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Le verità fondamentali di «Pinocchio» spiegate dal cardinale Giacomo Biffi

Ultimo Aggiornamento: 08/05/2020 22:56
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03/05/2012 12:16
 
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16. DUE FIGURACCE NERE

Pinocchio, per non aver dato retta ai buoni consigli del Grillo parlante, s’imbatte negli assassini

 

Pinocchio se ne va di notte alla ricerca del “campo dei miracoli” sognando gli alberi carichi di monete d’oro.

Da buon adolescente in cerca di fortuna e autonomia, va ripetendosi:

A lasciarli dire, tutti si metterebbero in capo di essere i nostri babbi e i nostri maestri: tutti, anche i Grilli parlanti.

E spavaldo prosegue:

Ecco qua: perché io non ho voluto dar retta a quell’uggioso di Grillo, chi lo sa quante disgrazie, secondo lui, mi dovrebbero accadere!

 

Dovrei incontrare anche gli assassini! Meno male che agli assassini io non ci credo, né ci ho creduto mai. Per me gli assassini sono stati inventati apposta dai babbi, per far paura ai ragazzi che vogliono andar fuori la notte.

Pinocchio parla proprio come... un libro stampato, cioè come la più classica immagine dell’adolescente che si strafotte di genitori ed educatori!

Il processo dell’adolescente emancipato è sempre così: prima schifa il “grillo parlante”, la coscienza, la saggezza dei genitori, la sapienza di Dio, poi spumeggia del vuoto acritico delle sue scelte capricciose e, alla fine, cade preda entusiasta dell’ultima utopia gridata più forte nelle piazze o in TV...!

Per lui è sempre più verde l’erba degli altri e, alla fine, per non obbedire al padre, obbedisce a dei padroni. Pinocchio sta infatti seguendo fiducioso le indicazioni dei due “maestri”, il Gatto e la Volpe!

Questo capita anche agli adolescenti più avanti negli anni, che, con più sussiego culturale ma non meno ingenuamente, disprezzano le indicazioni del vangelo e vanno a scuola di altri maestri che, non sempre rispettosi della verità, sono più accomodanti e forse... più interessati!

“Verrà giorno - dice san Paolo - in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole” (2Tim 4,3-4).

Se non è la smania del nuovo e del diverso, è però oggi l’imperativo soggettivista: purché opinione sia! Il risultato? Ciascuno è verità a se stesso e, per tutti, trionfo di Babele!

Eppure Gesù aveva tanto raccomandato: “Non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo” (Mt 23,9-10).

Attenti a coloro che “vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci” (Mt 7,15).

Quelli di Pinocchio, come troppo spesso anche ai nostri giorni, non resistono a lungo al travestimento. Più in fretta di quel che ti aspetti, si manifestano senza malintesi come assassini armati di coltellacci per importi con la violenza quella loro “liberazione” che sanno poco liberante, una volta che se ne è conosciuta la vera sostanza!

Due figuracce nere, tutte imbaccuccate in due sacchi di carbone, le quali correvano dietro a lui a salti e in punta di piedi, come se fossero due fantasmi.

Abbiamo ormai visto troppo spesso che alle lusinghe di piazza segue il cingolato dei carri armati, già preparati oltre la siepe! Si dubita dell’efficacia persino dell’astuzia, per fidarsi esclusivamente della forza e della violenza.

Si provò a scappare. Ma non aveva ancora fatto il primo passo, che sentì agguantarsi per le braccia e intese due voci orribili e cavernose, che gli dissero: “O la borsa o la vita!”.

E’ lo sbocco fatale di ogni malvagità!

“Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi!” (Mt 7,16-17).

Non dà mai buoni risultati un umanesimo che non rispetta l’uomo!

La violenza è sempre il segno della falsità anche quando si ammanta di pretesto politico! Se ne è discusso fin troppo in questi tempi di guerra.

A cose fatte, la guerra è “avventura senza ritorno” e la violenza non ha mai risolto, ma portato sempre altre violenze! E i più deboli ne fanno le spese: Pinocchio finisce sulla forca.

 

17. SONO MORTA ANCH’IO

 Gli assassini inseguono Pinocchio e, dopo averlo raggiunto, lo impiccano a un ramo della Quercia grande

 

Pinocchio è proprio spacciato! Inseguito dai neri assassini, il burattino raggiunge quello che per Collodi era il vertice della sua assimilazione all’uomo: la morte come porto inesorabile di ognuno. Un finale amaro per la sua fiaba. Così al libro pone la parola “fine”! Ma i suoi “piccoli lettori”, che avevano dovuto cedere all’inizio del libro - ricordate? -, sono loro ora a far continuare la storia, per una logica del simbolo che solo essi avevano saputo intravedere nella favola. Collodi la riprenderà dopo quattro mesi di sospensione.

Pinocchio vive tre ore di agonia, appeso all’albero: come l’ “Uomo”, che Pilato presentò come archetipo della sofferenza e della morte, quando disse: “Ecco l’uomo!” (Gv 19,5). In quel momento supremo d’angoscia - come per l’uomo Gesù - il pensiero del burattino va al padrequando, aspetta aspetta, vide che non compariva nessuno, proprio nessuno, allora gli tornò in mente il povero babbo... Oh, babbo mio!... se tu fossi qui!

“Elì, Elì, lemà sabactàni; cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!”. Il Padre è sempre l’unico che resta alla fine: come un grido di nostalgia anche per chi, nelle sue scorribande, se ne è sempre allontanato.

 

Prima di giungere a quel punto, quando ancora fuggiva agli inseguitori, Pinocchio aveva intravisto una salvezza:

vide fra mezzo al verde cupo degli alberi biancheggiare in lontananza una casina candida come la neve.

E subito si disse:

se avessi tanto fiato da arrivare fino a quella casa, forse sarei salvo. E via a corsa disperata di quasi due ore!

Quando sono ormai caduti tutti gli “aquiloni” delle fatue illusioni umane, si corre ai ripari. Si ricupera quell’annuncio nebuloso ricevuto nella fanciullezza di un’altra vita, di un altro mondo, ... di una salvezza promessa! La Chiesa appare ancora come l’unica arca di salvezza nel naufragio dell’esistenza ...: potessi ritornare là, potessi riavere la fede di quei giorni!

Ma è un ricupero difficoltoso. Chi vi ha vagato lontano per molto tempo e ha sperimentato disinganni, delusioni, amarezze... non ha più il coraggio di credere, non si fida più di nessuno. Ha rotto la speranza nella verità e nel bene. Dio e la Chiesa e la verità e l’amore gli appaiono come un’utopia, una nostalgia ...!

Questo perché, già all’inizio, è mancato un approccio serio alla fede, capace di fondarne con intelligente documentazione la credibilità per un “assenso razionale” (come dice san Pietro). Chi della fede e della Chiesa ha solo quell’immagine incipriata da prima comunione non riesce più a servirsene da adulto. Gli sembrerà cosa morta e sbiadita, come una favola lontana in cui rifugiarsi come mito sentimentale, chiusa al bisogno concreto di salvezza dell’uomo emancipato del ventunesimo secolo. Quale grande peccato “in causa” è quello di crescere come cervelloni competenti in ogni materia e professionalità, ma con il cervello rimasto nano per quel che riguarda le conoscenze della fede! Chi del catechismo sa solo quel che ha imparato fino alla cresima avrà della fede una idea da bambino, per nulla significativa di fronte ai problemi della vita matura!

A Pinocchio, dopo aver bussato e dato calci e zuccate nella porta, apparve una bella Bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera. “Sono morta anch’io, disse, e aspetto la bara che venga a portarmi via”.

A furia di dire che la Chiesa è roba vecchia e morta... anche quel barlume sincero che ognuno ha di Dio gli parrà roba smorta, rispetto ai riflettori che invadono ed esaltano “la scena di questo mondo”!

Ogni luce sembra spegnersi e ogni speranza svanire nel buio della morte che incalza inesorabile... Per fortuna, come vedremo nel seguito della storia, l’accertamento di morte di Pinocchio era prematuro e poco fondato.

 

 

18. LA BELLA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI

La bella Bambina dai capelli turchini fa raccogliere il burattino, lo mette a letto e chiama tre medici per sapere se sia vivo o morto

 

Per riprendere la storia, si dice che Pinocchio era soltanto più morto che vivo, e che la bella Bambina dai capelli turchini era una buonissima Fata che da più di mill’anni abitava nelle vicinanze di quel bosco, la quale, fatto staccare dall’albero il povero burattino e, portatolo in una cameretta che aveva le pareti di madreperla, mandò subito a chiamare i medici più famosi del vicinato.

Nel rapporto padre-figlio entra qui un “principio femminile” che ormai sarà decisivo per il seguito della storia. Sarà tramite lei, la Fata, che si instaurerà la comunione perfetta e definitiva tra Pinocchio e Geppetto. Allo sguardo teologico sembra delinearsi il passaggio tra l’Antico e il Nuovo Testamento; dalla Bibbia appunto dobbiamo trarre tutto il senso di questa simbologia femminile.

 

Essa è anzitutto la “Sapienza” creatrice di Dio, la quale rappresenta il progetto e la premura esecutiva di Dio provvidente sul mondo; la fede popolare l’invoca come “Provvidenza”. Questa volontà salvifica, quasi un progetto onnicomprensivo, si incarna nell’umanità di Cristo quale Prototipo e Primogenito di una molteplicità di esseri che in lui trovano ricapitolazione.

Da Cristo alla Chiesa: essa è l’umanità raggiunta dall’azione redentiva di Cristo, associata alla sua umanità quale suo prolungamento nel tempo. La Fata dai capelli turchini diventa l’immagine della Chiesa, la sposa “senza macchia né ruga ..., ma santa e immacolata” (Ef 5,27).

Di essa l’attuazione singolare e la primizia è Maria (“dai capelli turchini”, color del cielo). La sua sollecitudine per la nostra salvezza è ben raffigurata dalla premura che questa Fata ha per la salute di Pinocchio. In Maria s’intravede il mistero di ogni donna che si china con sensibilità materna sulla vita umana per realizzare quella sua vocazione specifica di fare del proprio figlio un figlio di Dio.

Si tratta di un insieme di mediazioni concatenate che mettono in luce una sensibilità femminile entro il processo salvifico escogitato da Dio.

Al suo capezzale sono chiamati tre medici, i più famosi del vicinato, che danno soluzioni diverse.

Sentenzia il Corvo:

quando il morto piange, è segno che è in via di guarigione.

Sentenzia la Civetta: quando il morto piange, è segno che gli dispiace di morire.

L’autore malignamente vuol rappresentare la scienza con tutte le sue analisi psicologiche e sociologiche, incapace di analizzare fino in fondo i mali dell’uomo, oppure tutti gli umanesimi terrestri che costatano il bisogno di infinito e di immortalità che c’è dentro l’uomo, senza però poter dare risposte e salvezza a quel suo insoffocabile anelito.

Il Grillo invece è più esplicito e drastico, va a mettere il dito sulla piaga:

“Quel burattino lì, io lo conosco da un pezzo! E’ una birba matricolata, è un monellaccio, uno svogliato, un vagabondo! Quel burattino lì è un figliuolo disobbediente, che farà morire di crepacuore il suo povero babbo ...!”.

Rappresenta la coscienza e il rimorso, che colloca in un ravvedimento profondo anche se sconvolgente l’inizio della salvezza.

Si sentì allora nella camera un suono soffocato di pianti e singhiozzí!

E’ il coraggio forte della conversione, al di là delle facili scuse cui spesso la coscienza non illuminata dalla parola di Dio si prostituisce.

Si racconta che il libertino Charles De Foucauld, giunto davanti all’abate Huvelin per “discutere” di fede, si sentì intimare: “Inginocchiati e confessati, poi si potrà discutere!”. Ha avuto inizio lì l’avventura di santità di fratel Carlo De Foucauld e, con lui, la più moderna spiritualità dei nostri tempi.

 

19. UNA CERTA POLVERINA BIANCA

Pinocchio mangia lo zucchero, ma non vuol purgarsi; però quando vede i becchini che vengono a portarlo via, allora si purga. Poi dice una bugia e per castigo gli cresce il naso

 

Dopo l’inutile consulto medico è la Fata stessa a tentare di riportare in vita Pinocchio. Gli prepara una certa polverina bianca in mezzo a un bicchier d’acqua, cercando di persuaderlo a inghiottirla. Fa molta fatica. Alla fine, lo convince solo spaventandolo col mostrargli quattro conigli neri come l’inchiostro che portavano sulle spalle una piccola bara da morto.

Se la guarigione dell’uomo parte da un pentimento interiore della coscienza, c’è bisogno poi di un gesto della Chiesa - il sacramento - perché la salvezza giunga a compimento. “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo” (Mc 16,16): fede e sacramento sono elementi indisgiungibili per l’ortodossia cattolica in fatto di salvezza.

La causa remota sta nel fatto che la riconciliazione con Dio è frutto gratuito della croce di Cristo, di un suo atto prima che d’un’opera nostra. E’ dalla connessione con questo atto che il perdono giunge fino a noi. Il nostro pentirci è, nel suo nocciolo, accoglienza di un’iniziativa di Dio che ci soccorre, è lasciarsi risanare dal gesto del Buon Samaritano che si china a fasciare le nostre ferite con olio e vino.

La causa prossima della necessità del sacramento sta nel fatto che Cristo ha voluto prolungarsi nel tempo attraverso la Chiesa per toccare - visibilmente ed efficacemente - ogni peccatore col suo gesto di salvezza. Gesto esterno e “istituzionalizzato” perché da una parte segnali l’origine di quel perdono - un fatto oggettivo: la morte di croce, perché tanto è costato il perdono di un Dio! -, e dall’altra dia la sicurezza psicologica di essere perdonati attraverso un gesto autorizzato e pubblico.

I segni scelti da Gesù per dar “vestito” ai suoi gesti sono a volte sconcertanti nella loro povertà: un po’ d’acqua, un pezzo di pane, la parola di un prete che è uomo come me..! Un giorno Gesù per guarire il cieco nato fece con la saliva un po’ di fango da spalmare sugli occhi.

 

Sembra riderci sopra gioioso in questo gioco di cose umili per compiere le sue opere grandi! E’ il gioco esattamente opposto alla magia. In questa l’uomo vuol piegare Dio a sé con le sue formule segrete; nel sacramento l’uomo cerca di piegare la sua volontà orgogliosa al disegno di Dio, accogliendo i suoi gesti carichi di una virtualità che va ben oltre quel che appare. Come per Naàman il siro, lebbroso, invitato da Eliseo a lavarsi sette volte al Giordano, così anche a noi è richiesta fiducia in quel Dio che “ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti... e ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,28).

 

Capita, a volte, di diffidare di questi segni, di arricciare il naso come Pinocchio davanti alla medicina datagli dalla Fata. Dio e la Chiesa, madre e maestra, non hanno altra scelta che usare qualche metodo un po’ forte: visto che la considerazione della bontà e misericordia di Dio ci tocca poco, ecco il richiamo al giudizio finale e al fuoco dell’inferno, onde evitare il nostro fallimento. Un po’ di timore di Dio non stona mai con l’amore di Dio! Del resto, suggerivano i Padri della Chiesa: “Medita spesso i Novissimi, ed eviterai i peccati!”. Lo spavento di Pinocchio alla vista dei becchini è stato decisivo per fargli prendere la medicina.

 

Quando si è guariti, cioè riconciliati con Dio, siamo pronti a riconoscere che ne valeva la pena. Anche Pinocchio alla fine dice:

Abbiamo più paura delle medicina che del male.

E’ la stessa strana diffidenza che abbiamo per la Chiesa e per le sue premure di salvezza. Pinocchio ha fatto lo schizzinoso, pieno di pretese di fronte alla Fata che, come madre buona, l’accondiscendeva in tutto. Quanta fatica facciamo noi preti e quante umiliazioni subiamo dalla gente... pur di “salvare ad ogni costo qualcuno”!

Alla fine - come fa Pinocchio - non c’è né riconoscenza né sincerità: alla Fata il burattino dice una serie di bugie che... invece delle gambe corte, gli allungano il naso a dismisura. Così chi snobba la Chiesa, rimarrà un giorno... con un palmo di naso!

 

 

20. QUATTRO MONETE D’ORO

Pinocchio ritrova la Volpe e il Gatto e va con loro a seminare le quattro monete nel Campo dei miracoli

 

“Prima che faccia notte sarà qui il tuo babbo”,  dice la Fata a Pinocchio, cui ha promesso di far rivedere Geppetto.

 

L’incontro col Padre avviene nella Chiesa: “Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre”, diceva san Cipriano. Ogni uomo, come Pinocchio, è insofferente della verità posseduta nella casa dei figli di Dio, e preferisce l’esplorazione “nel bosco” dei dubbi, col sogno di arrivare autonomamente alla verità. Ma è strada pericolosa: ci si può imbattere nel Gatto e la Volpe e finire nel paese di Barbagianni o di Acchiappacitrulli.

In questo vagare con le sole sue forze - Platone direbbe: in questo navigare nell’esplorazione del mistero sulla fragile zattera delle nostre intuizioni e non sull’imbarcazione solida della rivelazione divina - l’uomo, come Pinocchio, ha in dotazione quattro monete d’oro, tesoro preziosissimo per sostenerlo nella ricerca. Sono quattro valori dello spirito, viatico che la misericordia divina assegna a chi è chiamato a diventare suo figlio, anticipazione di luce e aiuto per proseguire il viaggio verso il Regno. Tesori che i figli di Dio posseggono a pieno titolo e con larghezza, mentre negli altri sono dati in forma di aspirazione e anelito.

 

Il primo valore è l’intuizione che una razionalità ci sia del reale, che ogni cosa debba avere un perché, che vi sia connessione tra cause diverse, che in sostanza vi sia un unico progetto onnicomprensivo del creato. Questo pensiamo di trovare quando diciamo di cercare la verità. Chi sciupa questo talento, suicida la ragione. Gli vien meno anche una premessa indispensabile al raggiungimento della fede, che ha bisogno di una sua ragionevolezza documentata.

 

Il secondo dono è una certa conoscenza di Dio, come un barlume iniziale per avviarne la ricerca: nessuno nasce veramente ateo! “Ciò che di Dio si può conoscere è... manifesto; infatti dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità” (Rm 1,19-20). Solo quando l’uomo sofistica la ricerca, ammutolendo il buon senso in nome di una scienza apparente, arriva al più desolato ateismo e alla solitudine mai quieta di sentirsi orfano.

 

Terzo profondo anelito è quello per la giustizia: è il contenuto primordiale della speranza, la molla verso il paese d’utopia, un sole dell’avvenire che muove in messianismi terreni masse intere di popoli. Anche questo talento, quando è usato male e portato all’esasperazione, diviene schiavitù ideologica e totalizzante, sfociando in genocidio e fallimento.

 

Quarto: il senso innato della solidarietà, un’aurorale capacità di amare, una simpatia per il sentimento della fraternità universale come fondamento della convivenza umana. Se deviato, diviene collettivismo spersonalizzante.

 

I talenti, secondo la parabola, vanno trafficati e, nel senso giusto, non affidati ad altri che a Dio per il loro rendere. Pinocchio invece scavò la buca, ci pose le quattro monete d’oro che gli erano rimaste, e dopo ricoprì la buca con un po’ di terra.

 

Risultato: la spogliazione completa, come per gli abitanti di Acchiappacitrulli:

cani spelacchiati, pecore tosate, galline rimaste senza cresta, pavoni scodati dalle loro scintillanti penne d’oro e d’argento ormai perdute per sempre.

Sembrano i reduci dei nostri più recenti ideologismi, comunismo e terrorismo, che hanno lasciato masse intere senza Dio e senza ideali!

Ogni umanesimo ateo è controproducente, e spesso sfocia in... barbarie. Il Gatto e la Volpe hanno sempre travestimenti adatti ad ogni cultura e sistema economico. Guai se l’uomo si fida di loro! Gesù l’aveva ben preannunciato: “Chi non raccoglie con me, disperde” (Lc 11,23)!

 




[SM=g1740771]  continua.....

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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