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J. Ratzinger, S.P. Benedetto XVI festeggia i suoi 60 anni di Sacerdozio 1951-2011, qui gli Auguri a Lui e a tutti i Sacerdoti

Ultimo Aggiornamento: 10/08/2011 18:42
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21/06/2011 23:52
 
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Il Papa ricorda la sua esperienza nel Seminario di Frisinga ed il fascino dello studio della vita e delle opere di Sant'Agostino

Grazie alla ricerca della nostra Gemma rileggiamo la risposta del Santo Padre ad una domanda sulla sua vocazione.

VISITA AL SEMINARIO ROMANO MAGGIORE IN OCCASIONE DELLA FESTA DELLA MADONNA DELLA FIDUCIA (SABATO 17 FEBBRAIO 2007)

Padre Santo, come era articolata la sua vita nel periodo della formazione al sacerdozio e quali interessi coltivava? Considerando l’esperienza fatta, quali sono i punti cardine della formazione al sacerdozio? In particolare, Maria, quale posto occupa in essa?

“Io penso che la nostra vita, nel nostro seminario di Frisinga, era articolata in modo molto simile al vostro, anche se non conosco precisamente il vostro orario quotidiano.
Si cominciava, mi sembra, alle 6.30, alle 7, con una meditazione di una mezz’ora, nella quale ognuno in silenzio parlava col Signore, cercava di predisporre l’animo alla Sacra Liturgia. Poi seguiva la Santa Messa, la colazione e poi, nella mattinata, le lezioni.

Nel pomeriggio seminari, tempi di studio, e poi ancora la preghiera comune. La sera, i cosiddetti “puncta”, cioè il direttore spirituale o il rettore del seminario, nelle diverse sere, ci parlavano per aiutarci a trovare il cammino della meditazione, non dandoci una meditazione già fatta, ma degli elementi che potevano aiutare ognuno a personalizzare le Parole del Signore che sarebbero state oggetto della nostra meditazione.

Così il percorso giorno per giorno; poi naturalmente c’erano le grandi feste con una bella liturgia, musica… Ma, mi sembra, e forse ritornerò su questo alla fine, che sia molto importante avere una disciplina che mi precede e non dovere ogni giorno, di nuovo, inventare cosa fare, come vivere; c’è una regola, una disciplina che già mi aspetta e mi aiuta a vivere ordinatamente questo giorno.

Adesso, quanto alle mie preferenze, naturalmente seguivo con attenzione, in quanto potevo, le lezioni. Inizialmente, nei due primi anni la filosofia, mi ha affascinato, fin dall’inizio soprattutto la figura di Sant’Agostino e poi anche la corrente agostiniana nel Medioevo: San Bonaventura, i grandi francescani, la figura di San Francesco d’Assisi.

Per me era affascinante soprattutto la grande umanità di Sant’Agostino, che non ebbe la possibilità semplicemente di identificarsi con la Chiesa perché catecumeno fin dall’inizio, ma che dovette invece lottare spiritualmente per trovare man mano l’accesso alla Parola di Dio, alla vita con Dio, fino al grande sì detto alla sua Chiesa.

Questo cammino così umano, dove anche oggi possiamo vedere come si comincia ad entrare in contatto con Dio, come tutte le resistenze della nostra natura debbano essere prese sul serio e poi debbano anche essere canalizzate per arrivare al grande sì al Signore.

Così mi ha conquistato la sua teologia molto personale, sviluppata soprattutto nella predicazione. Questo è importante, perché inizialmente Agostino voleva vivere una vita puramente contemplativa, scrivere altri libri di filosofia…, ma il Signore non l’ha voluto, l’ha fatto sacerdote e vescovo e così tutto il resto della sua vita, della sua opera, si è sviluppato sostanzialmente nel dialogo con un popolo molto semplice. Egli dovette sempre, da una parte, trovare personalmente il significato della Scrittura e, dall’altra, tenere conto della capacità di questa gente, del loro contesto vitale, e arrivare a un cristianesimo realistico e nello stesso tempo molto profondo.

Poi, naturalmente per me era molto importante l’esegesi: abbiamo avuto due esegeti un po’ liberali, ma tuttavia grandi esegeti, anche realmente credenti,che ci hanno affascinati. Posso dire che, realmente, la Sacra Scrittura era l’anima del nostro studio teologico: abbiamo realmente vissuto con la Sacra Scrittura e imparato ad amarla, a parlare con essa. Poi ho già detto della Patrologia, dell’incontro con i Padri.

Anche il nostro insegnante di dogmatica era persona allora molto famosa, aveva nutrito la sua dogmatica con i Padri e con la Liturgia. Un punto molto centrale era per noi la formazione liturgica: in quel tempo non c’erano ancora cattedre di Liturgia, ma il nostro professore di Pastorale ci ha donato grandi corsi di liturgia e lui, al momento, era anche Rettore del seminario e così, liturgia vissuta e celebrata e liturgia insegnata e pensata andavano insieme. Questi, insieme con la Sacra Scrittura, erano i punti scottanti della nostra formazione teologica. Di questo sono sempre grato al Signore, perché insieme sono realmente il centro di una vita sacerdotale.

Altro interesse era la letteratura: era obbligatorio leggere Dostoevskij, era la moda del momento, poi c’erano i grandi francesi: Claudel, Mauriac, Bernanos, ma anche la letteratura tedesca; c’era anche una edizione tedesca del Manzoni: non parlavo in quel tempo italiano. Così abbiamo un po’, in questo senso, anche formato il nostro orizzonte umano. Un grande amore era anche la musica, come pure la bellezza della natura della nostra terra. Con queste preferenze, queste realtà, in un cammino non sempre facile, sono andato avanti. Il Signore mi ha aiutato ad arrivare fino al sì del sacerdozio, un sì che mi ha accompagnato ogni giorno della mia vita”.

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(Joseph Ratzinger da "La festa della fede", pp.101, ss )

Che cosa significa per me "Corpus Domini"?

Anzitutto ricordo di giorni di festa, nei quali era presa del tutto alla lettera l'espressione che san Tommaso d'Aquino ha coniato in uno dei suoi Inni Eucaristici dedicati a tale festività: " Quantum potes, tantum aude", devi osare tutto ciò che sai, tributandoGli la lode che Gli è dovuta...
Questi versi richiamano d'altra parte alla memoria una frase che già nel II secolo san Giustino martire aveva formulato.
Nella sua presentazione della liturgia cristiana, egli scrive che chi la presiede, cioè il sacerdote, deve elevare al cielo nella celebrazione eucaristica preghiere e rendimenti di grazie "con tutta la forza di cui dispone".
Nella Festa del Corpus Domini tutta la comunità si sente chiamata a questo compito: tu devi osare tutto ciò che puoi!
Se penso alla mia giovinezza, sento ancora il profumo che emanava dalle aiuole e dalle fresche betulle; e con esso rivedo gli ornamenti posti su ogni casa, le bandiere, e di nuovo avverto riecheggiare i canti della tradizione.
Sento ancora il suono degli strumenti a fiato degli abitanti dei villaggi - che in questo giorno si prodigavano per rendere il tutto una vera festa cristiana, osando anche più di quanto potessero - e lo scoppio dei mortaretti, all'inizio ed alla fine della Processione, con cui i ragazzi  esprimevano la loro barocca gioia di vivere.
Proprio loro, per le vie e nel villaggio, salutavano festanti Gesù come ricevesso la visita di un capo di Stato, anzi, erano tutti consapevoli che si tratta di più, il capo supremo, il Signore del mondo, l'amato Cristo Re!
In questo giorno, l'ininterrotta presenza di Cristo, suntuosamente Esposto e circondato di affetto e mille attenzioni, veniva celebrata quasi come una visita di Stato, per la quale nulla è lasciato al caso e nulla viene trascurato, neppure nei più piccoli villaggi.
Il Concilio di Trento ha detto che il Corpus Domini ha lo scopo di suscitare la gratitudine e di tenere desta in tutti la memoria, viva e Presente nel mistero, di nostro Signore. In poche righe, nel suo dettato ci imbattiamo subito in tre motivi validi:
1) il Corpus Domini deve reagire alla smemoratezza dell'uomo;
2) deve far suscitare in lui sentimenti di riconoscenza ed è funzionale alla comunione, alla forza che ci lega in unità;
3) e proviene dallo sguardo rivolto all'unico Signore...
Così il Corpus Domini è in definitiva l'autentica confessione di chi è Dio e di che cosa è l'amore e di cosa è capace; è attestazione che Dio è davvero amore.
Tutto ciò che si dice e si fa nella festa del Corpus Domini è in realtà una originale variazione di questo tema: ciò che l'Amore è e fa!

San Tommaso d'Aquino, in uno degli Inni composti per questa festività, è uscito con questa significativa espressione: "nec semptus consumitur", l'amore non si consuma, ma si dona e nel donarsi riceve.
Donandosi esso non si perde, ma si rinnova.
Dal momento che il Corpus Domini è attestazione di amore, al centro di questo giorno si trova a buon diritto il mistero della Transustanziazione. Amare è cambiamento di sè! Il Corpus Domini ci dice: sì, l'amore esiste; e poichè esso esiste, esiste anche il cambiamento, e perciò possiamo avere speranza.
E la speranza ci dà la forza di vivere e di superare il mondo.

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(Joseph Ratzinger "Guardare a Cristo", pag.76)

Un Gesù che sia d'accordo con tutto e con tutti, un Gesù senza la sua santa ira, senza la durezza della verità e del suo vero amore, non è il vero Gesù come lo mostra la Sacra Scrittura, ma una sua miserabile caricatura.
Una concezione del "vangelo" dove non esista più la serietà dell'ira di Dio, non ha niente a che fare con il Vangelo biblico.
Un vero perdono è invece qualcosa di più autentico e diverso da un debole "lasciar correre, tanto Dio è buono"!
Il perdono è esigente e chiede ad entrambi - chi lo riceve e chi lo dona - una presa di posizione che concerne l'intero loro essere.
Un Gesù che approva tutto è un Gesù privato della Croce, perchè allora non c'è più bisogno del dolore, della croce, per guarire l'uomo.
Ed effettivamente la Croce viene sempre più estromessa dalla teologia e falsamente interpretata come una brutta avventura o come un affare puramente politico, fermo al suo tempo.
La Croce come espiazione, la Croce come forma di perdono e della salvezza non si adatta a un certo schema di pensiero moderno, solo quando si vede bene il nesso tra verità e amore, allora la Croce diventa comprensibile nella sua autentica profondità teologica poichè, il perdono, ha a che fare con la verità e perciò esige la Croce del Figlio di Dio, ed esige per questo la nostra conversione.
Perdono e perdonare è appunto la restaurazione della verità, rinnovamento dell'essere e superamento della menzogna nascosta in ogni forma di peccato.
Il peccato è sempre, per sua essenza, un abbandono della verità del proprio essere e quindi della verità voluta dal Creatore, da Dio
.





[Modificato da Caterina63 27/06/2011 01:18]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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