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I CASTIGHI DI DIO....COSA SONO? E CHE COSA E' L'IRA DIVINA?

Ultimo Aggiornamento: 05/02/2017 00:21
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27/04/2011 00:40
 
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 I castighi di Dio

 
Considerando le polemiche sorte nelle ultime settimane a riguardo della tematica dei «castighi di Dio», innescate, senza volerlo, dal Professor Roberto de Mattei, il quale in una trasmissione su Radio Maria ha esposto ciò che la Chiesa ha sempre detto e le Sacre Scritture hanno sempre rivelato, padre Raniero Cantalamessa O.F.M., predicatore della Casa Pontificia, nella sua predica del Venerdì Santo (22 aprile), tenuta nella Basilica di San Pietro, ha riproposto l’argomento, affermando:
«Terremoti, uragani e altre sciagure che colpiscono insieme colpevoli e innocenti non sono mai un castigo di Dio. Dire il contrario, significa offendere Dio e gli uomini. Sono però un ammonimento: in questo caso, l’ammonimento a non illuderci che basteranno la scienza e la tecnica a salvarci. Se non sapremo imporci dei limiti, possono diventare proprio esse, lo stiamo vedendo, la minaccia più grave di tutte».

Padre Cantalamessa pare dare al termine castigo un’accezione molto più restrittiva ed in linea con il comune linguaggio parlato, rispetto a quanto facciano le Sacre Scritture e la Tradizione della Chiesa. Per il predicatore della Casa Pontificia castigo ha il senso di retribuzione puntuale per una colpa personale commessa. Nelle fonti della Rivelazione, invece, il medesimo lemma acquisisce un valore più ampio e, soprattutto, una connotazione anche medicinale: il castigo è, al tempo stesso, vendetta di Dio e strumento di redenzione e salvezza per l’uomo, perché, se accettato, permette ai peccatori l’esconto, almeno parziale, dei propri peccati ed ai giusti la santificazione propria e, in virtù della comunione dei santi, l’aumento del tesoro spirituale della Chiesa.

Il profeta Sofonia

Le Scritture, Antico e Nuovo Testamento, però, parlano chiaro a questo proposito. Chi ci dice che i rivolgimenti della natura e le catastrofi, così come drammi e tragedie di più piccole proporzioni, per la cerchia più stretta di persone che coinvolgono, non siano castighi del Signore?
Mistero rimane individuare quali siano, ma non che non esistano i castighi. Il termine castigo fa paura. Più paura, invece, dovrebbe fare il peccato, la vera causa di tutti i mali, che quei castighi può provocare.
Questa tematica rientra nella disciplina della teodicea (giustizia di Dio), una branca della teologia che studia il rapporto tra la giustizia di Dio e la presenza nel mondo del male. Il termine teodicea fu coniato dal filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) nell'opera Essais de Théodicée sur la bonté de Dieu, la liberté de l'homme et l'origine du mal (Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell'uomo e l'origine del male), opera redatta nel 1705, ma pubblicata per la prima volta ad Amsterdam nel 1710. Il suo significato etimologico deriva dai lemmi greci théos (dio) e da díke (giustizia), ovvero dottrina della giustizia di Dio.

Leibniz, tuttavia, utilizzava il termine teodicea come significato generale per indicare la dottrina sulla «giustificazione di Dio per il male presente nel creato». Il filosofo tedesco intraprese questi saggi dopo la lettura critica del Dictionnaire historique et critique (Dizionario storico e critico) del filosofo francese Pierre Bayle (1647-1706), pubblicato a Rotterdam nel 1697 e che giunse, nella sua trattazione, a conseguenze atee.
Il profeta Sofonia parla di castighi e lo fa in maniera esplicita, lo fa non per spaventare, ma per avvertire dei pericoli a cui l’iniquità umana può condurre se dimentica il timore di Dio, uno dei sette doni dello Spirito Santo, che pare sia, a partire dal pastorale Concilio Vaticano II, andato “fuori moda” e passato nel cosiddetto «dimenticatoio»:

«Giorno d’ira quel giorno,
giorno di angoscia e di afflizione,
giorno di rovina e di sterminio,
giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità,
giorno di quelli di tromba e d’allarme
sulle fortezze
e sulle torri d’angolo.
Metterò gli uomini in angoscia
e cammineranno come ciechi,
perché han peccato contro il Signore […].
Neppure il loro argento, neppure il loro oro
potranno salvarli».

Come non riconoscere, in queste parole, il Dies irae che la Tradizione attribuisce a Tommaso da Celano (1200–1265), il biografo di san Francesco d’Assisi? Si tratta di una sequenza in lingua latina. È sicuramente fra le più belle composizioni poetiche dell’età medievale.
Il Dies irae è una delle parti più note del requiem e quindi del rito per la messa esequiale, che il Novus Ordo ha eliminato.
Qui vi si descrive il giorno del giudizio, l'ultima tromba che raccoglie le anime davanti al trono di Dio, dove i buoni saranno salvati e i cattivi condannati al fuoco eterno, così come disse Gesù:
«Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. […]. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25, 31-33; 46). Questo è il castigo eterno, scelto dall’uomo, che nella sua superbia e nel suo tragico orgoglio si vuole emancipare dal suo Creatore.

Esistono, però, anche i castighi nel tempo, che possono essere lievi o pesanti, a seconda delle circostanze. Anche il buon padre e la buona madre di famiglia possono castigare il proprio figlio per il suo bene. Questo vale anche per il Padre celeste che tutto compie per il bene delle sue creature, delle quali non ha una visione ristretta, incastonata soltanto nel tempo e nello spazio, ma va oltre, guardando alla totalità dell’esistenza di una persona: il sempre a cui ciascuno è destinato. A volte il prezzo da pagare per quel sempre può essere alto, altissimo, ma il cattolico ha la somma grazia di sapere a quali eterne gioie il Signore riserva i suoi figli, che a Lui e alle sue leggi (nelle quali sta custodita la vera libertà dell’uomo) non si ribellano.
Sofonia avverte, adunando gli umili, come continua a fare Dio, che gli uomini vorrebbero estromettere dalla storia, ma in realtà possono farlo soltanto con il pensiero, senza possibilità di riuscita effettiva:

«Radunatevi, raccoglietevi,
o gente spudorata,
prima di essere travolti
come pula che scompare in un giorno;
prima che piombi su di voi
la collera furiosa del Signore.
Cercate il Signore
voi tutti, umili della terra,
che eseguite i suoi ordini;
cercate la giustizia,
cercate l’umiltà,
per trovarvi al riparo
nel giorno dell’ira del Signore».


Il Messale Romano

Nel Messale Romano, nella sezione dedicata alle orazioni e precisamente «in tempo di terremoto» leggiamo testualmente:
Orazione
«O Dio onnipotente ed eterno il cui sguardo fa tremare la terra, perdona chi è nel timore, sii benigno con chi supplica; affinché, avendo paventato il tuo sdegno che scuote i cardini della terra, continuamente sperimentiamo la tua clemenza che ne ripara le rovine. Per nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figliuolo».
Secreta
«O Dio che hai formato e reso consistente la terra, accetta le offerte e le preghiere del tuo popolo; rimuovi completamente la minaccia del terremoto, muta la tua terrificante collera in rimedio per la salvezza degli uomini, affinché coloro che dalla terra vennero e ad essa ritorneranno, gioiscano al pensiero di poter divenire cittadini del cielo con una vita santa. Per nostro Signore».
Dopocomunione
«Difendi, o Signore, noi che abbiamo ricevuto il santo sacramento e per celeste grazia rassoda la terra che, a motivo dei nostri peccati, abbiamo visto sussultare, affinché i cuori degli uomini comprendano che tali flagelli vengono dal tuo sdegno e cessano per la tua misericordia. Per nostro Signore Gesù Cristo».

Nel sentire comune, quando accade qualcosa di estremamente negativo nella vita di una persona, è normale sentir dire: «ma che colpa ho commesso per ricevere un dolore simile?». È chiaro che nella natura di ognuno, quando essa non viene soffocata dalle strutture contrarie alla coscienza della presenza di Dio nella storia di ogni individuo e nella storia universale, è istintuale il pensiero di aver commesso qualcosa di grave per provocare l’ira del Signore.


Tobia

Ascoltiamo che cosa afferma Tobia a riguardo delle colpe proprie e dei padri:
«Tu sei giusto, Signore, e giuste sono tutte le tue opere. Ogni tua via è misericordia e verità. Tu sei il giudice del mondo. Ora, Signore, ricordati di me e guardami. Non punirmi per i miei peccati e per gli errori miei e dei miei padri. Violando i tuoi comandi, abbiamo peccato davanti a te. Tu hai lasciato che ci spogliassero dei beni; ci hai abbandonati alla prigionia, alla morte e ad essere la favola, lo scherno, il disprezzo di tutte le genti, tra le quali ci hai dispersi. Ora, nel trattarmi secondo le colpe mie e dei miei padri, veri sono tutti i tuoi giudizi, perché non abbiamo osservato i tuoi decreti, camminando davanti a te nella verità. Agisci pure ora come meglio ti piace; dà ordine che venga presa la mia vita, in modo che io sia tolto dalla terra e divenga terra, poiché per me è preferibile la morte alla vita. I rimproveri che mi tocca sentire destano in me grande dolore. Signore, comanda che sia tolto da questa prova; fa' che io parta verso l'eterno soggiorno; Signore, non distogliere da me il volto. Per me infatti è meglio morire che vedermi davanti questa grande angoscia…» (Tb 3,2-6).

Tutta la Bibbia è pervasa da questa certezza: le colpe dei padri ricadono sui figli, per più generazioni. Forse la colpa di Adamo ed Eva non è caduta, terribilmente, su noi tutti, destinati, invece, alla felicità?
Spesso accade nelle grandi dinastie una sorta di “maledizione”, dunque di castigo, che va a rompere le benedizioni di Dio su quella data schiatta. Qualche esempio: Casa Savoia, famiglia Kennedy, famiglia Agnelli, famiglia Ranieri di Monaco, famiglia Onassis…
Nel dicembre del 1854, mentre in Parlamento era in discussione la legge Rattazzi per la soppressione degli Ordini religiosi e l'incameramento dei loro beni da parte dello Stato, don Giovanni Bosco (1815-1888) fece un sogno che rivelò poi a Vittorio Emanuele II (1820-1878), inviandogli una lettera, nella quale lo informava di aver sognato un bambino che gli affidava un messaggio: «Una grande notizia! Annuncia: gran funerale a corte». Alcuni giorni dopo il santo inviò un'altra lettera, comunicando un altro sogno, dove era comparso nuovamente il bambino, il quale affermava: «Annunzia: non gran funerale a corte, ma grandi funerali a corte», perciò don Bosco invitò espressamente il Re ad allontanare i castighi di Dio, cosa possibile solo impedendo a qualunque costo l'approvazione di quella legge.
Ma il Re non prestò ascolto. Il 5 gennaio l855, mentre il disegno di legge era presentato ad uno dei rami del Parlamento, si diffuse la notizia di un’improvvisa malattia di Maria Teresa (1801-1855), madre del sovrano, che sette giorni dopo morì a 54 anni. Il 16 vennero celebrati i funerali e, subito dopo la funzione, la moglie di Vittorio Emanuele II, Maria Adelaide (1822-1855), che aveva partorito da appena otto giorni, subì un improvviso e gravissimo attacco di metro-gastroenterite. Proprio quel giorno il Re ricevette un'altra lettera di don Bosco, dove era scritto: «Persona illuminata ab alto [cioè dall'alto] ha detto: “Apri l'occhio: è già morto uno”. Se la legge passa, accadranno gravi disgrazie nella tua famiglia. Questo non è che il preludio dei mali. Erunt mala super mala in domo tua [saranno mali su mali in casa tua]. Se non recedi, aprirai un abisso che non potrai scandagliare». La regina Maria Adelaide morì quattro giorni dopo, il 20 gennaio l855, a soli 33 anni. Il fratello del Re, Ferdinando (1822-1855), duca di Genova, morì l'11 febbraio, anch’egli a 33 anni.

Don Bosco pubblicò anche un opuscolo, dove ammoniva Vittorio Emanuele II, scrivendo fra l’altro: «La famiglia di chi ruba a Dio è tribolata e non giunge alla quarta generazione». Tuttavia la legge Rattazzi venne approvata dalla Camera il 2 marzo 1855 per poi passare al Senato. Il 17 marzo morì il piccolo Vittorio Emanuele Leopoldo, l’ultimogenito del Re, nato l’8 gennaio dello stesso anno. Vittorio Emanuele II morirà a 58 anni di malaria, contratta a Roma. Il suo primo successore, Umberto I (1844- 1900), morirà a 56 anni, assassinato dall'anarchico Gaetano Bresci (1869-1901). Il secondo successore, Vittorio Emanuele III (1869-1947), morirà in esilio, ad Alessandria d’Egitto; il terzo, Umberto II (1904-1983), perirà anch’egli in esilio a Cascais, in Portogallo (Cfr. V. Messori, Pensare la storia, Sugarco, Milano 2006, pp. 272-273).

San Tommaso

San Tommaso d’Aquino (1225-1274) spiega nella Summa theologica (Suppl., q.15, a. 2, con il titolo «Se le sofferenze con le quali Dio ci punisce nella vita presente possono essere satisfattorie») il concetto di punizione:
«1. … niente può essere satisfattorio se non è meritorio. Ora, noi non meritiamo se non con quelle cose che dipendono da noi. Perciò siccome i flagelli con i quali Dio ci punisce non dipendono da noi, è chiaro che non possono essere satisfattori.
2. La soddisfazione è riservata ai buoni. Invece le sofferenze suddette colpiscono i cattivi, e sono essi che le meritano di più. Quindi non possono essere satisfattorie.
3. La soddisfazione è fatta per i peccati passati. Ma talora queste sofferenze sono inflitte a chi è senza peccati, com’è evidente nel caso di Giobbe. Dunque esse non sono satisfattorie.

In contrario: S. Paolo scrive:
“1. La tribolazione produce la pazienza, la pazienza poi la probazione”, cioè “la purificazione dai peccati” […]. Dunque le sofferenze espiano i peccati. E quindi sono satisfattorie.
2. S. Ambrogio afferma: “Anche se manca la sicurezza”, cioè la coscienza [certa] di peccato, “la pena è in grado di soddisfare”. Perciò codeste sofferenze sono satisfattorie.
Rispondo: la compensazione per l’offesa fatta può essere compiuta, sia dall’offensore che da un altro. Quando però è promossa da un altro essa ha più natura di vendetta che di soddisfazione: invece quando è compita da chi ha offeso ha anche l’aspetto di soddisfazione. Perciò se le sofferenze che Dio infligge per i peccati vengono fatte proprie in qualche modo da chi le subisce, allora acquistano valore satisfattorio. Ora, esse vengono fatte proprie da chi le subisce in quanto questi le accetta quale purificazione dai peccati, sopportandole con pazienza. Se invece uno vi si ribella assolutamente, allora non le fa sue. E quindi non hanno valore di soddisfazione, ma solo di vendetta».

Questa la logica, inconfutabile e non contraddittoria, a noi trasmessa dal Dottore Angelico, logica che ha una sua intrinseca capacità di placare la nostra inquietudine, proiettandoci ad orizzonti ben più ampi e splendenti. Abbeverarsi a queste fonti, tornare a leggere e introiettare queste certezze di Fede è l’antidoto migliore per interrompere quella pandemia di incertezza, di dubbio e di confusione che permea la cultura cristiana. I fedeli hanno bisogno di recarsi al pozzo della città di Sicàr, dove c’è ancora e sempre Gesù, pronto ad offrire l’acqua della vera vita. Un’acqua che al primo impatto sembra amara, mai poi si rivela dolcissima e santificante, come insegna il dottrinale Concilio di Trento.

Leggiamo, infatti, alla voce «Le opere di santificazione»:
«Il concilio insegna che la magnificenza divina è così grande che non solamente le pene che noi stessi ci infliggiamo spontaneamente in esconto del peccato o che il sacerdote decide di imporci in proporzione agli errori commessi, ma ancora – e questa è la più grande prova d’amore! – le prove temporali inflitte da Dio, se noi le sopportiamo pazientemente, ci permettono di santificarci davanti al Padre per i meriti di Gesù Cristo».

Cristina Siccardi


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[Modificato da Caterina63 20/11/2013 10:22]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740733] Faccio una breve riflessione al testo sopra...

Dopo aver seguito dal vivo, in Chiesa, la Passio e l'Adorazione della Croce, da casa abbiamo messo sulla TV per seguire anche il Papa in diretta....e siamo giusti arrivati alla predica di padre Cantalamessa, ed anche noi, in casa, ci siamo soffermati su quelle parole e sul "castigo di Dio"....  
 
Alla attenta analisi della Cristina Siccardi e che condivido, vorrei aggiungere quanto maturato dalla nostra discussione familiare...  
il primo impatto è stato: "ma che differenza c'è fra castigare e ammonire"?  
certo, la differenza c'è eccome, tuttavia "ammonire" etimologicamente parlando significa proprio "riprendere CON AUTORITA' chi ha errato"..... e allora ci siamo chiesti "ma cosa intendeva dire padre Cantalamessa"?  
se voleva ammorbidire il significato biblico di "castigare", come è di moda oggi "pastoralmente", ha peggiorato  l'interpretazione perchè un Dio che "con autorità AMMONISCE" chi sbaglia mandandogli un terremoto, bè....non c'è nulla di diverso dal significato "castigare" biblicamente inteso.... anzi, semmai il termine "ammonire" in questo senso e in questo caso del terremoto, è ben peggiore visto che il "castigare" ha un significato ben più preciso che sta anche per "purificare - riprendere con i fatti - domare - punire - condurre alla correzione...- "  
 
Per Padre Cantalamessa, ma anche per molti altri purtroppo, c'è oggi un netto rifiuto perfino alle pagine più dolorose del Vangelo che riguardano "NOI" infatti, fino a che si tratta di commemorare o fare memoria della Passione di Cristo, siamo tutti solerti, in fondo non ci vuole molto a predicare un Cristo che muore e che ha passato ciò che ha passato, la vera difficoltà sta quando ci tocca dire a noi stessi e agli altri che un Dio che può "castigare e punire" ESISTE! ed è il medesimo Dio però che non si è fermato alla punizione, ed ecco la vera Dottrina, ma che per farci comprendere il dolore stesso del castigo in sè, è finito sulla Croce perchè CARICO dei nostri drammi e peccati....  
 
Padre Cantalamessa e tanti altri dimenticano spesso la pagina del Vangelo nella quale Gesù SEDA LA TEMPESTA.... in questo quadro Egli ci da testimonianza della Sua autorità SUGLI EVENTI DELLA NATURA, terremoti compresi come ciò è dimostrato che sia quando muore, così come quando risorge, avviene in entrambi i casi un terremoto e nel primo caso, anche preannunciato visto che il crollo del Tempio non fu solo un fatto teologico e simbolico, ma fu anche reale, un terremoto lo squarciò...

Certo, Cantalamessa ha citato questi terremoti, ma dissociandoli dal contesto evangelico "punitivo e correttore".... tuttavia lo accetta come "ammonimento".... allora, a questo punto, dovrebbe spiegarci in quale senso ci sarebbe, per lui, la differenza  dal "castigo" visto che si parla di migliaia di vittime nel caso da lui citato, e dunque: ammonimento per i vivi SULLA PELLE DI COLORO CHE SONO MORTI?  
e allora non sarebbe, questo, per lui un castigo?  
Un ammonimento per lui che è vivo? per noi?  
Gesù ha o non ha il potere di sedare le tempeste?  
Se è si come dovremmo credere in quanto Cattolici, va da se che l'Onnipotenza di Dio può eccome interferire o meglio, INTERVENIRE, sulle sciagure naturali e il dramma sta nel fatto che Cantalamessa NON HA MAI CITATO come reagivano i Cristiani di fronte alle calamità naturali: PREGANDO, FACENDO VOTI, AVVIANDO PROCESSIONI CON TANTO DI CROCIFISSI, SANTI E MADONNE, ININTERROTTAMENTE FINO A QUANDO IL MALE NON CESSAVA...  
 
Quando Pietro vacillava mentre la tempesta infuriava contro la barca e Gesù "DORMIVA", abbiamo tutti gli elementi che ci aiutano a rispondere di fronte a questi drammi, senza inventarci nulla... Marco capitolo 4  
- Gesù era stanco e si addormenta  
- guarda "il caso" si alza una improvvisa tempesta e i discepoli cominciano ad avere paura...  
- Pietro tenta di svegliare Gesù perchè sa che può fare qualcosa, ma Gesù continua a dormire...  
- Pietro dice a Gesù "Maestro, ma non t'importa nulla che noi anneghiamo"?  
- qui Gesù SGRIDA AL VENTO..... "TACETE, CALMATEVI"! dice alle acque....  
- e Gesù «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?».  
E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?».  
 
Può dunque un terremoto non obbedire al Cristo se lo SUPPLICASSIMO CON LA FEDE E LE OPERE E LA TESTIMONIANZA DI UNA VITA CRISTIANA di placarsi? Wink  
Oggi troppi predicatori hanno paura di dire la verità perchè temono di più le critiche degli uomini che un "evento naturale"....


 vi invitiamo a leggere anche quanto segue:

ATTENTI! Satana esiste ed è all'offensiva!

Che cosa si intende per Divina MISERICORDIA? Perchè la invochiamo?

FEDE E CONOSCENZA=Sapienza, NON sono la stessa cosa!

Gesù chiede: "Mi lasceresti regnare dentro di te?"




Il Papa ai Vescovi ripropone il Libro di Giobbe per la formazione delle coscienze

dove leggiamo:

Certo, bisogna fare tutto il possibile per prevenire le catastrofi naturali, occorre lottare contro le malattie ed è necessario che si evitino sfortune di ogni tipo. Tuttavia, se tali eventi si verificano, essi vanno accolti come esperienze del tutto particolari della complessità del reale, che costringono l'uomo a guardare la vita come luogo dei numerosi paradossi, sì, i quali, però, non possono essere scomposti nei frammenti privi di un senso unitario. Nemmeno se si tratta del paradosso i cui due poli sono il vivere e il morire. In merito Florenskij cita Dostoevskij:  "In tutto c'è il mistero di Dio", anche nella sofferenza più atroce e nella morte.  
(O.R. 21.5.2010 )  
 
Ai Vescovi del Brasile il Papa invita a riscoprire Giobbe per rispondere ai tanti drammi della vita e per formare le coscienze sulla questione della vita stessa....e dice:  
"Giobbe, in modo provocatorio, invita gli esseri irrazionali a rendere la propria testimonianza:  "Interroga pure le bestie e ti insegneranno, gli uccelli del cielo e ti informeranno; i rettili della terra e ti istruiranno, i pesci del mare e ti racconteranno. Chi non sa, fra tutti costoro, che la mano del Signore ha fatto questo? Egli ha in mano l'anima di ogni vivente e il soffio di ogni essere umano" (Gb 12, 7-10).  " (O.R. novembre 2009 )



In manos tuas commendo vitam meam. (Nelle tue rimetto la mia vita)

La disputa sulla DIVINA PROVVIDENZA

I 7 Vizi Capitali: Superbia, Accidia, Lussuria, Ira, Gola, Invidia, Avarizia e le vere virtù



[Modificato da Caterina63 27/04/2011 09:59]
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12/05/2011 13:23
 
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Il "castigo" di Dio PDF Stampa E-mail
Scritto da Gianpaolo BARRA   

 

 

«Nessuno può dire con certezza se il terremoto di Messina o quello del Giappone sia stato un castigo di Dio». Così si è espresso lo storico Roberto de Mattei, vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), nel corso di una conversazione a Radio Maria. È stato accusato d’avere detto esattamente il contrario, di avere giudicato la recente tragedia capitata in Giappone come un esemplare castigo di Dio, che avrebbe punito quanti non si sarebbero sottomessi alla sua volontà, peccando. L’accusa è culminata con la richiesta delle dimissioni – o del suo allontanamento – dal CNR. Un cattolico con queste idee – sostengono gli accusatori – non può ricoprire una carica così importante in un organismo di carattere scientifico.
Riguardo le cose dette realmente dal de Mattei, esse sono reperibili nel sito di Corrispondenza Romana. Tutti, leggendole, potranno farsi un’idea della consistenza – o inconsistenza – delle critiche che gli sono state mosse. Ma i punti salienti del suo intervento sono sintetizzabili in tre possibili – dunque ipotetiche – risposte alla domanda relativa al ruolo di Dio dinanzi a tragedie di questo genere.
Le trascrivo: una prima ipotesi: «le grandi catastrofi sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio, che ci scuote e ci richiama col pensiero ai nostri grandi destini, al fine ultimo della nostra vita, che è immortale»; una seconda ipotesi: «le catastrofi sono talora esigenza della Giustizia di Dio, della quale sono giusti castighi»; una terza ipotesi: «le grandi catastrofi sono spesso una benevola manifestazione della misericordia di Dio». Francamente, a me pare che non vi sia niente di errato.

Non entro però nel merito, ma su di un punto delicatissimo vorrei soffermare la mia attenzione. Esso verte intorno alla domanda: «Dio può punire?». Può il Dio di misericordia, pace, perdono e soprattutto d’amore punire gli uomini per qualche loro malefatta, diciamo: per il loro peccato?

A prescindere da qualunque interpretazione si voglia dare della recente catastrofe giapponese (io sono del parere che: «Nessuno può dire con certezza se il terremoto di Messina o quello del Giappone sia stato un castigo di Dio»), rispondere di sì a questa domanda è conforme alla verità cattolica.
Aiutandoci a capire meglio questa verità, la Salvifici doloris di Papa Giovanni Paolo II insegna: «Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa ed abbia carattere di punizione».

Dunque, Dio può certamente punire, senza venir meno al suo amore per l’uomo, ma noi non siamo in grado di stabilire se quella determinata sofferenza, quella specifica tragedia, quella croce particolare sulle spalle di un nostro fratello sia da considerarsi una punizione divina. A meno che ciò non sia esplicitamente rivelato ed insegnato dalla Chiesa.
Non solo. Anche se non costituiscono oggetto di fede, meritano attenzione anche gli avvertimenti di castighi che più d’una volta sono stati minacciati durante apparizioni mariane, riconosciute dalla Chiesa. A Fatima, per esempio, la Regina del Rosario preannunciò nel 1917 imminenti castighi, se l’uomo non si fosse convertito: dalla seconda Guerra Mondiale alla diffusione del comunismo.

Temo che se qualcuno venisse a conoscenza di queste “minacce” celesti, forse reclamerebbe anche le dimissioni di Maria.
 




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Ricordiamo agli abbonati e ai lettori che ogni settimana dell'intero anno 2011 vengono celebrate cinque SS Messe per loro e le loro intenzioni. È questo il nostro modo di ringraziarli per l'attenzione con la quale seguono il Timone.


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IL TIMONE n. 103 – Anno XIII - Maggio 2011 - pag. 3


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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/05/2011 21:19
 
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Di fronte al mistero della sofferenza e della morte

Castigo e misericordia


Anche nelle catastrofi naturali l'umanità mai è priva della vicinanza di Gesù

 

di mons. INOS BIFFI

Senza la fede cristiana il problema del male, cioè della sofferenza nella varietà delle sue forme, resta un insolubile enigma. Se poi lo si fa risalire a un'anonima volontà malvagia o a un destino che opera crudelmente e ineluttabilmente nel mondo, l'enigma si infittisce e l'uomo appare inspiegabilmente in balìa a un'implacabile forza perversa, che si abbatte su di lui, di là dalla sua stessa colpevolezza. Soprattutto dall'esperienza di questa "ingiustizia" e fatalità del dolore sono nati, tra gli altri, i capolavori della letteratura - pensiamo alla tragedia greca - che hanno interpretato, con i loro lamenti, i loro affanni, i loro silenzi, la drammatica condizione umana di ogni tempo.


La ragione non è in grado di trovare una soluzione, che spieghi o giustifichi il dolore; in ogni caso le possibilità dell'uomo appaiono impotenti a trovarvi un rimedio duraturo e veramente efficace, soprattutto quando con la morte - la "fatal quiete" - sopraggiunge il suo definitivo e irreversibile suggello. Per chi non ha la fede ogni discorso sulle tribolazioni e sui patimenti che affliggono l'umanità in generale, e ogni uomo in particolare, risulta non solo arduo e oscuro ma alla fine affatto inidoneo a proporre soluzioni persuasive, impotente a placare l'inquietudine, a rassicurare e a suscitare speranza.

Chi ha fede dev'esserne consapevole, per non diventare - come direbbe Giobbe - un "consolatore molesto", un elegante compositore di parole (cfr. Giobbe, 16, 2-4) che hanno come esito quello di accrescere il tormento e l'oppressione. La presenza cristiana si manifesta anzitutto in un ascolto silenzioso, pieno di delicatezza e di discrezione, che sa specialmente trasformarsi nell'offerta attenta e sollecita di un aiuto che rechi concreto sollievo.

D'altra parte, l'annunzio del Vangelo e il sopravvenire della grazia non rimuovono dal mondo la sofferenza. Essa permane con la sua "ingiustizia" e il suo strazio. E, tuttavia, la rivelazione ne illustra anzitutto la genesi. La sofferenza entra nel mondo a motivo del peccato commesso all'origine. Lo afferma san Paolo: "A causa di un solo uomo è entrato nel mondo il peccato e, con il peccato, la morte" (Romani, 5, 12). Una morte che suggella il peccato ed è il simbolo reale e quindi la consumazione di tutti i mali e di tutti i dolori.

Dio, per definizione immensamente buono, non ha dunque creato il male. E neppure esso è dovuto a un Principio, quasi una divinità prepotente e malefica, che lo abbia disseminato nel mondo. La causa risale alla ribellione di Adamo. E questa è una verità di fede cattolica.

E a proposito di verità di fede cattolica forse è il caso di ricordare alcune cose. In primo luogo, che possono appartenere alla fede cattolica anche verità non definite.
Inoltre, quanto è veramente di fede non può e non deve essere attenuato o proporzionato alla diversa sensibilità e accettabilità delle persone, ma va proclamato con limpidità nei suoi termini esatti e sicuri, quand'anche susciti reazioni e rigetto. Così, riguardo al peccato originale: senza dubbio le sue diverse spiegazioni teologiche sono aperte alla libera discussione per cui possono variare nell'interpretazione e nell'espressione, però a una condizione imprescindibile, che venga in ogni caso proclamata la verità cattolica, la cui accoglienza esige la fede.

Infine, una terza osservazione: oggi va quasi di moda citare l'esortazione della Prima Lettera di Pietro: "Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere - "tuttavia con dolcezza e rispetto" - a chiunque domandi ragione della speranza che è in voi" (3, 15). Se, esulando dal preciso contesto della Lettera, intendiamo il "dare ragione della speranza" come l'esporre le motivazioni che giustificano la professione cristiana, è chiaro che tali motivazioni si fondano e non cesseranno mai di fondarsi sulla Parola di Dio e quindi sulla fede. Esse verranno esposte senza arroganza e senza disprezzo o disattenzione nei confronti di chi non crede, ma non per questo si enunceranno in maniera timida e titubante.

Così, lo si farà pure nel modo più gentile e positivo possibile, ma anche di fronte a chi dovesse scandalizzarsi e ribellarsi si affermerà che, per quanti muoiono nell'ostinata ribellione a Dio, esiste una dannazione eterna.

Se ora torniamo al nostro tema, troviamo che il Catechismo della Chiesa cattolica anzitutto dichiara che il peccato originale fu da noi "contratto" ma non "commesso"; che è "condizione di nascita e non atto personale"; e che la sua "trasmissione rimane un mistero che non possiamo comprendere appieno" (n. 76). Detto questo, il Catechismo prosegue affermando che, "in conseguenza del peccato originale", "la natura umana è sottoposta all'ignoranza, alla sofferenza, al potere della morte" (cfr. nn. 76-77). È una verità cattolica, che riflette il pensiero di Paolo, sopra accennato.

Possiamo allora concludere: la sofferenza come "castigo" divino per il peccato originale? Intanto viene da chiederci che cosa possa significare l'espressione: "Dio "castiga"", sapendo che nei confronti di Dio il nostro è sempre un linguaggio analogico, necessariamente attinto e mediato dalla modalità creaturale. Come scrive Tommaso d'Aquino: "Nessun nome è predicato in modo univoco di Dio e delle creature" (Summa Theologiae, I, 13, 5, c). Ma, più ancora, si affaccia l'interrogativo: che senso può avere un "castigo" inflitto ai discendenti di Adamo per un peccato inevitabilmente "contratto", però non "commesso", "condizione di nascita", ma "non atto personale"? E sarebbe, non dico gentile e rispettoso, ma veramente sensato asserire, per esempio, che un popolo è colpito da una catastrofe a motivo del peccato originale, cioè per una ragione che esula totalmente da una propria responsabilità? Se la motivazione è la colpa di Adamo, essa si dovrebbe abbattere su tutta l'umanità, non solo su una sua porzione.
La verità è un'altra, ossia che il genere umano non fu mai lasciato sprovvisto della grazia della redenzione; che esso non si trovò mai in un puro stato di "castigo" per il peccato originale, e quindi in uno stato di natura decaduta irredenta, che qualche illuminato teologo giustamente ritiene impensabile.

La discussione è teorica e in ogni caso arriva in ritardo. Qui a contare non sono le ipotesi, ma la scelta divina, secondo la quale l'uomo, creato dalla misericordia, è stato misteriosamente dall'eternità progettato e voluto, come - direbbe sant'Ambrogio - "liberto di Cristo" (De Iacob et vita beata 1, 3, 13). Ma nella sua fulgente chiarezza soprattutto la Lettera di Pietro parla del "sangue prezioso di Cristo", "Agnello senza difetti e senza macchia", "predestinato già prima della fondazione del mondo" (1, 19-20).

L'umanità non è mai esistita da sola, cioè priva della "solidarietà" di Gesù Redentore; senza la grazia del suo sacrificio e del suo perdono. Ogni tipo di sofferenza è alla fine destinato nel piano di Dio a essere una comunione con la passione del Signore, il Giusto immolato: si tratti della sofferenza entrata nel mondo col peccato dei progenitori e sopravvenuta come strascico in tutto il genere umano, o di quella originata da proprie mancanze deplorate nel pentimento, o, particolarmente, della sofferenza incolpevole - richiamiamo la figura di Abele, preannuncio della vittima innocente del Calvario.

Il pensiero va alle parole di Manzoni a conclusione de I promessi sposi: "I guai (...) quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore", e a quelle pronunziate da fra Cristoforo dinanzi a don Rodrigo morente di peste al Lazzaretto: "Può esser gastigo, può esser misericordia"; noi potremmo parlare di castigo che è divenuto misericordia.
Il dolore umano è da sempre arcanamente connesso con i dolori del Crocifisso; da sempre in ogni uomo che patisce si riflette il Cristo, così come ogni grazia di salvezza, in qualsiasi tempo della storia, è un'impronta della grazia di Gesù salvatore. Né importa che se ne abbia un'esplicita consapevolezza.

Il dolore come puro castigo, deputato a compensare e a equiparare in certo modo la colpa, non è mai esistito e non è neppure pensabile. Dal principio Dio levò alla tribolazione dell'uomo sia il carattere oscuro dell'assurda fatalità e dell'incidente irragionevole, sia quello della finalità afflittiva, capace di placare la sua ira. Una tale persuasione rivelerebbe una concezione pagana di Dio e dei suoi sentimenti.

Gesù Cristo ha poi contestato radicalmente la mentalità che collegava afflizione e colpa personale, rimandando, invece, la traversìa a un disegno divino. Disse a proposito del cieco nato: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio" (Giovanni, 9, 3).
Solo la pena del dannato non può più essere redentiva; e non perché Dio ha cessato di amarlo e si compiace di castigarlo e di torturarlo: quel castigo, in realtà, è il riflesso della fissazione ostinata del dannato stesso nell'avversione a Dio e quindi nel male.

A questo punto appare chiaro che quello che abbiamo fatto è un discorso di fede. Se non che la fede non dissipa ogni oscurità, lascia l'ansia della visione, o, come afferma Tommaso d'Aquino, "non ne acquieta il desiderio" (Summa contra Gentiles, III, 40, 4). In particolare, ignoriamo perché Dio abbia voluto un mondo dove ci fosse, per colpa dell'uomo, la dimensione del peccato; perché, come scriveva Pietro, troviamo l'Agnello con il suo sangue "predestinato già prima della fondazione del mondo".


Comunque, unicamente per fede siamo certi che "le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi" (Romani, 8, 18) e che nelle sofferenze portiamo a termine ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella nostra carne (cfr. Colossesi, 1, 24).

Il discorso sul dolore resta precario e suscettibile di fraintendimento, quando non venga compreso nel mistero del disegno di Dio: ma anche allora quanta delicatezza richiede quando si tratta del dolore degli altri! Che, se ci si ritrova a parlarne con chi ne è afflitto e non è credente, la più persuasiva parola è la fraternità delle opere di misericordia, e l'impegno rinnovato a diffondere il Vangelo.



(©L'Osservatore Romano 14 maggio 2011)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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[SM=g1740729] L'INUTILE PROVOCAZIONE DEL LAICO ENZO BIANCHI


UN DIO CHE CASTIGA? MERITA D’ESSERE NEGATO.

DE MATTEI? UN PAZZO!

 

PAROLA DI (FALSO) MONACO:  IL PRIORE DI BOSE ENZO BIANCHI

 

Il priore di Bose, Enzo Bianchi, travestito da "monaco"

 

di Marco Bongi

“Uomini e Profeti” è il titolo di una trasmissione settimanale di RAI-RADIOTRE che si propone di trattare temi di cultura religiosa. Il taglio, come è naturale in una emittente di Stato laico, è dichiaratamente “aconfessionale” e scevro da ogni dogmatismo teologico.

Quale migliore ospite dunque, per impostare una conversazione “non condizionata” e “non canonica” che il grande monaco (falso) ecumenico Enzo Bianchi?

E di fatti, non poteva essere che così, l’ineffabile priore di Bose risulta ospite pressochè fisso, specialmente la domenica mattina, dalle ore 9,30 alle 10,15, quando la rubrica si dedica in particolare alla lettura della Bibbia.

Chi allora si volesse dilettare nell’ascolto degli sproloqui del Bianchi può benissimo scaricarsi i file sonori in podcast sul fornitissimo sito di RAI-RADIOTRE. Basta digitare su un motore di ricerca “RAI RADIO TRE UOMINI E PROFETI” e tutte le lezioni del grande “guru” ci verranno messe a disposizione in abbondanza.

Il 5 giugno, solo per fare un esempio, nella puntata intitolata “Il mantello di Eliseo” il nostro si preoccupa subito di “demitizzare” i miracoli. Questi, a suo dire, non ci stanno a mostrare “la potenza di Dio, quasi come se i profeti fossero dei maghi”. I racconti erano adatti ad una società “incantata”, abituata a credere a un costante intervento del soprannaturale. Noi oggi dobbiamo invece per forza leggere questi racconti in modo diverso… come dei segni indicanti un messaggio ulteriore e spirituale”. Ovvero: poveri scemi quei creduloni. Meno male che oggi ci sono io che vi dico come stanno realmente le cose!

Del resto, all’inizio della medesima puntata, in fase di presentazione del profeta Elia, già era partita una bordata contro coloro che rievocano la sua figura per scagliarsi contro le altre religioni “cosa questa, a dire il vero, presente anche in alcune letture religiose cristiane”.

Ma basta avere un po’ di pazienza e di queste “perle” se ne possono trovare a bizzeffe.

Non poteva però mancare l’attacco frontale al prof. Roberto De Mattei. Questo è arrivato, con grande aura di esegesi vetero-testamentaria, nella puntata del 12 giugno.

Il professore ovviamente non viene mai citato per nome… evidentemente sarebbe stato troppo intellettualmente onesto. Bianchi si limita, si fa per dire, a pontificare che, sulla questione dei cosiddetti castighi divini, è di recente intervenuto “un folle” che ha detto “cose indecenti” (minuto 23 circa). A scanso di equivoci la compassata conduttrice gli fa eco citando il terremoto in Giappone e lo tzunami.

E Bianchi incalza subito dopo: “Un Dio che castiga meriterebbe piuttosto di essere negato che non creduto”. In realtà Dio è LUI, Enzo Bianchi. Lui sa cosa Dio può fare o non fare.

Ma tutta questa trasmissione del 12 giugno è davvero un delirio. Subito all’inizio il monaco (falso) torna sulla questione dei miracoli e, sia pur con le solite formulazioni equivoche, stigmatizza aspramente quei preti che nelle omelie non intervengono a precisare il vero significato di certi racconti:

“Certo Gesù” – afferma – “svolse in qualche modo una attività di taumaturgo o guaritore (sic!)… Ma i racconti poi si arricchivano di particolari e sovrastrutture di tipo ‘liturgico’” (ossia?)

Sappiamo che l’attacco e fin anche l’insulto al prof. De Mattei è ormai lo sport preferito di certi “cattolici in piena comunione”. Io francamente preferisco rimanere nella mia “non piena comunione” ma dire la Verità.

Per questo ritengo che sia doveroso mobilitarsi per difendere il coraggio e la cristallina chiarezza delle dichiarazioni di Roberto De Mattei sulla questione castighi divini, che ricalca in tutto la dottrina sempre professata e sempre creduta dalla Chiesa. Le parole del Bianchi infatti sono dei veri e propri volgari deliri agnostici. Chissà se Radio Tre gli concederà una replica. Ne dubito.



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[SM=g1740733] alcune riflessioni indirizzate a chi APPOGGIA Enzo Bianchi spacciandolo anche per un prete ....



Fraternamente CaterinaLD

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[SM=g1740733]PRIMA DICONO “DIO È MORTO”.
POI SI CHIEDONO PERCHÈ È STATO “ZITTO”
contraddizioni tragi-comiche e irrazionalità dei razionalisti


dal blog di: papalepapale

PARTE PRIMA

Ma allora, scusate, “secondo ragione”, che senso ha interpellare Dio, proprio adesso che le cose che avevate programmato voi stessi, sempre “razionalmente”, sono andate male?
A che serve mettere sul banco degli imputati di questa eterna Norimberga dell’ipocrisia e della deresponsabilizzazione, Dio, accusandolo non di cose oggettive (altra stravaganza… processuale) ma di “silenzi”, quando non di contumacia, invece che guardare in faccia la realtà?
Soprattutto: perchè adesso da razionalisti e quindi da ateisti, si interpella un Dio per accusarlo, il momento dopo che se ne è dichiarata la “morte”, peggio, che “non è mai esistito”?
Ma di cosa parlano, di chi? Dov’è la razionalità, la logica di tutto questo loro ragionamento?
Accusassero, trascinassero in tribunale, se la prendessero con i loro dogmi culturali, sociali, economici, scientifici, morali, politici, che tutto, a sentir loro, dovrebbero “spiegare prevedere dominare”.
Finchè, s’intende, come per tutte le utopie, le cose non finiscono in vacca.


PARTE SECONDA

Basterebbe la sola ragione, cioè il solo cervello, se l’uomo fosse fatto solo di cervello. O addirittura: se il cervello fosse composto solo di ragione. E se la ragione a sua volta non dovesse essere composta soprattutto di logica. Che è la cosa che principalmente manca agli illuministi, essendo ideologi. E se manca quella, manca pure il senso di realtà. Mancano addirittura di una cosa che le contempla tutte: l’idea della complessità della creatura umana. Questo poveraccio, l’uomo, non è composto solo di ragione, dunque.
È fatto di tante cose che poi in finale producono un essere umano nella sua unicità. Cose che non dipendono tutte dalla volontà e dalla ragione, ma che le superano e ne sono ampiamente indipendenti. Siccome nei loro schemi gli ideologi illuminati non avevano previsto queste infinite varianti della creatura umana, che smentivano la teoria dell’uomo tutta e sola ragione, ecco che non possono giungere ad alcuna conclusione, a nessuna verità, a niente.
E se proprio ci vogliono arrivare a realizzare le loro teorie zoppe bisogna passare dalla carneficina. La storia del razionalismo illuminista altro non è che un ininterrotto massacro.
Poiché la natura si rifiutava di obbedire allo schema ideologico.
E questi pupazzi sadici qui, questi che non sono stati capaci neppure di dimostrare a se stessi come la natura umana era fatta, questi sono gli stessi che avrebbero dimostrato “l’inesistenza di Dio”?

*************************

[SM=g1740733] una mia considerazione....

Non so se sarò propriamente in tema, ma leggendo anche questa seconda parte dell’interesante articolo mi sono venute a mente le parole di Benedetto XVI alla Messa di Domenica in Germania, dove ad un certo punto dice:

 

Ci sono teologi che, di fronte a tutte le cose terribili che avvengono oggi nel mondo, dicono che Dio non può essere onnipotente. Di fronte a questo, noi professiamo Dio, l’Onnipotente, il Creatore del cielo e della terra. Noi siamo lieti e riconoscenti che Egli sia onnipotente. Ma dobbiamo, al contempo, renderci conto che Egli esercita il suo potere in maniera diversa da come gli uomini sogliono fare.

Egli stesso ha posto un limite al suo potere, riconoscendo la libertà delle sue creature.
Noi siamo lieti e riconoscenti per il dono della libertà. Tuttavia, quando vediamo le cose tremende, che a causa di essa avvengono, ci spaventiamo. Fidiamoci di Dio, il cui potere si manifesta soprattutto nella misericordia e nel perdono. E siamo certi, cari fedeli: Dio desidera la salvezza del suo popolo. Desidera la nostra salvezza. Sempre, e soprattutto in tempi di pericolo e di cambiamento radicale, Egli ci è vicino, il suo cuore si commuove per noi, si china su di noi.

Affinché il potere della sua misericordia possa toccare i nostri cuori, ci vuole l’apertura a Lui, occorre la disponibilità di abbandonare il male, di alzarsi dall’indifferenza e di dare spazio alla sua Parola. Dio rispetta la nostra libertà. Egli non ci costringe.

*****

questo fa il pari con il passo del Libro della Sapienza o del Siracide se non erro dove leggiamo: TI SARA’ DATO CIO’ CHE AVRAI SCELTO….
Non voglio difendere le scelte di Hitler, ma certo è che senza coloro che lo hanno sostenuto…non dimentichiamo che molti collaboratori di Hitler erano anche Ebrei, ma è policamente scorretto dirlo….
il punto è che diffidiamo ancora di dire INTEGRALMENTE le cose come stanno: noi stiamo vivendo semplicemente I FRUTTI, L’APICE di quell’ILLUMINISMO che dal 1700 decise di mettere fuori gioco Dio ;-)

E’ dal 1700, complice anche la dottrina etica e morale del protestantesimo con il suo liberismo… che LA SOCIETA’ intera ha deciso di muovere guerra a Dio! non è un caso che sempre nel 1700 si registra la prima messa satanista, fatta da un ex monaco, ovviamente…
Le guerre che da allora si combattono, le dittature COLORATE che abbiamo avuto, le stragi, i genocidi….il ’68, gli anni ’70, la guerra calda o fredda che sia, il muro di Berlino, e quant’altro, non è altro che IL FRUTTO di quella campagna d’odio che vide in Voltaire, tanto per fare un esempio, il vero ideatore dell’antisemitismo RAZZIALE senza il quale neppure Hitler sarebbe giunto a tanto ;-) … di una Francia che mette nero su bianco una campagna d’odio CONTRO DIO E LA CHIESA CATTOLICA alla faccia del suo motto “libertà, legalità e fraternità”, sì senza dubbio un motto efficace, MA PER I NEMICI DELLA CHIESA, nasce così sempre nel 1700 la Massoneria…

Quando l’uomo vizioso si rese conto che nessuno avrebbe potuto distruggere davvero la Chiesa e… che “morto un Papa se ne fa un’altro” che non cambia nulla, mentre morto un imperatore o un re, CAMBIANO I REGNI ;-) allora l’uomo vizioso decise di muovere guerra alla Chiesa… e di cercare da allora alleati in tutto il mondo…
perchè, per chi non l’avesse ancora capito, fare guerra all’uomo è fare guerra a Dio che per salvare l’uomo si è INCARNATO divenendo come lui e che per lui E’ MORTO…PER LUI HA DATO CORPO E SANGUE… ed essendo questa la prova che l’Uomo APPARTIENE A DIO, allora si fa guerra all’uomo stesso, a Dio stesso finendo anche per prenderlo in giro: DOV’ERI DIO MENTRE NOI CI DIVERTIVAMO? MA PERCHè NON SCENDI DA QUELLA CROCE? SE NON LO FAI ELIMINEREMO IL CROCEFISSO!!;-)
è la provocazione dell’uomo stolto… mentre il vero grido che richiama l’attenzione di Dio è quello di colui che ponendo questa domanda è APPESO SULLA CROCE PER OBBEDIENZA: “Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?

Il Male che dilaga è la prova tangibile dell’esistenza di Dio… di un Dio che viene rifiutato, di un Dio scomodo, di conseguenza meglio offuscare la verità con una affermazione, non più domanda, categorica: DIO E’ MORTO! e tanti saluti ALLA RAGIONE stessa ;-)

Mi consola il monito del Cristo: è necessario che gli scandali avvengano, ma guai agli scandalizzatori!

Mi sovviene una provocazione: a favore di chi usiamo la ragione?
a favore di chi spendiamo la nostra volontà? ;-)
“Che cosa giova – dice Gesù nel Vangelo di Matteo 16 – all’uomo guadagnare anche tutto il mondo se poi perde l’anima? E che darà l’uomo in cambio della sua anima? ”
La fede è la guida della ragione….. e la ragione dimostra che abbiamo mille prove per credere che Dio non è morto… che il silenzio di Dio ricade sempre su di noi quando non usiamo la ragione…

[SM=g1740771]


Fraternamente CaterinaLD

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05/11/2011 23:18
 
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Dolore e castigo

Esce in questi giorni, per i tipi di “Fede & Cultura”, un testo intitolato “Il mistero del male e i castighi di Dio” che ha per tema le famose catechesi sul male di Roberto de Mattei a radio Maria. Il libro consta non solo degli interventi del celebre storico, ma anche degli articoli scritti da alcune personalità cattoliche proprio in seguito al divampare della polemica. Sto parlando di padre Serafino Lanzetta, dei Francescani dell’Immacolata, un ordine che gode di ottima salute e di tante vocazioni, in epoca di magra; di Corrado Gnerre e di Cristina Siccardi, due acuti scrittori cattolici, e di padre Giovanni Cavalcoli, autore, tra l’altro, di un importante studio sulla cattiva influenza di Karl Rahner sulla teologia cattolica del post concilio.

De Mattei, faccio appello ai ricordi del lettore, notava l’esistenza nel mondo del male morale, di cui l’uomo è colpevole, e del male fisico. In particolare, riguardo a quest’ultimo, ricordava che se avviene, malattia o terremoto che sia, ciò è perché in un qualche modo, per noi certo misterioso, Dio lo permette, ma per un bene maggiore. Rifacendosi a tutta, ma proprio tutta la tradizione della Chiesa, de Mattei utilizzava un termine, “castigo”, che oggi né il mondo laico né il mondo dei cattolici digeriscono più. Eppure questo termine, come spiegano Guerre e Siccardi, deriva dal latino “castum agere” ovvero “rendere puro, casto, purificare”.

Il male, sia quello morale che quello fisico, scaturisce, per il cristiano, dal peccato originale, ed è quindi un castigo. Voluto dall’uomo, e permesso da Dio. Castigo non nel senso antico, pagano, ma in un senso nuovo. Infatti il cristianesimo dà ad ogni uomo la fiducia dei figli di Dio, con la quale si può sopportare, con “cristiana rassegnazione”, ogni prova anche dolorosa che ci venga mandata, in vista del fine ultimo della nostra salvezza eterna, e, nello stesso tempo, la libertà e l’intraprendenza dei figli di Dio.

Mi spiego con un esempio: nel mondo antico, la malattia era castigo, nel senso di maledizione. Così avviene ancora oggi nel mondo animista o nelle religioni orientali. L’uomo malato, magari il lebbroso, è maledetto. Perciò scacciato, abbandonato, reietto.

Nella visione cristiana, invece, la malattia è sì una conseguenza del peccato originale, per cui si configura come un castigo all’umanità, ma un castigo che, come anche il lavoro, può divenire benedizione. In Dio infatti Giustizia e Misericordia coesistono perfettamente. Così Cristo stesso si è fatto, da Giudice eterno, uomo infirmus, sofferente, caricando su di sé il male degli uomini, ed insegnando agli uomini a fare altrettanto. Per questa visione l’individuo malato è divenuto, con Cristo, un uomo che Dio ha “visitato” più intimamente degli altri, quasi un prediletto, da aiutare e sovvenire in ogni modo, non certo da scacciare, anche da parte dei fratelli. Di qui la grandezza delle opere di carità e di medicina prodotte dal cristianesimo.

Mi spiego con un altro esempio. Un buon padre deve talora, purtroppo, castigare i propri figli, quando lo meritano. In ciò è mosso da senso di giustizia e di misericordia, cioè mira al vero bene, morale, del figlio. Così il figlio, ricevendo la giusta punizione, può viverla solo come mera “vendetta”, cui ribellarsi, oppure scorgere in essa il segno del bene paterno.

In sintesi, direbbero i nostri autori: tutto ciò che accade, accade non senza che Dio lo permetta. Per cui, anche quando un male fisico spaventoso coglie o il singolo uomo o interi paesi (vedi i terremoti), ciò avviene col consenso di Dio, che però vuole che tale evento castighi, purifichi, in ultima analisi salvi, in senso alto, coloro che sono stati colpiti.

Così, dicevano i Padri, le catastrofi mettono a nudo i cuori, perché costringono chi è colpito a fare i conti con la sua miseria ed il suo bisogno di Dio, e svelano il cuore, la pietà o l’empietà, di coloro che, invece, dovrebbero soccorrere e amare i fratelli.

Detto questo, e rimandando al libro, vorrei aggiungere una curiosità. L’accusa al de Mattei fu quella di non aver parlato come dovrebbe fare un uomo di “scienza”. L’idea di fondo era insomma quella scientista: di fronte al dolore un uomo di scienza dovrebbe limitarsi ai numeri della scala Mercalli, alla percentuale dei morti ecc… Come se la riflessione metafisica, teologica, non portasse ad un sapere molto più saporito di quello cui giunge la scienza sperimentale. Ma ancora una volta la storia può venirci in soccorso.

Ricordandoci che proprio uomini di Chiesa, che avevano una chiara idea della Provvidenza come quella del de Mattei, furono tra coloro che ci hanno fornito la capacità di ragionare anche in modo scientifico sulla metereologia e le catastrofi naturali. Penso a padre Benedetto Castelli che inventò il pluviometro; ai religiosi sismologi Giovanni Agamennone, Guido Alfani, Ernesto Gherzi…; al sacerdote Giuseppe Mercalli, autore della scala per misurare l’intensità dei terremoti che porta il suo nome e al monaco Andrea Bina, inventore del primo sismografo moderno (1751), che apriva il suo celebre trattato sui terremoti proprio accennando ai “castighi” di Dio.

Francesco Agnoli,
Il Foglio, 3/11/2011

[SM=g1740722]

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Un sacerdote risponde

Vivo con ansia il fatto di dover ricevere "castighi" per tutto ciò che ho fatto di male

Quesito

Carissimo Padre Angelo,
comincio con il ringraziarla per questa enorme opera di evangelizzazione moderna che ci illumina e ci accompagna.
Le racconto un po' di me, sperando di non dilungarmi troppo. Sono una ragazza che, con grosso rammarico, ha "sprecato" molti anni della sua giovinezza commettendo ogni sorta di peccato veniale ed anche mortale. Una giovinezza passata attraverso la leggerezza e la superficialità che purtroppo mi hanno portato a commettere peccati mortali molto molto gravi.
Nonostante non lo meritassi, il nostro misericordioso Signore mi ha fatto germogliare il seme del suo amore ed ora eccomi qua: convertita, futura sposa che pratica e vive con forza la castità, cristiana praticante; quindi una persona molto molto diversa da ciò che sono stata fino a 26 anni... !!
Il mio amato Cristo mi ha cambiato la vita a 360 gradi grazie al suo immenso amore ma nonostante ciò ragiono ancora con mentalità secondo me sbagliate; mentalità terrene e secondo me ancora lontane da quelle che sono le vere ragioni spirituali del nostro Credo. Le faccio alcuni esempi, per cui gradirei un suo gentile aiuto:
- vivo con ansia il fatto di dover ricevere "castighi" per tutto ciò che di mortale ho commesso prima.
- sono molto rigorosa nella castità, nei digiuni, nelle varie novene da fare etc.. Ma mi rendo conto che a volte faccio queste cose sperando che portino beneficio nella mia vita, quasi come se Dio fosse un "portafortuna" (nonostante sia Egli stesso a dire di portare la nostra croce e seguirlo).
- da un certo punto di vista mi sembrava (anche se era comunque una illusione) di essere una ragazza più allegra e spensierata, una ragazza che si faceva meno problema. Ora ho molta ansia per ogni cosa, vivo tutto con maggiore intensità e preoccupazione. Come mai non vivo con gioia maggiore rispetto alla situazione disastrosa in cui mi trovavo?

Le chiedo gentilmente di pregare per me come io La ricorderò in preghiera.
Anticipatamente, La ringrazio.
s.




Risposta del sacerdote

Carissima s.,
1. intanto mi compiaccio della primavera che stai vivendo. Non c’è niente nella vita che possa essere paragonabile all’amicizia con Cristo.
Il Signore con la sua presenza riempie il nostro cuore.
Tutti gli incontri con le più svariate persone e tutti gli eventi in Lui acquistano un significato salvifico. Si intuisce che tutto parte da Lui e ha come punto di riferimento Lui. Tutto è un dono del suo amore sempre nuovo per ciascuno di noi.

2. Si tratta di una gioia e di una consolazione diversa da quella che si sperimenta quando si è vuoti e si gode delle piaceri del mondo come se fossero il nostro Dio.
Quest’ultima gioia è abbastanza grossolana. Lì per lì sembra che possa riempire. Ma, passato il momento dell’ebbrezza, ci si trova vuoti, si vive di ricordi e si programmano altre esperienze.
Quella della fede e della presenza di Dio in un’anima in grazia è una gioia diversa. È una gioia che sazia nel profondo il cuore ed è una gioia e una consolazione continua.
È come essere attaccati continuamente alla Sorgente di ogni delizia.

3. Dopo aver detto questo è più facile trovare risposata ai vari perché che mi hai posto.
Innanzitutto non devi aver paura dei castighi di Dio per quello che hai commesso.
Capisco quello che tu vuoi dire press’a poco questo: ho commesso molti peccati, è giusto che espii e ripari.
Ma sono contento di poterti ripetere le parole che il Signore ha detto davanti a tutti nei confronti di una peccatrice: “Le sono stati perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato”.
Anche i tuoi peccati ti sono stati tutti perdonati in virtù dell’amore che hai espresso per nostro Signore nella confessione sacramentale.
Tutte le opere buone che compi in grazia di Dio cooperano all’espiazione dei nostri peccati, già tutti perdonati dal Signore.
Se poi nella vita arrivano delle contrarietà, e ne arrivano a tutti (santi o peccatori), le prendiamo in unione con le sofferenze patite da Gesù in espiazione dei nostri peccati e per quelli di tutto il mondo.
Ma non devi aver nessuna paura per il futuro. Continua solo a crescere sempre di più nell’amore e nella dedizione a Dio manifestata attraverso l’amore e la dedizione per il tuo prossimo.

4. Fai bene a vivere con intensità la purezza e le varie pratiche di devozione cristiana. Si tratta di aprire sempre di più la nostra anima a Dio il quale è desideroso più di noi di riversarvi tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
Non si tratta di portafortuna, ma di amore e di un amore ancora più grande, di maggiore dedizione a Dio per permetterGli di amarci tangibilmente ancora di più, proprio secondo i suoi desideri.

Ti assicuro volentieri la mia preghiera, mentre di ringrazio di cuore per quelle che mi hai promesso.
Ti porgo i più cari auguri di ogni bene per il tuo prossimo matrimonio e ti benedico.
Padre Angelo




 vi invitiamo a leggere anche quanto segue:

ATTENTI! Satana esiste ed è all'offensiva!

Che cosa si intende per Divina MISERICORDIA? Perchè la invochiamo?

FEDE E CONOSCENZA=Sapienza, NON sono la stessa cosa!

Gesù chiede: "Mi lasceresti regnare dentro di te?"




Il Papa ai Vescovi ripropone il Libro di Giobbe per la formazione delle coscienze


[SM=g1740722]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Padre Serafino Lanzetta, teologo francescano,
cerca di rispondere con la verità della Rivelazione,
alla domanda che da sempre interpella ogni uomo:
Dio castiga?
oppure: perchè permette il male?
(Cafè teologico - Verona 27.2.2015)
www.youtube.com/watch?v=O-ajeOcGApI






[SM=g1740733]

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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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22/08/2015 12:43
 
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  ATTENZIONE:
"Dì ai peccatori che li attendo sempre, sto in ascolto del battito del loro cuore per sapere quando batterà per Me. Scrivi che parlo loro con i rimorsi di coscienza, con gli insuccessi e le sofferenze, con le tempeste ed i fulmini; parlo con la voce della Chiesa, e, se rendono vane tutte le Mie grazie, comincio ad adirarMi contro di essi, abbandonandoli a se stessi e do loro quello che desiderano » ( Diario Santa Faustina Kowalska – maggio 1938 – Q.VI, n.1728)"

Qui è Gesù che parla a Santa Faustina Kowalska, e la Chiesa non solo ha approvato quelle apparizioni riportate nel famoso Diario, ma ha OBBEDITO ad esse nella richiesta di una giornata della Divina Misericordia...

Ora, anni addietro, ALTRE APPARIZIONI approvate dalla Chiesa e poco conosciute, ammonivano già il mondo SUI CASTIGHI DI DIO ALL'UMANITA'

Gesù a Santa Faustina dice: " se rendono vane tutte le Mie grazie, comincio ad adirarMi contro di essi.."
ora leggete cosa disse la Madre per risparmiarci la santa Ira divina...
Poi non dite: ma io non lo sapevo!  





«PUNIRÒ L’ERESIA! PUNIRÒ L’EMPIETÀ! PUNIRÒ L’IMPURITÀ!»


«Questo castigo sarà per il XX secolo».

Un messaggio drammatico, ma pieno di speranza: le apparizioni di Nostra Signora del Buon Successo a Quito, in Ecuador, nel ‘500, approvate della Chiesa.

 

Madre Mariana de Jesus

Madre Mariana de Jesus

Quella che stiamo per raccontarvi è la meravigliosa storia di questa straordinaria donna, una mistica spagnola, che si offrì vittima per riparare ai peccati commessi non tanto nel suo secolo, ma principalmente nel XX, cioè il nostro.

La venerabile Madre Mariana Francisca Torres de Jesus (1563-1635), il cui processo di beatificazione è in corso, nipote di Madre Maria Taboada, fondatrice dell’Ordine delle Suore dell’Immacolata Concezione. La zia e la nipote lasciarono la Spagna per fondare in Ecuador questo nuovo ordine, secondo la volontà di Dio.

Il “mondo criminale” del XX secolo

Una mattina del 1582, la giovane Madre Mariana stava pregando davanti al Tabernacolo. Improvvisamente, udì un rombo terrificante e vide la chiesa sprofondare in spaventosa oscurità. La porta del Tabernacolo si spalancò, da cui uscì una grandissima luce che illuminò a giorno l’altare maggiore.

La veggente, nella grande luce, vide l’agonia di Cristo crocifisso sul Golgota: la Madonna, triste e in lacrime, San Giovanni e Maria Maddalena erano ai suoi piedi.

Mariana credette di essere lei stessa la causa di quell’agonia. Prostrandosi a terra, pregò: «Signore, sono io la colpevole! Puniscimi e perdona il tuo popolo». Il suo Angelo Custode, alzandola da terra, la rassicurò: «No, non sei tu la colpevole. Alzati, perché Dio desidera rivelarti un grande segreto».

Vedendo ancora la Madonna in lacrime, la giovane suora chiese: «Oh, Madre mia, sono forse io la causa della tua tristezza?». «No, figlia mia, non sei tu, ma il mondo criminale».

Fu allora che Madre Mariana udì la voce solenne e severa dell’Eterno Padre: «Questo castigo sarà per il XX secolo!».

Apparvero sopra la testa del Cristo crocifisso e sofferente tre pesanti spade. Sulla prima era scritto: “Punirò l’eresia”; sulla seconda: “Punirò l’empietà”; sulla terza: “Punirò l’impurità”.

La Vergine Maria, con dolcezza, domandò a Mariana: «Figlia mia, vuoi sacrificarti per le persone di quel periodo?». «Sì, Madre, lo voglio», fu la risposta della veggente. Così quelle tre spade trafissero il cuore di Madre Mariana, causandole una “morte mistica” che la portò al giudizio di Dio. Gesù le mostrò due corone: la prima era piena di una luce non conosciuta sulla terra, la secondo era composta da gigli bianchi profumati, circondati da numerose spine. «Mia sposa», le disse il Signore, «scegli una di queste corone». Ella doveva scegliere fra restare in Paradiso, godere della visione di Dio, oppure tornare sulla terra e continuare a sacrificarsi per gli uomini e le donne del XX secolo, che si sarebbero resi colpevoli di peccati d’eresia, empietà e impurità.

La Mamma celeste le chiese di scegliere la seconda corona, perché era necessario che un’anima si offrisse vittima per placare la Giustizia di Dio. Mariana, dopo aver ricevuto dalla Madonna la promessa che l’avrebbe sostenuta in questa tremenda prova, rispose: «Mia Signora e Madre, sia fatta in me la Divina Volontà». Poco dopo si ritrovò sulla terra.

Mariana de Jesus divenne così la volontaria vittima sacrificale per i nostri peccati d’eresia, d’empietà e d’impurità. Non le fu risparmiata nessuna sofferenza. Nel 1588, il 17 settembre, ricevette le stigmate della crocifissione.

Il Buon Successo della Purificazione

Il 2 febbraio del 1594, solennità della Presentazione al Tempio di Gesù, della festa della Candelora, la Vergine Maria si presentò alla veggente con questo titolo: «Io sono Maria del Buon Successo della Purificazione, la Regina del Cielo e della Terra».

La statua miracolosa della Madonna del Buon Successo.

La statua miracolosa della Madonna del Buon Successo.

La Madonna chiese a Mariana la costruzione di una statua che la raffigurasse esattamente si presentava nella visione. La statua fu iniziata da un artista del luogo, ma venne completata miracolosamente, in una notte, dagli arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele. L’autenticità di questo miracolo venne confermata per iscritto dagli stessi artisti a cui era stata commissionata la realizzazione della statua.

I tre santi arcangeli, secondo il racconto della veggente, così resero omaggio alla Vergine:

«San Michele, salutandoLa rispettosamente, ha detto: “Maria Santissima Figlia di Dio Padre”;

San Gabriele, ha detto: “Maria Santissima Madre del Figlio Dio”;

San Raffaele, ha detto “Maria Santissima Purissima Sposa dello Spirito Santo”.

Poi, unendosi agli ospiti celesti, essi hanno intonato insieme “Maria Santissima, Tempio e Sacrario della Santissi­ma Trinità”».

Madre Mariana desiderava vivere nel nascondimento, così supplicò la Madonna che tutto ciò che stava vivendo rimasse segreto. Le fu promesso da Nostra Signora che sarebbe stato reso pubblico il suo “segreto” nel XX secolo.

Durante le visioni, inoltre, la Madonna rivelò a Mariana molti avvenimenti che si sarebbero dovuti verificare in Ecuador nel corso dei secoli, e molti altri riguardanti il mondo e la Chiesa universale del XX secolo. Queste profezie si sono realizzate con straordinaria esattezza.

I crimini del XX secolo descritti più di cinque secoli fa

Nostra Signora del Buon Successo: «Durante questo periodo (…) mancherà lo spirito Cristiano.

«Punirò l'eresia!»

«Punirò l’eresia!»

Il Sacramento dell’Estrema Unzionesarà poco considerato. Molte persone moriranno senza riceverlo – sia a causa della negligenza delle loro famiglie o per i loro falsi sentimenti che cercano di proteggere gli ammalati dal vedere la gravità della loro situazione, oppure perché si ribelleranno contro lo spirito della Chiesa Cattolica, spinti dalla malizia del diavolo. Così molte anime saranno private di innumerevoli grazie, consolazioni e della forza di cui hanno bisogno per fare il grande salto dal tempo all’eternità.

Come per il Sacramento del Matrimonio, che simboleggia l’unione di Cristo con la Sua Chiesa, esso verrà attaccato e profanato nel pieno senso della parola. La massoneria, che in quel tempo sarà al potere, emanerà leggi inique con l’obbiettivo di abolire questo Sacramento, rendendo facile per tutti vivere nel peccato, incoraggiando la procreazione di figli illegittimi nati senza la benedizione della Chiesa. Lo spirito cristiano verrà meno rapidamente, spegnendo la preziosa luce della Fede finché non si arriverà al punto che ci sarà una quasi totale e generale degenerazione dei costumi…

Aumenteranno gli effetti dell’educazione secolare, che sarà una delle ragioni della mancanza di vocazioni sacerdotali e religiose… Il Sacro Sacramento dei Santi Ordini sarà deriso, oppresso e disprezzato… Il demonio cercherà di perseguitare i Ministri del Signore in ogni maniera possibile e agirà con crudele e sottile astuzia per sviarli dallo spirito delle loro vocazioni, corrompendo molti di loro. Questi sacerdoti corrotti, che saranno motivo di scandalo per i cristiani, faranno sì che l’odio dei cattivi cristiani e dei nemici della Chiesa Cattolica e Apostolica Romana ricada su tutti i sacerdoti. Questo apparente trionfo di Satana porterà enormi sofferenze ai buoni Pastori della Chiesa.

Non ci sarà quasi più innocenza nei bambini, né pudicizia nelle donne, e in questo momento di grande miseria della Chiesa quelli che dovrebbero parlare rimarranno in silenzio.

«Punirò l'empietà!»

«Punirò l’empietà!»

Ma sappi, mia amata figlia, che quando nel ventesimo secolo il tuo nome sarà fatto conoscere, ci saranno molti che non crederanno, affermando che questa devozione non è gradita a Dio.

Satana avrà il controllo di questa terra attraverso gli errori di uomini senza fede i quali, come una nuvola nera, oscureranno il cielo della repubblica consacrata al Sacro Cuore del Mio divino Figlio. Questa repubblica, avendo consentito l’ingresso di tutti i vizi, dovrà subire ogni sorta di castighi, tra i quali ci saranno pestilenze, carestie, lotte fra le persone e gli stranieri che indurranno un gran numero di anime all’apostasia e alla perdizione… E per disperdere queste nubi nere che nascondono il giorno chiaro della libertà della Chiesa, ci sarà una formidabile e terribile guerra nella quale scorrerà il sangue di nativi e stranieri, di sacerdoti regolari e secolari e anche di monache…

Nostro Signore Gesù Cristo: «Sappi inoltre che la Giustizia Divina manda terribili castighi su intere nazioni, non solo per i peccati della gente ma anche per quelli di sacerdoti e religiosi. Perché questi ultimi sono chiamati, dalla perfezione del loro stato, ad essere il sale della terra, i maestri di verità, e coloro che tengono lontana l’Ira Divina. Deviando dalla loro missione divina essi si degradano a un punto tale che, agli occhi di Dio, sono proprio loro ad accelerare il rigore dei castighi. Perché separandosi da Me finiscono per vivere solo una vita superficiale dell’anima, e mantenersi distanti da Me non è degno dei Miei Ministri. Con la loro freddezza e mancanza di fiducia agiscono come se per loro fossi un estraneo».

E non è tutto.

La lampada spenta

Il 2 febbraio del 1634, verso le tre del mattino, Madre Mariana stava pregando davanti al SS. Sacramento. Improvvisamente la lampada si spense. Apparve allora la Madonna, che spiegò così il significato di quello spegnimento improvviso: «Lo spegnimento della luce del Santuario ha diversi significati.

«Punirò l'empietà!»

«Punirò l’impurità!»

La prima ragione dello spegnimento della luce del Santuario è che dalla fine del secolo XIX e in larga parte del secolo XX, varie eresie saranno propagate in questo paese, che sarà allora una repubblica indipendente. Quan­do queste avranno il sopravvento, la luce preziosa della Fede si estinguerà nelle anime per la quasi totale corruzione dei costumi. Durante questo periodo vi saranno grandi ca­tastrofi fisiche e morali. Il piccolo numero di ani­me che, nascoste, conserveranno il tesoro della Fede e delle virtù, soffriranno in modo indicibilmente crudele ed un prolungato martirio. Mol­ti di loro moriranno per la violenza delle sofferenze e quelli che si sacrificheranno per la Chiesa e per la Pa­tria saranno considerati Martiri. Per liberare gli uomini dal vincolo di queste eresie, quelli che l’amore misericordioso del Mio Santissi­mo Figlio destinerà per la Restaurazione, dovranno avere grande forza di volontà, costanza, prodezza e molta fiducia in Dio. Per provare questa fede e fiducia del giusto, vi saranno momenti in cui tutto sem­brerà perduto e paralizzato: que­sto sarà il felice inizio della com­pleta Restaurazione.

La seconda ragione dello spegni­mento della luce del Santuario è che il mio Convento, essendo ridotto drasticamente nel numero, sarà sommerso in un incomprensibile oceano di indescrivibile amarez­za, e sembrerà annegare in queste diverse acque di tribolazione. Quante autentiche vocazioni periranno per mancanza di discrezione, discernimento e prudenza da parte delle Maestre delle Novizie che le formano! Esse dovreb­bero essere anime di preghiera e ben erudite nelle svariate vie spirituali. Guai a quelle anime che torneranno alla Babilonia del mondo dopo essere sta­te nel posto sicuro di que­sto benedetto Convento! Durante questa epoca sfortunata, l’ingiustizia entrerà persino nel mio giardino chiuso. Ma­scherata sotto il nome di falsa carità, l’ingiu­stizia seminerà la ro­vina nelle anime. L’astioso Diavolo cer­cherà di seminare la discordia per mezzo di membri putridi i quali, mascherati da un’apparenza di virtù, saranno come sepolcri in corruzione che ema­nano la pestilenza della putrefazione, causando morti morali, in alcuni, e tiepidezza, in altri. Essi conficcheranno una spada a dop­pio taglio nelle mie figlie fedeli, le mie anime nascoste, facendole soffrire di un continuo e lento marti­rio. Queste figlie fedeli piangeranno in segreto e si lamenteranno presso il loro Si­gnore e Dio, e le loro lacrime saranno presentate dal loro Angelo Custode al Padre Celeste, chiedendo che tali tempi siano accorciati per l’amore del Divin Pri­gioniero.

La terza ragione dello spegni­mento della luce del Santuario è che lo spirito di impurità che saturerà l’atmosfera in quei tempi, come un oceano ripugnante, inonderà le strade, le piazze e i luoghi pubblici con un’incredibi­le libertà. Non vi saranno quasi più anime vergini nel mondo. Il fiore delicato della verginità, timido e minacciato di completa estin­zione, risplenderà molto da lontano. Prendendo rifu­gio nei Conventi, vi troverà un buon terreno e, prendendo radici, crescerà e vivrà e la sua fragranza sarà la delizia del mio Santissimo Fi­glio e lo scudo contro l’ira divina. Senza verginità, sarebbe necessario che sopra questi Paesi cadesse il fuoco del Cielo, per purificarli. In questi tempi di ma­liziosa superbia, l’invi­dioso e pestifero Dia­volo cercherà di intro­dursi anche in questi giardini chiusi dei Conventi dei Religiosi per far appassire que­sti fiori meravigliosi e delicati. Ma io lo af­fronterò e gli schiac­cerò la testa sotto i miei piedi! Ahimè, che dolore! Vi saranno anime incaute che volontariamente si getteranno tra i suoi artigli. Altri, ritornati al mondo, diventeranno gli strumenti del Diavolo per la perdita delle anime.

«Questo castigo sarà per il XX secolo»

«Questo castigo sarà per il XX secolo»

La quarta ragione dello spegnimento della luce del Santuario è che, attraverso l’acquisizione del controllo su tutte le classi sociali, la Setta Massonica, sarà così astuta da penetrare nel cuore delle fami­glie per corrompere persino i bam­bini, e il Diavolo si farà gloria di nutrirsi, con perfidia, della squisita delicatezza del cuore dei bambini. Durante questi tempi sfortunati, il male assalirà l’in­nocenza infantile e, in questo modo, le vocazioni al sacerdozio saranno perdute, e questo sarà un vero disastro. Sarà compito di gruppi religiosi sostenere la Chiesa e lavorare con valoroso e disinteressato zelo per la salvezza delle anime, perché, durante questo periodo, l’osservanza della regola splenderà nelle co­munità e vi saranno santi ministri dell’altare, nasco­sti, e anime meravigliose dalle quali il mio Santissi­mo Figlio ed Io trarremo la nostra delizia, conside­randoli fiori eccellenti e frutti di santità eroica. Gli empi dichiareranno una guerra crudele contro di es­si coprendoli di insulti, calunnie e vessazioni, per impedire il compi­mento del loro mi­nistero. Ma essi, co­me salde colonne, rimarranno irremo­vibili e affronteran­no tutto questo, con quello spirito di umiltà e sacrificio col quale sono rive­stiti dalla virtù dei meriti infiniti del mio Santissimo Fi­glio, il Quale li ama come le fibre più re­condite del suo san­tissimo e tenerissi­mo Cuore.

In questa epoca, il Clero Secolare ab­bandonerà i suoi ideali, perché i sa­cerdoti diventeran­no negligenti nei lo­ro sacri doveri. Persa la bussola divina, essi si allontaneranno dalla strada tracciata da Dio per il ministero sacerdotale e saranno attaccati ai be­ni ed alle ricchezze, che essi si sforzeranno illecita­mente di ottenere. Quanto soffrirà la Chiesa durante questa notte buia! Mancando un Prelato e Padre che li guidi con amore paterno, dolcezza, fortezza, sag­gezza e prudenza, molti sacerdoti perderanno il loro spirito, ponendo le proprie anime in grande pericolo. Pregate insistentemente senza stancarvi e piangete con lacrime amare, nel segreto del vostro cuore, im­plorando il nostro Padre Celeste il Quale, per l’amore del Cuore Eucaristico del mio Santissimo Figlio e per il Suo Prezioso Sangue versato con tanta generosità e per la profonda amarezza e sofferenza della Sua cru­dele Passione e Morte, Egli potrebbe avere pietà dei Suoi ministri e porre rapidamente fine a questi tem­pi infausti, mandando alla Sua Chiesa il Prelato che ristorerà lo spirito dei suoi sacerdoti.

Il Mio Santissimo Figlio ed Io ameremo questo fi­glio privilegiato con un amore di predilezione, e Noi gli faremo dono di rare capacità: umiltà di cuore, do­cilità alla divina ispirazione, forza per difendere i di­ritti della Chiesa, e di un cuore tenero e compassione­vole, cosicché, come un altro Cristo, egli assisterà i grandi e i piccoli, senza disdegnare le anime più sfor­tunate che gli chiederanno un po’ di luce e di consi­glio nei loro dubbi e sofferenze. Con divina soavità, egli guiderà le anime consacrate al servizio di Dio nei Conventi, alleggerendo il giogo del Signore il Quale ha detto: “Il mio giogo è dolce, e il mio carico leggero”. Le bilance del Santuario saranno poste nelle sue mani, in modo che tutto sia pesato con dovuta misura e Dio sarà glorificato.

La tiepidezza di tutte le anime consacrate a Dio, nello stato sacer­dotale e religioso, ri­tarderanno la venuta di questo Prelato e Pa­dre. Questa, dunque, sarà la causa che per­metterà al Demonio maledetto di prendere possesso di questo Paese dove egli conse­guirà le sue vittorie per mezzo di stranieri e gente senza fede, co­sì numerosi che, come una nube nera, oscure­ranno il limpido cielo di questa futura Re­pubblica che sarà con­sacrata al Santissimo Cuore del mio Divin Figlio.

Con questa gente, tutti i vizi entreranno, e at­trarranno, a loro volta, ogni tipo di castigo, come calamità, care­stie, guerre intestine, dispute con altre na­zioni e apostasia, la causa della perdizione di così tante anime co­sì care a Gesù Cristo e a Me.

Per dissipare questa nube nera, che impedisce alla Chiesa di beneficiare del giorno limpido della libertà, vi sarà una guerra spaventosa e tremenda che vedrà lo spargimento di sangue di nativi e stranieri, di sacerdoti regolari e se­colari e anche di monache. Quella notte sarà la più orribile, perché sembrerà che, umanamente parlan­do, il male abbia trionfato.

Questo, allora, segnerà l’arrivo della mia ora, quando Io, in modo sorprendente, detronizzerò l’orgoglioso Satana schiacciandolo sotto il mio piede e incatenandolo negli abissi infernali, libe­rando, così, finalmente la Chiesa e la Nazione dalla sua crudele tiran­nia».

La quinta ragione dello spegni­mento della luce del Santuario è dovuta alla fiacchezza e negligenza di quelli che possiedono gran­di ricchezze, i quali staranno a guardare con indifferenza la Chiesa che sarà oppres­sa, la virtù perseguitata e il male che trionfa, senza devotamente impiegare le loro ricchezze per la di­struzione del male e per restaurare la Fede. Questa ragione è do­vuta anche all’indiffe­renza di quella gente che permetterà che il Nome di Dio venga gradualmente fatto sparire e che aderirà allo spirito del male, consegnandosi libera­mente ai vizi ed alle passioni.

Ahimé, mie figlie pre­dilette! Se vi fosse con­cesso di vivere in que­sta èra tenebrosa, voi morireste di dolore nel vedere avverarsi tutto quello che Io vi ho rivelato. Il mio San­tissimo Figlio ed Io ab­biamo un tale grande amore per questo Pae­se, nostra eredità, che Noi desideriamo per­sino, sin da ora, ri­chiedere il vostro sa­crificio e le vostre preghiere per accor­ciare i tempi di una tale terribile catastro­fe».

Le ragioni dello spegnimento della lampada colpirono profondamente Madre Mariana, la quale si adoperò ancora di più per far sì che il messaggio di Nostra Signora del Buon Successo arrivasse a noi, uomini e donne del XX secolo, in particolare alla Gerarchia.

Il testamento di Madre Mariana

Mariana Torres de Jesus morì, dopo aver sofferto tantissimo per placare l’Ira Divina a causa dei nostri peccati, il 16 gennaio 1635 alle ore 15:00, l’ora della morte di Gesù.

Nel suo Testamento, ella scrisse: «Quando il Divin Maestro era appeso a quel vergognoso patibolo della Croce, con la sua vita che len­tamente veniva meno, in mezzo ad una quasi infinita pena e tormento, il testamento, che Egli diede per redimere l’umanità fu il dono di lasciare Sua Madre come nostra Madre.

Egli, infatti, si rivolse alla Sua Vergine Madre, dicen­do: “Donna, ecco tuo figlio!”, il Suo discepo lo prediletto.

E volgendosi a lui, dis­se: “Ecco tua Madre!”. Ecco la vostra Madre Celeste, Maria Santis­sima del Buon Succes­so. Ella vi darà sempre un buon successo!.

Abbiate un grande amore per la Beata Vergine; imitate le sue virtù, soprattutto la sua profonda umiltà, il suo ardente amore per Dio e per i poveri pec­catori, la sua sempli­cità e fiduciosa inno­cenza. Che non vi sia­no inganni o ipocrisie nelle vostre anime. Preservate e propagate la devozione sotto l’invocazione di No­stra Signora del Buon Successo, perché con essa otterrete da Gesù e Marìa tutto ciò che chiederete… Voi do­vreste conservare de­votamente questo vero tesoro e farLa conosce­re e amare da più ani­me possibile.

Assicurate loro che con questa devozione essi otterranno sempre un buon successo, nel tempo e nell’eter­nità…

Fate ricorso a Lei in tutte le vostre necessità spirituali e temporali. Quando la vostra anima soffre per le ten­tazioni ed è immersa nel dolore e, se per divina per­missione, la stella della vostra vocazione sarà nascosta alla vista della vostra anima, rivolgetevi a Lei, con confidenza, con queste parole: «Stella del mare in tempesta della mia vita mortale, possa la tua luce illuminarmi in modo che io non possa allontanarmi dalla via che mi porta al Cielo».

Conclusione

In conclusione, nessuno può affermare: “Non sono stato avvisato!”.

BIBLIOGRAFIA

La admirable vida de la Madre Mariana de Jesús Torres, scritto nel XIX secolo dal priore provinciale francescano di Quito, Manuel de Souza Pereira.

Trial, Tribulation and Triumph, di Desmond A. Birch, Queenship Publishing.


      



 

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Terremoti e castighi divini

san_benedtto_norcia

(di Roberto de Mattei)A partire dal 24 agosto di quest’anno l’Italia è stata colta da una serie di violente scosse sismiche, che dopo due mesi, non accennano a diminuire.  Le scosse, secondo i sismologi, sono state migliaia, di intensità e magnitudine diversa. Fino ad oggi hanno provocato un numero limitato di vittime, ma gravi danni alle chiese e agli edifici pubblici e privati, privando dei loro beni e delle loro case decine di migliaia di italiani.

La scossa del 30 ottobre, la più grave dopo quella del 24 agosto, si è avvertita in tutta Italia, da Bari a Bolzano e ha avuto il suo simbolo nel crollo della cattedrale di Norcia. La notizia della distruzione della Basilica ha fatto il giro del mondo. Della chiesa sorta sulla casa natale di san Benedetto rimane solo una fragile facciata. Tutto il resto è scomparso in una nuvola di polvere. Molti mass media, come l’americana Cnn, hanno sottolineato il carattere simbolico dell’evento, scegliendo, l’immagine della cattedrale crollata per l’homepage dei loro siti.

Un tempo gli uomini erano capaci di leggere i messaggi di Dio in tutti gli avvenimenti che sfuggivano alla loro volontà. Tutto ciò che accade, infatti, ha un significato, espresso dal linguaggio del simbolo.Il simbolo non è una rappresentazione convenzionale, ma è l’espressione più profonda dell’essere delle cose.

Il razionalismo moderno, da Cartesio ad Hegel, da Marx al neo-scientismo, ha voluto razionalizzare la natura, sostituendo alla verità del simbolo l’interpretazione puramente quantitativa della natura. Il razionalismo oggi è in crisi, ma la cultura postmoderna che si abbevera alle sue stesse fonti intellettuali, dal nominalismo all’evoluzionismo, ha creato un nuovo sistema di simboliche, a differenza da quelli antichi, non rinviano alla realtà delle cose, ma la deformano come in un gioco di specchi. Il codice simbolico che si esprime in tutte le forme della comunicazione postmoderna, dai tweet ai talk-show si propone di creare emozioni  e di suscitare sentimenti, rifiutando di cogliere la ragione profonda delle cose

La cattedrale di Norcia, ad esempio, è un simbolo di arte, di cultura, di fede. La sua distruzione evoca, per i media la perdita del patrimonio artistico dell’Italia centrale, ma non può essere immagine del crollo della fede o dei valori fondamentali della Civiltà cristiana.

Il terremoto poi, malgrado sia usato nel linguaggio comune per indicare sconvolgimenti culturali e sociali, non può mai rinviare a un intervento divino, perché Dio può essere solo presentato come misericordioso, mai come giusto.

Chi parla di “castigo divino”, incorre immediatamente nella diffamazione mediatica, come è accaduto a padre Giovanni Cavalcoli, le cui parole a Radio Maria sono state definite “affermazioni offensive per i credenti e scandalose per chi non crede” dal sostituto alla Segreteria di Stato mons. Angelo Becciu.

Ma se scandalo c‘è, è proprio quello provocato dalla presa di posizione del prelato vaticano che dimostra di ignorare la teologia cattolica e l’insegnamento dei Papi, come Benedetto XVI, che nell’udienza del 18 maggio 2011, parlando della  preghiera di intercessione di Abramo per Sodoma e Gomorra, le due città bibliche punite da Dio a causa dei loro peccati, afferma:

“Il  Signore era disposto a perdonare, desiderava farlo, ma le città erano chiuse in un male totalizzante e paralizzante, senza neppure pochi innocenti da cui partire per trasformare il male in bene. Perché è proprio questo il cammino della salvezza che anche Abramo chiedeva: essere salvati non vuol dire semplicemente sfuggire alla punizione, ma essere liberati dal male che ci abita. Non è il castigo che deve essere eliminato, ma il peccato, quel rifiuto di Dio e dell’amore che porta già in sé il castigo. Dirà il profeta Geremia al popolo ribelle: «La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono. Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio» (Ger 2,19)”.

Come dimenticare che tra agosto e settembre del 2016 sono state celebrate le prime unioni civili in Italia? “Ricostruiremo tutto” ha dichiarato il premier italianoMatteo Renzi.

Ma il 23 luglio 2016 lo stesso Renzi ha apposto la sua firma al decreto attuativo della Legge n. 76/2016, o Legge Cirinnà, che legalizza il matrimonio omosessuale in Italia. Questa legge è un terremoto morale, perché abbatte le mura della legge divina naturale. Come immaginare che questa legge sciagurata sia priva di conseguenze?  Chi non rinuncia al buon senso se ne rende immediatamente conto. Oggi l’uomo si ribella a Dio e la natura si ribella all’uomo. O meglio, l’uomo si ribella alla legge naturale, che ha il suo fondamento in Dio, e il disordine della natura esplode.

La legge Cirinnà non distrugge le case, ma l’istituzione della famiglia, producendo una devastazione morale e sociale non meno grave di quella materiale del terremoto. Chi può negarci il diritto di pensare che il disordine della natura è permesso da Dio come conseguenza della negazione dell’ordine naturale attuato dalle classi dirigenti dell’Occidente? E poiché i simboli tollerano diverse letture, come dar torto a chi vede nella facciata di una cattedrale il simbolo di ciò che oggi, sotto l’aspetto umano, sembra rimanere della Chiesa cattolica: un cumulo di macerie? Le dichiarazioni di mons. Becciu, uno dei più stretti collaboratori di papa Francesco, sono l’espressione di un mondo ecclesiastico in rovina che attira su di sé altre rovine.

Dalla promulgazione dell’Esortazione Amoris Laetitia agli onori resi a Lutero a  Lund, papa Francesco non ha certo contribuito a riportare ordine in questo mondo in frantumi.

Il Papa ripete che non si devono costruire muri, ma bisogna abbatterli: ebbene i muri crollano, ma con loro crolla la fede e la morale cattolica, crolla la Civiltà cristiana, che a Norcia, patria di san Benedetto, ha la sua simbolica culla.

Eppure, se la cattedrale si è sgretolata, è restata in piedi la statua di San Benedetto al centro della piazza antistante. Attorno a questa statua si sono riuniti  un gruppo di monaci, di suore e di laici, recitando il rosario. Anche questo è un messaggio simbolico che ci parla dell’unica ricostruzione possibile: quella che si fa in ginocchio, pregando.

Accanto alla preghiera occorre però l’azione, la lotta, la testimonianza pubblica della nostra fede nella Chiesa e nella Civiltà cristiana che risorgerà dalle macerie. La Madonna a Fatima lo ha promesso. Ma prima del trionfo del Cuore Immacolato, la Beatissima Vergine ha previsto anche un castigo planetario per l’umanità impenitente. Bisogna avere il coraggio di ricordarlo. (Roberto de Mattei)





DIO CASTIGA

Ovviamente anche S. Francesco d’Assisi (quello vero) ha parlato dei santi castighi di Dio.
Dalla “Legenda Maior” di S. Bonaventura da Bagnoregio:

“Come potrò segnarti con la croce, se finora sei vissuto seguendo gli istinti della carne, senza timore dei giudizi di Dio? Ad ogni modo, per la devozione e le preghiere di queste persone che intercedono per te, ti benedirò col segno della croce in nome del Signore. Tu, però, sappi che andrai incontro a castighi più gravi, se una volta guarito, tornerai al vomito. Perché il peccato d’ingratitudine si merita sempre punizioni peggiori delle prime”.

“Due cose risultarono ben chiare contemporaneamente nella fine disastrosa di uno solo: quanto siano giusti i castighi di Dio e quanto fosse penetrante lo spirito profetico di Francesco”.

Ma una notte, il beato Francesco apparve in sogno a uno di quei frati e gli disse: “Alzati e va in fretta con il tuo compagno alla casa del vostro ospite. Poiché egli, accogliendo voi, ha accolto Cristo e me, io voglio ricambiare le sue dimostrazioni di bontà. Sappi che egli è diventato cieco in castigo dei suoi peccati, che non si è ancora preoccupato di purgare con la confessione e la penitenza”.


MAGISTERO
 

«Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi» così inizia l’Atto di dolore secondo la prima delle dieci formule presenti nel Rito del sacramento della penitenza o confessione. Lo diciamo più chiaramente: i nostri peccati hanno meritato i castighi di Dio. 

 



Amoris laetitia”, la legge, la libertà. Risposta al padre Sorge


Nell’ultimo numero di «Aggiornamenti sociali» (n. 11, novembre 2016), storica rivista dei gesuiti, il padre Bartolomeo Sorge, che della rivista è direttore emerito, pubblica un articolo, intitolato «A proposito di alcune critiche recenti a papa Francesco» (pagg. 751 – 756) nel quale si occupa di «critiche, piuttosto serie, venute specialmente dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia» e si propone di confutarle. Precisato che fra tali critiche ce ne sono alcune preconcette mentre altre, che «vengono da persone illuminate e fedeli», sono «fatte senza arroganza, e lasciano trapelare un’evidente o malcelata contrarietà», il padre Sorge sceglie, come esemplificativi della seconda categoria, i casi del professor Robert Spaemann, «uno dei maggiori filosofi e teologi cattolici tedeschi», e del sottoscritto, «giornalista cattolico, apprezzato vaticanista del Tg1».

Beh, grazie, caro padre! Devo dire che mai  mi sarei aspettato di meritare la sua attenzione, e ancor meno di essere accostato, sotto il titolo «Due voci critiche qualificate», a un pensatore del calibro del professor Spaemann.

Comunque, eccomi al tema: sia nel caso di Spaemann (secondo il quale «Amoris laetitia» costituisce una palese frattura con il precedente magistero della Chiesa) sia nel mio articolo «La Chiesa e la logica del “ma anche”» (28 maggio 2016, in www.aldomariavalli.it) secondo Sorge siamo di fronte a «tensioni che interpellano il servizio apostolico del nostro tempo». Quali sono? Eccole: «Quelle tra dottrina e pastorale, tra coscienza soggettiva e obiettività della legge e tra misericordia e giustizia».

In sintesi, secondo il padre Sorge papa Francesco sta seguendo la strada giusta quando sostiene che la dottrina non deve e non può mai essere fredda e distante, perfetta in se stessa ma lontana dalla realtà delle persone, perché deve avere una natura e una finalità pastorale. Sta seguendo la strada giusta anche quando raccomanda che le persone non siano rese schiave da una legge che, nella sua pretesa obiettività, non sa fare i conti con le situazioni soggettive, e infine ha ragione quando ricorda che la misericordia non è contraria alla giustizia, non è buonismo o sentimentalismo, ma è un andare oltre la giustizia con il perdono.  Secondo il padre Sorge, «alla luce del realismo di Dio», Francesco è a sua volta realista quando chiede che «si prenda atto della molteplicità dei condizionamenti» a cui l’uomo di oggi è sottoposto.

Capisco bene lo sforzo di Francesco, e di pastori come il padre Sorge, di calare il Vangelo nella realtà dell’uomo del nostro tempo.  Tuttavia ritengo che lungo questa via,  a forza di prendere in considerazione i condizionamenti a cui l’uomo è sottoposto, si finisca con l’operare un ribaltamento: anziché aiutare l’uomo a mettersi in ascolto di Dio, c’è il rischio di porre Dio alle dipendenze dell’uomo e delle sue giravolte. Il che rende l’uomo non più libero, ma più schiavo.

La dottrina stessa, oltre che la pastorale, può essere piegata a questo ribaltamento. Succede ogni volta che, con il proposito di andare un po’ «incontro all’uomo», viene ammorbidita o, per dirla con Francesco, resa meno fredda. Ma qual è il prezzo di questa operazione? È che non si sa più di che cosa si sta parlando. La dottrina perde la sua chiarezza e la Verità si offusca. E in questo modo l’uomo non diventa più libero di scegliere o non scegliere la Verità. Diventa solo più confuso. E quindi meno libero. Come spiega Spaemann, scegliere senza sapere bene di che cosa si sta parlando non è un aiuto per l’uomo: è la forma più estrema di mancanza di libertà.

Quando, come a tratti succede in «Amoris laetitia», emerge la tendenza non a mettere al centro Dio e la sua Verità oggettiva, ma l’uomo con le sue esigenze e i condizionamenti a cui è sottoposto, non si aiuta l’uomo a essere più libero: lo si illude di esserlo. Quando, come pure vediamo a tratti in «Amoris laetitia», viene spiegato che l’importante non è tanto il contenuto della norma, quanto il modo in cui una determinata situazione è vissuta, in coscienza, dall’individuo, rischiamo di lasciare campo aperto al dilagare del soggettivismo e del relativismo. Non abbiamo più l’uomo in ascolto di Dio, perché consapevole che Dio è Verità e che tale Verità è oggettivamente buona, ma abbiamo Dio adattato alla soggettività umana. Non abbiamo più i diritti di Dio e i doveri dell’uomo, ma i diritti dell’uomo e i doveri di Dio. Ebbene, dirà qualcuno, dov’è il problema? Il problema è che questa non è la strada della liberazione, ma la strada della schiavitù: l’uomo schiavo di se stesso.

Il dramma della modernità è tutto in questo ribaltamento, che è penetrato anche nella Chiesa e in base al quale l’uomo diventa l’idolo di se stesso. E così si condanna alla schiavitù e quindi, alla fin fine, all’infelicità. Quando non c’è più la libertà di seguire il vero bene, ma solo la libertà di interpretare la Verità di Dio a seconda dei propri bisogni e di ciò che è bene in base a una valutazione soggettiva, semplicemente non c’è alcuna libertà. E se non c’è la libertà c’è la schiavitù. E se c’è la schiavitù non c’è la felicità.

Stupisce che uomini di Dio mostrino la tendenza a considerare la legge, nella sua oggettività e chiarezza, quasi come un ostacolo sulla strada che porta a Dio, quando invece la legge oggettiva e chiara è l’unico strumento che permette la scelta responsabile e quindi l’autentica libertà e quindi la felicità.

Tutti gli attacchi di questi giorni contro il padre Giovanni Cavalcoli, che a Radio Maria ha osato accennare al castigo divino come conseguenza del peccato originale, nascono in buona parte dalla difficoltà, ormai manifesta anche fra tanti buoni credenti, di rapportarsi a Dio in quanto legislatore. Colpa e castigo sono categorie troppo nette. Non ci siamo più abituati. Ci sentiamo più a nostro agio nel giustificazionismo, dove tutto è vago e indeterminato, dove non si sa bene quale sia lo spazio della responsabilità. Non ci stiamo costruendo un Dio misericordioso e che perdona, ma un Dio comprensivo e che giustifica. Sono due cose diverse.

Come ho già ricordato, il mio articolo citato dal padre Sorge si intitola «La Chiesa e la logica del “ma anche”». E che cosa scrive a un certo punto l’amico Sorge? Scrive così: «Va tenuta presente non solo l’obiettività della legge, ma anche la complessità delle situazioni». Eccolo lì il «ma anche», cavallo di Troia del relativismo. Cioè della confusione. Cioè della mancanza di libertà. Cioè dell’infelicità (anche se camuffata da libertà e felicità).

L’articolo del padre Sorge si conclude così: «In sostanza, il modo in cui sono vissute queste tensioni e le posizioni  critiche assunte al riguardo rivelano le resistenze o le difficoltà di comprendere l’invito di papa Bergoglio a una “Chiesa in uscita”, preferendo rimanere ancorati alle certezze tradizionali, ben custodie dalle vecchie e solide “mura del tempio”».

A parte il fatto che l’espressione «Chiesa in uscita» mi sembra a sua volta generica e indeterminata, voglio dire all’amico padre Sorge che ho afferrato il messaggio in codice.

«Oltre le mura del tempio» è il titolo di un libro che abbiamo scritto insieme nel 2012. Ma non mi sento in contraddizione. Resto convinto che la testimonianza, specialmente da parte del laico credente, vada portata ovunque, ben oltre le mura del tempio. Ma quale testimonianza? Di un Dio genericamente comprensivo o di un Dio autenticamente misericordioso? Di un Dio che cancella la colpa dell’uomo o di un Dio che la assume in Gesù, suo mediatore e mio redentore? Di un Dio che  mi offre una consolazione superficiale o di un Dio che mi libera dal peccato? Di un Dio che si è fatto uomo o di un uomo che vuole farsi Dio?

Aldo Maria Valli



 

[Modificato da Caterina63 11/11/2016 13:53]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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[SM=g1740733] Castigo? Ebbene sì. Bergoglio manda in tilt i caudatari
di Andrea Zambrano
09-11-2016 da La nuova bussola
www.lanuovabq.it/it/articoli-castigo-si-inedito-bergoglio-manda-in-tilt-i-caudatari-1...

Il video di Bergoglio nel 2013

Il castigo di Dio? Esiste per i peccati dell’uomo. Parola di Papa Francesco. La frase di questo video è stata pronunciata dall’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio nel corso di una trasmissione televisiva andata in onda sulla tv argentina Canal 21. “Biblia, Dialogo vigente”, questo il nome del programma andato in onda quando il futuro Papa Francesco era arcivescovo di Buenos Aires.
Si trattava di una tavola rotonda condotta dal direttore di Canal 21 Marcelo Figueroa che vedeva protagonisti lo stesso Bergoglio e il rabbino Abraham Skorka della Comunità Benei Tikva di Buenos Aires e rettore del seminario rabbinico latinoamericano. La trasmissione aveva lo scopo di parlare delle verità dell’uomo utilizzando come format il dialogo interreligioso ed ecumenico. Bergoglio e Skorka si confrontarono, testi biblici alla mano, su svariate tematiche, tra cui: giustizia, amore, solitudine, senso della vita, allegria, timore, verità, potere etc…

In questa conversazione i due religiosi rispondono alla provocazione del conduttore sul fine che giustifica i mezzi. Figueroa proponeva tre letture: la prima è la lettura che ne diede Machiavelli ne Il Principe; la seconda il fine buono che dà qualità all’eventuale mezzo sbagliato per ottenerlo, la terza il mezzo come cammino, perché in fondo la meta non è importante. Bergoglio mostra di non assecondare la mentalità del mondo e non cade nella trappola arrivando ad affermare di no, perché un mezzo malvagio per il raggiungimento di un qualunque scopo, anche se fosse buono, è intrinsecamente un male, pena il castigo di Dio. Esattamente quello che dicono la tradizione e la dottrina cattolica, oltre a tutti i documenti di morale del Magistero.

Nel video, caricato su Youtube nel gennaio 2013, poco prima dell’elezione di Bergoglio al Soglio pontificio, Bergoglio affronta il tema del castigo di Dio citando due episodi biblici: l’episodio della vigna di Naboth narrato nel libro dei Re e un passo del profeta Amos. In entrambi si parla del castigo di Dio. Un castigo che anche il futuro Papa Francesco, contrariamente a quanto alcuni suoi autonominatisi commentatori in veste di caudatari vogliono dimostrare, aveva ben presente.

Papa Francesco dunque crede nel castigo di Dio, ecco la sconcertante verità che un Alberto Melloni non riuscirà mai ad accettare. Lui così sicuro – l’ha fatto giusto ieri su Repubblica – di demolire il «pulviscolo integralista» rappresentato da Padre Cavalcoli & company per i quali “la modernità produce ribellioni contro le quali un Dio crudele, irriconoscibile alla fede biblica, reagisce mandando flagelli pedagogici”. Flagelli pedagogici ai quali, dice sempre il professore, la Chiesa dell’era-Francesco reagisce perché la Chiesa di Bergoglio non sottovaluta “quel che c'era di "politico" in quelle parole”.

Sicuro? E se si scoprisse che anche Papa Francesco ci crede al castigo di Dio come conseguenza dei peccati degli uomini? Chissà se monsignor Becciu ora si sentirà di censurare anche il Papa e Melloni di fare i dovuti distinguo? «Con quell’intervento la Santa Sede – ha detto sempre Melloni – ha dato un segnale molto cristiano e politico. Là dove viene meno il buonsenso umano e il buoncuore cattolico, si annida un bisogno di odio». Anche il Papa? Anche lui senza buonsenso e bisognoso di odio? Sicuri?

Ma in fondo Melloni, Becciu e compagnia di giro potranno sempre giustificarsi dicendo che dopo tutto si trattava di parole espresse a suo tempo in Argentina e - ci ricorda il vecchio Guccini - l'Argentina è solo l'espressione di un'equazione senza risultato, come i posti in cui non si vivrà, come la gente che non incontreremo». Quindi, in fondo, chi se ne importa.

Nessuno infatti in quella occasione si stracciò le vesti perché Bergoglio, al pari di Padre Cavalcoli, non fece altro che citare la Sacra Scrittura e interpretarla alla luce della Parola di Dio. Bergoglio ricordava che nel Vangelo nessun fine giustifica i mezzi e citava l’episodio tratto dal Vangelo di Luca in cui, passando per un villaggio di Samaritani e venendo rifiutati, i discepoli chiedono a Gesù di mandare un fulmine dal cielo che li incenerisca. “Gesù li riproverò – disse allora Bergoglio – perché nessun fine giustifica i mezzi. Così il Vangelo”. “Ma ci sono anche due scene nell’Antico Testamento – proseguiva il Papa - che me lo mostrano chiaramente. In una si mostra l’episodio della vigna di Naboth che il re Acab voleva acquistare per allargare il suo palazzo. Un commercio lecito, dunque. Ma Naboth rifiutò perché si trattava della vigna dei suoi padri. Così Acab tornò sconsolato e adirato a casa, dove la moglie, Gezabele, inizia a tramare per accontentare il desiderio del marito.

Ecco di seguito la traduzione proposta da Davide Polenghi per la Nuova BQ.

La regina Gezabele dice: “Lascia che lo sistemo io” e chiama alcuni del suo partito e dice loro: “Fate un processo falso con dei testimoni falsi contro Naboth, accusandolo di blasfemia”. Questi lo lapidano e lo uccidono. Lei va dal marito e gli dice: “Vai a prendere possesso della vigna, giacché Naboth è morto” .

Per uno scopo giusto a volte si usano mezzi illeciti, come questa regina tiranna. I profeti lo avevano predetto: “Nello stesso luogo dove i cani hanno leccato il sangue di Naboth, i cani leccheranno pure il tuo proprio sangue”.

Un altro testo biblico che raccomando ai telespettatori di leggere per intero, perché parla di quello che non si deve fare, del fatto che il fine non giustifica i mezzi, è quello del profeta Amos, in cui egli dice “per questo, per questo e per questo tu verrai punito” e fa un elenco di tutti i mezzi illeciti con cui l’uomo può approfittarsi del proprio fratello, di quello che non si può fare.

La Bibbia sottolinea il fatto che un mezzo illecito non si può usare per uno scopo giusto e che Dio punisce coloro che fanno questo. Dio punisce l’inganno, la frode, lo sfruttamento, penso, per esempio, ai laboratori clandestini: ce ne sono molti qui a Buenos Aires. Il profeta Amos, su questo, è molto chiaro, “Stai sfruttando il tuo fratello” e Dio punisce coloro che si arricchiscono, prendono possesso di qualcosa, si rafforzano o conseguono qualunque altro scopo attraverso un mezzo illecito. Questa è la tradizione biblica. Quindi, il fine non giustifica i mezzi. E riprendo quella che secondo me è un’interpretazione molto appropriata: giustizia, sì, ma attraverso la giustizia.

(Il passaggio è ai minuti 14.53-18.32)

www.youtube.com/watch?v=-HLImi2u8Qg






[SM=g1740771]

Dice Riccardo Cascioli: "Terremoti, slavine: quando accadono eventi come quelli che ci hanno tenuti con il fiato sospeso in questi giorni, è difficile non pensare alle parole di Gesù. «Non sapete né il giorno né l'ora»: non è una minaccia ma un gesto d'amore, un invito a prendere atto della realtà per essere pronti in ogni istante, perché la morte non ci colga con il cuore lontano da Dio...."

MA I VESCOVI E IL CLERO: DOVE SIETE FINITI?
DOVE STANNO PIU' LE PROCESSIONI E LE ADORAZIONI EUCARISTICHE PER SCONGIURARE E CHIEDERE A DIO LA SUA PROTEZIONE? Le catastrofi sono eventi naturali, ma dove è finita la risposta dell'uomo a Dio? SVEGLIAMOCI PER NON PERIRE....


www.youtube.com/watch?v=HU4VnNe8YVM

Scosse continue di terremoto (ormai centinaia dallo scorso agosto), temperature polari e nevicate storiche. E ora anche la slavina, tragica combinazione di terremoto e neve, che ha distrutto l’Hotel Rigopiano, alle pendici del Gran Sasso, inghiottendo una trentina di persone che da ore aspettavano dei mezzi per portarli in salvo, bloccati anche loro da una neve senza precedenti.

Un destino crudele, si direbbe, che si accanisce su queste popolazioni e che lascia un senso di impotenza. Impotenza che si fa preghiera: per i morti, per i feriti, per i sopravvissuti all’ultima tragedia, per gli sfollati, per quelli che sono rimasti in questi paesi e vivono quotidianamente la paura che solo chi ha sentito un forte terremoto può comprendere; per quanti da mesi e, soprattutto in queste ultime ore, si stanno prodigando per soccorrere le vittime, per migliorare le loro condizioni, in circostanze a volte veramente problematiche. Solo la preghiera, affidare tutti costoro alla divina Misericordia, la certezza di una compagnia buona al fianco di chi soffre, dà un senso al dolore di questi giorni.

C’è chi, anche in questa occasione, non resiste alla tentazione di fare polemica, di additare dei responsabili, per portare acqua al mulino del proprio partito o della propria posizione. E pensare che mai, come in questa occasione, ci sarebbe molto da riflettere sulla Natura e sul rapporto dell’uomo con l’ambiente che lo circonda. Perché stavolta parlare di colpe e responsabilità è davvero impossibile. Siamo davanti a fatti senza precedenti, alla coincidenza di terremoti e nevicate che non hanno precedenti, e che sono fuori dalla possibilità di controllo da parte degli uomini.

Invece viviamo in tempi dove il delirio di onnipotenza dell’uomo occidentale – dimentico della civiltà cristiana che l’ha generato - è arrivato a pretendere di poter controllare la natura, di poterla regolare, di poter decidere il freddo e il caldo. Nel tragico combinarsi di due eventi imprevedibili e incontrollabili – il terremoto e una cascata di neve – troviamo la risposta della natura, una forza enorme capace di spazzare via l’uomo e le sue costruzioni in qualsiasi istante.

Nella storia gli uomini hanno via via sviluppato sempre nuove conoscenze e nuove forme per difendersi dalla forza devastante della natura. E soprattutto, nel mondo cristiano, hanno imparato a rivolgersi al Signore della natura, all’Unico che può calmare la tempesta e comandare ai venti. Solo oggi vediamo dominante una cultura che pretende di avere in mano le chiavi della natura, nel bene e nel male, e questa cultura ha contagiato anche i cristiani.

In altri tempi, davanti a eventi come quelli cui stiamo assistendo nell’Italia centrale, avremmo visto vescovi e preti organizzare pellegrinaggi, preghiere comunitarie, adorazioni, digiuni per chiedere al Signore di placare le forze della natura. Tanti santuari, anche nella nostra Italia, sono collegati a eventi di questo genere, alle grazie ricevute dal Signore che ha riportato la pace e la prosperità. Oggi tutto questo sembra dimenticato, si preferisce pensare che sia più efficace la raccolta differenziata, o l’uso dei mezzi pubblici. Sembra che a nessuno venga più in mente di rivolgersi al Signore, a Colui che, per la fede del suo popolo, può decidere di salvarlo. Ma si può pretendere di ottenere se neanche si chiede?

www.lanuovabq.it/it/articoli-abbiamo-dimenticato-chi-e-il-signore-della-natura-1...






[SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

www.youtube.com/watch?v=lQTApTeL8ak



[SM=g1740762]

[Modificato da Caterina63 05/02/2017 00:21]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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