiglia Elimina    Messaggio 22 di 24 nella discussione 
Da: Soprannome MSNcristiano-cattolico Inviato: 01/12/2003 17.39
Se saremmo giudicati, in base a che cosa lo saremo?
 
Forse però i protestanti credono che chi ha fede in Gesù non sarà giudicato, ma passerà direttamente in Paradiso. Ed io il "FORSE" lo tolgo, perchè è proprio questo che credono, "i credenti (gli evangelici non i cattolici, perchè loro e solo loro, sarebbero i veri credenti) non verranno giudicati, quindi i versetti che ci parlano del giudizio universale, sarebbero validi solo per i credenti cattolici e per tutti gli altri, pagani, atei ecc..
 
Come al solito fanno confusione, e si lasciano andare in un pressappochismo mischiato ad un certo orgoglio di fondo, l'orgoglio di essere pentecostali ad esempio.
E' difficile però che se ne rendano conto, è molto più facile vedersi coperti di ingiurie, piuttosto che vedere un'ammissione di ignoranza biblica.
Certo non tutti sono uguali, ci mancherebbe, esistono protestanti umili, fraterni, ma sono in pochi ad esserlo, la maggioranza sono pieni di se.
 
Se sarebbe come dicono loro, che i veri credenti non saranno giudicati, allora
IL GIUDIZIO UNIVERSALE, non dovrebbe chiamarsi così, ma bensì, CONDANNA UNIVERSALE.
 
Seguite il ragionamento: Se chi ha fede in Gesù non verrà giudicato, allora più che "giudizio", si tratterà di "condanna", perchè in un giudizio ci sono due possibilità
una di assoluzione e una di condanna ma per i pentecostali e protestanti in genere non è così.
 
I credenti (praticamente solo loro, noi cattolici restiamo esclusi) non verranno giudicati, ma lo saranno invece tutti gli altri.
 
Ma allora quando Gesù  parla di: "Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. 32E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra." (Mt 25,31ss)
 
Se il giudizio si svolgerà come insegnano i protestanti, le pecore non dovrebbero essere giudicate, perchè già lo furono all'atto della morte, invece nel giudizio finale tutti verremo giudicati, e ci sarà chi andrà alla destra di Dio e chi alla sinistra.
 
Idee confuse dei protestanti? Presunzione? Ignoranza? Di cosa si tratta?
 
 
Pace
Salvatore
 
 

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Consiglia Elimina    Messaggio 23 di 24 nella discussione 
Da: Soprannome MSNcristiano-cattolico Inviato: 02/12/2003 10.29
....E poi la fede  senza le opere è morta!
Qual'è il metro di giudizio per le nostra fede?
Le nostre opere, e per queste verremo giudicati.
 
Ben diverso è il caso  di chi in punto di morte (come il ladrone in croce) accetta Gesù come personale Salvatore, in quel momento (nell'ultima ora) non si può certo far fruttificare la fede ricevuta, ma sta al Padrone accettare quella richiesta di misericordia.
Non sta a noi giudicare come il Padrone ci debba retribuire, come gli operai che si lamentava di aver lavorato tutto il giorno per la paga, e poi chi fu assunto dal Padrone in tarda giornata ricevette una paga uguale.
Il padrone aveva pattuito con ogni singolo lavoratore una paga, e quella gli darà, se poi  chi è stato ingaggiato nella tarda giornata riceve la stessa paga non sono affari degli altri lavoratori, ma del Padrone.
 
Se un credente sulla terra fatica una vita per far fruttificare la sua fede, e poi  vede un suo fratello che accetta Gesù solo in punto di morte,  non si deve lamentare con il Padrone.
 
Ora chi durante la propria vita ha operato il bene ma  ha pure peccato, se si pente indubbiamente viene perdonato da Dio, ma se non avrà fatto adeguata penitenza, la farà in purgatorio (in carcere, "non usciranno dal carcere fino a quando non avranno pagato fino all'ultimo spicciolo")
 
Ecco a che cosa servirà il Giudizio, anche ad assegnare le penitenze secondo Giustizia, "perchè nulla di impuro può stare alla presenza dell'Agnello".
Ma il Giudizio  pure separerà le pecore dai capri.
 
Pace
Salvatore
 

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Consiglia Elimina    Messaggio 24 di 24 nella discussione 
Da: Soprannome MSN°Angelo Inviato: 07/03/2005 16.45
Cari tutti, nessuno pretende di svelare il mistero dell'Incarnazione, ma che la Chiesa per tre secoli si sia impegnata a scoprire le eresie (termine nato dai Padri della Chiesa) offrendo al mondo la dottrina sulla Trinità, è un motivo che non può dividere oggi i cristiani in un mondo in continua confusione.
 
Non si può avere la Trinità che è un solo Dio, con la sua dottrina se si rifiuta di riconoscere la Theotokos: Colei che ha partorito Dio. Perchè abbiamo la Trinità nella distinzione delle Tre Persone solo attraverso l'Incarnazione, il CONCEPIMENTO del Verbo nel seno della Vergine.
Questa è stata la lotta dei Padri della Chiesa quando era tutta unita.
 
Delle due vie delineate da Paolo e da Giovanni, la prima a essere ripresa e utilizzata è quella di Giovanni. Con il ti­tolo di Logos, essa offriva lo strumento ideale per un dia­logo con la cultura del tempo e per combattere le eresie, specie l'arianesimo. Fissiamo un momento di questo svi­luppo, lungo tre secoli, che ha il suo epicentro,  in Alessandria di Egitto, precisamente il momento che va da sant'Atanasio (ispirato nel definire lo Spirito Santo quale Terza Persona) a san Cirillo.
In essi, infatti, è dato contemplare questo modello cristologico nella sua forma più matura, rispet­tivamente, prima e dopo la crisi verificatasi al suo inter­no con l'eresia di Apollinare di Laodicea. Il punto di partenza di Atanasio, come era da atten­dersi, è Giovanni 1,e vv. 14: « E il Verbo era Dio - E il Verbo si è fatto carne». Egli interpreta la frase nel senso che «il Logos è divenuto uo­mo, non semplicemente che è entrato in un uomo» Maria, la Vergine attesa, ha dunque CONCEPITO per mezzo dello Spirito Santo, Dio!
 
L'incarnazione non distrugge tuttavia la trascendenza del Verbo, dal momento che «assumendo la carne, egli non diviene differente, ma rimane ciò che è» qui è il cuore del Mistero imperscrutabile dell'Incarnazione.
 
       Mentre si trova in un corpo umano, il Verbo continua a esercitare la sua sovranità sull'universo come prima. Egli è dentro e fuori tutte le cose, allo stesso tempo. Nell'incarnazione avviene che il Logos prende una carne e si modella un corpo nel seno della Vergine che egli usa poi come suo "organo". Si tratta dunque di una "incarnazione" nel senso più stretto del termine, di un "farsi" carne del Verbo, senza tuttavia mutarsi in carne. L'unita di Cristo è qui un dato acquisito in partenza.
 
Atanasio ha orrore di quelle descrizioni del Cristo che distinguono in lui il Verbo dall'uomo Gesù. Come pos­sono, esclama, chiamarsi ancora cristiani quelli che di­cono che il Verbo è entrato in un uomo santo, esatta­mente come era solito entrare nei profeti, anziché dire che è divenuto uomo? Come fanno ad essere cristiani quelli che affermano che uno è Cristo e altro il Logos?
 
È ormai chiara l'intuizione fondamentale di questa scuola, divenuta in seguito l'asse portante di tutta la cristologia della Chiesa: Cristo è un'unica persona e questa persona è quella eterna del Verbo. Il linguaggio non è an­cora così ben definito, ma l'idea dentro la Chiesa per mezzo della Tradizione, lo è perfettamente.
 
Il Logos è dunque per Atanasio il principio domi­nante in Gesù Cristo, l'unico soggetto cui va riferito tut­to ciò che si dice di lui, tutte le esperienze e le azioni de­scritte nei vangeli. Era lo stesso identico Verbo che com­piva miracoli e che piangeva, era affamato, diceva di ignorare il giorno della parusia, pregava nel Getsemani gridava dalla croce Poteva sembrare difficile conciliare, nella stessa per­sona, esperienze tanto differenti tra loro - e questo era l'argomento degli ariani -, ma Atanasio traccia una di­stinzione attenta tra quello che appartiene al Verbo nel suo essere eterno e quello che gli appartiene in quanto in­carnato. La sua spiegazione delle limitazioni o dell'an­goscia di Cristo è che si tratta di limiti non reali, ma pe­dagogici. Se la Scrittura dice che Gesù cresceva in sa­pienza e grazia, il significato è che c'era una concomi­tanza tra il suo sviluppo corporale e la manifestazione della sua sapienza. Essendo il Logos stesso, egli cono­sceva ogni cosa, solo che essendosi fatto carne, ed es­sendo la carne per natura ignorante, era giusto che mo­strasse di ignorare. Si è così impiantata saldamente nella coscienza cristia­na l'idea di Cristo come soggetto divino che entra nella storia assumendo la carne umana, senza che questo crei in lui alcun dualismo, alcuna spaccatura.
 
Una grave lacuna impedisce tuttavia ancora che questa visione del Cristo possa essere accolta pacificamente tra tutti i cristiani, nascono per questo le eresie. Sarà proprio un discepolo e amico di Atanasio, Apollinare, vesco­vo di Laodicea, che farà esplodere questa lacuna, esplici­tandola e teorizzandola.
Possiamo riassumere così il pen­siero suo e dei suoi seguaci: « Cristo ha una carne umana, ma non un'anima; in lui l'anima, intesa nel suo senso più alto di intelligenza e di volontà, è sostituita dal Verbo stes­so che ne fa le funzioni. Se infatti l'anima non è che "una scintilla di Logos", non c'è bisogno evidentemente che vi sia la parte là dove c'è il tutto. Senza contare che la presen­za di una volontà libera in Cristo comprometterebbe la sua impeccabilità e quindi la nostra salvezza». Da qui, l'incapacità di trovare un'adeguata spiegazio­ne a fatti come l'angoscia e l'ignoranza di Cristo. Man­cando un'anima umana cui attribuire questi limiti, non restava che negarli, a meno di attribuirli al Verbo stesso, come facevano gli Ariani, con la conseguenza di com­promettere così la sua piena divinità e immutabilità. Questa lacuna viene superata con san Cirillo Ales­sandrino che porterà questa visione di Cristo alla sua perfezione. In lui, più che mai, dobbiamo prescindere dai mezzi e dai modi pratici usati per affermare la sua posizione dottrinale, e concentrarci solo su di essa. Sulla scia di Atanasio, anch'egli non distingue in Cri­sto due nature (è un primo passaggio), Dio e l'uomo, ma solo due fasi di un'uni­ca esistenza, prima senza la carne, poi nella carne; una anteriore all'incarnazione, l'altra posteriore a essa. L'in­carnazione si conferma come la cerniera e lo spartiacque fondamentale.
 
Il Logos - egli ama dire - rimane ciò che era, cioè Dio; quello che avviene con l'incarnazione è che, conti­nuando a esistere nella forma di Dio, egli aggiunge a es­sa qualcosa, assumendo la forma di servo. Non due forme o due nature che si uniscono, ma una persona che riunisce in sé due forme (due nature verrà stipulato al Concilio), due modi di essere. Cirillo non dirà mai, se non alla fine e con riserva, "due nature", ma userà la celebre formula «una sola natura del Verbo, (an­che se) incarnata». (Il rifiuto di abbandonare questa for­mula di Cirillo, in seguito al concilio di Calcedonia, portò alla formazione della Chiesa orientale monofisita, che solo nel 1990, con la dichiarazione comune di Chambésy, è ritornata in comunione con la Chiesa or­todossa calcedonese in comunione con la Chiesa Cattolica, avendo le due Chiese riconosciuto che il disaccordo era di termini e non di dottrina) infatti il problema era nella terminologia ma non nella dottrina.
 
 L'apporto di Cirillo al perfezionamento di questo modello cristologico ricevuto da Atanasio è duplice. Da una parte egli supera lo scoglio dell'apollinarismo, rico­noscendo in Cristo una piena umanità dotata non solo di carne, ma anche di anima razionale; dall'altra egli intro­duce la categoria definitiva con cui spiegare l'unione delle due realtà di Cristo, quella di unione ipostatica. Che cosa vuol dire?
L'u­nione ipostatica è più che una "congiunzione" basata sull'armonia delle due volontà, umana e divina; va oltre ogni spiegazione esterna e artificiale dell'unità di Cristo, per vederla realizzata a livello della sua persona o ipo­stasi, cioè a livello più intimo e profondo che si possa pensare. Una unione per la quale l'esperienza umana non offre alcun esempio, per questo la Trinità e l'Incarnazione resta di per sè un mistero.
 
Ed è proprio per questo che Cri­sto è unico, assolutamente diverso, nella sua costituzio­ne intima, da tutti i santi e i profeti, in questa visione, il corpo di Cristo è il corpo "di Dio", non di un uomo, per questo i magi lo riconoscono e lo "adorano", per questo Simeone lo riconosce, per questo gli apostoli assistono alla sua Trasfigurazione, per questo Egli "attira le folle", pur non essendoci assolutamen­te tra l'umanità e la divinità in Cristo alcuna confusione o mescolanza, o assorbimento dell'una nell'altra. Se l'incarnazione, intesa in senso forte, è, insieme con la dottrina della Trinità, lo specifico del cristianesi­mo, ciò che lo distingue da ogni altra religione, dobbia­mo dire che qui questo "specifico" è stato, per la prima volta, posto in tutta la sua forza e collocato al centro stesso dell'edificio della fede.
 
Tutto il resto scaturisce coerentemente da qui, e in primo luogo la strenua dife­sa del titolo di Theotokos dato a Maria: ella è vera Madre di Dio, perché unica e divina è la persona nata da lei. È l'esaltazione massima del cristianesimo come reli­gione della grazia, della discesa di Dio verso l'uomo, e non dell'ascesa dell'uomo verso Dio.
 
Cristo appare in questa visione più il dono di Dio da accogliere con stu­pore e gratitudine, che non il modello da imitare nella vita, come fece Maria che rimase "stupita" tanto da sfolgorare nel Magnificat, stupita resta la cugina Elisabetta "a che debbo che la Madre del mio Signore venga a me? Beata sei che hai creduto!" Il vero cristiano prima si stupisce, poi dopo aver contemplato, agisce.
 
La Theotokos sostituisce ogni studio teologico, è Lei che ci dice chi è il Figlio:  Egli è l'Emmanuele, letteralmente il Dio-con-noi, e non è un Dio simbolico, ma è proprio Dio, il Logos ha preso dimora dentro di me letteralmente, mi ha resa Madre del mio Signore e mio Dio. Ora tu, figlio mio, per mezzo di questa natura umana Dio ti è Padre, fratello, amico, Salvatore, ti è TUTTO perchè ha preso della mia carne perchè tutti fossimo uguali a Lui, figli e salvati.
 
Per capire la fecondità spirituale di questa immagine di Cristo, si deve tener conto di un particolare. Pur ri­manendo distinte, ognuna delle due realtà di Cristo par­tecipa alle prerogative dell'altra. Così se il Verbo condi­vide le umiliazioni e le sofferenze della carne, che di­ventano "patimenti di Dio", allo stesso modo, la carne di Cristo partecipa delle divine energie e della gloria del Verbo, diventa essa stessa "vivificante", per la sua unio­ne alla vita del Verbo. Le conseguenze di questo princi­pio sul piano spirituale e salvifico, appariranno chiare solo considerando nella sua verità anche l'Eucaristia. Il contatto con la carne di Cristo diventa contatto con il Verbo stes­so e con la sua vita, natura, divina. Prima però di passare a illustrare le conseguenze di questa visione sul piano spirituale, è utile mostrare come questa visione di Cristo non è qualcosa di arcaico che non ha nessun impatto sui problemi attuali della Chiesa, ma al contrario è più che mai utile e necessaria oggi. Nel­la enciclica Redemptoris missio si leggono, tra le altre, queste parole: «È contrario alla fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo». È una risposta a quelle teorie che fanno leva su una pre­sunta "eccedenza rivelativa del Logos rispetto a Cristo", per concludere che assoluto e necessario non sarebbe, per le varie religioni, l'orientamento a Cristo Verbo in­carnato, sia pure implicito e "anonimo", ma solo l'orien­tamento al Logos eterno e atemporale, a cui tutte le reli­gioni, in modo diverso, autonomamente si ricollegano. Un punto di vista che toglie ogni giustificazione alla mis­sione verso tutti i popoli, e quindi all'esplicito comando di Cristo di andare e fare discepole "tutte le genti". La cristologia che abbiamo tratteggiato fin qui contiene la risposta più chiara e il no più fermo a questa separazio­ne tra il Logos eterno e il Cristo storico, tra la Madre, la Thetokos e il Figlio.
 
Sia lodato Gesù Cristo.
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